OLTRE 3 - Gennaio Aprile 2006

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OLTRE 3 - Gennaio Aprile 2006
OLTRE
Il giornale dello spazio privato del SE'
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Periodico quadrimestr. di psicologia, psicoterapia, psicoanalisi, ipnosi, sessuologia, neuropsicologia.
Num. 3 - Gennaio / Aprile 2006 - Registrazione al Tribunale Ordinario di Torino n. 5856 del
06/04/2005 - Dirett. responsabile: Dott. Ugo Langella - Psicologo, Psicoterapeuta - Iscritto
all'Ordine degli Psicologi ed all'Albo degli Psicoterapeuti, Posizione 01/246 al 17/07/1989 Strada S. Maria 13 - 10098 RIVOLI (To) - Tel. 011 95 86 167 - [email protected]
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SOMMARIO
(Il numero indica la pagina)
1 Editoriale, da "Tropico del cancro" di H. Miller - 1 Genitori, sposi: per favore, riflettete a
lungo prima di separarvi - 2 I rapporti di coppia - 2 La precoce separazione dai genitori - 4
Realta' e idealizzazione - 5 Il vittimismo - 6 Una frustrazione maschile - 6 Il piacere sessuale
nella donna - 9 A proposito di aborto - 11 La comunicazione degli affetti - 12 Il curriculum di
Ugo Langella - 12 "OLTRE" per posta elettronica.
EDITORIALE
"Per una qualche ragione l'uomo cerca il miracolo, e per ottenere questo egli è pronto a
guadare un fiume di sangue. Si corromperà con le idee, si ridurrà un'ombra, purché per un
secondo soltanto della sua vita possa chiudere gli occhi all'orrore della realtà. Ogni cosa si
sopporta: sfacelo, umiliazione, miseria, delitto, ennui [noia] nella fiducia che dalla sera alla
mattina accada qualcosa, un miracolo, che ci renda sopportabile la vita".
H. Miller - Tropico del cancro - Mondadori - Pag. 106
GENITORI, SPOSI: PER FAVORE, RIFLETTETE A LUNGO PRIMA DI SEPARARVI
Genitori, se avete bambini piccoli, per favore riflettete a lungo prima di separarvi. Riflettete
a lungo prima di separarvi anche se avete figli grandi! Sposi: riflettete a lungo prima di separarvi,
anche se non avete figli! Un tempo vi eravate amati. Vi dicevate cose dolci. Avete sognato
insieme. Vi siete sposati. Poi, cosa e' successo? La vita che stavate facendo vi e' diventata
insopportabile? Avete trovato un altro/a partner? In tal caso avete pensato che, anche con
un'altra persona, passata l'illusione iniziale potrebbe succedere la stessa cosa? Forse pensate che
il nuovo o la nuova partner, che sperate di trovare o che avete trovato, vi dia quella forza per
andare avanti che dovreste cercare in voi stessi? Sono le responsabilità della famiglia che avete
creato che vi spaventano e che temete che vi facciano ammalare o morire? Sentite di non avere
più tempo per voi e che la vita fugge? Vi siete persi nel quotidiano? Spesso il coniuge rappresenta
il nostro fallimento nell'adattarci alla realtà, e allora ciò significa che siamo malati, ma tale
malattia non si risolve con la separazione, se non in modo apparente. Solo che, una volta che
prendiamo certe strade, non possiamo più tornare indietro poiché facciamo comunque soffrire
qualcuno/a, quel qualcuno di cui nel frattempo ci siamo innamorati, anche se per la verità lo siamo
di un nostro possibile nuovo modo di sentirci, frutto della novità o della idealizzazione. Se e' solo
il bisogno di sedurre, di una qualche evasione sessuale che spesso aiuta a capire ed a far capire e
proprio non possiamo farne a meno, "togliamoci la nata", come si dice in Piemontese,
ma non
buttiamo a mare il matrimonio, poiché se buttarlo non significa necessariamente che siamo
malati, allora lo eravamo quando ci siamo sposati, per cui siamo sicuri nel frattempo di essere
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guariti? Ci rendiamo conto che pensando soltanto a noi, facciamo soffrire altre persone, anche se
nei figli spesso i danni più consistenti si vedranno soltanto più tardi? Abbiamo ben chiaro cosa
cerchiamo? Sappiamo cosa ci manca? Siamo sicuri di trovarlo cambiando partner e che il non
possederlo adesso, sia esclusivamente colpa del partner che abbiamo? Spesso non ce ne rendiamo
conto ma nel momento in cui prendiamo la decisione di abbandonare il coniuge non siamo noi
stessi/e: siamo in preda come ad un raptus, a un delirio dal quale ci sembra di poter uscire solo
comportandoci in quel modo, scatenando così la tragedia intorno a noi.
Molto spesso, insoddisfatti della vita che facciamo, di noi stessi, frustrati, non realizzati, ci
sentiamo ovviamente anche insoddisfatti del coniuge o dei figli: le uniche cose che forse sentiamo
essere in nostro potere cambiare subito, oltre l'automobile. Oppure, raggiunto il successo che
volevamo, ci sembra che il coniuge ed i figli non esprimano più chi crediamo di essere diventati,
per cui il buttarli come vecchie pantofole per formarci un'altra famiglia ci sembra naturale,
illudendoci che i soldi che siamo disposti a dare bastino a risarcirli. In realtà sono loro a pagare
le nostre trasformazioni, che spesso sono soltanto il frutto della nostra presunzione. Ma
altrettanto spesso, delusi di noi, ci vergogniamo davanti al coniuge ed ai figli al punto da
dovercene andare di casa allo scopo di nasconderci ai loro sguardi, per non vedere sul loro volto
quella che crediamo essere anche la loro delusione ed il loro rimprovero, cercando dei partner
adeguati alla nostra vergogna. Comunque, per concludere questa serie di riflessioni, ciò non
significa che la separazione o il divorzio debbano essere aboliti dall'ordinamento civile. Anzi: e'
proprio la libertà di servirsene che consente di riflettere più liberamente se il desiderio di farne
uso costituisca davvero la migliore soluzione, oppure se sia la conseguenza di uno stato mentale
anche solo temporaneamente alterato da una serie di disadattamenti (compreso il rifiuto sul
nostro corpo dell'orma del tempo), di ansie, o semplicemente poiché non abbiamo ancora costruito
nella nostra mente quella gerarchia di valori, con al primo posto gli affetti, per cui valga la spesa
di affrontare, senza fuggire, le difficoltà della vita. Ma non proponete subito al/alla vostro/a
partner, allora, di andare dallo psicologo! A costui sarebbero necessarie ore per entrare nella
vostra mente e nella vostra vita, e comunque servirebbe a nulla se non ci fosse in voi la voglia di
vedere, riconoscere, cambiare. E se questa voglia c'è, provate invece a parlarvi, con semplicità,
con umiltà, con desiderio di reciproca comprensione.
