Dal 1944 in poi h Dal 1944 in poi ha la consapevolezza del dissidio

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Dal 1944 in poi h Dal 1944 in poi ha la consapevolezza del dissidio
Nino Maestrello
PIERO CALAMANDREI LETTERATO
E
“INVENTARIO DELLA CASA DI CAMPAGNA”
Piero Calamandrei è il grande protagonista della nostra storia che conosciamo eccelso giurista, professore di procedura
civile, importante politico tra i padri della Costituzione.
Calamandrei è anche un letterato e tale lo troveremo nel suo capolavoro “INVENTARIO DELLA CASA DI CAMPAGNA”, la
mia passione, che leggeremo assieme.
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Calamandrei letterato
La qualifica di letterato è la meno nota anche se nel “PONTE” , la rivista mensile da lui fondata nel 1946 svolge attività
critica di lettore nelle “Conversazioni in Sicilia” di Elio Vittorini, le poesie di Diego Valeri, su il romanzo di Marino Moretti, i
libri di Augusto Monti, di Pavese “La luna e i falò “ dalla quale dice di essere turbato: sono solo esempi.
Calamandrei letterato e giurista ce lo presenta Galante Garrone :
“ Dal 1944 in poi ha
ha la consapevolezza del dissidio delle leggi e … gli ideali di giustizia … che le trascendono :
illuminante in proposito è una sua nota apparsa nel novembre del 1946 sul “PONTE” intitolata “Le leggi di
Antigone” a proposito del processo di Norimberga, terminato il 1° ottobre di quell’anno con la condanna a
morte di dodici grandi
grandi criminali nazisti … :
“ Guai – scrive Calamandrei – se non si fosse arrivati a questo epilogo: guai se non avessero prevalso, con
questa sentenza, le leggi universali decretate dai gemiti e dalle invocazioni dei milioni di martirizzati innocenti
! Le leggi
leggi non scritte dei codici dei re, alle quali obbediva Antigone, [erano] leggi dell’umanità che furono fino
a ieri una frase di stile relegata nei preamboli delle convenzioni internazionali; queste leggi hanno cominciato
ad affermarsi nella funebre aula di Norimberga, come vere leggi sanzionate .
L’umanità da vaga espressione retorica ha dato segno di voler diventare un ordinamento giuridico.”
Ancora Galante Garrone ci ricorda che :
“ Tornava spesso a Dante e Manzoni, specialmente al primo. Nei suoi ultimi anni mi confidò che teneva
sempre presso di sé, come “livre de chevet”, un’edizione della Divina Commedia che gli avevo regalato,
leggendo qualche verso alla sera.” E ci informa che “ nell’agosto del 1938, scrivendo a Dino Provenzali, gli
confidava la gioia provata nel rileggere “ due canti che sono lontanissimi di ispirazione,
ispirazione, eppure così
significativi: quello di Ulisse e quello di Giustiniano “ e diceva che quei due autori, Dante e Manzoni, “erano
quelli
quelli che si legge ogni giorno per non disperare nella vita”.”
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Alcune raffinate qualità del letterato Calamandrei si trovano :
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negli SCRITTI INEDITI CELLINIANI : ben 700 sono i documenti per appoggiare la vita di Cellini
che si era proposto di editare ;
nel SAGGIO POETICO SULLA MADONNA DEL PARTO DI PIERO DELLA FRANCESCA – e più
tardi sul BEATO ANGELICO;
in PARLARE DI FIRENZE : una conversazione nella quale si presenta l’innamorato di Firenze;
e – dimenticavo – nelle STROFE SAFFICHE … .
Da studente, nel 1906, fonda con l’amico Furno la rivista studentesca “ IL GOLIARDO”
Mi sposto al 1920 per dirvi che scrive anche fiabe, come la “Burla di primavera “.
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CARDUCCI.
