OLTRE 3 - Gennaio Aprile 2006
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OLTRE 3 - Gennaio Aprile 2006
OLTRE Il giornale dello spazio privato del SE' ____________________________________________________________________________ Periodico quadrimestr. di psicologia, psicoterapia, psicoanalisi, ipnosi, sessuologia, neuropsicologia. Num. 3 - Gennaio / Aprile 2006 - Registrazione al Tribunale Ordinario di Torino n. 5856 del 06/04/2005 - Dirett. responsabile: Dott. Ugo Langella - Psicologo, Psicoterapeuta - Iscritto all'Ordine degli Psicologi ed all'Albo degli Psicoterapeuti, Posizione 01/246 al 17/07/1989 Strada S. Maria 13 - 10098 RIVOLI (To) - Tel. 011 95 86 167 - [email protected] Esente da pubblicità - Stampa in proprio - PUBBLICAZIONE GRATUITA - Arretrati via e-mail. ____________________________________________________________________________ SOMMARIO (Il numero indica la pagina) 1 Editoriale, da "Tropico del cancro" di H. Miller - 1 Genitori, sposi: per favore, riflettete a lungo prima di separarvi - 2 I rapporti di coppia - 2 La precoce separazione dai genitori - 4 Realta' e idealizzazione - 5 Il vittimismo - 6 Una frustrazione maschile - 6 Il piacere sessuale nella donna - 9 A proposito di aborto - 11 La comunicazione degli affetti - 12 Il curriculum di Ugo Langella - 12 "OLTRE" per posta elettronica. EDITORIALE "Per una qualche ragione l'uomo cerca il miracolo, e per ottenere questo egli è pronto a guadare un fiume di sangue. Si corromperà con le idee, si ridurrà un'ombra, purché per un secondo soltanto della sua vita possa chiudere gli occhi all'orrore della realtà. Ogni cosa si sopporta: sfacelo, umiliazione, miseria, delitto, ennui [noia] nella fiducia che dalla sera alla mattina accada qualcosa, un miracolo, che ci renda sopportabile la vita". H. Miller - Tropico del cancro - Mondadori - Pag. 106 GENITORI, SPOSI: PER FAVORE, RIFLETTETE A LUNGO PRIMA DI SEPARARVI Genitori, se avete bambini piccoli, per favore riflettete a lungo prima di separarvi. Riflettete a lungo prima di separarvi anche se avete figli grandi! Sposi: riflettete a lungo prima di separarvi, anche se non avete figli! Un tempo vi eravate amati. Vi dicevate cose dolci. Avete sognato insieme. Vi siete sposati. Poi, cosa e' successo? La vita che stavate facendo vi e' diventata insopportabile? Avete trovato un altro/a partner? In tal caso avete pensato che, anche con un'altra persona, passata l'illusione iniziale potrebbe succedere la stessa cosa? Forse pensate che il nuovo o la nuova partner, che sperate di trovare o che avete trovato, vi dia quella forza per andare avanti che dovreste cercare in voi stessi? Sono le responsabilità della famiglia che avete creato che vi spaventano e che temete che vi facciano ammalare o morire? Sentite di non avere più tempo per voi e che la vita fugge? Vi siete persi nel quotidiano? Spesso il coniuge rappresenta il nostro fallimento nell'adattarci alla realtà, e allora ciò significa che siamo malati, ma tale malattia non si risolve con la separazione, se non in modo apparente. Solo che, una volta che prendiamo certe strade, non possiamo più tornare indietro poiché facciamo comunque soffrire qualcuno/a, quel qualcuno di cui nel frattempo ci siamo innamorati, anche se per la verità lo siamo di un nostro possibile nuovo modo di sentirci, frutto della novità o della idealizzazione. Se e' solo il bisogno di sedurre, di una qualche evasione sessuale che spesso aiuta a capire ed a far capire e proprio non possiamo farne a meno, "togliamoci la nata", come si dice in Piemontese, ma non buttiamo a mare il matrimonio, poiché se buttarlo non significa necessariamente che siamo malati, allora lo eravamo quando ci siamo sposati, per cui siamo sicuri nel frattempo di essere 1 guariti? Ci rendiamo conto che pensando soltanto a noi, facciamo soffrire altre persone, anche se nei figli spesso i danni più consistenti si vedranno soltanto più tardi? Abbiamo ben chiaro cosa cerchiamo? Sappiamo cosa ci manca? Siamo sicuri di trovarlo cambiando partner e che il non possederlo adesso, sia esclusivamente colpa del partner che abbiamo? Spesso non ce ne rendiamo conto ma nel momento in cui prendiamo la decisione di abbandonare il coniuge non siamo noi stessi/e: siamo in preda come ad un raptus, a un delirio dal quale ci sembra di poter uscire solo comportandoci in quel modo, scatenando così la tragedia intorno a noi. Molto spesso, insoddisfatti della vita che facciamo, di noi stessi, frustrati, non realizzati, ci sentiamo ovviamente anche insoddisfatti del coniuge o dei figli: le uniche cose che forse sentiamo essere in nostro potere cambiare subito, oltre l'automobile. Oppure, raggiunto il successo che volevamo, ci sembra che il coniuge ed i figli non esprimano più chi crediamo di essere diventati, per cui il buttarli come vecchie pantofole per formarci un'altra famiglia ci sembra naturale, illudendoci che i soldi che siamo disposti a dare bastino a risarcirli. In realtà sono loro a pagare le nostre trasformazioni, che spesso sono soltanto il frutto della nostra presunzione. Ma altrettanto spesso, delusi di noi, ci vergogniamo davanti al coniuge ed ai figli al punto da dovercene andare di casa allo scopo di nasconderci ai loro sguardi, per non vedere sul loro volto quella che crediamo essere anche la loro delusione ed il loro rimprovero, cercando dei partner adeguati alla nostra vergogna. Comunque, per concludere questa serie di riflessioni, ciò non significa che la separazione o il divorzio debbano essere aboliti dall'ordinamento civile. Anzi: e' proprio la libertà di servirsene che consente di riflettere più liberamente se il desiderio di farne uso costituisca davvero la migliore soluzione, oppure se sia la conseguenza di uno stato mentale anche solo temporaneamente alterato da una serie di disadattamenti (compreso il rifiuto sul nostro corpo dell'orma del tempo), di ansie, o semplicemente poiché non abbiamo ancora costruito nella nostra mente quella gerarchia di valori, con al primo posto gli affetti, per cui valga la spesa di affrontare, senza fuggire, le difficoltà della vita. Ma non proponete subito al/alla vostro/a partner, allora, di andare dallo psicologo! A costui sarebbero necessarie ore per entrare nella vostra mente e nella vostra vita, e comunque servirebbe a nulla se non ci fosse in voi la voglia di vedere, riconoscere, cambiare. E se questa voglia c'è, provate invece a parlarvi, con semplicità, con umiltà, con desiderio