Professor Lorenzo Gaeta

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Professor Lorenzo Gaeta
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«LA TERZA DIMENSIONE DEL DIRITTO»: LEGGE E CONTRATTO COLLETTIVO NEL
NOVECENTO ITALIANO
di Lorenzo Gaeta
SOMMARIO: 1. Una cronistoria. - 2. L’alba dell’industrializzazione: la “legge” contro il contratto collettivo. - 3. A cavallo dei due secoli: il pragmatismo fragile dei probiviri. - 4. La concettualizzazione dei primi anni del Novecento: una
legge per il contratto collettivo? - 5. Il primo tentativo fallito. - 6. 1907, un anno particolare: due impostazioni nuove e
la prima (semisconosciuta) legge. - 7. Gli anni Dieci: la rinuncia alla legge e la soluzione “negazionista”. - 8. I “ruggenti” anni Venti: il corporativismo prima del corporativismo? - 9. 1923: il primo vero incontro tra legge e contratto collettivo. - 10. Le “cose nuove” della legge del 1926. - 11. Il contratto collettivo fascista: pubblicistico, corporativistico o
privatistico? - 12. Il contratto collettivo fonte nel codice del ritorno al diritto privato. - 13. I due contratti collettivi del
Regno del sud. - 14. Le “norme per la disciplina dei rapporti collettivi di lavoro” della Repubblica sociale. - 15. Quel
“pasticciaccio” (brutto?) dell’art. 39 della Costituzione. - 16. Il contratto collettivo “di diritto comune” nella “glossa ordinaria” di Santoro Passarelli. - 17. I rinvii al contratto collettivo negli anni Cinquanta. - 18. Il contratto collettivo “ricopiato” del 1959. - 19. Il nuovo rapporto tra legge e contratto collettivo dopo la rivoluzione dei tempi nuovi. - 20. La ripresa del principio del “favor” come criterio di ripartizione delle competenze. - 21. La legge del 1966 sui licenziamenti:
un contratto collettivo in maschera? - 22. La breve stagione del sostegno della legge al contratto collettivo. - 23. Le
nuove teorie civilistiche dei primi anni Settanta. - 24. La crisi e la svolta del 1977: l’inizio della fine dell’inderogabilità
unilaterale. - 25. I primi anni Ottanta: i disagi della dottrina e le gestioni “al ribasso”. - 26. La concertazione e lo sviluppo dei rinvii in deroga. - 27. La seconda metà degli anni Ottanta tra nuove teorie e nuovi progetti di legge. - 28. Anni
Novanta parte I: i salvataggi della contrattazione “in perdita”. - 29. Anni Novanta parte II: la contrattazione integrativa
come governo della flessibilità. - 30. A cavallo del nuovo millennio: teorie, ancora teorie. - 31. I rinvii del XXI secolo:
più deroghe peggiorative e meno gestione del mercato del lavoro. - 32. Due parole sulla difficile storia di oggi. - 33.
Una parola sull’impossibile storia di domani.
1. Una cronistoria
Questo percorso diacronico riguarda le relazioni tra due “cose”, la legge e il contratto collettivo,
tra di loro così lontane e così vicine. Lontane nella teoria generale delle fonti, pur nei momenti, recenti, in cui essa pare messa in crisi; vicine nell’“antimateria” dell’ordinamento di fatto dei rapporti
intersindacali, dove il concetto di fonte si trasforma, fino a trasfigurarsi. Negli anni, il loro rapporto
è vissuto in una insopprimibile dialettica tra questi due universi paralleli.
Anche perché il rapporto tra legge e contratto collettivo può seguire due distinti percorsi, che pure si intrecciano tra di loro1: il primo, relativo a ciò che di volta in volta la legge dice, non dice o si
desidera che dica sul contratto collettivo: quindi, del tutto interno all’atteggiamento ora più astensionistico ora più dirigistico del sistema statale nei confronti di quello “sociale”; il secondo, relativo
al ruolo giocato di volta in volta dalla legge e dal contratto collettivo nel determinare il contenuto
delle regole delle relazioni di lavoro, dove il rapporto di “naturale” prevalenza gerarchica della legge si stempera in svariati mix regolatori, ognuno governato da un’opzione di politica del diritto (e,
soprattutto nei tempi più recenti, non è affatto detto che l’eventuale preponderanza della contrattazione sulla legge sia sempre indice di trattamento “più favorevole” per i lavoratori).
In ogni caso, il contratto collettivo mette subito in crisi le usuali categorie giuridiche: esso, per il
diritto, non è certo parificabile alla legge; al più, in un certo momento, ne avrà l’«anima» ma mai il
«corpo» (la frase di Francesco Carnelutti2 è tanto famosa che ormai tra poco la troveremo nei Baci
Perugina); ma è qualcosa in più di un semplice contratto. Qualcosa che non è più mera manifestazione di autonomia privata ma non è ancora incarnazione di una potestà pubblicistica: una «terza
dimensione del diritto». La definizione è di due padri nobili del nostro diritto del lavoro, che, in due
contesti storico-giuridici del tutto differenti, hanno usato esattamente le stesse parole per esprimere
la medesima situazione di incertezza: sarà questo un filo conduttore dell’indagine, che propone una
1
Un’osservazione analoga in L. Mariucci, La contrattazione collettiva, Bologna, Il Mulino, 1985, p. 301 ss.
F. Carnelutti, Contratto collettivo, in DL, 1928, p. 184; Id., Teoria del regolamento collettivo dei rapporti di lavoro, Padova, Cedam, 1928, p. 108.
2
2
rassegna di queste tormentate «intersezioni»3, fatta col taglio della cronistoria, cercando di seguire il
più possibile un percorso di “storia delle idee”. Essa non prenderà in considerazione, per le sue
troppe peculiarità, il «masso erratico» costituito dal contratto collettivo «inautentico» del lavoro
pubblico4. Con la palese avvertenza che l’analisi più propriamente storico-critica scemerà, a vantaggio di un approccio più cronachistico, man mano che ci si avvicinerà al presente; è difficile fare
storia se manca il necessario distacco temporale: quando si cerca di vedere un oggetto vicino con
lenti da presbite, tutto ci appare sfrangiato e confuso.
2. L’alba dell’industrializzazione: la “legge” contro il contratto collettivo
Nel 1873, in una Roma da poco diventata capitale del Regno, dove quindi fervono importanti lavori edilizi e iniziano a prosperare i primi “palazzinari” ante litteram, l’appena costituitasi società
dei muratori e dei manovali scrive al sindaco perché si adoperi per fare da mediatore rispetto a un
accordo con i padroni sulle tariffe e l’orario di lavoro. Allarmato, il ministro degli interni intima al
prefetto della capitale di stroncare immediatamente l’associazione e l’iniziativa. L’autore della lettera, Osvaldo Gnocchi Viani5, viene quindi prontamente arrestato per aver cospirato contro la sicurezza dello Stato6.
L’episodio, di certo non isolato, fotografa la posizione del contratto collettivo agli albori
dell’industrializzazione, e con ogni probabilità testimonia di un lungo periodo in cui il fenomeno è
in penombra e guardato con estrema diffidenza. Imperversa, del resto, l’esasperato atomismo giuridico proclamato dalla rivoluzione francese e confermato da tutti i codici liberali ottocenteschi: sono
inammissibili entità intermedie tra singoli e Stato, e contratti che non siano rigorosamente individuali. A ben considerare, dalla legge Le Chapelier sono passati solo pochi decenni!
3. A cavallo dei due secoli: il pragmatismo fragile dei probiviri
L’approccio del diritto nei confronti della nuova fattispecie è, quindi, difficile. Addirittura un noto esponente del “socialismo giuridico” chiede che la legge intervenga per «eliminare le coalizioni
degli operaj che ammazzano il movimento industriale il quale ricerca per il proprio sviluppo serenità, calma, persistenza, pace»7. Il contratto collettivo diventa, così, un ottimo paradigma della crisi
dello Stato liberale ottocentesco nei confronti degli interessi dei gruppi, riguardo ai quali non riesce
a prendere le giuste misure giuridiche8 (che non siano, appunto, quelle della repressione).
Il primo incontro del diritto “regolativo” col contratto collettivo avviene - come potremmo aspettarci9 - davanti ai probiviri10: uomini (e donne, non dimentichiamolo) che, da giudici “dilettanti”,
3
O. Mazzotta, Il diritto del lavoro e le sue fonti, in RIDL, 2001, I, p. 231.
Così U. Romagnoli, Il contratto collettivo, in DLRI, 2000, p. 255, che nella sua relazione al congresso Aidlass del
2000 tratta perciò a parte il contratto collettivo dei pubblici dipendenti.
5
F. Della Peruta, Osvaldo Gnocchi Viani nella storia del movimento operaio e del socialismo, Milano, Angeli,
1997.
6
C. Crocella, Dalle corporazioni alle società di mutuo soccorso (1860-1880), in F. Agostino, C. Brezzi, C.F. Casula, Movimento operaio e organizzazione sindacale a Roma (1860-1960), Roma, Editrice sindacale italiana, 1976, p. 23.
7
G. Vadalà Papale, Il codice civile italiano e la scienza, Napoli, Morano, 1881, p. 95.
8
C. Vano, Riflessione giuridica e relazioni industriali tra Ottocento e Novecento: alle origini del contratto collettivo di lavoro, in A. Mazzacane (a cura di), I giuristi e la crisi dello Stato liberale in Italia tra Otto e Novecento, Napoli,
Liguori, 1986, p. 132.
9
Parla di «incontro inatteso» P. Marchetti, L’essere collettivo. L’emersione della nozione di collettivo nella scienza
giuridica italiana tra contratto di lavoro e Stato sindacale, Milano, Giuffrè, 2006, p. 61, perché dai probiviri ci si attendeva la sola giurisdizione sulle controversie individuali.
10
Sul tema, ampiamente, M. Cappelletto, Per una storia del diritto del lavoro: il contratto collettivo e i probiviri, in
RTDPC, 1977, p. 1198.
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3
costruiscono a pezzi il futuro diritto del lavoro11, colmando le lacune - anzi, la voragine - del codice
civile sul contratto di lavoro individuale e collettivo. Difficilmente, però, riusciamo a trovare nelle
loro pronunce qualcosa di utile sul rapporto tra legge e contratto collettivo; il pragmatismo autoreferenziale delle magistrature industriali fa sì che esse non si occupino mai di problemi dogmatici come la natura del contratto collettivo e la sua collocazione nel sistema delle fonti. Esso è «confinato
nel recinto di un diritto minore»12, confuso con le consuetudini e i regolamenti di fabbrica.
Un’idea, però, comincia a passare, sia pure “sotto traccia”, quando qualche collegio afferma con «argomentazioni tecnicamente fragili»13, si dirà poi - che in materia di determinazione del salario la disposizione del contratto collettivo va applicata automaticamente, anche contro la divergente
pattuizione individuale14, perché in quel caso essa sarebbe espressione di un principio «di ordine
pubblico»15. L’affermazione - molto somigliante a quella che la giurisprudenza farà nel secondo
dopoguerra estendendo a tutti la parte salariale dei contratti collettivi16 - è però per quei tempi dirompente, tant’è che Enrico Redenti l’attacca con decisione, accusando le giurie di essere «cadute in
incertezza e contraddizione» se ritiene nulli i patti contrari al contratto collettivo, sostituiti automaticamente dalle sue disposizioni “inderogabili”, quasi fosse una norma di legge: non si può deformare il consenso delle parti individuali17. Redenti ritorna spesso su questo punto: l’attività dei probiviri è apprezzabile fin tanto che conferisce giuridicità a principi della prassi e dell’equità, che però
non violino in alcun modo il diritto vigente18. Proprio Lodovico Barassi ha da poco ribadito con
chiarezza il limite rigoroso imposto alle giurie, quello dell’assoluto rispetto «dell’odierno diritto
materiale»19. In una parola, i probiviri possono creare diritto, ma non diritto alternativo20.
Dietro la critica ai probiviri, il vero bersaglio di Redenti è però la ricostruzione di Philipp Lotmar, attaccato aderendo - una volta tanto - alle tesi appena proposte da Giuseppe Messina.
4. La concettualizzazione dei primi anni del Novecento: una legge per il contratto collettivo?
Redenti, Barassi, Messina: sono entrati in campo i grossi calibri della materia; per la verità, allora sono dei ragazzi poco più che venticinquenni, che si stanno esercitando nel nuovissimo campo
dei rapporti di lavoro. In ogni modo, è proprio in quegli anni che la materia del contratto collettivo
si stacca dall’empirismo che l’ha contraddistinta fino a quel momento per passare alla fase della sua
concettualizzazione. È un percorso che inizia esattamente nel 1900, quando il poderoso saggio di
Philipp Lotmar21 (lui sì un maturo cinquantenne…) offre una sistemazione forte della materia, lon11
U. Romagnoli, Probiviri, brava gente, in Giornata Lincea in ricordo di Enrico Redenti. Il diritto del lavoro ai
suoi primordi, Roma, Accademia nazionale dei Lincei, 1995, p. 23.
12
P. Passaniti, Storia del diritto del lavoro. I - La questione del contratto di lavoro nell’Italia liberale (1865-1920),
Milano, Giuffrè, 2006, p. 422 s.
13
G. Vardaro, Contratti collettivi e rapporto individuale di lavoro, Milano, Angeli, 1985, p. 55 ss.
14
Sul punto, R. Voza, L’inderogabilità come attributo genetico del diritto del lavoro. Un profilo storico, in RGL,
2006, I, p. 229 ss.
15
La pronuncia più nota è Alimentari Milano 1 febbraio 1901, in MT, 1901, p. 198, non a caso citatissima nei commentari: C. Contini, Manuale della giurisprudenza del lavoro istituita dai Collegi dei Probiviri di Milano, Milano, Vallardi, 1903, p. 66; L. Eusebio, Dizionario di giurisprudenza probivirale sul contratto di lavoro, Torino, Utet, 1909, p.
132.
16
Lo nota L. Mengoni, Il contratto collettivo nell’ordinamento giuridico italiano, in Jus, 1975, p. 167 ss., poi in Id.,
Diritto e valori, Bologna, Il Mulino, 1985, p. 249.
17
E. Redenti, Il contratto di lavoro nella giurisprudenza dei probiviri, in RDC, 1905, I, p. 356 ss., poi in Id., Scritti
e discorsi giuridici di un mezzo secolo, Milano, Giuffrè, 1962, II, rispettivamente p. 541 e p. 558.
18
E. Redenti, Il contratto di lavoro cit., p. 550.
19
L. Barassi, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, Milano, Sel, 1901, p. 811, nota 2.
20
Un (quasi) isolato giudizio positivo sull’intervento dei probiviri in materia di contratto collettivo viene da C. Lessona, La giurisdizione dei probiviri rispetto al contratto collettivo di lavoro, in RDC, 1903, I, p. 224 ss.
21
P. Lotmar, Die Tarifverträge zwischen Arbeitgebern und Arbeitnehmern, in Archiv für soziale Gesetzgebung und
Statistik, 1900, p. 1 ss. (una mia traduzione non pubblicata integralmente, I contratti di tariffa tra datori e prestatori di
lavoro, in DLRI, 1984, p. 313 ss.).
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tanissima dalle soluzioni del mondo anglosassone, dove si sta sviluppando un sistema in cui le parti
sociali operano secondo prassi che permettono l’adattamento continuo delle regole al mutamento
delle circostanze (Otto Kahn-Freund la chiamerà continuous bargaining22), e dove quindi il tema
inizia a essere impostato sul piano dell’effettività, nel quale la vincolatività degli accordi dipende
non da regole formali ma dai rapporti di forza tra le parti stipulanti23.
Nei sistemi di civil law, invece, si sta prendendo una strada molto diversa: qui le parti sociali intrattengono rapporti solo periodici, che si esauriscono con la stipula di un contratto collettivo “staticamente” considerato; non conta, perciò, l’effettività fattuale delle regole concordate ma la loro efficacia giuridica24. Nella ricerca di un convincente inquadramento tecnico del «contratto di tariffa»,
Lotmar ricomprende, allora, la realtà socio-economica all’interno di una robusta costruzione giuridica privatistica: gli schemi civilistici classici vengono reinterpretati, cercando di assicurare al contratto collettivo la capacità di fissare regole direttamente efficaci per i lavoratori iscritti e in grado di
resistere ad atti dispositivi che questi ultimi (evidentemente a causa della loro debolezza contrattuale) dovessero porre in essere. Anche se il suo rigore civilistico rischia di «svuotare la contrattazione
collettiva di ogni potenzialità conflittuale ed innovativa, e […] omologarla a quella individuale»25,
la costruzione del giurista tedesco produce una vera e propria scossa nel mondo del diritto del lavoro, anche italiano26, disabituato a trattare materiali così poco “nobili”, non ritenuti all’altezza di una
materia giuridica che vorrebbe vantare ascendenze romanistiche.
Nei primi anni del nuovo secolo, il contratto collettivo diventa subito argomento “alla moda” tra
i nostri giuristi. Siamo abituati a considerare la riflessione di Lotmar seguita immediatamente da
quella di Giuseppe Messina, che la rimaneggia e la importa in Italia. La realtà invece è molto più
complessa, perché, come in ogni buon esperimento scientifico, prima di imboccare la strada che si
rivelerà vincente, si registrano tanti tentativi che percorrono vie rivelatesi poi cieche. Hanno la loro
importanza, infatti, alcune posizioni, diverse tra loro ma accomunate da un dato fondamentale, che
segnerà la storia dei rapporti tra legge e contratto collettivo.
Scontata l’attenzione pressoché nulla nei confronti del ricordato modello britannico, c’è chi segue la dottrina francese27, come il romanista Alfredo Ascoli, che in questo modo finisce però con lo
svalutare non poco la portata innovativa della categoria del contratto collettivo, ridotta a una mera
sommatoria di contratti individuali28. Ascoli, comunque, legge il contratto collettivo soprattutto
come strumento della lotta di classe, da scongiurare a tutti i costi; per farlo, auspica un’operazione
molto semplice: inserire il diritto “di classe” nel «sistema logico del nostro diritto civile»: «basta
sostituire il gruppo o la classe all’individuo e tutto corre logicamente»29. È il ribaltamento della socializzazione del diritto privato, desiderato dai socialisti giuridici: ingabbiando il fenomeno collettivo nelle strette maglie delle categorie civilistiche, diventa addirittura conveniente per i poteri costituiti concedere il riconoscimento giuridico della soggettività dei gruppi professionali30, che pure
Lotmar ha icasticamente descritti liberi, ma «come è libero un fuorilegge»31.
22
O. Kahn-Freund, Labour and the Law, London, Stevens, 1977, p. 52 ss.
S. & B. Webb, Industrial Democracy, London-New York-Bombay, Longmans Green & Co., 1897.
24
G. Giugni, Contratti collettivi di lavoro, in Enciclopedia giuridica Treccani, VIII, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1988, p. 159 ss.
25
G. Vardaro, L’inderogabilità del contratto collettivo e le origini del pensiero giuridico-sindacale, in DLRI, 1979,
p. 558.
26
Sul ruolo di Lotmar nei confronti del diritto del lavoro italiano, L. Nogler, Lotmars Aufklärung der Arbeitsverträge: «manches Unrecht kann den Verlust seines Inkognitos nicht überleben», in I. Fargnoli (Hg.), Philipp Lotmar:
letzter Pandektist oder erster Arbeitsrechtler?, Frankfurt/M., Klostermann, 2014, p. 101; M. Pedrazzoli, Philipp Lotmar
e il nostro giuslavorismo: un secolo di influssi e suggestioni, in Studi in memoria di Mario Giovanni Garofalo, Bari,
Cacucci, 2015, p. 733.
27
In particolare, B. Raynaud, Le contrat collectif de travail, Paris, Rousseau, 1901.
28
A. Ascoli, Sul contratto collettivo di lavoro (a proposito di recenti Sentenze), in RDC, 1903, I, p. 99.
29
Ivi, p. 104.
30
P. Passaniti, Storia cit., p. 437.
31
P. Lotmar, Die Tarifverträge cit., p. 63 (un intraducibile gioco di parole è dato dall’assonanza tra frei, «libero», e
vogelfrei, «fuorilegge»).
23
5
Non a caso, in una prolusione romana, il commercialista (e “socialista giuridico”) Cesare Vivante, dopo aver minimizzato la portata innovativa del contratto collettivo, ridotto a mero accordo
«preparatorio», assolutamente incapace di mutare il tipo del contratto «quale ci fu tramandato dal
diritto romano», chiede appunto che la legge intervenga ad attuare il «riconoscimento dei gruppi sociali come persone giuridiche»32.
Il filosofo del diritto (ma anche alto burocrate ministeriale) Lorenzo Ratto, teorico del superamento di un contratto individuale di lavoro giudicato vecchio e inadeguato, individua invece il futuro proprio nel contratto collettivo, che però a suo giudizio può trovare adeguato sbocco concettuale
non nella logora libertà contrattuale codicistica, che è mera «superstizione dottrinale», ma nel suo
riconoscimento pubblicistico per legge: il contratto concluso da associazioni registrate e controllate
è strumento funzionale alla pace e all’armonia sociale e rende perciò inutile la lotta di classe33.
Il conflitto, quindi, va in qualche modo istituzionalizzato, e il contratto collettivo regolato per
legge è visto come il migliore antidoto agli scioperi e alle agitazioni.
Perciò, quando interviene Messina34 (anch’egli sul periodico che in quegli anni si impone come
fucina delle riflessioni giuridiche in materia di lavoro, la Rivista di diritto commerciale35) la materia
è già abbondantemente dissodata. Ma dalla penna di un civilista raffinato e tecnico esce uno scritto
«coraggioso»36, profondo ed elegante37, «duramente dogmatico, ma con tutto un retroterra di rilevazione empirica e quindi di conoscenza precisa della realtà fattuale»38. Messina non segue
l’impostazione pandettistica di Lotmar e questo gli dà modo di dissentire con lui anche profondamente su alcuni punti nodali, soprattutto in tema di efficacia soggettiva e di inderogabilità39. Al
momento, per lui, il contratto collettivo non può avere forza di legge tra le parti individuali, che
possono validamente stipulare pattuizioni anche peggiorative, pena una semplice sanzione risarcitoria per il suo inadempimento. Questa efficacia meramente obbligatoria può essere superata in un
unico modo, cioè - more solito - facendo leggi che attribuiscano al contratto collettivo valore di fonte sovraordinata al contratto individuale. Leggi, però, non sganciate dalla realtà, ma «suggerite
dall’iniziativa dei gruppi», in grado di cogliere «le affinità, per così dire, elettive intercedenti tra la
sostanza delle forme giuridiche attuali e quella degli istituti verso cui s’indirizza il moto sociale»40.
Per il momento - e qui Messina concorda con Lotmar - il contratto collettivo è fonte di produzione
diversa dalla legge, assimilabile in qualche modo a un regolamento.
Il coro, quindi, è unanime: l’unica via per conferire appropriata natura giuridica al contratto collettivo, tale da attribuirgli quell’efficacia soggettiva e quell’inderogabilità in grado di affermarne la
posizione nel mondo delle relazioni di lavoro, fornendo adeguata sistemazione civilistica alle tante
questioni giuridiche sollevate dal nuovo istituto, non può che essere la legge41. Pertanto, ai primi del
Novecento, la richiesta di un intervento legislativo non riguarda più - come a fine Ottocento - le
condizioni dei lavoratori ma il funzionamento della contrattazione collettiva: la critica
all’individualismo borghese, quindi, converge non tanto - come prima - sulla richiesta di un intervento legislativo socializzante quanto sulla regolazione della socialità diffusa, che trova massima
espressione nel contratto collettivo42. In pochi anni si assiste a questo passaggio repentino nei desi32
C. Vivante, Le nuove influenze sociali del diritto privato, in Annuario della Regia Università di Roma, 1903, rispettivamente p. 33 e p. 17.
33
L. Ratto, Il contratto collettivo di lavoro, Roma, Tipografia editrice romana, 1903.
34
G. Messina, I concordati di tariffa nell’ordinamento giuridico del lavoro, in RDC, 1904, I, p. 458 ss.
35
G. Vardaro, B. Veneziani, La Rivista di diritto commerciale e la dottrina giuslavorista delle origini, in QF, 1987,
p. 441.
36
Così P. Grossi, Scienza giuridica italiana. Un profilo storico 1860-1950, Milano, Giuffrè, 2000, p. 98.
37
L. Mengoni, Il contributo di Giuseppe Messina allo sviluppo del contratto collettivo nel diritto italiano, in Scritti
in onore di Salvatore Pugliatti, II, Milano, Giuffrè, 1978, p. 443.
38
G. Giugni, Intervista, in RIDL, 1992, I, p. 423.
39
U. Romagnoli, I “concordati” di Giuseppe Messina: nota introduttiva, in DLRI, 1986, p. 107 ss.
40
G. Messina, I concordati cit., p. 459.
41
Sul tema G. Cazzetta, L’autonomia del diritto del lavoro nel dibattito giuridico tra fascismo e repubblica, in QF,
1999, p. 530.
42
P. Passaniti, Storia cit., p. 144.
6
derata dei giuristi: dall’attesa della socializzazione del diritto privato alla promozione della contrattazione collettiva. Come dice Achille Loria, dalla legislazione sociale al movimento operaio43.
5. Il primo tentativo fallito
Ma una legge, in quel 1904 in cui scrive Messina, già si è cercato di farla. Nel 1901, il nuovo attivo ed amato44 - presidente del consiglio, Giuseppe Zanardelli, ci tiene a essere il primo a dare
una legge generale sul lavoro all’Italia e resuscita la Commissione per la riforma del contratto di lavoro dal lungo torpore nel quale è precipitata. La Commissione esamina varie proposte che riguardano i temi del riconoscimento giuridico dei sindacati e, quindi, della natura e dell’efficacia del
contratto collettivo da essi sottoscritto45, in un dibattito che presenta singolari punti di similitudine
con quello che si svolgerà decenni più tardi alla Costituente. Interessante è il dissidio tra Eliseo Antonio Porro e il presidente della commissione, Bruno Chimirri. Il primo, da giudice pratico, al solito
scopo di evitare il conflitto, propone due norme (artt. 38 e 39) in virtù delle quali, in caso di vertenze, i lavoratori in assemblea nominano dei delegati - anche esterni -, muniti di mandato a trattare
con l’impresa le modificazioni del contratto di lavoro; in caso di mancato accordo, una commissione arbitrale paritaria valuta le proposte, contribuendo così alla formazione di nuovi accordi collettivi. Chimirri, liberale conservatore, tuona contro la mostruosità giuridica di una commissione che
modifica i contratti in corso, non essendo previsto alcun tipo di riconoscimento giuridico delle rappresentanze operaie e della loro responsabilità collettiva. Ma la proposta è attaccata anche dai socialisti: Giuseppe Salvioli non teme gli scioperi e ritiene politicamente poco conveniente e giuridicamente poco convincente che si sacrifichi, con il vecchio diritto contrattuale di matrice liberale, anche il nuovo diritto espresso autonomamente dai gruppi professionali.
