n°7 - indiosmundo.reggio

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n°7 - indiosmundo.reggio
Spediz. in abb. post. - Tab. C, art. 2/C – Art. 1 comma 2 - Art. 2 comma 1 d.l. 23-12-2003/ n. 353 - G.U. 29-12-2003 - Filiale R.E. - Tassa pagata taxe perçue - Anno XXXVII - N. 7 - Agosto-Settembre 2006 - In caso di mancato recapito rinviare all'Ufficio P.T. di Reggio Emilia detentore del conto per restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa.
NOTIZIARIO
MENSILE del Comitato Provinciale Associazione Nazionale Partigiani d'Italia di Reggio Emilia
«FARE L’AMORE
CON LA
NON-VIOLENZA
PER PARTORIRE
LA PACE
DAL GREMBO
DELLA SOCIETÀ»
(Angelo Frammartino,
volontario per l’assistenza a bambini palestinesi,
ucciso da un arabo a Gerusalemme
il 10 agosto 2006)
Sommario
pag.
pag.
– L’Anpi davanti alle sfide del presente e del futuro,
di Giacomo Notari .......................................................................... 3
– “Con voi dell’Anpi mi sento una grande famiglia”.
Intervista al neo segretario Ds Giulio Fantuzzi, a cura di
Antonio Zambonelli ....................................................................... 4
– Dario sempre con noi ..................................................................... 5
– Non dimentichiamo la Palestina!, di Daniela Lorenzoni ................ 6
– L’Anpi di Reggio Emilia per i bambini Palestinesi ........................ 7
– È in gioco il futuro di Israele, di d.l. ............................................... 8
– Chi è amico di Israele?, di a.z. ........................................................ 9
– I tristi strascichi della guerra, di Riccardo Bertani ......................... 10
– Mondiali antirazzisti 2006, di Fabio Dolci ..................................... 11
– Spagna 1936-2006. Ricordo della guerra civile,
di Antonio Zambonelli ................................................................... 12
– Estate 1936. I primi dodici reggiani volontari antifranchisti
in Spagna, di a.z. ............................................................................ 13
– Donne in guerra, donne di pace: libro e recital al Museo Cervi,
di Gino Belli ................................................................................... 15
– Tornare a Falcade, di Bruno Grulli ................................................. 16
– Un romanzo che ci tuffa nella storia sociale dell’Ottocento,
di Antonio Zambonelli ................................................................... 18
– Che lo spirito di Zapatero sia con noi, di g. b. ................................ 19
– Convitto scuola di Rivaltella .......................................................... 20
– La Resistenza vive nella Costituzione, di Alessandro Fontanesi ... 21
– Visita delle classi III di Poviglio alla Benedicta ............................ 21
– Nino Barazzoni, una vita tra due mondi, recensione di a.z. ........... 22
– “Abbasso il Duce”, video resistente girato a San Polo d’Enza ...... 22
– Il No al referendum: quant’è bella la nostra Costituzione,
di Glauco Bertani ............................................................................ 23
– 24-25 maggio ’44. L’assedio di Villa Minozzo nel racconto di
una bambina di dieci anni, di Sandra Zambonini ........................... 24
– Sono ancora necessarie le basi Usa in Italia?,
di Bruno Bertolaso .......................................................................... 25
– In ricordo di Enzo Salsi, di Sidraco Codeluppi .............................. 26
– Restaurata in Camporanieri la stele per i partigiani
Malaguti e Simonazzi ..................................................................... 27
– Un grave lutto a ha colpito Giannetto Magnanini .......................... 27
– Guerra-Resistenza-Politica: Storie di donne,
di Eletta Bertani .............................................................................. 28
– Un partigiano di 16 anni: Bruno Friggeri, di g.f. ........................... 30
2 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006
***
Le rubriche
– Cittadini-Democrazia-Potere, di Claudio Ghiretti .......................... 31
– Segnali di Pace, di Saverio Morselli .............................................. 32
– Opinion leder, di Fabrizio “Taver” Tavernelli .............................. 33
– L’informazione sanitaria. Le risposte del prof. Enzo Iori .............. 34
– Conoscere gli altri: i Careli, di Riccardo Bertani ........................... 35
***
– I nostri lutti ..................................................................................... 36
– Anniversari ..................................................................................... 37
– Offerte ............................................................................................ 39
NOTIZIARIO A.N.P.I.
Spedizione in abbonamento postale - Gruppo III - 70%
Mensile del Comitato Provinciale
Associazione Nazionale Partigiani d'Italia di Reggio Emilia
e-mail: [email protected]
Proprietario: Giacomo Notari
Direttore: Antonio Zambonelli
Comitato di redazione
Eletta Bertani, Glauco Bertani, Ireo Lusuardi
Collaboratori: Massimo Becchi, Riccardo Bertani, Bruno Bertolaso,
Sandra Campanini, Nicoletta Gemmi, Enzo Iori, Enrico Lelli,
Saverio Morselli, Fabrizio Tavernelli
Registrazione Tribunale di Reggio Emilia n. 276 del 2 Marzo 1970
Stampa: Litograf 5 - Reggio Emilia
Questo numero è stato chiuso in tipografia il 24 agosto 2006
***
Per sostenere il “Notiziario”:
BIPOP CARIRE, piazza del Monte (già Cesare Battisti) - Reggio Emilia
c.c. bancario n. 11819 ABI 5437 CAB 12811 (specificare la causale).
L’Anpi davanti alle sfide
del presente e del futuro
Al 14° Congresso della nostra associazione, gennaio 2006, fra tanti temi ci
ponemmo una domanda: dopo i
sessantesimi della liberazione dal fascismo e dalla monarchia, della conquista del voto alle donne, della nascita della Repubblica e della Costituzione, c’è ancora bisogno di un’associazione partigiana che incarni in sé i
valori della resistenza, li difenda con
altre forze democratiche, mettendo al
sicuro i principi costituzionali? A tale
interrogativo rispondemmo di sì, che
c’è ancora bisogno dei vecchi e nuovi
resistenti. Le modifiche allo Statuto
(sancite dal Congresso nazionale) che
consentono ai giovani di entrare a pieno titolo nella nostra associazione sono
soltanto la logica conseguenza di tale
risposta.
Riprendiamo il discorso in merito in
un momento politico di non facile interpretazione, ma anche con segnali di
chiara lettura. Vedasi il tentativo di
attacco alla Carta costituzionale, si pensi ai venti di guerra che macinano
uomini e ricchezze determinando uno
stato di ansia generalizzata e in particolare fra le giovani generazioni. Giovani francesi hanno manifestato tale
stato di ansia, forse di angoscia, devastando interi quartieri, senza precisi
obbiettivi. I riferimenti culturali alla
Comune di Parigi o alla Resistenza
francese contro il nazismo paiono assopiti se non addirittura cancellati.
In Italia la gran parte dei giovani sembra apparentemente vivere nella indifferenza. Ma se analizziamo meglio,
troviamo che su precisi obbiettivi ci
sono slanci generosi. La rivolta che si
manifestò contro la riforma Moratti
nella scuola, e quella ancora ben viva
contro la guerra in Iraq, sono alcune
delle possibili conferme. Slanci di solidarietà li troviamo nel volontariato,
nell’impegno nel sociale anche verso i
paesi più poveri dei vari continenti.
Sono molti i giovani che, attraverso
associazioni, comuni, parrocchie, prestano la loro opera gratuita costruendo
ambulatori, scuole, ospedali, pozzi
“L’Anpi di Reggio Emilia, sul tema
del rapporto con le nuove generazioni, organizzerà in autunno un
seminario aperto ai contributi dei
giovani, di organizzazioni politiche, di circoli, associazioni culturali e ricreative con l’obbiettivo di
contribuire a ricomporre un possibile discorso unitario di fronte ai
grandi temi della pace e della giustizia sociale in un mondo che talvolta sembra avvitarsi in violente
contraddizioni senza via di uscita.
Ma come vecchi resistenti, abbiamo sempre presente il motto che fu
caro a Gramsci: pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà”.
dove manca l’acqua potabile, ecc., o
facendo arrivare cibo, medicinali, vestiario. Questi impegni lodevoli e particolari, maturano in assenza di
obbiettivi generali che la politica non
riesce a proporre, una politica rinnovata, capace di coinvolgere la moltitudine dei giovani.
D’altra parte si deve purtroppo registrare che, in mancanza di motivazioni capaci di mobilitare, c’è chi si rifugia
nella droga, nell’alcol oppure in gruppuscoli velleitari che pensano di cambiare il corso della storia,magari rompendo qualche vetrina , incendiando
qualche auto, e non andando a votare.
Giacomo Notari.
L’Anpi, aprendo ai giovani, manifesta
una grande fiducia nelle nuove generazioni che dovranno prendere in mano
il destino del nostro Paese nel tempo
che verrà.
La storia del secolo appena trascorso
ci deve illuminare. Noi, e anche molti
più vecchi di noi, cresciuti nell’angusta e soffocante cultura del fascismo,
quando fu il momento non avemmo
esitazioni a prendere le armi, nelle
città e nelle campagne, contro i nazisti
e i loro servi, contro la guerra. Si rifletta sugli elenchi dei partigiani caduti:
oltre il 60 per cento di loro sono giovani dai 16 ai 25-30 anni. Eppure nessuno, al momento della scelta, aveva loro
promesso una paga, una elegante divisa, confortevoli condizioni di alloggio
e di nutrimento. Eppure l’aspirazione
alla pace, alla libertà, fu come un grido
che penetrò tante coscienze di giovani
che seppero affrontare sacrifici
inenarrabili. Grande fu poi l’impegno
dei giovani nella ricostruzione morale
e materiale del Paese.
Alle elezioni politiche del 1953
1.500.000 giovani votarono comunista dando un contributo determinante
per battere la “legge truffa”.
Ancora nel 1960, contro il governo
Tambroni, troviamo nelle piazze i giovani delle magliette a strisce a difendere la libertà come vecchi partigiani, da
Genova a Palermo a Catania, da Milano a Reggio Emilia, questa nostra città
dove i cinque giovani uccisi in piazza
il 7 luglio ancora sanguinano chiedendo giustizia.
Grazie a quei giovani l’Italia riprese
un cammino democratico.
E infine come non aver presente l’impegno di tanti giovani nelle strade di
Genova e di Firenze, e anche il loro
contributo nel risultato elettorale alle
politiche del 9-10 aprile 2006.
Ecco perché l’Anpi ripone fiducia nelle nuove generazioni. Ed è per questo
che assieme dobbiamo costruire percorsi che guardino al futuro, al bene
dell’Italia e del mondo.
Giacomo Notari
NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 3
“Con voi dell’Anpi mi sento
in una grande famiglia”
Nostra intervista a Giulio Fantuzzi, neo segretario Ds
Caro Fantuzzi, hai alle spalle una lunga
esperienza di pubblico amministratore,
di parlamentare europeo, di dirigente
politico e del movimento cooperativo e
contadino. Che effetto ti fa trovarti da
qualche tempo, e in questa situazione,
segretario provinciale dei Ds di Reggio
Emilia?
Mi dà la piacevole sensazione del ritorno a casa, entro le mura amiche di quel
Partito in cui non ho mai smesso di
“credere”. Un Partito che è sempre stato
un riferimento ideale e politico di primissimo ordine in tutte le esperienze che
ho potuto fare in questi anni e che hai
richiamato. La sua vitalità, la sua serietà,
il suo volto ragionevole e perbene li ho
potuti sperimentare e collaudare sia nella militanza attiva che nel rapporto di
vicinato vissuto in prima persona, in
tutti questi anni, a Reggio e fuori. A
favore di questo Partito, a tutti i democratici di sinistra di questa provincia,
spero di poter ricambiare, almeno in
parte, quello che, lui e loro, hanno dato a
me. Davvero tanto. Sono ancora un po’
incredulo. Tanta fiducia per un ruolo
così delicato e in un momento tanto
difficile, concentrarsi proprio sul sottoscritto… Cercherò di farne tesoro. C’è
tanto lavoro da fare. Non siamo più ai
tempi del vecchio Partito che pretendeva di “dettare la linea” un po’ su tutto.
Tanta acqua è passata sotto i ponti. Anche sotto quello di San Pellegrino, che
separa la storica sede del Pci Via Toschi
da quella attuale dei Ds in Via Gandhi.
Eppure un moderno partito di massa
come il nostro nel Paese e a Reggio ha un
ruolo essenziale da giocare. Dopo l’oscura parentesi berlusconiana, c’è da ridare
alla politica il senso del progetto, del
bene comune. Siamo stati contaminati
dall’abuso politico dei poteri forti, degli
interessi personali. Serve un robusto antidoto. E grazie ai Ds, è ancora disponibile. È il gusto, la voglia della partecipazione in prima persona per offrire un
futuro migliore ai nostri figli. Io ne ho
tre. Non vorrei sentirmi rimproverare da
loro: ma papà, perché non ci hai provato
quando avresti potuto?
In particolare, come vedi la prospettiva
4 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006
sponsabile, di democrazia matura si corrompe. Il popolo delle primarie, invece,
un messaggio preciso ce l’ha dato. Insieme si può. Tra partiti riformisti è meglio.
Purché il tutto non si riduca ad un’operazione di vertice (meglio, di vertici). Ds e
Margherita si intendono più che bene nel
Governo nazionale, nei governi locali di
Reggio e provincia. Dunque possono
essere i motori di un grande rinnovamento della politica italiana. E con un
grande partito riformista anche il
bipolarismo made in Italy sarà meno
precario.
di un’unità del centro sinistra che dai
livelli di governo (locale e nazionale)
possa approdare alla costruzione del
Partito democratico?
La vedo come una necessità storica
ineludibile. Ho grande rispetto per chi,
anche nel nostro Partito, vive questo
percorso verso il nuovo Partito dell’Ulivo con molta ansia e preoccupazione.
Però star fermi non si può. E serve il
contributo di tutti, affinché quella prospettiva sia sicura e sostenibile. Le nuove generazioni chiedono alla politica, a
quella onesta e disinteressata, un grande
sforzo d’innovazione. I partiti di più
consolidata tradizione perdono appeal,
di fronte alle grandi sfide della modernità. Anche la tradizione socialista sconta
le sue difficoltà. L’esito elettorale ce lo
conferma. Crescere in consenso, così
come si è, è un problema serio, già da un
po’ di tempo anche per il nostro Partito.
Nel vuoto d’indifferenza e di passività
che si crea, possono sorgere tentazioni
antipolitiche che inseguono leader dalle
facili promesse. E il tessuto civile di
solidarietà sociale, di partecipazione re-
Poiché ti sto intervistando per il periodico dell’Anpi locale, sento il dovere di
farti una domanda che attiene anche
(ma non solo) alle tue radici familiari
(penso in particolare a tuo nonno sen.
Silvio Fantuzzi): quanto pensi debba
pesare la “cultura dell’antifascismo”
nella prospettiva del Partito democratico?
Viva le radici, familiari e non. Viva
l’appartenenza alla causa dei deboli, degli
oppressi. Viva la condivisione della solidarietà, della pace, della libertà. Queste sono tracce della mia vita. Sono cresciuto nella cultura politica
dell’antifascismo e ne sono orgoglioso.
È una grande fortuna che mi è capitata.
Ebbene, se io penso, oggi, agli impegni
forti su cui il Partito democratico si sta
cimentando già nel suo farsi, non posso
non pensare alla straordinaria attualità
del sentimento antifascista. La difesa
della Costituzione, l’unità della Repubblica, la costruzione della pace ai confini
dell’Europa, i diritti di cittadinanza e
l’integrazione degli immigrati non sono
qualcos’altro rispetto ai valori per i quali
l’Anpi impegna le sue energie con tanta
passione. Il peso della cultura
dell’antifascismo è oggettivo. È qui. Non
altrove. Ecco con voi dell’Anpi mi sento
in una grande famiglia, che non vive di
ricordi, ma che guarda in avanti, a quel
“nuovo raccolto” che viene dopo e a cui
è bene prepararsi con animo ben disposto. Quel nuovo raccolto di cui parlava
Papà Cervi. Lo conobbi da bambino.
Un’altra grande fortuna.
a cura di Antonio Zambonelli
Dario sempre con noi!
Sono passati quasi dodici mesi dalla scomparsa di Giuseppe Carretti, avvenuta il 2
ottobre 2005, dopo una breve quanto
fulminea malattia.
L’Anpi provinciale e la redazione del “Notiziario Anpi” ricordano con grande affetto e grande stima il Partigiano Dario, vice
comandante di battaglione della 145a Brigata Garibaldi, che ha diretto in qualità di
presidente, per 25 anni, l’Associazione
con equilibrio e nello stesso tempo con
grande incisività e che, in veste di direttore, ha trasformato il “Notiziario Anpi” da
semplice foglio dattiloscritto in una Rivista apprezzata anche fuori dai confini provinciali e regionali.
Non è certo superfluo, allora, tracciare brevemente un suo profilo non tanto per chi lo
ha conosciuto, ma per chi s’imbatta “casualmente” in queste righe commemorative.
Nato nel 1923 a Villa Cella (RE), trascorre
in povertà l’infanzia e la giovinezza a Villa
Seta. Il 15 aprile 1944, insieme a una
quarantina di altri giovani, sale
sull’Appennino reggiano e diventa Partigiano. Dopo la guerra, Carretti, cogliendo
le opportunità offerte dall’Anpi e da altri
soggetti, consegue la licenza di terza media. Dal 1960 al 1977 è sindaco di
Cadelbosco Sopra per il Partito comunista, al quale aveva aderito al termine del
conflitto, partecipando come protagonista
alla Ricostruzione.
Nel 1964, e recentemente ripubblicato,
aveva scritto una storia di Cadelbosco (I
giorni della grande prova) in cui sono
menzionati momenti della sua esperienza
di partigiano. Nel ’77 è eletto presidente
dell’Anpi, carica che lascerà all’inizio del
2002 insieme a quella di direttore del “No-
tiziario”, con cui continuerà a colloborare
fino all’ultimo (per una breve biografia si
veda: a.z., Auguri affettuosi a Dario che ha
compiuto ottant’anni, “Notiziario Anpi”,
1-2/2003).
Nel ricordare la figura di un uomo che dei
valori civili e sociali ha fatto la sua ragione
di vita, un affettuso saluto va anche alla
vedova Maria Montanari, che con lui ha
condiviso un’intera vita, e che nel numero
di marzo 2006 del “Notiziario” ha ricordato, in un’intervista, il suo incontro con
Giuseppe: “Quando è arrivato a casa dalla
montagna, sarà stato il 26 o il 27 aprile, era
vestito così (indica una foto in cui Caretti
è vestito da partigiano, ndr). Sai, giovane,
vestito così, in una moto… e baciava tutte,
e a me mi ha baciata ma in un modo… in
un altro modo, almeno così mi pareva”.
Ciao Dario.
NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 5
Non dimentichiamo la Palestina!
La drammatica situazione che si è creata
in Medio Oriente con la guerra che Israele ha portato nel cuore del Libano rischia di far dimenticare l’altrettanto
drammatica situazione di Gaza e della
Cisgiordania.
Mentre sui nostri teleschermi scorrevano le immagini delle città israeliane
bombardate, dei morti e dei feriti
libanesi, delle infrastrutture distrutte,
dei quartieri di Beirut e di Tiro rasi al
suolo, dei profughi in fuga dalle loro
case, a Gaza l’esercito israeliano continuava la sua opera di devastazione e di
uccisioni.
Mentre sui nostri giornali si dava il
giusto rilievo alla nuova emergenza umanitaria del Libano, a Gaza l’emergenza
continuava facendosi di giorno in giorno più acuta.
Anche la situazione in Cisgiordania è
diventata insostenibile. Continuano le
incursioni e i rastrellamenti nelle città
palestinesi con arresti (perché non li
chiamiamo rapimenti?) e uccisioni mirate, a Nablus come a Ramallah. Gli
spostamenti sono sempre più difficoltosi, la mancanza di lavoro sempre più
grave e, per chi ancora lavora, come i
dipendenti pubblici (insegnanti, impiegati delle amministrazioni, personale
sanitario, polizia) non c’è salario da sei
mesi.
È evidente che in una situazione simile
si rendono ancor più necessari concreti
aiuti internazionali.
È altrettanto evidente però che più la
situazione peggiora, più diventa difficile realizzare progetti di sostegno e inviare aiuti.
Difficile, perché i bisogni sono enormi,
perché i blocchi, le chiusure, le intimidazioni dell’esercito israeliano impediscono incontri e contatti, perché Israele
non fa entrare merci (medicinali, derrate alimentari, strumenti) se non a suo
arbitrio e dopo interminabili attese, perché le Banche si rifiutano di “far girare”
soldi destinati ai Palestinesi per timore
di incorrere in sanzioni internazionali.
E poi, in un paese dove si muore per
mancanza di medicine salvavita e di
cure e dove tra un po’ si potrà morire di
fame o di sete (qualche morto c’è già
stato tra le centinaia di palestinesi che
tentavano di rientrare a Gaza dall’Egitto
attraverso il valico di Rafah e che sono
stati bloccati per giorni e giorni alla
frontiera, accampati alla meglio nel deserto) con quale cuore si può pensare a
realizzare progetti che guardano al futuro? A costruire occasioni di crescita e
sviluppo?
6 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006
Eppure è di questo che i Palestinesi
hanno bisogno, per preservare la loro
dignità, per resistere all’occupazione,
per non perdere la speranza nel futuro e
continuare a credere in una pace possibile. E ne hanno bisogno adesso. In
attesa che la diplomazia internazionale
si decida finalmente ad intervenire, sono
le “piccole”azioni solidali, frutto dell’impegno personale di chi nel mondo
vuole essere vicino al dramma di questo
popolo, che possono contribuire a rompere l’isolamento e a mantenere viva la
speranza.
Fra tutte le cose che potrebbero essere
fatte me ne vengono in mente un paio,
diverse fra di loro, ma accomunate dal
fatto di essere rivolte ai bambini che
rappresentano per eccellenza il futuro di
un popolo.
Il Centro di Riabilitazione di
Ramallah
Quando l’anno scorso il Presidente della Mezza Luna Rossa Palestinese è stato
ospite di Reggio Emilia (e dell’Anpi)
aveva presentato la richiesta di supporto
per il Centro di Riabilitazione dei bambini con problemi dell’udito e del linguaggio a Ramallah.
Durante il nostro viaggio in Palestina di
qualche mese fa abbiamo visitato il Centro, abbiamo raccolto informazioni e
documentazione.
A Reggio ne abbiamo parlato con la
dr.ssa Martini, direttore generale
dell’Usl di Reggio e con professionisti
esperti del problema.
Alla luce di queste acquisizioni un
intervento a favore di questo centro potrebbe articolarsi in:
Un’immagine dell’Asilo di Seilat.
A - Collaborazione scientifica
• Formazione (sia in loco che in Italia)
• Stages
• Consulenze
• Confronto di esperienze
• Strumentario (sostituzione di strumenti
obsoleti, manutenzione, forniture)
B – Adozione di una classe della scuola
speciale del centro
Fin dalla fine degli anni ’90 il Centro si
è dotato di una Scuola Materna e di una
Scuola elementare nelle quali i bambini,
attraverso programmi ed attrezzature
speciali possono essere riabilitati e seguire un corso di studi “regolare”. Alla
Scuola è annesso un Convitto dove alcuni bambini possono risiedere durante
la settimana. Il Convitto non era inizialmente previsto, ma si è reso necessario
per le gravi difficoltà di spostamento dei
bambini che vivono fuori Ramallah. I
check points, le frequenti e improvvise
chiusure del territorio da parte degli
israeliani, le incursioni dell’esercito israeliano rendono pericoloso e spesso impossibile qualsiasi spostamento.
Per quanto riguarda la Scuola, vi è la
necessità di aumentare il numero delle
classi; si potrebbe dunque pensare alla
“adozione” di una nuova classe nelle
forme che i Responsabili del Centro
riterranno più opportune (arredi, attrezzature speciali, materiale didattico…).
L’Asilo di Seilat
Seilat è un villaggio di circa seimila
abitanti nella Provincia di Jenin. La sua
economia si basava sull’agricoltura (20
percento), su piccole imprese artigianali e commerciali (30 percento) e per il
resto sul lavoro in Israele. Negli ultimi
anni questa importante risorsa si è completamente azzerata perché Israele non
concede più permessi lavorativi ai
Palestinesi.
A Seilat abbiamo incontrato Taman,
una piccola donna testarda e coraggiosa
che, oltre ad essere consigliera comunale, è la Responsabile del Centro Donne
del villaggio.
A Seilat Taman ci ha fatto visitare l’Asilo che è stato realizzato alcuni anni fa
dal Centro Donne, grazie anche agli
aiuti delle Donne in Nero italiane, e che
riesce ad accogliere una novantina di
bambini in età prescolare.
L’asilo è piccolo, disadorno. A noi che
veniamo da Reggio Emilia (“le scuole
più belle del mondo”) il cuore si stringe
un po’.
Grazie all’asilo, qualche mamma ha
potuto dedicare parte del suo tempo a
piccole imprese lavorative, unica fonte
di sussistenza, a volte, per le famiglie.
Sempre grazie all’asilo, 5 ragazze
diplomate hanno potuto ottenere il posto di maestre e ricevere un modestissimo stipendio. Per consentire questo e
per garantire la vita quotidiana dell’asilo i genitori dei bambini pagano una
piccola retta mensile.
Taman era orgogliosa dei risultati raggiunti, ma la situazione, invece di migliorare, si fa sempre più pesante. L’occupazione israeliana non allenta la sua morsa,
anzi. È sempre più difficile trovare un
lavoro, ricevere aiuti, sopravvivere.
