Sessione 6 Polimeri e ambiente - CNR/ICTP Catania

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Sessione 6 Polimeri e ambiente - CNR/ICTP Catania
XVIII Convegno Italiano di Scienza e Tecnologia delle Macromolecole, Catania 16-20 settembre 2007
Sessione 6
Polimeri e ambiente
XVIII Convegno Italiano di Scienza e Tecnologia delle Macromolecole, Catania 16-20 settembre 2007
S6 O 1
I MATERIALI POLIMERICI BIODEGRADABILI E IL LORO USO
G. Floridi, C. Bastioli
Novamont S.p.A. - Via G. Fauser, 8 - 28100 Novara - Italy
Phone: 0039.0321.699602 - Fax: 0039.0321.696601
E-mail:[email protected]
Sono dieci anni che la domanda di polimeri
biodegradabili registra una crescita costante annuale
compresa tra il 20 e il 30%. La quota di mercato,
tuttavia, è ancora molto modesta e rappresenta meno
dello 0,1% del mercato totale delle plastiche.
Oggi le bioplastiche disponibili sul mercato a diversi
livelli di sviluppo sono in prevalenza materiali a base di
carboidrati. L’amido può essere fisicamente modificato e
utilizzato da solo oppure in combinazione con altri
polimeri, o può essere usato come substrato per
fermentazione per produrre poliidrossialcanoati o acido
lattico, trasformato via policondensazione in acido
polilattico (PLA). È inoltre possibile trasformare
carboidrati in intermedi chimici come l’ 1,3 propandiolo
o l’ acido succinico. Un altro interessante settore di
sviluppo è relativo agli intermedi derivati da acidi grassi
e glicerolo.
Ad oggi le principali applicazioni delle bioplastiche
riguardano settori come agricoltura, igiene, packaging,
stoviglie, imballaggi, gestione dei rifiuti, trasporti. Il
crescente interesse per le bioplastiche può aprire a
generazioni completamente nuove di materiali con
prestazioni diverse rispetto alla plastica tradizionale.
La caratteristica delle bioplastiche di riciclare la CO2
atmosferica e di biodegradare in diverse condizioni di
smaltimento quali gli impianti di trattamento delle acque
reflue, gli impianti di compostaggio e di incenerimento,
può inoltre offrire importanti vantaggi ambientali e
sociali.
Questo articolo analizza lo stato dell’arte e il potenziale
delle bioplastiche con particolare riferimento al MaterBi, una famiglia di materiali a base di amido, e al
modello Novamont di Bioraffineria integrata nel
territorio. Si tratta in effetti di una dimostrazione
semplice e tangibile del potenziale delle bioplastiche e
delle PMI nella sperimentazione di nuovi modelli
economici basati sulla qualificazione del territorio e
sull’integrazione e collaborazione con i vari soggetti
interessati.
Solo per fare un esempio, 1kg di prodotto Mater-Bi di
ultima generazione può utilizzare 0,5kg di mais e 1,4kg
semi di girasole. Considerando la produttività di queste
due colture e gli 800000 ettari di “set aside” disponibili
in Italia, si potrebbero produrre 2 milioni di tonnellate di
bioplastiche, quasi l’intero volume di plastica flessibile a
vita breve utilizzata nel nostro Paese. Il modello è
compatibile con le colture alimentari, può offrire un
buon ritorno economico agli agricoltori senza ricorrere ai
sussidi, permettere la specializzazione di colture e
incrementare altresì l’attività di ricerca sulla conversione
di rifiuti in intermedi chimici ed energia. Questo
modello può essere agevolmente esteso a qualunque area
in diversi paesi in linea con la disponibilità di colture.
Partendo dalle bioplastiche è inoltre possibile adottare
procedure agricole di minore impatto in un approccio
che interessa l’intero ciclo di vita del prodotto.
Nella logica di un’integrazione verticale, Novamont e
Campo, una cooperitiva di Coldiretti, hanno creato la
Società SINCRO per produrre, a partire dal girasole,
prodotti chimici con tecnologia proprietaria Novamont,
utilizzati come intermedi per il Mater-Bi, realizzando la
prima “Bioraffineria integrata nel territorio” per le
bioplastiche. Lo scopo è di superare la logica di
prodotto in favore di una logica di sistema a favore della
competitività del territorio e del livello di sicurezza e
qualità con potenziali ripercussioni positive in termini di
agricoltura nazionale, ambiente e competitività
industriale.
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XVIII Convegno Italiano di Scienza e Tecnologia delle Macromolecole, Catania 16-20 settembre 2007
S6 O 2
MECHANICAL PROPRTIES EVALUATION OF COMMERCIAL PVC CONTAINING
LOW ENVIRONMENTAL IMPACT PLASTICIZERS
1
P. Persico1,2, M. Silvestre1, F. Vito1, C. Carfagna1,2, D. Acierno1
Università degli Sudi di Napoli “Federico II”, Dip. Ingegneria dei Materiali e della Produzione, P.le Tecchio, 80,
80125 Napoli, Italy; e-mail: [email protected]
2
Istituto di Chimica e Tecnologia dei Polimeri (ICTP)-CNR, via Campi Flegrei, 34, 80078 Pozzuoli (Na), Italy
Introduzione
Il Polivinilcloruro (PVC) è uno dei polimeri
termoplastici commerciali più versatili e perciò utilizzato
in applicazioni di vario genere: dopo il polietilene, è il
secondo materiale plastico più diffuso per la produzione
di beni di consumo; lo stesso polimero consente di
ottenere prodotti molto diversi come tubi rigidi o
flessibili, film sottili trasparenti per il packaging,
giocattoli, pannelli interni di auto, etc [1]
I plastisol si definiscono in modo generale come miscele
di polvere di PVC e plastificante. In base alla morfologia
delle polveri di PVC si possono ottenere miscele a
comportamento diverso. I plastisol fluidi sono una
dispersione fluida di particelle sottili di polimero in un
liquido organico composto principalmente da
plastificanti. A questa dispersione possono essere
aggiunti una vasta gamma di additivi in base alle
specifiche richieste. Alcuni di questi additivi sono
indispensabili (stabilizzanti), altri possono essere
aggiunti per conferire particolari proprietà al prodotto
finale (pigmenti e fillers) mentre altri ancora sono
utilizzati per migliorare le condizioni di processo
(modificatori di viscosità).
La selezione di un plastificante ottimale dipende tanto
dalle tecniche di processo utilizzate quanto dalle
caratteristiche richieste al prodotto finito. Il tipo di
plastificante e la sua concentrazione sono quindi le
variabili fondamentali della formulazione che
maggiormente alterano la processabilità e le proprietà
finali del prodotto.
Plastificanti tipici per il PVC sono quelli appartenenti
alla famiglia degli ftalati, degli adipati e dei citrati.
Plastificanti secondari includono paraffine clorurate e oli
di semi di soia epossidato. In genere si fissano dei limiti
alla quantità relativa di plastificante che può essere
utilizzato; la proporzione dipenderà sia dal tipo di PVC
che dagli altri componenti, in caso di eccesso il
plastificante essuderà dal prodotto finito.
A dispetto delle buone proprietà dei materiali a base di
PVC contenenti plastificanti ftalici (DOP), l’uso di
questi composti è stato messo in discussione a livello
mondiale per la loro alta capacità di migrare fuori dal
prodotto e per la loro potenziale tossicità verso l’uomo e
l’ambiente. E’ stato pertanto necessario individuare
sostanze plastificanti alternative, in particolare citrati e
adipati.
Oggetto di questo lavoro sono stati i plastisol fluidi a
base di PVC utilizzati per la produzione di modelli
anatomici per la didattica.
L’ obiettivo era quello di modificare le formulazioni
sostituendo ai plastificanti di natura ftalica, composti
meno tossici quali adipati e citrati in quantità tali da
garantire il medesimo effetto plastificante.
L’efficienza del plastificante è una misura della
concentrazione di quest’ultimo necessaria per impartire
una specifica “morbidezza” al PVC.
L’acetil tributil citrato (ATBC) contiene gruppi
carbossilici che lo rendono più polare e quindi più affine
alla resina vinilica (Fig.1), inoltre possiede una
configurazione ripiegata che ne consente una più facile
penetrazione tra le catene di polimero [2].
Fig.1: Struttura chimica dell’acetil tributil citrato
(ATBC)
Il dioctil-adipato (DOA) è invece meno polare e ha
forma allungata (Fig.2).
Fig.2: Struttura chimica del dioctil adipato (DOA)
Le polveri di PVC utilizzate sono:
- PS201, di provenienza asiatica, con particelle di ~30µ
di diametro e distribuzione di peso molecolare 12101500
- P440, di provenienza asiatica, con particelle di ~1µ di
diametro e distribuzione di peso molecolare 650-2100
- PVC 367NF, di provenienza europea, con particelle di
~3µ di diametro e bassa distribuzione di peso
molecolare.
- PVC 372NF, di provenienza europea, con particelle di
~3µ di diametro ed elevata distribuzione di peso
molecolare.
Nei plastisol preparati il rapporto in peso tra le polveri
P440/PS201è 2:1, lo stesso anche per 367NF/372NF; le
formulazioni contengono il 37%, 39% e 42% di
plastificante.
Risultati
I plastisol sono stati lavorati con processo di
rotomolding: il rotational moulding è un processo di
stampaggio unico in quanto il riscaldamento, la
formatura e il raffreddamento avvengono all’interno
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dello stesso stampo senza alcuna applicazione di
pressione. Lo stampo ruota in un forno riscaldato
simultaneamente intorno a due assi perpendicolari tra di
loro. Il materiale ricade continuamente sulle pareti
creando uno strato continuo che si distribuisce su tutte le
superfici. Al termine del ciclo di riscaldamento lo
stampo, sempre in rotazione, viene raffreddato di solito
per mezzo di un flusso d’aria; una volta raffreddato il
pezzo finito può essere rimosso dallo stampo [3].
Analisi dinamico meccanica (DMA)
I prodotti finiti sono stati testati alla DMA per valutare
l’abbassamento della temperatura di transizione vetrosa e
il valore di modulo elastico al variare del tipo e
contenuto di plastificante.
La temperatura di transizione vetrosa è stata misurata
sollecitando il campione a flessione con una frequenza di
oscillazione di 1Hz e ampiezza pari a 0.05mm, in
scansione di temperatura da -50°C a 50°C . È stata
analizzata la risposta del campione in termini di tanδ e la
Tg è stata presa in corrispondenza del massimo della
curva. Il modulo elastico del materiale plastificato è stato
valutato attraverso prove isoterme a 30°C.
Durezza Shore A
La durezza Shore è legata alla sensazione di morbidezza
che il materiale offre al tatto. Tale misura è un’analisi
della deformazione elastica che subisce un corpo quando
su di esso è applicato un carico, mediante un penetratore
a punta troncoconica.
Nelle tabelle I e II sono riassunti i valori di modulo
elastico, temperatura di transizione vetrosa e durezza per
campioni a base di PVC asiatici ed europei contenenti i
diversi plastificanti al 37%.
Tabella I: Risultati ottenuti alla DMA e durometro per i
campioni a base di PVC asiatici contenenti i diversi
plastificanti al 37%.
DOP37 DOA37
ATBC37
3.5
5.9
6.5
Modulo (MPa)
Tg
Durezza ShoreA
-6.5
62.8
-7.5
69
6.5
70
Tabella II: Risultati ottenuti alla DMA e durometro per i
campioni a base di PVC europei contenenti i diversi
plastificanti al 37%.
DOP37
DOA37
ATBC37
5.7
4.9
5.5
Modulo (MPa)
10
-8
9
Tg
68
68.3
68.5
Durezza ShoreA
Nella tabella III sono riassunti i valori di modulo
elastico, temperatura di transizione vetrosa e durezza per
campioni a base di PVC asiatici ed europei contenenti i
plastificanti ATBC e DOA in quantità crescente.
S6 O 2
Tabella III: Confronto tra i risultati ottenuti alla DMA e
durometro per i campioni a base di PVC asiatici ed
europei contenenti ATBC e DOA in percentuale
crescente
ATBC
37%
39%
42%
DOA
37%
39%
42%
Tg
asiat
6.5
-1
0
europ
9
2.3
0
Tg
asiati
-7.5
-12.5
-21.4
europ
-8
-18.5
-29
Modulo
(MPa)
esiat europ
6.5
5.5
4.2
4.1
4.3
4
Modulo
(MPa)
asiat europ
5.9
4.9
4.4
3.8
4.1
3.4
Durezza Shore
A
asiati
europ
70
68.5
63.8
63.7
64.8
63.3
Durezza Shore
A
asiat
europ
69
68.3
64.3
63
63.5
61.5
Conclusioni
Dai dati ottenuti si rileva una diversa influenza dei
plastificanti sulle due resine.
L’interazione polimero-plastificante dipende infatti sia
dal tipo di molecola inserita, dal suo peso molecolare, o
dalla sua geometria , ma anche dal peso molecolare,
dalla tatticità e dal livello di impurezze della resina.
Si nota che l’incremento di DOA riduce
significativamente la rigidità del sistema, con le resine
europee la riduzione è di maggiore entità rispetto a
quelle asiatiche. Con l’ATBC i valori di temperatura di
transizione vetrosa non scendono al di sotto di 0°C per
entrambi i sistemi e l’aumento di plastificante oltre il
39% non conferisce al prodotto una “morbidezza”
ulteriore.
Si può comunque affermare che per conservare le
proprietà del prodotto di riferimento (PVC asiatico con
DOP al 37%), utilizzando i plastificanti a minor impatto
ambientale, è necessario aumentarne il contenuto a valori
di 39% e 42% in peso rispetto al 37% normalmente
impiegato in presenza di ftalati.
Ringraziamenti
Si ringrazia ALTAY SCIENTIFIC per il supporto
economico all’attività di ricerca, il CETMA di Brindisi
per la realizzazione dei campioni al roto-molding,
Veronelli e Solvin per la fornitura dei materiali.
Riferimenti
[1] EVCI ITALIA, “PVC produzione e mercati,
sicurezza ed impatto ambientale”. EVC (European
Vinyls Corporation), (1995).
[2] William S. Gibbson and Robert P. Kusy, “Influence
of plasticizer configurational changes on the meccanical
properties of higly plasticized poly(vinyl chloride)”,
Polymer 39, 26, 6755-6765, (1998).
[3] R. J. Crawford, “Introduction to Rotational
Moulding”, “Rotational moulding and sintering”, (1989).
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S6 O 3
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SINTESI E CARATTERIZZAZIONE DI BIORESINE A BASE DI OLIO DI SOIA E DI
SACCAROSIO COME MATRICI DI MATERIALI COMPOSITI
1
R. Savarese1, P. Russo1, D. Acierno1
Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Dipartimento di Ingegneria dei Materiali e della Produzione,
Piazzale Tecchio 80, 80125, Napoli, Italy;e-mail: [email protected]
Introduzione
La
necessità
di
fronteggiare
il
problema
dell’inquinamento ambientale prodotto dalla diffusione
delle materie plastiche ha promosso lo sviluppo di una
nuova generazione di materiali e prodotti biocompatibili
ed innovativi: le “Plastiche Verdi” e i “Bio-Compositi”.
Derivando da precursori naturali (cellulosa, amido, oli
essenziali e proteine), tali materiali sono riciclabili,
ecosostenibili e spesso biodegradabili da parte di agenti
ambientali attraverso processi di mineralizzazione,
fotodegradazione, ossidazione, e per azione enzimatica
di particolari microrganismi. Le proprietà e le prestazioni
finali di questi nuovi materiali sono paragonabili a quelle
dei polimeri di origine petrolchimica e giustificano il
loro impiego come matrici in compositi definiti “Verdi”
spesso rinforzati con fibre naturali (canapa, lino, iuta,
foglie di ananas e di agave) per applicazioni strutturali
nel settore edilizio e dei trasporti. In quest’ambito
particolare importanza rivestono le bioresine derivate dai
costituenti della pianta e del frutto della soia: mediante
un’opportuna
funzionalizzazione
(epossidazione,
acrilazione, maleinizzazione, glicerolisi, amidazione) dei
siti reattivi dei trigliceridi dell’olio di soia (figura.1), è
possibile promuovere reazioni di polimerizzazione
radicalica, o a stadi o per apertura di anello che
producono un materiale termoindurente[1].
igura 1 Struttura di un trigliceride
F
Un’ampia gamma di resine epossidiche può altresì essere
prodotta a partire da saccarosio (figura.2) mediante
funzionalizzazione dei gruppi ossidrilici [2].
Figura 2 Struttura del saccarosio
Il grado di sostituzione, la natura dell’epossido ed il tipo
di agente reticolante utilizzato per curare la resina
influenzano
sensibilmente
le
proprietà
del
termoindurente finale.
I costi relativamente contenuti delle materie prime, la
loro disponibilità anche come scarti di lavorazioni
agricole ed industriali, e la possibilità di modulare le
proprietà finali dei materiali giustificano il crescente
interesse scientifico e tecnologico riposto nelle resine da
soia e da saccarosio, peraltro già largamente impiegate
come matrici nella produzione di una grande varietà di
compositi verdi in settori-chiave quali quello
automobilistico, aeronautico e dell’edilizia.