di reciproca comprensione. So bene che quest'ultima cosa e' la più difficile da attuare, poiché significa mettere a nudo la vostra mente, cosa molto più difficile che svestire il proprio corpo, ed il vostro orgoglio potrebbe cercare di impedirvelo, ma e' l'unica cosa che davvero dovreste fare e che, del resto, anche lo psicologo cercherebbe di innescare. Allo psicoterapeuta, semmai, dovrebbe essere fatto ricorso solo in presenza di patologie psichiche gravi le cui conseguenze, ricadendo sulla coppia, rischiano di farla esplodere, e con essa la famiglia, e solo se l'interessato/a ne è consapevole e d'accordo. I RAPPORTI DI COPPIA I rapporti di coppia non nascono belli e fatti: bisogna volerli costruire e costruirli in due. Poi, giorno dopo giorno, bisogna rafforzarli e proteggerli. Ma non è un lavoro semplice e né facile, e col tempo che passa, ancora più difficile senza un crescente affetto. LA PRECOCE SEPARAZIONE DAI GENITORI Intendiamo definire PRECOCE SEPARAZIONE DAI GENITORI, OGGI, l'abbandono della famiglia da parte di un figlio o di una figlia di età dai 27 anni, circa, in giù. Tuttavia tale definizione può apparire impropria se applicata indistintamente sia ai maschi che alle femmine, agli studenti come ai lavoratori, a chi si avvia alla convivenza o al matrimonio, agli abitanti della metropoli o a quelli della provincia, ai figli di famiglie benestanti oppure no, ed in alcuni casi l'età potrebbe anche esser spostata in avanti senza mutare il quadro della situazione. Il che e' 2 come dire che si può parlare di emancipazione precoce dai genitori, cioè dalla famiglia originaria, solo facendo una valutazione caso per caso, a causa dell'elevato numero di variabili. Pur tuttavia il problema esiste. In linea di principio, chi sta bene non si muove, dice un vecchio proverbio, ed oggi in alcune famiglie i figli sono talmente protetti, da poter fare tranquillamente del sesso per notti intere con i loro partner di turno sotto lo stesso tetto dei genitori e talvolta, in loro assenza, addirittura nel loro stesso letto. Qualsiasi tipo di critica possa essere fatta a queste "concessioni", soprattutto se con intento moralistico, e' sospetta, e proviene sicuramente da soggetti che non ne hanno avuto la possibilità, per cui non vorrebbero che altri l'avessero per non soffrire di invidia. Sempre più frequentemente, sento descrivere dai giovani brevi convivenze con tutta la famiglia dell'amico o dell'amica di turno. Ho citato queste situazioni soltanto per giustificare quel vecchio proverbio. Certamente, infatti, i giovani in oggetto non sentono un gran bisogno di emanciparsi dalla famiglia. Chi sta meglio di loro? Spesso, anzi, sono i genitori che fanno pressioni in tal senso, per vari motivi. Se quindi può essere vero che chi sta bene non si muove, chi "si muove" cioè abbandona la famiglia prima del tempo, con tutta la prudenza che questa affermazione richiede visto l'elevato numero di variabili come sopra sottolineato, evidentemente "non sta bene". Occorre quindi capire in cosa consiste tale malessere, e qui ricorro ad un altro proverbio: quando una nave affonda i topi scappano, o qualcosa del genere. Non e' l'unica causa ma solo una delle possibili: sicuramente la più sottile. In alcuni decenni di lavoro, ho maturato la convinzione che se alcuni giovani ad un certo punto della loro vita fremono dal desiderio di andarsene da casa, anche se sono sostanzialmente immaturi, senza lavoro, con pochi o addirittura senza soldi, con tutte le complicazioni che da ciò possono nascere, giustificando la realizzazione di questo desiderio con il voler convivere con un partner, spesso frutto di una ricerca già finalizzata a questo scopo e non in funzione del partner stesso, secondo una decisione adulta e responsabile, deve esserci un qualche motivo particolare che va oltre l'apparenza. Addirittura, talvolta, per forzare ogni possibile resistenza dei famigliari, viene usata la fatidica frase: "Sono incinta", reale, ma non meno strumentale. Ma attenzione: talvolta potrebbe trattarsi del desiderio di soddisfare una vocazione religiosa, o della determinazione di trasferirsi all'estero. Spesso tutto ciò scoppia da un momento all'altro senza preavviso, buttando nell'angoscia e nella preoccupazione la famiglia intera i cui componenti reagiscono nei modi più disparati, come davanti ad un lutto improvviso, imprevisto ed apparentemente imprevedibile, di cui tuttavia qualcuno di loro è "responsabile", direttamente o indirettamente. Che cosa può essere successo? Ebbene, ho verificato che a livello più o meno cosciente, "il topo" cioè il figlio o la figlia che desidera prematuramente andarsene di casa anche contro il parere di tutti, ha percepito che "la barca e' in procinto di affondare." Certo questo comportamento non apparirà carino, e potrà essere giudicato egoista, ma e' un giudizio affrettato. Il soggetto ha capito da alcuni scricchiolii, da piccoli segni di cedimento, che la barca della famiglia sta sfasciandosi, ed ha deciso di mettersi in salvo poiché sente che se la barca affonda gli altri forse potrebbero anche salvarsi, ma lui sarebbe destinato ad affondare con essa. Sarà un inspiegabile cambiamento in un genitore, lontano precursore di una malattia incurabile a lungo o breve termine, sarà un suo (di un genitore) progressivo autoisolamento dalla famiglia, espressione di una vita segreta parallela destinata una volta o l'altra a venire alla luce, saranno frequentazioni equivoche di qualche membro tendenti a comportamenti illegali, prima o poi oggetto di attenzione da parte della Legge, un tracollo economico o finanziario imminente, o più semplicemente litigi crescentemente insanabili fra i genitori, insomma: quali che siano le cause nello specifico, si sta avvicinando la fine più o meno traumatica di un periodo di cui dopo si avvertirà il rimpianto. E allora, prima che ciò avvenga, occorre calare la barca di salvataggio e dare un taglio alla gomena: meglio affidarsi all'incertezza delle onde nella speranza che qualche "nave di passaggio" porti la salvezza. In realtà potrebbe non essere così, ma piuttosto solo l'inizio di una difficile navigazione senza ritorno e senza fine. In ogni caso, la nuova dimensione di vita potrebbe diventare talmente assorbente, che tutti gli altri drammi finirebbero per trasformarsi in echi lontani. Vissuti da vicino o dal di dentro, invece, forse avrebbero potuto 3 diventare insostenibili e travolgenti, e rendere