Sulla scorta dei lavori della Commissione, il disegno di legge governativo Cocco Ortu - Baccelli
del 190246 prevede la possibilità che datori e lavoratori si facciano assistere e rappresentare nella
stipulazione del contratto dalle rispettive associazioni riconosciute e iscritte presso l’ufficio del lavoro (art. 9), e che le deliberazioni da queste prese a maggioranza vincolino anche i soci dissenzienti (art. 10): è la prima volta che in una proposta di legge si fa riferimento al contratto collettivo e si
riconosce soggettività giuridica alle associazioni sindacali. Ma, impallinato da destra e da sinistra,
da imprenditori e da operai, il progetto non riesce a fare nemmeno un passaggio parlamentare47.
6. 1907, un anno particolare: due impostazioni nuove e la prima (semisconosciuta) legge
Nel 1907 esce finalmente la prima monografia scientifica dedicata al contratto collettivo (a voler
tacere degli anche allora immancabili manualetti di “istruzioni per l’uso”48 e di un pretenzioso,
quanto dogmaticamente rozzo, volume del conservatore Biagio Nicotra49): è la tesi di laurea - discussa due anni prima - di Alberto Galizia50. Egli critica aspramente l’individualismo della gran
43
A. Loria, Movimento operaio e legislazione sociale, in NA, 1901, p. 29.
Al punto che gli viene dedicata una canzone destinata a diventare famosissima in tutto il mondo, come struggente
melodia d’amore; in realtà, la persona che viene invitata a non andarsene, a non dare “questo tormento”, non è
un’innamorata delusa ma proprio il primo ministro, implorato appunto di “tornare a Sorrento” perché tanto ancora c’è
da fare per quella città e per il sud: per tutti, A. Cuomo (a cura di), Torna a Surriento. Cento anni d’amore, Castellammare di Stabia, Eidos Longobardi, 2002.
45
Sul punto, P. Passaniti, Storia cit., p. 216 ss.
46
C. Cavagnari, Studi sul contratto di lavoro col testo del progetto di legge sul contratto di lavoro presentato alla
Camera dei deputati, Roma, Dante Alighieri, 1902.
47
G. Pino, Modelli normativi del rapporto di lavoro all’inizio del secolo, in PD, 1984, p. 225.
48
Ad esempio, S. Coccia, Relazione sul contratto collettivo di lavoro, Roma, Tipografia Roma, 1907; G. Lancellotti,
Il contratto collettivo di lavoro in relazione alle organizzazioni professionali, Fano, Tipografia Sonciniana, 1914.
49
B. Nicotra, Il contratto collettivo di lavoro, Napoli, Angelo Trani, 1906.
50
A. Galizia, Il contratto collettivo di lavoro, Napoli, Pierro, 1907, poi ristampato: Milano, Ipsoa, 2000, con presen44
7
parte della dottrina francese e rivisita alla radice la ricostruzione di Lotmar, superando qualche difficoltà insita nelle teorie di Messina, anzi proponendo idee innovative sulla necessaria dimensione
collettiva della relazione di lavoro e sull’elemento associativo come base del contratto collettivo,
con un corrispondente forte ridimensionamento dell’autonomia privata, che meriterebbero sicuramente di essere riprese e approfondite; ma il povero Galizia non ne ha il tempo, trovando la morte
sul Piave nella Grande guerra. In ogni caso, anch’egli chiede che il legislatore intervenga sul contratto collettivo a «curarne il regolamento giuridico, in modo più conforme a la realtà sociale»51;
con la piena consapevolezza che ciò comporterà una serie di problemi relativi alla configurazione
pubblicistica del rapporto, alla posizione del singolo, al ruolo dello Stato.
Emergono davvero chiari i pregi e i limiti della dottrina dell’età giolittiana: una visione realistica
dei limitati margini di utilizzo del diritto vigente, unita alla consapevolezza dei pericoli di una involuzione autoritaria insiti in ogni progetto di regolamentazione legislativa della materia; ma, al tempo
stesso, l’incapacità di progettare interventi alternativi di promozione o sostegno della nuova realtà
sociale52.
Contemporaneamente al libro di Galizia e muovendosi - del tutto indipendentemente - su un terreno molto simile, un emergente allievo di Lotmar, Hugo Sinzheimer, pubblica il primo dei due volumi che dedica a una strana creatura da lui chiamata «contratto corporativo normativo di lavoro»53.
Non è che il contratto collettivo, al quale viene attribuita, appunto, una funzione “normativa”, nel
senso di ammettere che le parti sociali possano produrre diritto attraverso propri organi del tutto indipendenti da quelli pubblici. Si tratta di una vera rivoluzione ideologica nel campo dei rapporti
legge-contratto collettivo, della quale in verità non molti in Italia si accorgono, relegando la nuova
ricostruzione a un’elucubrazione più che altro sociologica54.
Tornando in Italia, ancora nel 1907, il Consiglio superiore del lavoro, anche qui dopo dibattiti
estenuanti quanto quelli svoltisi nella Commissione per il contratto di lavoro, produce una relazione
ancora incentrata sul necessario riconoscimento per legge delle associazioni sindacali, con conseguente facoltà di stipulare contratti collettivi, distinti in tre differenti categorie con discipline altrettanto differenziate; accolta con molto scetticismo, la relazione viene affidata in una sua nuova versione al suo critico più intransigente, proprio Giuseppe Messina, la cui proposta però - nel risolvere
il problema dell’inderogabilità ma non quello dell’erga omnes - non riesce a ottenere il consenso
necessario per essere trasfusa in un vero e proprio disegno di legge55.
Il rapporto tra legge e contratto collettivo diventa, quindi, lo scoglio contro cui si infrange il tentativo liberale di una riforma complessiva del diritto del lavoro. Da allora, tutto viene insabbiato e di
leggi generali sul contratto di lavoro, men che meno su quello collettivo, non si parla per un po’ di
tempo. In una lettera a Galizia, che questi pubblica a mo’ di prefazione al suo libro56, Emanuele
Gianturco constata amaramente come i tempi non siano ancora maturi per una legge generale che
disciplini «i lineamenti sommi del contratto di lavoro», e spiega come si sia preferito ripiegare sulla
strada degli interventi settoriali57. Uno di questi è una legge, fortemente voluta dallo stesso primo
ministro Giolitti, sul lavoro nelle risaie; provvedimento interessante proprio perché prevede un contratto concluso dai rappresentanti dei lavoratori e valido per tutti i rappresentati: la soluzione a un
problema assai controverso, che fa quasi gridare Gianturco al miracolo del contratto collettivo riconosciuto per legge.
tazione di M. Napoli.
51
A. Galizia, Il contratto collettivo cit., p. 229.
52
G. Vardaro, L’inderogabilità cit., p. 569.
53
H. Sinzheimer, Der korporative Arbeitsnormenvertrag. Eine privatrechtliche Untersuchung, I, Berlin, Duncker &
Humblot, 1907 (il vol. II è del 1908).
54
Sul tema, G. Cazzetta, L’autonomia cit., p. 543 ss.; L. Nogler, La scienza giuslavoristica italiana tra il 1901 e il
1960 e Hugo Sinzheimer, in DLRI, 2001, p. 549 ss.
55
Sulla vicenda, U. Romagnoli, La IX sessione del Consiglio superiore del lavoro. Per una storia del diritto sindacale in Italia, in SS, 1971, p. 356 ss.
56
A. Galizia, Il contratto collettivo cit., p. VII.
57
Sul punto, L. Gaeta, Emanuele Gianturco, il lavoro e il codice mancato, in RTDPC, 2007, p. 1083 ss.
8
La normativa, in realtà, è molto marginale, applicandosi a un settore “di nicchia” (dove, tra
l’altro, lavorano tantissime donne: non è singolare questo imprinting femminile del contratto collettivo58, tra “probivire” e mondariso?); ma - continua Gianturco - «è spesso da rivoli modesti che sorge e si alimenta il fiume largo e impetuoso». L’art. 18, co. 2, l. 16 giugno 1907, n. 337, prevede che
«nei contratti ai quali partecipano contemporaneamente venti o più locatori di opera, la sottoscrizione del contratto può da essi delegarsi a tre fra gli stessi lavoratori che partecipano alla convenzione,
maggiori di età, quali incaricati dagli altri contraenti». Quindi, non è neanche sicuro che si tratti di
un “contratto collettivo”, tanto che un purista come Redenti, in casi del genere, preferisce parlare di
contratto “cumulativo”59. In ogni caso, se non è contratto collettivo, gli somiglia molto; e questa del
1907 è la prima legge che ne parla.
7. Gli anni Dieci: la rinuncia alla legge e la soluzione “negazionista”
Gli anni Dieci vedono pertanto acquietarsi il moto fino ad allora impetuoso della richiesta di una
“legge sindacale”. Lo testimonia il mutato atteggiamento di Redenti, che, da fautore dell’intervento
statale, passa a una posizione contraria all’irrigidimento del contratto collettivo in norme di diritto
scritto, perché sarebbe ormai maturata tra le parti sociali e tra i giuristi «la convinzione della [sua]
giuridica obbligatorietà»60. E la contrattazione collettiva continua a essere vista come antidoto al
conflitto: Francesco Carnelutti, in un famoso scritto di quegli anni, la preconizza - quasi profetizza61
- «seria e quieta come la contrattazione di borsa»62.
La sciagura della guerra attenua ogni dissidio sul tema. Ma, in pieno conflitto, la seconda edizione della monumentale opera di Barassi sembra imboccare una strada diversa sui rapporti del contratto collettivo con la legge, nel senso di minimizzarne la portata giuridica. L’opera, infatti, a differenza della prima edizione, contiene una parte dedicata al contratto collettivo63, che appare tuttavia
come un’integrazione imposta dai tempi, «quasi un dover di cronaca»64 che non ne scalfisce la ricostruzione civilisticamente pura del contratto individuale. Legata a un fatto giuridico essenzialmente
individualistico, la legittimazione del contratto collettivo è agganciata a un principio associativo,
individuato nella presenza di rappresentanze operaie nel Consiglio superiore del lavoro (r.d. 11 agosto 1904, n. 474, che prevede la designazione di sette membri operai da parte delle federazioni dei
lavoratori). La trattazione, tra frequenti rimpianti delle corporazioni medievali, non propone una
comprensione dogmatica della contrattazione collettiva come fenomeno sociale; anzi, conclude rilevando come «la struttura atomistica del nostro diritto finisca per frazionare in rapporti individuali
anche i concordati collettivi»65.
8. I “ruggenti” anni Venti: il corporativismo prima del corporativismo?
Nel libro di Barassi è del tutto assente - e non a caso - un confronto con le innovative teorie di
Sinzheimer, rafforzate nel 1916 da una nuova monografia nella quale le parti sociali emergono co58
Parte da considerazioni svolte da tre donne una recente rassegna storica del contratto collettivo: D. Comandè, Il
contratto collettivo ieri, oggi, domani, in M. Ranieri (a cura di), Le fonti del diritto del lavoro tra ordinamento sovranazionale e ordinamento interno, Torino, Giappichelli, 2015, p. 113 ss.
59
E. Redenti, Contratto “cumulativo” di lavoro e licenziamento, in RDC, 1907, II, p. 145, che polemizza sul punto
con Nicotra, sostenitore della ricostruzione come contratto collettivo.
60
E. Redenti, La riforma dei probiviri, in RDC, 1910, I, p. 638.
61
Su Carnelutti profeta del corporativismo fascista, P. Costa, Lo Stato immaginario. Metafore e paradigmi nella cultura giuridica italiana fra Otto e Novecento, Milano, Giuffrè, p. 382 ss.
62
F. Carnelutti, Le nuove forme di intervento dello Stato nei conflitti collettivi del lavoro, in RDP, 1911, p. 413.
63
Ampiamente sul tema, L. Castelvetri, Il diritto del lavoro delle origini, Milano, Giuffrè, 1994, p. 331 ss.
64
C. Vano, Riflessione giuridica cit., p. 147.
65
L. Barassi, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, II, Milano, Sel, 1917, p. 42.
9
me soggetti di un vero e proprio processo di «autonormazione sociale» - della cui esecuzione sono
garanti -, che si muove ormai al di fuori delle gabbie del diritto privato. Le regole alla base dei rapporti collettivi non sono più diritto individuale di origine statale, ma diritto sociale originato e gestito dai gruppi autonomi66; il contratto collettivo è “corporativo” nel senso che trova legittimazione
ed efficacia nell’ambito di tale nuovo sistema, svincolato da quello privatistico statale. È quindi
pronto il materiale su cui, dopo il crollo dell’impero guglielmino, verrà costruito - forse tradendone
lo spirito originario - l’effimero edificio dei rapporti collettivi della repubblica di Weimar67 (appena
un mese dopo la disastrosa fine della guerra, in Germania viene approvata una legge che afferma
l’efficacia oggettiva - nonché una limitata efficacia soggettiva - dei contratti collettivi).
Uno sviluppo dogmatico in qualche modo assimilabile riceve da noi la materia poco dopo, quando Santi Romano elabora la teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici. In essa, il riconoscimento del fatto che la produzione di norme non è monopolio dello Stato e che ogni istituzione è dotata di un proprio ordinamento giuridico, riguarda evidentemente anche l’impresa, che costituisce
«un mondo giuridico a sé, completo nel suo genere e nei suoi fini»68. Quindi, i rapporti collettivi di
lavoro, «nonostante gli sforzi e le risorse della più acuta dialettica», non possono essere ridotti sotto
il profilo contrattuale, «se non sacrificando alcuni elementi di tali rapporti, o almeno deformandoli»69. Più in particolare, l’analisi di Romano fa riferimento proprio al contratto collettivo e alle difficoltà della dottrina nell’inquadrarne il complessivo fenomeno, «se non ammettendo che esso si
svolge, nel medesimo tempo e con atteggiamenti diversi e magari contrari, nelle rispettive orbite di
due distinti ordinamenti giuridici»70. Molto di più non c’è; ma la strada è tracciata per chi si vuole
incamminare verso una riconsiderazione del ruolo “normativo” di un contratto collettivo interno a
un suo nuovo sistema.
Il clima scientifico complessivo, in quei primi anni Venti, è peraltro caratterizzato da una moda,
ai cui capricci «non obbediscono solo le belle signore, ma anche i più severi ed austeri scienziati»71:
gli studi dei giuspubblicisti sul cosiddetto “Stato sindacale”. Le sfumature, quando non gli aperti
contrasti, sono molteplici: a studiare le interrelazioni tra il consolidato ambito dello Stato e il nuovo
universo del sindacato, che a questo va confrontandosi, se non contrapponendosi72, sono studiosi
del calibro di Orlando, Panunzio, Ranelletti, Rocco73; ma il tema è tirato da destra e da sinistra74,
dai sindacalisti rivoluzionari così come da Gabriele D’Annunzio, che fa, agli occhi di molti, del suo
esperimento fiumano di «una democrazia diretta che ha per base il lavoro produttivo»75 il modello
ideale di Stato sindacale.
In questo contesto complessivo, il commercialista Lorenzo Mossa, in una prolusione del 192276,
ritenuta uno dei più interessanti manifesti programmatici della giuslavoristica italiana 77, propone
una visione moderna del diritto del lavoro, non più considerato individualisticamente e privatisti66
H. Sinzheimer, Ein Arbeitstarifgesetz. Die Idee der sozialen Selbstbestimmung im Recht, Berlin, Duncker &
Humblot, 1916.
67
Classicamente, G. Vardaro, Il diritto del lavoro nel “laboratorio Weimar”, in G. Arrigo, G. Vardaro (a cura di),
Laboratorio Weimar. Conflitti e diritto del lavoro nella Germania prenazista, Roma, Edizioni Lavoro, 1982.
68
S. Romano, L’ordinamento giuridico. Studi sul concetto, le fonti e il carattere del diritto, Pisa, Spoerri, 1917, p.
76.
69
Ivi, p. 114.
70
Ivi, p. 128 s.
71
V.E. Orlando, Lo “Stato sindacale” e le condizioni attuali della scienza del diritto pubblico, in RDP, 1924, I, p. 4.
72
Sul tema, riassuntivamente, P. Marchetti, L’essere collettivo, cit., p. 151 ss.
73
Oltre al citato scritto di Orlando, O. Ranelletti, I sindacati e lo Stato, in Politica, 1920, I, p. 257 ss.; A. Rocco,
Crisi dello Stato e sindacati, in Politica, 1921, p. 1 ss.; S. Panunzio, Stato e sindacati, in RIFD, 1923, p. 1 ss.
74
Per tutti, P. Grossi, Scienza giuridica cit., p. 155 ss.
75
Così l’art. 2 della Carta del Carnaro del 1920, su cui R. De Felice (a cura di), La Carta del Carnaro nei testi di Alceste De Ambris e di Gabriele D’Annunzio, Bologna, Il Mulino, 1973.
76
L. Mossa, Il diritto del lavoro, Sassari, Libreria italiana e straniera, 1923; poi sviluppata in importanti studi, raccolti in Id., L’impresa nell’ordine corporativo, Firenze, Sansoni, 1935.
77
G. Cazzetta, L’autonomia cit., 550 ss.; ma già M. Casanova, Il diritto del lavoro nei primi decenni del secolo: rievocazioni e considerazioni, in RIDL, 1986, I, 230 ss.
10
camente, ma coordinato, inserito nell’impresa, intesa come comunità sociale che esprime interessi
preminenti rispetto alle parti; un diritto incontenibile nelle regole comuni civilistiche, ma «libero»,
nella realtà pulsante delle relazioni sociali. La ricostruzione di Mossa è frutto del «suo appassionato
e innamorato nutrirsi di letture tedesche»78: Sinzheimer è citato spessissimo, a proposito di autodeterminazione sociale, di conciliazione del dato giuridico con quello sociale e del superamento della
dicotomia pubblico-privato nella vera autonomizzazione del diritto del lavoro, inteso come diritto
della persona. Ma questa proposta, imbevuta delle idee della Freirechtsschule, che valorizza il ruolo
dei gruppi spontanei nella formazione del diritto (del lavoro), pensata prima del fascismo e a prescindere dal fascismo, viene presto rimossa, vuoi perché frettolosamente liquidata come espressione
di un approccio sociologico e ideologico, vuoi perché la richiesta di un «diritto libero del lavoro»
sembra a qualcuno cosa troppo grossa79.
Emergono perciò netti i contorni di un substrato ideologico e scientifico all’interno del quale il
“corporativismo” è espressione di pluralismo, di autonomia, appunto di libertà. Molto lontano, evidentemente, dalle deviazioni semantiche che da noi lo legano necessariamente all’esperienza fascista80. Il cammino della relazione tra legge e contratto collettivo, che sembra in quei primi anni Venti
- così caratterizzati anche dagli avvenimenti del “biennio rosso” - avviato verso una profonda considerazione dell’autonomia del sistema sindacale, viene però bruscamente interrotto dalla svolta politica innestata dall’affermazione del fascismo come regime. Il corporativismo riceve una virata autoritaria.
9. 1923: il primo vero incontro tra legge e contratto collettivo
Prima ancora, però, i r.d. 10 settembre 1923, nn. 1955 e 1956, cioè i regolamenti attuativi della
legge sull’orario di lavoro, danno sostanzialmente avvio, dopo quella sorta di “falsa partenza” del
1907, al secondo filone di cui si diceva all’inizio circa i rapporti tra legge e contratto collettivo, ovvero alla “regolamentazione dei confini” tra l’una e l’altro nel disciplinare le relazioni di lavoro. In
questo caso, infatti, si inaugura la tecnica del rinvio della legge al contratto collettivo per quanto riguarda tutta una serie di punti nei quali la prima non ritiene di dover intervenire, lasciando al secondo il compito di riempirli oppure di adattarne le disposizioni a casi particolari, o attribuendogli in
determinate ipotesi il potere di derogarne i limiti. Non manca, infine, un intervento “del primo tipo”, ovvero definitorio della contrattazione collettiva, quando uno dei regolamenti, quello sul settore agricolo, asserisce (art. 5, r.d. 1956/1923) che per accordi tra le parti intende «quelli stipulati fra
le associazioni di datori di lavoro e quelle di lavoratori e, in mancanza di associazioni, fra i rappresentanti degli uni e degli altri» (non va dimenticato che il r.d.l. 29 ottobre 1922, n. 1529 - per un capriccio della storia emanato proprio mentre Benito Mussolini parte da Milano per ricevere l’incarico
di primo ministro - ha appena disciplinato il riconoscimento dei sindacati, senza legarlo però alla
capacità di stipulare contratti collettivi).
Come si vede, c’è già quasi tutto: definizione, rinvio “in bianco”, rinvio “guidato”, rinvio derogatorio; il tutto innestato in un sistema di tecniche regolative - quello sull’orario di lavoro - che durerà novant’anni, forse anche a causa della sua flessibilità. Un altro caposaldo su cui si incentrerà
ogni ricostruzione futura dei rapporti tra legge e contratto collettivo è posto dalla legge che subito
dopo regola il rapporto di impiego privato, quando afferma l’inderogabilità delle sue disposizioni,
«salvo il caso di particolari convenzioni od usi più favorevoli all’impiegato» (art. 17, co. 1, r.d. 13
novembre 1924, n. 1825). È la consacrazione del principio del favor, per ora operativo nei rapporti
tra legge e contratto (individuale), ma presto - a torto o a ragione - generalizzato.
A completare davvero il quadro, c’è anche un particolare intervento “invasivo” della legge sugli
78
P. Grossi, Scienza giuridica cit., p. 148; sui riferimenti culturali tedeschi di Mossa, Id., Itinerarii dell’impresa, in
QF, 1999, p. 1005 ss.
79
F. Pergolesi, Il diritto del lavoro come diritto libero, in RIFD, 1924, p. 301.
80
P. Grossi, Scienza giuridica cit., p. 175 ss.
11
accordi collettivi, volto ad affermare con forza quali siano le reali gerarchie: il r.d. 18 aprile 1923, n.
833, spostando la data della festa del lavoro, intima: «tutte le pattuizioni intervenute tra industriali e
operai per la giornata di vacanza in tal giorno dovranno essere applicate pel 21 aprile e non pel 1°
maggio».
Ma il sistema complessivo non ha modo di essere rodato, perché di lì a pochissimo il fascismo,
imponendosi come regime, compie la svolta.
10. Le “cose nuove” della legge del 1926
Nel 1925 si susseguono, in rapida successione, tre eventi che cambiano il corso della nostra storia. Il 18 agosto la Fiat conclude un accordo aziendale (come lo chiameremmo oggi) con le commissioni interne a maggioranza comunista, che viene criticato dalla Fiom ma che stupisce e preoccupa non poco l’ambiente industriale e il governo81; il 30 agosto a Perugia Alfredo Rocco tiene un
discorso, che colpisce molto Mussolini, dove teorizza uno Stato gerarchizzato in cui impresa, sindacato e partito sono sottoposti a una direzione autoritaria che previene qualsiasi contrasto dialettico82;
il 2 ottobre Confindustria e sindacati fascisti firmano il “patto di palazzo Vidoni”, in cui si riconoscono reciprocamente come unici rappresentanti delle parti sociali, ponendo le basi per la riforma
complessiva dell’ordinamento sindacale.
La l. 3 aprile 1926, n. 563, codifica l’accordo. Il suo art. 10, co. 1, dispone che i contratti collettivi stipulati dalle associazioni legalmente riconosciute diventino efficaci per tutti i datori e lavoratori appartenenti alla categoria di riferimento e che, se stipulati da associazioni regionali o nazionali,
vengano pubblicati sulla Gazzetta ufficiale (co. 4). L’art. 54, r.d. 1 luglio 1926, n. 1130, afferma
l’inderogabilità del contratto collettivo da parte di quello individuale, pena la sostituzione automatica delle clausole difformi, a meno che queste non siano migliorative per il lavoratore, evidentemente intuitu personae.
La legge, quindi, ha fatto cambiare pelle al contratto collettivo, assimilandolo - così sembra all’interno del sistema statale. In realtà, il passaggio è graduale: non è cambiato tutto improvvisamente con le “fascistissime” leggi del 1926. Innanzitutto, un osservatore attento ma sicuramente
provocatorio come Carnelutti afferma subito, nella prima pagina del primo numero della prima rivista di diritto del lavoro, con un’altra frase ormai consegnata alla storia, che «di massima, non ci sono cose nuove da dire»83, quando invece pare che tutto sia cambiato. In realtà, la svolta verso un
contratto collettivo erga omnes e inderogabile è stata la speranza di una generazione di giuristi liberali, che invano ha atteso le tre parole del legislatore in materia: lui per primo - e qui c’è un’evidente
punta di narcisismo - ha auspicato in tempi non sospetti una soluzione del genere84; perciò, non ci
sono cose nuove da dire, nel senso che lui le ha già dette: «infatti, quello che dirò qui ho cominciato
a insegnarlo, giusto quindici anni fa, all’Università Commerciale di Milano»85.