Risultati
Bioresine dai trigliceridi: Caratterizzazione della
resina AESO al variare del contenuto di agente
reticolante: La bioresina AESO (Acrylated Epoxidized
Soybean Oil, figura 3)[1] è prodotta dalla UCB Chemicals
Co per acrilazione dell’olio di soia epossidato (ESO) e
commercialmente diffusa come Ebecryl 860, con un
grado di acrilazione di 3.4 gruppi acrilici per molecola di
trigliceride.
Figura 3 Struttura di un trigliceride epossilato ed
acrilato
Possedendo un gruppo funzionale simile a quello delle
resine vinil estere e poliestere, essa è stata
copolimerizzata per via radicalica con stirene in diverse
percentuali in peso (30, 50, 70% in peso) in presenza di
idroperossido di cumile come agente iniziatore radicalico
(3% in peso) e di cobalto naftenato (0,8% in peso) come
attivatore. La formulazione è stata curata a 25°C per
circa 12 ore e postcurata a 150°C per 3h sotto vuoto
direttamente in stampi in silicone di dimensioni
opportune.
Analisi dinamico-meccanica (DMA) I campioni dei
prodotti ottenuti come sopra descritto sono stati
preliminarmente caratterizzati in termini temperatura di
transizione vetrosa, Tg, e modulo elastico conservativo,
E’, applicando una sollecitazione dinamica in flessione a
tre punti nelle seguenti condizioni: 25 ÷ 150°C, 5°C/min,
ω = 1Hz e ampiezza 2%.
I risultati ottenuti, al variare del contenuto di stirene,
sono riportati in tabella I
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Tabella I E’ e Tg al variare del contenuto di stirene
Stirene
(% in peso)
30
50
70
E’(25°C) (GPa)
Tg (°C)
2.3
3.2
3.8
75
75
82
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Si osserva che i valori di E’ e Tg aumentano con la
percentuale di stirene. Tuttavia, considerato che le
caratteristiche di cui sopra non risultano eccessivamente
alterate dal contenuto di stirene, sostanza notoriamente
non eco-compatibile, la fabbricazione di biocompositi
potrebbe essere limitata al contenuto minimo dello
stesso. Pertanto ulteriore attenzione è stata dedicata a
tale formulazione valutandone anche le proprietà
meccaniche a trazione in accordo con la normativa
ASTM D638 (vedi tabella II) e confrontandole con
quelle relative ad una resina poliestere tradizionale.
Tabella II Proprietà di Aeso e di un poliestere
tradizionale
Modulo elastico
(GPa)
Resistenza a
trazione (MPa)
USP
Aeso30%wt
60
30
3.2
1.8
Bioresine dal saccarosio: Sintesi delle resine EAS,
ECS ed EMS: Dal saccarosio, C6H12O6, è possibile
sintetizzare tre tipi di resine epossidiche note come
epossi-allil-saccarosio (EAS), epossi-crotil-saccarosio
(ECS)
ed
epossi-metallil-saccarosio
(EMS),
trasformando i gruppi ossidrilici in allili epossidati[2]
attraverso una procedura in due stadi. Dapprima lo
zucchero grezzo è stato sciolto in una soluzione acquosa
di idrossido di sodio al 67% in peso e fatto reagire, sotto
agitazione per circa 68 ore, con cloruro di allile, o crotile
o metallile a seconda del tipo di resina ricercata, in
ambiente inerte alla pressione di 4 atmosfere, ed alla
temperatura di 85°C. Queste condizioni promuovono una
reazione di eterificazione dei gruppi ossidrilici del
saccarosio che quindi sono stati convertiti nei
corrispondenti eteri insaturi: octa-O-allilsucrose (AS),
octa-O-crotilsucrose (CS) octa-O-metallilsucrose (MS)
con una resa del 90% circa. Per mantenere invariate le
condizioni operative questa reazione è stata condotta in
un reattore Parr Pressure Vessel. I prodotti intermedi
sono stati estratti dalla miscela di reazione con etil
acetato, e caratterizzati mediante spettroscopia 1H-NMR
1D, 2D e 13C-NMR, accertando di aver funzionalizzato
le otto posizioni disponibili sulla molecola di saccarosio.
Nel secondo stadio l’etere è stato epossidato con acido
peracetico a bassa temperatura (10°C) e in atmosfera
inerte con una resa del 90% circa. Da un’ analisi
quantitativa al 1H-NMR si è appurato che la reazione di
epossidazione non è estensiva e conduce ad un prodotto
eterogeneo di cui è stato possibile determinare il grado di
sostituzione, DS, riportato in tabella III insieme ad altre
caratteristiche chimico-fisiche. Dall’NMR e da
osservazioni della reattività delle bioresine sottoposte a
svariate condizioni di reazione, è risultato che l’EAS
possiede anelli epossidici terminali poco reattivi a
temperatura ambiente e doppi legami terminali, l’ECS
possiede anelli epossidici interni inattivi a temperatura
S6 O 3
ambiente e doppi legami interni mentre l’EMS possiede
anelli epossidici terminali estremamente reattivi a
temperatura ambiente e doppi legami terminali.
Alla luce delle precedenti considerazioni, particolare
interesse è stato dedicato a quest’ultima tipologia di
resine studiandone la reticolazione con ammine
polifunzionali sia alifatiche (dietilentriammina, DETA)
che aromatiche (dietilen-toluendiammina, DETDA).
Dopo una scansione dinamica al DSC per stabilire la
temperatura massima di cura, la resina EMS è stata
mescolata a quantità stechiometriche di agente
reticolante ed è stata curata per circa 12 ore in stufa.
Analisi dinamico-meccanica (DMA) Dall’analisi
dinamico-meccanica effettuata nelle stesse condizioni
del sistema precedente sono stati valutati E’ e Tg, (tabella
IV), confrontando i risultati con quelli di una resina
epossidica tradizionale, il diglicil-etere bisfenolo A,
DGEBA, reticolata anch’essa con DETA in quantità
stechiometriche.
Tabella III Proprietà chimico-fisiche delle bioresine da
saccarosio
resina
DS
Mw (mol/g)
ρ (g/ml)
3-4
714
1.19
EAS
7-8
892
1.16
ECS
5-6
783
1.18
EMS
Tabella IV E’ e Tg al variare dell’agente reticolante
E’ (GPa)
ammina resina
Tg (°C)
EMS
35
1.8
DETA
EMS
85
2.02
DETDA
120
1.4
DETA DGEBA
La resina EMS, sia in formulazione con DETA che con
DETDA può essere utilizzata per la produzione di
materiali compositi e nelle applicazioni dove è richiesta
una bassa temperatura di cura. Per renderla più versatile
essa è stata mescolata alla commerciale, DGEBA, nel
rapporto in peso 1: 0.1, e curata con ammine alifatiche
ed aromatiche. Le proprietà finali di queste nuove
formulazioni sono ancora in fase di studio.
Conclusioni
Nuove resine possono essere sintetizzate partendo da
precursori naturali come l’olio di soia e lo zucchero,
attraverso modifiche funzionali dei siti reattivi originari.
Opportunamente curate esse producono dei materiali
ecosostenibili con proprietà e prestazioni paragonabili a
quelle dei termoindurenti di origine petrolchimica. È
dunque fondamentale ottimizzarne le proprietà per
migliorarle ed ampliarne i campi applicativi.
Riferimenti
[1] LaScala JJ, Wool RP., Polymer, 46, 61-69, (2005).
[2] Sachinvala, N.D., Winsor, D.L., Leslie, Polymer
Preprints 43(2), 997 (2002)
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EFFECT OF NATURAL ANTIOXIDANTS ON POLYPROPYLENE FILMS
OXIDATION
Istituto di Chimica e Tecnologia dei Polimeri (ICTP)-CNR, Via Campi Flegrei, 34, 80078, Pozzuoli, Napoli, Italy;
e-mail: [email protected]
2
Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Dipartimento di Ingegneria dei Materiali e della Produzione,
P.le Tecchio, 80, 80125, Napoli, Italy
3
Polymer Institute, Slovak Academy of Sciences, Dubravska Cesta, 9 84236 Bratislava, Slovakia
Introduction
The processing wastes of several crop contain chemicals
and raw materials, which have not been exploited so far.
Antioxidant-rich extracts were obtained from tomato,
grape seed, chestnut, hazelnut [1,2]. Chemical
components of these extracts belong to lycopene and
polyphenolic compounds, the latter being extensively
used as synthetic stabilizers for plastic materials.
However, so far antioxidant activity of natural extracts
was assessed solely based on free-radical scavenging
activity tests, and no literature reports exist dealing with
the evaluation of antioxidant activity of natural extracts
dispersed in a polymer matrix.
In this paper wastes containing polyphenols deriving
from processing of grapes to produce wine, and
carotenoids from tomato processing, were tested as
potential antioxidants for polypropylene (PP), to
partially substitute synthetic oil-based stabilizers.
Several experimental techniques were used in order to
investigate on the stability provided by the different
additives, either by testing unaged films, or by subjecting
them to oven aging.
Results
Unstabilized isotactic PP polymerized by spheripol
process was supplied in the form of a reactor powder by
Basell, Italy. Phenolic antioxidant Irganox 1010TM was
provided by Ciba Specialty Chemicals. Carotenoid
fraction from tomato skins and seeds was extracted by
solid-liquid extraction using diethyl ether at room
temperature. Grape seeds from white and red grapes
were crushed and powdered and the so obtained powder
was directly blended with the polymer.
Blending was carried out by melt mixing at 180 °C and
32 rpm for 10 min. The concentration of additives was as
follows: 0.2% w/w in the case of the phenolic
antioxidant and the tomato skin extract, 2% w/w for the
powdered grape seeds.
Compression-moulded films (average thickness 100 µm)
were obtained by hot pressing the blended polymer at
200 °C with a pressure of 50 MPa.
Five samples were prepared: neat PP (PP0), PP doped
with 200 ppm Irganox 1010 (PP1), PP doped with red
grape seeds (PP2), PP doped with white grape seeds
(PP3), PP doped with tomato extract (PP4).
The antioxidant effect of the additives on unaged PP was
assessed by Differential Scanning Calorimetry (DSC)
and Chemiluminescence (CL).
Samples aged at 70 °C up to 1200 hours in a forced air
oven were subjected to ATR-FTIR analysis.
Oxidative Induction Time (OIT) values of unaged films
were measured by DSC at different temperatures both
below and above PP melting temperature (approximately
165 °C). From Figure 1, it is evident that the three
natural additives tested are able to stabilize PP against
oxidation. In particular, the red grape seeds show the
higher stabilization efficiency, especially at lower
temperatures.
5000
PP0
PP2
PP3
PP4
4000
OIT (s)
1
P.Cerruti1, C. Carfagna1,2, M. Malinconico1, C. Cocca1, J. Rychly3, L. Matisova-Rychla3
3000
2000
1000
180
170
160
150
140
T emperature (°C)
Figure 1: OIT of polypropylene doped with different natural
antioxidants as measured by DSC in air at different temperatures
On the other side, the degradation of the additives above
PP melting point is very fast, and at 180 °C no
differences can be observed between stabilized and
unstabilized samples. It is noteworthy to observe that the
OIT experiments in the case of PP stabilized with
Irganox 1010 were performed only at 180 °C, and a
value of about 15000 second was obtained. This imply
that the synthetic antioxidant imparts far better
stabilization to PP. However, it has to be pointed out that
the exact amount of stabilizing compounds, either
phenolic or lycopenes, in the natural additives was not
quantified, and on the basis of literature reports it was
supposed that rough grape seeds contain approximately
10% w/w of polyphenolic substances. However, the
effective content of active antioxidants may vary in the
biomass. Furthermore, due to high temperatures, part of
the stabilizer could possibly be lost during the processing
step conducted at high temperatures. This can be
particularly true when natural additives are used, as in
nature they are synthesized to withstand to ambient
temperatures.
In Figure 2 is reported the CL emission at the oxidation
of the unaged samples in oxygen at 150 °C. It’s known
that in the case of polyolefins the antioxidant efficiency
- 387 -
S6 O 4
XVIII Convegno Italiano di Scienza e Tecnologia delle Macromolecole, Catania 16-20 settembre 2007
is related to the time needed to CL signal to increase.
Besides, the CL intensity is a function of the rate of
oxidation.
-1
-1
CL Intensity (Counts s mg )
600000
PP0
PP2
PP3
PP4
500000
400000
300000
200000
100000
induction time, but thereafter it increases at a very fast
rate. This trend of the kinetic evolution of carbonyl
groups reveals the typical outlines of a thermooxidative
reaction, i.e. an induction period followed by an
autoacceleration phenomenon [3]. On the other hand, the
C=O index remains constant during the aging process for
PP1. After 1160 h the induction period is still in
progress, as the stabilizer is not completely consumed
and it is able to hinder polypropylene oxidation. The
curves related to the natural antioxidants are in between
those for PP0 and PP1, and marked differences arise
only at 1176 h, where lycopene extract loses its
stabilizing efficiency, whilst grape seeds are still able to
slow down PP oxidation.
18
0
0
2000
4000
6000
8000
PP0
16
10000 12000 14000 16000 18000
Time (s)
PP1
14
PP3
12
Ac=o
Figure 2: CL emission at the oxidation at 150 °C of doped PP samples
under oxygen flow
CL isothermal experiments confirm the results obtained
by DSC, however on a different quantitative basis. In
fact, although PP2 sample shows a marked stabilization
with respect to the other samples, the time to observe an
increase in the CL trace (about 4000 s) is longer than
that observed by DSC. However, it should be pointed out
that in measuring OITs by DSC, the zero time is
supposed to be fixed at the time when purging gases is
switched from nitrogen to air, so that the first isothermal
equilibration segment is not taken into account.
Higher sensitivity of CL with respect to DSC is
witnessed by examining the behavior of the sample PP3,
which at 150 °C is markedly more stable than PP4 and
PP0. The behavior of isothermal CL traces also suggests
that the different chemical nature of tomato and grapes
constituents (carotenoids in the former case, polyphenols
in the latter), greatly affects their temperature sensitivity.
In fact, sudden increase and high intensity (comparable
to that of PP0) of the PP4 CL signal implies that the
stabilizer is quickly degraded at 150 °C, whereas
polyphenols present in the grape seeds are more
thermally resistant and also reduce the rate of PP
oxidation.
In order to correlate the results of predictive experiments
carried out on unaged samples with the results obtained
in the case of polymer subjected to accelerated aging,
FTIR-ATR spectroscopy was carried out on film
samples aged at 70 °C. The carbonyl build-up as a
function of the time of aging is reported for all the
prepared samples in Figure 3. Weathering is expected to
cause an increase of carbonyl species, as carbonyl
compounds are the stable secondary products during
thermal- and photo-oxidation of polymers. Several
carbonyl compounds are produced during oxidative
degradation of polypropylene, namely ketones, esters,
lactones, carboxylic acids. As can be observed from the
figure, in the case of neat PP, the C=O index remains
almost constant up to 165 h, which represents the
PP2
PP4
10
8
6
4
2
0
0
200
400
600
Time (h)
800
1000
1200
Figure 3: Evolution of the carbonyl groups in the infrared
spectra of PP stabilized with several antioxidants
Conclusions
A preliminary study on the efficiency as antioxidants for
polypropylene films of several natural products deriving
from wastes of tomato and wine industry processing is
reported.
Several analytical techniques were employed in order to
evaluate the stabilization due to the presence of
additives. DSC and chemiluminescence experiments
performed on unaged materials confirmed that the
additives provide polypropylene with stabilization
against thermal-oxidative degradation. The order of
efficiency is as follows: red grape seeds > white grape
seeds > tomato extracts. The same trend was obtained by
means of infrared spectroscopy experiments carried out
on polymer artificially aged at 70 °C.
References
1. G.R. Takeoka, L. Dao, S. Flessa, D.M. Gillespie, W.T.
Jewell, B. Huebner, D. Bertow, S.E. Ebeler J Agric Food
Chem 49,3713 (2001)
2. N. Gokturk Baydar, G. Ozkan, O. Sagdic Food
Control 15, 335 (2004)
3. N. Olivares, P. Tiemblo, J.M. Elvira Polym Degrad
Stabil 65, 297 (1999)
- 388 -
XVIII Convegno Italiano di Scienza e Tecnologia delle Macromolecole, Catania 16-20 settembre 2007
S6 P26/18
THERMAL HYDRODEHALOGENATION OF 2,4-DIBROMOPHENOL BY
POLYMERIC MATERIALS
M.P. Luda1 , A.I. Balabanovich2
Università di Torino, Dipartimento di Chimica IFM, Via P. Giuria 7, 10125 Torino, Italy; e-mail
[email protected]
2
Institute for Phys. Chem. Problems of Belorussian State University, Leningradskaya 14, 220050 Minsk, Belarus.
1
Introduction
Aromatic organobromine compounds, commonly used as
flame retardants for polymer are responsible for
emission of brominated phenols during pyrolytic
recycling of printed circuit boards. Dehalogenation of
brominated phenols is therefore an area of continuing
scientific interest. Hydrodehalogenation with hydrogendonating media such as tetralin, petroleum solvent,
eicosane, dihydroantracene and polypropylene (PP) [1,2]
is a promising option for the destruction of halogencontaining aromatics, transforming them to nonhalogenated aromatics and hydrogen halide. In searching
for low cost, new hydrogen-donating media we
investigated other polymer besides PP such as
polyethylenes, polybutadiene, polystyrene, polyamides
and polyacrylonitrile to hydrodebrominate a model
compound, 2,4-dibromophenol.