So bene che quest'ultima cosa e' la più difficile da attuare, poiché significa mettere a nudo
la vostra mente, cosa molto più difficile che svestire il proprio corpo, ed il vostro orgoglio
potrebbe cercare di impedirvelo, ma e' l'unica cosa che davvero dovreste fare e che, del resto,
anche lo psicologo cercherebbe di innescare. Allo psicoterapeuta, semmai, dovrebbe essere fatto
ricorso solo in presenza di patologie psichiche gravi le cui conseguenze, ricadendo sulla coppia,
rischiano di farla esplodere, e con essa la famiglia, e solo se l'interessato/a ne è consapevole e
d'accordo.
I RAPPORTI DI COPPIA
I rapporti di coppia non nascono belli e fatti: bisogna volerli costruire e costruirli in due. Poi,
giorno dopo giorno, bisogna rafforzarli e proteggerli. Ma non è un lavoro semplice e né facile, e
col tempo che passa, ancora più difficile senza un crescente affetto.
LA PRECOCE SEPARAZIONE DAI GENITORI
Intendiamo definire PRECOCE SEPARAZIONE DAI GENITORI, OGGI, l'abbandono della
famiglia da parte di un figlio o di una figlia di età dai 27 anni, circa, in giù. Tuttavia tale
definizione può apparire impropria se applicata indistintamente sia ai maschi che alle femmine,
agli studenti come ai lavoratori, a chi si avvia alla convivenza o al matrimonio, agli abitanti della
metropoli o a quelli della provincia, ai figli di famiglie benestanti oppure no, ed in alcuni casi l'età
potrebbe anche esser spostata in avanti senza mutare il quadro della situazione.
Il che e'
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come dire che si può parlare di emancipazione precoce dai genitori, cioè dalla famiglia originaria,
solo facendo una valutazione caso per caso, a causa dell'elevato numero di variabili. Pur tuttavia
il problema esiste. In linea di principio, chi sta bene non si muove, dice un vecchio proverbio, ed
oggi in alcune famiglie i figli sono talmente protetti, da poter fare tranquillamente del sesso per
notti intere con i loro partner di turno sotto lo stesso tetto dei genitori e talvolta, in loro
assenza, addirittura nel loro stesso letto. Qualsiasi tipo di critica possa essere fatta a queste
"concessioni", soprattutto se con intento moralistico, e' sospetta, e proviene sicuramente da
soggetti che non ne hanno avuto la possibilità, per cui non vorrebbero che altri l'avessero per non
soffrire di invidia. Sempre più frequentemente, sento descrivere dai giovani brevi convivenze con
tutta la famiglia dell'amico o dell'amica di turno.
Ho citato queste situazioni soltanto per giustificare quel vecchio proverbio. Certamente,
infatti, i giovani in oggetto non sentono un gran bisogno di emanciparsi dalla famiglia. Chi sta
meglio di loro? Spesso, anzi, sono i genitori che fanno pressioni in tal senso, per vari motivi.
Se quindi può essere vero che chi sta bene non si muove, chi "si muove" cioè abbandona la
famiglia prima del tempo, con tutta la prudenza che questa affermazione richiede visto l'elevato
numero di variabili come sopra sottolineato, evidentemente "non sta bene". Occorre quindi capire
in cosa consiste tale malessere, e qui ricorro ad un altro proverbio: quando una nave affonda i
topi scappano, o qualcosa del genere. Non e' l'unica causa ma solo una delle possibili: sicuramente
la più sottile. In alcuni decenni di lavoro, ho maturato la convinzione che se alcuni giovani ad un
certo punto della loro vita fremono dal desiderio di andarsene da casa, anche se sono
sostanzialmente immaturi, senza lavoro, con pochi o addirittura senza soldi, con tutte le
complicazioni che da ciò possono nascere, giustificando la realizzazione di questo desiderio con il
voler convivere con un partner, spesso frutto di una ricerca già finalizzata a questo scopo e non
in funzione del partner stesso, secondo una decisione adulta e responsabile, deve esserci un
qualche motivo particolare che va oltre l'apparenza. Addirittura, talvolta, per forzare ogni
possibile resistenza dei famigliari, viene usata la fatidica frase: "Sono incinta", reale, ma non
meno strumentale.
Ma attenzione: talvolta potrebbe trattarsi del desiderio di soddisfare una vocazione religiosa,
o della determinazione di trasferirsi all'estero. Spesso tutto ciò scoppia da un momento all'altro
senza preavviso, buttando nell'angoscia e nella preoccupazione la famiglia intera i cui componenti
reagiscono nei modi più disparati, come davanti ad un lutto improvviso, imprevisto ed
apparentemente imprevedibile, di cui tuttavia qualcuno di loro è "responsabile", direttamente o
indirettamente. Che cosa può essere successo? Ebbene, ho verificato che a livello più o meno
cosciente, "il topo" cioè il figlio o la figlia che desidera prematuramente andarsene di casa anche
contro il parere di tutti, ha percepito che "la barca e' in procinto di affondare." Certo questo
comportamento non apparirà carino, e potrà essere giudicato egoista, ma e' un giudizio
affrettato. Il soggetto ha capito da alcuni scricchiolii, da piccoli segni di cedimento, che la barca
della famiglia sta sfasciandosi, ed ha deciso di mettersi in salvo poiché sente che se la barca
affonda gli altri forse potrebbero anche salvarsi, ma lui sarebbe destinato ad affondare con
essa. Sarà un inspiegabile cambiamento in un genitore, lontano precursore di una malattia
incurabile a lungo o breve termine, sarà un suo (di un genitore) progressivo autoisolamento dalla
famiglia, espressione di una vita segreta parallela destinata una volta o l'altra a venire alla luce,
saranno frequentazioni equivoche di qualche membro tendenti a comportamenti illegali, prima o
poi oggetto di attenzione da parte della Legge, un tracollo economico o finanziario imminente, o
più semplicemente litigi crescentemente insanabili fra i genitori, insomma: quali che siano le cause
nello specifico, si sta avvicinando la fine più o meno traumatica di un periodo di cui dopo si
avvertirà il rimpianto. E allora, prima che ciò avvenga, occorre calare la barca di salvataggio e
dare un taglio alla gomena: meglio affidarsi all'incertezza delle onde nella speranza che qualche
"nave di passaggio" porti la salvezza. In realtà potrebbe non essere così, ma piuttosto solo
l'inizio di una difficile navigazione senza ritorno e senza fine. In ogni caso, la nuova dimensione di
vita potrebbe diventare talmente assorbente, che tutti gli altri drammi finirebbero per
trasformarsi in echi lontani. Vissuti da vicino o dal di dentro, invece, forse avrebbero potuto
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diventare insostenibili e travolgenti, e rendere definitivamente impossibile una già difficile
autentica emancipazione dai genitori.