Tutto, quindi, era già nell’ordine delle cose, in quella soluzione a suo modo autoritaria che la
«vena sottilmente illiberale»86 del giolittismo ha, talvolta sotto traccia, sicuramente provocato. Ci
sono anche prove materiali di questa continuità tra il prima e il dopo (come, successivamente, avverrà col dopo ancora). Infatti, è proprio Giuseppe Messina a dettare l’art. 10 della legge del 1926,
il cui comma 5, peraltro, ripete esattamente la sua ricostruzione sulla responsabilità delle parti per
l’inadempimento del contratto collettivo87. Poi, sia Messina che Barassi fanno parte del pool di consulenti del ministro delle corporazioni - cioè, dello stesso Mussolini - chiamato a elaborare la Carta
81
F. Cordova, Le origini dei sindacati fascisti 1918-1926, Bari, Laterza, 1974.
A. Rocco, La dottrina politica del fascismo, in Scritti e discorsi politici, III, Milano, Giuffrè, 1938, p. 1093.
83
F. Carnelutti, Sindacalismo, in DL, 1927, p. 3.
84
P. Costa, Lo Stato immaginario cit., p. 384.
85
F. Carnelutti, Sindacalismo, cit., p. 4.
86
G. Vardaro, L’inderogabilità cit., p. 584.
87
R. Ravà, Giuseppe Messina, in DF, 1946, p. 32 ss.
82
12
del lavoro del 192788, il “catechismo” del corporativismo fascista, che contiene dichiarazioni sulla
natura e la funzione del contratto collettivo (III-IV); sul suo processo formativo (XI); sulle materie
di sua competenza esclusiva, cioè sanzioni disciplinari, periodo di prova, orario di lavoro (XI), costituzione di casse mutue per le malattie (XXVIII) e soprattutto retribuzione (XII); sulle materie dove deve intervenire a completare le previsioni di legge, come il riposo domenicale (XV) (queste disposizioni vengono poi esplicitate dall’art. 8, r.d. 6 maggio 1928, n. 1251, che autorizza la pubblicazione del contratto collettivo solo a patto che contenga norme precise su tutta una serie di punti
relativi alla disciplina del rapporto di lavoro).
In realtà, né la legislazione del 1926 né tanto meno la Carta del lavoro trasformano formalmente
il contratto collettivo in una fonte oggettiva, ma si tratta davvero solo di una questione nominalistica. Perciò, Carnelutti può sfornare il suo famoso slogan sulla forma del contratto e l’anima della
legge, per esprimere tutta la difficoltà di qualificare un «ibrido» - sempre nelle sue parole - al quale
le categorie esistenti stanno strette.
11. Il contratto collettivo fascista: pubblicistico, corporativistico o privatistico?
È proprio la veste assunta dal contratto collettivo a porsi come modello per riflessioni più complessive, che in quegli anni coinvolgono i maggiori giuristi, non solo quelli del lavoro. Ancora nel
saggio di Carnelutti, si legge come, accanto al diritto che regola i rapporti tra gli uomini e a quello
che regola i rapporti tra i popoli, cioè al diritto privato e al diritto pubblico, esista ormai un diritto
che regola i rapporti tra le classi, cioè il diritto collettivo del lavoro, cui strumento principe è proprio il “nuovo” contratto collettivo, che incarna, appunto, una «terza dimensione del diritto»89.
Il dibattito teorico si fa estenuante ma anche raffinato, vedendo sostanzialmente contrapporsi,
pur tra mille sfumature, due grandi orientamenti. C’è chi - come appunto Carnelutti - è ben contento
di uno status quo in cui alla fine si è dato vita al «sindacato puro»: non più quello piazzaiolo e rivendicativo di qualche anno prima, ma quello maturo e consapevole dei tempi nuovi, che può svolgere compiti di pacificazione sociale anche grazie al contratto collettivo; col nuovo sistema, «il processo di depurazione del sindacalismo è compiuto», e il contratto collettivo può così entrare a far
parte a pieno titolo del «regno del diritto»90. Magari di una sua «terza dimensione», che si situa comunque a metà tra le rassicuranti categorie del diritto pubblico e del diritto privato. A questa corrente fa da sponda, in un certo senso, la nota teorizzazione di Widar Cesarini Sforza, incentrata sui
“corpi sociali”, autentiche collettività organizzate creatrici di ordinamenti giuridici; il diritto collettivo ricade nel «diritto dei privati», che travalica la mera dimensione privatistica ma non sfocia comunque nel diritto pubblico, rimanendo in qualche modo intermedia rispetto alla grande dicotomia91.
Dall’altro lato della barricata, ci sono i teorici più “fedeli alla linea” del regime, presi dal complessivo programma di rigenerazione della disciplina; essi, in realtà, dalla legislazione sindacale del
1926 si aspettavano ben altro, e la considerano solo un punto di passaggio, non certo di arrivo. Lo
testimonia il dibattito sul nuovo diritto del lavoro che la neonata rivista Il diritto del lavoro commissiona subito a due distinti gruppi di giuristi92, nel quale Alberto Asquini e Nicola Stolfi93 vengono pesantemente accusati di non saper interpretare i tempi nuovi e di essere rimasti ancorati al pas-
88
L. Nogler, Messina, Giuseppe, in I. Birocchi, E. Cortese, A. Mattone, M.N. Miletti (dir.), Dizionario biografico
dei giuristi italiani (XII-XX secolo), Bologna, Il Mulino, 2013, p. 1335.
89
F. Carnelutti, Sindacalismo, cit., p. 9.
90
F. Carnelutti, Il diritto corporativo nel sistema del diritto pubblico italiano, in Atti del primo convegno di studi
sindacali e corporativi, Roma, Edizioni Il Diritto del lavoro, 1930, I, p. 44.
91
W. Cesarini Sforza, Corso di diritto corporativo, Cedam, Padova, 1932, p. 7 ss., dove riferimenti a Id., Il diritto
dei privati, Milano, Giuffrè, 1929.
92
G. Cazzetta, L’autonomia cit., p. 567.
93
A. Asquini, N. Stolfi, Il nuovo diritto del lavoro nel sistema giuridico moderno, in DL, 1927, p. 912 ss.
13
sato: il nuovo diritto del lavoro non può essere altro che diritto pubblico94; anzi, meglio non parlare
di diritto “del lavoro”, che sa di vecchio, e meno che mai di diritto “sindacale”, nozione ormai «giustiziata» nel 192695: è il diritto corporativo la materia giovane, destinata al futuro96.
Ma i teorici del corporativismo “puro” si spingono oltre, perché sarebbe riduttivo leggere la legislazione del 1926 nei termini di mero passaggio da una logica contrattuale privatistica a una pubblicistica di marca statualistica; essi chiedono a gran voce la più completa fusione dell’ordinamento
collettivo del lavoro, quindi del sindacato e dei suoi “prodotti”, nello Stato corporativo totale (in
quegli anni una sorta di bandiera propagandistica, che ne fa il profilo dominante dell’immagine del
fascismo in Italia e all’estero97). La ricostruzione di Carnelutti, presentata nel 1930 al primo convegno di studi sindacali e corporativi, viene pesantemente criticata due anni dopo, nella seconda edizione di quel convegno, da un teorico del corporativismo del calibro di Arnaldo Volpicelli 98, il quale la giudica una lettura del tutto riduttiva e ancora troppo individualistica del corporativismo, in cui
non è affatto considerato il nuovo presupposto della collaborazione tra le parti99.
È in questo clima teorico - ricostruito davvero molto approssimativamente100 - che il contratto
collettivo comincia a essere studiato da tanti all’interno di un ordinamento diverso da quello statale,
che non è più ormai diritto privato ma è anche qualcosa di diverso, di più, del diritto pubblico. Infatti, andando più a fondo nella ricostruzione teorica del corporativismo, molti rivisitano - quando non
utilizzano a piene mani - le teorie di Santi Romano e degli altri “pluralisti” (non ci si deve stupire se
proprio durante il fascismo si assiste a una diffusione molto ampia di teorie di questo tipo101). Anche qui con polemiche dilanianti102, ci si divide, allora, piuttosto nettamente tra pluralisti e tenaci
sostenitori dello statalismo, che ritengono inconciliabili corporativismo e pluralismo103.
In ogni caso, dalla «legificazione cingolata»104 è uscito un contratto collettivo del quale la legge
“si può fidare”: concluso da associazioni controllate e registrate, dotate di personalità giuridica, ad
esso si può tranquillamente affidare la regolazione completa di materie ben determinate dalla legge,
la loro integrazione, la loro deroga in senso migliorativo per i lavoratori. In definitiva, un’ottima
fonte avvicinabile a un regolamento: come nelle ricordate ricostruzioni di inizio secolo, che nel frattempo sono state lentamente assimilate105.
Perciò, la lettura dei rapporti tra legge e contratto collettivo nel ventennio fascista è molto più
complessa e sfaccettata di quanto possa sembrare a prima vista106. E c’è anche un’altra non secon94
B. Brugi, S. Lessona, G. De Semo, Il nuovo diritto del lavoro nel sistema giuridico moderno, in DL, 1927, p. 543
ss.
95
C. Costamagna, Diritto professionale o diritto del lavoro?, in DL, 1928, p. 331 ss.; Id., Ancora in merito al “diritto del lavoro”, in DL, 1928, p. 545 ss.
96
Basta leggere, per tutti, la prolusione torinese dell’allora segretario generale di Confindustria (anni dopo costretto
all’esilio dalle leggi razziali): G. Olivetti, La dottrina giuridica e il diritto corporativo, in DL, 1929, I, p. 177; e il discorso inaugurale del guardasigilli al I congresso giuridico italiano: P. De Francisci, Per una nuova dogmatica giuridica, in DL, 1932, I, p. 493.
97
D. Cofrancesco, Il mito europeo del fascismo (1939-1945), in SC, 1983, p. 5.
98
A. Volpicelli, I presupposti scientifici dell’ordinamento corporativo, in Atti del secondo convegno di studi sindacali e corporativi, Roma, Tipografia del Senato, 1932, I, p. 125 ss.; Id., Corporativismo e problemi fondamentali di teoria generale del diritto (nuova replica al prof. Carnelutti), in ASC, 1932, p. 609 ss.
99
Su questa polemica, ampiamente, G. Cazzetta, L’autonomia cit., p. 539 ss.; M. Martone, Un antico dibattito. Ferrara, 1932: il secondo convegno di studi sindacali e corporativi, in Diritto del lavoro. I nuovi problemi. L’omaggio
dell’accademia a Mattia Persiani, Padova, Cedam, 2005, p. 493 ss.
100
Rinvio almeno a I. Stolzi, L’ordine corporativo. Poteri organizzati e organizzazione del potere nella riflessione
giuridica dell’Italia fascista, Milano, Giuffrè, 2007.
101
Lo osserva G. Giugni, Introduzione allo studio della autonomia collettiva, Giuffrè, Milano, 1960, p. 15 ss.
102
Su cui G. Cazzetta, L’autonomia cit., p. 586.
103
Tra questi ultimi, G. Mazzoni, L’ordinamento corporativo. Contributo alla fondazione di una teoria generale e
alla formulazione di una dommatica del diritto corporativo, Padova, Cedam, 1934, p. 55 ss.
104
U. Romagnoli, Il lavoro in Italia. Un giurista racconta, Bologna, Il Mulino, 1995, p. 99.
105
Per tutti, G. Balella, Lezioni di legislazione del lavoro, Roma, Usila, 1927, p. 151 ss.
106
Per una panoramica storica, G.C. Jocteau, La contrattazione collettiva. Aspetti legislativi e istituzionali 19261934, in La classe operaia durante il fascismo, Milano, Feltrinelli, 1981, p. 91 ss.
14
daria considerazione: fuori dalle rarefatte atmosfere di questi dibattiti teorici, riesce davvero difficile dimenticare quel che il contratto collettivo è stato fino a quel momento, cioè un istituto eminentemente privatistico. Inizia, perciò, la pratica dello «smistamento del nuovo sotto le caselle note»107.
Innanzitutto, al contratto collettivo si applicano le regole dell’interpretazione del contratto e non
quelle della legge: lo prescrive esplicitamente l’art. 16, co. 1, l. 563/1926 (suscitando peraltro non
pochi dissensi e dispute applicative108). Poi, alcuni - in particolare un giovane studioso che presto si
farà notare - gli riconoscono comunque natura giuridica esclusivamente contrattuale109: esso vincolerebbe i suoi destinatari solamente perché essi stessi lo hanno voluto attraverso i propri rappresentanti110. Lodovico Barassi, fedele alla sua linea, afferma con sicurezza che si tratta di «un contratto e
nulla più di un contratto»111. E un convinto contrattualista come Paolo Greco, ammettendo che un
contratto collettivo privatistico possa derogare a una legge dispositiva, ne sottolinea la conseguenza,
cioè che «la deroga da parte del contratto collettivo, data la validità di questo erga omnes, sarebbe
suscettibile di risolversi nella stessa abrogazione e sostituzione della legge dello Stato»112.
La contrattazione collettiva si svolge ora «seria e quieta», come si voleva. È fortemente burocratizzata e centralizzata, e contiene a mala pena le inevitabili tensioni del mondo del lavoro, mostrando a tratti anche qualche segnale di vitalità113. Il colpo finale a un corporativismo mai riuscitosi a
elevare dal ruolo di facciata propagandistica, con la conferma delle tradizionali radici privatistiche
della materia, l’assesterà paradossalmente proprio la legge che fa assurgere il contratto collettivo a
fonte del diritto oggettivo, il codice civile del 1942. Un anno prima del 25 luglio, tocca sempre a
Dino Grandi giocare il ruolo dell’esecutore.
12. Il contratto collettivo fonte nel codice del ritorno al diritto privato
Con il codice civile del 1942 il contratto collettivo entra a far parte della categoria delle «norme
corporative» (art. 5 disp. prel. c.c.) e quindi diventa formalmente fonte del diritto (art. 1, n. 3, disp.
prel. c.c.). Gli artt. 2067-2081 codificano sostanzialmente le previsioni della legislazione del
1926114: vi spicca un art. 2077 nel quale «la colonizzazione del contratto collettivo ad opera della
legge raggiunge uno dei suoi punti più alti»115, perché vi è riproposto il meccanismo “autoritario”116
dell’inderogabilità peggiorativa da parte della pattuizione individuale, con conseguente sostituzione
automatica delle clausole difformi.
Il contratto collettivo diventa così «la forma di esercizio, sotto il controllo dello Stato, di una potestà normativa». Ma questo inserimento «nel sistema formale delle fonti dell’ordinamento giuridico statuale»117 lo vede in posizione subordinata, poiché esso - e non c’è favor che tenga - non può
gerarchicamente derogare «alle disposizioni imperative delle leggi e dei regolamenti» (art. 7 disp.
prel. c.c.); può, invece, bene integrare e completare i numerosi rinvii che il codice fa ad esso118, in
una fitta trama destinata a sopravvivere fino ad oggi.
In realtà, il riconoscimento esplicito delle norme corporative tra le fonti del diritto è cosa sconta107
I. Stolzi, L’ordine corporativo, cit., p. 57.
Riassunte in M.V. Ballestrero Gentili, Note in tema di interpretazione dei contratti collettivi, in RTDPC, 1969, p.
840 ss.
109
F. Santoro Passarelli, Contratto e rapporto collettivo, in RDP, 1933, p. 357 ss.
110
F. Santoro Passarelli, Legislazione del lavoro, Padova, Cedam, 1936, p. 5 s.
111
L. Barassi, Diritto sindacale e corporativo, Milano, Giuffrè, 1938, p. 245.
112
P. Greco, Il contratto collettivo di lavoro, Roma, Edizioni Il diritto del lavoro, 1929, p. 100.
113
G. Giugni, Esperienze corporative e post-corporative nei rapporti collettivi di lavoro in Italia, in IM, 1956, p. 3.
114
Sul punto, L. Mariucci, Le fonti del diritto del lavoro, Torino, Giappichelli, 1988, p. 24 s.
115
U. Romagnoli, Il contratto collettivo, cit., p. 227.
116
G. Vardaro, Le origini dell’art. 2077 cod.civ. e l’ideologia giuridico-sindacale del fascismo, in MSCG, 1980, p.
437 ss.
117
L. Mengoni, Il contratto collettivo cit., p. 263.
118
R. Scognamiglio, Il codice civile e il diritto del lavoro, in Le ragioni del diritto. Scritti in onore di Luigi Mengoni, Milano, Giuffrè, 1995, p. 1253.
108
15
ta. Nonostante questa sorta di “atto dovuto”, la nuova codificazione scontenta non poco sia i teorici
della pubblicizzazione del diritto del lavoro sia - ancor di più - quelli che vorrebbero l’autonomia
del nuovo diritto corporativo, dimostrandosi alla fine molto più tecnicamente asettico di quanto si
desideri119, imperniato com’è sulle strutture giuridiche dell’individualismo contrattuale: di certo,
non una codificazione schiettamente «mussoliniana», come la presenta il guardasigilli Grandi120,
ben consapevole di mentire.
Molti, anzi, vi leggono addirittura il tradimento del progetto corporativistico. E in un 1943 in cui
è il regime stesso a entrare in crisi, si riflette con lucidità su un sistema sostanzialmente sbilanciato
tra teoria e realtà, che ormai «non è più corporativo se non di nome», e che non ha mai concretizzato le idealità teoriche del fascismo, di cui è elemento portante121. Lorenzo Mossa, deluso dallo scarsissimo peso attribuito dalla sistematica del libro V a un diritto che ha vagheggiato autonomo, capace di stare alla testa di un rinnovato diritto privato sociale122, potrà poi dire senza paura che il codice
è stato scritto da «servi, non [da] scienziati»123.
13. I due contratti collettivi del Regno del sud
Il fascismo è appena caduto e l’Italia badogliana è ancora formalmente in guerra «a fianco
dell’alleato germanico», quando la norma che sopprime tutti gli organi corporativi (r.d.l. 9 agosto
1943, n. 721) si preoccupa di dettare le prime regole, ovviamente del tutto emergenziali e transitorie, relative ai nuovi «accordi economici collettivi» stipulati dai sindacati che hanno riacquistato la
libertà, disponendo che essi «diventano obbligatori rispetto alle associazioni e ai singoli rappresentanti delle categorie cui essi si riferiscono» solo dopo essere stati approvati dall’autorità governativa, «previe le modificazioni del caso» (art. 4). È il momento nel quale l’ingerenza del potere politico è formalmente la più elevata in assoluto e la forbice tra legge e contratto collettivo si avvicina
maggiormente, fin quasi ad annullare ogni differenza: la stessa autorità che emana la legge può dettare anche le regole del contratto collettivo.
L’8 settembre 1943 divide in due anche le norme giuridiche di un Paese spezzato. Il Regno “del
Sud”, la parte che vuol rimarcare la cesura col fascismo, solo dopo molto tempo si risolve a sciogliere anche i sindacati fascisti (d.lgt. 23 novembre 1944, n. 369), ma nella norma che rimodella il
“diritto transitorio” in materia di contratti collettivi, l’art. 43, inserisce un inciso destinato a dare lavoro per anni a schiere di giuslavoristi. Infatti, essa prevede la contemporanea vigenza di due tipi di
contratti collettivi: quello stipulato dai sindacati liberi e approvato - ed eventualmente modificato dal governo e quelli corporativi, che continuano a restare in vigore «salvo le successive modifiche».
Evidentemente, la legge intende costruire un sistema del tutto provvisorio, nella certezza che prima
possibile ci sarà una regola generale per i nuovi contratti collettivi “liberi”, tale da rendere obsoleto
il riferimento ad altre tipologie; nel frattempo, però, per far fronte a ovvie esigenze contingenti, la
soluzione migliore appare appunto quella di sancire l’ultrattività dei contratti collettivi vigenti, cioè
di quelli corporativi, fonte di diritto oggettivo. Senza badare ai tanti problemi che essa inavvertitamente susciterà.
Innanzitutto, quello della natura giuridica dei contratti ultrattivi, che qualcuno addirittura vorrebbe equiparati alla legge in forza del recepimento da parte della fonte che ne proroga la vigenza124,
qualcun altro per converso vorrebbe trasformati in contratti di diritto privato per il venir meno della
fonte di produzione125, altri ancora vorrebbero del tutto caducati per la soppressione degli organi
119
N. Irti, Scuole e figure del diritto civile, Milano, Giuffrè, 1982, p. 115 ss.
D. Grandi, Tradizione e rivoluzione nei codici mussoliniani, Roma, Tipografia delle Mantellate, 1940 (si tratta
del rapporto fatto a Mussolini dalla commissione per la riforma dei codici).
121
G. Mazzoni, La “crisi” del diritto corporativo e la validità del corporativismo, in DL, 1943, I, p. 117 ss.
122
L. Mossa, Il diritto del lavoro nel Codice civile, in ASC, 1942, p. 98 ss.
123
L. Mossa, Per il diritto dell’Italia, in RDC, 1945, p. 1.
124
Problema risolto negativamente da C. cost. 76/1969.
125
A. Sermonti, I nuovi contratti collettivi di fronte a quelli del cessato ordinamento, in MGL, 1947, p. 241.
120
16
che hanno loro dato vita126. Prevalsa la tesi che natura ed efficacia soggettiva del contratto collettivo
ultrattivo sono identiche a quelle originarie127, ci si divide sul significato da attribuire alle «successive modifiche»128; quali siano le fonti legittimate ad apportarle: se solo una fonte gerarchicamente
superiore al contratto collettivo, cioè la legge129, o - come sostengono i più - anche i nuovi contratti
collettivi “liberi”, pur non costituendo questi in senso tecnico delle norme130; se, poi, questi ultimi
possano apportare modifiche solo migliorative o anche peggiorative: ed è la tesi che prevale (fermi,
ovviamente, i diversi ambiti di efficacia soggettiva), sul rilievo che altrimenti la norma dell’art. 43
sarebbe del tutto superflua, ribadendo un principio generale del sistema, e incongrua, inibendo ogni
evoluzione dinamica dell’autonomia collettiva131.
In definitiva, una situazione di grande confusione, tipica d’altronde di un momento di emergenza
assoluta. Ma proprio in momenti del genere c’è da garantire maggiormente ai lavoratori la tutela
seppur “emergenziale” delle condizioni lavorative, in primo luogo una retribuzione equa e non massacrata dalla terribile inflazione dei tempi di guerra. Essendo, quindi, le tariffe salariali dei contratti
collettivi corporativi ormai del tutto inadeguate, per applicare a tutti i lavoratori i benefici salariali
concordati nei nuovi contratti collettivi, si escogita un sistema piuttosto singolare: si trasfonde, cioè,
il contenuto del contratto collettivo in una norma di legge, facendogli acquisire quell’efficacia erga
omnes che esso ha perso con l’abolizione dell’ordinamento sindacale corporativo. È interessante, ad
esempio, il d.lgs.lgt. 2 novembre 1944, n. 303, dove, sulla premessa che, «in mancanza di un ordinamento sindacale di diritto, deve provvedersi con atto legislativo a rendere efficaci verso tutti gli
appartenenti alle categorie interessate gli accordi convenuti a Roma il 13 ottobre 1944 fra le associazioni di prestatori d’opera e di datori di lavoro di fatto esistenti», si espongono in 12 articoli i
contenuti di detto accordo132.
Questo escamotage viene presto abbandonato - anche se forse ritornerà in mente a qualcuno una
quindicina d’anni più tardi - e mano a mano si fanno strada i “nuovi” contratti collettivi, assoggettati al diritto privato.
14. Le “norme per la disciplina dei rapporti collettivi di lavoro” della Repubblica sociale
Dall’altra parte della barricata, cioè nella Repubblica sociale, erede diretta dello Stato fascista, si
proclama invece il fallimento del corporativismo, già nell’aria da qualche tempo: lo celebra ora ufficialmente il “manifesto di Verona” del 14 novembre 1943, vero e proprio programma fondativo
del nuovo Stato133. Ammettendo, quindi, l’esistenza delle classi, si vuole dar vita a una struttura
dell’impresa e della produzione completamente nuova, nonché in stridente contrasto col diritto privato vigente, quello codificato poco più di un anno prima, e già accusato di scarsa fascistizzazione,
dominato com’è dal “tecnicismo” alla Alfredo Rocco.
Sulla premessa che l’ordinamento della Repubblica sociale, se non giuridicamente inesistente, è
grandemente condizionato dalla sudditanza nei confronti del Terzo Reich, dall’assoluta precarietà
della situazione, dal dominio su un territorio sempre più ridotto, dal cupio dissolvi della probabile
coscienza della fine imminente, e che quindi i suoi esperimenti “anticapitalistici” vanno riguardati
non tanto come recupero di un certo fascismo “di sinistra” delle origini, quanto piuttosto come il
punto più alto della mistificazione scenografica di un regime in dissoluzione, è comunque storica126
A. Zanchi, Derogabilità delle norme dei contratti collettivi corporativi, in MGL, 1950, p. 3.
F. Santoro Passarelli, Durata transitoria delle norme corporative, in FI, 1951, I, c. 578 ss.
128
V. Simi, I vecchi contratti collettivi e le loro successive modifiche, in DL, 1950, II, p. 381; G.D. Miceli, Efficacia
dei nuovi contratti collettivi e modifica da parte di essi dei contratti di diritto corporativo, in DL, 1950, II, p. 185.
129
M.G. Brunetti, Contratti collettivi vecchi e nuovi, in MGL, 1949, p. 251.
130
F. Santoro Passarelli, Contratto collettivo e norma corporativa, in FI, 1949, I, p. 1069.
131
Riassuntivamente, G. Giugni, Contratto collettivo di lavoro, cit., p. 161.
132
Sul punto, L. Riva Sanseverino, Contratto collettivo di lavoro, in Enciclopedia del Diritto, X, Milano, Giuffrè,
1962, p. 59.
133
F. Franchi, Le costituzioni della Repubblica sociale italiana, Milano, Sugarco, 1987, p. 127 ss.
127
17
mente interessante valutare l’assetto del nuovo ordinamento sindacale, andato in porto ai primi del
1945, ma ben radicato in vari programmi operativi e progetti costituzionali134.
Innanzitutto, il progetto di Costituzione della Repubblica sociale, mai approvato, all’art. 117 recita testualmente: «Poiché la attuazione, rigorosa e inderogabile, delle condizioni fondamentali costituenti garanzia del lavoro è di preminente interesse pubblico, la disciplina del rapporto di lavoro è
affidata alla legge o alle norme da emanarsi dall’organizzazione professionale riconosciuta. Tali
norme si inseriscono automaticamente nei contratti individuali, i quali possono contenere norme diverse ma soltanto più favorevoli al lavoratore».
Il decreto del Duce 18 gennaio 1945, n. 3, si apre con la solenne affermazione che «il lavoro, in
ogni sua manifestazione, costituisce la base della Repubblica sociale italiana» (art. 1). Il proprietario
che non lavori, almeno come dirigente o come tecnico, non può iscriversi al sindacato, la cui partecipazione (obbligatoria) è infatti riservata solo a «coloro che esplicano comunque la loro attività organizzativa, tecnica od esecutiva» (art. 2). Tutti i sindacati sono riuniti - verrebbe da dire “corporativamente”, ma l’intenzione è esattamente l’opposta - nella grande Confederazione generale del lavoro, della tecnica e delle arti, già istituita da tempo, la quale ha appunto la rappresentanza obbligatoria delle parti sociali (d. Duce 20 dicembre 1943, n. 853).