definitivamente impossibile una già difficile autentica emancipazione dai genitori. REALTA' E IDEALIZZAZIONE Realtà e idealizzazione. Realtà e fantasia. Realtà e sogno. Realtà e irrealtà. Realtà e illusione... A questo lavoro potevano essere dati molti titoli, ma solo quello utilizzato serve meglio a definire quanto seguirà. Infatti, la fantasia, i sogni, l'irrealtà, etc. possono essere belli o brutti, mentre il concetto di idealizzazione esprime sempre l'attribuzione ad un qualcosa, in modo assoluto e totale, di tutte le caratteristiche positive possibili, facendo diventare quel qualcosa, per l'appunto: ideale. Da qui, il sostantivo: IDEALIZZAZIONE, molto usato in psicoanalisi. Sul dizionario della Lingua italiana Zanichelli (1999), alla voce "IDEALIZZAZIONE" leggiamo: "RAPPRESENTAZIONE DI QUALCOSA O DI QUALCUNO SECONDO UN MODELLO IDEALE". Alla voce "IDEALE" leggiamo: "CHE NON HA ESISTENZA SE NON NELLA FANTASIA O NELLA IMMAGINAZIONE; CHE RIUNISCE TUTTE LE PERFEZIONI CHE LA MENTE UMANA PUO' CONCEPIRE, INDIPENDENTEMENTE DALLA REALTA'." Quest'ultima definizione ci introduce direttamente nel nostro argomento, chiederci: è possibile che anche nella nostra mente vi siano pensieri idealizzati indipendente dalla realtà in cui viviamo? La risposta più corretta potrebbe rispondendo ad un'altra domanda: "In quale percentuale viviamo nella realtà? percentuale di idealizzazione obnubila, annebbia, confonde la nostra percezione fa illudere di esserci dentro, quando invece lo siamo solo in parte? e ci obbliga a operanti in modo essere ottenuta O meglio: quale della realtà e ci Scrive RYCROFT nel suo "DIZIONARIO DI PSICOANALISI": "IDEALIZZAZIONE: PROCESSO DIFENSIVO, PER CUI UN OGGETTO CONSIDERATO IN MODO AMBIVALENTE, VIENE SCISSO IN DUE PARTI, UNA DELLE QUALI CONCEPITA COME IDEALMENTE BUONA E L'ALTRA COME TOTALMENTE CATTIVA. Ancora RYCROFT circa "DIFESA: LA FUNZIONE DELLA DIFESA È QUELLA DI PROTEGGERE L'IO" da un pericolo che lo minaccia. E ancora, circa "AMBIVALENZA: COESISTENZA DI EMOZIONI E IMPULSI CONTRADDITORI VERSO LA STESSA SITUAZIONE". Allora: quando la realtà è odiata per le limitazioni che impone, per le insoddisfazioni che arreca, per le sofferenze che comporta e tanto d'altro dello stesso genere, senza che ci sia possibile respingerla, abbiamo solo due alternative: la sopportazione, o se questa è impossibile, tanto la realtà appare insopportabilmente schiacciante, la scissione della nostra coscienza in due parti: realtà e irrealtà, realtà e sogno, realtà e idealizzazione etc, cioè realtà e negazione della realtà, comunque questa avvenga. In pratica, per sopravvivere siamo costretti a dividere la percezione della realtà da parte della nostra mente in due parti: una cattiva, ed un'altra non cattiva, che per contrapporsi alla prima non può che essere ideale. La parte cattiva viene rimossa, messa nell'armadio e chiusa a chiave, potremmo dire, e viene considerata solo la parte ideale, cioè viene deformata la realtà eliminando la parte spiacevole, e mantenendo al suo posto la realtà come vorremmo che fosse, all'atto pratico stravolgendola, negandola dicevamo prima: la classica fetta di salame sugli occhi, come si suol dire. Nella sostanza, si tratterebbe di un passaggio dalla realtà al delirio, ed in questo caso il termine "ideale" sta ad indicare la negazione della realtà ed una sua trasformazione in qualcos'altro. Considerato che nello Zanichelli avevamo letto: "ideale: che non ha esistenza se non nella fantasia o nella immaginazione; che riunisce tutte le perfezioni che la mente umana può concepire, indipendentemente dalla realtà", ne consegue che negando la componente insostenibile della realtà e coltivando la componente ideale di essa, siamo doppiamente fuori dalla realtà. In determinati contesti vi possono anche essere alterazioni percettive a livello sensoriale, dette allucinazioni. Quanto abbiamo descritto rappresenta il quadro estremo, fortunatamente non frequentissimo, ma non infrequente, e potremmo equipararlo al 100 per cento di delirio (100%). Al di là della percentuale totale, che se protratta troppo a lungo può destabilizzare anche per 4 sempre la mente del soggetto interessato, e ciò può avvenire se non si possono eliminare le cause, si può affermare con assoluta sicurezza che pressoché tutti siamo più o meno interessati al fenomeno, anche se in percentuale diversa sia per quanto riguarda la realtà rimossa (messa nell'armadio, costituito da un angolo molto protetto della nostra mente) sia per quanto riguarda l'idealizzazione che utilizziamo in compensazione. Come dire, che nessuno di noi ordinariamente, riesce a sopportare di guardare in faccia la realtà in tutti i suoi aspetti, per un semplice motivo: potrebbe diventare insopportabile per la nostra mente: basti pensare, come ultima cosa, alla morte biologica che tutti ci attende. Il lettore forse penserà che tanto valeva mettere la parola "illusione" al posto di idealizzazione sin dal titolo. Anche se le due cose potrebbero apparire simili, la risposta è no, ed il motivo è semplice. Le illusioni rimangono illusioni e possono riguardare soltanto chi le ha. Le idealizzazioni, invece, sono molto spesso il frutto di un pensare collettivo, ed esprimono un traguardo concretizzabile. Inoltre, le idealizzazioni di qualcuno e di qualcosa introducono all'invidia, mentre le illusioni non hanno lo stesso potere, e ciò basta. Ma la cosa più importante delle idealizzazioni è che, oltre ad essere più sostanziose delle illusioni, illuminano con la loro magica luce tutto il percorso che il soggetto o il gruppo fanno quando vengono coltivate: basti pensare alle religioni. Generalmente le illusioni riguardano un soggetto; le idealizzazioni, invece, possono essere condivise fra più persone. Come dire che per fare da fulcro all'esistenza, le illusioni hanno una portata limitata: ci vogliono le idealizzazioni. Occorre cioè trovare un qualcosa che assuma ai nostri occhi un significato talmente importante, da assorbire una gran percentuale delle energie della nostra mente, al punto da oscurare la quotidianità, e se possibile anche tutto il resto. Le illusioni possono aver la durata dei fuochi artificiali. Le idealizzazioni, invece, se concretizzate, e tanto più se condivise, non solo persistono per una vita, ma possono addirittura protrarsi molto a lungo nel tempo, anche oltre alla morte del primo pensatore. L'idealizzazione è come una droga, un energetico, una sostanza psicotropa, che fa