REALTA' E IDEALIZZAZIONE
Realtà e idealizzazione. Realtà e fantasia. Realtà e sogno. Realtà e irrealtà. Realtà e
illusione... A questo lavoro potevano essere dati molti titoli, ma solo quello utilizzato serve meglio
a definire quanto seguirà. Infatti, la fantasia, i sogni, l'irrealtà, etc. possono essere belli o
brutti, mentre il concetto di idealizzazione esprime sempre l'attribuzione ad un qualcosa, in modo
assoluto e totale, di tutte le caratteristiche positive possibili, facendo diventare quel qualcosa,
per l'appunto: ideale. Da qui, il sostantivo: IDEALIZZAZIONE, molto usato in psicoanalisi. Sul
dizionario della Lingua italiana Zanichelli (1999), alla voce "IDEALIZZAZIONE" leggiamo:
"RAPPRESENTAZIONE DI QUALCOSA O DI QUALCUNO SECONDO UN MODELLO IDEALE".
Alla voce "IDEALE" leggiamo: "CHE NON HA ESISTENZA SE NON NELLA FANTASIA O NELLA
IMMAGINAZIONE; CHE RIUNISCE TUTTE LE PERFEZIONI CHE LA MENTE UMANA PUO'
CONCEPIRE, INDIPENDENTEMENTE DALLA REALTA'."
Quest'ultima definizione ci introduce direttamente nel nostro argomento,
chiederci: è possibile che anche nella nostra mente vi siano pensieri idealizzati
indipendente dalla realtà in cui viviamo? La risposta più corretta potrebbe
rispondendo ad un'altra domanda: "In quale percentuale viviamo nella realtà?
percentuale di idealizzazione obnubila, annebbia, confonde la nostra percezione
fa illudere di esserci dentro, quando invece lo siamo solo in parte?
e ci obbliga a
operanti in modo
essere ottenuta
O meglio: quale
della realtà e ci
Scrive RYCROFT nel suo "DIZIONARIO DI PSICOANALISI": "IDEALIZZAZIONE: PROCESSO
DIFENSIVO, PER CUI UN OGGETTO CONSIDERATO IN MODO AMBIVALENTE, VIENE
SCISSO IN DUE PARTI, UNA DELLE QUALI CONCEPITA COME IDEALMENTE BUONA E
L'ALTRA COME TOTALMENTE CATTIVA. Ancora RYCROFT circa "DIFESA: LA FUNZIONE
DELLA DIFESA È QUELLA DI PROTEGGERE L'IO" da un pericolo che lo minaccia. E ancora,
circa "AMBIVALENZA: COESISTENZA DI EMOZIONI E IMPULSI CONTRADDITORI VERSO LA
STESSA SITUAZIONE". Allora: quando la realtà è odiata per le limitazioni che impone, per le
insoddisfazioni che arreca, per le sofferenze che comporta e tanto d'altro dello stesso genere,
senza che ci sia possibile respingerla, abbiamo solo due alternative: la sopportazione, o se questa
è impossibile, tanto la realtà appare insopportabilmente schiacciante, la scissione della nostra
coscienza in due parti: realtà e irrealtà, realtà e sogno, realtà e idealizzazione etc, cioè realtà e
negazione della realtà, comunque questa avvenga.
In pratica, per sopravvivere siamo costretti a dividere la percezione della realtà da parte della
nostra mente in due parti: una cattiva, ed un'altra non cattiva, che per contrapporsi alla prima
non può che essere ideale. La parte cattiva viene rimossa, messa nell'armadio e chiusa a chiave,
potremmo dire, e viene considerata solo la parte ideale, cioè viene deformata la realtà eliminando
la parte spiacevole, e mantenendo al suo posto la realtà come vorremmo che fosse, all'atto
pratico stravolgendola, negandola dicevamo prima: la classica fetta di salame sugli occhi, come si
suol dire. Nella sostanza, si tratterebbe di un passaggio dalla realtà al delirio, ed in questo caso
il termine "ideale" sta ad indicare la negazione della realtà ed una sua trasformazione in
qualcos'altro. Considerato che nello Zanichelli avevamo letto: "ideale: che non ha esistenza se non
nella fantasia o nella immaginazione; che riunisce tutte le perfezioni che la mente umana può
concepire, indipendentemente dalla realtà", ne consegue che negando la componente insostenibile
della realtà e coltivando la componente ideale di essa, siamo doppiamente fuori dalla realtà. In
determinati contesti vi possono anche essere alterazioni percettive a livello sensoriale, dette
allucinazioni. Quanto abbiamo descritto rappresenta il quadro estremo, fortunatamente non
frequentissimo, ma non infrequente, e potremmo equipararlo al 100 per cento di delirio (100%).
Al di là della percentuale totale, che se protratta troppo a lungo può destabilizzare anche per
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sempre la mente del soggetto interessato, e ciò può avvenire se non si possono eliminare le cause,
si può affermare con assoluta sicurezza che pressoché tutti siamo più o meno interessati al
fenomeno, anche se in percentuale diversa sia per quanto riguarda la realtà rimossa (messa
nell'armadio, costituito da un angolo molto protetto della nostra mente) sia per quanto riguarda
l'idealizzazione che utilizziamo in compensazione. Come dire, che nessuno di noi ordinariamente,
riesce a sopportare di guardare in faccia la realtà in tutti i suoi aspetti, per un semplice motivo:
potrebbe diventare insopportabile per la nostra mente: basti pensare, come ultima cosa, alla
morte biologica che tutti ci attende. Il lettore forse penserà che tanto valeva mettere la parola
"illusione" al posto di idealizzazione sin dal titolo. Anche se le due cose potrebbero apparire
simili, la risposta è no, ed il motivo è semplice. Le illusioni rimangono illusioni e possono riguardare
soltanto chi le ha. Le idealizzazioni, invece, sono molto spesso il frutto di un pensare collettivo,
ed esprimono un traguardo concretizzabile. Inoltre, le idealizzazioni di qualcuno e di qualcosa
introducono all'invidia, mentre le illusioni non hanno lo stesso potere, e ciò basta. Ma la cosa più
importante delle idealizzazioni è che, oltre ad essere più sostanziose delle illusioni, illuminano con
la loro magica luce tutto il percorso che il soggetto o il gruppo fanno quando vengono coltivate:
basti pensare alle religioni.
Generalmente le illusioni riguardano un soggetto; le idealizzazioni, invece, possono essere
condivise fra più persone. Come dire che per fare da fulcro all'esistenza, le illusioni hanno una
portata limitata: ci vogliono le idealizzazioni. Occorre cioè trovare un qualcosa che assuma ai
nostri occhi un significato talmente importante, da assorbire una gran percentuale delle energie
della nostra mente, al punto da oscurare la quotidianità, e se possibile anche tutto il resto. Le
illusioni possono aver la durata dei fuochi artificiali. Le idealizzazioni, invece, se concretizzate, e
tanto più se condivise, non solo persistono per una vita, ma possono addirittura protrarsi molto a
lungo nel tempo, anche oltre alla morte del primo pensatore. L'idealizzazione è come una droga,
un energetico, una sostanza psicotropa, che fa dimenticare la vita che passa, i disagi e le
preoccupazioni che crea, la solitudine, ma soprattutto la morte che si avvicina. L'idealizzazione è
una forma di malattia. La si potrebbe anche definire benefica, ma è pur sempre una malattia, in
quanto costituita da una difesa, una difesa che serve ad allontanare la totale percezione della
realtà.