L’asilo ha subito dei danni, le linee
telefoniche sono state tagliate, la struttura si deteriora se non si eseguono
lavori di manutenzione e di parziale
ristrutturazione. C’è bisogno di materiale didattico, di giochi; c’è bisogno di
garantire una mensa ai circa 90 bambini
che lo frequentano.
Abbiamo promesso a Taman che ci saremmo ricordati di Seilat al nostro ritorno in Italia.
Le donne
I “Centri donne”, diffusi un po’ in tutti i
Territori occupati, sono dei Comitati
locali di assistenza socio sanitaria sostenuti dal Medical Relief, Ong
palestinese il cui presidente è il dr.
Mustafa Barghouti.
La loro filosofia si incentra sull’idea di
società civile, quale soggetto ricco di
valori ed energie da mobilitare e valorizzare per garantire la crescita democratica del Paese.
Le donne che hanno voluto questi Centri e che con determinazione ne sostengono lo sviluppo e le attività sono l’
incarnazione (emblema…simbolo…)
della Resistenza palestinese. Molte di
loro hanno subito il carcere israeliano,
arrestate senza ragione o semplicemente perché parenti di persone “sospette”;
alcune portano i segni delle percosse e
dei maltrattamenti subiti durante la detenzione. I loro uomini sono stati feriti,
uccisi, imprigionati o costretti a vivere
nascosti; quando gli è “andata bene”
hanno comunque perso il lavoro. Queste donne si sono fatte carico di preservare e anzi di migliorare il tessuto sociale palestinese, sviluppando fitte reti di
solidarietà, creando opportunità
educative e di lavoro, sostenendo giorno dopo giorno il diritto alla libertà.
Daniela Lorenzoni
L’ANPI di Reggio Emilia
per i bambini Palestinesi
Nell’ultimo Congresso Provinciale è stata lanciata una campagna di solidarietà
per il Popolo Palestinese rivolta al futuro di ogni popolo: i bambini.
L’intervento si concentra sulle loro necessità quotidiane e sulle esigenze di
riabilitazione.; la visita in Palestina di alcuni medici ha consentito di individuare obiettivi specifici e realizzabili in tempi brevi.
Il Presidente della Mezza Luna Rossa Palestinese ospite dell’Anpi.
L’ASILO DI SEILAT
Seilat è un villaggio di circa 6.000 abitanti nella Provincia di Jenin.
A Seilat c’è un Asilo realizzato dal Centro Donne del villaggio. L’asilo è
piccolo, disadorno e lo frequentano circa 90 bambini.
A noi che viviamo a Reggio Emilia (“le scuole più belle del mondo”) il cuore
si stringe un po’.
L’asilo ha subito danni, le linee telefoniche sono state tagliate e la struttura si
deteriora se non sarà possibile eseguire lavori di manutenzione e di parziale
ristrutturazione.
C’è bisogno di materiale didattico, di giochi, di garantire una mensa ai bambini
che lo frequentano: c’è bisogno di un gesto concreto di solidarietà
In attesa che la diplomazia internazionale intervenga efficacemente, sono le
“piccole”azioni solidali, frutto dell’impegno personale di chi nel mondo vuole
essere vicino al dramma di questo popolo, che possono contribuire a mantenere
viva la speranza. di pace.
Foto del Centro di riabilitazione per bambini
con problemi dell’udito e del linguaggio.
Versamenti sul c.c.b. Anpi - RE n. 11819 - Abi 5437 - Cab 12811,
causale: “pro asilo di Seilat - Palestina”.
NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 7
È in gioco il futuro di Israele!
Nota: Ho scritto queste righe ai primi
di agosto. Non so che cosa succederà
da adesso al momento in cui verrà
pubblicato l’articolo. La guerra continua e aggiunge morti e distruzioni
giorno dopo giorno. Mi auguro che
l’Europa, l’Onu, la Comunità Internazionale, riescano a porre fine a questa
follia. Mi auguro che finalmente si
riesca a dare agli eventi il loro giusto
nome e se i razzi sparati da Hezbollah
sul Nord di Israele vengono chiamati
“atti terroristici” mi chiedo se le violenze che Israele ha fatto in Libano
contro popolazioni civili in questi giorni non siano da considerarsi a loro
volta non solo atti terroristici, ma veri
e propri “crimini di guerra”. (d.l.)
Questo è il titolo di un articolo di Michel
Warschawski, comparso il primo agosto
sul sito internet di Aic (Alternative
Information Center), associazione pacifista israelo-palestinese.
Warschawski è un ebreo israeliano, scrittore e giornalista, pacifista, fermo oppositore dell’occupazione israeliana della Palestina, autore di lucide e inquietanti analisi sulla società israeliana (si veda il suo
libro A precipizio ed. Bollati Boringhieri).
Conoscendo il pensiero dell’autore, non
possono esservi dubbi (e la lettura dell’articolo lo conferma) che ciò che mette a
rischio il futuro di Israele non sono i missili di Hezbollah, né la vittoria di Hamas
alle elezioni politiche palestinesi, né le
dichiarazioni del Presidente Iraniano
Ahmedinejad. Ciò che mette a rischio Israele è la sua stessa politica. Una politica che
vede come unica scelta possibile l’opzione militare e che fa dire al Ministro della
giustizia israeliano Haim Pamort (Ha’aretz
28 luglio 2006): “Dobbiamo ridurre in
polvere i villaggi del Sud… Non capisco
come possa ancora esserci l’elettricità in
quei posti…”.
Scrive Warschawski:
“Ciò che l’opinione pubblica di Israele
non capisce sono le drammatiche implicazioni della sua politica sulla sua stessa
esistenza come Stato nel cuore del mondo
Arabo e Musulmano. Con la sua illimitata
brutalità e la retorica e strategia dello ‘scontro di civiltà ’ lo Stato di Israele sta dimostrando ai popoli della regione che è, e
vuole rimanere, un corpo estraneo ed ostile nel Medio Oriente, nient’altro che il
braccio armato degli Stati Uniti nella loro
crociata antimusulmana del 21° secolo.
L’odio generato dai bombardamenti di
Beirut, con la distruzione delle infrastrutture libanesi, le centinaia di civili uccisi, le
centinaia di migliaia di profughi, la politica della terra bruciata, è immenso…
Olmert, Peretz e Haluz sono i leaders più
8 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006
pericolosi ed irresponsabili che Israele
abbia mai avuto; giocano con un fuoco che
potrebbe distruggere realmente la nostra
esistenza nazionale in Medio Oriente.
Sulle deboli spalle dello sparuto movimento pacifista israeliano grava non soltanto la sorte attuale della nazione e la
decenza morale della nostra società, ma il
futuro stesso dei nostri bambini. ‘Rifiutiamo di essere nemici’ è uno degli slogan
delle nostre manifestazioni in piazza. Mai
slogan è stato più importante, più urgente
e più essenziale di questo”.
Si potrebbe pensare che, poiché
Warschawski appartiene a quello “sparuto
gruppo” di oppositori alla guerra, egli non
esprima il sentire diffuso nella maggioranza degli israeliani.
Questo è fuori di dubbio. In quegli stessi
giorni di fine luglio/primi di agosto, solo
10 deputati della Knesset (su 120) erano
apertamente contro la guerra nel Libano
ed il 90 percento degli israeliani si pronunciava a favore della politica del Governo.
Ce lo hanno scritto anche alcune donne
israeliane, raccontandoci della loro coraggiosa manifestazione contro la guerra e
degli insulti ricevuti dai passanti.
Si tratta dunque soltanto della posizione di
alcuni pacifisti “radicali”? No, se anche
Meron Benvenisti, opinionista del giornale “liberale” Ha’aretz, ancora prima della
strage di Cana, che ha fatto inorridire il
mondo senza peraltro renderlo loquace,
scrive in un articolo del 26 luglio:
“Nessuno è in grado di predire quando
l’opposizione alla guerra e allo spargimento di sangue, da atto di tradimento si
trasformerà in una posizione legittima e
persino corretta, quando una condanna
morale dei malefici effetti della guerra
diventerà accettabile da un punto di vista
“patriottico” (mie le virgolette) e quando
slogan quali ‘sradicare il terrorismo’, ‘una
guerra per le nostre case’, ‘una lotta per la
sopravvivenza’ e cose simili non saranno
più roboanti grida di guerra ma vuota retorica… presto (tuttavia) ogni cosa tornerà
come era prima, a parte coloro che hanno
perso la vita. Ma chi avrà perso più di tutti
sarà il Popolo Israeliano che, attraverso una
smisurata reazione ad una provocazione, ha
dimostrato la sua posizione di elemento
estraneo alla regione, di confinante prepotente, oggetto di odio impotente”.
Anche Sandro Viola, sulla Repubblica del
1/8/06 scrive di “paura per Israele” proponendo più o meno, anche se con maggior
cautela, le stesse argomentazioni; e ancor
prima Luciana Castellina, sul Manifesto,
parlava di “solitudine di Israele”.
Gli “amici” di Israele sono scesi in piazza
contro le minacce portate allo Stato ebraico, hanno giustificato aggressioni, distruzioni e massacri in nome della “legittima
difesa”, hanno condiviso la cieca furia
guerrafondaia dei Governanti di Tel Aviv
e di Washington. In un certo senso avevano ragione. Israele ha un grande bisogno di
essere difeso. Ne ha bisogno il suo Popolo.
Ma i veri amici di Israele sono quelli che
hanno capito che Israele deve essere difeso da se stesso.
E allora possiamo scendere in piazza anche noi, noi che siamo costantemente
tacciati di antisemitismo quando osiamo
tentare di dire qualche verità. Possiamo e
dobbiamo scendere in piazza “per Israele”, l’Israele degli obiettori di coscienza,
quelli che rifiutano di combattere nei territori palestinesi e, oggi, nel Libano aggredito, l’Israele delle Donne contro la guerra, dei Warschawski, degli Halper, degli
Avneri, della gente che vuole vivere in
pace, non l’Israele dei Sharon, dei Netaniau,
degli Olmert… (d.l.)
Chi è amico di Israele?
A cavallo dei giorni di ferragosto se ne
sono lette e sentite di tutti i colori, nel
quadro delle polemiche interne tra centro
destra e centro sinistra, circa il tasso di
amicizia, o di inimicizia, con lo Stato di
Israele, con sconfinamenti in accuse, da
destra ma anche da qualche esponente
della comunità ebraica romana, di
antisemitismo a carico di Massimo
D’Alema. In quest’ultimo caso per la ormai famosa “passeggiata” del ministro
degli esteri italiano tra le rovine di Beirut,
il 14 agosto, “a braccetto” con Fauzi Salluk,
suo omologo libanese, e Hussein Haji
Hassan, deputato libanese appartenente ad
Hezbollah. Un D’Alema dall’aria tesa, in
mezzo alle tragiche rovine di Beirut, è in
realtà quasi trascinato, o sostenuto, dai
due, mentre tra le macerie gente disperata
sta ancora frugando alla ricerca di superstiti, o di cadaveri da recuperare. E d’altra
parte D’Alema era in missione tra Libano,
Egitto e Israele, per favorire una tregua
alla disgraziata guerra scattata in seguito
alle provocazioni di Hezbollah contro Israele. E dunque doveva parlare con tutti, a
tutti stringere la mano, a nessuno rifiutando di essere preso sottobraccio, in nome di
un obbiettivo di sia pur temporanea
pacificazione.
Ma da destra, per tacciare D’Alema di
animus anti-israeliano, si è cucito assieme
la foto della passeggiata (che poi era un
tragica ricognizione tra luoghi di dolore),
con le dichiarazioni dello stesso D’Alema
all’inizio della reazione israeliana, considerata “non proporzionata”, alle provocazioni di Hezbollah.
Ma anche in quella circostanza, e con quel
giudizio, risulta ben chiaro, a chi voglia
ragionare con animo sereno, che lo scopo
era, ancora una volta, di “equivicinanza”
Ecco l’immagine della famosa “passeggiata” di D’Alema tra le rovine di Beirut.
tra due parti bisognose di essere aiutate (o
persuase, o indotte) a compiere scelte di
pace. Da un lato D’Alema era da subito
chiaramente e dolorosamente colpito dalla
distruzione di tante vite umane che i bombardamenti israeliani stavano provocando, dall’altro si faceva carico dell’isolamento in cui Israele rischiava di cadere per
la durezza della sua reazione, e dalla crescita di consenso (che poi in effetti ci fu)
verso il movimento estremista di Hezbollah
tra la popolazione libanese ed anche tra i
paesi arabi “moderati”.
Dunque seria preoccupazione per la dissipazione di vite umane tra la popolazione libanese, ma anche per il male che lo stato di
Israele stava facendo a se stesso con una
reazione puramente e assai duramente bellica.
E i veri amici di Israele sono quelli che
sanno anche segnalare gli errori che lo
stato ebraico commette.
I finti amici, a partire dai post-fascisti di
Alleanza nazionale, sono quelli che si agitano freneticamente a difendere ogni atto
di Israele perché hanno molto da farsi
perdonare (o da cancellare) per rifarsi una
verginità assai dubbia.
Infine sulla nozione di “equivicinanza”, da
noi sostenute su questa pagine già da molto
tempo e dalla solita destra considerata “equivoca”, ne ribadiamo qui la validità.
A suo tempo ne accennammo circa il rapporto nostro, di democratici italiani ed
europei, con le due parti in contrasto sul
territorio dell’antica Terra santa. Vicini ai
Palestinesi, ed al loro diritto ad avere uno
Stato, vicini ugualmente al popolo di Israele, ed al suo diritto a vivere in pace entro
confini sicuri. Due popoli, due stati. Non
ci stancheremo di ripeterlo. Come non ci si
deve stancare di denunciare con forza la
repellente follia dei proclami dell’iraniano
Ahmadinejad incitanti alla cancellazione
di Israele (a.z.).
Un blindato dell’Unifil entra a Naqura, in Libano.
NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 9
I tristi strascichi della guerra
Tornano le rondini
I giorni si susseguono l’un
dopo l’altro... e nella piccola casa
posta ai limiti del villaggio
regna un triste silenzio.
Là vivono un padre e una madre,
il cui figlio non è più tornato
da una guerra combattuta lontano
in paesi di cui essi non sapevano
nemmeno l’esistenza, lasciando ora
un grande vuoto nel loro cuore.
Ma ecco che al giungere della primavera
le rondini tornano di nuovo a garrire
Sfogliando le pagine di una vecchia rivista letteraria kirghiza del periodo sovietico, mi è capitato di leggere una poesia di
Anataj Omurkanov, intitolata Tornano le
rondini, dove si dice della disperata solitudine di due anziani genitori kirghizi che
hanno perso il loro unico figlio, nell’immane e sanguinosa seconda guerra mondiale. L’unica consolazione rimasta loro era
quando ad ogni primavera le garrule rondini tornavano al nido che stava sotto il tetto
di casa venendo in tal modo a colmare con
la loro gioiosa vivacità l’immane vuoto
che la morte del giovine figlio aveva lasciato nel cuore dei due anziani genitori.
La storia di questi due anonimi genitori
kirghizi, chiusi nella loro disperata solitudine, per il loro figlio perduto in una
lontana terra straniera, porta alla mente la
visuale di quei giovani soldati “mongoli”,
facenti parte della famosa divisione
“Turkestan” (infatti questa più che da
mongoli era costituita da turchi mongolizzati, specialmente da kirghizi e
Kazachi), i cui reparti furono usati dai
tedeschi per reprimere la guerriglia partigiana nell’Italia Settentrionale.
Che il figlio dei due poveri genitori kirghizi
menzionati nella poesia facesse parte anch’egli a questi reparti “mongoli”, purtroppo resisi invisi per le violenze e le
atrocità compiute contro anche l’inerme
popolazione italiana?
Colpe che questi hanno pagato poi duramente, spesso con la morte, e forse anche
più dei loro feroci padroni tedeschi. Ma il
destino finale avuto da questi giovani
dagli occhi obliqui, poco o nulla è stato
detto, quindi per la maggior parte di essi,
il loro ricordo è rimasto vivo solo in
coloro che stanno laggiù nelle lontane
steppe asiatiche, come appunto lo sono i
due genitori menzionati nella suddetta
poesia.
Riccardo Bertani
10 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006
nel nido che stava sotto il tetto
della casa di quei due anziani genitori.
Nel sentire quel gioioso garrire
lo stanco cuore dei due vecchi
si rivivifica, come fa l’erba sotto
il caldo sole di primavera.
Ed immensa era la loro gioia
nel vedere quando i piccoli delle rondini,
lasciavano il nido per librarsi
felici nel limpido cielo azzurro;
perché la spensierata vivacità
di quei piccoli uccelli ricordava ad essi
quella del giovane figlio perduto.
Ma quando al giungere del freddo
autunno, le rondini ripartivano
verso i lontani paesi del sole,
ecco allora i due vecchi tornare
nella loro triste solitudine.
Tornate presto garrule rondini,
perché solo voi ora potete colmare
l’immenso vuoto che la guerra,
ha lasciato nel cuore di questi
due poveri vecchi.
di Anataj Omurkanov (poeta kirghizo)
(traduzione di Riccardo Bertani)
La steppa dei kirghizi. Linoleografia di K. Dzolocnev.
ˇ
Mattino nella steppa dei kirghizi. Linoleografia di K. Dzolocnev.
ˇ
Mondiali Antirazzisti 2006
Dieci anni di dialogo e lotta al razzismo
Cinque giorni di festa che hanno visto la partecipazione complessiva di oltre 7.000 persone provenienti da tutte le parti d’Europa
e in rappresentanza di 40 nazioni del mondo. Seicenticinquanta
incontri sportivi, fra calcio, basket, pallavolo e cricket. Un centinaio di iniziative culturali fra mostre, dibattiti, proiezioni cinematografiche, workshop, incontri, concerti, happening ed esibizioni,
organizzati anche dai partecipanti. Questi gli strabilianti numeri
fatti segnare dai Mondiali Antirazzisti 2006, tenutisi al Parco
Enza di Montecchio (RE) dal 12 al 16 luglio. Partiti 10 anni fa con
l’idea di base che le diversità producono arricchimento, fertilità
nel confronto e nella conoscenza, l’evento è oggi diventato un
importante appuntamento contro il razzismo.
La manifestazione è organizzata da Istoreco di Reggio Emilia e
dal Progetto Ultrà-Uisp Emilia-Romagna, in collaborazione con
la Rete Fare (Football Against Racism in Europe). Con il sostegno, tra gli altri, della Regione Emilia-Romagna, Provincia di
Reggio Emilia, Sportenza, Comune di Montecchio. Hanno contribuito inoltre a quest’edizione Enìa, Cgil di Reggio Emilia,
Coopsette, Coop Nordest, Commercio Equo e Solidale, Cisl
Emilia-Romagna e altri.
Fra i numerosi premi assegnati in quest’edizione ricordiamo il
trofeo più importante, ovvero la Coppa Mondiali Antirazzisti,
andata al gruppo Republica Internationale di Leeds che organizza
un torneo simile al nostro ed è costantemente impegnata in attività
a carattere sociale.
Fin dall’inizio i Mondiali Antirazzisti hanno lavorato per il
coinvolgimento diretto e la contaminazione di realtà che spesso
nei media e nel dialogo istituzionale vengono vissuti come
contrastanti e contraddittorie: i gruppi ultrà, etichettati come
violenti e razzisti, e le comunità di immigrati, spesso considerate
unicamente fonte di criminalità.
Grande impegno come ogni anno nel sostenere progetti di carattere sociale, di sottolineare tematiche importanti come il sostegno
ai prodotti fair trade (si gioca infatti con palloni etici, non cuciti
da bambini) o come l’attenzione nei confronti dell’ambiente,
diventando, a partire da tre anni fa, Ecofesta, che ci ha fatto segnare cifre da record nello smaltimento e nel riciclo dei rifiuti.
Ma anche la Resistenza è stata protagonista, quest’anno più che
mai, ai Mondiali Antirazzisti, occupando diversi momenti della
festa con il coinvolgimento di molti partecipanti, a partire dalla
mostra “Propaganda razzista? Io non ci casco!”, realizzata da
I vincitori del torneo di calcio mentre alzano la coppa.
Incontro con i partigiani.
studenti e grafici professionisti che hanno creato 10 manifesti in
seguito al Viaggio della Memoria 2006 a Berlino, e allestita nella
piazza del Municipio di Montecchio.
E ancora, presso il nuovissimo spazio cinema della festa, la
proiezione con traduzione multi-lingue dei film La liberazione di
Reggio Emilia, pellicola del 1945, Guerrilleros, Maquisards,
Partigiani, video-documento realizzato dall’Istituto Parri di Bologna, Sentieri partigiani 2005, sull’omonimo progetto d’Istoreco,
e andato in onda sulla prestigiosa rete satellitare RAI news24.
Claudio Silingardi, direttore dell’Istituto storico della Resistenza
di Modena ha tenuto poi, di fronte a una giovane platea proveniente da diversi paesi del Mondo una lezione sulla Resistenza, dal
titolo calzante di Partigiani in Europa. E non poteva mancare,
anche per questa edizione, l’ormai consolidato e atteso appuntamento con una di quelle persone che in prima persona parteciparono alla Resistenza, portando il proprio contributo alla lotta
contro il nazi-fascismo. Quest’anno, ospite delle Testimonianze
partigiane, Ultimio Pagani di Montefiorino, che ha letteralmente
commosso e affascinato l’affollatissimo spazio dedicato. Molte
le domande, le curiosità, i ringraziamenti per il contributo esemplare di lotta per la libertà.
Dieci anni di lotta al razzismo con la consapevolezza che i
Mondiali Antirazzisti sono diventati un luogo e un evento dove
sperimentare e dare vita nel concreto a dialogo, idee, pratiche di
libertà, assieme a tantissime diverse realtà provenienti da ogni
angolo del Mondo.
Ringraziando i partecipanti e tutti coloro che hanno contribuito
all’ottima realizzazione della manifestazione diamo a tutti appuntamento al 2007!
Fabio Dolci
(Istoreco Esteri)
La festa al Parco Enza di Montecchio.
NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 11
Spagna 1936-2006
Ricordo della guerra civile
e rischi di eccesso di memoria
Sul numero precedente abbiamo avviato il
discorso sul “recupero di memoria storica” in atto nella Spagna di Zapatero, nel
70° anniversario dell’inizio della guerra
civile, e dopo una lunga rimozione. Abbiamo segnalato come lo stesso Zapatero indichi negli ideali e nell’eroica e sfortunata
lotta della Repubblica contro il franchismo
sostenuto da Hitler e da Mussolini le radici
dell’attuale democrazia spagnola e del
complesso moto di rinnovamento in atto
nel Paese iberico.
Accennavamo anche, sinteticamente, alle
iniziative culturali in atto in Spagna in
tema di riflessione sulla memoria della
Guerra civile 1936-1939. Merita darne ora
conto con qualche accenno più puntuale.
Per esempio il 26 giugno (apprendiamo
dal quotidiano “El Pais”), nel quadro del
ciclo di trasmissioni “El laberinto español”,
la 2a rete TV ha trasmesso il documentario
“Volontari da leggenda”, come omaggio
ai volontari delle Brigate internazionali
accorsi in aiuto della Repubblica spagnola. Si è trattato delle testimonianze dei
dodici unici superstiti dei 2800 volontari
statunitensi che furono inquadrati nella
“Brigata Abramo Lincoln”. Di quei 2800
circa la metà morì in terra di Spagna. I
sopravvissuti, rientrati negli Usa, furono
perseguitati durante la famigerata caccia
alle streghe promossa dal sen. Mac Carthy.
Il documentario intercalava alle testimonianze brani filmati tratti dagli archivi
della televisione spagnola e dagli archivi
dell’Associazione degli ex volontari
antifranchisti di New York. Il 7 aprile
2006 è stato trasmesso un dibattito tra
Manuel Requesca Gallego, professore di
storia dell’Università di Castiglia la
Mancha e direttore del Centro studi e documentazione delle Brigate internazionali, che proprio in quella regione, nella città
di Albacete, avevano avuto la sede del
Comando centrale, alla cui testa erano
l’italiano Luigi Longo e il francese André
Marty. Con Gallego, il prof. Remy
Shutelsky, della Sorbona, autore del libro
Novedad en el Frente, con cui “demistifica
il potere sovietico nelle file brigatiste”.
Trasmesso ancora dalla TV, ed era una prima
assoluta per la Spagna, il capolavoro del
grande documentarista olandese Joris Ivens,
Terra di Spagna, realizzato nel 1937 in collaborazione con Ernest Hemingway e girato
prevalentemente durante i combattimenti
nella Città universitaria, dove si difendeva
Madrid, e sul Fronte del fiume Jarama.
Il settimanale “Cambio 16”, dal canto suo,
sul numero del 12 giugno, in un servizio
12 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006
sulla Fiera madrilena del Libro, intervista
l’ispanista americano Ian Gibson, autore
del volume Libero de equipage, una biografia del grande poeta Antonio Machado, uno
degli autori, con Garcia Lorca, da riscoprire
e valorizzare, secondo Gibson, nel quadro
di “un recupero della memoria storica fondamentale per la salute di questo Paese che
per la prima volta [con Zapatero] conosce
una democrazia stabile, ciò che costituisce
un’autentica rivoluzione”. Da notare che
del libro di Gibson, in un solo mese dalla
sua pubblicazione in Spagna, ne sono state
vendute ben 40.000 copie.