Results
Pyrolysis were carried under nitrogen in ampoules at
isothermal temperatures (290 - 370 °C for 20 min) to
exclude volatilization of DBP. After pyrolysis, weight of
residue, pyrolysis oil and gases were determined and
reported in Table 1. Residue was characterized by FTIR, gases and pyrolysis oil by GC/MS. Nearly
stoichiometric ratios polymer-structural-unit/DBP were
used.
Pyrolysis of DBP
Pyrolysis of DBP at 310 – 370 °C yielded gaseous
product (HBr) and oil fraction. In addition, at 370 °C, the
formation of a dichloromethane-nonsoluble product was
notice. The yield of HBr increased with increasing
temperature. The oil fraction consisted of undecomposed
DBP, bromine-containing phenols and phenoxyphenols;
formation of brominated dibenzo-p-dioxins (PBDD) was
observed at 350 °C and 370 °C.
Pyrolysis of polymers
PBD, HDPE and LDPE were thermally stable in the
investigated temperature region. PAN yielded 5 %
gaseous products at 310 °C. PS was dichloromethanesoluble after heating at 350 °C. Pyrolysis of PA-6
liberated oil fraction, whereas pyrolysis of PA-6,6 did
gases and a small oil fraction.
Pyrolysis of DBP with PAN, PA-6, PA-6,6
Pyrolysis of DBP with PAN, PA-6, PA-6,6 resulted in
the formation of oil, gaseous, water-soluble solid
products, and solid residue. All the polymers increased
gasification of DBP due to production of HBr.
Polyamides yielded CO2 and various hydrocarbons.
The yield of HBr and of the water-soluble fraction from
DBP+PAN levelled-off at 330 °C. Both polyamides
produced ammonia and an higher yield of gaseous and
water-soluble products than PAN.
Pyrolysis oil from mixtures of DBP with PAN, PA-6,6
or PA-6 consisted of phenol and bromine-containind
phenols. No PBDDs formation was noticed. At 370 °C,
however, the amount of bromine-containing phenol left
is in the order: PA-6< PA-6,6< PAN.
DBP changed pyrolysis pathways of the polymers
degradation, due to intensive charring processes. In
addition neat PA-6 yields caprolactam, whereas its
mixture with DBP does not.
Pyrolysis of DBP with PS, PBD, LDPE and HDPE
Gasification of DBP with PS leveled-off at 350 °C. The
main gaseous product was HBr with methyl bromide.
However GC/MS analysis revealed that brominecontained phenols are strongly converted to phenols at
370 °C. In the presence of DBP, the alkyl benzenes,
naphthalene derivatives and a terphenyl are formed
instead of styrene and oligomers as in neat PS.
Polyaromatic char is formed.
At 270 °C only swelling of PBD with DBP was
observed, reactions start from 290 °C producing HBr and
alkyl bromides. At 330 °C pyrolysis oil was still
contaminated with small amounts of brominated
phenols. The formation of PBDD was prevented.
Gasification of DBP with PE started at 310 °C yielding
the highest amount of gases among the polymers
investigated .
The main pyrolysis product of a HDPE and DBP mixture
at 310 °C was phenol, however some amount of
brominated phenols remained undecomposed.
LDPE greatly influence the formation of the pyrolysis
products of DBP from 310 °C; 330 and 350 °C, clean oil
was obtained in contrast to that of HDPE + DBP.
The FT-IR spectra of PBD, HDPE and LDPE treated
with DBP residues shows formation of polyaromatic
structures at the expense of aliphatic groups. In addition,
the PBD sample showed decrease of the –CH=CH–
group.
Discussion
The results show that the pyrolysis in the presence of
polymers results in the successive transformation of
DBP to monobromophenols and further to phenol and
HBr, together with small amounts of alkylphenols,
depending on the reaction temperature and reactivity of
polymers. The formation of PBDDs and PBDFs is
strongly retarded. The hydrogen bromide formed can be
separated from the gas phase, whereas phenol and
pyrolyzed polymers can be potentially used as fuel for
combustion.
- 389 -
XVIII Convegno Italiano di Scienza e Tecnologia delle Macromolecole, Catania 16-20 settembre 2007
Thermal stability of brominated phenols is poor and
formation of free radicals – bromine and less brominated
phenoxyl (II) ones occurs at low temperature (300°C).
OH
Br
Br
O
O
H
Br
Br
(I)
CH2
CH2
Br
OH
OH
CH2
Br
O
OH
β scission
CH
Br +
Br
(II) Br
Hydrogen abstraction by the radicals leads to the
formation of HBr and a monobrominated phenol which
in is able to dissociate to bromine and nonbrominated
phenoxyl radicals. This mechanism guarantees complete.
hydrodebromination.
The hydrogen abstraction reactions are likely associated
with reactivity of aliphatic substrates in the polymeric
materials, and with the hydrodebromination rate which
can be correlated with the temperature of
hydrodebromination.
According
the
rate
of
hydrodebromination decreased in the series (the data on
PP were taken from [2]):
PP≈LDPE> HDPE ≈ PBD > PS > PA-6 > PA-6,6 > PAN
This order suggests that activity is not simply related to
the strength of C-H bonds in the polymer chain and that
the presence of hydrogens easier to abstract by selective
bromine radical, do not fully explain the order of activity
found out. At the temperature of treatment polymer
radicals from H abstraction produce further radicals by β
scission: primary radicals are mainly formed in HDPE;
secondary in PP, at the branching point of LDPE and in
PS, allylic radicals in 1,2-PBD units. –CH2° is the most
active radical in propagating dehydrobromination
reaction and is able to attack the bromine of DBP,
producing an alkyl bromide [3] and subsequently less
brominated phenols, supporting the extra reactivity of
HDPE and LDPE with DBP,
S6 P26/18
CH 2
Br
Br
CH2
Br
Steric hindrance, which make difficult H abstraction in
viscous polymer, should be invoked to explain the lower
reactity of PS in comparison to PP.
As expected, polyamides and PAN are less active than
hydrocarbon polymers because of the presence of C=O,
C≡N groups deactivating adjacent positions.
The formation of polyaromatic structures (char),
especially in DBP+PS mixture, gives additional
hydrogen which further help dehalogenation.
The formation of NH3 and CO2 from the pyrolysis of
DBP with polyamides are indicative of hydrolysis of the
polyamides backbone. It also produces low-chain
aliphatics, such reducing the substrate available for
hydrodebromination.
References
1. A. Hornung, A.I Balabanovich,, S. Donner, H.
Seifert, J. Anal. Appl. Pyr. 70, 723-733. (2003):
2. A.I. Balabanovich, A. Hornung, M.P Luda,
Env. Sci Tech. ; 39(14); 5469-5474 (2005).
3. M-J. Drews, C.W.Jarvis, G. Lickfield Fire and
Polymer Hazards Identification and Prevention;
G.L Nelson Ed. ACS Symposium series n 425 p
109-129, (1990)
- 390 -
XVIII Convegno Italiano di Scienza e Tecnologia delle Macromolecole, Catania 16-20 settembre 2007
S6 P47/18
IMPIEGO DI POLVERINO DI PNEUMATICO NOBILITATO
PER MANTI IN ERBA SINTETICA
D. Biondi, G. Polacco
Università di Pisa, Dipartimento di Ingegneria Chimica, Chimica Industriale e Scienza dei Materiali
Via Diotisalvi 2, 56126, Pisa, Italy; e-mail: [email protected]
Introduzione
Nei primi mesi del 2006 diversi quotidiani hanno
pubblicato articoli nei quali si sollevava la questione
della pericolosità per la salute umana dei campi in erba
sintetica. In particolare, si ipotizzava il rilascio di
idrocarburi policiclici aromatici (IPA), toluene e zinco.
In seguito a queste notizie, l’Istituto Superiore della
Sanità (ISS) nel suo comunicato ufficiale 12/061
precisava di non avere espresso dichiarazioni in tal senso
non avendo ancora emesso un parere conclusivo in
merito. Non esistendo una normativa specifica, l’ISS
dichiarava di applicare i limiti di riferimento di legge per
i suoli adibiti a verde pubblico.
Ma quali sono le cause di queste problematiche
riguardanti la salute dell’uomo connesse all’erba
artificiale? Sotto l’erba sintetica, costituita da polietilene
e/o polipropilene, c’è il cosiddetto intaso (uno strato di
circa cinque centimetri di prodotto inerte che serve a
conferire al campo le necessarie caratteristiche di
elasticità), costituito da granuli di gomma vulcanizzata.
Nella maggior parte dei casi è impiegato del copolimero
etilene-propilene
(EPDM), oppure
granuli di
pneumatico, anche detto GTR (ground tyre rubber),
lavato e triturato. Per chi fa sport su erba artificiale,
l’esposizione è quindi di tipo inalatoria, a causa delle
possibili particelle in sospensione.
La problematica era però già stata presa in considerazione
dalla Lega Nazionale Dilettanti2 (LND), unico ente in
Italia che omologa i campi sintetici per attività agonistica.
Nel regolamento emesso il 13/2/06 (dopo che l'Esecutivo
Uefa ha approvato lo svolgimento delle competizioni su
queste nuove superfici a seguito di una propria
sperimentazione durata circa 2 anni) si ammetteva
l’utilizzo di gomme di pneumatico riciclate per realizzare
l’intaso purché ecocompatibili, ovvero nobilitate con
opportune verniciature e comunque avvolte in una capsula
che evitasse l’eventuale dispersione sul terreno di residui
tossici. Scopo del presente lavoro è quello di indagare la
possibilità di rivestire il granulo di GTR con un film di
polimero termoplastico vergine, tramite semplice
miscelamento delle due componenti a temperatura
superiore alla temperatura di rammollimento del
termoplastico. Il film ha lo scopo di isolare il polverino di
pneumatico dall’ambiente esterno, limitandone la
polverizzazione e l’eventuale fuoriuscita di sostanze
volatili. Questo viene fatto senza prendere posizione in
merito alla presunta tossicità dei manti in erba sintetica,
nella consapevolezza che la possibilità di reimpiego del
polverino di pneumatico per questo tipo di applicazione
costituirebbe una opportunità di riutilizzo di un materiale
che diventa sempre più difficile smaltire. La Direttiva
europea 31 CE del 26 aprile 1999, recepita dall’Italia con
D. Lgs. 36/2003, ha infatti bandito a partire dal 17 luglio
2006 il conferimento in discarica dei pneumatici anche in
forma triturata, decretando in questo modo la necessità di
attuare concretamente forme idonee di trattamento e
recupero dei pneumatici a fine vita o ELT (end-of-life
tyres). Resta comunque la perplessità degli autori,
relativamente alle potenzialità di rilascio di un campo
sintetico con intaso in GTR, se confrontata con quella dei
milioni di pneumatici quotidianamente, e legalmente, in
movimento sulle nostre strade (un pneumatico alla fine
della sua vita utile ha perso fino al 20% del proprio peso).
Materiali e Metodi
Sono state impiegate 2 pezzature di polverino di
pneumatico (<1 mm, 1-3 mm) denominate rispettivamente
PR e GTR 1-3, ottenute da processi di macinazione
termomeccanica e pulizia da fibre ed elementi metallici di
rinforzo. I polimeri usati sono: copolimero etilenevinilacetato Greenflex® FF45 e Greenflex® ML 60 con 14
e 28 % in peso di vinilacetato rispettivamente ed indicati
come EVA14 ed EVA28; polipropilene atattico (APP)
Vestoplast® 891; polietilene a bassa densità (LDPE)
Riblene® FC30; polietilene lineare a bassa densità
(LLDPE) Polybond® 3109 e Clearflex® FG 166. Per
valutare l’efficacia del processo di rivestimento del
granulo, è stato impiegato del TiO2 (diametro medio delle
particelle pari a circa 0.3 µm) in qualità di “tracciante” del
film polimerico vergine. Il rivestimento del polverino è
stato preparato in un miscelatore statico Brabender® a 60
rpm, 120 °C per 10 minuti.
Risultati
Una prima serie di prove è stata condotta secondo le
composizioni riportate in tabella I.
Tabella
I:
Composizione
delle
polimero/polverino di pneumatico.
Granulo di
Prova Polimero/%wt
pneumatico/%wt
P5
EVA28/25
PR/75
P6
EVA14/25
PR/75
P7
APP/25
PR/75
P8
APP/50
PR/50
P9
FG166/25
PR/75
P10
3109/25
PR/75
P12
FG166/50
PR/50
P13
FC30/25
PR/75
miscele
T
(°C)
120
120
190
190
190
190
180
180
In questa prima serie di prove si sono quindi impiegate
quantità rilevanti di polimero vergine e la granulometria
più fine del granulo di pneumatico. Queste condizioni,
che dovrebbero essere favorevoli per ottenere un buon
rivestimento del polverino con film di polimero, hanno
- 391 -
XVIII Convegno Italiano di Scienza e Tecnologia delle Macromolecole, Catania 16-20 settembre 2007
consentito di individuare nell’EVA28 il materiale più
interessante dal punto di vista sia della processabilità sia
delle caratteristiche di elasticità richieste per l’applicazione specifica. Pertanto, nella seconda campagna di
prove (tabella II) abbiamo focalizzato l’attenzione
sull’impiego di EVA 28 riducendo le percentuali di
impiego ed introducendo nel sistema il pigmento TiO2.
Quest’ultimo è utile per la successiva analisi
microscopica, condotta con il SEM su campioni fratturati
fragilmente in azoto liquido, al fine di meglio
visualizzare l’eventuale adesione tra le due fasi.
Tabella II: Composizione delle miscele polimero/ TiO2
/polverino di pneumatico.
Granulo di
Polimero
TiO2
pneumatico
Prova
%wt
%wt
%wt
EVA28
GTR1-3
P20
4,0
10,0
86,0
EVA28
GTR1-3
P22
3,5
7,0
89,5
EVA28
GTR1-3
P24
2,5
5,0
92,5
A titolo di esempio, in Figura 1 sono riportate due
micrografie SEM della frattura fragile del campione P20,
nelle quali è possibile identificare la superficie esterna
del granulo ricoperto dal film di EVA28.
Figura 1: Morfologia della frattura del campione P20
(sx) e ingrandimento della zona nel riquadro (dx).
L’immagine di destra mostra chiaramente dei granelli
chiari che sono le particelle di TiO2 omogeneamente
disperse nel film polimerico di EVA28, il quale a sua
volta sembra aderire molto bene alla superficie del
granulo.
Inoltre, la superficie dei granuli dei tre campioni di
Tabella II, se confrontata con quella dei granuli di
pneumatico provenienti da macinazione termomeccanica,
appare molto più rotondeggiante e priva di asperità, a
conferma dell’efficace ricoprimento del granulo da parte
del film di EVA.
Figura 2: Morfologia della superficie esterna del
campione P24 (sx) e della sua frattura fragile (dx).
S6 P47/18
Dall’analisi SEM riportata in Figura 2 (a dx), si può
osservare che lo spessore del film ricoprente si mantiene
costante anche nel caso del campione P24, ovvero quello
contenente la minor percentuale complessiva di EVA28
(da analisi EDXS-SEM i punti bianchi osservabili nel
GTR corrispondono ad ossido di zinco, normalmente
presente
come
attivante
della
reazione
di
vulcanizzazione della gomma).
Una conferma “macroscopica” del buon rivestimento
viene dalla possibilità di usare i campioni P20, P22 e
P24 in stampi tipo “osso di cane” per realizzare provini
mediante stampaggio in pressa a caldo. Un analogo
tentativo, effettuato con polverino trattato con APP o PE
non consente di ottenere una sufficiente continuità della
componente termoplastica.
Conclusioni
E’ stato studiata la possibilità di rivestire efficacemente
polverino e granuli di pneumatico a fine uso mediante un
film polimerico vergine. I risultati ottenuti mediante
l’analisi morfologica, aiutata dall’impiego del TiO2 in
qualità di tracciante del film, hanno consentito di
individuare nel copolimero EVA28 l’agente più efficace
tra quelli studiati.
Infatti, il film di EVA28, anche quando impiegato in
percentuali molto modeste, è risultato compatto e
continuo su tutta la superficie dei granuli di GTR.
Il TiO2 ha consentito di verificare che lo strato di film
polimerico risulta ben aderente alla superficie del
granulo di pneumatico e ciò senza fare uso di
compatibilizzanti3. Si deve comunque sottolineare che
percentuali anche modeste di biossido di titanio
impartiscono al polverino un colore finale più chiaro di
quello originale, che, oltre ad essere esteticamente più
accettabile, dovrebbe essere meno suscettibile al
riscaldamento dovuto all’irraggiamento solare.
La compattezza del film polimerico realizzato lascia
quindi ben sperare nell’efficacia dell’isolamento
dall’ambiente e consente di ipotizzare che il granulo di
gomma così “nobilitato” si comporti decisamente meglio
dal punto di vista tossicologico rispetto al GTR tal quale.
Fermo restando che sono necessari dei test di
biomeccanica e di rimbalzo angolare e verticale, sia la
natura gommosa dell’EVA, sia le modeste quantità
impiegate, consentono di ipotizzare che le proprietà
“calcistiche” del polverino di pneumatico rimangano tali
da continuare a soddisfare le specifiche richieste anche
dopo il rivestimento con EVA.
