Sermone Luca 2:1-14 Care sorelle e cari fratelli, la nascita di Gesù è

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Sermone Luca 2:1-14 Care sorelle e cari fratelli, la nascita di Gesù è
Sermone Luca 2:1-14
Care sorelle e cari fratelli,
la nascita di Gesù è, naturalmente, l’evento centrale del vangelo dell’infanzia e Luca tratta l’argomento
con ricchezza di particolari.
Sono presenti riferimenti storici e geografici quali il cenno al censimento e alla città di Betlemme; sono
presenti riferimenti alla figura di Gesù: l’appartenenza di Giuseppe alla discendenza di Davide, i titoli
usati dall’angelo nel presentare Gesù: “salvatore”, “Cristo Signore”; sono presenti, ancora, motivi tipici
del pensiero di Luca: la mangiatoia, l’annuncio ai pastori, il segno del bambino nella mangiatoia.
Uno dei dati che più hanno dato filo da torcere agli studiosi è il censimento; censimento che viene
presentato come riguardante l’intero territorio dell’impero.
Esistevano i censimenti universali che servivano a valutare il numero di cittadini romani abitanti nei
territori dell’impero e censimenti locali il cui scopo era stabilire il gettito in termini di tasse di una
regione particolare.
L’ordine di registrarsi presso il luogo di origine della famiglia non era comune, ne abbiamo notizia,
però, per un censimento in Egitto, indetto un centinaio di anni dopo, per il quale si ordina a tutti di
tornare nel proprio luogo di origine; dovremmo pensare, se il tutto ha fondamento storico, che
Giuseppe conservasse la proprietà di qualche bene immobile a Betlemme.
La comune opinione tra gli studiosi, tuttavia, è che non si deva prendere come dato storico il
riferimento al censimento.
Luca vi avrebbe fatto cenno (al censimento), per inserire il racconto della nascita di Gesù nell’ambito
della storia universale e per giustificare la nascita di Gesù, noto come il Nazareno, a Betlemme; luogo
di origine del Messia secondo ciò che si attendeva.
L’Evangelista voleva, dunque, difendere la figura di Gesù dalle contestazioni che venivano da parte dei
Giudei, che non lo riconoscevano come Messia, in primo luogo perché non era nato a Betlemme.
Qualche pur minimo appiglio per rivendicare almeno una discendenza da Davide di Gesù, però, doveva
esserci se nei Vangeli di Matteo e Luca troviamo due genealogie, peraltro non coincidenti, che portano
da Giuseppe a Davide; ricorderete anche la convocazione dei due nipoti di Giuda, fratello di Gesù, da
parte dell’imperatore Domiziano sul finire del I secolo per ascoltarli su eventuali loro rivendicazioni
dinastiche.
Al tempo della prima lettera a Timoteo e di quella a Tito, probabilmente l’inizio del secondo secolo
dopo Cristo, queste discussioni sulla genealogia di Gesù dovevano essere accese, se l’autore,
fondandosi sull’autorità di Paolo, invita i credenti a … non occuparsi di favole e di genealogie senza
fine, le quali suscitano discussioni invece di promuovere l'opera di Dio, che è fondata sulla fede
(1Timoteo 1:4).
L’ammonimento è, anche per noi, a non voler cercare appigli storici, o presunti tali, per giustificare ciò
che solo la fede può dimostrare a sé stessa; non sarà la constatazione che i vangeli dell’infanzia non
sono racconti storici a mettere in discussione una fede autentica e profonda.
La nascita di Gesù, il compimento dei giorni del parto, avviene mentre Giuseppe e Maria sono là, a
Betlemme, non mentre vi stanno arrivando.
Sono frutto di fantasia, dunque: la gran folla a Betlemme, la mancanza di posto in un albergo, la grotta
o la capanna adibita a stalla, l’asino e il bue.
Si tratta di una stanza piccola, forse presso amici o conoscenti, che, oltre a magazzino per gli attrezzi,
poteva fungere da rustica “stanza per gli ospiti”.
Facile che, tra gli attrezzi, si trovasse un cesto di vimini, nel quale si metteva il fieno o la paglia per dar
da mangiare all’asino; l’utilitaria dell’epoca; la mangiatoia diventa, in mancanza d’altro e soprattutto di
spazio la culla per il neonato, il piccolo viene collocato lì.
La mangiatoia sarà, per i pastori che accorreranno a vedere il bambino, un segno.
La mangiatoia ha, tuttavia, anche un valore simbolico: Gesù, il Messia, e in lui Dio stesso, si schierano
con gli ultimi, gli emarginati, i reietti; non solo: la mangiatoia si ricollega all’idea del re – pastore, cioè,
in definitiva, alla figura di Davide.
Gesù, anche nel racconto di Luca, deve essere nato, dunque, in un’abitazione, come tutti; essa è, però,
umile e povera, non conveniente a chi è destinato ad essere il Messia di Israele.