Non manca però chi mette in guardia da un
“sovraccarico di memoria”, con tutti i rischi
che ne possono derivare. Così lo scrittore
Isaac Rosa, che su “El Pais” del 16 luglio
avverte che tra le molte iniziative, editoriali
e commemorative, che giudica buone e
positive, si debba registrare anche una
sovraproduzione di titoli riferiti alla guerra
civile e al franchismo dovuta a opportunismo di alcuni editori e autori i quali, per così
dire, cavalcano l’onda a scopi puramente
commerciali. La sovrapproduzione, insiste
Rosa, produce stordimento, indigestione e
il rischio conseguente di una prossima liquidazione del tema come se in questo anno
2006, proclamato appunto “Anno della
Memoria”, si dovesse concludere l’argomento e che poi “qualcuno dica: Basta
memoria per favore”. Un rischio, noteremo
di passaggio, che anche in Italia si è
ricorrentemente affacciato a proposito della resistenza antifascista.
In sostanza, pare suggerire Rosa, (e il
suggerimento vale anche per noi italiani) il
punto è di non eccedere una tantum nelle
rievocazioni – rischi di retorica compresi –
ma di avere il riferimento alle radici repubblicane e antifranchiste (antifasciste) della
moderna democrazia spagnola come una
Barcellona nei primi
tempi della guerra
civile. La scritta, in
lingua catalana,
dice: “Il grido di
guerra di Madrid
eroica risuona fino a
noi in Catalogna.
Non passeranno!”.
costante dell’operare politico e di una possibile educazione alla cittadinanza.
Il dibattito coinvolge naturalmente non
solo gli addetti ai lavori, come gli storici, ma anche semplici cittadini che scrivono le loro opinioni ai giornali. Così
Miguel Angel Herrero Fernandez, che in
una lettera a “El Pais” (18.07.06) si chiede perché “il Partito popolare, che è
considerato come la destra democratica
del Paese, si rifiuta di condannare il
regime [quello franchista,NdR] che pose
fine anche alla destra politica democratica repubblicana.
Sullo stesso quotidiano, la risposta alla
domanda di Herrero Fernandez viene indirettamente fornita da un cattolico che continua ad apprezzare il franchismo, il prof.
Jordi Gracia, docente di letteratura spagnola all’Università di Barcellona, il quale
nega apoditticamente che il regime di Franco fosse fascista e difende ad oltranza il
ruolo della chiesa spagnola durante e dopo
la guerra civile. Per difendere regime e
chiesa il professore sostiene che durante il
franchismo “non c’era censura, ma ragioni
di profonda igiene morale e il rispetto della
verità consigliavano di essere “estrictos en
ese asunto” (rigorosi su questo argomento), infatti, aggiunge l’ineffabile professore “chi avrebbe desiderato vedere un proprio figlio a contatto con l’ateismo, il
marxismo o la “aspera razon sempre tan
desesperazadora” (“l’aspra ragione sempre tanto disperante”, nel senso del noto
“Emilia sazia e disperata”, NdR)”.
Quanto ai massacri (ma Gracia non li chiama così) compiuti dal franchismo anche
dopo la fine della guerra “furono un prezzo
amaro che si dovette pagare per redimere
la Spagna”. Un Torquemada redivivo,
questo professor Gracia.
Antonio Zambonelli
Estate 1936. I primi dodici reggiani
volontari antifranchisti in Spagna
Settant’anni or sono, nell’estate 1936,
già alcuni reggiani erano in Spagna
come volontari per combattere a fianco dei repubblicani contro il golpe
fascistizzante che il generale Franco
aveva scatenato il 16 luglio, con l’appoggio di Hitler e Mussolini, contro il
governo di centro sinistra nato da libere elezioni nella primavera. Adelmo
Guidi, di Novellara, era già in Spagna
prima dello scatenarsi della guerra
civile. Arruolato nelle milizie popolari fin dal luglio, fu prima nel battaglione Meabe poi nel battaglione
Rusia. Operaio comunista, arrestato
nel 1921 assieme ad altri due compagni di Novellara per aver resistito con
la armi in pugno alla violenza
squadrista, subì varie persecuzioni che
lo indussero ad espatriare in Francia
poi in Belgio.
Egidio Martini, giovane socialista a
Montecchio, espatriò in Francia nel 1932
aderendo poi ai gruppi di lingua italiana
del Partito comunista francese. In Spagna dal febbraio 1936, fece parte del
plotone di cavalleria della XIV poi della
XV Brigata del V Corpo d’armata repubblicano.
Enrico Zambonini, l’anarchico di
Secchio di Villa Minozzo, che nel gennaio 1944 sarà fucilato dai fascisti con
don Pasquino Borghi e altri otto
antifascisti, era espatriato nel 1922 per
sottrarsi alle persecuzioni fasciste: esule
in Francia e in Belgio, lavorando come
Alberto Bartoli, detto “Moro”, in una istantanea del 1936, quando faceva parte del Battaglione “Garibaldi”.
Gilberto Carboni, nel settembre 1936 inquadrato nella centuria “Gastone Sozzi”.
minatore, fu attivo militante del movimento anarchico e già attorno al 1932 si
era recato in Spagna. Combattente nelle
milizie libertarie, ebbe anche ruoli politici e perfino di educatore in una colonia
per orfani.
Il 23 agosto 1936 un primo contingente
di italiani scese in campo sul fronte di
Huesca, nell’Aragona, inquadrato nella
Colonna “Ascaso”, di cui fu animatore
Carlo Rosselli. Al combattimento del 28
agosto, a Monte Pelato, partecipò anche
l’anarchico Camillo Berneri, che conserverà sempre un affettuoso ricordo di
uno dei suoi primi maestri reggiani,
Camillo Prampolini.
Nella Colonna “Ascaso”, prevalentemente costituita da anarchici ma anche
da socialisti e da aderenti a Giustizia e
Libertà e qualche comunista, in ottobre
furono inquadrati altri reggiani: Carlo
Vinsani, Umberto Ferrari, Lebo Piagnoli
e Ateo (o Alteo) Scorticati. Vinsani,
comunista, aveva avuto qualche notorietà negli anni venti come pugile. Espatriato nel 1930 in Francia, con la “Ascaso”
combatté sul fronte di Huesca. Più tardi
farà parte del battaglione “Garibaldi”.
Ferrari, bracciante di Scandiano, migrato a Parigi nel 1930, era entrato in contatto con ambienti anarchici. Piagnoli, falegname di Sant’Ilario, a Casablanca
(Marocco) dove si era recato nel 1930,
fu tra i fondatori del circolo antifascista
“Svago e Progresso”. Partì per la Spagna
con altri cinque compagni emiliani nell’agosto 1936.
Scorticati, giovane comunista di Rivalta,
nel 1930, assieme al resto della famiglia,
raggiunse in Francia il padre emigrato
nei primi anni venti.
Il 13 settembre 1936 ricevette il battesimo del fuoco la Centuria “Gastone Sozzi” formata quasi interamente da comunisti italiani ed inquadrata nella Colonna
“Llibertat”, organizzata dal Partito socialista unificato di Catalogna. Ne fanno
parte anche quattro reggiani: Alberto
Bartoli ed Angelo Curti, i quali erano
partiti insieme da Parigi entrando regolarmente in Spagna ma con nomi e passaporti spagnoli, nonché Gino Poli e
Gilberto Carboni.
Tutti e quattro militanti comunisti, erano
stati protagonisti delle lotte contro lo
squadrismo reggiano e delle vicende dell’emigrazione in Francia.
Curti, primo segretario della federazione comunista reggiana nel 1921, già
sottotenente del Genio durante la guerra
15-18 (e degradato per propaganda pacifista), fu ferito in combattimento nella
zona di Pelahustan, in prossimità della
frontiera portoghese, in settembre. Sullo
stesso fronte, e negli stessi giorni, in
prossimità di Real Cenicientos, veniva
ferito anche Poli.
Assai avventurosa la vita di Gilberto
Carboni, bracciante di Villarotta di
Luzzara, che cadrà eroicamente nel 1938
sul fronte dell’Ebro. La sua figura meriterà di essere rievocata per esteso in una
prossima occasione (a.z.)
Angelo Curti fotografato nell’estate 1972 nell’orto della sua casetta a Drancy.
NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 13
Noi e le Reggiane
Storie di lavoro e di politica
PRESENTAZIONE
di Mirto Bassoli segretario generale
CdLT di Reggio Emilia
Altre testimonianze, altri percorsi di memoria e di riflessione sulla propria esperienza da parte di lavoratori che hanno
vissuto le vicende del movimento operaio alle Officine Reggiane. Vicende che
hanno avuto un significato straordinario
nella storia del Novecento, a Reggio
Emilia e nella dimensione nazionale.
Questo nuovo volume, che fa seguito a
quelli opportunamente ricordati nello
scritto di Romeo Guarnieri, dimostra
che la ricerca intorno a questa storia è
lontana dall’aver esaurito il suo interesse e il suo valore. La trama collettiva
delle vite che vengono cambiate con
l’ingresso nella grande fabbrica, la realtà quotidiana del lavoro, la solidarietà e
le lotte, i successi e le sconfitte appaiono
sotto aspetti originali, mai scontati, con
i contributi che sono via via pubblicati.
Renato Ferraboschi, Simone Brega e
Mario Sulpizio hanno seguito strade diverse, dopo aver lavorato alle Officine
Reggiane.
Questa esperienza è tuttavia rimasta un
momento centrale e decisivo nella loro
vita e nella definizione del loro percorso
successivo.
A distanza di tanti anni, la memoria
torna con passione su quel periodo, ricostruisce situazioni ed avvenimenti, consegna al presente domande sulle quali
riflettere.
“È sempre stato difficile il ruolo del
sindacato di rappresentare il lavoro” dice
Guarnieri nella sua prefazione.
Condivido questo giudizio, che trova
conferma quando si guarda alla storia
vera e reale del movimento operaio e
non ci si lascia confondere dalle semplificazioni di comodo.
È un giudizio che si propone in modo
decisamente radicale nella condizione
odierna delle lavoratrici e dei lavoratori,
di fronte ai processi in atto e al modello
sociale che si è imposto.
Una realtà che svalorizza il lavoro, che
non lo considera come un criterio di
riferimento per le scelte economiche,
sociali e politiche che danno il segno allo
sviluppo.
Se un insegnamento viene dalla storia
dei lavoratori delle Officine Reggiane,
ci dice che questo modo di funzionare
della società non è un destino ineluttabile.
Insieme con la difesa della loro condizione concreta, insieme con il rifiuto
dell’alternativa tra disoccupazione ed
emigrazione (la sorte che colpì tanti di
loro, dopo la chiusura della fabbrica) era
questa la convinzione che animò la straordinaria occupazione delle Reggiane
del 1950-51.
In una situazione e in un contesto diversi, si ripropone il legame, fondamentale
per il sindacato, tra la capacità di rappresentare i lavoratori nella concreta condizione di lavoro e un progetto sociale che
dia espressione ed un orizzonte alle esigenze di cambiamento.
Come altri contributi, anche le memorie
qui pubblicate ci parlano di problemi e di
domande che interrogano ancora il presente.
Un ricordo doveroso e dolente va alla
memoria di Renato Ferraboschi, figura
tra le più significative del sindacalismo
e del movimento operaio reggiano, deceduto proprio mentre il presente volume sta andando in stampa.
Dove l’uomo separò la terra dalle acque
Con una locuzione destinata a diventare
famosa, Carlo Cattaneo definì l’Italia
padana una “patria artificiale”. Artificiale perché costituita dall’uomo in
duemilacinquecento anni di escavazione
di canali, erezione di argini, costruzione
di ponti per il transito umano e per quello
dell’acqua (le “botti”). Tra le regioni
italiane, l’Emilia Romagna è quella in
cui il confronto dell’uomo con le acque
è stato più impegnativo e più tragico,
consentendogli vittorie luminose, ma
anche inferendo sconfitte crudeli. La
storia di queste vittorie e sconfitte riconosce i propri protagonisti nelle migliaia
di uomini senza nome che hanno tracciato canali ed eretto argini, che ne controllano e ne regolano il flusso.
14 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006
L’immane lavoro delle moltitudini senza nome è stato comandato, nei secoli,
da principi e architetti, finanzieri e spregiudicati avventurieri: i primi attori della vicenda drammatica delle bonifiche
emiliane. Ora da consorzi che ordinatamente vigilano su questa feconda terra
di acque.
Antonio Saltini, è giornalista e divulgatore scientifico di letteratura agroalimentare, storico e scrittore. Frutto di queste
attività sono state, fra le molte cose, le
collaborazioni a “Terra e vita”, il settimanale agricolo diretto da Luigi Perdisa,
i quattro volumi della Storia delle scienze agrarie e il romanzo L’assedio della
Mrandola. Vita, guerra e amore al tempo di Pico e di Papa Giulio.
Donne in guerra, donne di pace:
libro e recital al Museo Cervi
vegno nazionale (ottobre 2004) che ha
portato a Reggio cinquanta storiche e storici a parlare di donne, guerra e politica e,
infine, con il convegno “Donne di guerra,
donne di pace”, nel corso del quale è stato
appunto presentato il volume curato da
Dianella Gagliani (docente di storia contemporanea all’Università di Bologna) e
del quale, insieme alla curatrice, hanno
parlato le storiche Anna Bravo, Rosanna
De Longis, Lucia Motti e Anna Scattino.
Suddiviso in tre grandi capitoli (“Guerra e
violenza”, “Resistenze” e “Patria/Patrie”),
il volume dell’Istituto Cervi propone il
risultato di studi che hanno indagato su
questioni ed esperienze territoriali diverse, e che per Reggio Emilia propongono il
tema dei “Gruppi di difesa delle donne fra
garibaldini e Fiamme Verdi”. “Un libro di
grande pregio – ha detto la presidente del
Consiglio regionale – che ci stimola a
riportare al centro del dibattito politico la
“Il segno della sofferenza unisce queste
storie tragiche e grandi al tempo stesso,
dalle quali sono nati tanti anni di pace; il
rileggerle non serve solo a comprendere
quale ruolo abbiano giocato nle donne per
la Liberazione e la costituzione della Repubblica, ma anche a far sì che oggi, in
tempi in cui di altre violenze ed esclusioni
sono oggetto, le donne acquisiscano maggiore identità e soggettività politica”.
Lo ha detto la presidente della Provincia di
Reggio Emilia, Sonia Masini, intervenendo al Museo Cervi alla presentazione del
libro “Guerra, Resistenza, politica. Storie
di donne”, quasi quattrocento pagine contenenti 35 saggi inediti di storiche italiane
proprio sul ruolo delle donne nella Resistenza e nella costituzione della Repubblica, quelle donne che, armate o disarmate,
“pagarono un prezzo altissimo – come ha
detto la presidente del Consiglio regionale, Monica Donini – per un futuro di democrazia e libertà e, seppure numericamente
poche tra i costituenti, certo incisero sulla
carta costituzionale nell’affermazione del
principio in cui l’Italia ripudia la guerra”.
Con la pubblicazione del ponderoso volume (edito da Aliberti), l’Istituto Alcide
Cervi – ha sottolineato il presidente Ugo
Benassi – ha concluso un lungo percorso
per le celebrazioni del 60° della Resistenza e della Liberazione; un cammino che ha
voluto appositamente mettere in rilevo il
contributo spesso sconosciuto o non riconosciuto che le donne hanno assicurato
alla costruzione di una pagina storica così
importante”. Questo percorso si è snodato
attraverso un convegno sulla figura di
Genoeffa Cocconi Cervi, poi con un con-
Le felicitazioni dell’Anpi
al presidente della Repubblica
questione femminile, che di quel confronto non può essere uno del tanti temi, soprattutto in una stagione in cui – proprio
come sessant’anni fa – i grandi problemi di
natura economica, sociale e culturale si
scaricano innanzi tutto sulle donne”.
Analisi e approfondimenti al mattino al
Museo Cervi, e nel pomeriggio testimonianze (Laura Mirka Polizzi,
vicepresidente nazionale dell’Anpi) e poi
grandi emozioni con il recital “Sebben che
siamo donne…” scritto e interpretato da
Ivana Monti con la partecipazione del coro
delle mondine di Novi di Modena diretto
da Giulia Contri. Un recital da donne per le
donne, che parte dal loro impegno in politica fin dal Risorgimento e da lì avanza
fino alla metà del secolo scorso, con la
voce e il canto struggente di Ivana Monti e
tanti canti della tradizione popolare proposti dalle mondine di Novi
Gino Belli
L’Anpi ha inviato un messaggio di
felicitazioni e di auguri al Presidente
Giorgio Napolitano il quale ha risposto
con il seguente telegramma indirizzato
al Presidente Giacomo Notari.
Ringrazio sentitamente per le cortesi
espressioni d’augurio rivoltemi in occasione della mia elezione e ricambio
un cordiale saluto.
Giorgio Napolitano
Mittente:
Segretariato Generale della Presidenza
della Repubblica
Palazzo del Quirinale
00187 Roma
NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 15
Tornare a Falcade
Sulle orme dello scultore partigiano Augusto Murer
A Falcade di Belluno c’ero stato da ragazzo nel luglio del 1963 e fu quello il mio
primo contatto con le Alpi, montagne che
fino ad allora avevo visto solo al cinema
e sulle cartoline in bianco e nero o colorate
come si coloravano allora. Il viaggio avvenne in corriera con tutta la comitiva dei
reggiani che avrebbero trascoso un turno
di due settimane secondo la norma di quegli anni nelle vacanze organizzate dalla
Camera del Lavoro. La corriera fece sosta
a Bassano presso quella lunga fila di alberi
sui quali erano stati impiccati i partigiani
rastrellati sul monte Grappa, quindi imboccò la valle del Cordevole ed infine,
risalendo il Biois, mi apparvero le cime del
Focobon. Soggiornai alla pensione
Negritella che era gestita dall’ Etli (Ente
Turistico Lavoratori Italiani) di Reggio
assaporando ingenuamente la meraviglia
dei luoghi e la diversità degli abitanti. La
pensione era frequentata da molti sindacalisti reggiani: Walter Marghignani, Ivano
Pezzarossi, Rosa Galeazzi, Giacconi,
Moscardini, al Mègher, Gabetto, Bléki e
tanti altri di Modena, Bologna, Ancona,
Roma ma non ricordo chi di loro scherzava
sulle somiglianze del testone coricato riconoscibile nelle ombre del profilo del
monte Mulaz. I reggiani al Negritella ci
andavano già da alcuni anni se nel 1960,
dopo i sanguinosi fatti del 7 Luglio, molti
di essi si precipitarono a Reggio interrompendo bruscamente la vacanza.
Bisognoso di fresco e di silenzio ci sono
ritornato solo quest’anno ed appena giunto mi sono assurdamente stupito nel constatare che il Focobon, come qui chiamano alcune delle pale di San Martino, con
la sua tazza innevata rinchiusa dalle guglie
circostanti, era ancora lì come nel 1963
assieme alle altre cime che nella loro
maestosità vegliano su Falcade. Una delle prime cose che ho fatto è stata la ricerca
della pensione Negritella ma in quarant’anni Falcade è cambiata ed è cresciuta nonostante i luoghi non siano stati
snaturati dalla edilizia come purtroppo è
avvenuto dalle nostre parti; non è stato
facile ritrovarla perchè è stata trasformata nella locale sede dell’ufficio postale.
Ho rivisto volentieri la fontana nella
piazzetta di Falcade Alto della quale conservavo il benevolo ricordo d’una colossale bevuta d’acqua fresca tornando da
una gita che passava per Somor. Lì vicino
non ho invece trovato un’osteria nella
quale avevamo passato una indimenticabile serata con gente del luogo. Scomparsa è anche la Casa Storica, che avevamo
visitato a Pié guidati da una anziana
16 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006
Le tre cime del Focobon ed il Mulaz dietro Falcade.
signora che ci raccontò di quando erano
ritornati gli austriaci dopo la rotta di
Caporetto ed alla quale, non ricordo chi,
forse Magnanini di Fabbrico, pagò per
noi ragazzi con una moneta d’argento da
500 lire.
Gli storici locali pare abbiano risolto la
controversa questione etimologica sul
nome del paese: non c’entrano i falchi ed
il castello Falcone posto a guardia della
valle non è mai esistito. Il toponimo deriverebbe dal “falciare” (localmente
Falcade si chiama Falciade) della
fienagione, attività basilare nella economia alpina. La prima antropizzazione risalirebbe attorno all’anno Mille indotta
dallo sfruttamento delle fittissime foreste
di abeti e di larici integrata in seguito
dalla attività mineraria che venne esercitata per secoli nell’Agordino. Il dialetto
parlato è un veneto molto particolare ma
dalla toponomastica: ciasa, falciade, trapela il substrato ladino che era ancora
diffuso nella valle del Biois alla fine dell’Ottocento.
Mentre a Reggio, nell’ultima settimana di
giugno, c’era un caldo torrido a Falcade
c’era freschissimo anzi spesso pioveva e
questo impediva di fare passeggiate nei
bellissimi boschi e nelle praterie dai colori
intensi. Addentrandomi nella valli laterali
del Biois, come quella di Gares che di sera
è particolarmente suggestiva, ho scoperto
che Canale d’Agordo è il paese natale di
Papa Luciani.
In una mattinata particolarmente uggiosa
ho visitato il locale museo dedicato ad
Augusto Murer, il celebre scultore di
Falcade deceduto nel 1985. Murer l’avevo
visto di persona nel 1963 alla pensione
Negritella che l’artista frequentava perché
lì c’erano dei sindacalisti reggiani suoi
amici i quali erano stati partigiani e con
loro si sentiva compreso ed in buona compagnia. Se ben ricordo la Resistenza a
Falcade era nel 1963 un argomento tabù
ma dopo sessant’ anni non sembra sopito il
pesante segno lasciato dal massacro perpetrato dai nazisti nella frazione di Caviola
nell’agosto del 1944, dalle vicende che ne
seguirono, dalle polemiche sui partigiani
rinfocolate nella prima metà degli anni
Cinquanta tratteggiate in una bibliografia
che prosegue col recentissimo libro Al di
là e al di qua del Piave. La mia impressione è che ancora il tutto covi nella memoria
di un paese in cui il centro destra raggiunge
il 65 percento e che fa fatica a raccogliersi
a Caviola attorno allo struggente monu-
Reggio Emilia 1974. Da sinistra: Augusto
Murer col figlio Franco, Ulisse Gilioli, Bagni,
Cesare Zavattini.
mento di Murer dedicato al caduto partigiano.
Il museo sorge ai margini della frazione di
Molino, all’inizio della via Tilman che lo
collega all’altopiano di Asiago in un ideale contatto con Rigoni Stern, ed è collocato
nell’ex laboratorio costruito secondo linee
architettoniche moderne e discontinue con
quelle tradizionali delle case alpine. Il
museo è stato visitato da numerosissimi
artisti e personalità tra le quali personaggi
leggendari come Sandro Pertini. La visita
al museo provoca delicate emozioni perché Murer ha saputo amalgamare i valori e
la centralità del lavoro e della Resistenza
con la sua opera fortemente legata alla
natura, al legno delle sue foreste, ad una
cultura piena di credenze pagane che,
come Carlo Levi ad Aliano, laicamente
inglobava e traduceva nella sua arte. Il
rapporto con la cultura contadina, coi minatori, la immedesimazione nel lavoro e
nella contemplazione della propria opera
artigiana diventano con Murer una proiezione artistica della Repubblica Democratica fondata sul lavoro e della sua Costituzione del 1948 e proprio nei giorni del
referendum, sotto l’effetto della vittoria
del NO, ho lasciato scritto sul diario dei
visitatori del museo: “come si fa ad essere
contro le idee di Augusto Murer?” quasi
per rimproverare Falcade, periferia di un
improbabile Lombardo-Veneto ridotto ad
una manciata di provincie, che al referendum aveva appena votato massicciamente
SI.
Interprete di una cultura locale ma non
folklorica che affonda le proprie radici nel
territorio come le piante nelle foreste tra
cui è nato e dove l’agitarsi del larice nel
vento ricorda la sofferenza dell’uomo dei
boschi, dove natura, tronchi, pietre ed uomini si confondono in un complesso ed
arcaico groviglio ispiratore dell’arte del
legno che oggi sembra affidata alla
ripetitività di bottegai attenti soprattutto al
portafoglio dei turisti, amico di Carlo Levi,
di Guttuso, di Zancanaro, di Rigoni Stern
che è autore di una commovente dedica
posta sui muri del museo e di tantissimi
altri, Murer era inserito nei massimi
cenacoli artistici e culturali ma l’ ex partigiano non lasciò mai Falcade e sulla sua
sepoltura, nel locale cimitero, domina una
statua da lui appositamente scolpita per la
sua tomba.
I Falcadini sono emigrati in varie parti del
mondo portando l’esperienza dell’attività
muratoria e mineraria (disegni sui minatori di Murer, che non era solo scultore,
verranno esposti nella mostra dedicata al
50° del disastro di Marcinelle) ma molti
sono stati sterminati dalle guerre mondiali
ed i loro principali cognomi compongono
una lunga lista di caduti sul cippo innalzato davanti alla chiesa nuova che conclude
Augusto Murer: il monumento dedicato al partigiano a Caviola.
con un accenno ai caduti partigiani elencati poi nella targa posta attorno al 1990 nel
parco comunale.
Falcade, crocevia delle valli di Fassa, del
Biois, del Cordevole e del Cismon è oggi
tipica meta turistica nel cuore delle Dolomiti. Abbiamo avuto la fortuna di dormire
in uno dei più vecchi alberghi nel cuore del
paese, dove si mangia benissimo ed abbiamo scherzato con la titolare sul fatto che ai
clienti proponeva il formaggio “Parmigiano” mentre noi, fedeli ambasciatori del
nostro grana, insistevamo affinchè lo chia-
masse “Parmigiano Reggiano”. Ma in
tutta la valle e nei suoi rifugi si mangia
molto bene: canederli, casunziei, ravioli di
vari tipi, capriolo con polenta e altro, una
cucina dolomitica ma con sue caratteristiche peculiari. Si beve poi ottimamente,
non dimentichiamo che siamo nel Veneto
e che il vino viene su dalla vicina Marca
Trevigiana. Un tocco finale di reggianità:
la Laccabue madre del pittore Antonio
Ligabue è originaria di Cencenighe, il
paese che chiude la valle del Biois.