dimenticare la vita che passa, i disagi e le preoccupazioni che crea, la solitudine, ma soprattutto la morte che si avvicina. L'idealizzazione è una forma di malattia. La si potrebbe anche definire benefica, ma è pur sempre una malattia, in quanto costituita da una difesa, una difesa che serve ad allontanare la totale percezione della realtà. L'idealizzazione determina stati di mania (euforia). Per chi se ne serve in modo estremo, sembra che nulla d'altro esista o conti se non l'oggetto stesso dell'idealizzazione. Ecco quindi come l'idealizzazione possa trasformarsi in esaltazione, e nella misura in cui contagia altri individui, pretenda di essere riconosciuta come realtà, ed infine in molti casi imposta come l'unica realtà esistente, o l'unica realtà possibile, con tutte le conseguenze che ciò comporta sul piano sociale. PAROLE CHIAVE: Realtà. Idealizzazione. Difesa. Scissione. Ambivalenza. Delirio. IL VITTIMISMO Il VITTIMISMO è figlio del NARCISISMO DISTRUTTIVO, il quale è un'espressione dell'ISTINTO DI MORTE. (H. Rosenfeld) Una volta riconosciuta in noi la sua presenza, localizzazione (in quale nostro comportamento si esprime), estensione (e in che misura), c'è una sola cosa da fare: COMBATTERLO, anche se è un modo di sentirci che ci dà un piacere profondo e ci fa sentire diversi dagli altri; talvolta unici. Note - Vittimismo - Tendenza a considerarsi vittime di qualcosa o di qualcuno. - Narcisismo - Amore di sé. - Narcisismo distruttivo – Amore di sé che non va in direzione della vita ma della morte, poiché preferisce più la morte che il cambiamento. 5 UNA FRUSTRAZIONE MASCHILE A volte i maschi si sentono frustrati se guadagnano meno delle loro donne, e non è facile per loro superare questo senso di inferiorità. La cosa è dovuta alle convenzioni sociali che vorrebbero che l'uomo non solo guadagnasse di più della donna, ma che se fosse possibile la mantenesse anche a casa. Meglio ancora, poi, se le consentisse di fare continuamente shopping con la sua carta di credito, e gli uomini che non ne hanno le possibilità si sentono un po' falliti. Il fatto è che le donne, anche se affermano il contrario, sono sempre un po' invidiose dei mariti delle altre che consentono loro tale possibilità. Che considerino tale evenienza un dovuto risarcimento per la loro monogamia? IL PIACERE SESSUALE NELLA DONNA Da che io ricordi, le discussioni sul piacere sessuale della donna sono state, e sono tuttora, uno degli argomenti più dibattuti sui periodici femminili, sia da parte di specialisti a vario titolo sia da parte delle lettrici attraverso le lettere inviate al giornale. Che queste lettere siano vere o false, poco importa. Anche se inventate come pretesto per affrontare l'argomento, l'editore sa di far sempre cosa gradita a qualche lettrice che spera di trovare sul rotocalco una risposta ai suoi dubbi ed insoddisfazioni in campo sessuale. Assenza di orgasmo, orgasmo soltanto clitorideo, che cos'è l'orgasmo vaginale, sono i temi più ricorrenti. Generalmente, chi risponde si butta a capofitto nella branca di sua competenza, scrivendo le solite cose che da sempre si scrivono e che tuttavia non riusciranno a risolvere il problema, sia poiché le informazioni sul caso sono insufficienti, sia poiché è scorretto generalizzare, ed anche perché pressoché tutte le risposte contengono un errore di metodo: trascurano le premesse. Occorre dire che la questione dell'orgasmo riguarda anche l'uomo, ma generalmente viene sottostimata poichè si crede che l'eiaculazione riassuma tutto il piacere che l'uomo deve provare per sentirsi sessualmente appagato. E' il caso di dire che c'è molta ignoranza e molta superficialità in questa affermazione, soprattutto da parte delle donne ma non meno, paradossalmente, da parte degli uomini, i quali non riescono a volte a capire cosa differenzia il piacere che provano nel far l'amore con una donna se confrontato con il piacere che provano nel far l'amore con un'altra. Una volta o l'altra ne riparleremo. Ma ritorniamo al nostro argomento. Per affrontare il problema in modo valido, occorre che ci portiamo più a monte. PRIMA DI PARLARE DI ORGASMO, BISOGNEREBBE PARLARE DI PIACERE. PRIMA DI PARLARE DI PIACERE, BISOGNEREBBE PARLARE DI DESIDERIO, E PRIMA ANCORA, DI ATTRAZIONE. LA SEQUENZA NATURALE E': ATTRAZIONE, DESIDERIO, PIACERE, ORGASMO. Il problema e la soluzione stanno tutti nell'ATTRAZIONE. Se scatta questa vi sono le premesse affinchè possa svilupparsi il desiderio. Se il desiderio viene appagato da' luogo a piacere, ed il completamento del piacere e' l'orgasmo. E' ovvio che piacere e orgasmo sono direttamente proporzionali all'attrazione, e che quindi non basta una qualsiasi quantità di attrazione ma che quest'ultima dovrebbe essere, in una ipotetica scala da 1 a 100, almeno oltre il 50; meglio se più vicina a 100. Quindi, se non c'è una sufficiente attrazione, è inutile andare oltre a cercare cosa non va. Ma attrazione di che? Per il vestito, la divisa, il titolo di studio, l'intelligenza, i soldi, le mani o altro del partner? Potrebbe apparire superfluo, ma non lo è, affermare che affinché la donna possa raggiungere il massimo piacere sessuale nel rapporto con un uomo, l'attrazione prevalente dovrebbe essere di tipo sessuale. Generalmente si pensa che in ognuna delle fasi sopra elencate possa celarsi un ostacolo destinato ad inceppare il tutto, ma non e' così vero come si crede, o non lo è così tanto quanto il numero delle donne che denuncia il problema. Se si riconosce l'attrazione, che come abbiamo detto dovrebbe essere prevalentemente di tipo sessuale, se questa è di adeguata intensità e la si accetta, e se 6 naturalmente l'attrazione trova la via libera sia nel soggetto che attrae che in quello attratto, la strada al desiderio è aperta, e quindi anche quella al piacere ed all'orgasmo; salvo che l'attrazione, quale che ne sia il motivo, venga repressa o prenda subito la via della sublimazione, cioè della trasformazione in affetto, amicizia, collaborazione reciproca etc. come generalmente avviene fra persone dello stesso sesso, o come a volte si tenta di fare fra persone di sesso diverso, situazione quest'ultima tutta da definire e generalmente ambivalente. Ed è proprio tale ambivalenza a far capire che l'attrazione c'è si, ma non è di tipo sessuale, bensì per qualcos'altro, sino a trasformarsi in desiderio di identificazione con l'altro, cioè di essere lui o lei. Nel pieno dell'adolescenza l'attrazione sessuale