L'idealizzazione determina stati di mania (euforia). Per chi se ne serve in modo estremo,
sembra che nulla d'altro esista o conti se non l'oggetto stesso dell'idealizzazione. Ecco quindi
come l'idealizzazione possa trasformarsi in esaltazione, e nella misura in cui contagia altri
individui, pretenda di essere riconosciuta come realtà, ed infine in molti casi imposta come l'unica
realtà esistente, o l'unica realtà possibile, con tutte le conseguenze che ciò comporta sul piano
sociale.
PAROLE CHIAVE: Realtà. Idealizzazione. Difesa. Scissione. Ambivalenza. Delirio.
IL VITTIMISMO
Il VITTIMISMO è figlio del NARCISISMO DISTRUTTIVO, il quale è un'espressione
dell'ISTINTO DI MORTE. (H. Rosenfeld)
Una volta riconosciuta in noi la sua presenza, localizzazione (in quale nostro comportamento si
esprime), estensione (e in che misura), c'è una sola cosa da fare: COMBATTERLO, anche se è un
modo di sentirci che ci dà un piacere profondo e ci fa sentire diversi dagli altri; talvolta unici.
Note
- Vittimismo - Tendenza a considerarsi vittime
di qualcosa o di qualcuno.
- Narcisismo - Amore di sé.
- Narcisismo distruttivo – Amore di sé che non va in direzione della vita ma della morte,
poiché preferisce più la morte che il cambiamento.
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UNA FRUSTRAZIONE MASCHILE
A volte i maschi si sentono frustrati se guadagnano meno delle loro donne, e non è facile per
loro superare questo senso di inferiorità. La cosa è dovuta alle convenzioni sociali che vorrebbero
che l'uomo non solo guadagnasse di più della donna, ma che se fosse possibile la mantenesse
anche a casa. Meglio ancora, poi, se le consentisse di fare continuamente shopping con la sua
carta di credito, e gli uomini che non ne hanno le possibilità si sentono un po' falliti. Il fatto è
che le donne, anche se affermano il contrario, sono sempre un po' invidiose dei mariti delle altre
che consentono loro tale possibilità. Che considerino tale evenienza un dovuto risarcimento per la
loro monogamia?
IL PIACERE SESSUALE NELLA DONNA
Da che io ricordi, le discussioni sul piacere sessuale della donna sono state, e sono tuttora, uno
degli argomenti più dibattuti sui periodici femminili, sia da parte di specialisti a vario titolo sia da
parte delle lettrici attraverso le lettere inviate al giornale. Che queste lettere siano vere o
false, poco importa. Anche se inventate come pretesto per affrontare l'argomento, l'editore sa
di far sempre cosa gradita a qualche lettrice che spera di trovare sul rotocalco una risposta ai
suoi dubbi ed insoddisfazioni in campo sessuale. Assenza di orgasmo, orgasmo soltanto clitorideo,
che cos'è l'orgasmo vaginale, sono i temi più ricorrenti. Generalmente, chi risponde si butta a
capofitto nella branca di sua competenza, scrivendo le solite cose che da sempre si scrivono e che
tuttavia non riusciranno a risolvere il problema, sia poiché le informazioni sul caso sono
insufficienti, sia poiché è scorretto generalizzare, ed anche perché pressoché tutte le risposte
contengono un errore di metodo: trascurano le premesse.
Occorre dire che la questione dell'orgasmo riguarda anche l'uomo, ma generalmente viene
sottostimata poichè si crede che l'eiaculazione riassuma tutto il piacere che l'uomo deve provare
per sentirsi sessualmente appagato. E' il caso di dire che c'è molta ignoranza e molta
superficialità in questa affermazione, soprattutto da parte delle donne ma non meno,
paradossalmente, da parte degli uomini, i quali non riescono a volte a capire cosa differenzia il
piacere che provano nel far l'amore con una donna se confrontato con il piacere che provano nel
far l'amore con un'altra. Una volta o l'altra ne riparleremo.
Ma ritorniamo al nostro argomento. Per affrontare il problema in modo valido,
occorre che ci portiamo più a monte. PRIMA DI PARLARE DI ORGASMO, BISOGNEREBBE
PARLARE DI PIACERE. PRIMA DI PARLARE DI PIACERE, BISOGNEREBBE PARLARE DI
DESIDERIO, E PRIMA ANCORA,
DI ATTRAZIONE. LA SEQUENZA NATURALE E':
ATTRAZIONE, DESIDERIO, PIACERE, ORGASMO.
Il problema e la soluzione stanno tutti nell'ATTRAZIONE. Se scatta questa vi sono le
premesse affinchè possa svilupparsi il desiderio. Se il desiderio viene appagato da' luogo a
piacere, ed il completamento del piacere e' l'orgasmo. E' ovvio che piacere e orgasmo sono
direttamente proporzionali all'attrazione, e che quindi non basta una qualsiasi quantità di
attrazione ma che quest'ultima dovrebbe essere, in una ipotetica scala da 1 a 100, almeno oltre
il 50; meglio se più vicina a 100. Quindi, se non c'è una sufficiente attrazione, è inutile andare
oltre a cercare cosa non va. Ma attrazione di che? Per il vestito, la divisa, il titolo di
studio, l'intelligenza, i soldi, le mani o altro del partner? Potrebbe apparire superfluo, ma non lo
è, affermare che affinché la donna possa raggiungere il massimo piacere sessuale nel rapporto
con un uomo, l'attrazione prevalente dovrebbe essere di tipo sessuale. Generalmente si pensa
che in ognuna delle fasi sopra elencate possa celarsi un ostacolo destinato ad inceppare il tutto,
ma non e' così vero come si crede, o non lo è così tanto quanto il numero delle donne che
denuncia il problema. Se si riconosce l'attrazione, che come abbiamo detto dovrebbe essere
prevalentemente di tipo sessuale, se questa è di adeguata intensità e la si accetta, e se
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naturalmente l'attrazione trova la via libera sia nel soggetto che attrae che in quello attratto,
la strada al desiderio è aperta, e quindi anche quella al piacere ed all'orgasmo; salvo che
l'attrazione, quale che ne sia il motivo, venga repressa o prenda subito la via della sublimazione,
cioè della trasformazione in affetto, amicizia, collaborazione reciproca etc. come generalmente
avviene fra persone dello stesso sesso, o come a volte si tenta di fare fra persone di sesso
diverso, situazione quest'ultima tutta da definire e generalmente ambivalente. Ed è proprio tale
ambivalenza a far capire che l'attrazione c'è si, ma non è di tipo sessuale, bensì per
qualcos'altro, sino a trasformarsi in desiderio di identificazione con l'altro, cioè di essere lui o
lei. Nel pieno dell'adolescenza l'attrazione sessuale è al massimo dell'intensità, e proprio per
questo elevatamente indifferenziata. Tuttavia l'attrazione sessuale verso un soggetto, maschio o
femmina che sia, da parte di un soggetto, maschio o femmina che sia, se non c'è non si può far
nascere né prima e né poi, anche se l'affetto può migliorarla. Va chiarito che l'AMORE è
costituito dalla sommatoria di attrazione, desiderio e affetto, ma che l'affetto non è
indispensabile per favorire l'orgasmo. TUTTAVIA AMBEDUE I PARTNER PER AVERE UN
APPAGAMENTO SESSUALE PIENAMENTE SODDISFACENTE DEVONO SENTIRSI IN PERFETTA
SINTONIA FISICA, PSICHICA E AFFETTIVA.