L’esclusione della proprietà non accompagnata dal lavoro costituisce, evidentemente, un ostacolo risibile e facilmente aggirabile. La sostituzione del sindacalismo “dualistico” con una struttura
unitaria dalla quale deve restar fuori il capitale in quanto tale, anzi, asseconda le idee autoritarie del
corporativismo degli anni passati. Così, buona parte del nuovo ordinamento sindacale si rivela piuttosto simile a quello che va a sostituire (personalità giuridica, rappresentanza legale, approvazione
governativa). È quindi il sindacato nazionale che «emana» i contratti collettivi, anzi le «norme per
la disciplina dei rapporti collettivi di lavoro» nelle imprese appartenenti alla categoria che esso rappresenta (art. 17, co. 1, d. 3/1945); ma questa minima autonomia contrattuale viene subito controbilanciata da un rigido controllo dall’alto: «Le norme suddette sono sottoposte ad esame degli organi
corporativi nazionali i quali, dopo averle approvate, ne ordinano la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale d’Italia».
A Salò, quindi, si adotta una soluzione al problema della validità e dell’efficacia dei contratti collettivi molto simile a quella del Regno: può sembrare un paradosso, ma lo è relativamente, perché la
situazione di emergenza è ovviamente la stessa, e la soluzione di sottoporre il contratto collettivo
all’approvazione e all’intervento vigile di organi governativi appare l’unica in linea con le prevalenti esigenze di ordine pubblico del tempo di guerra.
In ogni caso, le norme sul lavoro del «sedicente governo fascista repubblicano» vengono abrogate dal Comitato di liberazione nazionale dell’Alta Italia; il decreto porta una data particolare, il 25
aprile 1945.
15. Quel “pasticciaccio” (brutto?) dell’art. 39 della Costituzione
Dopo la Liberazione, la situazione è quindi piuttosto variegata: accanto ai contratti collettivi corporativi ultrattivi, coesistono i pochi contratti “liberi” trasfusi in norme di legge e, soprattutto, i contratti “liberi” senz’altra specificazione. Questi godono di un ampio spazio di autonomia, essendo rivolti in prevalenza a disciplinare la materia salariale, esposta agli alti e bassi dell’inflazione.
L’ordinamento sindacale fascista, formalmente ancora in vigore, è praticamente svuotato di contenuto a seguito dell’eliminazione di tutti i suoi organismi.
Ma in quei concitati anni, «neppure in via transitoria e provvisoria, si è ritenuto opportuno di
colmare questa interminabile vacatio»135. Perciò tutti, senza alcuna esclusione, attendono un nuovo
134
F. Galanti, Socializzazione e sindacalismo nella Repubblica sociale italiana, Roma, Magi-Spinetti, 1949, p. 106
s.
135
I. Scotto, Considerazioni sulla emananda legislazione del lavoro secondo l’articolo 39 della Costituzione, in DL,
1948, I, p. 227 ss.
18
«ordinamento sindacale di diritto»136, cioè una sistemazione chiarificatrice da parte della legge, e
ancor prima da parte delle direttive di una Costituzione che ci si accinge a scrivere137.
All’Assemblea Costituente - dove abbondano i professori universitari di ogni disciplina giuridica
- non c’è alcun giuslavorista: la materia sta molto faticosamente emergendo dalle ceneri del diritto
corporativo138 e gli studiosi stanno prudentemente aspettando che “passi la nottata”. Perciò, tanti diventano lavoristi “sul campo”139, primo fra tutti Giuseppe Di Vittorio, forte dell’indiscussa leadership della Cgil, che per la prima e unica volta in Italia riunisce tutte le anime del sindacalismo: la
sua relazione presentata alla terza sottocommissione diventa in breve un punto di riferimento per la
Costituzione da scrivere e, quindi, per un diritto tutto da costruire140.
Senonché, in quel 1946 ancora così vicino ai retaggi giuridici del fascismo, l’unico ordinamento
sindacale al quale si pensa è un ordinamento statale. Democratico quanto si vuole, ma pur sempre
pubblicistico. In questa prospettiva, il nodo della posizione giuridica del sindacato rispetto allo Stato trova soluzione in una mediazione tra chi lo vuole come una sorta di ente di diritto pubblico, riconosciuto e controllato dallo Stato, e chi lo vuole libero, svincolato da rapporti con il potere pubblico: un equilibrio molto delicato tra l’insopprimibile esigenza di libertà, volontarietà, autonomia e
indipendenza del sindacato e l’opposta esigenza, tutta pubblicistica, di ottenere da esso le garanzie
«necessarie per potergli affidare legalmente alcune funzioni di carattere pubblico, che il sindacato
esercita di fatto e che non potrebbe non esercitare»141; garanzie che lo Stato deve attribuirgli formalmente ed esplicitamente.
L’unica strada percorribile perché lo Stato garantisca al sindacato prerogative altrimenti inattingibili pare a tutti l’attribuzione della personalità giuridica. Un ruolo non secondario lo ha alla Costituente il parere di uno dei più autorevoli giuspubblicisti del tempo, Costantino Mortati, per il quale,
appunto, la personalità di diritto pubblico costituisce condizione indispensabile perché il sindacato
possa esercitare la funzione, «indubbiamente pubblicistica», di stipulare contratti collettivi 142. Le
condizioni alle quali lo Stato deve subordinare il riconoscimento del sindacato vengono risolte in
maniera molto “leggera”, imponendo - peraltro solo alla fine, nel dibattito in Assemblea plenaria l’unico requisito del possesso di «un ordinamento interno a base democratica».
È una soluzione ancora figlia di troppi retaggi del passato143, nonché di un presente che vede un
sindacato unico, forte e glorificato dalla Resistenza. I costituenti cuciono il nuovo modello
dell’«ordinamento sindacale di diritto» addosso al sindacato unitario, senza fermarsi troppo a considerare cosa succederebbe se esso si frantumasse, come puntualmente avverrà solo uno o due anni
dopo144. In Costituente, anzi, c’è chi propone di inserire un espresso riconoscimento della Cgil come «ente giuridico che riunisce i sindacati»: sono i socialisti Michele Giua ed Emilio Canevari (uno
dei firmatari del “patto di Roma” del 1944), che si meravigliano di come una simile proposta non
venga dal capo del sindacato145. Di Vittorio, evidentemente, è più lungimirante, pur continuando ad
136
A. Sermonti, Per la ricostruzione di un ordinamento sindacale di diritto, in DL, 1946, I, p. 177 ss.; Id., Il contratto collettivo nella mancanza di un ordinamento sindacale di diritto, in MGL, 1947, p. 97 ss.
137
Per tutti, L. Riva Sanseverino, Il contratto collettivo nella legislazione italiana, in DL, 1946, I, p. 3 ss.
138
P. Ichino, I primi due decenni del diritto del lavoro repubblicano: dalla Liberazione alla legge sui licenziamenti,
in Id. (a cura di), Il diritto del lavoro nell’Italia repubblicana. Teorie e vicende dei giuslavoristi dalla Liberazione al
nuovo secolo, Giuffrè, Milano, 2008, p. 4 ss.
139
P. Passaniti, La Costituente tra cronaca e storia. Il nodo giuslavoristico nell’ordine democratico, in L. Gaeta (a
cura di), Prima di tutto il lavoro. La costruzione di un diritto all’Assemblea Costituente, Roma, Ediesse, 2014, p. 23 ss.
140
L. Gaeta, Le parole sull’ordinamento sindacale, in F. Farina (a cura di), Le parole di Giuseppe Di Vittorio. La
persona, il lavoro, il sindacato, la Costituzione, Roma, Ediesse, 2016, p. 93 ss.
141
Relazione del deputato Di Vittorio Giuseppe sul diritto di associazione e sull’ordinamento sindacale, in Commissione per la Costituzione - Relazioni e proposte, p. 130.
142
Assemblea Costituente - CCXX. Seduta pomeridiana di sabato 10 maggio 1947, p. 3847.
143
G. Tarello, Teorie e ideologie nel diritto sindacale. L’esperienza italiana dopo la Costituzione, Milano, Comunità, 1967, p. 20.
144
Sul dibattito, L. Lazzeroni, Libertà sindacale e contrattazione collettiva: una norma impegnativa, in L. Gaeta (a
cura di), Prima di tutto il lavoro, cit., p. 229 ss.
145
Terza sottocommissione - 25. Resoconto sommario della seduta pomeridiana di venerdì 11 ottobre 1946, p. 183.
19
essere strenuo difensore dell’unità del sindacato: «unità e “unicità” sindacali sono due concetti profondamente diversi ed in certo senso opposti»146. Perciò, alla fine, la pur faticosa opzione che passa,
trasfondendosi nel testo finale dell’art. 39, tiene conto comunque di un possibile - anche se allora
non prevedibile - pluralismo sindacale.
Il sistema si sta lentamente costruendo e intorno a esso cresce l’attesa dei giuslavoristi: «La nuova Costituzione ci darà, a quanto sembra, fra le tante e varie disposizioni, anche la legge sindacale»,
profetizza Ubaldo Prosperetti147. Resta da legare il nodo della natura del sindacato a quello
dell’efficacia dei contratti collettivi.
Infatti, naturale prerogativa, discendente automaticamente dal riconoscimento del sindacato come persona giuridica, risiede nella possibilità di stipulare contratti collettivi aventi efficacia generale nei confronti di tutti i lavoratori appartenenti alla categoria. Tutti i costituenti, nessuno escluso,
hanno in mente un solo modello di contratto collettivo, non dissimile da quello del corporativismo
(il qualunquista Francesco Colitto propone di scrivere lapidariamente che «il contratto collettivo di
lavoro ha efficacia di legge»148). La quadratura del cerchio consiste, allora, nell’adattare un modello
potenzialmente autoritario al nuovo sistema democratico dei rapporti di lavoro, in modo tale, comunque, da imporre ai tanti datori di lavoro «egoisti e antisociali», che nella natura non cogente del
contratto collettivo trovano una scusa per non applicarlo, l’obbligo di «rispettare i contratti come le
leggi sociali»149. Soluzione anche qui in qualche modo facilitata dalla contingente presenza di un
grande sindacato unitario.
Vengono avanzate due soluzioni150: una maggioritaria, nel senso di riconoscere il diritto in capo
a quello dei sindacati che conti la maggioranza assoluta - oppure il maggior numero di iscritti - tra i
lavoratori interessati; l’altra unitaria, ammettendo alle trattative anche rappresentanti dei sindacati
minoritari, in proporzione al numero dei rispettivi iscritti. In sottocommissione e poi in Assemblea
prevale ampiamente la linea della rappresentanza unitaria determinata sulla base di una partecipazione proporzionale al numero degli iscritti, ma in favore di tutti i sindacati registrati e rappresentativi della categoria, maggioritari o minoritari che siano: una soluzione che già allora ingenera non
pochi dubbi tecnico-giuridici su questa nuova entità del sindacato “di coordinamento”. Mai, però, i
costituenti sono sfiorati dall’idea di una contrattazione collettiva privatistica, con efficacia limitata
ai soli iscritti alle associazioni stipulanti, quanto meno come ipotesi residuale in assenza di contrattazione obbligatoria in seno ad una categoria.
E qui, probabilmente, il costituente non è lungimirante, immaginando, a torto, che i sindacati accetteranno il compromesso della registrazione, del conferimento della personalità giuridica o
dell’intervento della legge in tema di prerogative sindacali, pur di stipulare ibridi contratti collettivi
con efficacia generalizzata o di possedere una sorta di potere d’imperio su una compagine datoriale
“egoista”. Manca completamente la lettura secondo cui il contratto collettivo può originare anche
solo dalla capacità di imposizione del sindacato alla controparte151.
L’art. 39, con le sue forti incrostazioni corporative152, dà vita davvero a un «pasticciaccio»153,
che è tra l’altro alla base della divaricazione - ora più ora meno pronunciata, e con alti e bassi nel
prevalere dell’una sull’altra negli anni a venire - tra una concezione pubblicistica dell’attività sindacale e la sua lettura in termini di autonomia contrattuale privatistica154.
Ma i giuslavoristi, per il momento, non attendono altro che un nuovo ordinamento sindacale su
146
Relazione cit., p. 131.
U. Prosperetti, Verso i nuovi contratti collettivi, in DL, 1947, I, p. 51.
148
Terza sottocommissione - 27. Resoconto sommario della seduta di lunedì 14 ottobre 1946, p. 191.
149
Assemblea Costituente - CXV. Seduta pomeridiana di mercoledì 7 maggio 1947, p. 3691 s.
150
Terza sottocommissione - 28. Resoconto sommario della seduta antimeridiana di martedì 15 ottobre 1946, p. 197
147
ss.
151
L. Lazzeroni, Libertà sindacale cit., p. 234 s.
G.F. Mancini, Libertà sindacale e contratto collettivo erga omnes, in RTDPC, 1963, p. 570 ss.
153
F. Mancini, Costituzione e movimento operaio, Bologna, Il Mulino, 1976, p. 170.
154
S. Liebman, Contributo allo studio della contrattazione collettiva nell’ordinamento giuridico italiano, Milano,
Giuffrè, 1986, p. 81.
152
20
cui iniziare a lavorare. Prima ancora che in Parlamento, è sulle riviste che si iniziano a presentare i
progetti di legge attuativi della norma: Francesco Santoro Passarelli è tra i “primi firmatari” di uno
«schema per la disciplina dei sindacati e dei contratti collettivi»155. Ma presto dall’entusiasmo si
passa alla delusione. Di mezzo c’è un dirompente Quarantotto che in pochissimo tempo fa letteralmente franare lo sfondo politico e sindacale alla base del nuovo ordinamento. Inizia una nuova storia, che vede ancora una volta la dottrina protagonista principale.
16. Il contratto collettivo “di diritto comune” nella “glossa ordinaria” di Santoro Passarelli
Parte subito l’anestetizzazione della Costituzione, anche se l’art. 39 risente poco del clima complessivo che vorrebbe minimizzare la legge fondamentale156; anzi, è forse la più costituzionale delle
inattuazioni della Costituzione157. In ogni caso, questa circostanza inizia da allora a costituire il
connotato stesso della materia, creando contemporaneamente un limite invalicabile; perché, fin che
non interviene una legge attuativa, la via per sperimentare altre eventuali soluzioni resta irrimediabilmente bloccata: “non avrai altro contratto collettivo al di fuori di me”, sembra tuonare la norma.
Il vuoto normativo viene quasi naturalmente occupato dalle uniche strutture giuridiche da sempre
utilizzabili: ovviamente, quelle del “vecchio” diritto privato. Il sindacato, abbandonata la prospettiva (mai seriamente accarezzata) di diventare persona giuridica, viene confinato nelle «povere e
scarne norme» che il codice dedica alle associazioni non riconosciute158. Il terreno è fertile per seminare una nuova teoria generale di grande portata e di ancora maggiore impatto.
La materia, infatti, viene subito “occupata” da un grande privatista, Francesco Santoro Passarelli,
che, rifondandola, le imprime un marchio duraturo159. Un fortunatissimo manuale, più volte riedito160, e un poderoso saggio161 risistemano alla radice l’intero diritto del lavoro. Insieme alle Dottrine
generali del diritto civile162, essi vengono a costituire una sorta di manifesto del nuovo assetto liberista dell’Italia repubblicana (è stato icasticamente detto, una sua «glossa ordinaria»163), condizionando profondamente gli orientamenti teorici e ideologici del nostro giuslavorismo (e non solo). La
sistematica e il metodo complessivo sono prettamente pandettistici, e danno vita a una rappresentazione magistrale svolta esclusivamente tramite le categorie comuni civilistiche dell’autonomia collettiva e individuale, in contrapposizione alla pubblicizzazione del diritto del lavoro corporativo
(anche se il prezzo di queste limpide geometrie ordinanti e semplificatrici rischia di essere piuttosto
salato, cioè - come si vedrà - la minimizzazione della normativa giuslavoristica costituzionale).
La “scelta di campo” dei giuslavoristi si celebra simbolicamente nel 1954 in un famoso congresso a Taormina164. Tra l’opzione ricostruttiva pubblicistica, patrocinata da Mortati, che intende risistemare la materia alla luce della fonte costituzionale e teorizza la natura pubblica della funzione
155
In DL, 1949, I, p. 3 ss.; vi collaborano Giuseppe Alibrandi, Renato Balzarini, Alfredo Cavallo, Umberto Chiappelli, Giuseppe Chiarelli, Francesco Colitto, Danilo De Cocci, Amleto Di Marcantonio, Luigi A. Miglioranzi, Giovanni
Miraldi, Augusto Paroliu, Ubaldo Prosperetti, Luisa Riva Sanseverino, Ignazio Scotto, Valente Simi.
156
Classicamente, G. Giugni, Art. 39, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma,
Zanichelli-Il foro italiano, 1979, p. 260 ss.
157
Così U. Romagnoli, Diritto sindacale (storia del), in Digesto delle discipline privatistiche. Sezione commerciale,
Torino, Utet, 1989, p. 655.
158
P. Rescigno, Sindacati e partiti nel diritto privato, in Jus, 1956, p. 1.
159
U. Romagnoli, G. Giugni, M. Dell’Olio, M. Persiani, Francesco Santoro Passarelli e il diritto del lavoro, in
ADL, 1997, p. 1 ss.
160
F. Santoro Passarelli, Nozioni di diritto del lavoro, Napoli, Jovene, 1945, giunte nel 1995 alla 35ª edizione.
161
F. Santoro Passarelli, Autonomia collettiva, giurisdizione, diritto di sciopero, in RISG, 1949, p. 138.
162
F. Santoro Passarelli, Istituzioni di diritto civile, Napoli, Jovene, 1944, poi Dottrine generali del diritto civile,
Napoli, Jovene, 1954, giunte nel 1966 alla 9ª edizione, ristampata nel 2012.
163
G. Cianferotti, Permanenza e mutamenti del paradigma pandettistico nella civilistica italiana dalla Grande
Guerra al secondo Novecento, in RTDPC, 2016.
164
G. Cazzetta, L’autonomia cit., p. 617 ss.; definisce invece «futile» la diatriba pubblico-privato, G. Giugni, Introduzione, in Id., Lavoro legge contratti, Bologna, Il Mulino, 1989, p. 10.
21
del sindacato165, e quella privatistica, caldeggiata da Santoro Passarelli, che vuole il ritorno alle origini e vede nella pubblicizzazione un pericoloso retaggio del passato regime166, s’impone di gran
lunga la seconda. Il “modello costituzionale” del diritto del lavoro167 non sfonda e da allora i privatisti dominano incontrastati168. Nel suo manuale, Santoro Passarelli potrà scrivere che «alle norme
regolanti direttamente il rapporto di lavoro la Costituzione non apporta sostanziali innovazioni»169:
il che è come dire, carneluttianamente, che «di massima, non ci sono cose nuove da dire».
Anche il contratto collettivo è, quindi, riportato alla “ragione comune”. Come ai tempi di Giuseppe Messina, esso torna a essere riferito alle sole norme del diritto privato; Santoro Passarelli, che
ha già negato al contratto collettivo “virtuale” dell’art. 39 la natura di fonte del diritto170, a maggior
ragione la nega ai contratti collettivi “liberi”, per i quali rispolvera la fortunata definizione di contratti «di diritto comune»171 (utilizzata già durante il fascismo per identificare quelli del periodo liberale172). Egli fa però qualcosa di molto più elaborato che rispolverare vecchi contenitori civilistici, coniugando perfettamente la ricostruzione privatistica col profilo collettivo. Nella sua lezione,
l’autonomia dei privati viene presa in considerazione in quanto riferibile anche al gruppo sociale: è
l’«autonomia privata collettiva», nella quale l’interesse collettivo del gruppo costituisce sintesi, e
non somma, degli interessi individuali, destinati a soccombere di fronte ad esso173. Così che, ricapitolando gli esiti di tale sua teoria proprio riguardo al tema dell’efficacia del contratto collettivo come legge di tutti gli appartenenti a un gruppo, Santoro Passarelli concluderà che in tal modo il fenomeno giuridico «viene quasi ad assumere una terza dimensione»174.
E, se negli anni Cinquanta - come segnala il “manifesto” di due giovanissimi studiosi175 - la dottrina non incide quasi per niente sul mondo del lavoro, essa invece influenza molto i giudici. E la
dottrina “è” Santoro Passarelli. Perciò, nel solco della ricostruzione privatistica del fenomeno sindacale - che ha il merito innegabile di aver superato definitivamente il modello corporativo, garantendo comunque la volontarietà del nuovo sistema176 -, il primato della legge sul contratto collettivo
continua a essere affermato non in base alle norme sulla gerarchia tra le fonti, ma semplicemente
applicando le regole generali sul rapporto tra legge e atti di autonomia privata. Il sistema è chiuso
dall’applicazione del meccanismo dell’inderogabilità177, in base al quale la legge viene ritenuta prevalere sulle previsioni difformi della contrattazione collettiva, rendendole nulle e sostituendole automaticamente (artt. 1339 e 1419, co. 2, c.c.)178.
165
C. Mortati, Il lavoro nella Costituzione, in DL, 1954, I, p. 149 ss., che costituisce, appunto, la relazione al congresso di Taormina. Su di essa, L. Gaeta (a cura di), Costantino Mortati e “Il lavoro nella Costituzione”: una rilettura,
Milano, Giuffrè, 2005.
166
La sua relazione non viene pubblicata. Ci si può, comunque, riferire a F. Santoro Passarelli, Spirito del diritto del
lavoro, in DL, 1948, I, p. 273, nonché al suo manuale, soprattutto a partire dalla quinta edizione: Nozioni di diritto del
lavoro, Napoli, Jovene, 1951.
167
P. Costa, Cittadinanza sociale e diritto del lavoro nell’Italia repubblicana, in G.G. Balandi, G. Cazzetta (a cura
di), Diritti e lavoro nell’Italia repubblicana, Milano, Giuffrè, 2009, p. 28.
168
U. Romagnoli, La Costituzione delegittimata, in RTDPC, 2003, p. 829.
169
F. Santoro Passarelli, Nozioni di diritto del lavoro, Napoli, Jovene, 1969, p. 15.
170
F. Santoro Passarelli, Esperienze e prospettive giuridiche dei rapporti fra i sindacati e lo Stato, in RDL, 1956, I,
p. 1 ss.
171
F. Santoro Passarelli, Derogabilità dei contratti collettivi di diritto comune, in DG, 1950, p. 299 ss. (è curioso segnalare che il titolo cambia in Inderogabilità dei contratti collettivi di diritto comune, in Id., Saggi di diritto civile, I,
Napoli, Jovene, 1961, p. 217 ss.).
172
L. Nogler, Il contratto collettivo. La funzione normativa, in C. Zoli (a cura di), Il diritto sindacale, Torino, Utet,
2007, p. 282.
173
F. Santoro Passarelli, Autonomia collettiva cit.; Id., Norme corporative, autonomia collettiva, autonomia individuale, in DE, 1958, p. 1187.
174
F. Santoro Passarelli, Lineamenti attuali del diritto del lavoro in Italia, in RDL, 1953, I, p. 3.
175
G. Giugni, F. Mancini, Per una “cultura sindacale” in Italia, in IM, 1954, p. 28 ss.
176
Lo rileva U. Carabelli, Libertà e immunità del sindacato, Napoli, Jovene, 1986, p. 33 ss.
177
Classicamente, R. De Luca Tamajo, La norma inderogabile nel diritto del lavoro, Napoli, Jovene, 1976; poi, M.
Novella, L’inderogabilità nel diritto del lavoro. Norme imperative e autonomia individuale, Milano, Giuffrè, 2009; G.
Fontana, Dall’inderogabilità alla ragionevolezza, Torino, Giappichelli, 2010.
178
Notazioni critiche in C. Assanti, Rilevanza e tipicità del contratto collettivo, Milano, Giuffrè, 1967, p. 43 ss.
22
Perciò, la logica della gerarchia delle fonti, «espulsa dalla porta, riaffiora[…] dalla finestra»: una
volta qualificato privatisticamente, il contratto collettivo rimane pur sempre soggetto al principio di
gerarchia, se non altro perché - da Kelsen in avanti - tutti i contratti di diritto privato possono essere
considerati, dal punto di vista del diritto obiettivo, come fonti di diritto (interprivato), gerarchicamente subordinate alla legge179.
Sul versante dei rapporti tra contratto collettivo e contratto individuale, i giudici col tempo accreditano al primo una forza che va ben al di là del mero atto di autonomia privata: innanzitutto, con
un’operazione criticabile180, gli applicano l’art. 2077 c.c., parificandolo in sostanza al contratto collettivo corporativo e ritenendolo quindi una fonte di integrazione degli effetti del contratto individuale, prevalente sulle sue determinazioni difformi181; l’operazione si attira gli strali di Santoro Passarelli, che giunge allo stesso risultato ragionando però privatisticamente in termini di mandato rappresentativo182; i giudici, poi, applicano autonomamente i minimi salariali della contrattazione collettiva anche ultra partes, quando il trattamento del contratto individuale non realizzi la retribuzione
proporzionata e sufficiente imposta dall’art. 36 Cost.183, e utilizzano diversi altri espedienti per
estendere la portata soggettiva del contratto collettivo184; creano in definitiva un microsistema molto
anglosassone, nel quale il contratto collettivo acquisisce “di fatto” il ruolo di fonte.
Questo sistema, nel quale lo Stato rinuncia alla regolamentazione del contratto collettivo, sicuro
che il controllo sui conflitti sarà garantito dal sistema politico e dai giudici, regge per tutti gli anni
Cinquanta, anche perché «l’interscambio legge-contrattazione si svolge comunque su poste modeste»: la legge si occupa sostanzialmente di fasce perimetrali del lavoro dipendente, la contrattazione
si occupa di fissare minimi salariali e normativi185. E si tiene in piedi anche grazie a una tacita definizione di competenze tra le due “fonti”, che vuole l’autonomia collettiva titolare di una sorta di “riserva assoluta” nella regolazione del rapporto di lavoro186.
Ma una struttura così delicata, le cui ambiguità non sono irrilevanti187, mostra segni di cedimento
proprio alla fine degli anni Cinquanta. La soluzione privatistica appare sempre meno adeguata a rispondere alle esigenze di un sistema moderno di relazioni di lavoro, soprattutto ai nuovi spazi che la
contrattazione collettiva sta aprendosi; e meccanismi come la rappresentanza e il mandato riescono
difficilmente a contenere i nuovi bisogni del fenomeno sindacale, se l’ambito di efficacia soggettiva
del contratto è limitato ai soli iscritti e la sua efficacia oggettiva si regge sulle sole basi di una interpretazione giurisprudenziale dell’art. 2077 c.c. (alla fine, comunque, così costante da finire con
l’incidere sugli stessi contenuti dell’autonomia privata188).