è al massimo dell'intensità, e proprio per questo elevatamente indifferenziata. Tuttavia l'attrazione sessuale verso un soggetto, maschio o femmina che sia, da parte di un soggetto, maschio o femmina che sia, se non c'è non si può far nascere né prima e né poi, anche se l'affetto può migliorarla. Va chiarito che l'AMORE è costituito dalla sommatoria di attrazione, desiderio e affetto, ma che l'affetto non è indispensabile per favorire l'orgasmo. TUTTAVIA AMBEDUE I PARTNER PER AVERE UN APPAGAMENTO SESSUALE PIENAMENTE SODDISFACENTE DEVONO SENTIRSI IN PERFETTA SINTONIA FISICA, PSICHICA E AFFETTIVA. L'attrazione è prodotta da spinte inconsce che hanno origini molto profonde, e nel caso dell'accoppiamento eterosessuale, nella donna probabilmente sono dettate prevalentemente da un'inconscia selezione naturale pilotata a livello subliminale sotto la spinta dell'istinto in funzione della riproduzione della specie, esattamente come nelle altre specie animali. Come dire che l'uomo dovrebbe rinunciare a scegliere la femmina, ma lasciarsi scegliere da lei se vuole garantirsi e garantirle il miglior piacere sessuale; fermo restando che anche lui, come la donna oggi, potrebbe respingere il corteggiamento se non di suo gradimento. Tutto il contrario di come molto spesso avviene, come poi vedremo. Del resto, molti uomini sono così rozzi, che se non fossero loro a scegliere nessuna donna li vorrebbe. Non vi è alcun dubbio che l'umanità sia fallocentrica. Siamo noi maschi che, nel nome di una presunta superiorità sulle altre specie animali nonché sulla donna stessa, abbiamo stravolto le regole della natura frequentemente per motivi che nulla hanno a che vedere con la riproduzione, lamentandoci poi se la nostra femmina non è “calda" come la vorremmo. Assai probabilmente l'orgasmo femminile nel senso più alto del termine, potrebbe essere prodotto dalla percezione inconscia, nel momento del coito, del raggiungimento ottimale delle condizioni di accoppiamento maschio-femmina nell'ottica della riproduzione, in funzione della catena: attrazione sessuale, desiderio, piacere, orgasmo, fecondazione, procreazione, anche fuori dal periodo fecondo, ma in previsione di esso. Ma ciò presupporrebbe che la femmina abbia la più totale liberta' di ricerca del maschio capace di suscitarle l'attrazione sessuale e il desiderio più elevati. Purtroppo, come abbiamo detto, non è così ed anche laddove le cose vadano meglio, la ricerca è comunque limitata da diversi fattori, non ultimi i problemi della donna, la sua estrazione sociale, l'educazione ricevuta, l'adeguatezza o meno della dote: in senso stretto e lato. Se noi riflettiamo sul fatto che le possibilità di accoppiamento sono soltanto 4: 1 Qualcuno impone l'accoppiamento dall'esterno 2 I due partner si piacciono a vicenda 3 E' lui che corteggia lei 4 E' lei che corteggia lui la graduatoria ideale nell'ottica vista prima, se le nostre ipotesi sono corrette, dovrebbe essere 2 - 4, trascurando 1 come aberrante, poiché dettata da motivi estrinseci alla coppia, e 3 come soluzione favorevole più in funzione del caso. Ma se pensiamo che invece generalmente, nella civiltà occidentale ma non solo, il criterio dominante corrisponde proprio al numero 3, allora ci accorgiamo che tante discussioni sulla difficoltà della donna a raggiungere l'orgasmo non hanno alcun senso, cioè tale insoddisfacente risposta al piacere sessuale è del tutto giustificata. Cosa 7 avviene infatti? L'uomo vede una donna che gli piace e la corteggia, Magari è da molto tempo che se ne è silenziosamente innamorato, ed aspetta le condizioni adatte per dichiararsi. Lei però non ne sa nulla o potrebbe anche aver notato con piacere le occhiate di lui, ma chissà quanti le avranno suscitato la stessa emozione! Nel frattempo l'uomo è passato dall'attrazione per quella donna al desiderio, mentre lei è ancora al palo o quasi poichè non sa ancora chi si dichiarerà. A dichiarazione avvenuta, potrebbe volerci non poco tempo prima che lei passi dall'attrazione sessuale generalizzata a quella specifica e quindi al desiderio per quel maschio, sempre che non si sia arresa per compromesso. In tal caso, a dichiarazione avvenuta da parte di lui, lei potrebbe provare una modesta attrazione, e però per una serie di motivi, compreso il timore di non riuscire ad accoppiarsi, e a volte anche a causa di altre esperienze fallite, o su pressioni dirette o indirette di altri, o degli eventi, finirebbe per dirgli di si, illudendosi di farsela venire. Come si potrà pretendere allora che questa donna abbia l'orgasmo che il maschio vorrebbe che avesse, anche per gratificarsi, o che la donna stessa vorrebbe avere per sentirsi completamente appagata? Andrà già bene se dopo qualche tempo lei, visto l'innamoramento da parte di lui, comincerà a provare gratitudine e ad amarlo, iniziando a diventare più sensibile alle sue attenzioni sessuali e cominciando a goderne, ma potrebbe passare molto tempo o essere già tardi per la coesione della coppia, o nel frattempo essere anche successe cose spiacevoli. Non si può, quindi, colpevolizzare sempre l'uomo se la sua donna non gode abbastanza, come spesso si legge nelle lettere sui rotocalchi femminili. A volte, l'unica colpa che lui ha davvero, oltre ad averla voluta scegliere, e spesso a tutti i costi, è quella di continuare a starle insieme anche se lei non prova attrazione per lui e lo respinge con mille pretesti, il più abusato dei quali è l'emicrania. Se si esclude quella categoria di donne che hanno fatto o sono state costrette a fare un matrimonio di convenienza, per cui se vogliono godere sessualmente devono per forza rompere il matrimonio o cercarsi un amante, non avrei dubbi che le donne che si lamentano di avere un orgasmo insoddisfacente, per cui per non ammetterlo prendano per buona la disquisizione: orgasmo clitorideo / orgasmo vaginale allo scopo di consolarsi, poichè l'orgasmo clitorideo può essere raggiunto semplicemente masturbandosi, non avrei dubbi, dicevo, che le donne oggetto di tutte queste riflessioni appartengono proprio alla penultima categoria descritta, la numero 3 (E' lui che corteggia lei). Anche se la categoria 2 sembrerebbe ideale, diversi aspetti potrebbero viziarla. Ai fini del nostro discorso, le affermazioni dei componenti della coppia circa l'aver sperimentato simultaneamente una reciproca attrazione, il classico colpo di fulmine, spesso non sono attendibili, probabilmente a causa della presenza di componenti