L'attrazione è prodotta da spinte inconsce che hanno origini molto profonde, e nel caso
dell'accoppiamento eterosessuale, nella donna probabilmente sono dettate prevalentemente da
un'inconscia selezione naturale pilotata a livello subliminale sotto la spinta dell'istinto in funzione
della riproduzione della specie, esattamente come nelle altre specie animali. Come dire che
l'uomo dovrebbe rinunciare a scegliere la femmina, ma lasciarsi scegliere da lei se vuole garantirsi
e garantirle il miglior piacere sessuale; fermo restando che anche lui, come la donna oggi,
potrebbe respingere il corteggiamento se non di suo gradimento. Tutto il contrario di come
molto spesso avviene, come poi vedremo. Del resto, molti uomini sono così rozzi, che se non
fossero loro a scegliere nessuna donna li vorrebbe. Non vi è alcun dubbio che l'umanità sia
fallocentrica. Siamo noi maschi che, nel nome di una presunta superiorità sulle altre specie animali
nonché sulla donna stessa, abbiamo stravolto le regole della natura frequentemente per motivi che
nulla hanno a che vedere con la riproduzione, lamentandoci poi se la nostra femmina non
è “calda" come la vorremmo.
Assai probabilmente l'orgasmo femminile nel senso più alto del termine, potrebbe essere
prodotto dalla percezione inconscia, nel momento del coito, del raggiungimento ottimale delle
condizioni di accoppiamento maschio-femmina nell'ottica della riproduzione, in funzione della
catena: attrazione sessuale, desiderio, piacere, orgasmo, fecondazione, procreazione, anche fuori
dal periodo fecondo, ma in previsione di esso.
Ma ciò presupporrebbe che la femmina abbia la più totale liberta' di ricerca del maschio
capace di suscitarle l'attrazione sessuale e il desiderio più elevati. Purtroppo, come abbiamo
detto, non è così ed anche laddove le cose vadano meglio, la ricerca è comunque limitata da
diversi fattori, non ultimi i problemi della donna, la sua estrazione sociale, l'educazione ricevuta,
l'adeguatezza o meno della dote: in senso stretto e lato.
Se noi riflettiamo sul fatto che le possibilità di accoppiamento sono soltanto 4:
1 Qualcuno impone l'accoppiamento dall'esterno
2 I due partner si piacciono a vicenda
3 E' lui che corteggia lei
4 E' lei che corteggia lui
la graduatoria ideale nell'ottica vista prima, se le nostre ipotesi sono corrette, dovrebbe essere
2 - 4, trascurando 1 come aberrante, poiché dettata da motivi estrinseci alla coppia, e 3 come
soluzione favorevole più in funzione del caso. Ma se pensiamo che invece generalmente, nella
civiltà occidentale ma non solo, il criterio dominante corrisponde proprio al numero 3, allora ci
accorgiamo che tante discussioni sulla difficoltà della donna a raggiungere l'orgasmo non hanno
alcun senso, cioè tale insoddisfacente risposta al piacere sessuale è del tutto giustificata. Cosa
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avviene infatti? L'uomo vede una donna che gli piace e la corteggia, Magari è da molto tempo che
se ne è silenziosamente innamorato, ed aspetta le condizioni adatte per dichiararsi. Lei però non
ne sa nulla o potrebbe anche aver notato con piacere le occhiate di lui, ma chissà quanti le
avranno suscitato la stessa emozione! Nel frattempo l'uomo è passato dall'attrazione per quella
donna al desiderio, mentre lei è ancora al palo o quasi poichè non sa ancora chi si dichiarerà. A
dichiarazione avvenuta, potrebbe volerci non poco tempo prima che lei passi dall'attrazione
sessuale generalizzata a quella specifica e quindi al desiderio per quel maschio, sempre che non si
sia arresa per compromesso. In tal caso, a dichiarazione avvenuta da parte di lui, lei potrebbe
provare una modesta attrazione, e però per una serie di motivi, compreso il timore di non
riuscire ad accoppiarsi, e a volte anche a causa di altre esperienze fallite, o su pressioni dirette
o indirette di altri, o degli eventi, finirebbe per dirgli di si, illudendosi di farsela venire.
Come si potrà pretendere allora che questa donna abbia l'orgasmo che il maschio vorrebbe che
avesse, anche per gratificarsi, o che la donna stessa vorrebbe avere per sentirsi completamente
appagata? Andrà già bene se dopo qualche tempo lei, visto l'innamoramento da parte di lui,
comincerà a provare gratitudine e ad amarlo, iniziando a diventare più sensibile alle sue attenzioni
sessuali e cominciando a goderne, ma potrebbe passare molto tempo o essere già tardi per la
coesione della coppia, o nel frattempo essere anche successe cose spiacevoli. Non si può, quindi,
colpevolizzare sempre l'uomo se la sua donna non gode abbastanza, come spesso si legge nelle
lettere sui rotocalchi femminili. A volte, l'unica colpa che lui ha davvero, oltre ad averla voluta
scegliere, e spesso a tutti i costi, è quella di continuare a starle insieme anche se lei non prova
attrazione per lui e lo respinge con mille pretesti, il più abusato dei quali è l'emicrania.
Se si esclude quella categoria di donne che hanno fatto o sono state costrette a fare un
matrimonio di convenienza, per cui se vogliono godere sessualmente devono per forza rompere il
matrimonio o cercarsi un amante, non avrei dubbi che le donne che si lamentano di avere un
orgasmo insoddisfacente, per cui per non ammetterlo prendano per buona la disquisizione: orgasmo
clitorideo / orgasmo vaginale allo scopo di consolarsi, poichè l'orgasmo clitorideo può essere
raggiunto semplicemente masturbandosi, non avrei dubbi, dicevo, che le donne oggetto di tutte
queste riflessioni appartengono proprio alla penultima categoria descritta, la numero 3 (E' lui che
corteggia lei).