Ringraziamenti
Gli autori ringraziano il Prof. Magagnini per i suoi utili
consigli e suggerimenti e l’Ing. Michele De Lorenzo per
il prezioso contributo nell’esecuzione delle prove
sperimentali.
Riferimenti
1. Sito internet Istituto Superiore della Sanità
www.iss.it
2. Sito internet Lega Nazionale Dilettanti www.lnd.it
3. A.K. Naskar, S. De, A.K. Bhowmick, Journal of
Applied Polymer Science 84(2), 370-378 (2002).
- 392 -
XVIII Convegno Italiano di Scienza e Tecnologia delle Macromolecole, Catania 16-20 settembre 2007
S6 P48/18
IMPIEGO DI ACIDO 2-2 DITIOACETICO PER LA DEVULCANIZZAZIONE
CHIMICA DI GOMMA DA PNEUMATICI A FINE VITA
D. Biondi, G. Polacco
Università di Pisa, Dipartimento di Ingegneria Chimica, Chimica Industriale e Scienza dei Materiali
Via Diotisalvi 2, 56126, Pisa, Italy; e-mail: [email protected]
Introduzione
I pneumatici, sono costituiti da mescole nelle quali le
miscele di elastomeri sono l’ingrediente principale
(gomma naturale, copolimeri SBR ed EPDM) ma
l’intero sistema vulcanizzante risulta costituito da circa
40 componenti tra cui zolfo, acceleranti, attivanti, plastificanti, cariche rinforzanti, anti-invecchianti, etc.
Stime dell’European Tyre Recycling Association indicano
in circa 250 milioni i pneumatici che ogni anno nel mondo
divengono inutilizzabili. Di questi non più del 20%
vengono ricostruiti o riscolpiti, circa il 40% è destinata al
recupero energetico (in cementifici e termovalorizzatori),
parte viene usata come additivo in blends polimerici per
applicazioni varie e, soprattutto in Nord-America, nella
produzione dei “rubberized asphalts” ed il resto finisce in
discarica. Lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti di
gomma vulcanizzata costituisce quindi un serio problema
di impatto ambientale, soprattutto adesso che le recenti
Direttive europee (1999/31/EC e 2000/76/EC) limitano il
recupero energetico ed hanno escluso a partire dal 17
luglio 2006 il conferimento in discarica dei pneumatici
anche in forma triturata. Nasce quindi la necessità di
trovare forme idonee di trattamento e recupero dei
pneumatici a fine vita o ELT (end-of-life tyres). Questi
ultimi però, sia perché vulcanizzati, sia per la presenza di
elementi di rinforzo (metalli e fibre) fortemente legati alla
gomma, sono materiali il cui riciclo è particolarmente
difficile e costoso non potendo essere applicate le
tradizionali tecniche usate per i polimeri termoplastici. E’
in questo contesto che un processo di devulcanizzazione,
volto all’ottenimento di una gomma suscettibile di nuova
vulcanizzazione, si inserisce come potenziale metodo di
riciclo di ELT. Obiettivo del processo è quindi la rottura
selettiva dei legami mono- di- e polisulfidici, lasciando
idealmente integri i legami C-C della catena principale.
Attualmente lo stato dell’arte sui processi di
devulcanizzazione consente di raggrupparli in base alle
seguenti tecnologie1: ultrasuoni, microonde, biologica,
chimica e trattamenti di minore importanza come quelli
basati sull’azione meccanica e/o del vapor d’acqua. Tra
queste tecnologie, quella chimica appare come la più
promettente perché potenzialmente è la più selettiva nei
confronti dei legami sulfidici.
Il presente lavoro affronta quindi lo studio di un
processo di devulcanizzazione, basato sull’impiego di un
tioacido come agente chimico.
Data la notevole complessità e variabilità della
composizione degli pneumatici, risulta particolarmente
difficile valutare l’efficacia dei trattamenti cui il polverino
viene sottoposto e praticamente proibitiva una analisi
selettiva sulle sue componenti. Questo significa che
tecniche di analisi spettroscopiche, termiche o di
determinazione del contenuto atomico superficiale risultano
di scarsa efficacia ed è necessario limitarsi alla valutazione
di proprietà macroscopiche, come, per esempio, la solubilità
od il grado di reticolazione del materiale. In altri termini, la
prima e più attendibile informazione sul grado di
devulcanizzazione eventualmente ottenuto si ottiene da
misure della percentuale di gel, dell’indice di swelling, della
densità di crosslink e della perdita in peso.
La prima parte del lavoro ha riguardato quindi la
validazione dei metodi di caratterizzazione succitati per
poterli poi applicare al materiale trattato chimicamente
nei nostri laboratori.
Materiali e Metodi
Sono state impiegate 2 pezzature di polverino di
pneumatico (<1 mm, 3-5 mm), denominate rispettivamente GTR fine e GTR 3-5, ottenute da processi di
macinazione termomeccanica e pulizia da fibre ed
elementi metallici di rinforzo; una mescola “cruda”, per
la realizzazione del battistrada di pneumatici per
autocarro, gentilmente fornitaci dalla Marangoni SpA, e
tre pneumatici commerciali rappresentativi di diverse
tipologie di veicolo: autovettura, autocarro e tir.
Tutti i materiali sono stati ridotti alla medesima
granulometria (1-3 mm) per essere poi sottoposti a
misure della %gel e dello swelling index, in conformità
alla norma ASTM D 3616-95 (impiegando toluene come
solvente) e della densità di crosslink mediante la FloryRehner
Equation
modificata
per
networks
tetrafunzionali2.
La seconda parte del lavoro ha riguardato le prove di
devulcanizzazione chimica, composte da una fase di
reazione vera e propria e da una fase di lavaggio e
recupero della parte di gomma rimasta insolubile.
Per la parte di attacco chimico si è lavorato con GTR fine,
usando acido 2,2 tiodiacetico3 come agente devulcanizzante
e come mezzo disperdente sono stati impiegati un olio di
processo, xilene o miscele olio/xilene in diversi rapporti
ponderali. Le reazioni sono state condotte in pallone, nelle
seguenti condizioni: 7 ore di reazione a 130 °C, 200 rpm,
seguite da 16 ore in agitazione a Tamb. Al termine della
reazione i campioni hanno subito 4 lavaggi a 50 °C con neptano, sono stati essiccati in stufa sotto vuoto, lavati con
xilene in Kumagawa ed infine essiccati fino a peso costante.
La determinazione della % di gel a fine trattamento è stata
calcolata in base alla perdita in peso provocata dal processo
chimico.
Risultati
Per quanto riguarda la verifica delle misure di %gel, i
risultati sono riportati in Tabella I. I campioni di gomma
vulcanizzata mostrano valori di %gel, swelling index e
densità di crosslink coerenti con i valori riportati in
letteratura, mentre i valori relativi alla mescola
- 393 -
XVIII Convegno Italiano di Scienza e Tecnologia delle Macromolecole, Catania 16-20 settembre 2007
Marangoni “cruda” e da noi vulcanizzata indicano che il
processo di vulcanizzazione realizzato su scala di
laboratorio è idoneo per essere applicato anche nei
successivi studi di rivulcanizzazione.
Tabella I: Caratteristiche dei campioni dei vari tipi di
gomma vulcanizzata (M=Marangoni, batt=battistrada).
Densità di
crosslink
(Mol/g) x 104
M cruda
37.4
15.07
0,152
M vulcanizzata*
87.1
4.823
1.587
Auto (batt)
83.7
3.579
3.235
Auto (spalla)
89.5
4.148
2.258
Autocarro (batt)
95.9
3.040
4.910
Autocarro (spalla) 92.9
3.478
3.475
Tir (batt)
84.4
3.658
3.063
Tir (spalla)
92.6
3.533
3.339
GTR fine
91.0
4.751
1.643
GTR 3-5
93.0
3.308
3.946
* condizioni di vulcanizzazione: t =15 min e T=180 °C.
Campione
%Gel
Swelling
Index
In tabella II sono invece riportate le composizioni dei
sistemi reagenti utilizzati e le %gel risultanti dopo il
trattamento. La composizione del sistema reagente è
indicata in phr su base 100 di GTR fine.
Tabella II: Prove di devulcanizzazione chimica.
Prova
L0
L5
X4
X2
X5
X3
X7
X6
X1
X0
Olio/xilene/tioacido phr
500/0/0
500/0/33
750/250/33
500/500/33
375/625/33
250/750/33
250/750/3
125/875/33
0/1000/10
0/1000/0
%Gel
83.5
67.6
59.2
58.2
59.4
51.8
64.6
52.4
74.1
77.2
Le prove L0 ed X0 sono condotte in assenza di agente
chimico e sono servite come riferimento per valutare
l’effetto del solo trattamento termico sia in olio che in
xilene. I valori di %gel ottenuti nei due casi sono
confrontabili con quelli riportati in Tabella I per gomme
non trattate ed indicano che il semplice mantenimento ad
elevata temperatura nel mezzo di reazione non esercita
significativi effetti devulcanizzanti sul GTR. Passando ad
introdurre il tioacido (prove L5 ed X1) si vede che usando
olio come mezzo di reazione si ha una buona riduzione
della %gel, mentre si ottiene un effetto quasi nullo nel caso
dello xilene. In effetti, l’olio è il mezzo più appropriato per
il tioacido, ma al tempo stesso lo xilene ha una maggiore
capacità di rigonfiare il GTR e perciò dovrebbe avere il
vantaggio di permettere una maggiore “penetrazione”
dell’agente chimico all’interno del polverino. Per questo
motivo sono state utilizzate anche le miscele olio/xilene,
nella speranza di combinare i vantaggi dei due mezzi
S6 P48/18
disperdenti. In effetti, le altre prove riportate in Tabella II
confermano questa ipotesi e mostrano che in ogni caso si
ottengono valori migliori di quelli relativi all’impiego di
solo olio o solo xilene. In particolare, a parità di
concentrazione di tioacido, il grado di devulcanizzazione
del GTR mostra un minimo della %gel per miscele con
frazione ponderale di xilene compresa fra 0.75 e 0.85
rispetto alla somma olio/xilene (prove X3 e X6). Dunque
l’effetto sinergico dell’olio di processo, che fornisce una
azione veicolante selettiva nei confronti del tioacido, e dello
xilene, che è un solvente aggressivo per il GTR, ha portato,
nel migliore dei casi, ad una %gel vicina al 50, valore molto
soddisfacente.
Concentrazioni minori di tioacido (prova X7), come è
ragionevole attendersi, conducono a %gel maggiori e
quindi ad un grado di devulcanizzazione inferiore.
Conclusioni
Il calcolo della percentuale di gel per la valutazione
dell’effetto devulcanizzante del trattamento chimico è
una tecnica non certamente “raffinata”, ma attendibile.
Il sistema chimico impiegato si è rivelato promettente in
quanto è stato possibile valutare sperimentalmente
l’effettiva azione devulcanizzante dell’acido 2,2
ditioacetico. L’efficacia del trattamento dipende in
maniera sensibile dalle condizioni operative ed in
particolare dal mezzo di reazione. Quello che è emerso è
che l’olio di processo è un buon agente veicolante per il
tioacido mentre non è un buon agente rigonfiante per il
GTR; lo xilene invece ha effetti diametralmente opposti.
L’azione sinergica di opportune miscele olio/xilene
media positivamente le proprietà di entrambi i mezzi di
reazione risultando così la soluzione più efficace.
Gli sviluppi futuri di questo studio riguarderanno
l’ottimizzazione del processo, sia mediante ricerca di un
mezzo di dispersione alternativo che consenta di lavorare a
temperature più elevate, sia l’impiego di agenti
devulcanizzanti diversi dal tioacido. Sarà inoltre valutata la
capacità del materiale trattato di essere sottoposto ad un
ulteriore processo di vulcanizzazione (previa aggiunta degli
opportuni agenti chimici) e saranno quindi studiate le
proprietà meccaniche del materiale così ottenuto, essendo
l’obiettivo finale la preparazione e caratterizzazione
chimico-fisica e reologica di mescole rivulcanizzate
realizzate impiegando gomma vergine in miscela con
percentuali elevate di gomma devulcanizzata.
Ringraziamenti
Si ringraziano il Prof. Magagnini per i suoi utili consigli
e suggerimenti e gli Ingg. Davide Picchetti e Chiara
Pallatroni per il prezioso contributo nell’esecuzione delle
prove sperimentali.
Riferimenti
1. V.V. Rajan, W.K. Dierkes, R. Joseph, J.W.M.
Noordermeer, Progress in Polymer Science 31,
811-834 (2006).
2. P.J. Flory, J. Am Chem Soc. 63, 3096-100 (1941).
3. G.K. Jana, C.K. Das, Progress in Rubber, Plastics
and Recycling Technology, 21(3), 1-18 (2005).
- 394 -
S6 P49/18
XVIII Convegno Italiano di Scienza e Tecnologia delle Macromolecole, Catania 16-20 settembre 2007
RILASCIO DI PLASTICIZZANTI DURANTE I CICLI DI DIALISI: LINEE
CLASSICHE IN PVC-DEHP E NUOVE LINEE IN PVC-TOTM
D. Zampino1, G. Scaltro1, C. Puglisi1, M.R. Di Francesca2, A. M. Zoccolo2, P. Castellino2,
A. Fiaccabrino3
CNR - Istituto di Chimica e Tecnologia dei Polimeri, viale Andrea Doria, 6, 95125 Catania, Italy; e-mail:
[email protected]
2
Università degli Studi di Catania, Istituto di Medicina Interna (A. Francaviglia), Azienda Policlinico,via Santa
Sofia, 95100 Catania, Italy
3
Milena Farmaceuticals s.r.l., Zona Industriale S. Benedetto, SS. 198, 92100 Agrigento, Italy
1
Materiali e metodi
Il rilascio di DEHP e TOTM, durante le singole sezioni di
dialisi, è stato determinato in 12 pazienti, di età variabile da
43 a 90 anni, con problemi renali cronici. Per ciascun
paziente sono stati effettuati 3 prelievi di sangue in entrata
(in), immediatamente prima dell’inizio del ciclo di dialisi, e
in uscita (out), subito dopo la fine della seduta di dialisi. Il
primo prelievo di sangue in ed out è stato effettuato
utilizzando, durante la sessione di dialisi, le linee classiche
in PVC-DEHP. Per il secondo prelievo sono state usate
nuove linee in PVC-TOTM, mentre nel terzo prelievo sono
stati usati linee ed aghi in PVC-TOTM. Le concentrazioni
di DEHP e TOTM rilasciate durante le singole sessioni di
dialisi (della durata di 3-4 ore) sono state determinate
mediante HPLC, utilizzando una colonna a fase inversa
C18 (150 x 3.2 mm) con diametro delle particelle di 5 µm
(VYDAC DENALI, Labservice) per il DEHP e una
colonna C18 (100 x 2 mm) con diametro delle particelle di
2 µm (TOSOH BIOSCIENCE, Labservice) per il TOTM.
L’estrazione dei plasticizzanti è stata effettuata secondo la
metodica descritta da Kambia et al. (1).
Risultati
La quantità di plasticizzante presente nel plasma in tende
ad aumentare nel plasma out, in seguito all’esposizione
di DEHP/TOTM dovuta ai cicli di dialisi. La
concentrazione iniziale media di DEHP riscontrata nel
plasma in dei pazienti era 0.20 ± 0.2 µg/ml, con valori
variabili da 0.061 a 0.7 µg/ml nel I prelievo, mentre la
quantità di DEHP presente nel plasma out in seguito
all’utilizzo delle linee classiche in PVC-DEHP durante
la sessione di dialisi era di 0.60 ± 0.36 µg/ml.
Anche se alcune parti del dispositivo per dialisi erano
rimaste in PVC-DEHP, in tutti i pazienti si è verificata
una riduzione della concentrazione di DEHP nel sangue
in seguito all’uso delle nuove linee ed aghi per dialisi in
PVC-TOTM. La concentrazione di TOTM nel II e III
prelievo presentava valori medi di 0.03 ± 0.01 µg/ml nel
plasma in e di 0.08 ± 0.03 µg/ml nel plasma out.
L’esposizione media di DEHP (181.2 ± 114.2 mg),
rilevata durante il primo prelievo, si è più che dimezzata
nel secondo prelievo (77.6 ± 32.7 mg) e si è ridotta ad un
terzo (49.7 ± 21.9 mg) nel terzo prelievo (fig. 1).
400
350
concentrazione (mg)
Introduzione
Il polivinil cloruro (PVC) è un materiale polimerico molto
versatile che viene utilizzato in molti settori (edile,
imballaggio, sanitario, ecc.). Il PVC necessita per il suo
utilizzo dell’aggiunta di grandi quantità di plasticizzanti, tra
i quali predominano gli esteri degli acidi ftalici, come il
di(2-etilesil) ftalato (DEHP), che vengono rilasciati nel
tempo, diventando dei contaminanti ambientali ubiquitari.