di natura narcisistica reciprocamente proiettate, per cui l'aspetto negativo dell'ambivalenza potrebbe rimanere a lungo nascosto e poi esplodere all'improvviso senza apparente giustificazione. Ma spesso la categoria 2 (I 2 partner si piacciono a vicenda) funziona poiché è una falsa 2; in realtà è una 4: è lei che ha corteggiato lui, e lui c'è stato. Va detto che ci sono due situazioni particolari: le donne che hanno tendenze omosessuali rimosse e che quindi mai corteggerebbero un uomo accettando tuttavia il corteggiamento nella speranza di riuscire a reprimere queste loro tendenze, con esito talvolta disastroso per il proprio benessere e per la coppia, e le donne immature le quali a loro volta non scelgono poiché non si sentono all'altezza per cui anch'esse sono scelte, ma spesso da maschi non meno immaturi, i quali le ritengono, erroneamente, più facili da possedere e da reggere, non sentendosi in grado di accoppiarsi con una donna adulta per il timore di non riuscire a soddisfare le sue pretese di femmina e di moglie. Pur rientrando nella casistica del numero 3, nel caso chiedessero aiuto psicoanaliticamente potrebbero anche loro felicemente rientrare nella casistica 4. Per completezza, occorre dire che c'è ancora una situazione particolare: è lei che sceglie lui e lui ci sta anche se non prova adeguata attrazione, esattamente come succede alla donna che accetta suo malgrado il corteggiamento del maschio. Parrebbe evidente che in tal caso sia lui ad avere dei problemi per non essere riuscito a dire di no, ed è improbabile, allora, che la donna possa avere una sessualità soddisfacente. Con tutto ciò, escludendo le donne del primo gruppo alle quali un certo partner è stato imposto, gruppo questo aperto a tutte le possibilità 8 anche se ad alto rischio di insoddisfazione sessuale, ciò non significa che tutte le donne che si lasciano scegliere (3), avendo corrisposto positivamente al corteggiamento debbano uscirne sessualmente frustrate, ma che quelle che lo sono vadano cercate in questa categoria, Escluderei che ci siano donne capaci di provare un elevato piacere orgasmico con qualsiasi partner, come a volte si crede, evenienza spesso mal giudicata. E' più probabile, invece, che si tratti di donne più facilmente adattabili di altre e forse potrebbero essere il tipo preferito dai maschi che vogliono essere loro a scegliere la femmina. Tale adattabilità potrebbe far si che non si pongano troppe domande circa il loro essere femmine: lo sono e basta. Non vi sono dubbi comunque, che queste precisazioni così puntigliose possano far soffrire ulteriormente quelle donne che nel corso della loro vita non hanno avuto la soddisfazione di provare un orgasmo soddisfacente. In tal caso è inutile che cerchino nelle pagine dei rotocalchi qualcosa che le confonda ulteriormente allo scopo di illudersi ancora. Probabilmente è in questa categoria che possiamo trovare il maggior numero di situazioni depressive. A loro, comunque, l'augurio che l'uomo con il quale hanno formato una famiglia, le abbia almeno ripagate con il suo affetto, e che esse siano riuscite ad accettarlo e ad amare ugualmente intensamente i suoi figli, cosa che purtroppo molto spesso non avviene, per cui poi ci si chiede da dove nascano i problemi di quest'ultimi. Potrebbe non essere illegittimo chiedersi se le richieste di aborto o gli aborti spontanei non siano proprio appannaggio di questa categoria di donne, il che è come dire che occorrerebbe più cautela, molta cautela (...e carità...) prima di giudicarle negativamente. Certo, condannare è più comodo, facile e sbrigativo. Alle giovani quindi, che sono ancora in tempo per scegliere, il mio augurio è che rinuncino alla comodità di lasciarsi scegliere, e che combattano per accoppiarsi con il maschio capace di produrre in loro la massima attrazione sessuale e desiderio possibili, anche se questo potrebbe farle andare incontro alla disapprovazione della parentela o ad eventuali disagi. Il vantaggio che loro ne deriverà sarà la più totale aderenza all'istinto (riproduttivo), sia per quanto riguarda il piacere sessuale, che la vitalità che in tal modo trasmetteranno ai loro figli, se ne vorranno, e l'amore che da essi riceveranno. Agli uomini, l'augurio di saper resistere alla tentazione di scegliere senza sentirsi menomati (o menomaschi) al fine di lasciarsi scegliere, se vogliono che le loro femmine siano più soddisfatte, e che il loro personale piacere sessuale sia come lo desiderano. Mi viene spontaneo chiedermi se molti uomini abbiano l'amante o vadano a prostitute, poiché avendo preteso di scegliere il futuro coniuge anziché lasciarsi scegliere, non sentendosi sessualmente attratti dalla loro donna come speravano, vogliano continuamente verificare la loro capacità di suscitare attrazione, la cui esperienza negativa al riguardo pone loro tutta una serie di interrogativi, non ultimi i problemi di impotenza e di eiaculazione precoce. A PROPOSITO DI ABORTO Personalmente sono contrario all'aborto in quanto, essendo il feto indiscutibilmente vita, ritengo che tutte le scelte relative alla vita debbano essere affrontate con fiducia, coraggio e determinazione; come dire che l'aborto esprime una mancanza di coraggio, una sfiducia in primo luogo nel proprio futuro e nella propria vitalita' per i giorni a venire. Tuttavia, laddove non vi sia l'intenzione di procreare, sarebbe ovvio che la sessualita' andrebbe praticata con la consapevolezza delle possibili conseguenze, e l'adozione delle necessarie precauzioni. Come dire che a livello decisionale la ragione dovrebbe sempre prevalere sulla forza degli istinti. Ma quando, nonostante tutto ci si trova davanti ad una gravidanza indesiderata? Lo ripeto: io sono per incoraggiare le persone ad osare, a sfidare la morte. Qualsiasi manifestazione di vita e' sempre stupenda, entusiasmante ma, purtroppo, questa immagine così romantica ha dei limiti intrinseci e soggettivi. A parole tutti si dichiarano disponibili, ma a conti fatti, cioe' a bambino partorito, e' l'interessata che deve cavarsela da sola: del resto, il figlio è suo. Tutto il resto è demagogia. Occorre avere il coraggio di ammetterlo: nella maggioranza dei casi, 9 tanto piu' per le ragazze-madri o per le madri con altri figli, i disagi non saranno evitabili, e da essi ne scaturira' una sofferenza profonda per il concepito, oltre che per la madre. Troppo sadico dire: "Doveva pensarci prima!" Oserei affermare che tale sofferenza