Dichiara fin da ragazzo la sua adorazione per la poesia del Carducci e confessa che “ quei versi non erano soltanto un
invito alla contemplazione spassionata della bellezza, ma insieme un richiamo a certi appassionati ideali di
libertà, di giustizia che … rimanevano nei cuori come fermenti di azioni. “
Del 1923 è il libro di “impronta pedagogico-autobiografica “COLLOQUI CON FRANCO” ” (suo figlio), un testo che lega
quel passato di favola e poesia con quello che sarà “INVENTARIO DELLA CASA DI CAMPAGNA“, che è opera della sua
maturità.
Eccolo il legame :
“SCOPERTA DELLE LUCCIOLE”
“ Qualche stellina comincia a baluginare, su, tra i rami del pero: dunque lucciole mie, mi pare che sia giunto
anche per voi l’ora di venir fuori ad appagare l’ansiosa curiosità di Franco che stasera è rimasto alzato
proprio per aspettarvi. Guarda Franco, lo vedi proprio all’interno di quel cavolo quel lumicino che per
trasparenza fa apparire tutte le nervature della foglia che lo ricopre ? Quella è una luccioa che si sveglia.
Eccola,
Eccola, vedi, vien fuori dal nascondiglio e prende il volo.
E un’altra, guarda, vien fuori da quel cesto d’insalata che par fosforescente in mezzo alle zolle nere.
………………….
Ora tutto l’orto è pieno di lucciole. Il buio ha tutto inghiottito: non si vede più niente,
niente, in quell’oscurità, fuori che
le lucciole in terra e le stelle in cielo.
………………….
Chi ha detto che le lucciole sono piccine? Sono della stessa grandezza delle stelle : e proprio non so come
farà quella lucciola fuggitiva a ricordarsi quando sarà lassù nello stellato, d’essere una lucciola … “.
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E siamo all’ “ INVENTARIO DELLA CASA DI CAMPAGNA “ che spero divenga anche la vostra passione.
Comincia con FIORI DI ACACIA dove sembra dipingere un quadro di macchiaiolo toscano; ricordo che Calamandrei era
anche un ottimo pittore dilettante.
“ Del mio incontro colla botanica mi resta, sulla soglia dell’età dei ricordi, un gusto di miele stillante da acacie
in fiore su una strada di campagna e la pennellata rosea di un mazzetto di gracili
gracili fiori tremolanti su lunghissimi
steli, di cui dopo molti anni , al ginnasio , appresi dal libro il nome e cognome : Lychnis flosflos-cuculi.
Allora, appena fuori dalla barriera daziaria, le lastricate vie della città sboccavano in campagna: e quelle che
oggi sono le ferrigne piste di asfalto fatte per la velocità, erano allora pacifiche e soffici strade maestre, fatte
per il sonno dei barrocciai.
barrocciai. Mi par di ricordare che correre su quel morbido strato, strisciando apposta
apposta i piedi
per sollevare dietro di me un polverone più alto, sia stato uno dei miei primi vanti; nasce negli uomini, ancor
prima della ragione, la passione di apparire più di quel che sono: io cominciai col darmi arie da locomotiva .“
L’ INVENTARIO è stato scritto tra l’agosto del 1939 e l’agosto del 1941, in pieno dramma della guerra del secondo
conflitto mondiale e non è escluso che Calamandrei si fosse rifugiato nella sua casa in Versilia, a Marina di Poveromo “
per mitigare la sofferenza di quegli anni ” , casa che guarda come “un’ancora di salvezza ”:
“ Felice anche nella prigionia della città chi riesce a conservare per tutta la vita la chiave di questa casa di
campagna, per rifugiarvisi ogni tanto e ritrovarci
ritrovarci in fedele attesa le care immagini del suo segreto, non
intorbidate dal tempo !”