Bruno Grulli
Narrazioni intorno a Filippo Re
Narrazioni intorno a Filippo Re - Ritratto poliedrico di uno scrittore scienziato, a cura di Gabriella Bonini e Antonio Canovi, Ed. Diabasis, Correggio,
Maggio 2006.
L’intento di questo libro (con annesso
Cd) è quello di restituire il senso di un
percorso pluridisciplinare e didattico
condotto assieme a una fitta rete di interlocutori e consulenti: segnatamente i
docenti e gli studenti di alcune scuole
superiori nella provincia di Reggio
Emilia, e le università di Modena e
Reggio Emilia e Bologna, intorno al
poliedrico studioso.
Le suggestioni a “mettersi in viaggio”
con Flipàz – come Filippo Re veniva
talvolta chiamato in tono canzonatorio
in famiglia – costituiscono una precisa
indicazione di lavoro. Lo “scrittore scienziato”, a due secoli di distanza, colpisce
particolarmente per lo sguardo olistico
che rivolge al paesaggio agrario italiano. In quel suo obliquo incedere dall’eternità dei testi classici al particulare
delle consuetudini locali, si ritrova una
posizione originale, meritoria di essere
ricordata e trasmessa.
Queste narrazioni intorno a Filippo Re
nascono con l’intento dichiarato di restituirne il ritratto non tanto al suo, quanto
al nostro tempo.
NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 17
Un romanzo che ci tuffa
nella storia sociale dell’Ottocento
NORMANNA ALBERTINI , Isabella, ed. Chimienti , Milano-Taranto, 2006
Alla sua seconda prova come romanziera, dopo Shemal, Albertini conferma le
sue doti di narratrice che unisce fantasia
creativa a recupero della dimensione storica, riuscendo ad intrecciare in modo
persuasivo e coinvolgente le vicende di
personaggi di pura fantasia a presenze
sorprendenti di personaggi storici reali,
diversi dei quali, dall’avventuriero Luigi Parmeggiani al patriota carbonaro
Franceschini, reggiani. All’interno di una
struttura consapevolmente recuperata dal
feuilleton francese di fine Ottocento,
l’Autrice trasmette al lettore la sua particolare sensibilità ai temi della libertà,
della giustizia sociale e, in particolare,
della condizione femminile.
Complicato sarebbe riassumere in questa sede la trama del romanzo, i cui
personaggi, storici e di fantasia, si muovono tra Parigi, Clermont Ferrand, la
Rubiera della decapitazione di don
Andreoli , la Milano di Bava Beccaris e
di don Albertario (che fa pensare a don
Pasquino Borghi) e “Casa degli Osti”,
nome di fantasia di un borgo ai piedi
della Pietra di Bismantova.
Da Casa degli Osti partono i fili della
complessa e coinvolgente vicenda, dipanandosi attraverso il tempo di circa un
secolo e lo spazio di mezza Europa. A
Casa degli Osti le varie trame si
ricompongono a cavallo tra XIX e XX
18 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006
secolo, con il convergere lassù, da varie
parti del mondo compresa l’America, di
una serie di personaggi le cui storie
personali hanno tutte, in vario modo, a
che fare con il personaggio che dà il
titolo al romanzo, Isabella appunto. Frutto di uno stupro, fanciulla sensibile e di
delicata bellezza, soltanto in questa fase
finale conoscerà la vera madre ed il
padre stupratore finalmente pentito.
Lungo tutta la storia, costellata di indizi
e false piste , un ritornello tiene desta
l’attenzione e la curiosità del lettore:
“Ainsi font, font, font/Les petites
marionettes,/Ainsi font, font,/Trois petits
tours et puis s’en vont…”.Un ritornello
che lega la Salpêtrière del celebre medico Charcot, dove la madre stuprata di
Isabella viene in qualche modo curata, e
la casa parigina di Leon y Escosura,
dove la stessa madre accosterà Luigi
Parmeggiani, fuggito da Reggio dopo
l’attentato a Camillo Prampolini.
Ecco, lo stupro,la violazione del corpo
femminile è uno dei filoni che percorrono il libro, dal quale esce come un dolente grido di protesta per secoli di oppressione della donna, soprattutto della donna povera, come per alcune delle tante
ragazzine del nostro Appennino andate
per serve in città. Un grido che trova
lucida espressione nella figura di Anna
Kuliscioff, che l’A. immagina aver a che
fare con Isabella ed essere capitata a
Reggio, e a casa degli Osti, prima ancora
di sapere che davvero la celebre rivoluzionaria russa dalle nostre parti era capitata davvero. Ma questo ha forse a che
fare con una certa identificazione dell’Autrice con le “streghe” (o pretese tali)
per secoli perseguitate in quanto dotate
di “saperi” o di sensibilità diversi da
quelli maschili, e tali da compromettere
la superiorità maschilista. Streghe che
sono anche protagoniste positive del romanzo, come “la Pagana” di Casa degli
Osti. Come la stessa Isabella, che in una
caso ha visioni di ciò che sta accadendo
o per accadere.
Intrigante poi il recupero, attraverso alcuni dei personaggi di rivoluzionari che
giocano un loro ruolo nel romanzo, delle
radici storiche degl’ideali di libertà e di
giustizia incarnati nelle figure di personaggi reali come Gracco Babeuf o Filippo Buonarroti. E siamo così alle sorgenti
dell’utopia comunista nell’Europa moderna. Ne scaturisce, nel complesso, una
sorta di proposta per un appassionante
dibattito sulla storia contemporanea, dal-
la Rivoluzione Francese alle lotte sociali
di fine Ottocento - inizio Novecento.
Con una intuizione, anche qui siamo
forse alla “magaria” di Normanna
Albertini, che ci fa compiere un balzo
all’indietro fino al grande Blaise Pascal,
citato un po’ misteriosamente dall’Autrice quando scrive che Giovannino, in
fuga dallo sfruttamento bestiale cui era
sottoposto a Saint Romain Le Puy per
tornare a Casa degli Osti, passa da
Clermont Ferrand e “non sa che […]è la
patria di un grande pensatore cattolico, il
quale sosteneva che l’uomo non deve
negare la sua meschinità ma deve saper
accogliere, limpidamente, la propria essenza e tutto ciò che essa racchiude”. Di
una intuizione “proto-comunista” di
Pascal, l’Autrice pare non essersi accorta, anche se in realtà ne anticipa il concetto dieci pagine prima quando cita il
“terzo grado” della iniziazione della Massoneria storica (e rivoluzionaria): “Tutto
ciò che c’è di sbagliato e di malvagio nel
mondo aveva origine nella divisione della
terra”.
Che è quasi la perfetta parafrasi dell’articolo VI, n.53 di un pensiero di Pascal:
«Mien, tien. – “Ce chien est à moi,
disoient ces pauvres enfans; c’est là ma
place au soleil”. Voilà le commencement
et l’image de l’usurpation de toute la
terre».
Che, tradotto dal francese seicentesco
suona: ««Mio, tuo» – «Questo cane è
mio, dicevano quei poveri ragazzi, questo è il mio posto al sole». Ecco l’inizio
e l’immagine dell’usurpazione di tutta la
terra»» (Pensées, ed. Mignot, pag.97).
Ulteriore indizio, con molti altri su cui
non possiamo qui soffermarci, che la
“tentazione comunista” (o egualitaria) dell’Autrice si nutre di succhi di un cristianesimo che ha in qualche modo a che fare
con la Teologia della liberazione.
Un libro davvero appassionante da leggere, questo della Albertini. E da discutere.
Antonio Zambonelli
Normanna Albertini è nata a Canossa
nel 1956. Insegnante, vive e lavora
nel comune di Castelnovo Monti, in
vista di quella Pietra che nel romanzo appare quasi come protagonista.
Impegnata in varie iniziative di pace
e solidarietà, scrive da anni per
“Tuttomontagna”.
Con questo libro è alla sua seconda
opera di carattere narrativo.
Che lo spirito di Zapatero sia con noi
Una riflessione sull’aria fresca che arriva dalla Spagna
È un’autentica boccata d’aria fresca leggere Zapatero. Il socialismo dei cittadini.
Intervista al premier spagnolo di Marco
Calami e Aldo Garzia (Feltrinelli, 2006).
Nelle parole del primo ministro spagnolo e
segretario del Psoe e in quelle di alcuni suoi
collaboratori e collaboratrici risulta, in negativo, ciò che manca alla sinistra italiana:
una chiara idea del futuro e la capacità,
quindi, di suscitare nella società energie
positive. Se Zapatero parla di “socialismo
dei cittadini”, ossia di “crescita dei diritti
dei cittadini”: “i diritti fanno più forte i
cittadini – spiega Zapatero – e rendono più
forte la società e la democrazia”, qui da noi
la voce dei leader della sinistra è sostanzialmente atona.
Zapatero, scrivono nell’introduzione i due
curatori, quando parla di «socialismo dei
cittadini”, sottolinea due temi centrali. “Il
primo: la necessità che la “sinistra moderna” superi i limiti storici della socialdemocrazia, la quale, “nell’ultima fase del Ventesimo secolo ha dimenticato, concentrando il suo progetto nell’economia e nel
settore pubblico statale, la società e il funzionamento democratico” […] Il secondo:
l’importanza di recuperare, adattandoli alla
situazione attuale, i valori “che stanno sulla
facciata principale dell’edificio politico costruito dalla rivoluzione francese” […]. I
nostri grandi obiettivi, sostiene il premier,
sono il “rinnovamento democratico e lo
sviluppo della cittadinanza”».
La storia della sinistra italiana, in primis
quella comunista, ma senza dimenticare
quella socialista decompostasi “tragicamente” nel delirio di potenza e di corruzione di
Craxi e di tanti suoi seguaci, ha perso
tempo prezioso nel cercare la quadratura
del cerchio, ossia rimanendo fedele a parole alla Rivoluzione d’ottobre mentre si
cimentava con le domande e le esigenze
della democrazia, che non ammettono scorciatoie. Il limite fondamentale del Pci è
nato dall’arroganza taumaturgica di credere che il solo esserci avrebbe cambiato sia
il funzionamento della burocrazia statale
sia quello della politica democristiana. Il
“flirt” con Rumor prima e con Andreotti
poi, alla metà dei Settanta, nasce essenzialmente da questa suicida presunzione. E
quando la storia del comunismo si è dissolta, gli stessi uomini che per anni hanno
sventolato la bandiera del socialismo sovietico hanno deciso di ammainarla. Che
andava bene. Ma il problema vero è che
avrebbero dovuto farsi da parte, invece,
hanno agito precludendo tanto il ricambio
quanto l’innesto di energie nuove. Hanno
agito come le più classiche delle élite,
hanno conservato il potere anche nella
nuova formazione politica.
La storia del partito comunista italiano,
almeno per quello emiliano, è una storia di
socialdemocrazia non voluta riconoscere –
con in più la presunzione di saper far meglio del Partito socialista quando questi
diede vita, insieme alla Dc, al centro-sinistra – che gli ha impedito di attraversare il
famoso guado finendovi, invece, annegato.
Oggi, quello stesso stato confusionale continua ad essere il filo rosso della loro (nostra) storia: dal comunismo al partito democratico. Con l’intermezzo altrettanto
della “Cosa”.
Io credo allora sia necessario riflettere su
una fase intermedia soprattutto per stimolare le fiacche energie che ruotano intorno
ai partiti del centro sinistra, in particolare,
penso, ai Ds, che continuano ad essere,
almeno per chi scrive, il punto di riferimento a sinistra come lo spirito unitario che
guida l’Anpi in tante sue prese di posizione, che si richiamano allo spirito costituente, dovrebbe ispirare il comportamento politico e morale dei partiti che rappresentano
il centrosinistra, Ds compresi.
Bisognerebbe avere il coraggio, allora, di
parlare se non di “socialismo dei cittadini”
di “piena attuazione delle norme costituzionali del ’48” che hanno avuto, con il
referendum confermativo del 25 e 26 giugno scorso, l’incredibile conferma della
loro attualità, ma soprattutto che continuano a essere vive nello spirito di milioni di
cittadini italiani, non certo definibili “reduci”.
Bisognerebbe avere il coraggio perché i
cittadini contino veramente nella vita dello Stato e nelle sue articolazioni territoriali,
preoccupandosi di allargarne i diritti di
cittadinanza. Contrastando, monopoli,
lobbies e privilegi di categoria, consentendo finalmente alla società italiana di essere
aperta e di permettere a chi è meritevole di
raggiungere i più alti gradi di studio e di
ambire a posti di direzione e di poterli
soprattutto ricoprire, indipendentemente
dallo status di partenza.
Certo, il partito democratico, che dovrebbe
nascere dalla confluenza di culture diverse,
è soggetto a compromessi, ma ciò che
dovrebbe unire è la consapevolezza che
solo la rottura di circoli chiusi dall’aria
viziata è la premessa del suo possibile
successo. Ma il problema è quello posto
sopra: sono sempre gli stessi, giovani o
vecchi che siano. Ci vorrebbe un bagno di
umiltà creativa. C’è un’idea della politica
troppo chiusa, riservata solo agli addetti ai
lavori, e invece dovrebbe potenzialmente
essere aperta a tutti. Moralità e sobrietà. Ci
vorrebbe la chiarezza sul fatto che il rispetto intelligente delle regole è quella “riforma protestante” che oggi, in un Paese frantumato nel particulare qual è il nostro,
darebbe il segnale che qualcosa sta cambiando.
Bisognerebbe avere il coraggio di intervenire sui costumi e la televisione è un obiettivo sensibile da tenere sotto controllo per
spezzare la sua potenza veicolante della
“cultura”, in senso generale e con tutta la
negatività attribuibile, berlusconiana. Si
cambia realmente quando si è in grado di
inserire elementi culturali diversi da quelli
esistenti.
Il problema non è, naturalmente, imitare
Zapatero ma capire quali possono essere le
corde da pizzicare perché i cittadini italiani
trovino ancora ragione nella politica e nell’appartenenza ad una società che solo attraverso la solidarietà può trovare un futuro
comune. (g.b.)
IL NOTIZIARIO ANPI
Periodico di politica,
storia, cultura
e informazione varia
LEGGETE E DIFFONDETE IL NOTIZIARIO ANPI
NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 19
Un’esperienza educativa nata
60 anni or sono per iniziativa dell’Anpi
Del convitto scuola “Luciano Fornaciari”
di Rivaltella abbiamo qua e là pubblicato
qualche accenno su questa rivista. Quella
straordinaria esperienza meriterà di essere ristudiata in modo approfondito anche
per l’importanza che ebbe nel quadro della Ricostruzione morale e materiale della
nostra provincia, e non solo.
Qui riproduciamo alcune pagine dell’ormai introvabile opuscolo “2 anni di attività dell’Anpi di Reggio Emilia”, pubblicato nel 1947 a cura di Didimo Ferrari, Eros.
Ritenuta indispensabile nel campo della
scuola una riforma sostanziale, considerata l’impossibilità, data la situazione in cui
si trovava il Paese allora, di raggiungerla
con una certa rapidità, vista la posizione in
cui venivano a trovarsi molti partigiani e
reduci privi di una professione che loro
desse garanzia per l’avvenire, si gettavano
le basi per la creazione di un Convitto
Scuola ove l’individuo avesse trovato nello studio, unitamente alle cognizioni culturali di carattere generale, anche una professione od un avviamento professionale,
che fosse conforme alle proprie tendenze
ed alle proprie capacità pratiche.
Nacque così il Convitto che iniziò la sua
attività fidando sull’aiuto dell’Anpi Provinciale. Più tardi, in seguito al sorgere di
altri Convitti, entrò nel Circolo dei Convitti Nazionali ottenendo così la sovvenzione
dell’Assitenza Post-Bellica.
Il Convitto reggiano l’anno scorso ha svolto un Corso per capimastri muratori e un
corso di perfezionamento edile al quale
hanno partecipato inizialmente 40 allievi
tra partigiani e reduci. Agli esami si sono
presentati 32 allievi e i risultati sono stati
più che soddisfacenti, come ha affermato
lo stesso Provveditore agli studi della nostra provincia. Subito dopo si è iniziato il
corso telegrafisti: dei 25 partecipanti solo
12 hanno conseguito il brevetto.
Ha poi indetto due corsi per ottenere le
patenti di 2º grado e circa 50 sono stati gli
iscritti e tutti hanno superato l’esame con
esito favorevole.
[...]
Per ragioni sanitarie e scolastiche il Convitto Scuola che aveva la propria sede in
Via S. Rocco si trasferì a Rivaltella dove
più di 100 allievi frequentano i due corsi.
La scuola è stata attrezzata modernamente
ed ha mensa, dormitorio, Uffici, biblioteca, aula per esercitazioni pratiche e teoriche, campo sportivo ecc.
L’Istituzione del Convitto Scuola, pur incontrando, come si è detto, enormi diffi20 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006
Scuola Convitto, sede di Rivaltella. Dormitorio.
coltà, ha tuttavia incontrata il pieno desiderio dei partigiani, dei reduci e del popolo
tutto, i quali vedono in esso non più la
scuola meta solo dei privilegiati, ma la
casa educativa del popolo e di tutti coloro
che intendono progredire per il proprio
benessere e per il benessere della collettività.
[...]
Nella nostra Scuola si mette in pratica la
più stretta collaborazione fra insegnanti e
allievi.
Alla direzione di questa vi è il Consiglio
dei Professori al quale partecipano gli studenti attraverso la loro Commissione di
studi dei problemi didattici. Gli studenti si
interessano, dell’organizzazione della
Scuola e del Convitto. In tal modo si è dato
vita ad un completo auto-governo del Convitto e della Scuola che permette di educare gli allievi allo spirito di iniziativa ed al
senso di responsabilità.
[...]
Riportiamo qualche giudizio sul nostro
Convitto Scuola.
Reggio Democratica scrive: “Un grande
entusiasmo pervade tutti i giovani che in
questa Scuola convivono: e una prova di
esso è il fatto che nelle ore di ricreazione
essi si dedichino alla sistemazione del parco della Villa e ad altri lavori utili alla
comunità. E tutto essi compiono con una
serietà e una precisione che colpisce l’osservatore: idonei a portare tra il popolo un
maggior numero di tecnici di cui in Italia vi
è innegabilmente un grande bisogno.
È infatti in stridente contrasto con i tempi
ostinarsi e limitare la luce del sapere a
pochi privilegiati, ma questa deve dilagare in tutte le case, dal più remoto villaggio
di pianura e di montagna ai maggiori
centri urbani. Lo Stato deve sorreggere
finanziariamente e non lasciare affogare
nel pantano del conservatorismo, esperienze acquisite giornalmente dal Comitato direttivo della Scuola e da tutti gli
allievi.
Democratizzazione della scuola e dei metodi di insegnamento, ferma volontà e
umana aspirazione dei giovani lavoratori
di impossessarsi delle cognizioni tecniche; riforma dei programmi e loro
adeguamento alle esigenze create dai tempi e dalla storia in continuo divenire; possibilità di studiare a coloro che, pur avendo pozzi di intelligenza non ne hanno i
mezzi: questo è quanto si deve fare in
Italia.
E le decine di Convitti Scuola per i partigiani e reduci esistenti nel nostro Paese
hanno già creato le basi per questo rinnovamento, fornendo all’attuale e ai futuri
Ministri della Pubblica Istruzione preziose esperienze che ogni democratico,
anche se non eccessivamente progressivo,
deve estendere nella Scuola italiana”.
E il Giornale dell’Emilia: “Il Convitto
Scuola per partigiani e reduci allestito a
Rivaltella appunto a cura di queste due
Associazioni, è in funzione fin dal novembre scorso per l’interessamento del Provveditorato agli Studi, è uno di quei collegi
improntati alle norme della didattica più
moderna”.
Da Tempo Nostro: “Il nuovo regime democratico che sta realizzandosi in Italia ha
fatto sorgere un po’ dappertutto nuovi Enti,
nuovi Istituti che si preoccupano di soddisfare sempre più le esigenze popolari. Fra
queste nuove realizzazioni, per le alte finalità che persegue e per il modo assolutamente encomiabile col quale è stata attuata, merita un particolare rilievo la
Scuola-Convitto per Partigiani e Reduci”.
Il Preside del Convitto, Prof. Valpot in
occasione della conferenza stampa tenuta
al Convitto alla presenza dei corrispondenti di vari giornali quotidiani e settimanali, ha affermato che “In questi nuovi
sistemi pedagogici di insegnamento è l’avvenire della scuola italiana”.
La Resistenza vive nella Costituzione
Alessandro Fontanesi, autore, col padre
Denis, del volume “Volti di libertà”, non
manca di commentare con passione e lucdità momenti importanti della vita locale e
nazionale, anche con interventi sulla stampa.
Pubblichiamo in ritardo (per motivi tecnici) alcuni brani di una sua bella lettera
indirizzata al Presidente Notari in aprile.
Stimatissimo Presidente, amici e compagni partigiani e fanno 61, 61 come gli anno
trascorsi dal 25 aprile, giorno della Liberazione del nostro Paese. Sembra ieri, eppure oltre mezzo secolo è passato per voi
ragazzi con i capelli bianchi, con il volto
segnato dal tempo, ma che dentro agli
occhi avete ancora la gioventù e l’entusiasmo dei vent’anni, che avete dato la vita
per la nostra libertà. Tanti anni sono passati, molti di voi partigiani non ci sono più,
ma non per questo sbiadisce il ricordo dei
vostri sacrifici.
Le idee per le quali avete combattuto e per
le quali tanti ragazzi sono morti, non sono
affatto morte con essi, tutt’altro, hanno
messo radici, sono germogliate ed il 25
aprile, data simbolo della Resistenza e
della Liberazione, è più che mai attuale,
così com’è attuale l’insieme dei valori
storici, politici e morali che esso incarna.
[...]
Dopo 61 anni il cammino verso una democrazia piena è perlomeno messo in
pericolo ed un altro esempio lampante è
l’esito delle elezioni politiche. Ha vinto
Prodi, certo di poco, eppure ad oltre una
settimana dal voto, arroventando ancor
più il clima politico come fosse ancora in
campagna elettorale, lo sconfitto non
ammette e non accetta il responso delle
urne. Millantando brogli ed irregolarità,
Berlusconi ed i suoi, ben sapendo che
avrebbero perso, hanno confezionato la
“porcata” (per loro stessa ammissione)
della nuova legge elettorale per destabilizzare il voto e la futura governabilità ed
alla fine sono rimasti vittime della loro
stessa truffa. Ora piangono e sbraitano
contro tutto e contro tutti, Berlusconi
vorrebbe mantenere il proprio potere ad
ogni costo e con qualunque mezzo, servendosi della sua “claque” politica e della
pressoché totalità dei telegiornali, questi
ultimi ossequiosamente e servilmente
prostituiti in modo indecente, vorrebbe
far credere che il vincitore non c’è.
[...]
Il 25 aprile, giornata simbolo dell’unità del
nostro popolo, giunge come una boccata
d’ossigeno per questa sorte di palude
mediatico-politica, ma soprattutto dovrà
essere il momento per rendere attuali gli
insegnamenti ed i valori di chi ha liberato
il nostro Paese, primo fra tutti la Costituzione, figlia di quella straordinaria stagione di lotta.
Per certuni dunque, la nostra Carta
fondativa è già vecchia, al punto da capovolgerne i capisaldi fondamentali, in quanto
troppo intransigente e troppo garante degli
interessi del popolo, piuttosto che dei privilegi di un megalomane che si crede Napoleone e si è paragonato a Gesù Cristo.
Usando le parole del presidente Ciampi:
“la Resistenza vive nella Costituzione”,
quella Costituzione che come scrisse Pietro Calamandrei: “se può apparire alla
decrepita classe politica che lotta vanamente per salvare i suoi privilegi, come
un’inutile carta che si può impunemente
stracciare; essa può diventare per le nuove
generazioni, che saranno il ceto dirigente
del domani, il testamento spirituale di
centomila morti, che indicano ai vivi i
doveri dell’avvenire”.
Dopo 61 anni quindi, il 25 aprile si pone
ancora una volta in prima linea per difendere quelle conquiste che credevamo ormai
certe, per difendere la libertà degli italiani,
i quali statene certi non esiteranno a scegliere irrevocabilmente la strada sicura della
libertà, della giustizia, della Costituzione
repubblicana, sulla quale edificare il futuro
dei loro figli e sulla quale riprendere serenamente il percorso verso una democrazia
piena e consapevole.
W il 25 aprile, W la Resistenza, W la
Repubblica.
Con sentita e sincera amicizia, un grande
abbraccio.
Alessandro Fontanesi
Anpi Poviglio
Visita d’istruzione delle classi terze
all’antico monastero della Benedicta
Grazie all’aiuto dell’Anpi sezione di Poviglio e ai signori Sidraco
Codeluppi e Giorgio Campanini che hanno accompagnato gli
allievi, le classi terze della Scuola Media di Poviglio si sono
recate, il 18 e 19 maggio, a visitare un commovente e particolare
luogo della memoria: i ruderi dell’ antico monastero della
Benedicta (Comune di Bosio, provincia di Alessandria).
Intorno al Monte Tobbio nell’inverno ’43-44 si rifugiarono i
primi nuclei di giovani partìgiani e renitenti alla leva che si
opponevano al fascismo: questi collocarono il loro quartier
generale nell’abbazia benedettina chiamata Benedicta. Male
armati e privi di istruzione militare, questi giovani furono colpiti
da un violento rastrellamento nazifascista nei giorni di Pasqua
del 1944; il monastero, uno dei maggiori monumenti dell’
Appennino, fu fatto saltare.