Poiché l’esposizione continua al DEHP potrebbe provocare
bioaccumulo e di conseguenza effetti tossici sull’uomo, sul
mercato, come alternativa al DEHP, si sta diffondendo
l’utilizzo di altri plasticizzanti, come ad es. il tri(2-etilesil)
trimellitato (TOTM). Uno degli impieghi più diffusi del
PVC nel settore biomedicale consiste nella realizzazione di
dispositivi per dialisi, durante la quale il sangue dei pazienti
entra in contatto con i dispositivi in PVC. Lo scopo di
questo lavoro è stato la quantificazione, mediante HPLC,
dell’esposizione e della ritenzione di DEHP e di TOTM in
pazienti dializzati, utilizzando, durante i cicli di dialisi, linee
classiche in PVC-DEHP e nuove linee in PVC-TOTM.
300
250
200
150
100
50
0
1
2
3
4
5
6
pazienti
7
8
9
10
11
I Prel. R
II Prel. R
III Prel. R
12
Fig. 1 – Esposizione al DEHP nel plasma dei pazienti nei
tre cicli di dialisi.
L’esposizione media al TOTM in seguito al suo rilascio
durante il ciclo di dialisi era di circa 23.1 ± 7.5 mg nel II
prelievo e 21.8 ± 6.7 mg nel III prelievo (fig. 2). La
quantità di plasticizzanti ritenuta dai pazienti è stata
determinata calcolando la differenza tra la
concentrazione riscontrata nel plasma out ed in e
moltiplicandola per il flusso medio del plasma. La
quantità media di DEHP ritenuto nel primo prelievo è
stata di 122.5 ± 111.4 mg. Nel II e III terzo prelievo i
valori di ritenzione si sono abbassati, riducendosi
rispettivamente ad un terzo (45.2 ± 31.4 mg) ed un
quarto (25.79 ± 20.1 mg).
- 395 -
XVIII Convegno Italiano di Scienza e Tecnologia delle Macromolecole, Catania 16-20 settembre 2007
35
concentrazione (mg)
30
25
20
15
10
5
0
1
2
3
4
5
6
pazienti
7
8
9
10
11
12
III Prel. E
II Prel. E
Fig. 2 – Esposizione al TOTM nel plasma dei pazienti
Come l’esposizione, anche la ritenzione media del
TOTM in entrambi i prelievi era simile, con valori di
14.5 ± 7.8 mg e 11.7 ± 7.0 mg nel II e III prelievo
rispettivamente.
Conclusioni
La quantità di DEHP presente in soggetti sani (0.3 ± 0.1
µg/ml, con valori variabili da 0.17 a 0.47 µg/ml),
determinata analizzando il plasma di volontari, è risultata
più alta di quella dei pazienti e rappresenta
l’inquinamento ambientale di DEHP. Tale differenza di
valori tra pazienti e volontari potrebbe essere spiegata
dalle proprietà enzimatiche induttive del DEHP e/o
MEHP, il suo principale metabolita, soprattutto
attraverso autoinduzione del suo metabolismo (2,3).
Tuttavia questo plasticizzante, in pazienti sottoposti a
dialisi, accumulandosi nel tempo, potrebbe comportare
effetti tossici a lungo termine.
I nostri dati indicano che si verifica una netta
diminuzione nel rilascio di DEHP quando si usano le
nuove linee in PVC-TOTM, a cui fa riscontro un rilascio
in TOTM molto basso. Dal confronto dei nostri dati con
quelli riportati in letteratura si osserva una grande
variabilità di valori per l’esposizione di DEHP, infatti,
S6 P49/18
per ciclo di dialisi, Gibson et al. (4) hanno trovato un
intervallo di valori di 9-150 mg, Pollack et al. (5) hanno
stimato valori compresi tra 23,8 e 360 mg, Kambia et al.
(3) hanno riportato intervalli di valori di DEHP di 55166.21 mg (linee per dialisi in PVC-DEHP) e di 37.5549.20 mg (linee in PVC-TOTM-DEHP). La ragione di
questa discrepanza di valori può essere dovuta a
variazioni nel contenuto di DEHP o TOTM delle linee
e/o a differenze nei protocolli di dialisi e di
determinazione dei plasticizzanti.
Se si considerano tre sessioni di dialisi a settimana,
l’utilizzo delle linee in PVC-DEHP comporterebbe
un’esposizione annua al DEHP di circa 26,1 g, mentre
con le linee in PVC-TOTM si avrebbe un’esposizione
annua di 3.3 g per il TOTM e di 11.2 g per il DEHP.
Alla luce dei risultati, gran parte dell’esposizione al
DEHP in campo biomedicale può essere evitata usando
PVC plasticizzato con TOTM. E’ auspicabile, inoltre, lo
sviluppo di altri plasticizzanti a più alto peso molecolare
rispetto al TOTM in modo che il loro rilascio dal PVC
sia prossimo allo zero o l’utilizzo di altri materiali che
non contengono ftalati o altri plasticizzanti.
Bibliografia
1. K. Kambia, T. Dine, B. Gressier, A.-F. Germe, M.
Luyckx, C. Brunet, L. Michaud, F. Gottrand, Journal of
Chromatography B, 755, 297-303 (2001).
2. M.A. Faouzi, T. Dine, B. Gressier, K. Kambia, M.
Luyckx, D. Pagniez, C. Brunet, M. Cazin, A. Belabed,
J.C. Cazin, International Journal of Pharmaceutics,
180,113-121 (1999).
3. K. Kambia, S. Bah, T. Dine, R. Azar, P. Odou, B.
Gressier, M. Luyckx, C. Brunet, L. Ballester, M. Cazin,
J.C. Cazin, International Journal of Pharmaceutics, 229,
139-146 (2001).
4. T.P. Gibson, W.A. Briggs, B. Boone, Journal of
Laboratory and Clinical Medicine, 87, 519-524 (1976).
5. G.M. Pollack, J.F. Buchanan, R.L. Slaughter, R.K.
Kohli, D.D. Shen, Toxicology and Applied
Pharmacology, 7, 257-267 (1985).
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XVIII Convegno Italiano di Scienza e Tecnologia delle Macromolecole, Catania 16-20 settembre 2007
S6 P50/18
PIROLISI DI MATERIALI DA IMBALLAGGIO IN TETRAPACK PER LA
PREPARAZIONE DI CARBONI ATTIVI
1
T. Ferreri1, C. Puglisi1, F. Samperi1, D. Zampino1, A. Bonaccorso1, C. Crisafulli2
CNR - Istituto di Chimica e Tecnologia dei Polimeri, viale Regina Margherita 6, 95123 Catania, Italy; e-mail:
[email protected]
2
Dipartimento di Chimica, Università di Catania, viale Andrea Doria, 6, 95125 Catania, Italy
Introduzione
I rifiuti solidi urbani (RSU) e quelli speciali (RS)
rappresentano oggi una problematica che riguarda tutte le
comunità ed implica non poche difficoltà, sia economiche
che ambientali. In tutto il mondo sono giornalmente
consumati differenti prodotti alimentari confezionati ed una
buona parte di questi, specialmente quelli liquidi, sono in
contenitori TetraPak. La forte valenza data in ambito
dell’UE ad azioni programmaticamente attente alla tutela
del bene ambientale, in cui la valutazione dei costi
ambientali sia parte integrante dei piani di fattibilità e di
azioni per la mitigazione degli impatti ambientali derivati
dai RSU costituisce un volano per ricerche volte allo
sviluppo di metodologie innovative per il riciclo dei
materiali (1-6). In questo lavoro, realizzato nell’ambito di
un progetto approvato dalla Regione Sicilia, vengono
presentati risultati preliminari per la preparazione di carboni
attivi mediante pirolisi di cartoni per bevande in TetraPack:
un multistrato costituito da polietilene (20%), carta (75%)
ed alluminio (5%).
Materiali e metodi
In questo studio sono stati utilizzati cartoni di Tetrapak
contenenti latte a lunga conservazione, di diversi caseifici.
Per eliminare i residui di latte, i cartoni sono stati lavati con
acqua distillata, asciugati con carta assorbente e tenuti per una
notte in stufa a 70°C. In seguito sono stati triturati e ridotti in
polvere in atmosfera di azoto. Per effettuare la pirolisi dei
campioni in polvere si è utilizzato un reattore verticale
metallico da laboratorio “batch” (2 cm di diametro) (Fig. 1).
Fig. 1 – Reattore da laboratorio “batch”.
Tale reattore è riscaldato in un forno tubolare, e presenta
due fori dai quali è possibile l’ingresso di azoto, per
lavorare in atmosfera controllata, e la fuoriuscita di
eventuali prodotti volatili che si possono formare durante la
pirolisi.
Il processo di pirolisi, che consiste in una degradazione
termica in atmosfera inerte di azoto, consente il cracking
termico della componente organica, la produzione di una
frazione solida (carbone) e di una componente volatile, in
parte condensabile. Si sono testate varie condizioni e
metodi di pirolisi. L’analisi Termogravimetrica (TGA
Q500, TA Instrument) di campioni di TetraPack tal quali
(Fig. 2) ha consentito di determinare le temperature ottimali
di lavoro (500-550°C).
Fig. 2 – Termogramma di un campione di TetraPack Tal
Quale
Il carbone ottenuto dopo il processo di pirolisi mostrava
la presenza di alluminio, che non si ossida nelle
condizioni di pirolisi utilizzate. Per questo motivo i
campioni di carbone ottenuti sono stati pesati e di volta
in volta introdotti in una beuta con un eccesso di KOH
10 N, portati alla temperatura di 60°C e tenuti in
agitazione fino a quando tutto l’alluminio si è convertito
in alluminato di potassio.
La frazione solida (carbone) ottenuta, dopo filtrazione e
lavaggi in acetone e in acqua, è stata asciugata in stufa
per una notte a 70°C. I campioni di carbone finali sono
stati pesati nuovamente per verificarne la perdita in peso
e attivati in un reattore di quarzo a diverse temperature e
con differenti rapporti di CO2/He, valutandone di volta in
volta la perdita in peso.
Si sono effettuate analisi di area superficiale attraverso il
“metodo BET”, sviluppato da Brunauer Emmett e Teller,
che si basa sul principio di adsorbimento di gas. La
misura si effettua a basse temperature e pressioni (178°C) e consiste nella valutazione del volume V di gas
(He/CO2) adsorbito dal solido a varie pressioni (P)
inferiori alle pressione di saturazione Ps da cui si calcola
il volume teorico di uno strato monomolecolare
adsorbito (Vm). L’equazione di BET utilizzata per tale
calcolo è la seguente:
P/V(Ps-P) = 1/VmC + (C-1)P/VmCPs
- 397 -
S6 P50/18
XVIII Convegno Italiano di Scienza e Tecnologia delle Macromolecole, Catania 16-20 settembre 2007
Risultati
L’analisi dei termogrammi eseguiti in fase preliminare
su campioni di tetrapak non trattati (Fig. 2), ha fatto
rilevare che le temperature ottimali di lavoro sono di
500-550°C, in quanto a queste temperature la cellulosa e
il polietilene pirolizzano dando una resa in carbone
soddisfacente (40%). Per tentare di migliorare la resa ed
ossidare direttamente nel reattore di pirolisi l’alluminio,
sono fatte delle prove aggiungendo KOH 10 N nel
reattore, mantenendo in agitazione. Come si evince dalla
fig. 3 la resa effettivamente è migliorata ma solo una
parte di alluminio viene ossidata nei rispettivi alluminati
di potassio.
700
600
500
AREA
SUPERFICIALE
(m2/g)
400
300
200
100
0
30
31
CAMPIONI
34
35
Fig. 4 – Valori di area superficiale per alcuni campioni
pirolizzati col metodo statico
Conclusioni
Alla luce dei risultati ottenuti, i valori di area superficiale
sono promettenti in quanto il Tetrapak è costituito per il
75% da carta, la cui fibra proviene da alberi di piccole
dimensioni o da parti di scarto che non sono utilizzate
come legname. E’, infatti, la lignina, che nella cellulosa
è presente in piccola percentuale, a conferire un’alta area
superficiale ai materiali. Ulteriori studi saranno rivolti
sia alla messa a punto di metodiche per il miglioramento
della resa in carbone e delle dimensioni dei pori, che allo
stato attuale sono dell’ordine di micron, sia per le analisi
della frazione condensabile utilizzabile in campo
energetico.
Tetrapak TQ
Tetrapak Pirolizzato
con KOH
Fig. 3 – Termogrammi di TetraPack Tal Quale e di
TetraPak pirolizzato in presenza di KOH 10 N (w/w 1:1)
a 470 °C per 60 min
Il confronto dei risultati di campioni ottenuti col metodo
dinamico e con quello statico ha fatto rilevare che
l’eliminazione totale dell’alluminio e un valore di area
superficiale maggiore si ottiene con il metodo statico,
anche se quest’ultimo presenta una resa minore. In fig. 4
sono riportati i valori di area superficiale ottenuti da
campioni pirolizzati col metodo statico, ma in differenti
condizioni di temperatura e durata di pirolisi. Il
campione 35, ottenuto a temperatura di 520 °C e 120
min di pirolisi, presenta l’area superficiale più alta ma
una resa bassa.
Bibliografia
1. L. Khezami, A. Chetouani, B. Taouk, R. Capart,
Powder Technology, 157, 48-56 (2005).
2. A. Ahmadpour, D.D. Do, Carbon, 34, 471-479
(1996).
3. Zhonghua Hu, M.P. Srinivasan, Microporous and
Mesoporous Materials, 27, 11-18 (1999).
4. E. Jakab, O. Faix, F Till, Journal of Analytical and
Applied Pyrolysis, 40-41, 171-186 (1997).
5. R.K. Sharrma, J.B. Wooten, V.L. Baliga, X. Lin,
W.G. Chan, M.R. Hajaligol, Fuel, 83 (11-12) 1469-1482
(2004).
6. H. Marsh, D.S. Yan, T.M. O’Grady, A. Wennerberg,
Carbon, 22, 603-611 (1984).
- 398 -
S6 P52/18
XVIII Convegno Italiano di Scienza e Tecnologia delle Macromolecole, Catania 16-20 settembre 2007
MALDI INVESTIGATION OF NY6 AND NY66 THERMO-OXIDARION PRODUCTS
S.Carroccio1, G.Scaltro1, T.Ferreri1, G.Montaudo2, C.Puglisi1
Istituto per la Chimica e la Tecnologia dei Polimeri, CNR,Viale A.Doria 6, 95125-Catania;
e-mail: [email protected]
2
Dipartimento di Scienze Chimiche, Viale A. Doria 6, 95125-Catania
1
Introduction
Nylons find wide application as engineering plastics and
fiber material and during their normal use they are
exposed to heat and sunlight. Thermo-oxidation of Ny6
and Ny66 has been provided in the past by investigations
that used mainly UV, IR and wet chemistry methods1.
Conventional analytical techniques, such as UV and IR,
might prove inadequate in providing exhaustive
information on the molecular structure of the complex
mixture of compounds present in the thermo-oxidized
Ny6 samples, because molecules formed in the thermooxidation processes are often very reactive, do not
accumulate and are present only in minor amounts
among the reaction products. The high sensitivity of
MALDI-TOF MS technique makes it suitable for
studying polymer degradation processes2,3.
The procedure involves the collection of MALDI spectra
at different irradiation times and/or temperature to
observe the structural changes induced by heat or light
under an oxidizing atmosphere. The polymer sample can
be directly analyzed and the recorded MALDI spectrum
arises from a mixture of non-oxidized and oxidized
chains.
In the present work Ny6 and Ny66 samples, with number
average molar mass of 19.100 and 27.000 Da,
respectively, were heated in presence of air at 180°C up
to 168 hours and 250°C up to 240 minutes. The soluble
portions of thermo-oxidized samples were analyzed by
MALDI-TOF technique.
Results
In Figure 1a is shown a portion of virgin Ny6 MALDI
spectrum. The five MALDI peaks in Figure are due to
only three oligomers: i) sodiated ions of cyclic Ny6
chains (m/z 1153.8, 1266.9); ii) sodiated ions of linear
oligomers terminated with carboxyl at one end and with
amino groups at the other end (m/z 1171.8); iii) sodiated
ions of linear oligomers terminated with carboxyl at one
end and with benzoyl groups (capping agent) at the other
end (m/z 1162.8).
The intensity of the peaks corresponding to cyclic
oligomers (1153.8+113.15 Da) decreases sensibly at
higher masses, as well as the intensity of the peaks
corresponding to the end-capped oligomers at m/z
1162.8+113.15 Da.
Therefore, the MALDI spectrum of the original Ny6
indicates that the sample under investigation is mainly
constituted of linear chains terminated with carboxyl
groups at one end and amino groups at the other end.
(a)
1153.8
1266.9
1162.8
1171.8
1160
1244.9
1180
1200
1220
1240
1260
1153.8
(b)
1266.9
1170.8
1255.9
1185.8
1158.8
1160
1176.8
1180
1244.9
1198.8
1261.9
1213.8
1200
1220
1233.8
1240
1260
Figure 1 (a-b). MALDI-TOF Mass spectra in the mass
range 1160-1270 Da of Ny6 sample thermo-oxidised at
180°C for 0 (a) and (b) 60 minutes.
In Figure 1b is reported the MALDI-TOF Mass spectrum
of Ny6 sample thermo-oxidized at 180°C for 60 minutes.
It is possible to appreciate a sensible increment of peaks
with respect to the unheated Ny6 sample. This indicates
that thermal oxidation reactions have occurred,
producing new compounds that are detected and
differentiated by the MALDI analysis.