La scena rapidamente si sposta poco lontano: dove pernottano, all’aperto, alcuni pastori.
L’annuncio ai pastori segue quello a Zaccaria e a Maria; lo schema è lo stesso: ci vengono presentati i
personaggi, l’angelo appare, dà loro l’annuncio e indica il segno, una moltitudine di angeli appare,
infine, a confermare e a completare la visione, gli angeli si allontanano.
I pastori non sono i proprietari delle greggi; si tratta di semplici custodi cui era affidato il compito di
occuparsi del gregge e, in particolare, la sorveglianza notturna.
La scelta di portare l’annuncio per primi ai pastori è provocatoria, e non solo perché si tratta di gente
umile: oltre ad essere costantemente in stato di impurità per il continuo contatto con il bestiame che
custodiscono, avevano la fama di essere ladri e pronti alla lite e alla rissa; non potevano essere scelti né
come giudici né come testimoni; rappresentavano, insomma, il gradino più basso della società antica.
Gesù già con la sua nascita, e poi con la sua vita, dimostra di stare dalla parte degli ultimi, di quelli che
gli altri emarginano ed evitano.
Forse oggi sarebbe amico di certi stranieri, che facciamo fatica a non guardare con un po’ di sospetto, a
giudicare a priori pericolosi e inaffidabili, ad evitare se possiamo.
La “gloria del Signore” che avvolge i pastori è segno che accompagna il farsi presente di Dio: essa
investe e permea gli angeli e coloro che abitualmente vivono alla sua presenza: essi, in qualche modo,
la “riflettono” un po’ come per Mosè mentre scendeva dal Sinai.
I pastori sono presi da “grande timore” poiché percepiscono la presenza di Dio, visibile come splendore
che illumina la notte, e comprendono che l’apparizione appartiene alla sfera del divino, che nell’angelo
seppur indirettamente è Dio stesso che si avvicina a loro e a loro parla.
Al timore dei pastori l’angelo risponde con la rassicurante esortazione che già abbiamo sentito
rivolgere a Maria: “Non temete”.
Alla rassicurazione segue l’annuncio: si tratta di una grande gioia; non di una cosa che deve avvenire
che è già realtà: ai pastori viene rivelato il luogo e il tempo: il luogo è Betlemme, la città di Davide,
vicino a loro come vicino è il tempo: oggi.
Particolare è l’epiteto Cristo-Signore: Signore è il titolo che la primitiva comunità attribuisce a Gesù
Se la comunità cristiana afferma che Gesù il Cristo è il Signore, l’angelo ci costringe a percorrere la
strada il senso opposto: il Cristo tanto atteso, che sarà il Signore glorificato dopo la sua resurrezione,
altri non è che quel bambino appena venuto alla luce nella città di Betlemme: Gesù.
Gesù, Cristo Signore è anche il Salvatore: in lui, in Gesù Cristo, Dio salverà Israele e il mondo intero,
ma in un modo paradossale e scandaloso.
Natale si collega, così, idealmente a Pasqua: paradosso e scandalo sono anche nel segno che viene dato
ai pastori: il Messia, il Cristo, il Signore, il Salvatore, è un bambino posto in una mangiatoia.
Il re Messia ha come culla una mangiatoia, avrà come trono la croce e, come corona, una corona di
spine, sarà un Messia vittorioso nell’umiliazione e nella sofferenza.
Come in un gran finale l’esercito celeste appare ai pastori e loda Dio: «Gloria a Dio nei luoghi
altissimi.
Per un breve istante la dimensione che Dio abita diventa visibile ai pastori, come lo era stata ai profeti
nelle loro visioni.
La visione conferma l’annuncio dell’angelo; non un solo angelo, ma una moltitudine di angeli si
presenta ai pastori; il cielo scende in terra, in Gesù, nel bambino deposto nella mangiatoia Dio si fa
presente all’uomo.
La conclusione dell’annuncio è una benedizione: pace in terra agli uomini ch'egli gradisce!»
Non si tratta, dunque, di “uomini dalla retta volontà”; non si riferisce alla bontà degli uomini e delle
donne, ma alla bontà e alla benevolenza di Dio che, proprio in Cristo, si rivela costante e fedele,
nonostante i limiti dell’uomo e la sua infedeltà.
Certo occorre che gli uomini sappiano di essere oggetto della benevolenza di Dio e che sentano, in sé,
di averne bisogno; difficilmente chi è convinto della propria giustizia ed autosufficienza si aprirà alla
benevolenza divina, la sua presunzione lo condurrà auto-escludersene.
A voi tutti, sorelle e fratelli, l’augurio che la grande gioia dell’annuncio angelico riempia il vostro
cuore e che vi sentiate parte della benevolenza che Dio ha dimostrato in Cristo al mondo; non solo
oggi, ma in ogni giorno e istante della vostra vita: per chi, crede Natale è sempre. AMEN