La dottrina lavoristica, però, è stranamente silenziosa e acquiescente, forse soggiogata dalla personalità di Santoro Passarelli e delle sue ricostruzioni189. Nei quindici anni successivi alla Liberazione - nota Giuseppe Pera - «gli studi relativi ai vari e ardui problemi del diritto sindacale nella ritrovata democrazia non hanno avuto, nel complesso, quello svolgimento e quell’approfondimento
che sarebbe stato necessario»190.
179
G. Vardaro, Contrattazione collettiva e sistema giuridico, Napoli, Jovene, 1984, p. 102.
Per tutti, G. Mazzoni, Certezza del diritto e autonomia privata nell'odierno diritto del lavoro, in DE, 1956, p.
1223 ss.; parla di una vera e propria «eterogenesi» della norma, G. Vardaro, Contratti collettivi cit.; sul tema, ampiamente, M. Rusciano, Contratto collettivo e autonomia sindacale, Torino, Utet, 1986, poi ristampato con aggiornamenti:
Torino, Utet, 2003, p. 79 ss.
181
Cass. 1184/1951, in FI, 1951, I, c. 691.
182
F. Santoro Passarelli, Autonomia collettiva cit., p. 138 ss.
183
S. Pugliatti, La retribuzione sufficiente e le norme della Costituzione, in RGL, 1950, I, p. 189 ss.; R. Scognamiglio, Sull’applicazione dell’art. 36 Cost. in tema di retribuzione del lavoratore, in FC, 1951, p. 352 ss.
184
M. Rusciano, Contratto collettivo cit., p. 57 ss.
185
L. Mariucci, La contrattazione collettiva, cit., p. 306 s.
186
C. Mortati, Il lavoro nella Costituzione cit.
187
G. Tarello, Teorie e ideologie cit., p. 14 ss.
188
M. Persiani, Legge, giudice e contratto collettivo, in DL, 1977, I, p. 13 ss.
189
Sul tema, G. Giugni, Il diritto sindacale e i suoi interlocutori, in RTDPC, 1970, p. 369 ss.
190
G. Pera, Problemi costituzionali del diritto sindacale italiano, Milano, Feltrinelli, 1960, p. 16.
180
23
17. I rinvii al contratto collettivo negli anni Cinquanta
I giudici, quindi, accreditano una sorta di continuità tra contratto corporativo e contratto privatistico, sia - come s’è appena visto - applicando sistematicamente a quest’ultimo la norma sulla inderogabilità peggiorativa nei rapporti col contratto individuale, sia ritenendogli trasferiti automaticamente tutti i riferimenti che le leggi precedenti, in primis il codice civile, fanno al «contratto collettivo»191. L’opzione della decontestualizzazione e dell’omogeneizzazione del contratto collettivo è
fondata sull’attitudine a regolare le condizioni di lavoro, che è ritenuta esattamente la stessa nei due
tipi di contratto collettivo, differenti soltanto per il diverso ambito soggettivo di applicazione192.
Allo stesso modo sembra comportarsi il legislatore degli anni Cinquanta, che opera numerosi
rinvii, o comunque riferimenti, al contratto collettivo, quasi pensando di avere davanti una fonte
sottordinata alla legge, ma comunque applicabile in via generale193: siano essi l’obbligo per l’ufficio
di collocamento di accertarsi della conformità ai contratti collettivi delle condizioni di lavoro dei
neoassunti o l’obbligo di retribuire i lavoratori a domicilio con le tariffe di cottimo previste dai contratti collettivi (ma gli esempi potrebbero continuare), la percezione è appunto quella del riferimento
a un contratto non dissimile da quello corporativo, che finisce con l’acquisire efficacia erga omnes
nel momento in cui diventa parte della norma che lo richiama. Basi sulle quali alcuni studiosi fonderanno ricostruzioni del contratto collettivo come contratto “nominato”194 o contratto “tipico”195.
Su una di queste leggi interviene la neoistituita Corte costituzionale: è la l. 19 gennaio 1955, n.
25, che impone di applicare all’apprendista il contratto collettivo, in particolare le sue tariffe retributive (art. 11 c). La Corte salva una legge scritta malissimo196, affermando che essa non attribuisce
surrettiziamente al contratto un’impropria efficacia erga omnes, ma gli assegna la rilevanza di un
fatto il cui verificarsi integra e perfeziona l’efficacia del precetto legale 197. Nasce così uno schema
di ragionamento che, una volta raffinato, si diffonderà presto, «fino a diventare uno dei pilastri che
hanno sostenuto il peso dei rapporti di cooperazione funzionale tra legge e contratto collettivo»,
contribuendo a «coonestare la funzione para-legislativa del contratto post-corporativo»198.
Inizia, poi, proprio negli anni Cinquanta, un leggero attrito tra legge e contratto collettivo a proposito della possibilità per il sindacato di rivedere (e qui sta la novità) anche in senso peggiorativo
una determinata disciplina, formalmente inderogabile in pejus, in cambio di concessioni da parte
datoriale su altri piani ritenuti in quel momento più importanti. Per ora, l’ammissibilità di queste deroghe peggiorative riguarda singoli istituti, di importanza secondaria, su cui si sviluppano non poche controversie199. Col tempo, il problema degenererà.
18. Il contratto collettivo “ricopiato” del 1959
Negli anni Cinquanta continuano a presentarsi progetti di legge sul contratto collettivo. Quello
del 1951 che prevede l’attuazione dell’art. 39 (congiuntamente all’art. 40) e prende il nome dal ministro del lavoro, Leopoldo Rubinacci200, è però l’ultimo a essere presentato dal governo; il vincoli-
191
C. Assanti, Rilevanza cit., p. 57 ss.
L. Riva Sanseverino, Artt. 2060-2134, in A. Scialoja, G. Branca (dir.), Commentario del codice civile, BolognaRoma, Zanichelli-Il foro italiano, 1964.
193
C. Assanti, Rilevanza cit., p. 97.
194
B. Balletti, Contributo alla teoria dell’autonomia sindacale, Milano, Giuffrè, 1963, p. 346 ss.
195
S. Grasselli, Contributo alla teoria del contratto collettivo, Padova, Cedam, 1974, p. 29 ss.
196
G. Suppiej, Pluralismo dei contratti collettivi e significato di un rinvio legislativo, in RDL, 1957, II, p. 215 ss.
197
C. cost. 10/1957.
198
U. Romagnoli, Il contratto collettivo, cit., p. 236.
199
R. De Luca Tamajo, La norma inderogabile cit., p. 119 ss.
200
Camera, n. 2380/1951, poi in RGL, 1952, I, p. 62 ss.
192
24
smo delle sue previsioni provoca la reazione compatta di un sindacato allora diviso quasi su tutto201.
Da quel momento in avanti, e per lungo tempo, disegni analoghi verranno presentati dai partiti di
destra, più per un dovere rituale che per reale convinzione: si è ormai capito che per tanti motivi,
storici e contingenti202, la norma costituzionale è destinata a un lungo sonno (anche una proposta del
Cnel del 1960203 cade nel vuoto). Si cercano, allora, vie alternative per garantire comunque ai contratti collettivi l’efficacia erga omnes. Vi tendono due proposte presentate entrambe nel 1953: una
di Di Vittorio, che prevede l’estensione a tutti i lavoratori dei contratti collettivi sottoscritti fino a
quel momento dalle grandi confederazioni204; una dal leader della Cisl, Giulio Pastore, che prevede
una delega al governo per attribuire con decreto efficacia generale ai contratti collettivi presentati da
un sindacato nazionale, sentito il parere di una costituenda commissione205.
Alla fine, passa il sistema studiato dal ministro del lavoro Ezio Vigorelli: un «aggiramento del
problema dell’erga omnes»206, che si pretende di risolvere “all’italiana”, affidando a decreti legislativi il compito di “ricopiare” il testo dei contratti collettivi, trasformandoli così automaticamente in
norme di legge. La l. 14 luglio 1959, n. 741, per la verità, viene patrocinata da tutti i maggiori sindacati, che, superati per una volta i reciproci dissidi, vi trovano l’espediente per accantonare
l’attuazione dell’art. 39, in una situazione nella quale neanche il legislatore vuole più incrinare uno
status quo tutto sommato tranquillizzante207, anche se finge ipocritamente che l’attuazione della
norma costituzionale sia imminente (l’art. 6 dispone che i decreti saranno emanati «entro un anno
[…] o nel minor termine in caso di entrata in vigore della legge applicativa dell’articolo 39»).
L’operazione viene salvata dalla Corte costituzionale, perché ritenuta esprimere una soluzione
«provvisoria, transitoria ed eccezionale» - e si parla infatti di «diritto sindacale transitorio»208 -, ma
viene inesorabilmente stroncata l’anno dopo, quando si cerca di ripetere la manfrina (l. 1 ottobre
1960, n. 1027): l’unica via per avere un contratto collettivo erga omnes rimane quella indicata dall’art. 39209.
La soluzione della l. 741/1959 desta più di un problema, quanto alla natura che il contratto collettivo acquisisce dopo che le sue disposizioni sono diventate decreto legislativo: esse, infatti, non
possono «essere in contrasto con norme imperative di legge» (art. 5), mentre sono derogabili in melius per il lavoratore da parte del contratto collettivo di diritto comune e del contratto individuale
(art. 7). Per inciso, quest’ultima disposizione fa sì che negli anni immediatamente successivi i contratti collettivi “ricopiati” finiscano col condizionare in modo indiretto le politiche contrattuali, nel
senso di proporsi come un limite minimo, da poter valicare solo in meglio per il lavoratore (soltanto
negli anni Settanta, quando la loro funzione garantista è sensibilmente scemata, la giurisprudenza
arriverà a sostenerne la derogabilità anche in pejus a opera dei contratti di diritto comune210).
Quanto alla natura giuridica, si va da chi riconosce ai contratti “ricopiati” piena natura di atto legislativo a chi gliela nega completamente211, per passare attraverso tante posizioni intermedie212,
201
L. Mariucci, Lo sciopero nella storia dei progetti di regolamentazione legislativa, in Lo sciopero dalla Costituzione all’autodisciplina, Bologna, Il Mulino, 1975, p. 48 ss.
202
Per tutti, M. Rusciano, Contratto collettivo cit., p. 6 ss.
203
Osservazioni e proposte sull'attuazione degli articoli 39 e 40 della Costituzione, in FI, 1961, IV, c. 154 ss.
204
Camera, n. 21/1953.
205
Camera, n. 23/1953.
206
F. Lunardon, Efficacia soggettiva del contratto collettivo e democrazia sindacale, Torino, Giappichelli, 1999, p.
78.
207
G. Proia, M. Gambacciani, Il contratto collettivo di diritto comune, in G. Proia (a cura di), Organizzazione sindacale e contrattazione collettiva, Padova, Cedam, 2014.
208
V. Carullo, Diritto sindacale transitorio, Milano, Giuffrè, 1960.
209
C. cost. 106/1962, su cui, per tutti, F. Carnelutti, La Corte costituzionale giudice di equità, in RTDPC, 1963, p.
63 ss.; E. Ghera, Note sulla legittimità della disciplina legislativa per la estensione dei contratti collettivi, in RTDPC,
1963, p. 1177 ss.
210
Cass. 1469/1972, in FI, 1972, I, c. 2439.
211
Rispettivamente, M. Persiani, Natura ed interpretazione delle norme delegate sui minimi di trattamento ai lavoratori, in RDL, 1963, I, p. 244; G. Mazzoni, Illegittimità costituzionale della nuova legge, in DE, 1959, p. 1244.
212
Sul punto, M. Ricci, Il contratto collettivo fonte e l’art. 39 Cost., in Il sistema delle fonti nel diritto del lavoro,
25
con evidenti conseguenze: conflitti con la legge213, applicabilità dei canoni ermeneutici, ricorribilità
in Cassazione, proponibilità di eccezioni di incostituzionalità214. Resta, però, forte il dubbio che la
norma comporti una semplice estensione dell’ambito soggettivo di regole che restano nell’area del
contratto, realizzata con un sistema non dissimile da quelli di altri Paesi, fondati sul conferimento
governativo dell’efficacia generale. Insomma, per citare Carnelutti al contrario, qualcosa che ha il
corpo della legge ma l’anima del contratto!
19. Il nuovo rapporto tra legge e contratto collettivo dopo la rivoluzione dei tempi nuovi
I Sessanta sono gli anni del cambiamento: Bob Dylan incita la gente a cominciare a nuotare se
non vuole affondare come un sasso, perché l’acqua dei tempi nuovi sta inondando tutto. Nel nostro
campo, un salvagente lo butta nel 1960 Gino Giugni con la sua teoria dell’ordinamento intersindacale215, che libera il diritto sindacale da schemi ormai troppo rigidi, ricostruendolo su nuove fondamenta.
La teoria è imperniata sul riconoscimento dell’esistenza di un ordinamento originario, autoproduttivo di regole pragmatiche che governano i rapporti di lavoro, talvolta confliggenti con quelle
dell’ordinamento statale - con cui convive e dal quale non ha bisogno di legittimazioni -, ma dotate
di efficacia tanto più vincolante quanto maggiore è l’autolegittimazione degli attori e la loro forza
all’interno del sistema di relazioni industriali. La ricostruzione, tributaria dell’insegnamento di Santoro Passarelli quanto al rifiuto di ogni interferenza pubblicistica216, si fonda su due ben evidenti pilastri culturali217: da un lato, l’esperienza pluralista anglosassone delle industrial relations - con cui
viene rimisurato il pluralismo romaniano e il realismo ascarelliano -, frutto diretto degli studi alla
“scuola del Wisconsin”, dove è ancora vivo il magistero di John Commons e dove insegna Selig
Perlman, di cui Giugni traduce la più importante monografia con una ricca introduzione218;
dall’altro, la rielaborazione originale delle teorie di Sinzheimer e dei giuslavoristi weimariani219.
Ora il contratto collettivo, la cui forza è fondata sulla rappresentatività dell’agente contrattuale
(reciprocamente riconosciuto), si muove all’interno di un ordinamento autonomo rispetto a quello
statale. Il pluralismo fa sì che legge e contratto collettivo non si scontrino, anche perché - ed è uno
dei motivi per cui la ricostruzione trova terreno fertile - siamo in un momento nel quale il sindacato
rappresenta lavoratori sostanzialmente omogenei e le relazioni industriali stanno evolvendo verso
l’affermazione di un sistema sindacale “di fatto”, quasi indifferente rispetto al parallelo sistema giuridico statualistico e alle sue lacune.
Si è ormai capito, del resto, che il modello delineato dall’art. 39 non si realizzerà: nella prolusione con cui sale in cattedra a Bologna, Federico Mancini illustra con spietatezza i motivi tecnici, oltre che politici, del diminuito interesse del sindacato nei confronti di un modello formalistico di
contratto collettivo ad efficacia generale220; lo scritto ha un forte impatto tra i giuslavoristi: dopo di
esso, infatti, nonostante qualche tentativo di recupero221, «non sarà più in discussione il come dare
attuazione ai tre ultimi commi dell’art. 39, bensì soltanto il come modificarli o sostituirli»222. Il sindacato, poi, sembra puntare molto su un’esperienza che nel 1962 riceve un riconoscimento formale,
la contrattazione decentrata, una sorta di “nuova frontiera” dell’autonomia collettiva, della quale
Milano, Giuffrè, 2002, p. 144 ss.
213
G. Giugni, La disciplina legislativa del trattamento minimo di categoria, in RTDPC, 1959, p. 890 ss.
214
Riassuntivamente, R. Bortone, P. Curzio, Il contratto collettivo, Torino, Utet, 1984, p. 24 ss.
215
G. Giugni, Introduzione allo studio cit.
216
M. Rusciano, Contratto collettivo cit., p. 50.
217
G. Giugni, Introduzione, in Id., Lavoro legge contratti, cit., p. 9 ss.
218
S. Perlman, Ideologia e pratica dell’azione sindacale, Firenze, La Nuova Italia, 1956.
219
U. Romagnoli, Gino Giugni, l’ultimo giurista weimariano, in QF, 2010, p. 901.
220
G.F. Mancini, Libertà sindacale cit., p. 593.
221
G. Pera, Problemi costituzionali cit.
222
P. Ichino, I primi due decenni cit., p. 46 s.
26
Umberto Romagnoli fornisce una lettura potenzialmente svincolata dal contratto nazionale223.
Si avvia pertanto un generale processo di superamento della gerarchia delle fonti, a favore di una
ripartizione - sempre di fatto - delle competenze tra legge e contratto collettivo, dove quest’ultimo è
sempre più un contratto “normativo”, in grado di rendere invalide le clausole difformi del contratto
individuale. Dal canto suo, la legge interviene a dettare principi generali a tutela di valori costituzionali o comunque necessari a raggiungere determinati obiettivi di politica economica 224, e “riconosce” il contratto collettivo in maniera limitata, cioè relativamente a singole leggi delle quali di
volta in volta questo è chiamato a integrare i contenuti; ma non invade di regola lo spazio affidato
alla contrattazione per la disciplina dei contratti di lavoro.
Per la verità, quanto a quest’ultimo delicato punto, la tesi della “riserva di contratto collettivo”
relativa alla regolamentazione dei contenuti del rapporto di lavoro225 viene negata proprio agli inizi
degli anni Sessanta dalla Corte costituzionale226. Ma la ripartizione delle competenze è nell’ordine
naturale delle cose; è - come molto in quel periodo - anch’essa “di fatto”.
20. La ripresa del principio del “favor” come criterio di ripartizione delle competenze
Sempre a proposito di “regolamentazione dei confini” tra legge e contratto collettivo, a metà degli anni Sessanta si assiste alla ripresa teorica di un tradizionale criterio guida, il favor nei confronti
del lavoratore. Fondato sulla ricordata norma della legge sull’impiego privato del 1924 (relativa peraltro al rapporto tra legge e autonomia individuale), trascurato dal fascismo, che lo riserva ai soli
rapporti tra contratto collettivo e individuale, ma praticato dalla giurisprudenza con l’obiettivo di
ammorbidire le eccessive rigidità di un sistema fondato sulla gerarchia tra legge e contratto collettivo, lo si vuole vedere ora rinvigorito dallo spirito complessivo della Carta costituzionale227.
Due importanti monografie sottolineano il rinnovato ruolo che tale principio può assumere, appunto, riguardo al tema della ripartizione delle competenze, se non addirittura nel rimettere in discussione lo stesso ordine gerarchico delle fonti. Nella ricostruzione di Aldo Cessari, infatti, la rigida primazia della disciplina legale rispetto a quella collettiva e di entrambe rispetto a quella individuale sarebbe attenuata, fino a essere sostituita, dal principio del favor, chiamato appunto a dirimere
ogni eventuale conflitto228. L’inderogabilità peggiorativa rispetto ai contratti individuali sarebbe individuata nell’atto di adesione del singolo al sindacato, implicante l’accettazione del potere di questo di dettare regole nella propria sfera di interessi229.
Non giunge a tanto l’altra ricostruzione, di Valente Simi, che non vi legge la messa in discussione del principio gerarchico, ma l’operare del favor sul piano “fattuale” dei rapporti tra legge e autonomia collettiva. La legge conserva il suo carattere tipico di imperatività e inderogabilità nel garantire il «minimo protettivo», grazie all’effetto sostitutivo, sulle difformi previsioni dell’autonomia
privata, collettiva e individuale, ma evidentemente «soltanto quando l’atto di autonomia non sia
conforme ai fini che l’ordinamento giuridico intende raggiungere»230.
Queste dottrine supportano una ricostruzione classica del rapporto tra legge e contratto collettivo,
incentrata sul delicato equilibrio tra rispetto del principio formale di gerarchia e contemperamento
223
U. Romagnoli, Il contratto collettivo di impresa, Milano, Giuffrè, 1963.
C. cost. 88/1965, 60/1968.
225
Su cui G. Mazzoni, Illegittimità costituzionale della nuova legge, in DE, 1959, p. 1240 ss.; A. Navarra, Legge incostituzionale, ivi, p. 1245 ss.
226
La già citata C. cost. 106/1962; sul punto, adesivamente, G. Zagrebelsky, Il sistema costituzionale delle fonti del
diritto, Torino, Eges, 1984, p. 255 ss.
227
Notazioni critiche in M. Rusciano, Contratto collettivo cit., p. 71 ss.
228
A. Cessari, Il favor verso il prestatore di lavoro subordinato, Milano, Giuffrè, 1966, poi ristampato con aggiornamenti: Milano, Giuffrè, 1983.
229
Oltre a Cessari, anche A. Cataudella, Adesione al sindacato e prevalenza del contratto collettivo sul contratto individuale di lavoro, in RTDPC, 1967, p. 544 ss.
230
V. Simi, Il favore dell’ordinamento giuridico per i lavoratori, Milano, Giuffrè, 1967, p. 96.
224
27
col principio funzionale del favor, dove la fonte primaria pone le condizioni minimali inderogabili
di disciplina del rapporto di lavoro, mentre la fonte contrattuale può liberamente muoversi negli
spazi non occupati dalla prima, integrandola e migliorandola, purché in modo più favorevole al lavoratore. È il modello che tra poco entrerà in crisi profonda231, trascinandosi dietro anche l’idea della sussistenza di un generale principio di favore nei rapporti tra legge e autonomia collettiva232.
Un altro importante orientamento di quegli anni - quello di Cecilia Assanti - si muove su una parallela linea di supporto al ruolo del contratto collettivo, avallando la giurisprudenza sulla perdurante vigenza e operatività dell’art. 2077 c.c., che si ritiene del tutto espungibile dall’apparato predisposto per il contratto collettivo corporativo, rispetto al quale il contratto collettivo di diritto comune costituirebbe l’altro tipo «di una specie essenzialmente unitaria»233.
21. La legge del 1966 sui licenziamenti: un contratto collettivo in maschera?
Un dibattito presto dimenticato si sviluppa e muore in brevissimo tempo quando la l. 15 luglio
1966, n. 604, sui licenziamenti individuali, viene accusata di aver recepito il contenuto di un accordo interconfederale del 1965, conferendogli efficacia generale. Si afferma, infatti, che la legge, ricopiando alla lettera - anche nelle imprecisioni terminologiche - l’accordo, aggirerebbe l’art. 39,
che, come dimostrato dalla vicenda della “legge Vigorelli”, prevede l’unico modo legittimo di conferimento dell’efficacia generale a un contratto collettivo234; né la soluzione rivestirebbe quei requisiti di provvisorietà ed eccezionalità a suo tempo ritenuti uniche giustificazioni di una deviazione
dal modello costituzionale235.
Si replica seccamente rilevando l’opportunità di un intervento del legislatore che, innestandosi
sulla strada tracciata dalla contrattazione collettiva, determini i modi in cui questa può svolgersi con
maggiore efficienza, consolidando in legge quanto acquisito con un ampio consenso contrattuale236.
E la storia finisce lì.
22. La breve stagione del sostegno della legge al contratto collettivo
L’Aidlass dedica il suo congresso nazionale del 1967 a una riflessione complessiva sul tema del
contratto collettivo, sulla scorta di una relazione di Gino Giugni237. I tempi non potrebbero essere
più propizi, perché in quegli anni sta cambiando vorticosamente molto del nostro diritto sindacale238. Il contratto collettivo si sta sviluppando anche in senso “orizzontale”, allargando notevolmente
l’ambito delle sue funzioni, all’interno di un sistema fondato sempre più solidamente su basi “fattuali”; quindi, anche su una non vincolatività del livello contrattuale superiore su quello inferiore, in
un momento nel quale i fermenti “dal basso” stanno mettendo in crisi gli assetti consolidati
dell’organizzazione sindacale e dei modelli di contrattazione239.
Per uno di quei paradossi a cui la storia ci ha abituati, proprio Giugni, teorico dell’astensionismo
legislativo, svolge un ruolo chiave nella stesura della l. 20 maggio 1970, n. 300, lo statuto dei lavo231
G. Vardaro, Differenze di funzioni e di livelli fra contratti collettivi, in LD, 1987, p. 229 ss.
Per tutti, M. Rusciano, Contratto collettivo cit., p. 82 ss.
233
C. Assanti, Rilevanza cit., p. 73.
234
G. Mazzoni, Intervento, in Problemi di diritto del lavoro: sulla legge 1966 relativa ai licenziamenti individuali,
Milano, Giuffrè, 1968, p. 93 ss. (sono gli atti di un convegno svoltosi nel 1966).
235
A. Sermonti, La legge sui licenziamenti individuali (una miniera di controversie), in DL, 1966, I, p. 343 ss.; G.
Ardau, Manuale di diritto del lavoro, Giuffrè, Milano, 1972, p. 745 ss.
236
G. Giugni, Iniziativa legislativa ed esperienza sindacale in tema di licenziamento, in RGL, 1966, I, p. 123 ss.
237
G. Giugni, La funzione giuridica del contratto collettivo di lavoro, in Atti del III congresso nazionale di diritto
del lavoro, Milano, Giuffrè, 1968, p. 11 ss.
238
G. Ghezzi, Osservazioni sul metodo dell’indagine giuridica nel diritto sindacale, in RTDPC, 1970, p. 407 ss.
239
U. Romagnoli, Sviluppi recenti della contrattazione aziendale: i delegati, in RTDPC, 1970, p. 624 ss.
232
28
ratori, vera e propria carta costituzionale del lavoro attesa da più di vent’anni.
Molto dice lo statuto nella materia dei rapporti collettivi. È una forte eccezione alla regola, fino a
quel momento dominante, di un sindacato poco desideroso di assoggettarsi a discipline legislative,
timoroso di interventi oppressivi dall’alto e geloso delle proprie prerogative e della sua capacità di
dettare regole autonome; ora, invece, il sindacato si fida di un legislatore “amico” e accetta di farsi
confezionare da esso una normativa su misura. È l’incontro tra ordinamento statale e ordinamento
intersindacale240, dove anzi il primo “sostiene” il secondo241.
Ma molto è anche il «non detto» dello statuto242, e tra questo c’è tutto il tema del contratto collettivo, sul quale si preferisce non intervenire, lasciando intatta l’autonomia dell’ambito legislativo e
di quello contrattuale, durante «i migliori anni» di un ordinamento sindacale di fatto che riesce da
solo a superare le rigidità relative ai rapporti tra legge e contratto collettivo e all’efficacia soggettiva
delle disposizioni dell’autonomia collettiva.
