Al cinema la vediamo così - Università degli Studi di Catania

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Al cinema la vediamo così - Università degli Studi di Catania
l'università allo specchio
Al cinema la vediamo così
Breve mappa del film di ambientazione accademica
P
Rosario Lizzio
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er il cinema americano,
quando non ne è protagonista lo sport, essa è sede di
amori giovanili, orrendi delitti o di
scapestrate e demenziali parodie,
oppure motivo, a distanza di anni,
per una riflessione nostalgica, una
resa dei conti, uno sguardo disincantato e disilluso alle speranze di
un tempo. Il cinema europeo l’ha
tenuta un po’ ai margini dei suoi
temi preferiti, usandola come pretesto per riflessioni più ampie sulla
società, come microcosmo di prova (o di esempio) per analisi dei costumi e del serrato confronto – o
scontro – fra classi sociali diverse.
Ma l’università, dopo il grande successo del film sulla vita del matematico John Nash, A Beautiful
Mind di Ron Howard, si appresta
probabilmente ad essere presa in
considerazione sempre più spesso
come ambientazione e tema del cinema contemporaneo.
Sono abbastanza lontani i tempi delle ragazze Pon Pon, simbolo
di un cinema pruriginoso anni ’70,
che sfruttava i campus universitari al solo fine di ambientarvi storielle
soft in cui giovani studenti, solitamente avvezzi più allo sport che
allo studio, conoscono le loro prime esperienze sessuali. Ma sono
anche lontani i tempi della conte-
stazione giovanile, quelli trattati ad
esempio ne L’impossibilità di essere normale (Richard Rush,
1970), dove un Elliot Gould ex studente rivoluzionario pentito cerca
di reinserirsi diventando docente,
o quelli intravisti nello stesso anno
in alcune sequenze di Zabriskie
Point di Michelangelo Antonioni e
denunciati in Fragole e sangue di
Stuart Hagman.
Già l’anno prima, in Italia, in un
episodio del film collettivo Amore
e rabbia (Discutiamo, discutiamo),
Marco Bellocchio si filma insieme
ad alcuni studenti nel corso di una
conversazione sui temi ancora
caldissimi del ’68, mentre nel 1967
l’inglese Joseph Losey, insieme al
drammaturgo Harold Pinter, approfitta della sbandata di due docenti
di mezza età per una studentessa,
per consegnarci un ritratto spietato e crudele del microcosmo universitario (L’incidente, con Dirk
Bogarde, Jacqueline Sassard, Michael York). Per trovare un’altrettanto lucida analisi dei conflitti interni all’ambiente in America bisogna arrivare allo sconosciuto Lite
in famiglia, di Thomas J. Tobin,
un film del 1977 (ambientato in una
importante Università del Nord degli States nel 1954) in cui le tensioni sfociano in una conclusione
recenti Skulls e The Hole a patto
di allargare un po’ il campo di indagine. O potrebbe spostarsi in
Francia, dove Mathieu Kassovitz,
per competere con i cugini d’oltreoceano, ambienta in una gelida
e innevata università d’élite il suo
thriller I fiumi di porpora, perdendosi dietro una trama che snocciola
omicidi vendicativi sulla base di un
complotto che mira a una sorta di
neonazista selezione della specie.
Ma i nazisti che si confrontano con
l’istituto universitario non si fermano qui: si va dal dentista Laurence
Olivier alle prese con lo studente
universitario ebreo Dustin Hoffman
ne Il maratoneta (1976) di John
Schlesinger, fino a L’università
dell’odio (1994) di John Singleton,
in cui il professore Laurence Fishburne deve mediare nel confronto
tra uno studente bianco influenzato dai compagni skinheads e un
nero dalla più seria coscienza politica, passando magari per i sei studenti olandesi protagonisti, durante l’occupazione nazista del 1940,
del film di Paul Verhoeven Soldato
d’Orange (1979) o per i Piccoli
maestri (1998), dove Daniele
Luchetti parla della nostra resistenza sull’Appennino emiliano, partendo da quell’interessante racconto di formazione che è l’omonimo
romanzo di Luigi Meneghello con
protagonisti alcuni giovani universitari che imbracciano il fucile e si
uniscono alla lotta partigiana.
A parte questi esempi in cui
l’ambiente universitario è solo
sfondo o spunto per il racconto,
italiano è uno dei pochi film che si
addentra negli intrighi e nei sotterfugi che presiedono a volte le carriere universitarie. Michele Sordillo,
nel suo film di esordio, La cattedra (1991), si concentra sulla malattia di un docente (un cosiddetto
barone universitario), che scatena
lotte senza quartiere tra i suoi assistenti, colleghi e discepoli. L’americano Curtis Hanson, nell’interessante Wonder Boys (2000) pone al
centro dell’attenzione i casi del suo
protagonista Grady, professore di
scrittura creativa, bloccato nella
redazione del suo secondo roman-
zo fiume di oltre 2500 cartelle, dando comunque un bel ritratto dell’ambiente intorno a lui, fatto di
invidie, tentativi di scalate nella carriera, colpi bassi dei colleghi, circoli letterari elitari, editori, baroni,
studenti ambiziosi, incontri sessuali
e crisi matrimoniali. Un piccolo
spaccato dell’ambiente universitario lo disegna anche l’australiana
Emma-Kate Croghan nel simpatico Amore e altre catastrofi (1996),
seguendo gli amori e gli studi della
sua protagonista, mentre il canadese Denys Arcand approfitta delle chiacchiere dei suoi intellettuali
(tra cui due professori universitari) per dibattere Il declino dell’impero americano, a partire dai rapporti sessuali delle quattro coppie che
si ritrovano a una imbarazzante cena.