Nearly 21 species are present in the mass spectrum of the
oxidized sample, as compared to the only four in the
original Ny6 sample.
All these peaks correspond to sodiated and protonated
ions of oxidized Ny6 oligomers and they have been
assigned to specific oligomer structures and oxidation
pathways.
The peaks at m/z 1161.8, 1169.8, 1170.8, 1184.8 and
1185.8 belong to species containing amide terminal
groups. The peak at m/z 1198.8 can be assigned to
oligomers with –NHCHO end groups, whereas the
intense peak at 1254.9 Da is due to oligomers having
amide/butanoic end groups.
- 399 -
XVIII Convegno Italiano di Scienza e Tecnologia delle Macromolecole, Catania 16-20 settembre 2007
Ny6,6
1153.8
HO
Ny6,6
5
degradation at 180°C to produce imide units inside the
chain plus aldehyde, acid and amide end groups.
In analogy to what has been observed in the photo
oxidation studies of Ny6 an Ny66 3, the formation of
inner imide functional groups is postulated in Scheme 1.
However, the imide group is quickly hydrolysed at
180°C by the water generate in the bulk of the film. Thus
imide species are not present among the oxidation
products.
Scheme 2 reports the mechanism of formation of
cyclopentanone end groups from Ny66. This thermal
degradation process appears to be significant at
temperatures above 250°C 4.
5
H 2N(CH 2) 6NH
Ny6,6
Ny6,6
H
HO
1171.8
1269.8
5
H
Ny6,6
1299.9
6
1379.9
5
CO(CH 2) 4COOH
(a)
1357.9
1298.9
(b)
1153.8
1367.9
1198.9
1167.8
1280.9
1185.8
Scheme 1
1379.9
1268.9
X
1200
1250
Mass (m/z)
1300
S6 P52/18
(CH2) n CH NH
H
X
CO
O2
1350
Figure 2 (a-b). MALDI-TOF Mass spectra in the mass
range 1150-1400 Da of Ny66 sample thermo-oxidised at
250°C for 0 (a) and (b) 30 minutes.
In Figure 2a is reported an expanded portion of the total
Ny66 spectrum whereas in Figure 2b is reported MALDI
spectrum of thermo-oxidized sample at 250°C for 30
minutes.
The MALDI peaks in Figure 2a belong to four mass
series: i) sodiated and protonated ions of cyclic Nylon 66
chains (species at m/z 1153.8 and 1357.9); ii) sodiated
ions of linear oligomers terminated with carboxyl at one
end and with amino groups at the other end (species at
m/z 1171.8); iii) sodiated ions of linear oligomers
terminated with two amino groups at the ends (species at
m/z 1269.8); iiii) sodiated ions of linear oligomers
terminated with two carbonyl groups at the ends (species
at m/z 1299.9).
The cyclic oligomers are still present in the MALDI
spectrum of thermo-oxidized Ny66 sample, whereas the
linear chain NH2/OH terminated disappeared as well as
the NH2/NH2 and OH/OH terminated oligomers. The
peaks at m/z 1167.8, 1168.8, 1280.9 and 1281.9 are
assigned to species having ciclopentanone as end group.
The peaks at m/z 1169.8, 1170.8, 1184.8, 1185.8 and
1298.9 belong to species containing amide terminal
groups. The peak at 1170.8 Da might be, alternately,
assigned to oligomers having acid end groups at one end
and aldehyde end group at the other end. The most
relevant peak at m/z 1297.8 belong to species having
amide end group at both end, whereas the peak at 1367.9
Da is due to species terminated with amide/pentanoic
groups. The peak at m/z 1186.8 can be assigned to
oligomers terminated with pentanoic acid groups at one
end and butanoic group at the other end. The intense
peak at m/z 1198.8, as well as the peak at 1325.9 Da, can
be assigned to oligomers terminated by –NHCHO
functional groups.
Thermal Oxidation Mechanisms
A detailed map of the processes and of the end groups
generated by the hydroperoxide decomposition in Ny6
and Ny66 molecules is given in Scheme 1.
The hydroperoxides initially formed undergo thermal
- 400 -
X
(CH2)n CO NH
CO
-H2O
X
(CH2)n CH NH
-OH
H 2O
.
CO
X
O OH
H
.
X (CH2)n COOH
(CH2) CO
n
X (CH2) CH NH
n
OH
NH2
X
O2
(CH2) CHO
n
X
X
n
NH (CH2)n COOH
(CH2) 1CH3
n
(CH2) CO
n
NH2
(CH2) CONH CHO
n
H
Ny66
NH(CH2)6NH CO CH CH2 CH2 CH2 C
OH
O
(a)
∆
250°C
Ny66
H 2O
NH(CH2)6NH CO
O
H
Ny66
NH(CH2)6NH CO CH CH2 CH2 CH2 CO NH (CH2)6 NH
Ny66
(b)
∆
Ny66
C H Transfer
NH(CH2)6NH CO
+
H2N (CH2)6 NH
Ny66
O
Scheme 2
REFERENCES
1.
2.
3.
4.
Roger,
D.Sallet,
J.
Lemaire,
Macromolecules 19, 579, 1986.
S.Carroccio,
C.Puglisi,
G.Montaudo
Macromolecules, 35, 4297-4305, 2002.
S.Carroccio,
C.Puglisi,
G.Montaudo
Macromolecules, 36, 7499, 2003.
C. Puglisi, S. Di Giorgi, G. Montaudo, F.
Samperi, Polym. Degrad. & Stab., 78, 369
(2002).
XVIII Convegno Italiano di Scienza e Tecnologia delle Macromolecole, Catania 16-20 settembre 2007
S6 P53/18
COMPARATIVE INVESTIGATION OF PHOTO – AND – THERMAL – OXIDATION
PROCESSES IN POLY(BUTYLENE TEREPHTHALATE)
S. Carroccio1, G. Scaltro1, P. Rizzarelli1, C. Puglisi 1, G. Montaudo2
Istituto di Chimica e Tecnologia dei Polimeri - Consiglio Nazionale delle Ricerche; V.le A. Doria 6 - 95125
Catania, e-mail: [email protected]
2
Dipartimento di Scienze Chimiche, Viale A. Doria 6, 95125-Catania
1
Introduction
Thermal- and photo-oxidation processes occurring in
poly(butylene terephthalate) (PBT) were investigated and
compared in order to find out possible dissimilarities in the
oxidation pathways of this polymer. The oxidation products
were analyzed by Matrix Assisted Laser Desorption
Ionization-Time of Flight mass spectrometry (MALDI TOF
MS). Applications of MALDI to the study of polymer photoand thermo-oxidation are quite recent, and involve the
collection of MALDI spectra at different irradiation times
and/or temperatures to observe the structural changes induced
by heat or light under an oxidizing atmosphere. The polymer
sample can be directly analyzed and the recorded MALDI
spectrum arises from a mixture of non-oxidized and oxidized
chains. The results obtained for the systems so far
investigated by MALDI1 are highly informative, as compared
with previous studies based on conventional techniques,
yielding precise information on the size, structure, and end
groups of molecules originated in the oxidation process.
According to the structure of the oxidation products identified
in this work, two thermal-oxidation processes and three
photo-oxidation cleavages have been unambiguously
ascertained to occur in PBT.
Results
PBT films, prepared by casting from 5% HFIP solution,
were subjected to photo-oxidation by exposure at 70 °C in a
UV accelerated chamber (Q-UV Panel) in atmospheric air,
and the oxidative process was followed as a function of the
exposure time. The PBT films were photo-oxidized at 70°C
up to 168 hours and the soluble part was analyzed by
viscometry. The Mv change of photo-oxidized PBT films
shows a strongly molar mass decrease after 72 hours and at
higher exposure time the Mv values level off.
The PBT films were heated in the presence of air at 250 up
to 180 minutes. In these conditions, the thermo-oxidative
process was fairly rapid producing a noticible reduction of
molar mass with the heating time, already after few
minutes. In fact, after 7 minutes of thermo-oxidation
process at 250°C the Mv value decreases of about 70%.
These data confirm that the entire PBT films were involved
in the thermo-oxidation process. After 10 minutes the Mv
value increases reasonably as a consequence of crosslinking
phenomena.
The oxidation products were analyzed by Matrix Assisted
Laser Desorption Ionization-Time of Flight mass
spectrometry (MALDI TOF MS). In Figure 1 is reported
the MALDI mass spectrum of the original PBT sample in
the mass range 2000-12000 Da. The peaks belong to four
different mass series, corresponding to sodiated
macromolecular ions and the related assignments are
reported in Figure 1.
Figure 1. MALDI mass spectrum of the original PBT
sample in the mass range 2000-12000 Da.
In Figure 2 is shown the MALDI mass spectrum,
together with an expanded portion spanning over 220
Da (the mass of the PBT repeat unit), of the PBT film
sample heated for 15 minutes at 250°C. From the
inspection of the spectrum it is evident a gradual
increment of the number of peaks with respect to the
original sample (Figure1). This indicates that thermooxidation reactions have occurred, producing new
compounds that are detected and differentiated by the
MALDI analysis. According to the structure of the major
oxidation products, the MALDI data acquired support
preferentially the well known2 α-H abstraction process.
The initial step in this process consists in a hydrogen
abstraction from the methylene group adjacent to the
ester linkage, leading then to the formation of a
hydroperoxide intermediate. The latter decomposes to a
more stable radical which may follow two different
pathways (Scheme 1, Route 1 and 2).
Scheme 1. α-H abstraction mechanism in thermo and
photo-oxidative process in the PBT sample.
- 401 -
S6 P53/18
XVIII Convegno Italiano di Scienza e Tecnologia delle Macromolecole, Catania 16-20 settembre 2007
This process is also supported by the presence of the
peaks at m/z 1415.4 assigned to chains with 1-4
butanediol at one end and butene at the other end.
Even though crosslinking reactions were suggested by
the literature3, in the spectrum of the photo-oxidized
PBT sample these species are not actually found. An
additional peak appears at m/z 1389. This peak should be
correlated with a NORRISH I cleavage reaction at the
ester bonds.
CO
HOOC
Figure 2. MALDI-TOF mass spectrum in the mass
range of 1200-1800 Da of the thermo oxidized PBT
sample at 250°C for 15 minutes with an expanded
portion in the mass range 1230-1450 Da.
According to the literature3, a second oxidation process
could be observed. It should be related to crosslinking
reactions that create byphenyl bridges most likely
originated from the oxidative coupling of two phenyl
rings between linear PBT chains. This reaction promotes
the production of char-like structures and the gel
formation during the thermo-oxidative process.
CO
CO
CO
CO
O2
∆
CO
CO
CO
CO
In Figure 2 peaks appearing at m/z 1275, 1297, 1319 and
1341 have been univocally identified as chains having
terephthalic acid at both ends with biphenyl moiety
along the chain.
In Figure 3 is shown the MALDI spectrum in the mass
range 1280-1440 Da of PBT sample photo-oxidized at
70°C for 18h. The most prominent peak (Figure 3) is due
to chains with terephthalic acid at both end (m/z 1289).
MALDI data also evidence the presence of species at
m/z 1375.4 containing 4-hydroxy-butanoic acid as chain
end. All these groups originating from the α-H
abstraction process with the subsequent scission at the αCH bond (Scheme1, route 1). Not evidence is found
supporting the rupture of the β-CH bond along the PBT
chains (Scheme 1, route 2).The detection of ions at a
distance of 22 mass units from the cyclic species (A,
m/z 1343) suggests the occurrence of the β-Hydrogen
transfer mechanism.
hν
O(CH 2)4 O
CO
1289.4
BT
1343.4
1311.4
5
. )O
. + O(CH
CO
O (CH 2) 2C H
+Na OOC
CH2
CO B T
OHC
1361.4
1333.4
1375.4
1320
1340
BT
CH 2
OH
6
H
BT
5
O (C H 2) 2C H C H 2
1365.4
1337.4
1300
O (C H2) 2CH
5
1383.4
1305.4
1280
2 4
1360
1380
1389.4
1400
1415.4
1420
1433.4
1440
Figure 3. MALDI TOF mass spectrum recorded in
reflectron mode, in the mass range 1280-1440 Da, of the
PBT sample photo-oxidized for 18 hours at 70°C.
Conclusions
A relevant amount of structural information on the
thermo and photo-oxidation products of PBT has been
extracted from the MALDI spectra reported herewith.
According to the structure of the major thermo oxidation
products, the MALDI data acquired support
preferentially the α-H abstraction (Scheme 1, route 1
and 2) process as well as crosslinking reactions that
create byphenyl bridges along the chains. The α-H
abstraction mechanism is also the most relevant reaction
during the photo-oxidative degradation of PBT.
Moreover, our data evidence the occurrence of a βhydrogen transfer mechanism as well as the NORRISH
I photolytic scission. These reactions appear to be
significant at higher exposure times.
References
1. S. Carroccio, P. Rizzarelli, C. Puglisi, G. Montaudo,
Macromolecules, 37, 6576-6586 (2004).
2. J. F. Rabek, Photodegradation of Polymers, Springer:
New York (1996).
3. A. Rivaton, J-L Gardette, Die Angewandte
Makromolekulare Chemie, 261/262, 173-188 (1998).
- 402 -
S6 P54/18
XVIII Convegno Italiano di Scienza e Tecnologia delle Macromolecole, Catania 16-20 settembre 2007
MALDI/TOF-MS INVESTIGATION OF THERMAL-OXIDATION MECHANISMS IN
BIODEGRADABLE POLYESTERS. POLY(BUTYLENE SUCCINATE)
P. Rizzarelli1, S. Carroccio1, G. Montaudo2, C. Puglisi1, R. Rapisardi1
Istituto di Chimica e Tecnologia dei Polimeri - Consiglio Nazionale delle Ricerche; V.le A. Doria 6 - 95125
Catania. e-mail: [email protected]
2
Dipartimento di Scienze Chimiche, V.le A. Doria, 6 - 95125 Catania
Introduction
Aliphatic polyesters are among the most promising
candidates for biodegradable materials1 in agricultural and
sanitary fields, as well as in packaging applications.
Polymers of this type have already been introduced onto the
market and their relevant performances are currently under
scrutiny. Degradation properties are among the most
important in aliphatic polyesters, and recently
biodegradation studies of polyesters containing butylenes
succinate, butylene sebacate, or butylene adipate units2–3
and photooxidation studies of poly(butylene succinate)4
have been published. The study of the oxidation processes
of this class of polymers is relevant for the understanding of
aging during the processing as well as their life time.
Applications of matrix-assisted laser desorption
ionization time-of-flight mass spectrometry (MALDITOF MS) to the study of polymer thermo-oxidation are
quite recent, and involve the collection of MALDI
spectra at different temperatures to observe the structural
changes induced by heat under an oxidizing atmosphere.
The polymer sample can be directly analyzed and the
recorded MALDI spectrum arises from a mixture of nonoxidized and oxidized chains. The results obtained for
the systems so far investigated by MALDI are highly
informative, as compared with previous studies based on
conventional techniques, yielding precise information on
the size, structure, and end groups of molecules
originated in the oxidation process.
In this work, poly(butylene succinate) (PBSu) and
Bionolle 1001 films were subjected to thermal-oxidation
and the oxidation products were analyzed by MALDI.
Results
PBSu thermal-oxidation was performed on films
obtained by casting on the walls of glass vessels heated
for 0.5, 1, 2, 2.5, 3, 3.5, 5 and 6 hours at 170°C, in
atmospheric air. The oxidative process was followed as a
function of the degradation time by Size Exclusion
Chromatography (SEC) and MALDI TOF mass
spectrometry. MALDI-TOF mass spectra were recorded
in reflector mode using a Voyager-DE STR (Applied
Biosystem) mass spectrometer equipped with a nitrogen
laser emitting at 337 nm with a 3-ns pulse width and
working in positive ion mode. The accelerating voltage
was 20 kV; the grid voltage and the delay time were
optimized for each sample to achieve the higher molar
mass values. The laser irradiance was maintained
slightly above threshold. 2-(4-Hydroxyphenilazo)
benzoic acid (HABA) (0.1 M in THF/CHCl3) was used
as matrix. Appropriate volumes of polymer solution (5
mg/mL in CHCl3) and matrix solution were mixed to
obtain a 2:1, 1:1, and 1:2 ratios (sample/matrix v/v). 1
µL of each sample/matrix mixture was spotted on the
MALDI sample holder and slowly dried to allow matrix
crystallization.
Thermal-oxidation produced a sensible reduction of the
molar mass of the polyesters (Figure 1), promoting the
formation of PBSu oligomers with different end groups.
110000
100000
90000
Bionolle
80000
70000
Mw
1
60000
50000
P(BSu)
40000
30000
20000
10000
0.0
0.5
1.0
1.5
2.0
2.5
3.0
3.5
4.0
4.5
5.0
5.5
6.0
Degradation time (h)
Figure 1. Molar mass changes of PBSu and Bionolle
1001 films as a function of the degradation time
Figure 2 shows the MALDI-TOF mass spectra, after the
deisotoping procedure, in the mass range m/z 1220-1400,
of the (a) original PBSu sample and thermo-oxidized at
170 °C for (b) 1h and (c) 2h.