sarebbe sempre poca cosa davanti alla bellezza della vita. Quante persone che si proclamano infelici, preferirebbero davvero non essere mai nate? Sicuramente un numero enormemente minore rispetto alla loro quantita'. E poi, visto che quella creatura ormai esiste nella pancia della sua mamma, che colpa ne ha se qualcuno ve l'ha messa? Non meriterebbe ugualmente amore, tanto più forse proprio per questo motivo? E allora, perchè abortirla? Si potrebbe anche eliminare la Legge che consente l'aborto, ammesso e non concesso che ciò presupponga davvero l'abolizione del concetto stesso di aborto dalla mente degli individui, e non soltanto l'incoraggiamento all'aborto clandestino. Ma quando una donna ha deciso che vuole disfarsi del feto, farà di tutto sino a che ci riesce, talvolta anche a costo della vita, e nessuno riuscirà a fermarla. Questa però e' disperazione. Si può, allora, eliminare la disperazione per Legge? In ogni caso, quand'anche le venisse imposto di proseguire la gravidanza, le venisse interdetto di interromperla sotto la minaccia di pene severissime e la cosa avesse effetto, NESSUNO RIUSCIREBBE A COSTRINGERLA AD AMARE IL BAMBINO CHE PORTA IN GREMBO SE LEI LO RIFIUTA. Anzi: probabilmente si accentuerebbe l'effetto contrario. E allora, non significherebbe davvero condannare tale bambino all'inferno? Non e' forse un inferno essere affidati ad una madre che ti odia profondamente? Si può imporre l'amore materno per Legge? Quand'anche le si togliesse subito il neonato per affidarlo ad altri, a parte la sofferenza che comporterebbe per lui, che vita gli si prospetterebbe con dentro di sé a livello inconscio una presenza materna così realmente distruttiva, ostile e minacciosa, che se ci fosse riuscita gli avrebbe impedito di nascere? In questi frangenti, se chiamato come psicologo ad esprimere il mio parere, non posso fare altro che aiutare la gravida a fare chiarezza dentro di se', ma in ogni caso, alla fin fine sarebbe gravissimo, se non inutile ed anche pericoloso per due persone, non rispettare la sua scelta, che piaccia o no, anche perché non vi sarebbe il tempo di sottoporla ad un trattamento psicoanalitico per approfondirne le cause, essendo generalmente troppo breve il tempo che la Legge mette a disposizione per abortire. Che senso avrebbe, allora, tentare di piegare, qualsiasi sia il modo, la volontà di una persona che esiste, comportamento di per sé già profondamente lesivo non solo della sua libertà ma della sua dignità, a favore di un'altra che già esiste, ma che nel dipendere in tutto e per tutto dalla prima nel senso più totale del termine, nei fatti come individuo è come non esistesse, e che comunque risentirebbe di tale coercizione? Posso però (e devo), condividere con lei il suo dramma SENZA TENTARE DI COLPEVOLIZZARLA PER FORZARE LA SUA VOLONTA', anche se devo ricordarle che l'aborto peserà a lungo sulla sua coscienza. Sconsigliarla, tentare di impedirle di farlo, ammesso che a quel punto l'interessata non preferisca rischiare la pelle pur di riuscire nel suo intento, significherebbe invece esporre alla tragedia, magari anche in un lontano futuro, due persone: madre e figlio. In ogni caso, L'EDUCAZIONE alla sessualità nel più totale rispetto della persona, (anche allo scopo di DARE e di TRARRE il maggior piacere possibile), alla procreazione ed alla genitorialità consapevoli e responsabili, E NON I DIVIETI, dovrebbero fare la differenza, salvo consentire la sessualità esclusivamente alle coppie sposate e SOLO per procreare, come le gerarchie cattoliche intrinsecamente vorrebbero. E' questo il vero punto di scontro fra il Vaticano e laici! Ma è bene parlarci chiaro: premesso, che piaccia o no, che la donna ha tutti i diritti di decidere cosa fare del feto che ha nella pancia (che cosa ne sanno gli altri del suo stato psichico al momento dell'atto sessuale che l'ha fecondata?) il problema circa la sensatezza di un'eventuale decisione di abortire va visto del tutto fuori da ogni contesto sia religioso che politico, e al di là della Legge, laddove richiesto dall'interessata, rientra totalmente ed esclusivamente nell'ambito dell'attività dello psicologo, dello psicoterapeuta, dello psichiatra o dello psicoanalista: gli UNICI che hanno gli strumenti per una valutazione globale della situazione circa che cosa, PER LEI, E PER LEI SOLTANTO, sia preferibile fare. Punto e basta. 10 LA COMUNICAZIONE DEGLI AFFETTI Provare emozioni affettive, comunicare emozioni affettive, accompagnandole eventualmente con il pianto: e' il titolo di un libro che ognuno di noi possiede , ma che probabilmente conserva gelosamente ben chiuso a chiave nello scaffale personale dal quale lo estrae, se lo estrae, magari anche solo per un attimo soltanto nelle occasioni piu' importanti e/o dolorose della vita: matrimoni (se di parenti stretti), sepolture, nascite (se di figli propri), malattie gravi (se proprie o di parenti stretti), altro (per una cerchia molto limitata di persone). Vi sono momenti della propria vita (sino all'adolescenza non compresa), quando i propri figli sono piccoli, che questo libro e' ben aperto sul leggio di casa, e tutti possono andarvi a leggere comodamente quanto vi e' scritto. Poi, con il passare degli anni, con la crescita dei bambini il libro, come tutte le altre cose a quell'epoca appartenenti, viene chiuso e messo nell'armadio; neanche nella biblioteca in mezzo agli altri in bella vista: nell'armadio, buttato là in mezzo a tanta altra roba o, peggio, nello scaffale di cui sopra. Nascite, sepolture, matrimoni, malattie possono costringere a riprenderlo, ma poi viene riposto là, e se possibile, dimenticato. Capita, però, di andarlo a cercare nella vecchiaia e di mettersi a leggere forte qualche capitolo ai figli, ai nipoti, ad altri strettamente vicini per un qualche motivo, al personale della casa di riposo dove siamo stati relegati, ma sembra di parlare Arabo, se non fosse che sarebbe sin troppo bello parlare Arabo: nelle grandi città, oggi, non sarebbero pochi quelli che, almeno, capirebbero! Invece, chi si trova ad ascoltare guarda, scuote la testa e tira via, infastidito, seccato, annoiato e qualsiasi pretesto diventa buono per allontanarsi. Per altri meno anziani, per non pochi bambini, almeno nel desiderio, il libro viene estratto dall'armadio e letto agli animali: cani, gatti, criceti, pesciolini rossi e così via. Sembra che in alcuni momenti della vita il linguaggio degli affetti possa essere parlato