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Le formiche rosse infiammano il bambino che le trasforma in veri cannibali ed egli dimentica il suo mestiere di uomo :
FORMICHE ROSSE
“Ma forse anche la casa pensile sul piccolo pino, di cui il sor Beppe mi vietò l’accesso, era troppo grande per
me: io amavo allora farmi assai più piccino di quel che fossi , e dimenticare le mie dimensioni di uomo per
gramigna
migna è una foresta, e un fuscello che
ridurmi alla taglia di quelle creature per le quali un cespo di gra
scavalchi un rigagnolo un arditissimo ponte gettato sulle fiumane del Mississipì. Bocconi sul prato, colla
fantasia
ia
faccia affondata tra le zolle erbose che quasi gli stecchi mi entravano negli occhi, mi aggiravo colla fantas
tra i meandri tenebrosi della Borraccina, alla scoperta dei segreti della foresta vergine, dove le belve alate e
striscianti si aggirano ancora in libertà …
….. Terribili nel loro ardore bellicoso erano queste formiche: avevano nero e lucido l’elmo e iill corsaletto, ma
l’addome appuntito era di un rosso sangue; e quando venivano all’assalto, così in massa, a mandibole aperte,
rizzavano verticalmente l’addome , come se questa fosse la posizione di combattimento, il segno della furia e
dell’impeto guerriero.
guerriero. Per questo loro costume i contadini … le chiamavano rizzaculi; ma la mamma mi diceva
che era meglio chiamarle formiche rosse. … …
… … Quel correre all’impazzata in tutte le direzioni, urtandosi, sovrapp
sovrapponendosi
onendosi in cerca del nemico troppo
grande per esser visto, era certo una danza di guerra: in quell’agitarsi di lance e di scudi c’era certo un ritmo
comandato dall’affannoso tamtamburo, nascosto in qualche segreta galleria scavata nella midolla
tam-tam di un tamburo,
del tronco. Così senza bisogno di fare un viaggio nel centro dell’Africa, dove ormai queste scene le fanno i
finti selvaggi dinnanzi a una macchina da presa, io avevo lì, a un palmo dai miei occhi, un rito guerriero di veri
cannibali.”
cannibali.”
Alla visione dei cannibali una “terribile
terribile sfinge col collo da giraffa e un ghigno sinistro di rettile ” : la
MANTIS RELIGIOSA
“… Ma da un lato del graticcio una terribile sfinge vigilava sulla valle: dietro uno spalto costituito da una
grande susina claudia, la sua ombra verdastra si estolleva immobile sulla linea delle dune. Poggiato sulle
quattro zampe posteriori, che sparivano dietro il bastione, il corpo magrissimo si drizzava in linea verticale,
aereo come un obelisco, ma la piccola testa che stava imperniata in cima a quel collo di giraffa, aveva un
protendevano
ano in aria, secche come tibie di uno
sinistro ghigno di rettile. E da questo lungo busto striminzito si protendev
scheletro, due lunghe zampe falcate, congiunte e minacciose. Solo dopo molti anni appresi che, con questa
posa da vecchia zitella orante, la bestia era riuscita a farsi chiamare dagli ingenui naturalisti Mantis religiosa
religiosa :
in realtà, io che potei conoscerla da vicino, m’avvidi che non per religione ella passava le sue ore in quella
posa compunta, e che le sue zampe immobili, meglio che a braccia congiunte nella preghiera, potevano
paragonarsi alle grinfie impennate di un fiero drago rampante.
Diventai così testimonio abituale, troppo grande per turba
turbare gli attori, del dramma giornaliero che si svolgeva
in quella valle di delizie ……
…… Quante volte, da quel mio osservatorio distante dalla mosca come è lontano dagli uomini
uomini il cielo di Dio, ho
seguito con ansia la vicenda sempre uguale di quello spensierato viaggio verso la morte! Soffiavo per
scacciarla, ma quella, ostinata, tornava a posarsi nella zona pericolosa; le davo buoni consigli : “Torna
indietro, moschina, torna
torna indietro! Stammi a sentire, parlo per il tuo bene … “ Ma sì ! quando si è felici non si
ascoltano i consigli che scendono dal cielo.
A un tratto, senza il più piccolo moto preannunciatore, passando di colpo dalla immobilità impassibile al guizzo
fulmineo,
fulmineo, il mostro scattava
scattava. A coppia le falci cadevano come mannaie sulla vittima, la ghermivano, e sùbito,
rialzandosi la rapivano in aria, fino alle aperte mandibole di quel ghigno aguzzo : il quale si affondava
succhiando nella polpa, senza darsi pena del ronzìo
ronzìo lamentoso che facevano le ali sbattute nell’agonia. Dopo
un istante cadeva ai piedi del mostro la spoglia vuota: e il feticcio si era già ricomposto nella sua immobilità,
con quel suo sorriso ieratico, come se tutto fosse avvenuto per la maggior gloria
gloria di Dio. … …
…………
Questi erano, sul graticcio delle frutta secche, gli spassi della valle della cuccagna … … … .”