BSu
Na+
7
(a)
1227
BSu
7
K+
H
BSu
1399
7
OH
H
Na+
1243 1245
1300
HOCO(CH2)2CO
BSu
O(CH2)3COOH
6
H
1243
O(CH2)4OH Na+
7
1317
1250
1227
BSu
BSu
1245 1259
1350
HOCO(CH2)2CO
O(CH2)3COOH
7
1317
1250
1400
(b)
Na+
BSu
Na+
1331
7
OH
Na+
1399
1345
1300
1350
1400
1345
(c)
1259
1227
1243
1229
1231
1245
1257
1273
1267
1275
1281
1315
1317
1301 1303
1331
1343
1367
1361
1359
1389
1399
1387
1220 1230 1240 1250 1260 1270 1280 1290 1300 1310 1320 1330 1340 1350 1360 1370 1380 1390 1400
m/z
Figure 2. MALDI mass spectra, in the m/z range 12201400, of the (a) original PBSu sample and thermooxidized at 170 °C for (b) 1h and (c) 2h.
- 403 -
XVIII Convegno Italiano di Scienza e Tecnologia delle Macromolecole, Catania 16-20 settembre 2007
1
3
+ H.
4
CO(CH2) 2COO--CH--(CH 2) 3OCO(CH2)2CO
(II)
3
4
O
+
.
+H
.
.
+H
.
CO(CH2)2COOH
+ O2
+H
O
+
CO(CH2)2C OO(CH2)3CHO
+ O2
C O(CH 2)2C O O(CH 2)3COOH
– CO2
CO(CH 2)2COOCH
COO(CH2)2CH2
CO(CH 2)2COO
(IV)
2
2
CO(CH 2) 2COO--CH--(CH2)3 OCO(CH2)2CO
– OH
.O
H O
(I)
.
CO(CH2)2COOH
O(CH2)2CH3
.
OH
O(CH2)2CH2
- H2O
.
– OH
+
H
.
1317
1267
1345
1299
(b)
1227
1399
H 2 NCO
BSu n OH
1245
1229
1243
1231
1259 1267
1288
1299 1309
1317
1345
1331
1227
(c)
HOOC(CH 2) 4 HNC O
1245
1229
1243
1231
BSu n OH
1345
1259
1267 1273
1288
1299
1313
1317
1331
1399
1371
1388
1220 1230 1240 1250 1260 1270 1280 1290 1300 1310 1320 1330 1340 1350 1360 1370 1380 1390 1400
Conclusions
MALDI-TOF mass spectrometry has been found to be an
appropriate method to determine the structure of the
molecules produced in the thermo-oxidative degradation
of PBSu at 170 °C. The MALDI spectra present many
new well-resolved peaks, which provide information on
the structure and end groups of the oxidation products.
The MALDI peaks have been assigned to sodiated
oxidized polymer chains originated from the
hydroperoxide intermediate (I) decomposition by radical
rearrangement reactions (Scheme 1) via the hydroxy
ester (III) as well as the radical (II). These oligomers had
not been revealed before.
O
CO(CH2)2CO OC H
O OH
CO(CH2 )2COOCHCH 2(CH 2)2OCO(CH 2)2CO
1245
≈
+
1
1314
∼∼
≈
O(CH2)2CH3
– H2O
(a)
O(CH2)4OCONH(CH2)6NHCO
6
≈
CO(CH2)2COOH + HCO(CH2)3O CO(CH2)2 CO
O
BSu
Figure 3. MALDI mass spectra, in the m/z range 12201400, of the (a) original Bionolle 1001 sample and
thermo-oxidized at 170 °C for (b) 2h and (c) 4h.
+ O2
O
1227
m\z
HOCO(CH 2)3O CO(CH2)2CO
CO(CH2)2-C-O-C-(CH2)3OCO(CH2)2CO
sample is similar to that of PBSu in Figure 2a, except for
the ions at m/z 1314, unambiguously assigned to an
oligomer bearing urethane units. The presence of
urethane linkage confirms that hexamethylene
diisocyanate was used in the synthetic procedure as
chain extender to increase the molar mass. The urethane
units undergo α-H abstraction processes and the
hydroperoxide decomposition occurs leading to the
formation of two additional oligomers at m/z 1288 and
1388 (Figure 3b-c).
≈
All the peaks correspond to PBSu oligomers with a
variety of end groups, and they have been assigned to
specific oligomer structures. The identification of the
structure and of end groups attached to the oligomers
produced in the oxidation process is of outmost
importance, since the end groups may reveal the
particular mechanism that has been active in the
oxidation process. The four MALDI peaks in Figure 2a
are due to only three oligomers: (i) sodiated (m/z 1228)
and potassiated (m/z 1244) ions of cyclic PBSu chains;
(ii) sodiated ions of linear oligomers terminated with
carboxyl at one end and with hydroxyl groups at the
other end (m/z 1246); (iii) sodiated ions of linear
oligomers terminated with hydroxyl groups at both ends
(m/z 1318).
The MALDI spectra (after deisotoping) of the PBSu
sample oxidized at 170 °C for 1h and 2h (Figures 2b and
2c) evidence the appearance of several new peaks.
According to the structure of the oxidation products
identified, a α-H abstraction mechanism have been
unambiguously ascertained to occur in PBSu and in
Bionolle 1001, a process active in several other
polymeric materials. The initial step in this process
consists of a hydrogen abstraction from the methylene
group adjacent to the ester linkage, leading then to the
formation of a hydroperoxide intermediate. Remarkably
the hydroperoxide intermediate (I) decomposes by
radical rearrangement reactions, summarized in Scheme
1, via the hydroxy ester (III) as well as the radical (II)
and generates the PBSu oxidation products observed in
the MALDI spectra. Furthermore, the occurrence of
some ions has been related to the formation of anhydride
bonds along the polymer chains (Scheme 1).
S6 P54/18
O(CH 2)3OH
O(CH2)2CHO
+ O2
O(CH2)2COOH
Scheme 1. Overall thermal-oxidation processes in PBSu
In Figure 3a-c are shown expanded portions of the
deisotopized MALDI spectra of the original Bionolle
1001 sample and thermo-oxidized at 170 °C for (b) 2h
and (c) 4h. The spectrum of the original Bionolle 1001
References
1. R. A. Gross, B. Kalra, Science, 297, 803 (2002)
2. P. Rizzarelli, G. Impallomeni, G. Montaudo,
Biomacromolecules, 5, 433 (2004)
3. P. Rizzarelli, C. Puglisi, G. Montaudo, Polym. Degrad.
Stab., 85, 855 (2004)
4. S. Carroccio, P. Rizzarelli, C. Puglisi, G. Montaudo,
Macromolecules, 37, 6576 (2004)
- 404 -
XVIII Convegno Italiano di Scienza e Tecnologia delle Macromolecole, Catania 16-20 settembre 2007
S6 P55/18
SYNTHESIS, CHARACTERIZATION AND SOIL BURIAL DEGRADATION OF
ALIPHATIC POLY(ESTER AMIDE)S
P. Rizzarelli, M. Cirica, G. Pastorelli, C. Puglisi
Istituto di Chimica e Tecnologia dei Polimeri - Consiglio Nazionale delle Ricerche; V.le A. Doria 6 - 95125 Catania
e-mail: [email protected]
Introduction
Aliphatic poly(ester amide)s constitute a new class of
environmentally friendly polymers that can combine the
convenient mechanical and thermal properties of
polyamides, resulting from the hydrogen bonds between
amide groups, and the extensive biodegradability of
polyesters, leading to materials that enjoy better end-use
and processing with respect to aliphatic polyesters.
Several poly(ester amide)s have been recently proposed
and their promising performances are at present under
evaluation. A commercial series of poly(ester amide)s
has been circulated with the trade name BAK, based on
adipic acid, caprolactone and hexamethylene diamine as
the amide components and 1,4-butanediol and ethylene
glycol as the ester components.
We have performed the synthesis and the structural
characterization of a set of poly(ester amide)s, obtained
from sebacic acid and amino alcohols, with and without
the use of a chain extender. Furthermore we have
investigated their weight loss under controlled soil burial
conditions. P(HB), P(HB-co-HV) 76/24, PCL and two
Bionolle commercial samples were also studied for
comparison.
Results
Poly(ester amide)s, whose structures are shown in Table
1, were synthesized by sebacic acid and amino-alcohols of
different chain lengths starting from stoichiometric
amounts of reagents, or using an excess of amino-alcohol.
High molecular weight poly(ester amide)s were obtained
using a single-step polycondensation procedure (PEA1,
PEA2, PEA3), in the presence of tin(II) 2-ethylhexanoate,
otherwise by means of a two step polymerization method,
including polycondensation and chain extension reactions
(PEA4 HMDI2, PEA4 HMDI3, PEA4 HMDI4, PEA-pr
HMDI, PEA-bu HMDI, PEA-es HMDI).
Tab. 1: Repeat units of the poly(ester amide) samples.
Poly(ester-amide) structures
−O(CH2)2NHCO(CH2)8CO− or
PEA
−NH(CH2)2OCO(CH2)8CO−
−O(CH2)3NHCO(CH2)8CO− or
PEA-pr
−NH(CH2)3OCO(CH2)8CO−
−O(CH2)4NHCO(CH2)8CO− or
PEA-bu
−NH(CH2)4OCO(CH2)8CO−
−O(CH2)6NHCO(CH2)8CO− or
PEA-es
−NH(CH2)6OCO(CH2)8CO−
In the synthesis of PEA1, described as an example, a threenecked flask, equipped with an agitator, a condenser, a
thermometer, and a gas introduction tube was charged with
4.04 g (0.02 mol) of sebacic acid, 1.22 g (0.02 mol) of 1,2-
amino ethanol and 0.016 g (4 × 10-5 mol) of tin(II) 2ethylhexanoate. The flask was placed in a silicone oil bath
and the temperature was raised to 160°C and the mixture
was kept, under nitrogen atmosphere, at this value for 30
minutes. Reaction was then continued, under nitrogen
atmosphere, at 180°C for 3 hours.
Chain-linking polymerization of low molecular weight
polymers (PEA4, PEA-pr, PEA-bu, PEA-es) was carried
out in a three-necked flask equipped with an agitator, a
thermometer, with nitrogen inlet and outlet tubes for
nitrogen
atmosphere,
using
1,6-hexamethylene
diisocyanate (HMDI) as a chain extender. The
polymerizations were carried out at 180-200 °C, from 30
minutes up to 3 hours. Typically, 1 g of the dried
prepolymer powder was charged into the reactor, the
temperature was raised 5-10°C above the melting
temperature. After the prepolymer was completely
molten, the chain extender was added.
Polymer samples were characterized by viscometry,
differential scanning calorimetry (DSC), thermo gravimetric
analysis (TGA), matrix-assisted laser desorption ionizationtime-of-flight/time-of-flight (MALDI-TOF/TOF) mass
spectrometry, MALDI-TOF/TOF-MS/MS, 1H-NMR and
13
C-NMR.
In Table 2 are listed the properties of the poly(ester amide)s
synthesised and of two commercial biodegradable
polyesters (Bionolle 1001 and 3001, a poly(butylene
succinate) homo-polymer and a poly(butylene succinate-cobutylene adipate) 80/20 co-polymer, respectively).
Tab. 2: Properties of the polymer samples
Tm (°C)
ηsp (dl/g)
0.62
110
PEA1
0.53
106
PEA2
1.12
110
PEA3
0.18
114
PEA4
1.46
111
PEA4 HMDI2
0.70
113
PEA4 HMDI3
1.16
109
PEA4 HMDI4
0,36
97
PEA-pr
0.70
93
PEA-pr HMDI
0.16
108
PEA-bu
0.90
106
PEA-bu HMDI
0,14
101
PEA-es
0.80
104
PEA-es HMDI
0.47
96
Bionolle 3001
0.84
113
Bionolle 1001
∆H (J/g)
41
43
35
47
46
49
49
56
33
46
42
59
35
62
89
Reduced viscosities of the synthesized poly(ester
amide)s, chain-linked and not, ranged from 0.53 to 1.46
dL × g-1. MALDI-TOF/TOF-MS/MS gave structural
information about the ester and amide bonds sequences
- 405 -
XVIII Convegno Italiano di Scienza e Tecnologia delle Macromolecole, Catania 16-20 settembre 2007
e
c
(a)
at
a
d
b
i e
at
10
u
u
u
3.6
3.2
2.8
ppm
2.4
2.0
1.6
1.2
0.8
Figure 1. 1H-NMR spectra of (a) PEA4 and (b) PEA4
HMDI2
Biodegradation tests were carried out at 30 ± 0.1°C,
under moisture controlled conditions. Triplicate
specimens of each poly(ester amide) and polyester film
were placed in a series of darkened vessels containing a
multi-layer substrate (Scheme 1).2
PERLITE (wet)
60 g perlite +
120 mL dist.
water
MIX: m illed dry perlite + soil + dist. water
Polymer film
MIX: m illed dry perlite + soil + dist. water
200 g mixed soil +
100 g milled perlite +
100 mL dist. water
PERLITE (wet)
Net
Grate
AIR
Bionolle 3001
PHB
Figure 2. Comparison of weight losses for high
molecular weight poly(ester amide)s, PHB and P(HB-coHV) 76/24, PCl and Bionolle samples in soil burial tests
(30 days).
(b)
3,33 ppm
4.0
PEA1
0
NH(CH 2 )2OCONHCH 2 (CH 2 )4 CH 2 NHCOO(CH 2 )2 NH
4.4
30
20
c
3,85 ppm
4.8
40
Bionolle 1001
f
PCL
g
P(HB-co-HV) 76/24
g
NHCH 2 CH 2OH
50
PEA-es HMDI
h
f, g, h
n
PEA4 HMDI2
i
60
PEA-bu HMDI
d
70
PEA3
a
80
PEA-pr HMDI
b
90
PEA 2
NH-CH2-CH2-O-CO-CH2-CH2-CH2-CH2-CH2-CH2-CH2-CH2-CO
with 120 mL of distilled water. Perlite was added for
increasing the amount of water retained and aeration to
the soil. A flow of moistened air was supplied from the
bottom of each vessel every 24 hours for 15 minutes.
The films were removed after intervals of 5, 10, 15, 30
and 45 days, brushed softly, washed with distilled water
several times and dried under vacuum in the presence of
P2O5 at room temperature, to constant weight. The
degree of biodegradation was evaluated as the weight
loss divided by the initial sample weight.
Weight loss (%)
in PEA, showing that during the synthesis ester/amide,
ester/ester and amide/amide units are produced in a
random sequence.1
The chemical structures of chain linked poly(ester
amide)s were studied and the polymerization influence
of carboxyl-, amino- and hydroxyl-reactive end groups
of prepolymers with the chain extender was investigated
with the employ of NMR and MALDI/TOF. Figure 1
shows the 1H-NMR spectra of (a) PEA4 and (b) PEA4
HMDI2 with the corresponding assignments. 1H-NMR
signals at 3.85 ppm (Figure 1a), belonging to methylene
groups linked to alcoholic terminal groups, are not
detected after the chain extension reaction and new
signals at 3.33 ppm (Figure 1b) reveal the presence of
urethane bonds in the polymer chains.
S6 P55/18
Water
Scheme 1. Representation of the soil burial degradation
test apparatus.
The polymer films (2 × 2 cm; initial weight 20 ÷ 100
mg) were sandwiched between two layers of a mixture
of milled perlite (100 g) and of commercial soil (200 g),
moistened with 100 mL of distilled water. The bottom
and top layers were filled with 60 g of perlite moistened
In Figure 2 the weight loss (30 days), obtained in the
controlled soil burial degradation tests, of the poly(ester
amide)s and polyesters investigated are compared,
including poly(3-hydroxy butyrate), PHB, poly(3-hydroxy
butyrate-co-3-hydroxy valerate) 76/24, P(HB-co-HV) 76/24
and poly(caprolactone) (PCL). PHB and Bionolle 3001
show the higher biodegradation rate. Among the poly(ester
amide)s, the PEA1 sample appears more susceptible to
biodegradation and the corresponding weight loss
percentage is higher than that of P(HB-co-HV) 76/24 and
PCL. Chain-extended poly(ester amide)s, except for PEAes HMDI, biodegrade too, and their weight losses extend
from 18 to 30 %.
Conclusions
High molecular weight aliphatic poly(ester amide)s
derived from sebacic acid and amino-alcohol were
obtained successfully by two methods of synthesis. Good
filmability was achieved for the poly(ester amide)
samples. Film samples were subjected to soil burial
degradation test and the relative weight loss were
compared. The results indicate that the poly(ester
amide)s synthesized and analyzed show quite
satisfactory biodegradation levels. As expected PHB
shows excellent soil burial degradation, surprisingly it is
comparable to Bionolle 3001.