Anche se la categoria 2 sembrerebbe ideale, diversi aspetti potrebbero viziarla. Ai fini del
nostro discorso, le affermazioni dei componenti della coppia circa l'aver sperimentato
simultaneamente una reciproca attrazione, il classico colpo di fulmine, spesso non sono attendibili,
probabilmente a causa della presenza di componenti di natura narcisistica reciprocamente
proiettate, per cui l'aspetto negativo dell'ambivalenza potrebbe rimanere a lungo nascosto e poi
esplodere all'improvviso senza apparente giustificazione. Ma spesso la categoria 2 (I 2 partner si
piacciono a vicenda) funziona poiché è una falsa 2; in realtà è una 4: è lei che ha corteggiato lui,
e lui c'è stato. Va detto che ci sono due situazioni particolari: le donne che hanno tendenze
omosessuali rimosse e che quindi mai corteggerebbero un uomo accettando tuttavia il
corteggiamento nella speranza di riuscire a reprimere queste loro tendenze, con esito talvolta
disastroso per il proprio benessere e per la coppia, e le donne immature le quali a loro volta non
scelgono poiché non si sentono all'altezza per cui anch'esse sono scelte, ma spesso da maschi non
meno immaturi, i quali le ritengono, erroneamente, più facili da possedere e da reggere, non
sentendosi in grado di accoppiarsi con una donna adulta per il timore di non riuscire a soddisfare
le sue pretese di femmina e di moglie. Pur rientrando nella casistica del numero 3, nel caso
chiedessero aiuto psicoanaliticamente potrebbero anche loro felicemente rientrare nella casistica
4. Per completezza, occorre dire
che c'è ancora una situazione particolare: è lei che
sceglie lui e lui ci sta anche se non prova adeguata attrazione, esattamente come succede alla
donna che accetta suo malgrado il corteggiamento del maschio. Parrebbe evidente che in tal caso
sia lui ad avere dei problemi per non essere riuscito a dire di no, ed è improbabile, allora, che
la donna possa avere una sessualità soddisfacente. Con tutto ciò, escludendo le donne del primo
gruppo alle quali un certo partner è stato imposto, gruppo questo aperto a tutte le possibilità
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anche se ad alto rischio di insoddisfazione sessuale, ciò non significa che tutte le donne che si
lasciano scegliere (3), avendo corrisposto positivamente al corteggiamento debbano uscirne
sessualmente frustrate, ma che quelle che lo sono vadano cercate in questa categoria, Escluderei
che ci siano donne capaci di provare un elevato piacere orgasmico con qualsiasi partner, come a
volte si crede, evenienza spesso mal giudicata. E' più probabile, invece, che si tratti di donne più
facilmente adattabili di altre e forse potrebbero essere il tipo preferito dai maschi che vogliono
essere loro a scegliere la femmina. Tale adattabilità potrebbe far si che non si pongano troppe
domande circa il loro essere femmine: lo sono e basta. Non vi sono dubbi comunque, che queste
precisazioni così puntigliose possano far soffrire ulteriormente quelle donne che nel corso della
loro vita non hanno avuto la soddisfazione di provare un orgasmo soddisfacente.
In tal caso è inutile che cerchino nelle pagine dei rotocalchi qualcosa che le confonda
ulteriormente allo scopo di illudersi ancora. Probabilmente è in questa categoria che possiamo
trovare il maggior numero di situazioni depressive. A loro, comunque, l'augurio che l'uomo con il
quale hanno formato una famiglia, le abbia almeno ripagate con il suo affetto, e che esse siano
riuscite ad accettarlo e ad amare ugualmente intensamente i suoi figli, cosa che purtroppo molto
spesso non avviene, per cui poi ci si chiede da dove nascano i problemi di quest'ultimi. Potrebbe
non essere illegittimo chiedersi se le richieste di aborto o gli aborti spontanei non siano proprio
appannaggio di questa categoria di donne, il che è come dire che occorrerebbe più cautela, molta
cautela (...e carità...) prima di giudicarle negativamente. Certo, condannare è più comodo, facile
e sbrigativo.
Alle giovani quindi, che sono ancora in tempo per scegliere, il mio augurio è che rinuncino alla
comodità di lasciarsi scegliere, e che combattano per accoppiarsi con il maschio capace di
produrre in loro la massima attrazione sessuale e desiderio possibili, anche se questo potrebbe
farle andare incontro alla disapprovazione della parentela o ad eventuali disagi. Il vantaggio che
loro ne deriverà sarà la più totale aderenza all'istinto (riproduttivo), sia per quanto riguarda il
piacere sessuale, che la vitalità che in tal modo trasmetteranno ai loro figli, se ne vorranno, e
l'amore che da essi riceveranno. Agli uomini, l'augurio di saper resistere alla tentazione di
scegliere senza sentirsi menomati (o menomaschi) al fine di lasciarsi scegliere, se vogliono che le
loro femmine siano più soddisfatte, e che il loro personale piacere sessuale sia come lo
desiderano.
Mi viene spontaneo chiedermi se molti uomini abbiano l'amante o vadano a prostitute, poiché
avendo preteso di scegliere il futuro coniuge anziché lasciarsi scegliere, non sentendosi
sessualmente attratti dalla loro donna come speravano, vogliano continuamente verificare la loro
capacità di suscitare attrazione, la cui esperienza negativa al riguardo pone loro tutta una serie
di interrogativi, non ultimi i problemi di impotenza e di eiaculazione precoce.
A PROPOSITO DI ABORTO
Personalmente sono contrario all'aborto in quanto, essendo il feto indiscutibilmente vita, ritengo che
tutte le scelte relative alla vita debbano essere affrontate con fiducia, coraggio e determinazione;
come dire che l'aborto esprime una mancanza di coraggio, una sfiducia in primo luogo nel proprio futuro
e nella propria vitalita' per i giorni a venire. Tuttavia, laddove non vi sia l'intenzione di procreare,
sarebbe ovvio che la sessualita' andrebbe praticata con la consapevolezza delle possibili conseguenze,
e l'adozione delle necessarie precauzioni. Come dire che a livello decisionale la ragione dovrebbe
sempre prevalere sulla forza degli istinti. Ma quando, nonostante tutto ci si trova davanti ad una
gravidanza indesiderata? Lo ripeto: io sono per incoraggiare le persone ad osare, a sfidare la morte.