Furono 147 i partigiani fucilati sul posto, altri trucidati al Passo
del Turchino e 400 furono deportati in Germania: di questi 200
riuscirono a fuggire, gli altri morirono nei campi di sterminio.
I boschi, il silenzio che ora circonda questi luoghi, il sacrario
commemorativo fra le piante hanno dato ai partecipanti la
possibilità di una riflessione profonda e assolutamente non
banale sulla lotta per la libertà. La visita si è conclusa con la
deposizione di una corona d’alloro al monumento ai caduti.
La visita di istruzione è stata preceduta da una lezione tenuta
dalla professoressa Maria Assunta Ferretti, responsabile della
sezione Didattica di Istoreco.
La scuola, gli insegnanti, gli alunni, i genitori ringraziano di
cuore l’Anpi che permette, con queste splendide iniziative diventate un appuntamento tradizionale per le classi terze, di
mantenere i legami con la nostra storia per non dimenticarla e per
avere sempre più occasioni per costruire e valorizzare la pace.
Gli alunni
e gli insegnanti accompagnatori
Gli studenti e gli accompagnatori alla Benedicta.
NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 21
NINO BARAZZONI, Una vita tra due mondi
Nino Barazzoni, Una vita tra due mondi
(da Bibbiano al Perù e ritorno), Anpi e
Comune di Bibbiano, pp.115, euro 5,00.
Conservato per 70 anni tra le carte di famiglia, l’autobiografia manoscritta del medico bibbianese Nino Barazzoni, padre del
nostro amico prof. Renzo, è stata pubblicata, (cura e introduzione di Loris Bottazzi),
dall’Anpi di Bibbiano. Si tratta di un testo
davvero eccezionale, come eccezionale è
stata la vita del suo autore, nato nel 1870 e
morto nel 1936. Emigrato poco dopo la
laurea in Perù, là iniziò l’esercizio della
professione medica, aprendo anche un ospedale, e diventando addirittura Sindaco della
città di Callao. Rientrato in Italia, nella sua
Bibbiano, dopo 17 anni, nel 1914, Nino
Barazzoni fu ufficiale medico durante la 1a
Guerra mondiale. “Mi sono sempre chiesto
– scrive Barazzoni – se Trento e Trieste
valessero tanti morti e feriti, tante distruzioni. Oggi, a 10 anni dalla fine della guerra, le
misere condizioni in cui versa il nostro
paese mi confermano ancor più nelle mie
convinzioni: quel piccolo aumento territoriale, ottenuto a così caro prezzo, non sarebbe stato possibile ottenerlo nel 1914 con
trattative diplomatiche?”.
È soltanto una delle folgoranti osservazioni contenute nel testo, e vi troviamo la
duplice ispirazione di matrice socialista e
cristiana. Tanto più significativa quella
osservazione in quanto espressa nel pieno
dispiegarsi della retorica fascista sulla “vittoria tradita”.
Del tutto godibili, e di notevole interesse
anche storiografico, le descrizioni del paese natio e dei suoi dintorni sul finire del
secolo XIX, quando Bibbiano era ancora
luogo di villeggiatura, e per recarsi a Reggio
“si viaggiava ancora con le vecchie diligenze a cavalli” e “si impiegavano, con la
Corriera, non meno di due ore a stagione
buona, e sempre più tempo quando le
strade erano fangose e inghiaiate”.
Oltretutto il testo, scritto da un medico che
quando era universitario a Bologna amava
talvolta seguire le lezioni di Giosue
Carducci, è anche di ottima qualità lettera-
ria, una qualità che il figlio Renzo ha
decisamente ereditato.
Avvincenti poi le narrazioni relative ai
lunghi anni vissuti in Perù. Davvero meritoria l’iniziativa dell’Anpi di Bibbiano, di
dare alle stampe questo diario che l’A.
aveva scritto e concepito come una eredità
spirituale esclusivamente destinata ai figli. E grazie all’amico Renzo per essersi
lasciato convincere da Loris a rendere pubbliche le pagine del Padre (a.z.).
Il dottor Nino Barazzoni in una foto del 1913.
“Abbasso il Duce”, video resistente girato a San Polo d’Enza
Il documentario è il prodotto di una serie di interviste a partigiani,
staffette o semplici osservatori, protagonisti della Resistenza
Sampolese. Alcune interviste sono state realizzate in casa, altre
nei luoghi che hanno segnato la Resistenza Sampolese. Il documentario è corredato da fotografie e filmati d’epoca messi a
disposizione dal Museo dell’Anpi locale, dalle famiglie Sampolesi
e dall’Istoreco di Reggio.
La percezione della guerra, la politica, la scelta del partigianato,
il ruolo delle donne, ma anche le battaglie, gli umori e gli
aneddoti. Questi i temi trattati nel documentario sotto forma di
racconto.
Gli autori
Marco Righi, ventiduenne di San Polo, lavora come regista e
montatore video presso una casa di produzione. Nel tempo libero
realizza cortometraggi autoprodotti che hanno ricevuto premi e
menzioni in alcuni festival.
Cosimo Bizzarri venticinquenne di Reggio Emilia, lavora a
Treviso al Dipartimento di scrittura Creativa di Fabbrica, (il
centro di comunicazione del gruppo Benetton). A Reggio ha
collaborato come giornalista, autore e copywriter con alcune
testate locali.
Circolo Arci “Indiosmundo” di San Polo d’Enza - Presidente
Lodovico Bonfatti - circolo che si prefigge di promuovere attività
culturali, musicali e ricreative.
Per eventuali comunicazioni tel. 3683664273 ind. e.mail–
[email protected] (l.f.)
22 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006
Nella foto in allegato da sinistra: Mario Sulpizio Guerra, il sindaco
Milena Mancini, Sonia Masini, presidente Provincia di Reggio Emilia,
Ivo Mareggini, Marco Righi, Cosimo Bizzarri, Lodovico Bonfatti.
Invito alla presentazione del video a suo tempo distribuito oltre ad
una foto scattata durante la manifestazione.
Il No al referendum:
quant’è bella la nostra Costituzione
Ironia della storia: Vittorio Emanuele di
Savoia, quello che sarebbe potuto diventare il nostro re, fino a pochi anni fa, come
dettavano le norme transitorie della nostra
“bella” Costituzione, non poteva entrare
sul suolo italico, mentre oggi, per le note
vicende giudiziarie che lo hanno visto coinvolto, non può lasciarla, l’Italia. Non sarebbe stato meglio, mi chiedo, lasciarlo
fuori, così non si sarebbero peggiorate le
già gravi condizioni in cui versa lo spirito
pubblico nazionale? In ogni caso, l’abbiamo scampata bella il 2 giugno 1946: ve lo
immaginate come nostro re, simbolo dell’unità nazionale e dell’Italia nel mondo?
Però, abbiamo avuto un recente primo
ministro… ma leggere che il 64,4 percento
degli italiani, il 25 e 26 giugno scorsi, hanno
detto NO allo stravolgimento della Costituzione del ’48 – quella, per intenderci, dei
Ruini, dei Dossetti, dei Terracini, solo per
citare i primi nomi che mi vengono in mente
– proposta da raffinati politici e studiosi
della Casa delle Libertà e pensata in quel di
Lorenzago (?), bè, è stata una bella iniezione di fiducia. Così, ancora più numerosi i
reggiani che hanno rispedito al mittente
l’indecente proposta: un bel 71,92 percento
di NO, con punte di oltre l’80 percento a
Campegine, Cavriago, Fabbrico.
La speranza, a questo punto, è che il
centrosinistra non abbia tanta fretta di riformare ciò che i cittadini hanno ritenuto
ancora un ottimo “contratto sociale”. Probabilmente per arrivare a un governo stabile sarebbe sufficiente una buona legge
elettorale come quella, ad esempio, a due
turni francese: il primo serve a contare la
forza di ciascun partito, cioè a tutelarne la
pluralità; il secondo serve a riprodurre gli
aspetti classici del collegio uninominale,
ossia a garantire la governabilità. L’istituto del referendum: andrebbe sì riformato
ma nel senso di togliere alla Corte costituzionale la discrezionalità di decidere quali
siano i referendum ammissibili, restituendo all’art. 75 la sua completa efficienza.
Il ruolo che svolge la Costituzione nel
regolare la vita dello Stato, delle sue
articolazioni fondamentali e dei cittadini
potrebbe essere per il centro sinistra al
governo una buona occasione per rimettere in movimento nell’esangue corpo sociale il significato e il ruolo culturale e
politico ma anche, e soprattutto, etico e
morale delle regole in una società ordinata, aperta e non autoritaria. Mettere al
primo posto nell’agenda politica i diritti e
i doveri dei cittadini, educazione civica, in
una parola, potrebbe essere la strada per
far crescere la società civile ma anche la
stessa classe politica che sarebbe costretta
a confrontarsi, e non allo specchio. Potrebbe essere l’occasione per riflettere sul rapporto che deve instaurarsi fra Stato ed
autonomie locali e fra questi e i cittadini
tutti, allargandone i diritti e allo stesso
tempo rimarcando i doveri (pensiamo solo
al dovere di pagare le tasse) reciproci. È
necessario, insomma, ridare significato alla
parola “società”.
Le istituzioni rappresentate da sanità, uffici
amministrativi locali e statali ecc. sono i
luoghi in cui, spesso, l’onnipotenza della
burocrazia, ad esempio, può frustrare i diritti che le leggi del Parlamento hanno riconosciuto ai cittadini. Rispetto delle regole è
far “pulizia” di chi fra pubblici funzionari,
amministratori, politici e parlamentari è
coinvolto in reati penali e/o amministrativi.
Allora “regola” diviene sinonimo di legali-
tà e in parti del Paese la vessazione e la
corruzione, invece, sono la legge.
Se la classe dirigente del centrosinistra
vuole realmente aprire dei canali di dialogo con la società e non limitarsi a mandare
messaggi in codice agli altri addetti ai
lavori e lanciare slogan a tutti gli altri che
stanno fuori e che ogni cinque anni votano,
il No al referendum costituzionale, può
diventare il nostro “socialismo dei cittadini”, promosso in Spagna da Zapatero.
Infatti, con le attività di governo, l’Unione
dovrebbe indicare la strada della legalità,
del rispetto delle regole e fare della politica alta il suo marchio di fabbrica, ispirandosi ai principi della Costituzione e a quelli che a sua volta la ispirarono, i venti mesi
della Resistenza.
Glauco Bertani
Il 61° della battaglia di Albinea
sulla rivista inglese “Trenchard”
Sulla commemorazione della battaglia di Albinea del 26-27 marzo 1945 un reportage
è stato scritto da Francesca Riccomini, nipote del tenente James Arthur Riccomini,
uno dei tre inglesi (con il sergente Sidney Guscott ed il caporale Samuel Golden)
caduti nell’attacco al comando germanico di Villa Rossi e Villa Calvi, e pubblicato
(corredato da foto del nostro Mario Crotti) sul numero di giugno 2006 della rivista
“The Trenchard”.
Dopo aver riassunto le circostanze della battaglia, e accennato con gratitudine
all’accoglienza fatta alla delegazione britannica, oltre che dalla sindaca Antonella
Incerti, da Glauco Monducci, Gordon, che “ora è un anziano piuttosto fragile ma dotato
di ammirevole forza vitale”, l’autrice rende omaggio a Mario Crotti per la “meravigliosa mostra informativa, anche per quelli di noi che non conoscevano l’italiano”.
“Un aspetto memorabile del nostro viaggio – aggiunge Francesca Riccomini – è stato
l’incontro con la vedova e la figlia di Giuseppe Casoni, il giovane che nella notte
fatale guidò il gruppo composto dai britannici dello Special Air Service e da un
centinaio di partigiani giù dalle colline verso il loro obbiettivo, conducendo poi i
sopravvissuti in salvo nei loro nascondigli.
Dopo la cerimonia principale, quale riconoscimento del suo impegno, una via è stata
intitolata al suo nome.
Claudia [la figlia di Casoni, NdR] ci ha gentilmente accompagnati al cimitero in cui
in un primo tempo erano stati sepolti i tre soldati inglesi”.
Una delle foto Crotti pubblicate su “Trenchard”.
NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 23
24-25 maggio ’44. L’assedio di Villa Minozzo
nel racconto di una bambina di dieci anni
All’assedio di Villa Minozzo del 24-25
maggio 1944 Guerrino Franzini, nella sua
Storia della Resistenza reggiana, dedica 5
pagine (145-149) lungo le quali la vicenda
viene ricostruita sulla base di fonti testimoniali e documentarie, sia di parte
resistenziale che fascista.
Qui pubblichiamo la testimonianza, scritta “a caldo” tra fine maggio e primi giugno del ’44, da una bambina che all’epoca
aveva 10 anni (Sandra Zambonini, figlia
del partigiano Sestilio) e abitava a
Castiglione d’Asta, dove torna ogni estate
in vacanza, da Modena, col marito Pietro
Alberghi, storico della Resistenza.
Scritta su un foglio protocollo, quasi come
un compito in classe, la narrazione di
Sandra ci offre un punto di vista assai
interessante su un evento bellico visto, per
così dire, “dal basso” e con lo sguardo di
una bambina appunto. Come nel romanzo
La Storia di Elsa Morante, dove gli eventi
passano sulla testa della protagonista.
Anche se, come precisa oggi Sandra
Zambonini, i fatti le furono poi spiegati da
suo padre.
Il testo viene pubblicato così come ci è stato
consegnato, senza correzioni. Lasciando in
sostanza i piccoli errori di italiano che la
maestra Sandra Zambonini da decenni ha
smesso di lasciarsi scappare.
Il 24 maggio 1944 era circa mezzanotte,
quando mia madre sentì bussare più volte
alla porta, s’alzò e andò ad aprire erano
partigiani e volevano da bere e ristorarsi un
poco. A mia mamma dissero pure che andavano finalmente ad attaccare il presidio di
Villa Minozzo, loro le dissero di chi sono
tutti quei carichini di carbone che avete
davanti a casa? Mia mamma le rispose:”sono
barocciai di Vezzano che forniscono la
nostra provincia di carbone, macchine non
ne circolano più”. “Bene” fu la risposta , voi
non dite nulla di quello che vi abbiamo
confidato dato [che] se va il colpo bene
quando sono giù a Villa Minozzo li fermeremo, le faremo scaricare il carbone e li
manderemo indietro col nostro bottino di
guerra!”.Lasciarono pure a mia mamma
qualche lanterna e le dissero:”Se non avremo la fortuna di tornare saranno vostre”.
Parlo per lo più della mia mamma perché
mio padre fu arrestato dai fascisti per essere
scappato l’8 settembre 1943.
Proseguendo il discorso sopra interrotto,
dopo un’ora circa che i partigiani se ne
furono andati da casa mia per la prima volta
sentimmo le armi da guerra in grande battaglia, c’era pure una mitraglia pesante che
faceva addirittura spavento. Mia mamma
che non aveva più dormito svegliò tutti quei
24 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006
Altre rovine di Villa Minozzo.
barocciai che nel sentire un così grosso
attacco tremavano a denti stretti. Io con la
mia famiglia ci portammo tutti all’ultimo
piano della casa e vedemmo giù Villa
Minozzo quasi tutto illuminato dalle armi
che sparavano, si vedevano pure dei razzi di
diversi colori andare altissimi che li adoperavano i fascisti per chiamare soccorso. Io
ogni tanto vedevo la mia mamma segnarsi
e pregare. L’attacco continuava che non ci
dava pace. Durò diverse ore fino a mattina
inoltrata. Non si seppe più nulla, non circolava più nessuno, non si sapeva chi aveva
vinto o perso, partigiani a venire indietro
non se ne vedevano. Terminata la battaglia
i barocciai partirono da casa mia. Circa
mezzogiorno correvano voci che era giunto
un grosso rinforzo ai fascisti e i partigiani
dopo una lotta accanita avevano dovuto
ritirarsi. Era però le undici del 25 maggio
giorno seguente quando ormai si viveva
tranquilli e quasi non si pensava più ai fatti
successi il giorno prima, sentiamo una grande sparatoria giù poco distante al mio paese
giù nella strada vicino al Secchiello. Non
abbiamo ancora intuito cosa può essere
successo che vediamo passare sette partigiani che andavano di una corsa pazza,
laceri senza cappello quasi scalzi, mia mamma comprese tutto e cominciò a nascondere
roba. Poco dopo comparve una vicina di
casa in gran pianto! “I partigiani che ieri
attaccavano Villa Minozzo oggi hanno attaccato una gran quantità di fascisti e tedeschi venite a vedere la popolazione del
paese di sotto ha abbandonato le case e
fugge via. Anche noi è meglio scappare”.
No rispose mia mamma, è meglio rimanere,
se trovano le case vuote ce le bruciano
bisogna farsi coraggio.
Intanto gli spari si udivano sempre più
vicini e per la prima volta udimmo spari e
colpi di mortaio. Poco dopo comparvero
due ragazze del paese di sotto chiamato
Governara col pianto agli occhi:”Bisogna
scappare hanno ucciso una quantità di fascisti, una corriera piena è ruzzolata nel
Secchiello, l’ha detto una vecchia che veniva dal mulino. La mia nonna che stava di
sopra cominciò con un altro vecchio a
recitare il S.Rosario, ma la mia mamma
quando seppe che la peggio c’era toccata a
loro il S.Rosario non lo volle dire. Intanto
gli spari si udivano avvicinarsi sempre più,
mia mamma ci fece andare in camera io e
mio fratello e ci teneva sul letto. Ogni tanto
io mi avvicinavo ai vetri della finestra e
vedevo tanti soldati avanzare da tutte le
parti, pestavano i campi di grano, sbucavano da ogni lato e li vidi giungere alla mia
casa. Mia mamma allora scese come nulla
fosse accaduto e le chiese cosa volevano
“da bere” le fu risposto. Poi un fascista
sentii che disse”Se incontrassi mio pare e
mia madre non le perdonerei nemmeno a
loro”. Bevete le disse mia mamma vi farà
bene. Noi ci facemmo coraggio e stavamo
zitti. In poco tempo la casa fu piena di
fascisti ed un tenente volle pure perquisirla tutta era molto arrabbiato parlava poco.
Era poco che questa quantità di fascisti
circa duecento era partita per Villa Minozzo
, entrò altri soldati vestiti col elmetto da
guerra uguale a quelli di prima e chiesero
quanto tempo era che gli altri erano partiti.
Sarà dieci minuti le rispose mia mamma e
come avete lasciato partire i vostri colleghi? Allora alzarono tutti il rivolto della
giacca e sotto c’era scritto in rosso “Viva
Garibaldi”. Noi non siamo di quelli signora vede che paura abbiamo? E fuggirono
ridendo ad inseguire il nemico in ritirata.
Il giorno dopo sapemmo che sette partigiani avevano ucciso circa quaranta fascisti
senza contare i feriti.
Mai potrò dimenticare questo episodio
della lotta partigiana svoltosi nel mio
paesello di montagna durante la guerra
clandestina.
Sandra Zambonini
Sono ancora necessarie le basi Usa in Italia?
È stata necessaria la richiesta del presidente della giunta regionale sarda Renato Soru
di rendere pubblico l’accordo riservatissimo, che ha consentito di costituire la base
Usa della Maddalena, chiedendone contemporaneamente lo smantellamento, per
riportare in primo piano il problema della
basi americane in Italia.
Se si scorre il rapporto ufficiale del Pentagono “Base Structure Report 2003” ci si
rende conto immediatamente delle notevoli dimensioni della presenza militare
Usa in Italia. Nel nostro Paese le forze
armate statunitensi posseggono oltre 2000
edifici, che occupano una superficie di
oltre un milione di metri quadri ed hanno
in locazione altri 1100 fabbricati con una
superficie di altri 780.000 mq. Il personale
addetto alle basi ammonta a 15.000 militari ed a 4500 civili.
L’esercito Usa dispone di proprie basi in
Veneto ed in Toscana. Alla caserma Ederle
di Vicenza è di stanza la 173° brigata
aviotrasportata, operante nel quadro della
Setaf cioè la task force del sud Europa, agli
ordini del Comando europeo delle Forze
armate Usa, la cui “area di responsabilità”
include ben 91 Paesi e territori che vanno
da Capo Nord al Capo di Buona Speranza.
Nel marzo del 2003 fu proprio la 173°
brigata ad essere inviata per prima nel
Kurdistan iracheno.
A Camp Darby (Livorno) è dislocata la
base logistica, che rifornisce le Forze terrestri ed aeree, operanti nell’area mediterranea, nordafricana e mediorientale.
L’aeronautica Usa ha proprie basi in FriuliVenezia Giulia, in particolare ad Aviano
(Pordenone) ove sono schierate la 31°
Fighter Wing e la 16° Air Force, la quale,
dotata di caccia F-16 e F-15 svolge compiti di pianificazione e conduzione di operazioni di combattimento aereo anche in
Medio Oriente.
La marina Usa ha il suo centro principale
a Napoli, dove è stato trasferito il quartiere
generale delle Forze Navali Usa in Europa, prima a Londra. La sua “area di responsabilità” include 89 Paesi di tre continenti (Europa, Asia ed Africa), da Capo
Nord al Capo di Buona Speranza, mentre
ad Est si estende fino al Mar Nero. La
marina Usa dispone inoltre della base
aeronavale di Sigonella e di quella della
Maddalena la quale oltre essere base di
appoggio per i sottomarini atomici è divenuta base logistica per le operazioni belliche
in Medio Oriente e nei Balcani.
Nelle fasi iniziali della guerra, scatenata
contro l’Iraq, i sottomarini Usa di base
alla Maddalena, all’insaputa dei Paesi
europei circostanti, hanno bombardato
Bagdad ed altri obiettivi, direttamente
dal Mediterraneo, impiegando armi
missilistiche da crociera.
Le strutture Nato a disposizione, inoltre,
degli Usa sono molteplici e prima fra tutte
il Joint Force Command di Napoli con a
capo un ammiraglio americano, il quale è
contemporaneamente comandante delle
Forze Navali Usa in Europa e comandante
della “Forza di risposta della Nato”, che
comprende oggi 17.000 uomini, pronta ad
essere “dispiegata in qualsiasi parte del
mondo nello spazio di 5 giorni”. A Taranto,
poi, è dislocato il quartier generale della
High Readiness Force una forza marittima
speciale di rapido intervento, inserita nella
catena di comando del Pentagono, che ha in
programma la creazione in zona di un grande centro servizi per la Sesta flotta, dotato,
fra l’altro, di un complesso sistema di comunicazione, controllo, computers e
intelligence, che lo farà diventare un centro
unico nel Mediterraneo di comando e spionaggio del Pentagono.
Tutte le su elencate Forze e basi Usa,
anche se ospitate su territorio italiano,
sono inserite nella rete di comando del
Pentagono e sottratte, quindi, a qualsiasi
interferenza decisionale italiana, trasformando, in tale modo, l’Italia in un trampolino di lancio della “proiezione di potenza” statunitense verso sud e verso est, in
un quadro di ridislocazione delle Forze
Usa dall’Europa settentrionale e centrale a
quella meridionale ed orientale.
Una tale “esibizione” di potenza militare
deve essere considerata, pertanto, non una
semplice strategia militare ma una vera
strategia politica, che si prefigge lo scopo
di superare le resistenze di quella che
Rumsfeld definisce la “vecchia Europa”,
attraverso e per mezzo degli amici più
fedeli fra i quali emerge l’Italia.
Una siffatta strategia, peraltro, non può
non scatenare una serie di risposte, che
non lasciano intravedere niente di pacifico. La Russia, infatti, per rispondere alla
installazione prevista di una base
missilistica Usa in Europa, come recentemente dichiarato dal ministro della Difesa
Serghei Ivanov, sta predisponendo adeguate misure militari ed ha aggiunto: “Si
tratta di una questione sulla quale stiamo
discutendo da tempo con gli Usa, entrando
anche nei dettagli, anche se non ci è noto
quale sarà il Paese scelto per l’installazione della base e quali saranno il numero ed
il tipo di missile ospitato”. Il generale
Henry Obering direttore del sistema
antimissile americano, sostiene da
tempo,che la base europea sarà semplice
parte del Sistema di difesa antimissilistico,
anche se deve essere evidente come la
crescente pressione, anche in tal modo,
esercitata dagli Stati Uniti e dalla Nato nei
riguardi dell’area, cosiddetta “post-sovietica”, abbia spinto Mosca a modernizzare
il suo scudo nucleare. Secondo quanto
annunciato da Ivanov l’esercito russo riceverà nell’anno in corso sei nuovi missili
balistici intercontinentali (Mbi), altrettanti apparati spaziali e dodici razzi vettori
con una spesa prevista di 53.500 milioni di
rubli e cioè 910 milioni di dollari in più di
quanto stanziato nel 2005.
Il presidente Vladimir Putin ha recentemente dichiarato che la Federazione russa
ha adeguatamente perfezionato e potenziato i mezzi di dissuasione nucleare, aggiungendo che le Forze armate del Paese
debbono raggiungere il massimo di efficienza, onde garantire la sicurezza globale
e difendere il Paese stesso da qualunque
tentativo di pressione o ricatto effettuato
con mezzi politico-militari.
Dichiarazioni tutte, che non possono lasciarci passivamente indifferenti, specie
se risultassero veritiere le voci, che affermano come sarà l’Italia il Paese, nel quale
verrà allestita la succitata base missilistica.
D’altra parte una più o una meno che
differenza fa? E questa differenza può
essere accettata dal movimento pacifista
europeo, che oggi, nel contesto di una
invasione mondiale del modello di “guerra giusta” e di “guerra umanitaria” vede
spazzato via un qualsiasi “luogo-riparo”?