Le donne all’università sono
state anche spunto per parlare della difficoltà di accedervi, come in
Un anno di scuola di Franco
Giraldi (1977), tratto da un romanzo di Gianni Stuparich, che prende
spunto da una legge che consentiva alle donne gli studi superiori,
trattando dello scompiglio causato
nell’ultima classe di un liceo dall’arrivo dell’unica ragazza ammessa, aspirante universitaria; o come
in Yentl (1983) di Barbra Streisand,
in cui la stessa Streisand è una ragazza ebrea costretta a travestirsi
da uomo per essere ammessa in
una scuola di studi talmudici riservata ai maschi. Ma il rapporto tra
le donne e l’università è anche un
confronto fra classi diverse, come
nel bellissimo La merlettaia (1977)
di Claude Goretta, dove uno studente inizia una relazione con una
introversa merlettaia, salvo poi abbandonarla al suo triste destino una
volta finiti gli studi per tornare a
frequentare solo persone del suo
ceto sociale.
Sede privilegiata della ricerca,
l’università si è prestata spesso agli
esperimenti, ma anche a scadere
nella parodia con Eddie Murphy,
obeso professore impegnato in un
bolso remake di un film di Jerry
Lewis ne Il professore matto, dove
una pozione gli consente di diventare un altro sé stesso, longilineo,
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tragica, peraltro presa dai fatti di
cronaca di quel tempo, e dove regista e sceneggiatori utilizzarono
una troupe tecnica di veri studenti
con importanti risultati sul piano
della sincerità. Nulla di esaltante per
la storia del cinema, ma un piccolo
passo avanti nella storia del coinvolgimento dell’università nei set
cinematografici.
Il campus è sede privilegiata di
film ad argomento sportivo, in cui
la competizione agonistica supera
di gran lunga quella negli studi,
oppure luogo di amori tra studenti,
o tra studentesse e professori. Raramente questi film superano la
prova della memoria, e solo alcuni, tra cui Scuola di geni di Martha
Coolidge (1985) e American School
di Amy Heckerling (2000), per citare gli esempi più recenti, tentano
di uscire dagli schemi collaudati del
film giovanil-sentimentale con tendenze al trash. Non a caso si tratta
di due film diretti da donne, più
caute dei colleghi uomini nel calcare la mano sull’università come
meta di iniziazione sessuale.
Nei campus americani, prescelti
probabilmente per il fatto di costituire un universo chiuso dalle probabili caratteristiche claustrofobiche, sono ambientati anche thriller
e horror: in Dimensione terrore
(1986) di Fred Dekker, due studenti liberano un corpo ibernato con
conseguenze catastrofiche perché
il cadavere mancato si trasforma
in uno zombie che semina morte e
terrore; in Reazione a catena
(1996) di Andrew Davis due ricercatori (Keanu Reeves e Rachel
Weisz) dell’università di Chicago,
che lavorano alla separazione molecolare dell’acqua, si trovano coinvolti in un complotto e braccati da
polizia, Cia e Fbi dopo un attentato che distrugge il loro laboratorio; in Omicidi di classe (1998) di
Dan Rosen due studenti approfittano del regolamento, che prevede il massimo dei voti per i compagni di stanza di uno studente
suicida, per liberarsi dell’insopportabile inquilino.
La casistica potrebbe continuare, comprendendo forse anche i
l'università allo specchio
agguerrito e sciupafemmine. E proprio nel campo della parodia o della comicità demenziale l’elenco dei
film americani sarebbe lunghissimo, annoverando pellicole che vanno dalle varie emulazioni di Animal
House (sfruttando il successo dei
comici della trasmissione National
Lampoon’s Animal House, ma senza il delirio trasgressivo di un John
Belushi) alla becera serie dei
Porky’s, fino al recentissimo Scary
Movie (2000), che ambienta proprio nelle sedi universitarie, grazie
a un maniaco assassino che tiene
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sul volto la maschera de L’urlo di
Munch, la sua parodia di film come
Scream, Blair Witch Project e vari
altri. Mentre l’unico film comico
che valga la pena rivedere sull’argomento è la sortita universitaria
di Groucho, Harpo, Chico e Zeppo Marx ne I fratelli Marx al
college, dove il connubio fra agonismo sportivo e successo negli
studi è preso in giro in maniera divertente, intelligente e travolgente.
Resta da dire delle riflessioni a
posteriori, inaugurate da Lawrence
Kasdan ne Il grande freddo (1983)
e proseguite in tanti film dove ex
universitari si ritrovano a distanza
di anni a piangere sulle illusioni perdute della giovinezza, con alcune
interessanti varianti apportate ad
esempio dall’inglese Mike Leigh in
Ragazze (1997) o dall’irlandese
Kenneth Branagh in Gli amici di
Peter (1992). Lo sguardo retrospettivo serve all’analisi generazionale, ma non approfondisce l’ambiente universitario, su cui mancano ancora, da parte del cinema,
analisi sufficientemente esaurienti
ed efficaci.