Innanzitutto, la nuova nozione del sindacato «maggiormente rappresentativo» (art. 19) funge - e
lo farà ancor di più negli anni a venire - a selezionare una tipologia di soggetti sindacali, creando
così «un asse […] intorno al quale far ruotare tutta quanta la contrattazione»243.
Poi, tra le norme di sostegno che lo statuto appresta al sindacato, c’è l’importante obbligo, per gli
imprenditori che godono di benefici pubblici o eseguono appalti relativi a opere pubbliche, di applicare «condizioni non inferiori» a quelle dei contratti collettivi della categoria e della zona (art. 36).
L’obbligo, in verità, grava sostanzialmente sulla pubblica amministrazione, mentre l’imprenditore si
obbliga non al rispetto dei contratti collettivi ma a un trattamento dei dipendenti non inferiore a
quello previsto dalla contrattazione collettiva; i contratti collettivi, perciò, svolgono una funzione
non dissimile rispetto a quella attribuita loro classicamente dalla giurisprudenza nella determinazione della retribuzione rispettosa dei parametri costituzionali: vengono riguardati, cioè, come semplice punto di riferimento per la determinazione del trattamento dei lavoratori; non c’è estensione formale erga omnes, quindi l’art. 39 è salvo244 (analoghi provvedimenti “promozionali” sono emanati
in anni successivi nel campo della fiscalizzazione degli oneri sociali: art. 2, co. 2, l. 8 agosto 1977,
n. 573, che parla di applicazione diretta dei contratti collettivi; art. 4, l. 5 agosto 1978, n. 502, che
più blandamente - come la norma statutaria - parla di applicazione di «trattamenti non inferiori» a
quelli contrattuali; e questa prassi normativa durerà fino agli anni Ottanta245).
Lo statuto, quindi, legge il contratto collettivo come fulcro degli assetti normativi del rapporto di
lavoro. Ne offrono ulteriore testimonianza i rinvii che esso opera in diverse ipotesi, tra cui si segnala il perfezionamento, se non proprio l’inaugurazione, di tipologie di rinvio come quella che lascia
arbitra la contrattazione collettiva - in capo alla quale instaura una sorta di onere a negoziare - circa
l’eventualità di ulteriori discipline (art. 20, co. 4, sull’assemblea) o quella che vincola a un controllo
negoziale l’adozione di determinate misure (artt. 4, co. 2, e 6, co. 3, sull’installazione di impianti
audiovisivi e sulle visite personali di controllo)246.
Interessante è anche l’art. 35, co. 3, che, demandando alla contrattazione collettiva l’applicazione
di alcune garanzie statutarie al lavoro nautico, dà adito alla conclusione, avallata dalla giurisprudenza, che questo tipo di contratto collettivo, per le peculiarità “pubblicistiche” del settore, non possa
che rivestire efficacia generale247 (dopo altri rinvii normativi, si arriverà a ritenere che nel lavoro
240
E. Ghera, L’applicazione dello Statuto dei lavoratori nella prospettiva dell’ordinamento intersindacale, in
L’applicazione dello Statuto dei lavoratori: tendenze e orientamenti, Milano, Angeli, 1973, p. 232 ss.
241
Proprio negli anni di gestazione della norma, G. Giugni, Le ragioni dell’intervento legislativo nei rapporti di lavoro, in EL, 1967, p. 41 ss.; Id., La legislazione promozionale dell’attività sindacale, in EL, 1968, p. 279 ss.
242
M. D’Antona, Diritti sindacali e diritti del sindacato: il titolo II dello Statuto dei lavoratori rivisitato, in LD,
1990, p. 247.
243
M. Rusciano, Contratto collettivo cit., p. 103.
244
G.F. Mancini, Art. 36, in G. Ghezzi, G.F. Mancini, L. Montuschi, U. Romagnoli, Statuto dei diritti dei lavoratori.
Bologna-Roma, Zanichelli-Il foro italiano, 1972, p. 543 ss.
245
G. Ferraro, Fiscalizzazione degli oneri sociali e sgravi contributivi, in RIDL, 1989, I, p. 66 ss.
246
L. Mariucci, La contrattazione collettiva, cit., p. 65.
247
Cass. 847/1989, in DM, 1990, p. 1003; sul tema, W. D’Alessio, Contrattazione collettiva e “specialità” del lavo-
29
marittimo il contratto collettivo assurge addirittura al rango di fonte primaria del diritto248).
A chiudere tutto, c’è una disposizione superflua249, ma che riafferma un principio tradizionale,
quando dispone che, nell’abrogazione di ogni disposizione contrastante, «restano salve le condizioni dei contratti collettivi e degli accordi sindacali più favorevoli ai lavoratori» (art. 40, co. 2).
Su tutt’altro piano, la l. 11 agosto 1973, n. 533, sul processo del lavoro, interviene a rafforzare il
complesso di robuste norme di tutela che si va costruendo negli anni del garantismo, fornendo indispensabile supporto tecnico a diritti altrimenti difficilmente azionabili. La legge, tra l’altro, riscrive
l’art. 2113 c.c. sulle rinunce e transazioni, che ora sanziona con l’annullabilità quelle aventi ad oggetto disposizioni inderogabili della legge e «dei contratti o accordi collettivi». Per molti, si tratta di
un passo fondamentale, essendo questa, finalmente, la norma che si aspettava per conferire formalmente al contratto collettivo di diritto comune la caratteristica dell’inderogabilità250: dopo di essa si dice -, le clausole del contratto collettivo dichiarate non derogabili dalle parti che lo hanno concluso concorrono a determinare la disciplina dei contratti individuali a prescindere dalla volontà dei
contraenti, «alla stregua analoga a quella delle norme imperative di legge»251. Per altri, la novella è
importante dal punto di vista pratico, ma non ne va sopravvalutata la portata attribuendo al contratto
collettivo di diritto comune la medesima inderogabilità del contratto collettivo corporativo 252.
Sempre la legge di riforma del processo del lavoro novella, poi, anche l’art. 808 c.p.c., sulle sentenze arbitrali, il cui nuovo co. 3 ora dispone che esse sono impugnabili «anche per violazione e falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi».
Perciò, si comincia a sostenere che l’affermata inderogabilità delle disposizioni dei contratti collettivi e la loro equiparazione alla legge come causa di nullità del lodo arbitrale sono argomenti robusti al punto da poter argomentare la natura di fonte tout court del contratto collettivo253, che peraltro numerose «acrobazie» giurisprudenziali, spesso avallate dal giudice di legittimità, estendono
ben oltre la cerchia dei soggetti formalmente legittimati254.
23. Le nuove teorie civilistiche dei primi anni Settanta
Gli anni Sessanta, culminati con lo statuto, vedono quindi vacillare la teoria classica dei rapporti
tra legge e autonomia collettiva, così come vedono attaccate le basi civilistiche della ricostruzione
del contratto collettivo, che ne costituiscono il presupposto255.
Ma agli inizi degli anni Settanta, l’impostazione tradizionale viene messa in discussione anche
da studiosi fedeli all’impianto privatistico, che, insoddisfatti della prospettiva ordinamentale, sono
però consapevoli del fatto che la ricostruzione classica va messa al passo coi tempi. Fulcro di queste
tesi è la rilettura delle strutture civilistiche alla luce del dettato costituzionale, messo decisamente
tra parentesi da Santoro Passarelli: è un’impostazione - comunque rispettosa di una visione del contratto collettivo come norma di autonomia privata - che ha il suo diretto antecedente negli studi del
costituzionalista Carlo Esposito, il quale fonda appunto la nozione giuridica dell’autonomia colletti-
ro nautico, in RGL, 1988, II, p. 305 ss.; C. Enrico Lucifredi, Rinvio legale alla contrattazione collettiva ed efficacia
soggettiva nel lavoro nautico, in MGL, 1989, p. 153 ss.
248
A. Lefebvre D’Ovidio, G. Pescatore, L. Tullio, Manuale di diritto della navigazione, Milano, Giuffrè, 2011, p.
345.
249
L. Montuschi, Art. 40, in G. Ghezzi, G.F. Mancini, L. Montuschi, U. Romagnoli, Statuto dei diritti dei lavoratori,
cit., p. 631.
250
Tra i primi commentatori, L. Montesano, F. Mazziotti, Le controversie del lavoro e della sicurezza sociale, Napoli, Jovene, 1974, p. 236.
251
L. Mengoni, Il contratto collettivo cit., p. 271.
252
Per tutti, M. Rusciano, Contratto collettivo cit., p. 86 ss.
253
U. Runggaldier, Osservazioni sull’inderogabilità delle disposizioni dei contratti collettivi di cui all’art. 2113
cod.civ., in RTDPC, 1980, p. 290 ss.
254
P. Ichino, Note in materia di estensione dell’efficacia del contratto collettivo, in RGL, 1978, II, p. 930.
255
Per tutti, G. Ghezzi, Osservazioni cit., p. 406.
30
va sulla libertà sindacale di cui all’art. 39, co. 1256.
Per Mattia Persiani, al centro del sistema sta l’autonomia privata collettiva, fenomeno che sintetizza diritti e poteri propri delle organizzazioni, giuridicamente distinti da quelli dei singoli individui. L’ordinamento riconosce all’autonomia collettiva, quando si estrinseca come modalità qualificata di disposizione degli interessi individuali, una tutela particolare, che la fa prevalere sugli atti
dispositivi individuali, anche in conformità al quadro disegnato dalla Costituzione. Perciò,
l’«autorità» dei gruppi rileva - tanto da prevalere sull’autonomia individuale - in quanto coincide
con le valutazioni dell’ordinamento statuale257.
Renato Scognamiglio, invece, recupera tutto l’art. 39, compresi i commi inattuati, per leggervi il
riconoscimento «della competenza delle associazioni di categoria a regolare, attraverso atti giuridicamente rilevanti, gli interessi collettivi dei lavoratori». Il sistema costituzionale, quindi, riesce a
dar vita a un’area sottratta al potere di disposizione dell’autonomia individuale, espressione di interessi altrettanto individuali258.
24. La crisi e la svolta del 1977: l’inizio della fine dell’inderogabilità unilaterale
L’aria della crisi di metà anni Settanta spira anche sul contratto collettivo. La peggiorata situazione economica e finanziaria indebolisce alla radice un sistema in cui il contratto collettivo ha la
precipua funzione “accrescitiva” di migliorare standard che si trovano sempre più in alto. Un legislatore bulimico e frammentario, sempre più sovraccaricato, scarica sulla contrattazione collettiva
una parte «spesso cospicua» delle sue funzioni259. Iniziano in quel tempo, quindi, per poi diventare
un’autentica valanga, i casi in cui la legge opera rinvii al contratto collettivo con funzioni di controllo e disciplina del mercato del lavoro: è la deregolazione o riregolazione260, che provoca un intreccio spesso aggrovigliato in un sistema di ripartizione delle competenze tra “fonti”, tutto sommato piuttosto stabile fino a quel momento.
Se la parola d’ordine del nuovo diritto del lavoro «dell’emergenza» è la flessibilità, non si vede
perché questa esigenza non debba estendersi anche ai rapporti tra legge e contratto collettivo, che
cominciano quindi a essere messi profondamente in discussione: dagli studiosi, che criticano una
troppo «rigorosa soggezione della norma collettiva al precetto inderogabile»261; da una giurisprudenza sempre più “invasiva”; poi, dal legislatore stesso.
Il d.l. 1 febbraio 1977, n. 12, convertito con l. 31 marzo 1977, n. 91, sull’indennità di contingenza, per la prima volta fissa dei limiti massimi (i cosiddetti tetti) alla contrattazione collettiva, inaugurando la stagione dell’inderogabilità in melius del contratto collettivo rispetto alla legge262. Facendo proprio il contenuto di accordi tra le parti sociali, la legge, abolendo le “scale mobili anomale”, stabilisce che i contratti collettivi non possono fissare sistemi di indicizzazione salariale più favorevoli di quello industriale, affermando esplicitamente che le clausole contrattuali difformi «sono
nulle di diritto» (art. 4).
C’è chi parla di «sconvolgente inversione di tendenza» del «corso storico»263 del diritto sindacale
italiano. Ed è difficile dar loro torto. L’“inderogabilità bilaterale” sancita dalla norma suscita ovvie
256
C. Esposito, Lo Stato e i sindacati nella Costituzione italiana, in Id., La Costituzione italiana. Saggi, Padova,
Cedam, 1954, p. 154 ss.; in senso sostanzialmente analogo, M. Grandi, Considerazioni introduttive sul contratto collettivo, in Annuario del centro studi Cisl. I (1961-1962), Firenze, Vallecchi, 1963, p. 259 ss.
257
M. Persiani, Saggio sull’autonomia privata collettiva, Padova, Cedam, 1972.
258
R. Scognamiglio, Autonomia sindacale ed efficacia del contratto collettivo di lavoro, in RDCiv, 1971, I, p. 160.
259
G. Vardaro, Differenze di funzioni cit., p. 259.
260
M. D’Antona, L’autonomia individuale e le fonti del diritto del lavoro, in DLRI, 1991, p. 445 ss.
261
R. De Luca Tamajo, La norma inderogabile cit., p. 124.
262
M. Dell’Olio, Emergenza e costituzionalità (le sentenze sulla scala mobile e il “dopo”), in DLRI, 1981, p. 1 ss.
263
Rispettivamente, P. Tosi, La retribuzione tra autonomia collettiva e intervento autoritativo, in Per una politica
del lavoro, Roma, Edizioni Lavoro, 1979, p. 73; G. Giugni, Parlamento e sindacati, in PD, 1978, p. 365.
31
accuse di incostituzionalità264, anche se essa - classico esempio di “legge contrattata” - recepisce
proprio il contenuto di un accordo collettivo, il che dovrebbe di per sé escludere la violazione
dell’art. 39265; la Corte salva la legge, affermando nel contempo che, fin quando la norma costituzionale non sarà stata attuata, «non si può né si deve ipotizzare conflitto tra attività normativa dei
sindacati e attività legislativa del Parlamento»266. Ma la giustificazione più profonda sta nel fatto
che una simile compressione dell’autonomia collettiva da parte della legge pare giustificabile solo
in ragione di uno «stato di necessità»267 oppure di un evidente intento perequativo tra le diverse categorie dei lavoratori268.
Dal punto di vista delle teorie, questo nuovo ruolo del contratto collettivo finisce comunque - nel
bene e nel male - per enfatizzarne la funzione regolativa. Così che, alla fine del decennio, ne viene a
ragione proposta una definizione icasticamente disegnata per una voce di enciclopedia: «istituto con
tratti irriducibili sia alle fonti come categorizzate dal diritto pubblico moderno, sia al contratto come
definito dalle codificazioni»269. Una «terza dimensione del diritto» anche per Gino Giugni?
25. I primi anni Ottanta: i disagi della dottrina e le gestioni “al ribasso”
Il clima culturale del diritto del lavoro dei primi anni Ottanta riflette ovviamente i mutamenti intervenuti nel sistema di relazioni industriali, ma cerca al contempo di assimilarli in raffinati e innovativi percorsi teorici. Dopo che Luigi Mengoni ha messo in discussione il meccanismo della sostituzione automatica, ritenuto ormai inidoneo a gestire i rapporti tra fonte eteronoma e atti di autonomia privata collettiva270, giunge un’approfondita rivisitazione del tema, dove la valorizzazione del
sindacato maggiormente rappresentativo (identificato con l’allora unitaria “triplice”) arriva fino a
identificarvi l’interesse collettivo professionale, con la conseguenza di affermare un’efficacia tendenzialmente generale del contratto collettivo da esso concluso e una effettiva fungibilità tra legge e
contratto collettivo, in un sistema dove sostanzialmente vige la derogabilità reciproca, anche in pejus, tra queste fonti271. La ricostruzione di Giuseppe Ferraro, e l’altra coeva teorizzazione più storicistico-funzionalistica di Gaetano Vardaro272, esprimono in maniera forte il disagio degli studiosi
nel continuare a ricostruire il fenomeno sindacale all’interno del diritto comune, col conseguente
inquadramento di un contratto collettivo dalle mille facce nella categoria civilistica del contratto
normativo, ignorando l’«irrompere sulla scena delle relazioni sociali di un soggetto collettivo che
rappresenta interessi strutturalmente eterogenei rispetto a quelli individuali e che si muove per sua
natura tra un atteggiamento di integrazione nel sistema e un atteggiamento di autonomia regolamentare»273.
Nel frattempo, mentre imperversa una giurisprudenza che dichiara la nullità di clausole del contratto collettivo sulla scorta di una incauta idea dell’inderogabilità della norma legale274, si allarga la
264
Ampiamente, L. Mariucci, La contrattazione collettiva, cit., p. 328 ss.
G. Giugni, Art. 39, cit., p. 282; M. Miscione, Legittimità delle leggi contrattate in materia di costo del lavoro, in
DE, 1979, II, p. 150 ss.
266
C. cost. 141 e 142/1980.
267
L. Mengoni, Sulla legittimità costituzionale delle nuove norme per l’applicazione dell’indennità di contingenza,
in MGL, 1980, p. 328 ss.
268
R. De Luca Tamajo, Leggi sul costo del lavoro e limiti all’autonomia collettiva, in R. De Luca Tamajo, L. Ventura (a cura di), Il diritto del lavoro nell’emergenza, Napoli, Jovene, 1979, p. 151 ss.
269
G. Giugni, Diritto del lavoro (voce per un’enciclopedia), in DLRI, 1979, p. 41.
270
L. Mengoni, Legge e autonomia collettiva, in MGL, 1980, p. 692 ss., poi in Id., Diritto e valori, cit., p. 292 ss.
271
G. Ferraro, Ordinamento, ruolo del sindacato, dinamica contrattuale di tutela, Padova, Cedam, 1981; Id., Fonti
autonome e fonti eteronome nella legislazione della flessibilità, in DLRI, 1986, p. 667 ss.
272
G. Vardaro, Contratti collettivi cit., preceduto da Id., Contrattazione collettiva e sistema giuridico, cit., tentativo
non felicissimo di trapiantare il funzionalismo di Niklas Luhmann all’interno delle teorie ordinamentali del sindacato.
273
Questa l’“interpretazione autentica” di G. Ferraro, Gli anni ’80: la dottrina lavorista dalla marcia dei quarantamila a Maastricht, in P. Ichino (a cura di), Il diritto del lavoro nell’Italia repubblicana, cit., p. 189.
274
Il giudizio è di L. Mengoni, Legge e autonomia collettiva, cit., p. 287.
265
32
strada del “rinvio peggiorativo” della legge al contratto collettivo, cioè dei casi in cui la legge
«espressamente autorizzi la contrattazione collettiva a ridurre in vario modo le tutele legali per i lavoratori subordinati»275, non sempre in cambio di altri benefici.
In realtà, addirittura la norma più garantista per antonomasia, cioè lo statuto dei lavoratori, contiene previsioni in cui - pur in presenza di precise condizioni - alla contrattazione collettiva è consentito attenuare la portata di divieti altrimenti cogenti (i già ricordati casi degli impianti audiovisivi
e delle visite personali di controllo). Ora, si fa qualcosa in più: ad esempio, la l. 9 dicembre 1977, n.
903, autorizza la contrattazione collettiva a rimuovere il divieto di lavori pesanti e di lavoro notturno per le lavoratrici (artt. 1, co. 4, e 5, co. 2); il nuovo art. 2120, co. 2, c.c., novellato dalla l. 29
maggio 1982, n. 297, legittima la contrattazione collettiva ad aggiungere - ma anche ad eliminare alcune voci della retribuzione annuale da prendere come base per il computo dell’accantonamento
del trattamento di fine rapporto276.
Ancora in quegli anni si fa sempre più largo il ricorso a un tipo di contrattazione chiamata a gestire le procedure, spesso complesse, relative alle crisi, alle ristrutturazioni, alle riconversioni di impresa, che viene chiamata appunto “gestionale” e che, evidentemente, è tutt’altro che una contrattazione “al rialzo”, i cui tempi sembrano definitivamente passati. Il maggior problema giuridico di tali
accordi (c’è anche chi dubita che siano parificabili fino in fondo ai contratti collettivi 277) è relativo
alla loro vincolatività e, correlativamente, alla disponibilità sindacale dei diritti individuali; la vicenda più importante riguarda in quegli anni i contratti “di solidarietà” di cui al d.l. 30 ottobre 1984, n. 726, convertito in l. 19 dicembre 1984, n. 863278. La giurisprudenza finisce col dire
che, in fondo, la riduzione di orario e di retribuzione prevista dalla legge opera erga omnes non in
virtù di una efficacia generale del contratto di solidarietà, ma in virtù del provvedimento di ammissione all’integrazione salariale, rispetto al quale il contratto vale solo come presupposto.
26. La concertazione e lo sviluppo dei rinvii in deroga
Il “protocollo Scotti” del 1983 segna il punto d’inizio dell’età della concertazione, o del neocorporativismo279, come spesso la chiamano per lo più i suoi detrattori. Ora, l’oggetto della negoziazione, talvolta frutto di impopolari accordi, è trasfuso in norme di legge dal potere pubblico, che interviene non come terzo super partes, ma come parte stessa dell’accordo. A più riprese, ormai, il
contratto collettivo - quasi sempre, appunto, nel quadro di una legislazione negoziata tra governo e
parti sociali - è abilitato a derogare in pejus alla disciplina posta da una norma di legge o, comunque, ad allentare alcune rigidità in un’ottica di «garantismo collettivo»280, assecondando processi di
«spiccato decentramento o devoluzione delle fonti normative»281.
Innanzitutto, è la novità della prassi a sconvolgere, ancora una volta, le delicate dinamiche giuridiche dell’autonomia collettiva. Quando, infatti, la Corte costituzionale deve vagliare la legittimità
del d.l. 17 aprile 1984, n. 70, convertito con l. 12 giugno 1984, n. 219, che recepisce l’accordo
(monco) “di san Valentino”, stabilendo una dinamica peggiorativa degli scatti di scala mobile, essa
afferma disorientata che il protocollo non costituisce un contratto collettivo, ma qualcosa di assolutamente «anomalo rispetto alle previsioni costituzionali contenute non solo nel primo ma anche
275
C. Cester, La norma inderogabile: fondamento e problema del diritto del lavoro, in DLRI, 2008, p. 361.
Sul punto, F. Lunardon, Efficacia soggettiva cit., p. 95.
277
G. Natullo, La contrattazione “gestionale”: distinzioni reali ed apparenti dal contratto “normativo”, in R. Santucci, L. Zoppoli (a cura di), Contratto collettivo e disciplina dei rapporti di lavoro, Torino, Giappichelli, 2004, p. 52
ss.
278
G. Pera, La contrattazione collettiva per i contratti di solidarietà, in DLRI, 1984, p. 639 ss.; R. Pessi, Funzione e
disciplina dei contratti di solidarietà, in DLRI, 1985, p. 93 ss.
279
G. Vardaro (a cura di), Diritto del lavoro e corporativismi in Europa: ieri e oggi, Milano, Angeli, 1988.
280
R. De Luca Tamajo, L’evoluzione dei contenuti e delle tipologie della contrattazione collettiva, in RIDL, 1985, I,
p. 24 ss.
281
G. Giugni, Giuridificazione e deregolazione nel diritto del lavoro italiano, in DLRI, 1986, p. 331.
276
33
nell’ultimo comma dell’art. 39»282.
La sentenza «ha l’effetto di uno shock»283 sulla cultura lavoristica, costretta a costatare la divaricazione ormai insanabile tra la strada ipotizzata dalla Costituzione e quella della “costituzione materiale”. Nel merito, la Corte dichiara legittimo il provvedimento (anche se su di esso non c’è più come cinque anni prima - l’unanime consenso delle parti sociali), sostiene che la legge non può
«cancellare o contraddire ad arbitrio» gli esiti contrattuali della libertà sindacale, ma ammette che
possa comunque limitare specificamente l’autonomia collettiva, purché ciò sia funzionale al perseguimento di finalità pubblicistiche, prevalenti sulla libertà di organizzazione sindacale. Ribadisce
che, finché l’art. 39 non sarà attuato, non deve ipotizzarsi «conflitto tra attività normativa dei sindacati e attività legislativa». Il tralaticio principio del favor pare ora abbattuto a colpi di scure.
Il contratto collettivo sembra essersi funzionalmente trasformato284, passando da una logica di integrazione addizionale ad una di progressiva riduzione e flessibilizzazione delle tutele285: in esso c’è
sempre meno della tradizionale funzione di composizione del conflitto e sempre più della gestione
concertata dei processi di crisi aziendale e del mercato del lavoro flessibile286. Riesce piuttosto difficile negare a questo tipo di contratto collettivo una funzione e una natura eminentemente pubblicistiche, rinvenendo la sua rilevanza non tanto nell’art. 1322 c.c. quanto piuttosto nella legge che ad
esso rinvia. Si sviluppa, quindi, un ampio dibattito287 - ancora non sopito - tra chi ritiene che il rinvio conferisca automaticamente al contratto collettivo l’efficacia generale propria della norma delegante288 (sia pure solo per «un’illusione ottica»289) e chi, invece, lo nega più o meno decisamente290,
anche per evitare il paradossale effetto di una «surrettizia riedizione dei decreti del 1959»291.
Tra l’altro, sempre più spesso la legislazione inizia a rinviare non al contratto collettivo tout
court, ma a quello concluso dai sindacati maggiormente rappresentativi, il cui ruolo “privilegiato”
della legislazione promozionale si trasfigura decisamente, fino a diventare una sorta di “governo
privato” che agisce con altre grandi organizzazioni di interessi, utilizzando una contrattazione collettiva ormai incorporata come «procedura istituzionalizzata di decisione consensuale»292.
Ulteriori dubbi vengono dalla contrattazione aziendale, che in quegli anni si impone come livello
classico di gestione della crisi, e che pone delicati problemi interpretativi quanto all’efficacia dei
suoi disposti293.
27. La seconda metà degli anni Ottanta tra nuove teorie e nuovi progetti di legge
La riflessione teorica sul contratto collettivo di metà anni Ottanta rinvigorisce grazie soprattutto
a due monografie: quella di Mario Rusciano, di impianto storicistico-ricostruttivo, che evidenzia i
mutamenti intervenuti nel tempo nei rapporti tra legge e contratto collettivo, nel senso di ridefinire
le rispettive aree di competenza e le tecniche di raccordo, che devono fare i conti con un contratto
282
C. cost. 34/1985.
G. Ferraro, Gli anni ’80 cit., p. 191.
284
G. Vardaro, Il mutamento della funzione del contratto collettivo, in DLRI, 1983, p. 719 ss.; di recente, G. Proia, Il
contratto collettivo fonte e le «funzioni» della contrattazione collettiva, in Il sistema delle fonti cit., p. 112 ss.