Qualsiasi manifestazione di vita e' sempre stupenda, entusiasmante ma, purtroppo, questa immagine
così romantica ha dei limiti intrinseci e soggettivi. A parole tutti si dichiarano disponibili, ma a
conti fatti, cioe' a bambino partorito, e' l'interessata che deve cavarsela da sola: del resto, il figlio
è suo. Tutto il resto è demagogia. Occorre avere il coraggio di ammetterlo: nella maggioranza dei casi,
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tanto piu' per le ragazze-madri o per le madri con altri figli, i disagi non saranno evitabili, e da essi
ne scaturira' una sofferenza profonda per il concepito, oltre che per la madre. Troppo sadico dire:
"Doveva pensarci prima!" Oserei affermare che tale sofferenza sarebbe sempre poca cosa davanti
alla bellezza della vita. Quante persone che si proclamano infelici, preferirebbero davvero non
essere mai nate? Sicuramente un numero enormemente minore rispetto alla loro quantita'. E poi,
visto che quella creatura ormai esiste nella pancia della sua mamma, che colpa ne ha se qualcuno ve
l'ha messa? Non meriterebbe ugualmente amore, tanto più forse proprio per questo motivo? E
allora, perchè abortirla? Si potrebbe anche eliminare la Legge che consente l'aborto, ammesso e
non concesso che ciò presupponga davvero l'abolizione del concetto stesso di aborto dalla mente
degli individui, e non
soltanto l'incoraggiamento all'aborto clandestino. Ma quando una donna ha
deciso che vuole disfarsi del feto, farà di tutto sino a che ci riesce, talvolta anche a costo della vita, e
nessuno riuscirà a fermarla. Questa però e' disperazione. Si può, allora, eliminare la disperazione
per Legge? In ogni caso, quand'anche le venisse imposto di proseguire la gravidanza, le venisse
interdetto di interromperla sotto la minaccia di pene severissime e la cosa avesse effetto,
NESSUNO RIUSCIREBBE A COSTRINGERLA AD AMARE IL BAMBINO CHE PORTA IN GREMBO
SE LEI LO RIFIUTA. Anzi: probabilmente si accentuerebbe l'effetto contrario. E allora, non
significherebbe davvero condannare tale bambino all'inferno? Non e' forse un inferno essere affidati
ad una madre che ti odia profondamente? Si può imporre l'amore materno per Legge?
Quand'anche le si togliesse subito il neonato per affidarlo ad altri, a parte la sofferenza che
comporterebbe per lui, che vita gli si prospetterebbe con dentro di sé a livello inconscio una presenza
materna così realmente distruttiva, ostile e minacciosa, che se ci fosse riuscita gli avrebbe
impedito di nascere? In questi frangenti, se chiamato come psicologo ad esprimere il mio parere, non
posso fare altro che aiutare la gravida a fare chiarezza dentro di se', ma in ogni caso, alla fin fine
sarebbe gravissimo, se non inutile ed anche pericoloso per due persone, non rispettare la sua scelta,
che piaccia o no, anche perché non vi sarebbe il tempo di sottoporla ad un trattamento psicoanalitico
per approfondirne le cause, essendo generalmente troppo breve il tempo che la Legge mette a
disposizione per abortire.
Che senso avrebbe, allora, tentare di piegare, qualsiasi sia il modo, la volontà di una persona che
esiste, comportamento di per sé già profondamente lesivo non solo della sua libertà ma della sua
dignità, a favore di un'altra che già esiste, ma che nel dipendere in tutto e per tutto dalla prima nel
senso più totale del termine, nei fatti come individuo è come non esistesse, e che comunque
risentirebbe di tale coercizione? Posso però (e devo), condividere con lei il suo dramma SENZA
TENTARE DI COLPEVOLIZZARLA PER FORZARE LA SUA VOLONTA', anche se devo ricordarle che
l'aborto peserà a lungo sulla sua coscienza. Sconsigliarla, tentare di impedirle di farlo, ammesso che
a quel punto l'interessata non preferisca rischiare la pelle pur di riuscire nel suo intento,
significherebbe invece esporre alla tragedia, magari anche in un lontano futuro, due persone: madre
e figlio.
In ogni caso, L'EDUCAZIONE alla sessualità nel più totale rispetto della persona, (anche allo
scopo di DARE e di TRARRE il maggior piacere possibile), alla procreazione ed alla genitorialità
consapevoli e responsabili, E NON I DIVIETI, dovrebbero fare la differenza, salvo consentire
la sessualità esclusivamente alle coppie sposate e SOLO per procreare, come le gerarchie
cattoliche intrinsecamente vorrebbero. E' questo il vero punto di scontro fra il Vaticano e laici!
Ma è bene parlarci chiaro: premesso, che piaccia o no, che la donna ha tutti i diritti di decidere
cosa fare del feto che ha nella pancia (che cosa ne sanno gli altri del suo stato psichico al momento
dell'atto sessuale che l'ha fecondata?) il problema circa la sensatezza di un'eventuale decisione di
abortire va visto del tutto fuori da ogni contesto sia religioso che politico, e al di là della Legge,
laddove richiesto dall'interessata, rientra totalmente ed esclusivamente nell'ambito dell'attività dello
psicologo, dello psicoterapeuta, dello psichiatra o dello psicoanalista: gli UNICI che hanno gli strumenti
per una valutazione globale della situazione circa che cosa, PER LEI, E PER LEI SOLTANTO, sia
preferibile fare. Punto e basta.
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LA COMUNICAZIONE DEGLI AFFETTI
Provare emozioni affettive, comunicare emozioni affettive, accompagnandole eventualmente con il
pianto: e' il titolo di un libro che ognuno di noi possiede , ma che probabilmente conserva gelosamente
ben chiuso a chiave nello scaffale personale dal quale lo estrae, se lo estrae, magari anche solo per
un attimo soltanto nelle occasioni piu' importanti e/o dolorose della vita: matrimoni (se di parenti
stretti), sepolture, nascite (se di figli propri), malattie gravi (se proprie o di parenti stretti), altro
(per una cerchia molto limitata di persone). Vi sono momenti della propria vita (sino all'adolescenza
non compresa), quando i propri figli sono piccoli, che questo libro e' ben aperto sul leggio di casa, e
tutti possono andarvi a leggere comodamente quanto vi e' scritto. Poi, con il passare degli anni, con
la crescita dei bambini il libro, come tutte le altre cose a quell'epoca appartenenti, viene chiuso e
messo nell'armadio; neanche nella biblioteca in mezzo agli altri in bella vista: nell'armadio, buttato là
in mezzo a tanta altra roba o, peggio, nello scaffale di cui sopra. Nascite, sepolture, matrimoni,
malattie possono costringere a riprenderlo, ma poi viene riposto là, e se possibile, dimenticato.
Capita, però, di andarlo a cercare nella vecchiaia e di mettersi a leggere forte qualche capitolo ai
figli, ai nipoti, ad altri strettamente vicini per un qualche motivo, al personale della casa di riposo
dove siamo stati relegati, ma sembra di parlare Arabo, se non fosse che sarebbe sin troppo bello
parlare Arabo: nelle grandi città, oggi, non sarebbero pochi quelli che, almeno, capirebbero! Invece, chi
si trova ad ascoltare guarda, scuote la testa e tira via, infastidito, seccato, annoiato e qualsiasi
pretesto diventa buono per allontanarsi. Per altri meno anziani, per non pochi bambini, almeno nel
desiderio, il libro viene estratto dall'armadio e letto agli animali: cani, gatti, criceti, pesciolini rossi
e così via. Sembra che in alcuni momenti della vita il linguaggio degli affetti possa essere parlato
soltanto con loro: linguaggio fatto di preoccupazioni per la loro salute, il loro pelo, cucce, ciottole,
giocattoli in plastica, veterinari, toccamenti, pasticciamenti. Alcune volte affetti e aggressività si
mescolano.