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E allora il letterato cosa dice di questo spettacolo ?
“ Esiste proprio una regola fissa per stabilire quali sono nel mondo gli eventi che veramente importano ? e
davvero credete che la storia delle guerre e dei patiboli meriti più considerazione di quella delle nuvole e delle
semente ? “
“ Passano i re e crol
crollano
lano gli imperi ; ma i fiori e i funghi e gli uccelli, come se nulla fosse cambiato, tornano
sempre al loro tempo. Questa mia storia … vi racconta che esistono leggi le quali non mutano col mutar dei
regimi.
regimi. ”
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Insisto nella qualifica di Calamandrei pittore dilettante che arriva a creare le
STRADE CHE CAMMINANO
“ Le strade maestre di queste campagne sono di due maniere: ci son quelle pigre di fondo valle, che amano
s’arrischiano,
camminare al sicuro accanto ai lenti fiumicelli, e solo s’
arrischiano, come unica ginnastica, a scavalcarli ogni
tanto con un ponte, per ricominciare collo stesso passo sulla riva di là ; e ci son quelle più fantastiche e
inquiete, che non si danno pace fino a che non si sono inerpicate sul colmo della collina, dov’è più vicino il
cielo di mezzodì, e lì si tengono in equilibrio sul filo dello spartiacque per avere il gusto di affacciarsi
contemporaneamente a due valla te opposte. Queste sono le strade che preferisco, perché ci si respira
meglio : e tale era quella
quella che portava a Faltignano.
Proprio nel punto dove s’usciva dal bosco c’era un cipresso altissimo e una fornace; indi la via filava a galla
sui campi ugualmente declinati in dolcissimo pendio dai due lati, tirata lì, diritta e piana, come per segnare
visibilmente
visibilmente la spina dorsale dei versanti.”
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FUNGHI
“ Nessuno si scandalizza nel sentire che una persona seria e posata continui a praticare, nonostante l’età e gli
uffici, la nobile arte domenicale della caccia, anzi par che la giacca da cacciatore
cacciatore conferisca a chi la indossa
un certo decoro eroico, forse in grazia di quel piglio un po’ brigantesco che ha sempre dato agli uomini, anche
se durante la settimana esercitano la professione di farmacista o di notaro, il fucile a tracolla. Ma a sentir
sentir dire
che uno ha la passione di cercare i funghi , e che perde la testa a girar per i boschi razzolando tra le foglie
cadute con un suo innocente bastoncino, par che questo comprometta la sua reputazione.
Non importa: io per mio conto confesso umilmente
umilmente che sotto la maschera dell’uomo maturo, sotto questa
compassata serietà che è la veste foggiata dagli studi e dall’esperienza, il ritorno della stagione risveglia ogni
tanto quella stessa frenesia puerile nella quale riconosco il segno più sincero delle
delle mia continuità individuale
attraverso i decenni.
………………… Non basta ! continua così :
Amo i funghi perché sono creature ambigue, a mezza strada fra l’animale e il vegetale, rappresentanti sulla
terra di quella stessa famiglia di ibridi misteriosi, incerti
incerti tra la flora e la fauna, alla quale appartengono, nelle
selvette subacquee ove i fili delle alghe non si distinguono dai tentacoli delle attinie, le meduse e le stelle di
mare. La parentela di certi ombrelli di prataioli colle meduse, e di quegli altri funghi ramificati che si chiamano
ditole con i coralli o colle spugne, si riconosce da lontano; la tribù, che al cominciar dei millenni era tutt’una, si
spartì poi i bassifondi del mondo; e i funghi scelsero i bassifondi dei boschi, immersi anche essi, come
come quelli
marini, in quelle ombre liquide tra il verde cupo e il viola che ristagnano allo stesso modo nei folti silvestri e
nelle grotte delle scogliere. ( Non per niente Dante chiama “fungo marino” la medusa ).