285
R. De Luca Tamajo, L’evoluzione cit., p. 24.
286
M. Rusciano, Contratto collettivo cit., p. 188.
287
G. Proia, Il contratto collettivo fonte cit., p. 122 ss.
288
Tra i primi, M.V. Ballestrero, Riflessioni in tema di inderogabilità dei contratti collettivi, in RIDL, 1989, I, p. 357
ss.
289
R. Romei, L’autonomia collettiva nella dottrina giuslavoristica: rileggendo Gaetano Vardaro, in DLRI, 2011, p.
214 ss.
290
Per tutti, M. Rusciano, Contratto collettivo cit., p. 129 ss.; M. Pedrazzoli, Qualificazioni dell’autonomia collettiva e procedimento applicativo del giudice, in LD, 1990, p. 581 ss.
291
A. Lassandari, Il contratto collettivo aziendale e decentrato, Milano, Giuffrè, 2001, p. 251.
292
M. D’Antona, Diritto sindacale in trasformazione, in Id. (a cura di), Letture di diritto sindacale. Le basi teoriche
del diritto sindacale, Napoli, Jovene, 1990, p. XXXVII.
293
S. Sciarra, Contratto collettivo e contrattazione in azienda, Milano, Angeli, 1985, p. 139 ss.
283
34
collettivo sempre più «fonte extrastatuale»294; quella di Luigi Mariucci, dal marcato taglio di politica del diritto e sindacale, che studia in profondità le complesse relazioni tra fonti autonome ed eteronome, evidenziando le tante contraddizioni del sistema vigente295. Si giunge, alla fine del decennio, a critiche molto severe nei confronti di un ordinamento statale sempre meno democratico e poco rispettoso dei singoli, con un sindacato in declino, collassato da una legislazione “neoistituzionista” tecnicamente discutibile296; e di un ordinamento di fatto che a Giugni pare «un po’
sgangherato»297.
La strada maestra appare, allora, agli occhi di molti l’intervento del legislatore. Fino a quel momento, l’auspicio dell’attuazione dell’art. 39 (come pure dell’art. 40) è stato quasi esclusivo monopolio di correnti più conservatrici; ora, si cominciano a muovere attivamente anche le parti più vicine alle ragioni del sindacato, approfittando anche della circostanza che proprio in quegli anni alcuni
giuslavoristi entrano in Parlamento nelle fila dei partiti di sinistra. Perciò, dopo l’articolata e tradizionalista proposta del convinto “trentanovista” Giuseppe Pera298, la commissione bicamerale
“Bozzi” per le riforme istituzionali avanza nel 1985 una proposta di modifica dell’art. 39, centrata
sul riconoscimento della rappresentatività come presupposto per il conferimento dell’efficacia obbligatoria ai contratti collettivi299; idea sostanzialmente ripresa, nel 1989, dal progetto di legge del
comunista Giorgio Ghezzi300 e dal disegno di legge del socialista Gino Giugni301, il quale presenta
poi un altro disegno, che si pone più riduttivamente ma più concretamente l’obiettivo di garantire
efficacia generale agli accordi gestionali302.
Solo l’art. 40 viene parzialmente attuato, con la l. 12 giugno 1990, n. 146, sullo sciopero nei servizi essenziali, che peraltro rinvia al contratto collettivo il delicato compito di individuare le «prestazioni indispensabili» da garantire in caso di sciopero; ma l’efficacia delle sue disposizioni è subordinata alla valutazione positiva della loro idoneità da parte di un’autorità pubblica, la Commissione di garanzia303. L’estensione erga omnes di tali disposizioni è necessaria per poter assolvere la
loro funzione; nondimeno, la questione arriva davanti alla Corte costituzionale, che, con una serie di
motivazioni sostanziali e formali, nega la violazione dell’art. 39304.
28. Anni Novanta parte I: i salvataggi della contrattazione “in perdita”
La comparsa - e la rapida espansione - di una contrattazione collettiva che ormai viene senza infingimenti chiamata “in perdita” (ennesimo importante esempio, gli accordi conclusi durante la procedura di mobilità ex art. 4, co. 11, l. 23 luglio 1991, n. 223, che possono prevedere deroghe all’art.
2103 c.c., e quindi il demansionamento dei lavoratori in esubero) fa rivivere un dibattito classico,
cioè quello sull’efficacia soggettiva del contratto collettivo, ma con un significativo ribaltamento di
prospettiva. Se, infatti, tradizionalmente si è sempre riguardata la posizione del datore di lavoro, verificando la possibile applicazione del contratto collettivo a tutti i dipendenti nel caso della sua
iscrizione al sindacato stipulante, ora si passa a sondare la posizione dei lavoratori non iscritti, potenzialmente colpiti dagli effetti non graditi di un contratto collettivo che privatisticamente non si
294
M. Rusciano, Contratto collettivo cit., specialmente p. 119 ss.
L. Mariucci, La contrattazione collettiva, cit.
296
Riassuntivamente, F. Amato, S. Mattone (a cura di), Il sindacato alla svolta degli anni ’80, Milano, Angeli,
1989.
297
G. Giugni, Accordi di concertazione e Corte costituzionale, in DLRI, 1987, p. 175.
298
G. Pera, Il trentanovismo è nelle cose, in PD, 1985, p. 503 ss.
299
A. Barbera, Le fonti del diritto del lavoro, fra legge e contratto, in Il sistema delle fonti cit., p. 22.
300
Camera, n. 3768 e 3769/1989.
301
Senato, n. 1508/1989.
302
Senato, n. 1550. I progetti ultimamente citati sono pubblicati in RIDL, 1989, III, p. 137 ss.
303
Per tutti, A. Zoppoli, “Disdetta” ed efficacia temporale degli accordi sui conflitti, in DLRI, 1995, p. 443 ss.; P.
Pascucci, Tecniche regolative dello sciopero nei servizi essenziali, Torino, Giappichelli, 1999, p. 115 ss.
304
C. cost. 344/1996.
295
35
dovrebbe loro applicare: il tema diventa, quindi, il dissenso del lavoratore, o di gruppi di lavoratori:
fino a quel momento quasi un caso “di scuola”. Dopo qualche primo “assaggio”305, esso diventa
trainante proprio negli anni Novanta306.
Anche qui la Corte costituzionale, il cui ruolo in materia di autonomia collettiva si dimostra ancora una volta fondamentale307, asseconda l’operato di un legislatore “disattento” nei confronti
dell’art. 39, cercando comunque di garantire la tenuta dei contratti collettivi, soprattutto quando
vanno a toccare situazioni delicate di crisi e riconversioni industriali308. È fondamentale il contenzioso che si sviluppa dopo la l. 223/1991, che la Corte salva, affermando che essa non attribuisce al
contratto collettivo il potere di derogare a norme imperative con efficacia erga omnes, ma più riduttivamente quello di contribuire a procedimentalizzare un potere unilaterale dell’imprenditore309.
A questo punto, quasi scontata, e per certi versi anacronistica, è la sentenza con cui viene definitivamente legittimata l’apposizione per legge di tetti massimi alla contrattazione collettiva, e comunque di compressioni dell’autonomia collettiva in situazioni eccezionali e transitorie. Per inciso,
la Corte giudica cessata l’emergenza alla base dell’intervento sulla contingenza del 1977310.
29. Anni Novanta parte II: la contrattazione integrativa come governo della flessibilità
Ma gli anni Novanta segnano anche il culmine della strategia del legislatore di investire a più riprese il contratto collettivo del potere di intervenire in materia di gestione della flessibilità dei rapporti di lavoro, in particolare dei cosiddetti lavori atipici (termine, tempo parziale, formazione, e via
dicendo). In numerosi casi311 (nei quali, evidentemente, il sindacato agisce ben al di là della rappresentanza degli interessi dei soli lavoratori iscritti) la legge rimette alla fonte contrattuale, in buona
sostanza, il «controllo sempre più ampio» del mercato del lavoro312, ovvero lo spinoso compito di
valutare se, come e quanto immettervi di flessibilità313. I rinvii, ormai diventati «meccanismo tipico
di funzionamento delle fonti del diritto del lavoro»314, non sono certo fatti in maniera omogenea tra
di loro, anche se per lo più fanno riferimento al contratto collettivo sottoscritto dal sindacato maggiormente (dal 1995 comparativamente) rappresentativo.
Non ci sono troppi problemi di natura giuridica riguardo a questo tipo di contratto collettivo: trova decisa conferma la lezione comune, che lo vede come atto negoziale, destinato comunque a specificare o integrare la norma legale315. Ma anche il problema dell’efficacia soggettiva316 è molto
meno “drammatico”, forse «neanche concettualmente configurabile»317, rispetto a quanto si verifica
contemporaneamente riguardo alla sua versione “ablativa”: poiché esso regola per lo più un mo305
S. Sciarra, Pars pro toto, totum pro parte. Diritti individuali e interesse collettivo, in LD, 1987, p. 465 ss.
Tra i tanti, P. Lambertucci, Efficacia dispositiva del contratto collettivo e autonomia individuale, Padova, Cedam, 1990; A. Vallebona, Autonomia collettiva e occupazione: l’efficacia soggettiva del contratto collettivo, in DLRI,
1997, p. 381 ss.; F. Lunardon, Efficacia soggettiva cit.; L. Venditti, Autotutela sindacale e dissenso, Napoli, Jovene,
1999. Sul contiguo piano della rappresentanza sindacale, per tutti, B. Caruso, Rappresentanza sindacale e consenso,
Milano, Angeli, 1992.
307
M. Ricci, Autonomia collettiva e giustizia costituzionale, Bari, Cacucci, 1999.
308
Una rassegna in P. Passalacqua, Autonomia collettiva e mercato del lavoro: la contrattazione gestionale e di rinvio, Torino, Giappichelli, 2005.
309
C. cost. 268/1994.
310
C. cost. 124/1991.
311
Su cui P. Bellocchi, Libertà e pluralismo sindacale, Padova, Cedam, 1998, p. 217; P. Lambertucci, Contratto
collettivo, rappresentanza, rappresentatività sindacale: spunti per un dibattito, in DLRI, 2009, p. 551 ss.
312
R. Bortone, Il contratto collettivo tra funzione normativa e funzione obbligatoria, Bari, Cacucci, 1992, p. 144 ss.
313
M. D’Antona, Contrattazione collettiva e autonomia individuale nei rapporti di lavoro atipici, in DLRI, 1990, p.
529 ss.
314
M. Rusciano, Contratto collettivo cit., p. 185.
315
Per tutti, L. Mengoni, Legge e autonomia collettiva, cit., p. 305.
316
Su cui P. Saracini, Contratti collettivi e lavori flessibili, in R. Santucci, L. Zoppoli (a cura di), Contratto collettivo cit., p. 175 ss.
317
P. Bellocchi, Libertà cit., p. 217.
306
36
mento precontrattuale, il fatto che le condizioni di assunzione del lavoratore non iscritto siano conformi a quelle previste dal contratto collettivo rende irrilevante l’eventuale suo dissenso318.
Una singolare misura, a suo modo propulsiva della contrattazione collettiva, è, poi, attuata con
l’art. 23, l. 24 giugno 1997, n. 196, che vara i “contratti di riallineamento”319. All’interno di zone ad
alto tasso di disoccupazione e di evasione fiscale, appositi accordi decentrati si occupano appunto di
riallineare gradualmente il trattamento dei dipendenti delle imprese interessate a quello previsto dai
contratti nazionali, permettendo nel frattempo la sospensione dell’osservanza dei contratti collettivi.
Nel frattempo, non si arresta l’attività legata ai progetti di legge. Tiziano Treu, diventato ministro
del lavoro, insedia una commissione di studio, il cui articolato finale prevede tra l’altro la possibilità
che le parti sociali chiedano al ministro di recepire in decreto il contenuto dei contratti collettivi320.
Nel mondo scientifico, si ascolta tutto il disagio espresso da Massimo D’Antona in un complesso
saggio, che segnala l’anomalia di un diritto sindacale costantemente e faticosamente impegnato nello sforzo di aderire alla dinamica effettiva dei rapporti sociali, nel quale la normatività tende a
schiacciarsi sulla fattualità; con la conseguenza che il giurista (del lavoro) è sempre più tributario di
altre scienze e la sua autorità diminuisce321. Chiosa alla Woody Allen un ironico osservatore: «Se il
positivismo è morto […], anche il diritto (del lavoro) non si sente troppo bene»322.
30. A cavallo del nuovo millennio: teorie, ancora teorie
Gli anni Novanta vedono anche rifiorire il dibattito dottrinale sulla collocazione del contratto
collettivo nel sistema delle fonti, soprattutto presso i costituzionalisti: le posizioni, spesso tecnicamente sofisticate, sono molte - come ci si potrebbe aspettare - e spaziano da chi nega risolutamente
che il contratto collettivo possa essere definito fonte323 a chi lo ritiene una fonte primaria324 o, più
moderatamente, una fonte extra ordinem325, per la sua natura di porre precetti generali e astratti e in
ragione del principio di effettività326.
A metà degli anni Novanta, tra i giuslavoristi il clima pare favorevole a una ripresa delle radici
privatistiche nella rilettura del contratto collettivo, sia riscoprendole in chiave di riconquista di autonomia decisionale in un’epoca in cui il sindacato è sempre più invischiato in processi di governo
dell’economia327, sia per fondare la legittimazione del contratto collettivo non tanto sulla rappresentanza volontaria, quanto sul riconoscimento costituzionale di autonomie sociali super-individuali328;
entrambe le ricostruzioni, poi, paiono distinguere il contratto collettivo come atto di autonomia privata da quello che opera in forza di rinvii legislativi, concorrendo con questa a determinare la disciplina dei rapporti di lavoro, anche con deroghe pattizie alla norma di legge. Una rilettura del tema
318
M. D’Antona, Contrattazione collettiva e autonomia individuale, cit., p. 558.
A. Bellavista, I contratti di riallineamento retributivo e l’emersione del lavoro sommerso, in RGL, 1998, I, p. 93.
320
La documentazione in RGL, 1998, I, p. 391 ss.
321
M. D’Antona, L’autonomia post-positivista del diritto del lavoro e la questione del metodo, in RCDP, 1990, p.
207 ss., su cui S. Sciarra, Post positivista e pre globale. Ancora sull’anomalia del diritto del lavoro italiano, in DLRI,
2009, p. 159.
322
R. Del Punta, Il diritto del lavoro fra due secoli: dal protocollo Giugni al decreto Biagi, in P. Ichino (a cura di),
Il diritto del lavoro nell’Italia repubblicana, cit., p. 268.
323
R. Guastini, Teoria e dogmatica delle fonti, Milano, Giuffrè, 1998, p. 67; per un’opinione non dissimile, L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, Bologna, Il Mulino, 1996, p. 447 ss.
324
Questa opinione è più risalente nel tempo: A. Ruggeri, Gerarchia, competenza e qualità nel sistema costituzionale delle fonti normative, Milano, Giuffrè, 1977, p. 94.
325
A. Pizzorusso, Le fonti del diritto del lavoro, in RIDL, 1990, I, p. 15 ss.; Id., Fonti (sistema costituzionale delle),
in Digesto delle discipline pubblicistiche, Torino, Utet, 1991, p. 432; in senso analogo, M. Raveraira, Legge e contratto
collettivo, Milano, Giuffrè, 1985, p. 50 ss.
326
F. Modugno, S. Niccolai, Atti normativi, in Enciclopedia giuridica Treccani. Aggiornamento, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1997; F. Modugno, Appunti dalle lezioni sulle fonti del diritto, Torino, Giappichelli, 2000, p.
14.
327
A. Tursi, Autonomia collettiva e contratto collettivo di lavoro, Torino, Giappichelli, 1996.
328
G. Proia, Questioni sulla contrattazione collettiva. Legittimazione, efficacia, consenso, Milano, Giuffrè, 1994.
319
37
dell’inderogabilità porta a ritenere le deroghe individuali «inefficaci» rispetto a un contratto collettivo che presenta comunque l’attitudine normativa di una fonte sostanziale329. A fine secolo, si fa
strada l’idea che «l’inderogabilità è una possibilità, e non una necessità»330.
Siamo, quindi, in anni331 nei quali, a fronte di una situazione di complessivo «stallo del diritto
sindacale»332, in una società sempre più reindividualizzata, si assiste a un deciso sviluppo della rivisitazione teorica del tema del contratto collettivo, studiato sotto tante sfaccettature333. E continua a
prendere forma l’idea che la realizzazione di un contratto collettivo efficace erga omnes possa prescindere dalla revisione dell’art. 39. Già Vardaro aveva sostenuto che l’esistenza della norma costituzionale non precludeva l’accesso a forme diverse di estensione generale334; ora, si descrive
l’autonomia collettiva dell’art. 39, co. 1, come un cerchio maggiore, al cui interno possono disegnarsi cerchi minori «che realizzino diversi, possibili ed anche alternativi modelli di legificazione
dell’autonomia collettiva»335.
Nella borsa che Massimo D’Antona oppone all’insensato fuoco delle Brigate rosse, c’è uno scritto appena consegnato per la pubblicazione, che rilegge, appunto, l’ultimo comma dell’art. 39: esso
non deve essere visto come ostacolo al riconoscimento legale dei contratti collettivi - perciò la legge
non lo viola se attribuisce al contratto collettivo effetti giuridici superiori a quelli che avrebbe per
“natura” -, ma solo all’introduzione di modelli che realizzino forme di monopolio della rappresentanza336. Il de profundis recitato da Federico Mancini per l’art. 39, che ha retto per più di trent’anni,
viene perciò esorcizzato e ribaltato. Da consulente del ministro del lavoro, D’Antona ha predisposto
un disegno di legge sulla contrattazione collettiva modellato su quello varato nel 1998 nel settore
pubblico, a “Costituzione invariata”, cioè rispettando spirito e principi dell’art. 39. La sua morte lo
blocca definitivamente, segnando anche «la chiusura di un ciclo di speranze riformiste»337.
A cavallo tra i due secoli, anche tra i giuslavoristi si riparla con gran rilievo di fonti. Mentre
Umberto Romagnoli, al congresso Aidlass del millennio, pensa che la legislazione del lavoro senza
un contratto collettivo «di natura para-legislativa somiglia ad un veicolo con le ruote quadrate», e
che quindi non abbia senso proporre un’idea «dell’alterità del contratto collettivo rispetto alla legge»338, Mattia Persiani rigetta le tesi di chi lo vorrebbe espressione di un potere pubblico, quindi
fonte in senso proprio, e insiste su una visione del contratto collettivo funzionalmente unitario in
un’ottica di fedeltà a un diritto privato che non esprime soltanto valenze individualistiche339. Il congresso Aidlass del 2001 è dedicato al sistema delle fonti nel diritto del lavoro340 ed è una palestra di
confronto tra opzioni diversificate - a volte anche molto341 -, impegnate nella quasi impossibile so329
L. Nogler, Saggio sull’efficacia regolativa del contratto collettivo, Padova, Cedam, 1997; Id., Il contratto collettivo nel prisma dell’accertamento pregiudiziale, in DLRI, 2000, p. 1 ss.
330
F. Scarpelli, Autonomia collettiva e autonomia individuale nella regolazione del rapporto dei lavoratori parasubordinati, in LD, 1999, p. 564.
331
Ben descritti da L. Mariucci, Le fonti del diritto del lavoro. Quindici anni dopo, Torino, Giappichelli, 2003, p.
169 ss.
332
R. Del Punta, Il diritto del lavoro fra due secoli, cit., p. 381.
333
Ad esempio, in relazione al tema della rappresentanza degli agenti contrattuali: M.P. Monaco, Modelli di rappresentanza e contratto collettivo, Milano, Giuffrè, 2003; o del raccordo tra ordinamento sindacale e statale: F. Corso,
Contratto collettivo e organizzazione del sistema sindacale, Napoli, Jovene, 2003.
334
G. Vardaro, Contrattazione collettiva cit., p. 122.
335
A. Tursi, Autonomia collettiva cit., p. 38.
336
M. D’Antona, Il quarto comma dell’art. 39 della Costituzione, oggi, in DLRI, 1998, p. 678 ss., su cui B. Caruso,
Nella bottega del maestro: “Il quarto comma dell’art. 39 della Costituzione, oggi” (sapere, tecnica e intuizione nella
costruzione di un saggio), in DLRI, 2009, p. 53 ss.
337
B. Caruso, D’Antona, Massimo, in I. Birocchi, E. Cortese, A. Mattone, M.N. Miletti (dir.), Dizionario biografico
cit., p. 643.
338
U. Romagnoli, Il contratto collettivo, cit., p. 266.
339
M. Persiani, Contratti collettivi normativi e contratti collettivi gestionali, in ADL, 1999, p. 3 ss.; Id., Il contratto
collettivo di diritto comune nel sistema delle fonti del diritto del lavoro, in ADL, 2004, p. 1 ss.
340
Il sistema delle fonti nel diritto del lavoro, cit.
341
Per una sintesi, L. Zoppoli, Il contratto collettivo con funzione normativa nel sistema delle fonti, in Il sistema delle fonti cit., p. 238 ss.
38
luzione del «rebus di un contratto privatistico con gli effetti tipici di un atto normativo»342. Tutto si
gioca, alla fine, sintetizzando in maniera brutale, nella divisione tra due grandi orientamenti, ma con
diverse variazioni e posizioni intermedie343; una divisione vecchia quanto il diritto del lavoro: da un
lato, i “privatisti”, che si affidano all’interpretazione delle disposizioni del codice civile, per lo più
non chiedono interventi di normazione della materia e generalmente non ritengono il contratto collettivo una fonte del diritto (o comunque sottovalutano tale problema, parlando di fonte-fatto o di
«forme di esperienza»344); dall’altro lato, i “pubblicisti”, per i quali il contratto collettivo è già ora
in qualche modo una fonte del diritto e auspicano, comunque, l’intervento del legislatore per disciplinare la fattispecie. Ma, ovviamente, non è tutto così semplice. Almeno per gli studiosi, perché la
giurisprudenza pare negli anni graniticamente assestata sulla ricostruzione privatistica del contratto
collettivo.
31. I rinvii del XXI secolo: più deroghe peggiorative e meno gestione del mercato del lavoro
Mentre la dottrina si affatica sulla natura e la funzione di un contratto collettivo sottoposto a «un
trattamento cosmetico che potrebbe destare l’ammirazione delle più brave estetiste»345, nel primo
decennio del XXI secolo il legislatore le fornisce nuovo materiale su cui esercitarsi.
Innanzitutto, si segnalano un paio di interventi che sembrano porsi in un’ottica di valorizzazione
del contratto collettivo. L’art. 2, d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, nel novellare l’art. 360 c.p.c., introduce tra i motivi del ricorso per cassazione la violazione o falsa applicazione, oltre che «di norme di
diritto», anche «dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro», portando indubbiamente acqua
al mulino di chi vuole assimilare il più possibile le due “fonti” 346. L’intervento, giustificato dal problema pratico di garantire uniformità di trattamento, evidentemente non incide sulla natura non eteronoma del contratto collettivo; i contratti collettivi continuano a non essere pubblicati in Gazzetta
ufficiale, quindi la nuova norma processuale non intacca il principio jura novit curia, con la conseguenza che essi vanno comunque prodotti in giudizio dalle parti. Semmai, si inizia a creare conflitto
giurisprudenziale circa l’obbligo di indicazione precisa da parte del ricorrente dei canoni legali assunti come violati347.
Subito dopo, l’art. 118, co. 6, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, obbliga gli imprenditori che stipulino
con la pubblica amministrazione contratti di fornitura a «osservare integralmente il trattamento economico e normativo stabilito dai contratti collettivi nazionali e territoriali» del settore e della zona.
Ora non si tratta più, come nell’analoga norma promozionale dello statuto dei lavoratori, di un obbligo ricadente sulla pubblica amministrazione di inserire nel contratto con l’imprenditore una simile clausola, ma di un obbligo che scaturisce direttamente dalla legge348.
A fronte di provvedimenti di questo tipo, si infittiscono, però, e non solo in relazione alle tipologie di lavoro flessibili, i rinvii della legge “in deroga”, cioè a un contratto collettivo legittimato a
peggiorare le sue disposizioni. L’esempio più importante è costituito dai numerosi rinvii (ai contrat342
T. Treu, La giurisprudenza e l’ordinamento intersindacale, in M. Bessone (a cura di), Diritto giurisprudenziale,
Torino, Giappichelli, 1996, p. 268.
343
Più di recente sul tema, L. Zoppoli, Il contratto collettivo come «fonte»: teorie e applicazioni, in R. Santucci, L.
Zoppoli (a cura di), Contratto collettivo cit., p. 3 ss.; C. Zoli, Contratto collettivo come fonte e contrattazione collettiva
come sistema di produzione di regole, in M. Persiani (a cura di), Le fonti del diritto del lavoro, Padova, Cedam, 2010, p.
487 ss.
344
M. Dell’Olio, Sul sistema delle fonti del diritto del lavoro, in Il sistema delle fonti cit., p. 47.
345
U. Romagnoli, Il contratto collettivo, cit., p. 264.
346
M. Rusciano, La metamorfosi del contratto collettivo, in RTDPC, 2009, p. 29 ss.
347
Per la soluzione restrittiva, Cass. 9054/2013, per quella estensiva Cass. 5527/2016.
348
Attività promozionale della contrattazione collettiva che piace poco a una Corte di giustizia europea sempre sensibile alle ragioni della libera circolazione delle merci, della libera concorrenza, della libera impresa, che, in una criticatissima sentenza dalle paradossali conseguenze, la Rüffert del 2008, sanziona la normativa di un Land tedesco, molto
simile a quella italiana: G. Orlandini, Viking, Laval e Rüffert: i riflessi sul diritto di sciopero e sull’autonomia collettiva
nell’ordinamento italiano, in A. Vimercati (a cura di), Il conflitto sbilanciato, Bari, Cacucci, 2009, p. 55 ss.
39
ti collettivi stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi) contenuti nel d.lgs. 8 aprile
2003, n. 66, sull’orario di lavoro349. Il gran numero dei rinvii peggiorativi induce, tra l’altro, a interrogarsi sulla «sostanziale interscambiabilità dei ruoli» tra legge e contratto collettivo350, e quindi sul
possibile «superamento dell’assetto delle fonti», strettamente legato all’attenuazione del principio
dell’inderogabilità351. Ne è passato di tempo da quando si scriveva che il diritto del lavoro era tutto
«tendenzialmente inderogabile»352!