Poi il gioco finisce o viene interrotto; il libro riposto per essere ripreso dopo qualche ora o
qualche giorno, o in alcuni casi riabbandonato per anni. Spesso e' un via vai a quello scaffale: un
prendere ed un riporre che se fosse e filmato e proiettato farebbe sorridere. Non sara' una bella
cosa comunicare agli animali cio' che non si riesce a comunicare con gli umani, ma e' sempre preferibile
al silenzio assoluto. Ci si chiede perche', pero', possa essere cosi' difficile parlare una lingua cosi'
universalmente diffusa o perche' sia piu' facile servirsene con animali di razza inferiore; come da
essi sia, pare, cosi' facilmente capita e dia luogo ad immediate risposte. In un'epoca di neologismi quasi
quotidiani, potremmo chiamare tutto ciò con una gran brutta parola: EMOZIONESE, limitandola però
solo a quella parte di emozioni che hanno a che fare con l'affetto o con l'aggressività ad esso
strettamente legata. Il gatto che dapprima ti lecca e poi ti morde; ti lecca e ti zampa: "Gioca!" - si
dice - "ma lo fa solo con me".
Ci si accorge che e' più facile parlare Emozionese con i bambini sino a che sono piccoli, nei
momenti di grazia all'interno della coppia consolidata, fra gli innamorati, nei momenti tristi: soltanto
per periodi limitati, quindi, se riferiti alle persone, mentre l'Emozionese e' più esteso con gli animali,
anche se si tratta di un linguaggio più rozzo, prevalentemente sub-verbale e generalmente non
percepito da estranei; Emozionese personalizzato e pudico, strettamente riservato. Perché con gli
animali di più, e con le persone meno? Beh! In modo meno appariscente, spesso anzi abbastanza
confuso e contradditorio anche le persone comunicano fra di loro in Emozionese, ma quello che
basta agli animali non basta alle persone. Ma e' cosi' difficile allora parlarsi in Emozionese
aperto? Viene il dubbio che quel libro riposto nello scaffale e chiuso a chiave, sia il dizionario di una
lingua piu' imbarazzante del parlar di sesso. Non avrei voglia di approfondire perche' sia cosi':
e' cosi'. Mi e' capitato recentemente di fare colloqui con figli unici a cui erano morti i genitori (vi
siete mai chiesti perche' i figli unici spesso si sposino fra di loro?) e di cogliere la loro
travolgente e davvero insopportabile angoscia per non avere piu' nessuno con cui riuscire a
parlare Emozionese stretto; nessuno che li stia a sentire, mentre coloro con i quali avevano
incominciato, erano fuggiti spaventati, incapaci di sostenere conversazioni continue in questa
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lingua cosi' dura, di cui solitamente vengono usate forme dialettali annacquate. Si. E' difficile
parlare Emozionese: una lingua che si preferirebbe ignorare o utilizzare il meno possibile; la vera
lingua universale che pero' si fa di tutto per evitare, precipitando nella condizione di dover
inventare un Esperanto. Mi sono chiesto spesso se il vero significato della proposta di riesumazione
della Lingua latina che periodicamente alcuni fanno, nella loro mente non rivesta un significato
simbolico. Anche l'Emozionese, come il Latino, e' una lingua del passato di ognuno di noi, della
nostra infanzia, come il Latino dell'infanzia della cultura. Lingue morte? A qualcuno il dubbio
viene. Per non pochi il Latino e' ritrovarsi chierichetti a servir messa, a far sfrigolare la cera
bagnata sullo stoppino delle candele accese...ritrovando le dolci atmosfere di quando la vita era
ancora immersa nel sogno dell'incoscienza. O gli anni del liceo, delle prime cotte, delle prime...
Lasciamo perdere.
L'Emozionese e' una lingua imbarazzante. Va bene parlarla con i bambini sino a che sono piccoli, ma
da grandi viene considerata quasi una vergogna saperla usare; nello stesso tempo in cui la si rimpiange,
la si ricerca e la si evita. Strani contrasti. Chi la usa viene considerato un debole, mentre e' chi ha
paura di usarla il vero debole. Fingere di ignorarla significa essere coraggiosi e duri, mentre chi
la parla troppo si trova ben presto a farlo da solo. Persino gli animali si stancano di sentirla... Una
grattatina e via. Non rimane, allora, che riporre irritati il dizionario nello scaffale, o magari buttarlo
nella spazzatura. "L'Emozionese? Mai parlato!" guardando con compassione schifata chi, all'angolo
della metaforica strada, mendica affetti. Sarebbe consigliabile che ci appendessimo addosso un
cartello con la scritta: cieco, sordo, muto; almeno cosi' quegli accattoni non perderebbero tempo con
noi, oppure ci prenderebbero subito per il collo intimandoci la classica frase: "O gli affetti o la vita!"
E' assai probabile che allora la nostra memoria si risvegli d'incanto. Potremmo forse essere
costretti a riconoscere che si, conoscevamo l'Emozionese, scusandoci per la nostra cattiva
pronuncia e giustificandoci, imbarazzati, con il troppo tempo trascorso dal nostro ultimo uso. E'
meglio, e' consigliabile, per non doverlo fare da anziani quando nessuno avra' voglia di ascoltare il
nostro Emozionese, e ci verra' tanta voglia di prendere qualcuno per il collo per farlo crepare prima
di noi, soprattutto pensando che cosa saranno subito tutti pronti a capire: l'ammontare della nostra
eredita'.
IL CURRICULUM DI UGO LANGELLA
Ugo Langella e' nato ad Alba (Cuneo) il 25/6/1943. A Torino dal 1964, nell'estate 1994 ha
trasferito studio e abitazione all'attuale indirizzo. Laureato in Pedagogia a Torino nel 1971, nel 1979
si e' laureato in Psicologia a Padova. In analisi dal 1975 al 1981 a Milano dalla Dott. Myriam Fusini
Doddoli della Societa' Psicoanalitica Italiana, negli anni 78 e 79 ha partecipato ai suoi gruppi di
formazione e supervisione, quest'ultima continuata a Torino nel 79 con il Dott. Flegenheimer e
dall'80 all'82 con il Dott. Levi, analisti della Societa' Psicoanalitica Italiana. Nel 1989 ha conseguito
l'attestato di ipnotista presso il Centro Italiano di Ipnosi Clinica Sperimentale C.I.I.C.S. del Prof.
Franco Granone. E' iscritto all'Ordine degli Psicologi (posizione 01/246 - al 17/07/1989, data di
prima costituzione) ed all'Albo degli Psicoterapeuti.
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