References
1. P. Rizzarelli, C. Puglisi, G. Montaudo, Rapid
Commun. Mass Spectrom., 19, 2407 (2005)
2. P. Rizzarelli, C. Puglisi, G. Montaudo, Polym.
Degrad. Stab., 85, 855 (2004)
- 406 -
S6 P57/18
XVIII Convegno Italiano di Scienza e Tecnologia delle Macromolecole, Catania 16-20 settembre 2007
STUDIO DELLE REAZIONI DI GLICOLISI PER IL RICICLO CHIMICO DI
POLIURETANI ESPANSI
L. Brancaleoni1, E. Busatto1, G. Ferrari2, S. Rossetti1, M. Scoponi1
ISOF-CNR Sezione di Ferrara, Dipartimento di Chimica, Università di Ferrara, Via L. Borsari 46, 44100 Ferrara;
2
A.P.M. S.r.l., Via Borsari, 46 – 44100 Ferrara; e-mail: [email protected]
1
Introduzione
Numerosi materiali polimerici possono essere espansi
per formare manufatti che trovano impiego come isolanti
grazie alla loro bassa densità, conduttività termica e
buona resistenza all’usura. I materiali polimerici espansi
(schiume) possono essere formati sia con polimeri
termoplastici che con quelli termoindurenti. Le schiume
termoplastiche possono essere rilavorate a caldo in
estrusore, mentre quelle prodotte con polimeri
termoindurenti sono generalmente molto reticolate e
quindi difficilmente riciclabili. Infatti i convenzionali
processi di riciclo meccanico, di solito utilizzati con i
polimeri termoplastici, non possono essere applicati con
le schiume poliuretaniche. Oggi sono prevalentemente
usati per la produzione delle schiume poliuretaniche
agenti espandenti di tipo fisico, per esempio gli
idrocarburi alifatici come l’isopentano, il propano e ecc
da -40° a +45°C, in alternativa ai CFC, il cui uso è
vietato perché dannosi per l’ambiente. Pertanto la grande
diffusione delle schiume poliuretaniche (PUF) come
materiali isolanti impone il riciclo di questi materiali per
evitarne l’accumulo nell’ambiente. Le PUF sono in
generale classificate come: rigide, semi-rigide e flessibili
in base alla loro composizione, morfologia cellulare,
grado di reticolazione ecc. Il riciclo delle schiume rigide
o semi-rigide prevede un trattamento di macinazione, in
cui avviene il recupero dell’agente espandente e il
successivo riciclo chimico (1).
I processi di riciclo chimico di questi materiali
prevedono reazioni di idrolisi, glicolisi (o idroglicolisi)
ad alta temperatura, utilizzando come agente idrolitico
rispettivamente acqua o glicoli (o miscele di glicoli) per
demolire le strutture altamente reticolate di questi
materiali. Questi processi di riciclo prevedono inoltre il
recupero dei polioli in eccesso, che possono essere
riutilizzati nei processi di produzione delle PUF. In
precedenti studi (2) è stato dimostrato che la glicolisi
porta anche alla formazione sia di oligomeri, con
terminali di catena formati da gruppi idrossilici, sia di
prodotti indesiderati e tossici, come le ammine
aromatiche o alifatiche. Scopo del riciclo chimico è
quello di ottenere glicoli o miscele di glicoli che possono
essere di nuovo miscelati con le materie prime per la
produzione delle PUF. Questa metodologia attualmente è
applicata per la produzione del
poliuretano
microcellulare, utilizzato nel settore delle calzature e in
quello automobilistico con la tecnologia (RIM), che
porta alla formazione di schiume (semi)rigide. Invece i
prodotti di glicolisi di schiume flessibili trovano un largo
impiego nella sintesi di polioli per reazione con diglicidiletere (3).
In questo lavoro sono state studiate le reazioni di
glicolisi di PUF ricavate dalla macinazione di schiume
rigide provenienti dal riciclo di elettrodomestici a fine
vita. Le reazioni di glicolisi sono state studiate in
funzione dei diversi tipi di glicoli e di catalizzatori di
transesterificazione. La miscela generata dalla glicolisi è
stata trattata sia con acriloilcloruro che con glicidilacrilato per ottenere una miscela reattiva da utilizzare
nella produzione di materiali polimerici termo- e fotoindurenti.
Risultati
Caratterizzazione chimico-fisica, morfologica e termica
delle PUF. La caratterizzazione chimico-fisica,
morfologica e l’analisi termica è stata condotta su un
campione di schiuma macinata rispettivamente con
misure di densità, microscopia elettronica a scansione
(SEM) e con termogravimetria (TGA) per il studio del
comportamento in condizioni di pirolisi.
Reazioni di glicolisi La reazione di glicolisi, riportata
nello schema I, è stata condotta in un intervallo di
temperature compreso tra 160 e 200 °C, utilizzando il
glicole etilenico (EG) e il glicole dipropilenico (DPG). I
catalizzatori sono stati aggiunti in quantità comprese tra
il 2% e il 5% rispetto al peso della PUF. La schiuma
rigida, precedentemente macinata, è stata aggiunta
lentamente in un reattore alla temperatura di reazione,
contenente il glicole e il catalizzatore per facilitarne la
sua completa dissoluzione. Per evitare la formazione di
prodotti di ossidazione la reazione di glicolisi è stata
condotta in presenza di atmosfera inerte (N2) e seguita
nel tempo con spettroscopia 1H NMR e cromatografia
GPC. Nella miscela di reazione sono stati identificati
polioli e oligomeri di polieteri e di poliuretani.
N
H
O
O
R'
O
HO
R'
O
O
N
H
O
R
N
H
OH
N
H
T = 160-200°C
N
H
H
+ HO
R'
OH
+
H
N
O
O
R
OH
con : R' : (CH2) 2, CH 2-CH(CH 3), CH(OH)
R : (CH 2)2, (CH2)O(CH 2); (CH 2)3 O(CH 2)3
Schema I. Principali prodotti ottenuti nella reazione di glicolisi di PUF
Come sottoprodotto di reazione si ottiene la 4-4’metilendianilina (MDA), di-ammina aromatica con
elevato grado di tossicità, che si forma dalla reazione
secondaria di idrolisi, promossa dall’acqua normalmente
presente nei glicoli utilizzati (o per l’umidità presente
nelle schiume). La reazione di glicolisi dipende : i) dalla
granulometria della schiuma; ii) dal tipo di glicole
utilizzato; iii) dal tipo di catalizzatore utilizzato; iv) dalla
temperatura di reazione; v) dal rapporto (in peso) tra la
schiuma e il glicole utilizzato.
- 407 -
S6 P57/18
XVIII Convegno Italiano di Scienza e Tecnologia delle Macromolecole, Catania 16-20 settembre 2007
Il tipo di glicole utilizzato gioca un ruolo molto
importante nella reazione. Infatti, usando EG o DPG, è
stato notato che con quest’ultimo i tempi di reazione
risultano essere inferiori a quelli con EG. Inoltre è stato
osservato che anche la dissoluzione della PUF migliora
con glicoli come il DPG. Quindi la glicolisi in presenza
di catalizzatori di transesterificazione è molto influenzata
dall’effetto solvente del glicole nei confronti delle PUF
macinate durante la reazione di glicolisi (3). In queste
condizioni, generalmente, si origina un’unica fase,
poiché i glicoli usati sono molto solubili nella miscela di
reazione delle PUF.
In assenza di catalizzatore sono stati raggiunti tempi per
la dissoluzione, dovuta alla frammentazione delle catene
reticolate delle PUF, superiori alle 24 ore. In queste
condizioni è stato osservato che aumentano i prodotti di
idrolisi, che portano alla formazione di ammine
aromatiche e/o di oligomeri con terminali amminici.
Invece con la maggior parte dei catalizzatori studiati per
la reazione di glicolisi si ottiene la completa dissoluzione
delle PUF in un tempo di reazione di 1-3 ore. Sono stati
utilizzati catalizzatori come il dibutil-stagno-dilaurato, 2etil-esil-titanato e dibutil-stagno ossido.
Il rapporto ponderale schiuma/glicole è stato mantenuto
ad un valore ottimale di ca 0.5 per evitare lunghi tempi
di reazione. I prodotti ottenuti dalle reazioni di glicolisi
sono stati caratterizzati con spettroscopia 1H-NMR e
cromatografia a permeazione di gel (GPC).
Tabella I Risultati della caratterizzazione con GPC e 1H
NMR dei prodotti di glicolisi
Reazione
Mn
Mw
Mp
IPD
(dalton)
(dalton)
(dalton)
A2
249
427
358
1.71
A4
150
307
348
2.04
A5
186
334
351
1.80
A1
A3
277
153
453
265
361
117
1.64
1.73
E’ stato osservato che i prodotti di glicolisi, sono
indipendentementi dal glicole usato e dalle condizioni di
reazione scelte, presentano pesi molecolari con valori di
Mw compresi tra 250 e 470 g/mol e una polidispersità
minore di 2.04 (vedi Tabella I).
L’analisi degli spettri 1H-NMR suggerisce che nella
miscela di reazione sono presenti oligomeri
poliuretanici, ma con gruppi terminali aventi sia gruppi
amminici che ossidrilici. Nelle condizioni di reazione
sopra riportate non è stata rilevata la presenza della 44’metilendianilina. La titolazione dei gruppi terminali è
stata condotta con il metodo riportato in ref. (2).
Reazioni di funzionalizzazione degli oligomeri ottenuti
per glicolisi di PUF. I gruppi terminali delle catene degli
oligomeri ottenuti per glicolisi sono stati funzionalizzati
con gruppi acrilici. La reazione di acrilazione è stata
ottenuta con una reazione sui terminali di catena con
gruppi amminici e ossidrilici con: a) acriloil cloruro
(vedi Schema II); e b) con glicidilmetacrilato (vedi
Schema III).
1
R-NH2 + R -OH
con :
+
O
R2
O
R=
R2
HO
O
OH
O
Cl
0°C, CHCl3
N
H
+
O
O
O
R1 +
H
N
R1 =
N H2
N
H
R
O
O
O
R3
R2
O
O
OH
R 2 : (CH2 )2, CH 2 -CH(CH 3), CH(OH)
R 3 : (CH2 )2, (CH 2)O(CH 2); (CH2 )3O(CH 2 )3
Schema II.
R-NH2
+ R1-OH
con :
2
+ R
HO OH
R : R 2O
O
2
N
H
Reazione di acrilazione con cloruro di acriloile
O
O
O
0°C, CHCl3
O
O
NH 2
R
N
OH H
R1 =
+
O
O
R1 +
OH
H
N O R 3 OH
O
O
O
OH
R2
O
O
OH
R : (CH2)2, CH2-CH(CH3), CH(OH)
R3 : (CH2)2, (CH2)O(CH2); (CH2)3O(CH2)3
Schema III. Reazione di acrilazione con glicidilacrilato (GA)
Gli oligomeri funzionalizzati con gruppi acrilati sono
stati utilizzati con successo come diluenti reattivi nella
polimerizzazione fotoiniziata e termo-iniziata di miscele
polimerizzabili
contenenti
resine
epossiacrilate
commerciali.
Conclusioni
Sono state studiate le reazioni di glicolisi di PUF con due
diversi glicoli (EG e DPG) e in entrambi i casi è
conveniente mantenere un rapporto schiuma/glicole non
superiore a 1:2. Queste reazioni sono molto efficienti
per ottenere la scissione delle catene poliuretaniche
reticolate che costituiscono le schiume rigide di PU. Gli
oligomeri ottenuti sono stati funzionalizzati con gruppi
acrilati e è stato studiato con successo il loro utilizzo
come diluenti reattivi per la preparazione di materiali
polimerici termo- e foto-indurenti.
Riferimenti
1.
2.
3.
4.
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K.C. Khemani, Polymeric Foams, ACS Symp Ser.
N°669, Orlando (Fl), 1997, chap.1
Chao-Hsiung Wu, Ching-Yuan chang et al.,
Polymer Degradation and Stability, 80, 103-111
(2003)
Joo Yeol Lee, Dukjoon Kim, Journal of Applied
Polymer Science,77, 2646-2656 (2000)
M. Murai, M. Sanou, Journal of Cellular Plastics,
39, 15-27, (2003).
XVIII Convegno Italiano di Scienza e Tecnologia delle Macromolecole, Catania 16-20 settembre 2007
S6 P58/18
CONSOLIDAMENTO DI TUFO GIALLO NAPOLETANO CON LA TECNICA DELLA
POLIMERIZZAZIONE FRONTALE
G. Caria1, A. Mariani1*, S. Bidali1, P. Cappelletti2, A. Colella2
Dipartimento di Chimica e Unità Locale INSTM, Università di Sassari, Via Vienna 2, 07100 - Sassari, Italia;
Fax (+39) 079212069; [email protected]
2
Dipartimento di Scienze della Terra, Università Federico II, Via Mezzocannone 8, 80134 Napoli, Italia.
1
Introduzione
La Polimerizzazione Frontale (FP) è una tecnica di
preparazione di materiali polimerici che consiste
nell’innescare la reazione di polimerizzazione stessa in
una zona localizzata del reattore [1]. Se la reazione è
sufficientemente esotermica e il calore dissipato non è
eccessivo, la quantità di energia rilasciata può essere in
grado di indurre la polimerizzazione dello strato di
monomero a contatto con la zona interessata alla
reazione. Il risultato è la formazione di un fronte caldo di
polimerizzazione in grado autosostenersi e di propagarsi
lungo tutto il reattore convertendo il monomero in
polimero. L’uso di materiali polimerici per la
conservazione e il consolidamento di materiali porosi
quali pietre, cementi e legni sta ottenendo un’attenzione
sempre più ampia. L’uso di tecniche di questo tipo per il
consolidamento di manufatti di interesse storico e
artistico e per altri tipi di strutture è stato comunque
oggetto di parecchi studi di ricerca. In particolare, è stato
dimostrato che sottoporre dei marmi ad impregnazione
con polimeri ne migliora le proprietà fisico-meccaniche
e riduce le capacità deterioranti degli agenti atmosferici.
In molte regioni italiane, e in modo particolare in
Campania, una buona parte delle vecchie case e dei
monumenti sono state costruite con il Tufo Giallo
Napoletano (TGN). L’invecchiamento di queste pietre,
specialmente in prossimità delle zone costiere, si
manifesta con un detrimento delle proprietà fisiche che
può portare anche a uno sgretolamento. Per ovviare ai
problemi di erosione e di deterioramento, ancora oggi
uno dei metodi utilizzati nel trattamento dei lapidei con
polimeri prevede l’utilizzo di materiali termoplastici,
solubili in opportuni solventi. Queste soluzioni
polimeriche vengono spalmate sulla superficie della
pietra in esame allo scopo di farle penetrare all’interno
del materiale da consolidare. Dopo l’evaporazione del
solvente, il risultato è comunque spesso poco
soddisfacente. Ciò è dovuto al fatto che le soluzioni di
macromolecole sono generalmente molto viscose e
quindi con un scarso potere penetrante. Questa limitata
penetrabilità è anche dovuta in gran parte alle notevoli
dimensioni delle macromolecole, spesso maggiori di
quelle dei pori. Una delle soluzioni adottate per superare
questi inconvenienti, prevede l’utilizzo di monomeri
liquidi poco viscosi, assorbibili per capillarità dalle
pietre, ed una successiva polimerizzazione mediante
riscaldamento del campione imbibito col monomero più
adatto. Nel 1981 Nicolais et al. [2] investigarono con
successo la possibilità di impregnare, in assenza di
solventi, delle particolari specie di tufo con una miscela
di monomeri acrilici per poi provocarne la
polimerizzazione. I compositi così realizzati esibirono
proprietà meccaniche migliorate senza la formazione di
effetti di creep. L’approccio dell’impregnazione,
sicuramente più versatile, rimane tuttavia di difficile
adattamento qualora si volesse applicare a manufatti di
grosse dimensioni per i quali è improponibile un
riscaldamento prolungato come quello che avviene sui
campioni di laboratorio. L’abbinamento della tecnica
della FP al consolidamento dei materiali porosi si
propone come una promettente via alternativa. Inoltre
questa consente di operare con tempi decisamente più
ristretti rispetto alle altre tecniche, con un apporto di
energia esiguo e senza la necessità di dover attendere
l’evaporazione di solventi.
Risultati
In questo lavoro è stato portato a termine con successo
uno studio riguardante il consolidamento di pietre di
TGN mediante FP in situ usando il poli(1,6esandiolodiacrilato). Tutti i campioni sottoposti ad
impregnazione per capillarità sono riusciti ad assorbire
totalmente la quantità di miscela monomerica a
disposizione. Sono state eseguite micrografie SEM sia
sulla matrice che sulla pomice che costituisce il TGN.
Come atteso, la matrice dei campioni trattati mostra la
fine dispersione tra fase cristallina e polimeri, mentre lo
stesso comportamento non è altrettanto evidente per la
pomice. Le prove di porosità ai vapori di mercurio sui
campioni trattati hanno rivelato una netta diminuzione
nei valori di porosità. La resistenza alla forza di
compressione monoassiale per i campioni trattati è circa
il triplo rispetto a quella dei campioni originali. Inoltre,
sulle polveri dei campioni di TGN, sono state anche
condotte delle analisi di diffrazione ai raggi X (XRPD).
Conclusioni
Sono state studiate tutte le possibili variazioni dei
principali parametri indicati dal protocollo Normal al
fine di verificare le capacità protettive e consolidanti del
materiale polimerico. È stato riscontrato come il
consolidamento determini una netta variazione in tali
parametri, indicando ancora una volta che la FP è una
tecnica versatile e di relativa semplice applicazione per il
consolidamento dei materiali porosi.
Riferimenti
[1] A. Mariani, S. Fiori, S. Bidali, G. Malucelli, L.
Riccio, Macromol. Symp., 218, 1 (2004)
[2] S. Aurisicchio, A. Finizio, G. Maglio, L. Nicolais, G.
Pierattini; Composites, 12, 27, (1981)
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