Nel frattempo, si sviluppano i «fragili escamotages di volta in volta elaborati da giurisprudenza e
dottrina»353 per estendere i sacrifici erga omnes. La posizione più “dalla parte dei lavoratori” diventa allora - in un paradossale gioco degli scambi - quella, fedele al diritto privato, contraria
all’estensione generale dell’efficacia soggettiva solo in base al rinvio operato dalla legge354.
Sul versante dei rinvii “integrativi”, va notato che i numerosi interventi legislativi in materia di
lavori flessibili (lavoro a termine, a tempo parziale, somministrato, intermittente), a fronte di un incremento - talvolta davvero notevole - di tali rinvii alla contrattazione collettiva, ne diminuiscono
sensibilmente gli ambiti di operatività355, o “rilegificando” determinate competenze attribuite al
contratto collettivo dalle normative degli anni Ottanta e Novanta o prevedendo clausole “di salvaguardia” in caso di inerzia della fonte collettiva. Il passaggio dai rinvii di autorizzazione o flessibilizzazione tipologica ai nuovi rinvii regolatori o di controllo dell’autonomia collettiva356 comporta
l’evidente conseguenza di privare sempre più cospicuamente le parti sociali della facoltà di dosare
la flessibilità del mercato del lavoro.
Anche il tema degli scioperi nei servizi essenziali risente di questa tendenza: la l. 11 aprile 2000,
n. 83, che fa una sorta di “tagliando” alla disciplina del 1990, sposta decisamente il peso dalla parte
della Commissione di garanzia nella determinazione delle prestazioni indispensabili da garantire in
caso di sciopero, depotenziando non poco il ruolo dell’autonomia collettiva357.
Il legislatore continua a non operare secondo grande coerenza, disponendo ora in un modo ora
nell’altro - o, peggio, non chiarendo affatto - in ordine all’oggetto del rinvio: cioè, alla portata della
deroga, al livello di contrattazione cui si intende delegare, all’agente negoziale competente: sempre
più spesso quest’ultimo viene individuato nel sindacato «comparativamente rappresentativo». Anzi,
a partire dalla “legge Biagi”, cioè il d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, il rinvio è fatto ai contratti collettivi stipulati «da» s.c.r., e non più «dai» s.c.r., dove il passaggio dalla preposizione articolata a
quella semplice lascia intravedere un’apertura nei confronti di eventuali - sempre più probabili - accordi separati358.
Nell’aumento complessivo dei rinvii legislativi dopo il 2000, vanno annoverati anche i casi di
rinvii «impropri»359, cioè di “inviti” del legislatore affinché le parti sociali regolino una determinata
materia (per esempio, l’art. 11, co. 2, d.lgs. 66/2003, sull’individuazione dei requisiti dei lavoratori
esclusi dal lavoro notturno). Tali rinvii appaiono pleonastici, ovvero privi di immediato contenuto
precettivo e carichi di solo contenuto simbolico, o, se si vuole, “politico”, poiché le parti sociali ben
349
U. Carabelli, V. Leccese, Una riflessione sul sofferto rapporto tra legge e autonomia collettiva: spunti dalla
nuova disciplina dell’orario di lavoro, in Studi in onore di Giorgio Ghezzi, Padova, Cedam, 2005, p. 345 ss.
350
P. Tullini, Breve storia delle fonti nel mercato del lavoro, in ADL, 2005, p. 160.
351
M. Napoli, Introduzione. Interrogativi sull’inderogabilità, in RGL, 2008, I, p. 158.
352
R. De Luca Tamajo, La norma inderogabile cit., p. 48.
353
V. Leccese, Il diritto sindacale al tempo della crisi. Intervento eteronomo e profili di legittimità costituzionale, in
DLRI, 2012, p. 479 ss.
354
M.G. Garofalo, Per una teoria giuridica del contratto collettivo: qualche osservazione di metodo, in DLRI, 2011,
p. 532 ss.; F. Santoni, Contrattazione collettiva e principio di maggioranza, in RIDL, 2013, I, p. 93 ss.
355
L. Montuschi, Ancora nuove regole per il lavoro a termine, in ADL, 2002, p. 41 ss.
356
C. Zoli, Contratto e rapporto tra potere e autonomia nelle recenti riforme del diritto del lavoro, in DLRI, 2004,
p. 374.
357
Per tutti, A. Loffredo, La Commissione di garanzia: un’autorità indipendente tra diritto amministrativo e ordinamento intersindacale, in LD, 2005, p. 563 ss.
358
P. Tullini, Breve storia cit., p. 157.
359
V. Pinto, Lavoro part-time e mediazione sindacale: la devoluzione di funzioni normative al contratto collettivo,
in DLRI, 2002, 275 ss.
40
potrebbero intervenire anche senza alcuna autorizzazione del legislatore360; anzi, se questo rinvio è
rivolto ai soli sindacati comparativamente rappresentativi, la norma si espone a critiche di incostituzionalità. I rinvii impropri, però, vengono letti anche in un’ottica di “inderogabilità bilaterale”361,
nel senso cioè che essi impedirebbero implicitamente alla contrattazione collettiva di intervenire al
di fuori dei rinvii espressi362. Ma non può farsi a meno di notare che la giurisprudenza costituzionale continua ad affermare la legittimità di una compressione dell’autonomia collettiva - peraltro limitata nel tempo - solo quando sussistono «superiori interessi generali»363. Così come per la Corte evidentemente, ma è bene averlo precisato - la contrattazione collettiva ben può provvedere in melius per i lavoratori, ad esempio estendendo la tutela reale contro il licenziamento illegittimo anche
alle imprese al di sotto dei limiti dimensionali di applicabilità dell’art. 18 dello statuto364.
Riepilogando, i rinvii del XXI secolo si stanno caratterizzando per la loro numerosità ma anche
per un complessivo senso di diminuzione delle poste che il sindacato è in grado di scambiare al tavolo negoziale365. Sempre che a questo tavolo riesca a sedersi.
32. Due parole sulla difficile storia di oggi
Alla ricordata difficoltà di fare operazioni di taglio storico sul presente - anche perché «corsi e
ricorsi»366, più o meno storici, vanno evidentemente infittendosi -, si aggiunge quella derivante
dall’estrema complessità delle trame che legano legge e contratto collettivo al giorno d’oggi, quando una situazione già piuttosto orientata verso una certa direzione viene ulteriormente aggravata dagli effetti di una nuova crisi economica367.
I punti su cui si sta sviluppando questo ennesimo nuovo rapporto tra legge e contratto collettivo
sono solo sintetizzabili. Innanzitutto, si assiste alla frammentazione della struttura stessa della contrattazione. L’episodio emblematico è la fuoriuscita della più grande azienda italiana, la Fiat, dalla
Confindustria e quindi da un quadro di relazioni industriali mai messo in discussione fino a quel
momento, con la creazione di un autonomo sistema di contrattazione di tipo aziendale, che rompe il
tradizionale meccanismo di contrattazione bipolare368.
A un certo punto, la legge sembra assecondare questa messa in discussione del doppio livello di
contrattazione e del ruolo centrale del contratto nazionale in uno dei rari interventi diretti - se non “a
gamba tesa” - in materia di rapporti “generali” tra legge e contrattazione collettiva: il fin troppo famoso - o famigerato - art. 8, d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito in l. 14 settembre 2011, n. 148,
che attribuisce al contratto collettivo aziendale o territoriale concluso «da» associazioni comparativamente più rappresentative il potere di derogare in una serie estremamente cospicua di materie,
ovviamente anche in senso peggiorativo per il lavoratore, sia al contratto collettivo nazionale che
alla legge. Inoltre, con una previsione del tutto inedita, la norma attribuisce esplicita efficacia erga
omnes a tali intese, se «sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario».
Questo “mostro” giuridico, ritenuto da tanti un vero e proprio attentato al nostro sistema di autonomia collettiva369, per la prima volta è recettore di una «delega ampia»370 alla deroga in pejus; esso
360
M.G. Garofalo, Per una teoria giuridica cit., p. 531.
Sul tema, G. Centamore, Legge e autonomia collettiva: una critica della dottrina dell’inderogabilità bilaterale,
in LD, 2015, p. 491 ss.
362
A. Maresca, Modernizzazione del diritto del lavoro, tecniche normative e apporti dell’autonomia collettiva, in
Diritto del lavoro. I nuovi problemi, cit., p. 481 ss.
363
C. cost. 392/2000.
364
C. cost. 143/1998.
365
P. Tullini, Breve storia cit., p. 156.
366
G. Santoro Passarelli, I corsi, i ricorsi e i discorsi sul contratto collettivo di diritto comune, in ADL, 2009, p. 970.
367
F. Guarriello, Crisi economica, contrattazione collettiva e ruolo della legge, in DLRI, 2016, p. 3 ss.
368
Per tutti, V. Bavaro, Azienda, contratto e sindacato, Bari, Cacucci, 2012; Id., L’aziendalizzazione nell’ordine
giuridico-politico del lavoro, in LD, 2013, p. 213 ss.; per un’ultima riflessione generale, F. Olivelli, La contrattazione
collettiva aziendale dei lavoratori privati, Milano, Giuffrè, 2016.
369
F. Liso, Brevi note sull’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e sull’articolo 8 della legge n. 183/2011, in
361
41
cancella definitivamente quel che è rimasto del principio del favor, scardina un ordinato sistema
fondato sul rispetto dei livelli della contrattazione371, confonde consolidate nozioni di gerarchia tra
le fonti. Almeno per gli «apocalittici», perché - continuando a parafrasare Umberto Eco - per gli
«integrati» le risorse del sistema riusciranno a devitalizzare l’esplosività latente della norma372. Finora, al nuovo, rozzo, meccanismo - sommerso dalle critiche degli studiosi e dal formale rifiuto delle grandi organizzazioni sindacali - non pare si faccia grande ricorso373, se non “sotto banco”374. Ma
la norma è sempre lì, a costituire quanto meno uno spauracchio o una mina vagante.
La situazione attuale, ricca peraltro di accordi separati non scoraggiati affatto - anzi, quasi incentivati - dalla legge375 e di accordi palesemente “al ribasso” (non a caso soprannominati “pirata”), è
segnata peraltro dall’accresciuto impoverimento degli spazi di intervento dell’autonomia collettiva376, con un contratto collettivo ormai ritenuto «geneticamente derogabile»377. La stagione della
concertazione - già giudicata un «modello effimero» alla sua nascita378 - è tramontata da un pezzo e
le parti sociali sempre più raramente vengono ascoltate: la definizione, risalente a solo poco tempo
fa, del contratto collettivo come strumento di governo dell’economia379, va ora probabilmente ridimensionata. Poi, l’art. 1, co. 7 g, l. 10 dicembre 2014, n. 183, cioè la delega del Jobs Act, lancia
l’introduzione di un salario minimo380: una novità per il sistema italiano, ma un’invasione di campo
in una tradizionale prerogativa della contrattazione collettiva381 (anche se la delega, per ora lasciata
cadere, probabilmente riguarda solo i settori non coperti da contratti collettivi sottoscritti dai sindacati più rappresentativi382).
Sul punto, però, è da segnalare un importante intervento della Corte costituzionale, finalmente
con un(a) giuslavorista nei suoi ranghi: in una sentenza redatta da Silvana Sciarra, il rinvio al contratto collettivo stipulato dal sindacato comparativamente più rappresentativo non è visto come violazione dell’art. 39, ma è ritenuto il più corretto parametro di applicazione della retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36383, aprendosi così una via alternativa alla realizzazione
del salario minimo, cioè quella di una legge che su questo punto, nel pieno rispetto dell’art. 39, recepisca i contratti collettivi dei s.c.r.
Nel frattempo - e ciò non suoni in contraddizione con il rilievo sull’impoverimento della contratDLRI, 2012, p. 453 ss.
370
L. Zappalà, Legge e contratto collettivo nella co-regolazione della flessibilità, in M. Barbera, A. Perulli (a cura
di), Consenso, dissenso e rappresentanza. Le nuove relazioni sindacali, Padova, Cedam, 2014, p. 142.
371
Sul tema, da ultimo, V. Maio, Struttura ed articolazione della contrattazione collettiva, Padova, Cedam, 2013.
372
O. Mazzotta, «Apocalittici» e «integrati» alle prese con l’art. 8 della legge n. 148 del 2011: il problema della disponibilità del tipo, in LD, 2012, p. 19 ss.
373
A. Perulli, La contrattazione collettiva «di prossimità»: teoria, comparazione e prassi, in RIDL, 2013, I, p. 919
ss.
374
L. Imberti, A proposito dell’articolo 8 della legge n. 148/2011: le deroghe si fanno, ma non si dicono, in DLRI,
2013, p. 255 ss.
375
F. Scarpelli, Una riflessione a più voci sul diritto sindacale ai tempi della contrattazione separata, in RGL, 2010,
I, p. 3 ss.
376
A. Zoppoli, Jobs Act e formante sindacale: quale ruolo per quale contrattazione collettiva?, in M. Rusciano, L.
Zoppoli (a cura di), Jobs Act e contratti di lavoro dopo la legge delega 10 dicembre 2014 n. 183, in WP - Collective Volumes, n. 3/2014, p. 25 ss.
377
V. Maio, Contratto collettivo e norme di diritto, Napoli, Jovene, 2008, p. 45 ss.; notazioni critiche in V. Speziale,
Il rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale di lavoro, in DLRI, 2012, p. 361 ss.
378
M. Rusciano, Contratto collettivo cit., p. 148.
379
M. Martone, Governo dell’economia e azione sindacale, Padova, Cedam, 2006.
380
A. Bellavista, Il salario minimo legale, in DRI, 2014, p. 741 ss.; M. Biasi, Il salario minimo legale nel “Jobs
Act”: promozione o svuotamento dell’azione contrattuale collettiva?, in WP, n. 242.IT, 2015.
381
L. Bellardi, La recente riforma della struttura contrattuale: profili critici e incoerenze, in DLRI, 2014, p. 739 ss.
382
F. Guarriello, Verso l’introduzione del salario minimo legale?, in F. Carinci (a cura di), La politica del lavoro del
governo Renzi, Modena, Adapt University Press, 2014, p. 327 ss.
383
C. cost. 51/2015; per un commento, M. Barbieri, In tema di legittimità costituzionale del rinvio al ccnl delle organizzazioni più rappresentative del settore cooperativo, in RGL, 2015, II, p. 493 ss.; S. Laforgia, La giusta retribuzione del socio di cooperativa: un'altra occasione per la Corte costituzionale per difendere i diritti dei lavoratori ai tempi
della crisi, in ADL, 2015, p. 934 ss.
42
tazione - aumenta il numero dei rinvii della legge al contratto collettivo (ne fa di continui, ad esempio, la l. 28 giugno 2012, n. 92, cioè la “legge Fornero”384), per lo più sotto la forma dei rinvii in deroga; gli ultimi in ordine di tempo sono contenuti nel d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, attuativo del
Jobs Act: l’art. 2, co. 2 a, legittima i contratti collettivi stipulati da sindacati più rappresentativi a disapplicare la disciplina del lavoro subordinato nelle «collaborazioni organizzate dal committente»;
l’art. 3, co. 1, riscrivendo l’art. 2103 c.c., co. 4, legittima ogni tipo di contratto collettivo a individuare «ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore».
A complicare le cose, anche la semplicità del classico meccanismo dell’inderogabilità peggiorativa rischia di saltare, sia perché - nella crescente tensione tra insiders e outsiders nel mercato del
lavoro - una deroga potrebbe risultare migliorativa per i primi e peggiorativa per i secondi, o viceversa, sia perché l’interesse generale all’occupazione potrebbe essere «idoneo anche a giustificare
[…] limitazioni “bilaterali” all’autonomia collettiva, senza violazione dell’art. 39»385.
Ulteriore potenziale elemento di complicazione è contenuto nell’art. 51 d.lgs. 81/2015, che, nel
delineare un tipo generale di contratto collettivo “delegato”386 (utilizzando una tecnica di rinvio innovativa, che si pone come modello per la costruzione dei rimandi della legge alla contrattazione
collettiva387), abilita anche la contrattazione collettiva territoriale o aziendale al possibile ruolo di
terminale diretto della legge, senza la mediazione necessaria della contrattazione nazionale, producendo quindi una «equiordinazione» tra i livelli contrattuali388.
Tanti rinvii, quindi, nel Jobs Act389, che però - almeno secondo alcuni - nonostante ciò, o forse
proprio a causa di ciò, sarebbe animato da una complessiva perdita di fiducia del legislatore nelle
capacità della negoziazione collettiva di implementare il dettato normativo390.
Da ultimo, va detto che non mancano neanche interventi sul collaudato sistema promozionale del
contratto collettivo, attuato obbligando gli appaltatori di opere pubbliche a osservarne integralmente
i contenuti. Il nuovo “codice degli appalti”, approvato con d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50, pare confermare la normativa di dieci anni prima, che anzi ne esce meglio precisata e contestualizzata.
Si tratta quindi, come si vede, di una situazione estremamente fluida, al punto che la recente opinione di un autorevole costituzionalista, secondo cui la ripartizione di competenze tra legge e contratto collettivo somiglierebbe molto a quella tra legge e legge regionale di cui all’art. 117 Cost., per
cui «nelle materie dei rapporti di lavoro spetta alle associazioni datoriali e sindacali - tramite i contratti collettivi - la potestà normativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali (inderogabili) riservata alla legislazione dello Stato»391, sa più di wishful thinking che di catalogazione
della realtà.
Oggi, perciò, sembra avere sempre meno senso proporre inventari e classificazioni. Potrebbe di384
M. Rusciano, Contrattazione e sindacato nel diritto del lavoro dopo la l. 28 giugno 2012, n. 92, in ADL, 2013, p.
1283 ss.
385
A. Zoppoli, Il declino dell’inderogabilità?, in DLM, 2013, p. 93.
386
T. Treu, I rinvii alla contrattazione collettiva (art. 51, d.lgs. n. 81/2015), in M. Magnani, A. Pandolfo, P.A. Varesi (a cura di), Il codice dei contratti di lavoro. Commentario al d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, Torino, Giappichelli, 2016,
p. 250 ss.
387
I. Alvino, Il micro-sistema dei rinvii al contratto collettivo nel d.lgs. n. 81 del 2015: il nuovo modello della competizione fra i livelli della contrattazione collettiva, in RIDL, 2016, I.
388
P. Passalacqua, Il nuovo modello generale di rinvio legale all’autonomia collettiva delineato dall’art. 51, d.lgs.
n. 81 del 2015: l’equiordinazione tra i livelli della contrattazione collettiva, in DLM, 2016.
389
P. Tomassetti, Riordino delle tipologie contrattuali e contrattazione collettiva, in M. Tiraboschi (a cura di), Le
nuove regole del lavoro dopo il Jobs Act, Milano, Giuffré, 2016, p. 342 ss.; M. Falsone, I rinvii alla contrattazione collettiva nel d.lgs. 81/2015, in DRI, 2016.
390
L. Mariucci, Il diritto del lavoro ai tempi del renzismo, in LD, 2015, p. 34 ss.; L. Scarano, Legge e autonomia
collettiva ai tempi del Jobs Act, in E. Ghera, D. Garofalo (a cura di), Contratti di lavoro, mansioni e misure di conciliazione vita-lavoro nel Jobs Act 2, Bari, Cacucci, 2015, p. 96 ss.; G.A. Recchia, Il ruolo dell’autonomia collettiva, ivi, p.
117 ss.
391
F. Modugno, I contratti collettivi di diritto comune sono fonti?, in G. Santoro Passarelli (a cura di), Rappresentanza sindacale e contratto collettivo, Napoli, Jovene, 2010, p. 15.
43
pendere in larga misura da ansia tassonomica, ad esempio, sia predisporre elenchi delle diverse tecniche di integrazione funzionale, catalogando varietà mai esaustive di tipologie di rinvio della legge
al contratto collettivo392; sia operare precise classificazioni dei contratti collettivi, in un momento
nel quale, ormai, quasi in ognuno di esso c’è un misto di normativo, di gestionale, di ablativo, e via
catalogando.
Secondo molti, anzi, lo stesso sempiterno problema della collocazione del contratto collettivo tra
le fonti del diritto rischia di rivelarsi un esercizio frustrante, quando tutto sembra sparire in una serie
di «moduli poli-contestuali di integrazione», a fatica riconducibili all’assetto consolidato delle fonti:
per usare una terminologia di moda, una «gerarchia liquida»393. Appare utile, invece, soprattutto in
momenti come quello attuale, recuperare quello che è stato il filo conduttore di questa storia: la
«terza dimensione» incarnata ancora oggi da un contratto collettivo che presenta, se non «le caratteristiche, la vocazione di fonte del diritto»394.
33. Una parola sull’impossibile storia di domani
Negli ultimi anni, si sta sviluppando un gran fervore regolativo, con l’obiettivo di dare finalmente regole certe al tema della contrattazione collettiva e dei suoi rapporti con l’ordinamento giuridico.
Nel 2014, i contenuti di due importanti accordi interconfederali vengono trasfusi in un “testo
unico”395, che propone la prima regolamentazione, nel diritto sindacale repubblicano, del potere di
stipulare il contratto collettivo e della sua efficacia erga omnes. Ma siamo ancora a una disciplina
pattizia, espressione comunque di un desiderio di “autoriforma” del sistema.
C’è grande fermento, poi, sull’altro piano delle proposte di legge. Innanzitutto, si è aperto un dibattito sulla sorte dell’art. 39 e sulla possibilità di dargli attuazione, mai ricco come in questa occasione. Pochi ormai pensano a una «riscrittura» della norma costituzionale396, mentre si fa strada
l’ipotesi di lasciarla inalterata, attuandola con un intervento legislativo “leggero”397; non mancano
peraltro posizioni più scettiche, che vorrebbero lasciare la situazione così com’è, continuando ad affidare tutto allo sviluppo delle relazioni industriali398.
Gli “interventisti”, ovviamente, si muovono proponendo degli articolati. In primo luogo, quello
“storico” di Pietro Ichino, il cui «codice semplificato del lavoro»399 - già formalizzato in passate legislature - è riproposto come disegno di legge400. Altre due iniziative, sempre trasfuse in proposte di
legge, provengono da équipes di studiosi: una dal gruppo “Frecciarossa”401, l’altra dalla rivista Diritti lavori mercati402. Infine, norme sulla contrattazione collettiva sono contenute nella proposta di
392
Lo osserva P. Tullini, Breve storia cit., p. 137 ss.
F. Martelloni, Gerarchia “liquida” delle fonti del diritto del lavoro, in L. Nogler, L. Corazza (a cura di), Risistemare il diritto del lavoro. Liber amicorum Marcello Pedrazzoli, Milano, Angeli, 2012, p. 436 ss.
394
A. Zoppoli, Il contratto collettivo tra anomia ed effettività, in M. Esposito, L. Gaeta, R. Santucci, A. Viscomi, A.
Zoppoli, L. Zoppoli, Istituzioni di diritto del lavoro e sindacale, II, Torino, Giappichelli, 2015, p. 131.
395
Per tutti, F. Carinci (a cura di), Il testo unico sulla rappresentanza 10 gennaio 2014, Modena, Adapt University
Press, 2014; M. Barbieri, Il testo unico alla prova delle norme giuridiche, in DLRI, 2014, p. 577 ss.; F. Scarpelli, Dissensi e consensi sul testo unico sulla rappresentanza: un bilancio tra politica e diritto, in RGL, 2014, I, p. 651 ss.
396
E. Ghera, L’articolo 39 della Costituzione e il contratto collettivo, in L. Zoppoli, A. Zoppoli, M. Delfino (a cura
di), Una nuova Costituzione per il sistema di relazioni sindacali?, Napoli, Editoriale scientifica, 2014, p. 473 ss.
397
Per tutti, M. Rusciano, Lettura e rilettura dell’art. 39 della Costituzione, in DLM, 2013, p. 263 ss.; Id., Introduzione: che fare dell’art. 39 della Costituzione?, in L. Zoppoli, A. Zoppoli, M. Delfino (a cura di), Una nuova Costituzione cit., p. 439 ss.
398
Per tutti, M. Persiani, Ancora a favore del (solo) comma 1 dell’art. 39 della Costituzione, in L. Zoppoli, A. Zoppoli, M. Delfino (a cura di), Una nuova Costituzione cit., p. 495 ss.
399
L’ultima versione in P. Ichino, Il lavoro ritrovato, Milano, Mondadori, 2015, p. 157 ss.
400
Per la parte sindacale, Senato, n. 986/2013.
401
Del quale fanno parte Bruno Caruso, Raffaele De Luca Tamajo, Riccardo Del Punta, Marco Marazza, Arturo Maresca, Adalberto Perulli, Roberto Romei, Franco Scarpelli e Valerio Speziale. La proposta in B. Caruso, Per un intervento eteronomo sulla rappresentanza sindacale: se non ora quando!, in WP, n. 206.IT, 2014.
402
Il gruppo è coordinato da Mario Rusciano e Lorenzo Zoppoli. La proposta in L. Zoppoli, A. Zoppoli, M. Delfino
393
44
legge di iniziativa popolare della Cgil per una carta dei diritti universali del lavoro403. Sembra davvero giunto il momento nel quale l’art. 39 potrà, in un modo o nell’altro, ricevere finalmente attuazione (anche se una promessa del genere l’abbiamo ascoltata tante volte).
Ma, se è già difficile fare storia del presente, è davvero impossibile farla del futuro. Qui non ci
vuole più lo storico ma lo studioso di fantascienza, che abbia le competenze per esaminare un imminente «incontro ravvicinato del terzo tipo».
(a cura di), Una nuova Costituzione cit., p. 539 ss., su cui Guida alla lettura, ivi, p. 551 ss.
403
Carta dei diritti universali del lavoro. Nuovo Statuto di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori, in RGL, 2016, I,
p. 233 ss., su cui V. Angiolini, U. Carabelli, Le ragioni (di un nuovo Statuto) dei diritti dei lavoratori, in RGL, 2016, I,
p. 217 ss.
45
Abbreviazioni delle riviste
ADL
ASC
DE
DF
DG
DL
DLM
DLRI
DM
DRI
EL
FC
FI
IM
LD
MGL
MSCG
MT
NA
PD
QF
RCDP
RDC
RDCiv
RDL
RDP
RGL
RIDL
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RISG
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SC
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