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Ma ogni fungo , anche nella stessa famiglia, ha i suoi gusti e la sua maniera: non soltanto nella statura e nel
colore, ma nel modo di presentarsi e di portare il cappello, di scegliersi nel terreno il punto più adatto per
vedere senza essere visto, intonandosi,
intonandosi, con appropriate armonie di tinte, al paesaggio di foglie e di musco che
serve da sfondo. ……
…… Anche i loro nomi rivelano questa loro tendenza un po’ snobistica all’esotismo ; gli ovoli voglion
somigliare alle uova, i porcini a maialetti grufolanti fra le ghiande dei querceti; le puppole si danno aria di
mammelle nascenti, le pennenciole di piccole piume di struzzo arricciate; le ditole o manine sembrano un
campionario di delicatissimo ditini cerei per neonati. ……
…… Ci sono poi quelli velenosi che
che sicuramente partecipano a pratiche di magia nera. Nei boschi di alta
montagna, specialmente in quel calvo suolo delle abetine dove l’uggia incenerisce fino all’ultimo filo d’erba,
accade spesso di scoprire nelle radure grandi adunate di quei sinistri ovolacci,
ovolacci, i più micidiali tra i funghi
malefici, riconoscibili per le macchie biancastre che punteggiano il vermiglio dei loro cappelli ….
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L’Inventario ha 201 pagine : come facciamo ? Gradirei non perdeste almeno Erbario e il nonno :
“Di questa pacata e consolante serenità, che ancora oggi i boschi mi ispirano, devo esser grato al mio
professore di storia naturale, che al ginnasio superiore mi insegnò a conoscere per nome le piante e gli insetti
del mondo. Per sua virtù quel caos luminoso
luminoso di foglie e d’ali turbinanti in libertà quale ancora m’appare la
campagna dei miei primi ricordi si placò e si chiarì in un sistema di nozioni ordinate. I lepidotteri si
separarono dagli imenotteri, le rosacee dalle graminacee; il più tenue filo di fieno,
fieno, la più minuta elitra
luccicante al sole si distaccarono ad uno ad uno dalla natura anonima e mi vennero incontro col loro doppio
nome latino ; quando ebbi saputo che la margheritina si chiamava bellis perennis, non potei più incontrarla sui
prati senza rivolgerle un saluto, come si usa, dopo la presentazione, fra persone di conoscenza.
……………
Ma se anche oggi, la
lasciando l’erbario in fondo all’armadio insieme colle vecchie lettere d’amore che non si
rileggeranno mai più, torno su quei colli fiesolani quando marzo vi torna, vi ritrovo quegli stessi vivi anemoni e
quell’irrequieto e mutevole cielo: e posso aggirarmi per questi campi come se fossi di casa, padrone di essi
più di coloro che ne figurano proprietari al catasto.
……………
Dunque, amico, non mi dar del matto se quando vado per i monti parlo ad alta voce ai fiori ed alle farfalle :
credi tu di esser meno matto quando parli con gli uomini nella speranza che ti rispondano ?”
Il nonno :
“ Quando il nonno alla fine della lezione, mi domandava se volevo andare “a spasso” con lui, sapevo già qual
era l’abito di pragmatica per questa passeggiata , e qual era l’itinerario : io dovevo mettermi la marinara blu
per far bella figura accanto al nonno,
nonno, e il nonno si metteva il soprabito nero per fare bella figura accanto a me.
Se il nonno usciva dal palazzo per andare al villino a far da giardiniere, si vestiva di fustagno e, armato di un
ombrello da sole di tela grigia, prendeva le scorciatoie più nascoste
nascoste ; ma quando si vestiva di nero voleva dire
che si disponeva a percorrere ufficialmente, in forma solenne, la via centrale del paese, che da Piazza Grande
scende tortuosa, alternata di ripiani e di sdruccioli, fino alla porta principale, da cui si sbuca
sbuca sul giardino
pubblico e sulla campagna.