soltanto con loro: linguaggio fatto di preoccupazioni per la loro salute, il loro pelo, cucce, ciottole, giocattoli in plastica, veterinari, toccamenti, pasticciamenti. Alcune volte affetti e aggressività si mescolano. Poi il gioco finisce o viene interrotto; il libro riposto per essere ripreso dopo qualche ora o qualche giorno, o in alcuni casi riabbandonato per anni. Spesso e' un via vai a quello scaffale: un prendere ed un riporre che se fosse e filmato e proiettato farebbe sorridere. Non sara' una bella cosa comunicare agli animali cio' che non si riesce a comunicare con gli umani, ma e' sempre preferibile al silenzio assoluto. Ci si chiede perche', pero', possa essere cosi' difficile parlare una lingua cosi' universalmente diffusa o perche' sia piu' facile servirsene con animali di razza inferiore; come da essi sia, pare, cosi' facilmente capita e dia luogo ad immediate risposte. In un'epoca di neologismi quasi quotidiani, potremmo chiamare tutto ciò con una gran brutta parola: EMOZIONESE, limitandola però solo a quella parte di emozioni che hanno a che fare con l'affetto o con l'aggressività ad esso strettamente legata. Il gatto che dapprima ti lecca e poi ti morde; ti lecca e ti zampa: "Gioca!" - si dice - "ma lo fa solo con me". Ci si accorge che e' più facile parlare Emozionese con i bambini sino a che sono piccoli, nei momenti di grazia all'interno della coppia consolidata, fra gli innamorati, nei momenti tristi: soltanto per periodi limitati, quindi, se riferiti alle persone, mentre l'Emozionese e' più esteso con gli animali, anche se si tratta di un linguaggio più rozzo, prevalentemente sub-verbale e generalmente non percepito da estranei; Emozionese personalizzato e pudico, strettamente riservato. Perché con gli animali di più, e con le persone meno? Beh! In modo meno appariscente, spesso anzi abbastanza confuso e contradditorio anche le persone comunicano fra di loro in Emozionese, ma quello che basta agli animali non basta alle persone. Ma e' cosi' difficile allora parlarsi in Emozionese aperto? Viene il dubbio che quel libro riposto nello scaffale e chiuso a chiave, sia il dizionario di una lingua piu' imbarazzante del parlar di sesso. Non avrei voglia di approfondire perche' sia cosi': e' cosi'. Mi e' capitato recentemente di fare colloqui con figli unici a cui erano morti i genitori (vi siete mai chiesti perche' i figli unici spesso si sposino fra di loro?) e di cogliere la loro travolgente e davvero insopportabile angoscia per non avere piu' nessuno con cui riuscire a parlare Emozionese stretto; nessuno che li stia a sentire, mentre coloro con i quali avevano incominciato, erano fuggiti spaventati, incapaci di sostenere conversazioni continue in questa 11 lingua cosi' dura, di cui solitamente vengono usate forme dialettali annacquate. Si. E' difficile parlare Emozionese: una lingua che si preferirebbe ignorare o utilizzare il meno possibile; la vera lingua universale che pero' si fa di tutto per evitare, precipitando nella condizione di dover inventare un Esperanto. Mi sono chiesto spesso se il vero significato della proposta di riesumazione della Lingua latina che periodicamente alcuni fanno, nella loro mente non rivesta un significato simbolico. Anche l'Emozionese, come il Latino, e' una lingua del passato di ognuno di noi, della nostra infanzia, come il Latino dell'infanzia della cultura. Lingue morte? A qualcuno il dubbio viene. Per non pochi il Latino e' ritrovarsi chierichetti a servir messa, a far sfrigolare la cera bagnata sullo stoppino delle candele accese...ritrovando le dolci atmosfere di quando la vita era ancora immersa nel sogno dell'incoscienza. O gli anni del liceo, delle prime cotte, delle prime... Lasciamo perdere. L'Emozionese e' una lingua imbarazzante. Va bene parlarla con i bambini sino a che sono piccoli, ma da grandi viene considerata quasi una vergogna saperla usare; nello stesso tempo in cui la si rimpiange, la si ricerca e la si evita. Strani contrasti. Chi la usa viene considerato un debole, mentre e' chi ha paura di usarla il vero debole. Fingere di ignorarla significa essere coraggiosi e duri, mentre chi la parla troppo si trova ben presto a farlo da solo. Persino gli animali si stancano di sentirla... Una grattatina e via. Non rimane, allora, che riporre irritati il dizionario nello scaffale, o magari buttarlo nella spazzatura. "L'Emozionese? Mai parlato!" guardando con compassione schifata chi, all'angolo della metaforica strada, mendica affetti. Sarebbe consigliabile che ci appendessimo addosso un cartello con la scritta: cieco, sordo, muto; almeno cosi' quegli accattoni non perderebbero tempo con noi, oppure ci prenderebbero subito per il collo intimandoci la classica frase: "O gli affetti o la vita!" E' assai probabile che allora la nostra memoria si risvegli d'incanto. Potremmo forse essere costretti a riconoscere che si, conoscevamo l'Emozionese, scusandoci per la nostra cattiva pronuncia e giustificandoci, imbarazzati, con il troppo tempo trascorso dal nostro ultimo uso. E' meglio, e' consigliabile, per non doverlo fare da anziani quando nessuno avra' voglia di ascoltare il nostro Emozionese, e ci verra' tanta voglia di prendere qualcuno per il collo per farlo crepare prima di noi, soprattutto pensando che cosa saranno subito tutti pronti a capire: l'ammontare della nostra eredita'. IL CURRICULUM DI UGO LANGELLA Ugo Langella e' nato ad Alba (Cuneo) il 25/6/1943. A Torino dal 1964, nell'estate 1994 ha trasferito studio e abitazione all'attuale indirizzo. Laureato in Pedagogia a Torino nel 1971, nel 1979 si e' laureato in Psicologia a Padova. In analisi dal 1975 al 1981 a Milano dalla Dott. Myriam Fusini Doddoli della Societa' Psicoanalitica Italiana, negli anni 78 e 79 ha partecipato ai suoi gruppi di formazione e supervisione, quest'ultima continuata a Torino nel 79 con il Dott. Flegenheimer e dall'80 all'82 con il Dott. Levi, analisti della Societa' Psicoanalitica Italiana. Nel 1989 ha conseguito l'attestato di ipnotista presso il Centro Italiano di Ipnosi Clinica Sperimentale C.I.I.C.S. del Prof. Franco Granone. E' iscritto all'Ordine degli Psicologi (posizione 01/246 - al 17/07/1989, data di prima costituzione) ed all'Albo degli Psicoterapeuti. "OLTRE" PER POSTA ELETTRONICA Vuoi ricevere i precedenti o i futuri numeri di "OLTRE" direttamente a casa tua per posta elettronica, naturalmente gratuitamente? Chiedimelo indirizzando l'e-mail a: [email protected] 12