Il movimento pacifista ha, avrà, di fronte a
sé grandi responsabilità, che non ammettono impazienze, disfattismi e/o
massimalismi, ma che prevedano un forte
e continuativo impegno, basato sulla convinzione che il futuro del mondo sarà un
futuro tragico, se non verrà distaccato dalla logica della violenza, che le basi militari
Usa in Italia rappresentano in pieno.
Bruno Bertolaso
Uno scorcio della Maddalena.
NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 25
In ricordo di Enzo Salsi
Il 24 maggio scorso si è spento nella
sua casa di Poviglio il compagno Enzo
Salsi, lasciando nello sconforto i suoi
cari e tutti i compagni che con lui hanno tanto intensamente collaborato.
Enzo ha condotto, infatti, un’esistenza molto attiva, all’insegna dell’impegno sociale e civile.
Nato in una famiglia di antifascisti – il
padre Odoardo era iscritto al partito
comunista clandestino negli anni del
regime fascista – Enzo fu forgiato giovanissimo come collaboratore nella
Resistenza. Casa Salsi era infatti una
casa di latitanza, che ospitava partigiani del battaglione mobile della pianura. Questo gruppo che compiva avventurose e rischiose azioni di guerriglia durante la notte, di giorno trovava
rifugio in case sicure come quelle delle famiglia di Enzo.
I Salsi erano contadini; toccava al
tredicenne Enzo andare al caseificio
con il bidone del latte vuoto, dire al
cascinaio che era caduto ed aveva rovesciato nel fosso quel latte che in realtà
era servito a rifocillare i partigiani.
Il suo funerale ci racconta molto di lui:
una folla immensa, silenziosa e commossa nel dolore e nel ricordo. Gli
stendardi che accompagnavano il feretro, nella loro potenza simbolica,
parlavano più che un fiume di parole
del suo impegno.
C’era la bandiera dell’Anpi. Da sempre dirigente dell’associazione Enzo,
ormai malfermo di salute, nelle ultime
gocce della sua esistenza non ha ces26 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006
sato di lavorare per contribuire al rafforzamento della sezione povigliese.
Anche la bandiera dei Democratici di
sinistra lo ha accompagnato nel suo
ultimo viaggio. Enzo è stato segretario della Fgci negli anni Cinquanta, e
poi ha fatto parte del direttivo della
sezione Pci di Poviglio. Quando ci fu
la svolta della Bolognina mi disse:
“Mi dispiace, sono sempre stato comunista, ma se c’è da cambiare si
cambia!”. C’era una delegazione della Pubblica assistenza “Croce azzurra” con lo stendardo. Di questa associazione al servizio della salute dei
cittadini Enzo era stato a lungo milite
volontario.
Rosseggiava la bandiera dello SpiCgil, il sindacato dei pensionati, nel
quale Enzo rivestiva il ruolo di componente del comitato direttivo.
A rappresentare l’Istituto Alcide Cervi c’era Maria Cervi con un gruppo di
volontari del Museo Cervi di cui Enzo
era un assiduo collaboratore. Nei giorni
festivi lo si poteva incontrare come
eloquente guida ad illustrare la storia
di questa casa e del mondo contadino.
Da contadino mezzadro, era divenuto
operaio specializzato alle officine meccaniche Greco di Reggio Emilia. Di
questa esperienza di crescita e di cambiamento Enzo era orgoglioso.
Appassionato e raffinato conoscitore
di musica, faceva parte degli “Amici
della Lirica”. Tanti amici che condividevano con lui questa passione si sono
stretti attorno al suo ricordo nel momento dell’estremo saluto.
Ci manca molto la sua presenza, e
riecheggiano nella memoria la sua parlata a voce alta, il suo timbro così
potente, tipici delle persone schiette.
A me resta il rimorso di non avere avuto
la forza di comporre l’orazione funebre
che il nostro Enzo si meritava. Il suo
esempio vivrà però al di là delle parole
come il solenne silenzio, più evocativo
di mille discorsi che lo ha accompagnato
nel suo ultimo viaggio, ci ha raccontato.
L’essenziale, scarno racconto delle vicende della sua esistenza sono già un
monito per le giovani generazioni. A
noi, suoi compagni di mille avventure e
mille battaglie, il compito di non disperdere la sua testimonianza.
Alla moglie, compagna Silvana, ed alla
figlia, amica Catia, le nostre più sentite
condoglianze ed il nostro affettuoso abbraccio.
Sidraco Codeluppi
Segretario ANPI-Sezione di Poviglio
Un aiuto all’Anpi
in memoria di Elio Trolli
Il Centro Sociale Autogestito “Orologio” di Reggio Emilia ci ha fatto pervenire
la seguente lettera.
Nella giornata di domenica 18 giugno, con l’organizzazione del nostro gruppo di
cicloturisti, si è svolto il raduno della Resistenza intitolato “Memorial Elio Trolli”.
La manifestazione ha registrato la presenza di numerosissimi amici cicloturisti e
ha visto l’entusiastica partecipazione di tanti amici nella cura di ogni dettaglio
organizzativo.
L’occasione del “Memorial Elio Trolli” ci ha consentito anche momenti di
riflessione e, insieme ai soci volontari che hanno curato l’iniziativa, abbiamo
deciso di devolvere la somma di € 150,00 (centocinquanta) alla Vostra Organizzazione.
L’attenzione e l’impegno della Vostra Organizzazione per la salvaguardia dei
valori fondanti della nostra società, ci stimolano a proseguire nello sviluppo di
attività che vedano la partecipazione attiva e democratica di tutti i cittadini.
Vi porgiamo cordiali saluti.
La Presidente
Lina Montanari
Ringraziamo gli amici del Centro Sociale “Orologio” e con loro rinnoviamo il
ricordo del partigiano Elio Trolli, già comandante di battaglione nella 144ª
Brigata Garibaldi, per tanti anni organizzatore del Trofeo ciclistico della Resistenza. Cogliamo l’occasione per manifestare solidarietà all’amica Lina per i
danni subiti dal Centro sociale in seguito ad atti delinquenziali.
Restaurata in Camporanieri la stele
per i partigiani Malaguti e Simonazzi
La stele restaurata dopo le deturpazioni subite ad opera di ignoti vandali, è stata
ricollocata, grazie alla volontà di Comuni ed Anpi di Castelnovo Sotto e Poviglio,
all’interno dell’area verde dell’ex fornace Dall’Aglio, in comune di Castelnovo
Sotto, e viene ora custodita dall’associazione Anziani del Laghetto Camporanieri”.
Segnaliamo che Codeluppi e Righi hanno già in passato curato il restauro o il
rifacimento di altri cippi dedicati a caduti partigiani nei comuni di Poviglio,
Campegine e Novellara
Nelle foto (sotto): 1° maggio 2006, un momento della inaugurazione. Erano presenti,
assieme ai familiari dei due caduti, Orio Vergalli per l’Anpi provinciale, i sindaci di
Castelnovo Sotto (Roberta Mori) e Raul Daoli (Novellara ), l’Assessore Fabio
Montanari di Poviglio, un assessore di Guastalla e don Ercole Artoni.
(a fianco): la stele come si presenta ora. La ragazzina seduta è la pronipote di
Posacchio Malaguti (figlia di una figlia di Franco); a lei è stato affidato il compito
del taglio del nastro.
I fratelli Rosa e Franco Malaguti ringraziano vivamente l’assessore comunale Montanari di Castelnovo Sotto e i dirigenti dell’Anpi di Poviglio
Sidraco Codeluppi e Germano Righi
per l’impegno con cui hanno provveduto al rifacimento e alla ricollocazione, in località Campo Ranieri, del
cippo dedicato alla memoria del loro
padre Posacchio Malaguti e di Alvaro
Simonazzi, partigiani della 77ª Brigata Sap, caduti in combattimento il
24 aprile 1945.
Nell’occasione hanno fatto un’offerta all’Anpi di Poviglio.
Un grave lutto ha colpito
Giannetto Magnanini, presidente di Istoreco
Sabato scorso 19 agosto, è morta Norma Cagnoli, di anni 79,
moglie di Giannetto Magnanini. Il decesso, in seguito ad
attacco cardiaco, è avvenuto all’ospedale di Mirano, provincia di Venezia. Il funerale si terrà in quella località giovedì
prossimo 24 agosto alle ore 12.
La famiglia Magnanini si era trasferita a Martellago (Venezia) circa tre anni fa.
Norma Cagnoli prese parte alla Resistenza entrando giovanissima nei Gruppi Difesa della Donna, partecipò alla lotta
per la salvezza del pennellificio “Agazzani”, una delle poche
fabbriche che nel dopoguerra occupava manodopera femminile. Aderì al Pci nel 1945 e, in seguito, al Pds e successivamente entrò nei Ds, ove era ancora iscritta.
L’iscrizione al Pci avvenne assieme a gruppi di donne operaie
di diverse fabbriche reggiane che scelsero quel partito per
realizzare i loro ideali di giustizia sociale, di libertà e di pace
trasmessi dalla Resistenza e che animarono tutta la loro vita.
Il senatore Ugo Benassi, amico e compagno di militanza di
Magnanini, nell’esprimergli la paretecipazione al suo dolore, gli ha scritto: “Norma come Lucia [moglie del senatore,
NdR] sono state parti importanti della nostra vita personale
e della nostra storia politica…”.
Alla notizia della scomparsa di Norma Cagnoli, sono arrivate a Istoreco attestazioni di solidarietà e partecipazione da
tante persone, compagni di partito, singole personalità e da
organizzazioni tra cui l’Anpi provinciale e l’Anppia.
L’orazione funebre è stata tenuta da Hermes Grappi. Il testo
sarà pubblicato sul prossimo numero del “Notiziario”.
NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 27
Guerra-Resistenza-Politica:
Storie di donne
Pubblicati gli atti del Convegno dell’Istituto Cervi: un importante contributo alla ricerca storica
È finalmente uscito (e presentato il primo
giugno scorso al Museo Cervi in una giornata di studio no-stop ricca di riflessioni e
di emozioni) il volume “Guerra-Resistenza-Politica: storie di donne (a cura di
Dianella Gagliani, Aliberti Editore), che
raccoglie gli atti del convegno nazionale
omonimo promosso il 7-8-9 ottobre 2004
dall’Istituto Alcide Cervi e dalla Società
italiana delle storiche e tenutosi nella nostra città presso l’Università.
Il Convegno e il volume sono stati dedicati, non a caso, a Genoeffa Cervi, rivalutandone il ruolo all’interno della famiglia:
una figura “simbolica”, quella di Genoeffa,
che riassume in sé tutte le donne che hanno
vissuto la guerra e la Resistenza, e le donne
contadine in particolare: la loro forza, la
loro umanità, la loro capacità di sopportare
il dolore e di reagire alle avversità, la loro
consapevolezza e condivisione della lotta
comune.
Perché, come ricorda la nipote, Maria Cervi, nella sua lucida ed insieme commossa
testimonianza: “L’immagine di lei che il
tempo ci ha trasmesso, di una moglie e
madre vissuta all’ombra del marito e dei
figli, non le rende giustizia”.
Tutto il Convegno del resto è teso, attraverso un impegno non facile, attento e
rigoroso di ricerca e di interpretazione
storica, a fare emergere il ruolo essenziale
che innumerevoli donne, perlopiù nell’ombra ed in silenzio, hanno avuto in quel
tragico periodo della nostra storia, contribuendo all’esito vittorioso della Resistenza e continuando ad impegnarsi poi, anche
nella ricostruzione, per la conquista dei
primi diritti e nella costruzione dello Stato
sociale.
Tutto questo è raccontato, nel Convegno,
non solo attraverso i fatti, ma portando in
primo piano le motivazioni, le ragioni, i
vissuti, i caratteri e le forme diverse ed
originali di una partecipazione attiva e
corale delle donne a quella vicenda storica, che ha segnato una rottura radicale,
culturale e politica rispetto al ruolo storicamente loro assegnato, in particolare nell’Italia del fascismo.
Ciò avviene anche con un’esplicita critica
alla storiografia ufficiale e con un’aperta
rottura rispetto alla rappresentazione spesso agiografica della Resistenza prevalsa
sino ad ora anche nelle forze antifasciste,
che hanno in genere, taciuto, ignorato,
sottovalutato quel ruolo e quella partecipazione, al massimo rinchiudendola e
svilendola nella retorica sulle mater
dolorosae o sull’esaltazione di singole
28 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006
“eroine” della guerra partigiana dotate di
virtù “virili”.
Dianella Galliani, la valente docente di
storia Contemporanea all’Università di
Bologna, che ha voluto e coordinato il
complesso lavoro del Convegno, così riassume il senso del volume: “Pochi avrebbero pensato, sino a non molto tempo fa,
che la storia delle donne e di genere
avrebbe conferito nuovi significati alle
categorie storiche di “Guerra” e di “Resistenza”... E ancora: “Lo sguardo rivolto
al pianto dei bambini, insieme a quello di
donne e di uomini, ha permesso di superare una visione della guerra prevalentemente incentrata sulle strategie e le operazioni militari o sugli strumenti bellici o
le innovazioni tecnologiche, per porre al
centro della scena la distruzione, la sofferenza, la morte. Anche la Resistenza, sottratta agli aspetti combattentistici, si è
dispiegata in una varietà di presenza e di
attività le quali consentono una sua ulteriore definizione”.
È dunque, per citare una felice sintesi, il
racconto e l’analisi di “una diversa guerra,
una diversa Resistenza, un’altra politica”:
quella delle donne in carne ed ossa.
Il filo che lega i diversi interventi
Il filo che lega i tanti diversi contributi è
appunto volto ad analizzare e a fare emergere ciò che ancora della guerra e della
Resistenza non è stato raccontato e ciò
che differenzia, distingue il modo con
cui le donne hanno vissuto quegli eventi
e quelle circostanze, il loro peculiare
modo di vivere ed affrontare la guerra e
le sue devastazioni, di “fare” la Resistenza, di intendere e di sentire l’idea di
“patria”.
Ne esce un quadro complesso ed articolato, che si articola nel Convegno in tre filoni
tematici: 1) Guerra e violenza; 2) Resistenze; 3) Patria/patrie.
Ciascuna di queste parti si compone di una
pluralità di contributi specifici e di approfondimenti che mettono a fuoco temi ed
aspetti sinora ignorati o poco trattati, da
cui emerge la complessità, la diversità, la
specificità di situazioni, di contesti e di
vissuti e anche le differenze territoriali.
Nella parte “Guerra e violenza” al centro
sono le donne come principali “vittime”
della guerra, le loro strategie di sopravvivenza e di reazione in situazioni estreme.
Importanti i contributi sulle confinate politiche contro la guerra, sulle internate e
deportate, sulle donne dei campi profughi
in Puglia, l’approfondimento sulla
memorialistica femminile e sul difficile
tema degli stupri di massa nel basso Lazio
ad opera delle truppe francesi, sugli abusi
e le violenze sessuali lungo la linea gotica,
sul tema della sessualità e della violenza
nelle memorie delle resistenti.
Nella seconda parte, “Resistenze”, si analizza, attraverso analisi riferite ai diversi
contesti territoriali, come, perché e con
quali percorsi, le donne, dalla ricerca di
strategie di sopravvivenza nella guerra,
giungono a partecipare attivamente, consapevolmente, seppure in forme diverse,
alla Resistenza antifascista e antinazista,
come matura in loro una coscienza collettiva, come si realizza una “rottura storica”
rispetto al ruolo tradizionale.
Contributi ulteriori a quelli che sinora
erano stati portati in periodi precedenti
vengono, per esempio, dalle comunicazioni sulle donne e la Resistenza in Emilia Romagna: si veda quella di Anna Appari sui Gruppi di difesa della donna a
Reggio Emilia tra Garibaldini e Fiamme
Verdi; di Caterina Liotti su Diventare
partigiane: pratiche e culture politiche
tra soggettività e percorsi collettivi; di
Delfina Tromboni “Terribili contingenze-Inaspettate libertà”. Ma di grande interesse sono anche le comunicazioni sull’esperienza delle donne in Veneto (dove
emerge il ruolo della Chiesa e delle donne
cattoliche), nelle Marche, a Roma, e nel
Sud.
In modo specifico viene affrontato il tema
dei riconoscimenti, dai quali gran parte
della donne viene esclusa, anche perché
molte, ritenendo “normale” ciò che avevano fatto non li chiesero, ma soprattutto per
i “criteri” maschilisti individuati per l’assegnazione.
La terza parte, “Patria/ patrie”, affronta il
tema delle diverse culture e dei diversi
modelli su cui le donne si sono formate ed
anche divise e contrapposte prima e nel
corso della guerra e il tema, ancora aperto
del loro ruolo nel dopoguerra e dell’avvio
alle prime esperienze di cittadinanza, nel
periodo della ricostruzione. Sono affrontati diversi aspetti della militanza politica
delle donne, tra i quali il tema delle
antifasciste e la tradizione socialista, e
ciò anche attraverso l’analisi delle biografie di alcune figure femminili (Frida
Malan, Tina Merlin). Ma per la prima
volta in modo approfondito, sono anche
analizzate le motivazioni e le modalità di
militanza delle donne che stavano dall’altra parte e del consenso femminile al
regime (dalla storia delle collaborazioni-
ste della Rsi, alle collaborazioniste processate a Roma, al ruolo di riviste quale
“Lumen”, al tema del patriottismo e della
fede fascista nella biografia di una dirigente delle donne del regime: Angela
Maria Guerra.
Contributi significativi vengono infine dati
su “silenzi e presenze nella storiografia
italiana” (Maria Grazia Soriano) e sulla
storia del movimento pacifista internazionale delle donne (Elda Guerra).
Le prospettive dopo il Convegno
Il volume si chiude affrontando il tema
delle “prospettive” con un importante intervento di Anna Bravo (una valente storica cui si devono le prime ricerche storiche
di “genere”) dal titolo Resistenze e riduzione del danno, che, con riflessioni
innovative di grande interesse, trae alcuni
spunti di valore generale su cui gli storici,
ma anche la politica sono chiamati a riflettere, confrontarsi e a ricercare ulteriormente.
Alla Bravo alcuni punti appaiono acquisiti, dopo il grande lavoro fatto: 1) la Resistenza è un oggetto plurale e differenziato
su cui occorre scavare ancora; 2) lo studio
delle lotte inermi, (la guerra senz’armi)
delle donne è una tappa importante di
questa ricerca; 3) l’opera femminile deve
diventare più visibile.
E fare ciò consente anche di rispondere ad
un uso politico della storia (l’attuale ondata revisionista) che la riduce a pura violenza, alla guerra civile e alle vendette del
dopoguerra, e di fare emergere la realtà e il
ruolo della resistenza civile e di come la
vissero le donne; consente di fare emergere valori e significati di umanità, di solidarietà, di lotta per la vita e per la pace, di
riscatto e liberazione individuale e collettiva, di ricerca di un modo diverso di
essere se stesse.
Valori e significati “carichi di futuro”,
oltre che autentici motori della partecipazione popolare femminile alla resistenza,
valori carichi di “politicità”, di un modo
diverso di intendere e vivere la politica.
Dunque, un Convegno, un libro importante che ci auguriamo, tante e tanti vorranno
leggere.
Un Convegno che certo non partiva da
zero, perché, soprattutto in alcune regioni,
(in Emilia, per esempio), in particolare
dalla metà degli anni ’70, è stato compiuto
uno sforzo di ricerca storica sul ruolo delle
donne, le cui fasi sono ricostruite nel Convegno. Recentemente, in particolare col
60o, le stesse protagoniste hanno cominciato a raccontarsi, dando ulteriori contributi di memoria storica.
Ma la novità e il valore del Convegno è
quello di collocare storicamente e nell’insieme il tema del ruolo delle donne in
quegli anni cruciali e di affrontarlo, appunto, da un punto di vista “di genere”,
cogliendo cioè il modo peculiare con cui
esse hanno vissuto guerra e Resistenza,
hanno gestito una quotidianità sconvolta,
hanno reagito all’orrore, analizzando il
percorso che le ha portate a compiere gesti
e scelte anomali, a prendersi rischi e ad
assumersi responsabilità nuove e maturando così un’idea diversa di sé stesse e del
proprio ruolo sociale.
A partire dal Convegno c’è motivo di
riflessione e di ulteriore ricerca su molteplici temi, per il movimento delle donne,
per gli storici, per la politica.
È un importante stimolo a continuare il
lavoro di ricerca, peraltro già avviato anche a Reggio nei singoli territori e sui temi
ancora aperti (tra questi, il ruolo delle
donne nel dopoguerra e negli anni seguenti). È di stimolo alle giovani donne a costruire un nuovo rapporto con le generazioni precedenti, ad attingere in modo creativo a quella memoria storica per ricavarne, nella concretezza del loro tempo, forza, consapevolezza, fedeltà ai valori universali che le donne di allora hanno saputo
difendere e proporre.
È uno stimolo e un segnale per la ricerca
storica in senso più ampio, che deve assumere finalmente l’approccio di genere
come un contributo determinante alla ricostruzione intera di quello e di altri processi storici, in cui gli aspetti politico,
militari, istituzionali non possono più essere disgiunti dall’esperienza e dal vissuto
quotidiano di coloro, donne e uomini appunto, che li vissero da protagonisti e non
solo subendoli.
È uno stimolo per la politica a ripensarsi,
nei suoi valori e nelle sue forme, assumendo sino in fondo il tema ancora aperto della
piena cittadinanza femminile, portando
così a compimento il percorso iniziato,
appunto, dalle donne che il Convegno del
“Cervi” e delle storiche ha saputo raccontare in modo così efficace, lucido e pienamente partecipe.
Eletta Bertani
Ricordati i caduti dello Sparavalle
Passo dello Sparavalle, 11 giugno 2006. Manifestazione in ricordo dei
partigiani caduti in combattimento nel giugno 1944. Hanno pronunciato parole di saluto i sindaci di Castelnovo Monti (Marconi) e di
Busana (Govi). I ragazzi delle scuole medie di Felina e di Busana
hanno letto loro elaborati sul tema della Resistenza e dei suoi valori.
(foto Fani)
Un aspetto del corteo che si dirige verso il cippo eretto in memoria
dei partigiani caduti Ennio e Marino Gilioli, Giulio Canedoli, Stelio
Baisi, Primo Cilloni, Marino Dallari, Florio Mughetti, Walter Incerti
Vecchi, Nello Lasagni, Almo Ferrari, Domenico Manfredi, Dino Morelli,
Mentore Pagani, Giuseppe Notari, Adelmo Ferrari, Enzo Parenti,
Ettore Simonazzi, Adolfo Tedeschi, Alberto Montanari.
Dietro i gonfaloni della Comunità Montana e dell’ANPI provinciale
sono visibili i sindaci di Busana (Govi), di Castelnovo M. (Marconi),
Fiocchi di Villa Minozzo ; il vice sindaco di Carpineti, la prof. Clementina
Santi, Assessore della Comunità Montana e due assessori di Collagna
e Ligonchio.
(foto Fani)
NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 29
Un partigiano di 16 anni
Bruno Friggeri Classe 1928 - Nome di battaglia Trédes
Partigiano nella 31ª Brigata Garibaldi e nella 76ª Brigata Sap (operante nel Reggiano)
Essendo nato a Montecchio (Reggio
Emilia) in ambiente famigliare contrario
al fascismo e dopo aver sopportato la morte di un fratello per mano di questi, il
Friggeri decise nell’autunno 1944 di aggregarsi alle formazioni partigiane che
operavano nelle colline circostanti il paese
di Ciano D’Enza già allora sede di distaccamenti dove però non venne accolto per
la sua giovane età.
Il suo carattere deciso lo spinse però a non
rassegnarsi ed egli si diresse verso il territorio parmense ed attraversando i paesi di
Tortiano, Basilicanova, Felino, Collecchio,
giunse a Fornovo dove sostò per una notte
da alcuni contadini che il giorno seguente
gli indicarono la via per la Valceno senza
seguire la strada provinciale che era sotto
il controllo delle truppe nazifasciste
Dopo aver percorso diversi chilometri,
Bruno si imbattè in un posto di blocco
partigiano che sorvegliava la strada, le
sentinelle lo fermarono e lo accompagnarono ad un comando partigiano che si
trovava nei pressi di Salsomaggiore e qui
i comandanti dopo qualche attimo di incertezza lo accettarono nelle file partigiane dandogli il nome di battaglia di Trédes
(13 in dialetto reggiano) e indirizzandolo
al campo di concentramento di Vischeto
presso Bardi nella ex fabbrica di talco.
Nei mesi di fine ’44 inizio ’45 le forze
nazifasciste stavano preparando un rastrellamento di vaste proporzioni e quando i
primi giorni di gennaio si ebbero le prime
avvisaglie gli addetti alla guardia del campo ebbero non poche difficoltà per occultare le anni e per lo sgombero dei numerosi
prigionieri che potevano servire per effettuare scambi.
Il comandante da cui dipendeva Trédes si
chamava Fiorello Donelli nome di battaglia Pippo ordinò che metà degli uomini
rimanesse sul posto per l’occultamento
delle armi e l’altra metà si dirigesse con i
prigionieri verso l’alta Valceno.
Trédes restò ad occultare le armi ed a
malincuore sotterrò il suo Bren quasi nuovo ma risparmiandosi alcuni caricatori che
si portò dietro durante lo sganciamento.
Il drappello dei partigiani rimasti al campo
una volta concluso il lavoro si diresse
anch’esso verso i confini dell’Appennino
ligure/emiliano sopportando disagi indicibili per il freddo, la neve alta e la paura
delle pattuglie di rastrellatori che grazie ad
un equipaggiamento adatto avevano un
notevole vantaggio da chi doveva fuggire
con poco cibo ed un vestiario inadatto alle
circostanze.