Con quell’abito di parata il nonno riprendeva coscienza della sua antica autorità: egli aveva da più di vent’anni
terminato a Montepulciano la sua carriera di magistrato. Ed era rimasto in pensione nel paese a cui
cui si era
ormai affezionato ; ma la gente , specialmente i vecchi, continuavano ancora a chiamarlo “il signor pretore“.
Allora, quando i passanti lo salutavano così, egli i pareva più alto e più agile : col cappello duro, coi calzoni un
po’ attillati sugli
sugli stivali a elastico, come per ricordarsi che da giovane era stato un appassionato cavallerizzo,
col soprabito di foggia antiquata, prendeva, nonostante i suoi settantacinque anni, un passo quasi autoritario.
…… Scendevamo
Scendevamo a farci vedere dal paese, che era
era tutto lì per riverirci.
……………
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Una sosta bisognava farla alla farmacia del sor Betto, ch’era allora il centro di raccolta di tutti i benpensanti
cittadini. Questo numero del programma esercitava su di me una speciale attrazione : non tanto (come
credeva il nonno) per amor di quelle pasticche che luccicavano nei barattoli della vetrina, quanto per il fascino
ipnotico che si irraggiava dalla faccia, onesta ma non vetusta, del farmacista. Con quella crudele
indiscrezione con cui i ragazzi scrutano a bocca aperta la bruttezza e la malattia umana, io rimanevo incantato
ad ammirare la rarità sempre nuova di quel naso spugnoso e bucherellato come una radice medicinale, e, in
mezzo a paesaggi lunari di pelle vulcanica, quegli occhietti gonfi che parevano anch’essi
anch’essi due frignolini
prossimo a maturazione.”
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E non perdiamo le
FARFALLE :
“ Da decine di millenni le api stanno contente alla dura regola del loro convento; ma non meno perfetto le
farfalle trovano per sé quel loro regime di vagabonda anarchia che consente a ciascuna di esse di riprendere
ogni mattina , senza comitiva e senza passaporto,
passaporto, le rotte fantastiche di un cielo senza frontiere.
………………………
( Il vestito )
Le api e le formiche , e tutti gli altri insetti
insetti che vivono in chiuse comunità vestono le grigie uniformi dell’ordine,
come guerrieri o frati ; ma i liberi lepidotteri portano i colori del loro gusto mimetico, affinato nei cenali delle
loro amicizie vegetali : dalla piante che una farfalla frequenta
frequenta si può indovinare, anche prima di vederla, il
colore del suo vestito.
Dalle enormi corolle carnose dei fiori tropicali escono opulente farfalle vestite da sera, con mantelli di raso
verdazzurro e rosso geranio guarniti di lustrini, abbaglianti e stucchevoli
stucchevoli come il lusso dei nuovi ricchi. Ma le
farfalle del mio paese, educate alla scuola di questi misurati orizzonti, hanno imparato a preferire per i loro
vestiti le magre mezzetinte che hanno i fiori gracili ed asciutti delle nostre campagne, il ruggine delle
delle
violacciocche, il ceruleo grigio delle cicorie, il verdolino perlaceo delle vitalbe.
…………………………
( I sogni delle farfalle )
Così la vita delle farfalle consente larga vacanza a quella contemplazione trasognata del mondo che gli uomini
chiamano arte e poesia. Solo chi non le ha mai osservate mentre volano può credere che i loro soli stimoli
siano il cibo e l’amore ; in realtà basta vedere con quale sprezzante noncuranza esse passano talvolta, filando
sagge
via nel cielo, sui pingui prati dove si fermano le s
agge api senza fantasia, per accorgersi che nei loro sogni c’è
qualche richiamo che conta più del nettare dei fiori.
…………………………
( Gli sconfinati orizzonti )
Ci sono poi certe farfalle più solitarie che osano dare la scalata alle più alte cime dell’alpe : e son capaci di
compiere l’ascensione, dalla pianura alla vetta, in una tappa sola.