Il gruppo sfuggì alla cattura in modo
fortunoso per due volte e dopo aver incontrato un gruppo di altri fuggiaschi formato
solo da ex militari russi corse un’altro mortale pericolo quando da lontano credette di
aver trovato un altro gruppo di questa etnìa
che invece era una pattuglia di rastrellarori
appartenenti alla Divisione Turkestan dell’esercito tedesco tutti di etnìa mongola
largamente impiegati nelle azioni di rastrel-
Friggeri durante una manifestazione resistenziale accanto al Sindaco di Montecchio Iris
Giglioli.
30 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006
lamento. Dopo queste peripezie lo sconforto si insinuò nel piccolo gruppo di partigiani
e molti decisero di arrendersi presentandosi
ai posti di blocco sulle principali strade, ma
il giovane Trédes scelse di non andare con
i compagni e si diresse invece verso il paese
da cui erano partiti vedendo in questa località un posto accogliente. Era una scelta
coraggiosa non priva di incognite ma il
giovane partigiano si lasciò guidare dall’entusiasmo dei suoi 16 anni e dopo alcuni
giorni di sofferenza giunse a Vischeto dove
trovò il paese sconvolto, la gente impaurita
e non più disponibile come prima del rastrellamento, ma nonostante tutto per quella notte trovò accoglienza.
In quel tempo specialmente nel nostro
appennino la gente viveva in condizioni
misere e lo zaino contenente due coperte
che Trédes portava con sé fecero gola a
due ragazze che incontrò per strada che gli
chiesero se poteva regalargliele ma quelle
misere coperte erano tutto quello che poteva salvargli la vita ed oppose perciò un
netto rifiuto. La strada che portava verso
Bardi, Varsi, Varano era presidiata ancora
dai rastrellatori e Trédes si rese presto
conto che lo zaino e le coperte erano importantissime ma erano anche segno evidente della sua appartenenza alle formazioni partigiane e perciò se ne dovette
disfare se voleva sperare di passare inosservato ad eventuali posti di blocco.
Il suo senso del pericolo aveva funzionato
ancora perché i posti di blocco erano ad
ogni paese ma la sua giovane età e il non
portare bagagli gli consentirono di passare
senza problemi Bardi e Varsi e di arrivare
in quel tardo pomeriggio alla periferia di
Varano Melegari. Poco prima del paese si
fermò in un gruppo di case posto sulla
destra della strada, bussò e chiese ospitalità alla giovane donna che si presentò alla
porta che intuendo che si trattava di un
giovane partigiano lo fece entrare per
rifocillarsi e per passare la notte. Trédes
però non poteva immaginare che quella
giovane donna custodiva un tragico segreto e dopo poco confidò fra le lacrime che i
fascisti avevano fucilato il suo fidanzato
partigiano appartenente alla 31ª Garibaldi
con il nome di battaglia di Bistecca (Giulio
Rovacchi) anch’egli nato a Montecchio
come il giovane Trédes.
Con questo triste fardello nel cuore egli
abbandonò Varano per dirigersi verso la
natìa terra dove gli ultimi mesi della guerra
lo vedranno aggregato alla 76ª Brigata Sap
operante nel territorio di Montecchio fino
alla liberazione. La battaglia per la liberazione del paese è avvenuta il 23 aprile 1945.
(g.f.)
CITTADINI-DEMOCRAZIA-POTERE
Il porta a porta della discordia
La polemica sulla sperimentazione della
raccolta dei rifiuti urbani, chiamata “Porta
a Porta”, sta diventando sempre più forte e,
purtroppo, si sta radicalizzando, riducendo lo spazio per una valutazione serena e
obiettiva di quanto sta accadendo. Al momento sono due i fatti accertati: il primo è
che la sperimentazione, in corso nella 7a
Circoscrizione, non sta andando come i
promotori si attendevano, il secondo è che
i costi sono più elevati del previsto.
Non aiuta nemmeno l’attivismo dei comitati anti-inceneritore che vedono, in questo sistema di raccolta l’alternativa alla
costruzione dell’inceneritore e, nel disagio manifestato dai cittadini della 7a Circoscrizione, un’esagerazione alimentata dai
fautori del partito del termo-valorizzatore.
È una posizione sbagliata perché i problemi che sono emersi nella sperimentazione
ci sono e sono reali. Quando più di 1000
cittadini, fruitori del servizio mettono la
loro firma sotto una lettera di protesta,
questa non può essere liquidata come faccenda irrilevante o come atto pilotato da
forze politicamente ostili. La questione va
presa sul serio, soprattutto dal Comune di
Reggio che del “Porta a Porta” ne è promotore, E, allora, cominciamo col dire che la
raccolta Porta a Porta, se funzionerà, farà
innalzare in modo decisivo la quantità di
rifiuti riciclabili. Come tutti servizi diretti
al pubblico, però, esso deve, prima di ogni
altra cosa, funzionare bene, poi costare un
prezzo compatibile con le risorse disponibili. Nel caso del Porta a Porta, le condizioni del buon funzionamento sono, essenzialmente, quattro: la prima è che il nuovo
sistema non può obbligare i cittadini a fare
cose inadatte alla loro situazione abitativa
e alle loro condizioni personali o famigliari.
Non è nemmeno pensabile di privare i
cittadini della possibilità di liberare la casa
dai rifiuti quando lo ritenga necessario,
soprattutto quelli “umidi”, soggetti a rapido deterioramento, né farli carico di troppo ingombro, che può essere causato dalle
altre quattro categorie di rifiuti (carta, plastica, vetro e lattine e secco residuo). La
seconda è che il risultato di un più alto
livello di raccolta differenziata non può
essere raggiunto abbassando il livello
d’igiene privato, cioè quello dentro le abitazioni, né il livello d’igiene pubblico,
cioè quello delle strade e dei punti di
accumulo collettivi. Il rischio, a causa degli accumuli in casa e del deposito dei
sacchetti lungo le strade è molto concreto.
La terza è che occorre accompagnare il
nuovo metodo di raccolta con un sistema
incentivante in grado di premiare i com-
portamenti individuali virtuosi, in base al
principio “chi più separa e collabora più
risparmia”. Il quarto è quello di pervenire
ad un’efficienza in grado di mantenere i
costi ad un livello di compatibilità con le
risorse disponibili;
Con questa sperimentazione nessuna delle
condizioni appare soddisfatta. Infatti, le
lamentele più forti sono originate dal deterioramento delle condizioni igieniche sia
nelle abitazione che nelle strade e dall’approccio troppo “spinto e integrale” che si è
voluto dare alla sperimentazione. Da qui,
sembrano trarre origine episodi di “esportazione” di rifiuti in altre zone della città e i
più deplorevoli abbandoni lungo le strade
di cui hanno dato conto i giornali nelle
settimane scorse. Sulla necessità di un sistema incentivante e del deficit di tecnologia a
suo supporto, torneremo in una prossima
occasione. Importante, invece in questa fase
assumere un giusto approccio ai costi.
Dalla sperimentazione stanno emergendo
alti costi. Ma, data la complessità del Porta
a Porta, rispetto alla raccolta mediante
cassonetti, il fatto non sorprende. I costi
sono sensibilmente più alti rispetto alle
previsioni. Qualcuno parla anche del doppio. Se così fosse sarebbe un prezzo eccessivo che la collettività non potrà, certamente, accollarsi. Ma, se fossero apportati
aggiustamenti, improntati a maggiore realismo e semplificazione gestionale, anche
un ragionevole maggior costo, potrebbe
essere accettato dai cittadini.
Un sistema che consente un altissimo grado di recupero e riciclaggio e capace di
porre l’Italia in linea con gli obbiettivi
dell’Europa, merita anche un sacrificio
economico in vista di un più grande beneficio futuro. Ma come dicevamo all’inizio,
il servizio deve funzionare e deve farlo
senza imporre inutili e irragionevoli vincoli ai comportamenti privati dei cittadini
ai quali è lecito chiedere, soltanto, il dovere della collaborazione.
Per questi motivi, la possibilità di portare
al successo il Porta a Porta, passa dalla
capacità di risolvere i problemi che sono
emersi e stanno ancora emergendo con la
sperimentazione nella 7a Circoscrizione.
Bene ha fatto il Comune a procedere con la
fase sperimentale, ma prima di estenderlo
a tutta la città è necessario che ogni ragionevole insoddisfazione sia eliminata e che
il piano tecnico e finanziario a sostegno
del progetto complessivo sia più robusto e
completo di quanto non lo sia stato quello
della fase sperimentale. Infine, ma non per
importanza, il servizio Porta a Porta esteso
all’intera città, dovrà essere preceduto da
una forte promozione partecipativa dei
cittadini e di tutte le categorie sociali ed
economiche, perché il più importante dei
risultati non potrà venire che dalla loro
partecipazione informata e convinta.
Claudio Ghiretti
Bidoni e cassonetti della raccolta differenziata in un cortile della zona di Via Adua.
NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 31
SEGNALI DI PACE
di Saverio Morselli
Una certezza annunciata: nessuno (a
parte, forse, gli Stati Uniti) riesce a
capire le ragioni dello Stato di Israele,
nessuno è in grado di comprendere quella sorta di sindrome da accerchiamento
e da annientamento capace di cementare in modo così forte e trasversale il suo
popolo.
Evidentemente, è così che Israele la
pensa se, per l’ennesima volta, ha ritenuto legittima e assolutamente doverosa la durissima reazione militare (una
vera e propria guerra) in Libano, seguita al sanguinoso agguato Hezbollah a
una pattuglia di soldati e al rapimento di
due di essi.
Certo, non sfugge che la vera causa di
quella che D’Alema ha definito “reazione spropositata” va ricercata nel clima politico che infiamma attualmente il
Medio Oriente, ove ritrova vigore il
pensiero integralista a favore della eliminazione fisica degli “sionisti” o, dall’altra parte, la convinzione che gli
straccioni arabi vadano tenuti ad una
adeguata distanza di “sicurezza”.
D’accordo, per l’ennesima volta la diplomazia è in vacanza. Ma ciò che colpisce è la radicale diversità di vedute, la
distanza abissale che separa le parti.
Due esempi:
Il governo libanese accusa Israele di
voler imporre un nuovo ordine
mediorientale, intimidendo i Paesi arabi attraverso la devastazione del Libano, e rilancia: “Hezbollah è la conseguenza di anni di occupazione israeliana, l’unico responsabile di quanto sta
accadendo è Israele, uno stato che continua a martirizzare le popolazioni
palestinese e libanese e a violare
deliberatamente le risoluzioni Onu”.
Non una parola sulla capacità di
Hezbollah di colpire città israeliane;
non una parola sulle dichiarazioni irresponsabili del Presidente iraniano in
barba e giacchetta Ahmadinejad, non
un accenno alla aggressività di Hamas.
Ma tant’è: di fronte c’è solo morte e
distruzione.
Il vicepremier israeliano Peres rigetta
ogni accusa di aggressione a uno Stato
sovrano, ribadisce un curioso concetto
di guerra di difesa (“Stiamo solo difendendoci da un attacco premeditato di
Hezbollah, commissionato dall’Iran”)
e testualmente afferma: “Penso che dobbiamo combattere, non indiscriminatamente e con ritegno. […] Così difendia32 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006
mo la pace vera, quella in cui credo
profondamente, quella che deve ancora
venire e per cui continuerò sempre a
combattere”. Ed ancora, sul concreto:
“Tutti gli edifici su cui abbiamo sparato
erano pieni di armi, nascondigli, magazzini ed uffici di Hezbollah”. E la
strage di Cana (corteo funebre massacrato)? “Un errore, come ne possono
accadere in guerra”. Viene davvero da
chiedersi come un Premio Nobel per la
pace possa parlare così. Chissà cosa
vorranno mai dire per lui gli aridi numeri del conflitto che, se la logica ha ancora un senso, ha devastato il Libano senza neppure una vera e propria dichiarazione di guerra: 1069 vittime civili accertate, oltre 1000 feriti, un milione di
profughi, distruzione di aeroporti, strade, ponti, telecomunicazioni, acquedotti,
impianti elettrici ed industriali per un
costo di ricostruzione (per il quale
occorreranno 3-4 anni) di almeno 2,5
miliardi di dollari, 15.000 tonnellate di
greggio riversate in mare a seguito del
bombardamento della centrale di Jiyye,
per un costo di bonifica stimato in 100
milioni di dollari. E chissà se l’elevato
prezzo pagato anche dal suo popolo in
termini di vite umane e di distruzione
gli faranno sorgere qualche dubbio in
più…
La situazione mediorientale è e rimane
estremamente complessa ed è pertanto
arduo, forse presuntuoso, dare giudizi a
tavolino (o, come detto da una donna
nel rifugio per sfuggire ai razzi
Hezbollah, “dottoreggiare su una guerra contro il terrorismo che dovreste almeno capire e in cui siamo lasciati così
soli”), stabilire cosa è giusto e cosa non
lo è da dietro lo schermo di un computer. Ma ciò che non quadra in questo
contesto è che se da una parte è estremamente facile (e giusto!) condannare gli
atti di terrorismo che colpiscono la popolazione civile israeliana, se la protesta e lo sdegno montano ogniqualvolta
l’antisemitismo viene ignobilmente
riproposto, dall’altra la sacrosanta condanna per gli atti di vero e proprio
terrorismo di stato posti in essere dalle
autorità israeliane è attenuata, ridimensionata da una sorta di timoroso
giustificazionismo, di cattiva coscienza
storica che impedisce di prendere una
posizione netta e risoluta.
Il fantasma del genocidio è sempre lì,
aleggia in mezzo a noi. Un senso pro-
fondo di responsabilità collettiva ci impedisce di vedere e di credere che i
discendenti dei massacrati siano ora in
grado, talvolta, di rendersi responsabili
di nefandezze e di infamità.
Di eseguire esecuzioni mirate, di arrestare parlamentari o semplici cittadini e
di tenerli in galera per anni senza alcun
processo. Di radere al suolo case e villaggi, di creare muri divisori, di occupare arbitrariamente da decine di anni
terre che non gli appartengono..
Il mondo politico occidentale eccede in
cautele, ricorda l’inviolabile diritto di
Israele ad esistere e auspica, sì, auspica
(da cinquant’anni) che questo diritto sia
riconosciuto anche al popolo
palestinese. Riconosce come legittimo
il ricorso alla autodifesa, anche quando,
come certa guerra di recente accezione,
è “preventivo”, assolve i massacri di
civili attribuendone la responsabilità alla
feroce spregiudicatezza dei terroristi ed
infine, forse in nome della “Soah”, accetta passivamente il mancato rispetto
di decine e decine di Risoluzioni Onu.
Eh sì, criticare Israele non è solo disdicevole, ma presta il fianco all’accusa di
antisemitismo e di negazione delle ragioni storiche di un popolo che vive
accerchiato dalla ostilità di milioni di
arabi.
Ma chiudere gli occhi di fronte alla
realtà, per cruda e spiacevole che sia,
non aiuta il negoziato e tantomeno la
pace. Chiudere gli occhi sulle responsabilità, di chiunque siano, significa rendere un cattivo servizio alla giustizia e
alla credibilità di chi continua ad impegnarsi per una equa ed accettabile soluzione del conflitto mediorientale.
Ed allora, apriamoli questi occhi, e magari leggiamo il rapporto di Amnesty
International sulla guerra in Libano, nel
quale si accusa Israele di aver commesso “crimini di guerra” per aver
deliberatamente preso di mira le infrastrutture del Paese con lo scopo di far
rivoltare i civili e governo contro
Hezbollah. Gli elementi raccolti starebbero ad indicare che “un tale livello di
distruzione è stato premeditato e parte
di una strategia militare”. L’aviazione
avrebbe compiuto non meno di 7000
raid tra il 12 luglio e il 12 agosto, provocando oltre mille morti, metà dei quali
bambini.
Potremmo aggiungere, con Regis
Garrigues della associazione “Medecins
du Monde” che è stato accertato l’uso di
bombe a frammentazione e al fosforo
bianco.
Ma, a quel punto, l’accusa di antisionismo non ce la leverebbe nessuno.
OPINION LEDER
Ladro di opinioni
di Fabrizio "Taver" Tavernelli (Presidente Anpi Correggio)
Perversi giochetti linguistici
La linguistica è la scienza del linguaggio
articolato. Attraverso la lingua e le sue
diverse articolazioni possiamo creare e
disfare un senso, possiamo edificare o
abbattere una realtà. Il linguaggio come
l’architettura può arrivare ad ergere ardite
costruzioni che sembrano appoggiare sul
nulla, solide o eteree, ridondanti o
minimali. Mentre parliamo, mentre tutto
nel mondo ci rivolge la parola, si elaborano concetti, si da una lettura ed un’interpretazione del circostante e del
proiettabile. Il linguaggio è un potente
strumento magico-alchemico capace di
dare nuovi significati e come l’organo
che la sostiene nel suo svolgersi in parole
e pensieri, la lingua, può arrotolarsi in
grandi verità ed in grandi mistificazioni.
Ecco dunque qualche giochetto verbale
estivo a cui dare una propria interpretazione. Questa è soltanto la mia personale
traduzione di frasi, modi di dire, definizioni, etichette, aggettivi, neologismi che
da modo di dire si sono tramutati in senso
comune.
Sinistra radicale – forse un tempo ormai
lontano c’era solo la sinistra che si trovava ad essere radicale per sua stessa natura
fondante. Poi con la storia e con il nascere
della scienza politica ha cominciato ad
assumere diverse connotazioni. Oggi tutti tendono a rimarcare le differenze e la
distanza tra una sinistra moderata e
riformista ed una radicale. Il giochetto,
personalmente non mi appassiona ed anzi
mi pare un’insidiosa trappola. Simpatizzando il sottoscritto per ciò che è “radicale” (ma non violento, devastante o
autodistruttivo, che è altra cosa) credo
che l’aggettivo “radicale” che nei tg, nei
salotti buoni, ha assunto un carattere negativo si stia sempre più allargando sino
ad includere pensieri, azioni, sentimenti
che sino a ieri erano patrimonio della
sinistra senza aggiunta di altre specifiche.
Diventa dunque “radicale” (e quindi negativo) lo sciopero, diventa “radicale” (e
quindi negativa) ogni forma di protesta
che vada appena un pelo sopra le righe,
diventano “radicali” le azioni che nascono spontaneamente dal basso ed in più si
rispolverano ordinamenti d’emergenza,
come il concorso morale del codice Rocco,
per chi manifesta nelle piazze. Diventerà
radicale forse esprimere pensieri forti e
scomodi per il buon senso generale? Poi
mi chiedo, cosa c’è stato di più radicale in
questi anni, del liberismo selvaggio ed
inumano, cosa c’è stato di più radicale
dell’antipolitico Berlusconi, cosa c’è stato di più radicale della guerra preventiva
americana, cosa più radicale degli
integralismi religiosi, cosa c’è di più radicale dell’antistato e del razzismo leghista?
Io di fronte a queste “radicali” offese alla
giustizia ed all’intelligenza non posso che
rispondere radicalmente. Dunque permettetemi l’indignazione, lasciatemi protestare seriamente, lasciatemi l’incazzatura,
poi semmai ci posso ragionare sopra. Non
il contrario, pensando se è meglio far finta
di niente e cosa mi conviene, cosa ci
guadagno se assumo una posizione moderata e d’attesa. Qui non si vogliono
legittimare guerriglie urbane, auto incendiate, vetrine rotte ecc. si vuole soltanto
smascherare il sottile trabocchetto grazie
al quale un’opinione, una protesta decisa
e ad alta voce è stata fatta diventare “terrorismo”. Possibile che tutto quello che
sta al di fuori ed oltre i soporiferi teatrini
politici televisivi sia così estremo?
Partito democratico – tanta strada, tante
lotte, tante giuste differenziazioni per arrivare presto ad impersonare la parte della
corrente di sinistra della democrazia cristiana?
Calciopoli e campioni – … a questo
punto mi aspetto di ricevere una bordata
di fischi… ma aldilà della comprensibile
festa, del nazionale entusiasmo (attenzione però alla trasformazione in nazionalismo) e lasciatemelo dire della retorica,
non appare eccessivo, se non isterico quello che ha seguito la vittoria dei mondiali?
Non è che per caso dietro a questo sfilare,
urlare, dimenarsi della giovine Italia vi
sia da un lato il nulla, il calcio ed i suoi
testimonial-calciatori come ultimi eroi di
un futuro che non promette niente e dall’altro il gioco, l’aspetto ludico che nelle
epoche buie serve a fare dimenticare angosce, ansie, insicurezze. Qualcuno poi,
propone di proseguire la festa, con un’amnistia generale che cancelli la vergognosa
onta di calciopoli. Che si festeggi ad oltranza dunque!
Liberalizzazioni – tutti invocano il mer-
cato libero, tutti si dicono pronti alla
competizione… poi quando qualcuno
prende provvedimenti in tal senso ecco
che rispuntano lobbies varie,
particolarismi atavici, categorie che si
barricano, eredi di titoli e professioni per
albo genealogico che gridano allo scandalo. Si coalizzano farmacisti, taxisti,
notai, avvocati, monopoli televisivi ecc.
Tutti vogliono essere liberi di fare i loro
interessi senza che nella gara vi siano altri
concorrenti.
I nostri soldati – i figli del popolo.
Pasolinianamente parlando. Massima pietà e compassione, onore e gloria, lacrime,
bare e bandiere. Possibile che ancora oggi
i figli delle classi cosiddette popolari, i
ragazzi dell’Italia più povera abbiano
come unica chance per studiare, sposarsi,
pensare ad una casa, soltanto la partenza
per la guerra. Tutto questo
pasolinianamente detto, se permesso, da
uno che non è figlio di ricchi borghesi.
Commerciale – si è riusciti infine a rendere questa categoria il massimo dell’aspirazione giovanile. Quindi è tutto un fiorire ed un richiedere, senza tante pretese e
velleità intellettuali, di musica commerciale, cinema commerciale, immagine
commerciale, cibo commerciale… “il
commerciale” unisce, rassicurante e riconoscibile.
Laicismo – il dizionario dice: atteggiamento ideologico di chi sostiene la piena
indipendenza del pensiero e dell’azione
politica dei cittadini dall’autorità ecclesiastica. I teocon all’amatriciana sottolineano l’aggettivo “ideologico” e parlano
di deriva laicista. Noi allora possiamo
sostituire la prima parte con “cosciente
separazione di ruoli, tra sfera dell’intimo
e ambito pubblico” in questo modo anche
il presunto laicismo si può tranquillamente tradurre in laicità.
NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 33
L’INFORMAZIONE SANITARIA
Le risposte del Prof. Enzo Iori
Egregio prof. Iori,
sono una donna nubile di 59 anni. Col
caldo estivo faccio fatica a trovare il
sonno (abito alla periferia di
Correggio). I genere mi addormento
verso le 2 di notte. Ma al mattino verso
le 5 , 5,30 mi sveglio con una specie di
smania addosso e non resisto più a
stare a letto , anche se mi sento stanca
e vorrei dormire ancora.
Cosa posso fare? Io non ho mai preso
sonniferi, ma in questa mia situazione
possono servire?
Attendo una sua cortese e competente
risposta e la ringrazio.
Francesca S.
Cara Francesca, l’insonnia è un disturbo molto comune, circa il 14 percento
delle persone lamenta disturbi del sonno e tale percentuale aumenta con l’età,
raggiungendo il 33 percento dopo i
60-65 anni.
Nella antica Grecia il sonno era rappresentato come un adolescente che corre
leggero per dare agli uomini il riposo del
corpo e della mente con un papavero
nella mano destra ed un vaso del suo
succo nella sinistra. Il sonno era dunque
visto come quiete e distacco dalle fatiche quotidiane per recuperare energie in
vista di una nuova giornata.
Cosa è l’insonnia? È la sensazione soggettiva di non avere tratto sufficiente
riposo dal sonno, perché non abbastanza
lungo o non abbastanza ristoratore. Non
è dunque molto significativa la sola durata del sonno, poiché vi sono molte
differenze individuali in ciò. Vi sono
persone che dormono poco più di tre ore
per notte senza alcun disturbo (come
Napoleone, Papa Giovanni 23º,
Pirandello) ed altre che se dormono meno
di dieci ore non stanno bene.
Possiamo quindi concludere che è insonne chiunque, indipendentemente dalla durata del sonno, non dorme bene e
perciò non si sente in buona efficienza
fisica e mentale durante il giorno.
Vi è una insonnia primaria, quando il
paziente è sano e non ci sono apparentemente cause che giustifichino l’insonnia, ed una insonnia dovuta invece a
34 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006
malattie (come depressione, morbo di
Parkinson, dolore cronico, asma) od abitudini (come uso di talune sostanze medicinali, abuso di droghe o alcolici); è
chiaro che in tali casi si debba intervenire su queste cause per risolvere anche
l’insonnia.
Vi sono 3 tipi di insonnia: l’insonnia
iniziale con difficoltà all’addormentamento, l’insonnia centrale con numerosi
e prolungati risvegli, l’insonnia terminale con mancato ripristino del sonno
dopo un risveglio precoce notturno.
Se l’insonnia è occasionale è di solito
legata a stati momentanei soprattutto
di tipo ansioso legati a preoccupazioni, mentre l’insonnia cronica è un disturbo persistente che può diminuire il
benessere e le prestazioni della persona.
A seconda dell’età, delle cause dell’insonnia, dell’ambiente di vita il medico
curante prescriverà una terapia adeguata
alla situazione, concordandola con il
paziente.
Esistono due tipi fondamentali di terapia
dell’insonnia: una terapia farmacologica
ed una terapia non farmacologica.
La prima si basa sulla somministrazione
di determinati farmaci, detti ipnotici,
che aiutano ad indurre o mantenere il
sonno; tale terapia viene di solito preferita nei casi di insonnia a breve termine
o acuta. In passato venivano utilizzati i
barbiturici per indurre e mantenere il
sonno, mentre attualmente vengono prescritti soprattutto due tipi di farmaci: le
benzodiazepine utili per la fase di
addormentamento e gli antidepressivi
triciclici che regolano il sonno oltre ad
avere un effetto sulla depressione. Entrambi questi farmaci devono essere assunti sotto controllo medico perchè non
sono privi di effetti collaterali ed anche
perché gli ipnotici possono perdere efficacia nel tempo.
La terapia non farmacologica compone
della correzione di abitudini sbagliate
con una buona igiene del sonno e di vita;
esistono anche tecniche di rilassamento
muscolare e mentale, ed anche rimedi
cosiddetti “naturali” come la cronoterapia, la fototerapia e la fitoterapia che si
pongono come scopo quello di regolare
nuovamente l’orologio biologico interno.
Questi due tipi di terapia possono anche
essere prescritti insieme, ma è in ogni
caso importante parlarne con il proprio
medico curante.
Ecco infine alcune “regole d’oro” per
dormire meglio: dormire in ambiente
fresco, buio, silenzioso, ove non siano
presenti stimoli antagonisti del sonno,
come presenza di scrittoio e cyclette;
astenersi da cene abbondanti, alcol, fumo,
caffe e tè alla sera; evitare di dormire di
giorno; ripetere gesti abitudinari prima
di dormire, come mettere in ordine gli
abiti dopo esserseli tolti, lavarsi i denti,
puntare la sveglia; fare durante il giorno
attività motoria moderata e regolare,
come camminare, evitandola invece prima di coricarsi; evitare intenso esercizio
intellettuale la sera; cercare di rilassarsi
prima di andare a dormire con un bagno
caldo, una tisana rilassante o leggendo
un libro a letto.
CONOSCERE GLI ALTRI
I Careli
I Careli sono un popolo di stirpe finnica che usano chiamare se
stessi karjalaiset, un etnonimo, questi, molto probabilmente
derivato da garja = foresta, dalla quale presero nome anche gli
originari abitanti delle zone boscose che si trovavano a nord-ovest
del lago Ladoga, assieme all’altra tribù finnica dei Vepsi, con gli
elementi della quale spesso si mischiarono. Furono i Russi a
coniare l’etnonimo Korely o Karely, dando a questi il senso
dispregiativo di: luridi briganti della foresta.
Attualmente i Careli contano in tutto circa 130.000 individui la
Kalevala. Illustrazione di T. Jufa.
maggior parte dei quali (80.000) residenti nel loro omonimo
territorio, mentre un altro gruppo di essi si trova nella regione Tver.
Come tipo antropologico i Careli si presentano quali individui di
alta statura, se non dei veri giganti, dalla corporatura slanciata e
con viso dai lineamenti regolari. Hanno folta barba e capelli
castani, ed immensi occhi grigio-azzurri, che rispecchiano il loro
carattere mite e sognante che li dispone alla poesia. Vedi in tal
caso il magnifico poema epico “Kalevala”, dove esprimono tutto
il loro quieto vivere, tra sonnolenti foreste e luoghi romiti.
L’economia dei Careli meridionali in passato si basava essenzialmente su un tipo di agricoltura settentrionale, mentre nelle regioni
del nord prevaleva la caccia, la pesca e il taglio del legname, e il
suo trasporto per via terra o per fluitazione.
La quasi totalità dei Careli professa la fede cristiano ortodossa
russa, pur rimanendovi inseriti alcuni elementi di antica provenienza sciamanica.
Riccardo Bertani
Fanciulle careliane alla raccolta di funghi nella foresta.
Detti e proverbi careli
– Il nemico non si combatte a parole, ma coi fatti.
– Se hai una moglie chiacchierona, sai di tutto il villaggio.
– Non sperare di ricevere consigli da un taciturno.
– Ogni lampo di felicità, equivale ad un raggio di sole.
– L’ardore dei giovani si spegne alla prima folata di vento.
– La volpe furba è difficile che cada nella tagliola.
– Considera come un fratello chi giace nell’indigenza.
– Se vai nella foresta, non è con l’odio che puoi uccidere un
orso.
– L’astuto osserva senza mai darlo a conoscere.
– Le brutte parole è meglio che ti rimangano avvolte nei baffi.
– Non sono le preoccupazioni che ti uccidono, ma la tristezza.
– Del tuo paese natale conosci perfino i cespugli.
– Se ascolti la gente, ti accorgerai che non tutto quel che si dice
è vero.
– Basta una bella canzone per renderti gaia la vita.
– La lingua non avendo ossa la puoi manovrare come vuoi.
Traduzione di Riccardo Bertani
NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 35
I NOSTRI LUTTI
SANTE
SPAGNI
(Spadino)
Il 22 giugno 2006 è mancato all’affetto dei
suoi cari Sante Spagni Spadino, di 83 anni,
ex Partigiano.
Aveva militato nel 3° battaglione della 76a
Brigata Sap “Angelo Zanti”, comandata
da Paride Allegri Sirio, che operava dal
Secchia all’Enza e dalla zona collinare alla
via Emilia.
Sante, figura semplice e generosa dedita al
lavoro e alla famiglia, era amato e stimato
da tutti. Negli ultimi anni, le ore di svago
le trascorreva con gli amici e soci del
Centro sociale “La Rocca” di Scandiano.
Venerdì 23 giugno, al funerale in forma
civile, era accompagnato dalle canzoni
della Resistenza suonate dal Corpo
bandistico di Albinea, da tante bandiere
rosse e dell’Anpi, compresa quella della
Val d’Enza, dove Sante ha sempre operato, portata da Ivo Mareggini.
Alla moglie Lucia, ai figli Liseo e Silvana
e ai parenti tutti va l’abbraccio affettuoso
e le più sentite e profonde condoglianze
dell’Anpi di Scandiano.
Per onorarne la memoria e con profondo
ricordo, la Famiglia sottoscrive pro “Notiziario”, come il loro Sante ha sempre fatto.
Anpi-Scandiano
ENZO
SETTI
(Ferruccio)
L’8 giugno 2006 è deceduto Enzo Setti
Ferruccio, di Rubiera, nato nel 1913, Partigiano e perseguitato politico durante il
ventennio fascista, già dirigente dell’Anpi
rubierese.
Il figlio Davide con la sorella Ileana uniti
ai parenti e compagni lo ricordano con
affetto e ne onorano la memoria con un’offerta al “Notiziario Anpi”.
36 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006
GIOVANNI
BATTISTA
MARTINELLI
(Cino)
Per ricordare la scomparsa del Partigiano
Giovanni Battista Martinelli Cino, avvenuta il 5 maggio scorso, la sorella Nelde
sottoscrive pro “Notiziario”.
ULTIMIO
CASSINADRI
(Fra’ Diavolo)
Ad alcuni mesi dalla scomparsa, avvenuta
il 12 maggio 2006, del Partigiano Ultimio
Cassinadri Fra’ Diavolo, la moglie Carla e
i figli Alfeo, Caterina e Maria Grazia lo
ricordano con tanto affetto e sottoscrivono
pro “Notiziario”, che non mancava di leggere e sostenere.
ALBERTA
BUFFAGNI
ved. Canepari
Il 2 agosto u.s. è mancata all’affetto dei
suoi cari Alberta Buffagni.
Per Alberta
Con un sorriso, uno scherzo, una partita a
carte, hai riempito le nostre vite.
Hai portato a tutti noi, sereno e reale, il
ricordo della tua vita partigiana e delle
tue origini agresti.
La mattina, ancora con la vestaglia, eri
già con la scopa in mano, nel cortile o in
strada a conversare e a scherzare con
qualsiasi anima del creato.
La tua simpatia e la tua curiosità per le
cose della vita hanno sempre accolto la
compagnia di amici e parenti e, nonostan-
te fosse difficile avere la meglio facendoti
cambiare idea, poi tutti tornavano assetati
della tua compagnia.
Ma lo scherzo ora ce lo hai fatto davvero
grosso: non sei più qui con noi, ma ti
promettiamo che faremo tesoro del tuo
essere “Buffagna” e cercheremo di vivere
come se tu fossi ancora qui con noi.
Ciao zia
Mirna
GIUSEPPE
RINALDINI
(Spalla)
Il 1° agosto u.s. è deceduto in età di 82 anni
il partigiano della 145ª Brigata Garibaldi
Giuseppe Rinaldini, Spalla (noto anche
col soprannome di Pinca), di San Prospero
Strinati. La moglie Ernesta e i figli
Gianfranco e Aloma ne onorano la memoria con un’offerta pro Notiziario.
ERMES
TONDELLI
L’11 agosto u.s. è deceduto il compagno
Ermes Tondelli. Nato nel 1910 in una
famiglia contadina, aveva compiuto 96
anni il 3 maggio scorso. A suo tempo non
ebbe il riconoscimento della qualifica di
partigiano, ma durante la Resistenza fu
impegnato in un lavoro politico assai rischioso nella zona di Villa Cavazzoli, a
fianco di Paolo Davoli. Per molti anni
attivista dell’ANPI, fu anche funzionario
del Pci. Diede inoltre un prezioso contributo di testimonianza con i suoi interventi
nelle scuole in collaborazione con Istoreco.
Abile disegnatore, accompagnava le sue
testimonianze, per una maggiore efficacia
didattica, con una bellissima “mappa della
memoria”: il territorio allora campestre di
Villa Cavazzoli dalla periferia ovest di
Reggio fino alla Valle di San Giulio,
evidenziando case di latitanza, percorsi
notturni dei partigiani, luoghi di incontro
I NOSTRI LUTTI
tra Paolo Davoli e giovani reclutati nelle
file della Resistenza.
La morte lo ha colto nella casa di riposo
di Casina dopo due mesi dal suo ricovero. Molti lo ricordano, già ultraottantenne, quando in vacanza a Castelnovo
Monti saliva quasi ogni mattina, con
passo fermo, verso la Piera di Bismantova.
Ai familiari del caro Ermes giungano le
condoglianze dell’Anpi e della redazione
del Notiziario.
ALDO
GIANOTTI
(Furia)
Il 21 agosto u.s. è deceduto, amorosamente assistito fino all’ultimo dalla signora Maria, Aldo Gianotti Furia, di Villa Gavassa. Nato nel 1925, operaio alla
Lombardini, era stato partigiano della
145.a Brigata Garibaldi. Lo annunciano
addolorati e commossi i figli Pietro e
Claudio, le nuore Carla e Alessandra, i
nipoti Gabriele, Erik e Greta, le sorelle
Amedea e Iside, unitamente a tutti i familiari.
Essi ringraziano, per la partecipazione alle
esequie, l’ANPI ed in particolare il suo
Vice Presidente provinciale Orio Vergalli,
che vi ha tenuto una toccante orazione
funebre.
In onore del caro scomparso offrono pro
Notiziario.
LUIGI
CANTAGALLI
(Fumo)
1° ANNIVERSARIO
Nel primo anniversario della scomparsa,
avvenuta l'8 agosto 2005, del partigiano
Luigi Cantagalli Fumo, rinnovano la memoria del caro congiunto i suoi familiari
con un'offerta al “Notiziario Anpi”.
ANNIVERSARI
PIETRO
GOVI
(Piretto)
1° ANNIVERSARIO
Il 24 luglio scorso ricorreva il 1° anniversario della scomparsa del Partigiano Pietro Govi Piretto, di Rio Saliceto. La moglie Umberta, le figlie Adriana e Lorena lo
ricordano con immutato affetto e sottoscrivono pro Notiziario.
***
Il 24 luglio scorso ricorreva il 1° anniversario della scomparsa di Pietro Govi, partigiano combattente con il nome di battaglia Piretto nel distaccamento “G. Matteotti” della 144ª Brigata Garibaldi.
Per onorarne la memoria e per ricordarlo
con profonda nostalgia agli amici e ai
familiari.
“Dove sei tu non so
pure mi è facile pensarti
e credere al tuo viso, alla tua voce”.
Lo ricordano con tanto affetto Katia, Adele, Silvano, Nadia, Simona, che sottoscrivono pro “Notiziario” per mantenere viva
la sua memoria.
BRUNO
MARZI
(Mem)
6° ANNIVERSARIO
Il giorno 14 luglio ricorreva il 6° anniversario della scomparsa di Bruno Marzi Mem,
partigiano combattente del distaccamento
“G. Matteotti” della 144ª Brigata Garibaldi.
La mia ombra
La mia ombra combacia
lievemente, delicatamente,
con la tua, padre mio,
ma dove di è nascosto il sole
/ raggiante del passato.
Lo ricordano con tanto affetto Katia, Adele, Silvano, Nadia, Simona, che sottoscrivono pro “Notiziario” per mantenere viva
la sua memoria.
LINDA
ORLANDINI
in Manzotti
2° ANNIVERSARIO
Il 27 luglio ricorreva il 2° anniversario
della morte di Linda Orlandini Manzotti,
che durante la lotta di Liberazione, a soli
14 anni, era organizzata come staffetta
nella 77ª Brigata Sap.
Per rinnovare la sua cara memoria, il marito e il figlio, con la nuora e i nipoti,
offrono pro “Notiziario”
CESARE
MELIA
8° ANNIVERSARIO
Il 9 agosto scorso ricorreva l’8° anniversario della scomparsa del caro Cesare Melia.
La moglie Silvia e i figli Cinzia e Ivano lo
ricordano con immutato affetto ed offrono
pro “Notiziario”.
GINO
SETTI
(Susmel)
2° ANNIVERSARIO
Il 16 agosto u.s. ricorreva il 2° anniversario della scomparsa del partigiano Gino
Setti (Susmel) di Reggiolo Commissario
di Btg. della 26ª Brigata Garibaldi. Lo
ricordano con profondo rimpianto i familiari offrendo pro “Notiziario”.
Per un sostegno finanziario al
"NOTIZIARIO"
Tel. 0522/432991 (solo mattino)
NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 37
ANNIVERSARI
MARIA
BARBANTINI
5° ANNIVERSARIO
Il 5 luglio 2006 ricorreva il 5° anniversario della scomparsa di Maria Barbantini
di Ligonchio. La ricordano con immutato
affetto il marito Ennio Felici, i figli Giuseppe e Maria Grazia, i nipoti Roberto e
Marco, la nuora Carla e il genero
Tommaso e sottoscrivono per il “Notiziario Anpi”.
DUILIO
CARRETTI
(Giuseppe)
7° ANNIVERSARIO
Cadeva nel mese di luglio il 7° anniversario della perdita del caro Duilio, pertanto
la moglie Clite, la figlia Meris, il figlio
Mauro ed i nipoti nel ricordarlo con tanto
affetto, offrono un contributo a sostegno
del “Notiziario”, consapevoli dell’interesse che lui nutriva verso questo strumento
d’informazione sui valori della Resistenza
e della libertà.
DAVIDE
VALERIANI
(Formica)
5° ANNIVERSARIO
Il 25 settembre 2006 ricorre il 5° anniversario della scomparsa del partigiano Davide Valeriani Formica.
La moglie e i figli nel ricordarlo con
immutato affetto sottoscrivono pro Notiziario.
38 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006
VILMA
GALAVERNI
ved. Verzelloni
7° ANNIVERSARIO
Il 17 agosto 2006 ricorreva il 7° anniversario della scomparsa di Vilma Galaverni,
amica dell’Anpi di Roncocesi, la ricordano con immutato affetto le famiglie
Galaverni e in suo onore offrono pro “Notiziario Anpi”.
VOLMER
VERZELLONI
14° ANNIVERSARIO
Il 3 ottobre 2006 ricorre il 14° anniversario
della scomparsa del Patriota Volmer
Verzelloni di Roncocesi. Lo ricordano con
affetto le famiglie Galaverni offrendo in
suo onore pro “Notiziario Anpi”.
SEVERINO
MORI
(Carnera)
5° ANNIVERSARIO
Il 21 luglio scorso ricorreva il 5° anniversario della scomparsa del Partigiano
Severino Mori Carnera della 77a Brig. Sap
“F.lli Manfredi”.
I figli Nadia e Claudio lo ricordano con
immutato amore, conservando di lui un
ricordo indelebile per i valori che ne hanno
sempre ispirato l’opera e per tutto l’amore
che ha riservato loro. In suo onore sottoscrivono pro “Notiziario Anpi”.
DANTE
CALZOLARI
(Spada)
1° ANNIVERSARIO
Il 18 luglio 2006 ricorreva il 1° anniversario della scomparsa di Dante Calzolari
Spada, Partigiano combattente della 26a
Brig. Garibaldi. Ferito in combattimento a
Villa Codemondo, nella fase di “pianurizzazione” della lotta, Calzolari fu anche
detenuto ai Servi e duramente torturato a
Villa Cucchi. Operaio delle Reggiane, fu
protagonista della epica occupazione della
fabbrica nel 1950. Aveva sempre vissuto in
via Cassala, nel quartiere operaio per eccellenza di Santa Croce Esterna. Ne ricorda la
nobile figura, con un offerta al “Notiziario”, il nipote Luciano con la famiglia.
FRANCO
ROSSI
27° ANNIVERSARIO
Nel 27° anniversario della scomparsa di
Franco Rossi, avvenuta l’8 settembre 1979,
la mamma lo ricorda insieme al papà Dino,
scomparso 6 mesi fa. In loro memoria
sottoscrive pro “Notiziario Anpi”.
GIOVANNI
BERTOLINI
(Paolo)
4° ANNIVERSARIO
Il 29 agosto cadeva il 4° anniversario della
morte del partigiano Giovanni Bertolini
Paolo, ex volontario antifranchista in Spagna. La moglie, i figli e i nipoti lo ricordano
e sottoscrivono a sostegno dell’Anpi.
OFFERTE
IL "NOTIZIARIO ANPI" E' UNA VOCE DELLA RESISTENZA E DELLA DEMOCRAZIA.
PER VIVERE HA BISOGNO DEL TUO AIUTO
– LEA FRANCIA ......................................................... €
– ANNA TONDELLI e figli in memoria di Franco
Cigarini ...................................................................... ”
– ANSELMO BISAGNI e ANGIOLINA a ricordo di
Casoli Renato e Valentina ......................................... ”
– FAM. UGOLOTTI a ricordo del loro familiare
scomparso .................................................................. ”
– CESIRA GIBERTONI .............................................. ”
– ANPI e UDI di Medicina ........................................... ”
– BRUNO FANI ........................................................... ”
– FAM.GOVI in memoria di Pietro Govi “Piretto” ..... ”
– NADIA e CLAUDIO MORI in memoria del padre
Severino “Carnera” .................................................... ”
– ANPI di Campegine .................................................. ”
– PAOLINA- WILLER e VALENTINA in memoria
di Morabello Pinotti ................................................... ”
– EX PARTIGIANI DIST. F.LLI ROSSELLI in memoria dei caduti ......................................................... ”
– AGIDE CORRADI .................................................... ”
– CENRO SOCIALE OROLOGIO .............................. ”
– LUCIANO CALZOLARI a ricordo dello zio Dante . ”
– ERMES LUSETTI ..................................................... ”
– PEPPINO CATELLANI ........................................... ”
– DAVIDE e ELIANA SETTI a ricordo di Enzo
“Ferruccio” ................................................................ ”
– FAUSTO BERGIANTI e figlio ................................. ”
– FAM.SPAGNI per onorare la memoria di Sante
Spagni ........................................................................ ”
– ANPI SCANDIANO a ricordo di Sante Soragni
“Spadino” .................................................................. ”
– OSTILIANA PIPERI ................................................. ”
– FERNANDO IBATTICI – CARPINETI .................. ”
– ENNIO FOLIERI – Ligonchio in memoria della
moglie Maria Barbantini ............................................ ”
– DOMENICO SIMONELLI a ricordo del fratello
Ulderico ..................................................................... ”
– EMMA RAVAZZINI e fam. per onorare il marito
Emilio “Miglietto” ..................................................... ”
– LUIGI GALAVERNI in memoria della sorella e del
cognato ...................................................................... ”
– FAM. CARRETTI per la ricorrenza della scomparsa
di Duilio Carretti ........................................................ ”
– NELDA MARTINELLI per ricordare il fratello
Giovanni Battista “Cino” ........................................... ”
– VALTER CROCI in memoria di Giulio Croci .......... ”
– BRUNO e PIETRA CARLETTI ............................... ”
– RENZO SPAGGIARI ............................................... ”
– GIOVANNI geom.BELPOLITI per avere visionato
il notiziario ANPI ...................................................... ”
– CESARINO MORSELLI – Reggiolo ....................... ”
– ADA BARTOLI ........................................................ ”
– CLAUDIO GALLI per onorare il padre Secondo ..... ”
– PAOLA TORINELLI GORI a ricordo del marito
deceduto in un incidente sul lavoro ........................... ”
– MARIA MATTIOLI a memoria di Franco Rossi ..... ”
– DIMMA ROSSI in memoria di Franco Rossi ........... ”
– NEALDA DONELLI a ricordo della mamma
Maria Manzotti .......................................................... ”
– CARLA CASSINADRI in memoria del marito
Ultimio ....................................................................... ”
– CESARE e EURIDE SORAGNI ............................... ”
– MARIA ROSA FRANCHI a ricordo della mamma
Domenica ................................................................... ”
– RICCARDO CAMPIOLI .......................................... ”
– SANDRA PANINI .................................................... ”
– SILVIA MELIA e figli a ricordo del marito Cesare
nell’8° anniversario della morte ................................ ”
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– TIZIANA PIGOZZI in memoria della sorella nel
1° anniversario della scomparsa ................................ ”
– RINO TORREGGIANI e FANNI CARRI in memoria di Alberta Buffagni ............................................... ”
– EBE e FRANCO CANEPARI per ricordare Alberta
Buffagni ..................................................................... ”
– DELEDDA in memoria della madre Maria Manzotti ”
– DEMUS MANZOTTI e fam per ricordare il 2°
anniversario della scomparsa di Linda Orlandini ...... ”
– FAM. VALERIANI per ricordare il marito Davide
Valeriani .................................................................... ”
– NERINA CODELUPPI in memoria della partigiana
Alberta Buffagni ........................................................ ”
– MAURO, LIDIA VIANI e famiglia a ricordo di
Alberta Buffagni ........................................................ ”
– BICE MONTANARI BERTOLINI e famiglia per
onorare Giovanni Bertolini “Paolo” .......................... ”
– FAM. GOVI e amici in memoria di Pietro Govi ....... ”
– FAM. MARZI a ricordo di Bruno Marzi ................... ”
– ENNIO PISTONI “Jard” – Carpineti ........................ ”
– LUCA BUFFAGNI per ricordare il nonno Marino
Bertani “Massa” ......................................................... ”
– GIORGIO e ORNELLA BUFFAGNI in memoria
di Alberta Buffagni .................................................... ”
– PIETRO BUFFAGNI per onorare Alberta Buffagni . ”
– BRUNA e RAFFAELLA in ricordo di Alberta
Buffagni ..................................................................... ”
– SILVIA CANEPARI in memoria della madre
Alberta Buffagni ........................................................ ”
– MIRNA CANEPARI a ricordo di Alberta Buffagni . ”
– KATIA CANEPARI a ricordo di Alberta Buffagni .. ”
– ANGIOLINA CASOTTI in memoria di Alberta
Buffagni ..................................................................... ”
– DOMENICO CANEPARI a ricordo di Alberta
Buffagni ..................................................................... ”
– MERCEDES CANEPARI in memoria di Alberta
Buffagni ..................................................................... ”
– LAURA CANEPARI a ricordo di Alberta Buffagni . ”
– BENIAMINO CANEPARI in memoria di Alberta
Buffagni ..................................................................... ”
– DOMINICO INCERTI per ricordare Alberta
Buffagni ..................................................................... ”
– SILVANO DALLARI per onorare la memoria di
Alberta Buffagni ........................................................ ”
– KATIA SALSI a ricordo di Enzo Salsi ..................... ”
– SIDRACO CODELUPPI – Poviglio ......................... ”
– ERNESTA BONACINI in Rinaldini e famiglia
a ricordo del marito ................................................... ”
– FAM.SETTI – Reggiolo per onorare Gino Setti
“Susmel” nel 2° anniversario della morte ................. ”
– LUCIA ZANICHELLI in memoria di Alberta
Buffagni ..................................................................... ”
– GENOEFFA, PIERINA, FRANCO, TINA, TERESA VENTURI per Alberta Buffagni ......................... ”
– BRUNO FANI per ricordare Aldo Gianotti .............. ”
– BRUNO FANI e NORMA BONORI per onorare
Norma Cagnoli Magnanini ........................................ ”
– ANNA MARIA OLMI .............................................. ”
– ELETTA CERVI, figli e nipoti per ricordare Walter
Cervi nel 2° anniversario della morte ........................ ”
– PIETRO GIANOTTI, figli, nuore e nipoti per onorare Aldo Gianotti ...................................................... ”
– ANGELA FERRETTI in memoria del marito Luigi
Cantagalli “Fumo” ..................................................... ”
– LAILA e MIRIA GROSSI in memoria di Alberta
Buffagni ..................................................................... ”
– IVAN BEDOGNI ...................................................... ”
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NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 39
Brescia
e Reggio
unite
nel ricordo
del 7 luglio
e di
Piazza
della Loggia
7 luglio 2006. Alcuni aspetti della
commemorazione del 46° anniversario dell’eccidio in cui caddero
Lauro Farioli, Ovidio Franchi,
Emilio Reverberi, Marino Serri,
Afro Tondelli.
Anche quest’anno era presente il
gonfalone dell’Anpi di Brescia,
portato dal prof. Ermanno Redeghieri (bresciano di origine reggiana) in significativo gemellaggio
ideale tra l’eccidio di Reggio e la
strage di Piazza della Loggia.
40 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006