E’ perfettamente inutile che qui vengano fuori i naturalisti a dirmi che questo non è possibile, perché tutta la
vita delle farfalle , anche di quelle che hanno il volo più sostenuto, si svolge nel giro di poche miglia. Per conto
mio preferisco continuare a credere che vi siano certe farfalle, specialmente le sdegnose vanesse, capaci di
mentre
entre perseverano
queste ardimentose migrazioni ; e mi piace immaginarmele in questa in faticata ascesa, m
nel volo senza dar retta al richiamo delle praterie alpine nascoste tra gli abete, e senza lasciarsi distrarre dai
rododendri e dalle genziane che più in alto rimangono ultimi a screziare le rocce. Solo quando son giunte al di
sopra di ogni vegetazione, sulla crode squallide e sui ghiacciai, allora si sentono felici, perché più dei piccoli
fiori esse amano gli sconfinati orizzonti.
……………………………
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( Negli oceani i cimiteri )
Credo anche di potervi assicurare che le farfalle son capaci di passar
pa ssar gli oceani . Scendon dai monti,
traversano le pinete, arrivano sulle spiagge , che esse dall’alto vedono graffite dalle tracce delle lucertole e
degli scarabei, come sabbie di un grande deserto segnate dalle carovane ; e in fondo al deserto vedono quella
quella
sterminata striscia verde , tutta picchiettata come un campo fiorito di margherite, da scintille di sole. Assai
spesso, andando in barca sul mare calmo, ho incontrato a più miglia dalla costa, svolazzante a fior dell’onde
sotto il mezzodì, una di quelle
quelle lievi cavolaie che parrebbero le farfalle meno svagate e più casalinghe del
mondo. Deviate dal vento, oppure ingannate da quel placido mare, ch’esse hanno preso per una grande
prateria? Non direi. Non mi sono mai accorto che fossero stanche o smarrite
smarrite ; non le ho viste abbandonasi
sfinite nell’acqua, o posarsi sul bordo della barca, per avere n po’ di respiro, come fanno gli uccelli migratori
sugli alberi dei velieri. Suppongo che viaggino alla ventura, senza bisogno di bussola e di provviste, forse
vanno a esplorare dall’alto, nei bassifondi trasparenti, i prati sottomarini, per trasmettere messaggi alle attinie
cugine degli anemoni terrestri ; o forse questo loro spingersi e perdersi al largo è un modo pudico (nessuno ha
mai trovato nei boschi i cimiteri
cimiteri delle farfalle) per andare a morire, finita la loro stagione, dove nessuno le
vede. “
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Per lasciarvi, ho trovato le parole dal prof. Francesco Flora , nel numero straordinario de “ Il ponte “ del novembre
1958:
“ L’arte
L’arte verbale di Calamandrei tocca la perfezione : e l’ Inventario è infatti il suo libro più bello per una
elaborazione quotidiana del ricordo che purificò i suoi termini e li compose secondo quella logica dei segni
che egli sapeva trovare all’origine
all’origine della sua
sua stessa vitalità.
vitalità.
Non è un’oziosa memoria quella di un uomo così attivo e vigilante.
Per sentire la sua continuità attraverso il tempo, Calamandrei ricerca la sua infanzia ora che
che ha la maschera
dell’uomo maturo foggiata dagli studi e dall’esperienza.
dall’esperienza.
In quella memoria come alla fonte prima della sua umanità egli attinge l’innocenza d’arte che ci aiuta nella
dissipatrice giornata : la riserva della nostra sincerità espressiva e la capacità rinnovata di credere
consapevolmente nella difficile
difficile vita.”
Grazie prof. Flora !
“ Alla fonte prima della sua umanità egli
egli attinge l’innocenza d’arte che ci aiuta
aiuta nella dissipatrice giornata … ...
e a credere nella difficile vita. “
Nino Maestrello
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BIBLIOGRAFIA
1.
Calamandrei Piero Elogio dei giudici scritto da un avvocato
2.
Calamandrei Piero Inventario della casa di campagna
3.
Sofocle
Antigone
4.
Luti Giorgio
Piero Calamandrei fra letteratura, diritto e politica
5.
Flora Francesco
Calamandrei scrittore in Il Ponte no. straord. 10/58
6.
Galante Garrone Alessandro Calamandrei
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