n°7 - indiosmundo.reggio
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Spediz. in abb. post. - Tab. C, art. 2/C – Art. 1 comma 2 - Art. 2 comma 1 d.l. 23-12-2003/ n. 353 - G.U. 29-12-2003 - Filiale R.E. - Tassa pagata taxe perçue - Anno XXXVII - N. 7 - Agosto-Settembre 2006 - In caso di mancato recapito rinviare all'Ufficio P.T. di Reggio Emilia detentore del conto per restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa. NOTIZIARIO MENSILE del Comitato Provinciale Associazione Nazionale Partigiani d'Italia di Reggio Emilia «FARE L’AMORE CON LA NON-VIOLENZA PER PARTORIRE LA PACE DAL GREMBO DELLA SOCIETÀ» (Angelo Frammartino, volontario per l’assistenza a bambini palestinesi, ucciso da un arabo a Gerusalemme il 10 agosto 2006) Sommario pag. pag. – L’Anpi davanti alle sfide del presente e del futuro, di Giacomo Notari .......................................................................... 3 – “Con voi dell’Anpi mi sento una grande famiglia”. Intervista al neo segretario Ds Giulio Fantuzzi, a cura di Antonio Zambonelli ....................................................................... 4 – Dario sempre con noi ..................................................................... 5 – Non dimentichiamo la Palestina!, di Daniela Lorenzoni ................ 6 – L’Anpi di Reggio Emilia per i bambini Palestinesi ........................ 7 – È in gioco il futuro di Israele, di d.l. ............................................... 8 – Chi è amico di Israele?, di a.z. ........................................................ 9 – I tristi strascichi della guerra, di Riccardo Bertani ......................... 10 – Mondiali antirazzisti 2006, di Fabio Dolci ..................................... 11 – Spagna 1936-2006. Ricordo della guerra civile, di Antonio Zambonelli ................................................................... 12 – Estate 1936. I primi dodici reggiani volontari antifranchisti in Spagna, di a.z. ............................................................................ 13 – Donne in guerra, donne di pace: libro e recital al Museo Cervi, di Gino Belli ................................................................................... 15 – Tornare a Falcade, di Bruno Grulli ................................................. 16 – Un romanzo che ci tuffa nella storia sociale dell’Ottocento, di Antonio Zambonelli ................................................................... 18 – Che lo spirito di Zapatero sia con noi, di g. b. ................................ 19 – Convitto scuola di Rivaltella .......................................................... 20 – La Resistenza vive nella Costituzione, di Alessandro Fontanesi ... 21 – Visita delle classi III di Poviglio alla Benedicta ............................ 21 – Nino Barazzoni, una vita tra due mondi, recensione di a.z. ........... 22 – “Abbasso il Duce”, video resistente girato a San Polo d’Enza ...... 22 – Il No al referendum: quant’è bella la nostra Costituzione, di Glauco Bertani ............................................................................ 23 – 24-25 maggio ’44. L’assedio di Villa Minozzo nel racconto di una bambina di dieci anni, di Sandra Zambonini ........................... 24 – Sono ancora necessarie le basi Usa in Italia?, di Bruno Bertolaso .......................................................................... 25 – In ricordo di Enzo Salsi, di Sidraco Codeluppi .............................. 26 – Restaurata in Camporanieri la stele per i partigiani Malaguti e Simonazzi ..................................................................... 27 – Un grave lutto a ha colpito Giannetto Magnanini .......................... 27 – Guerra-Resistenza-Politica: Storie di donne, di Eletta Bertani .............................................................................. 28 – Un partigiano di 16 anni: Bruno Friggeri, di g.f. ........................... 30 2 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 *** Le rubriche – Cittadini-Democrazia-Potere, di Claudio Ghiretti .......................... 31 – Segnali di Pace, di Saverio Morselli .............................................. 32 – Opinion leder, di Fabrizio “Taver” Tavernelli .............................. 33 – L’informazione sanitaria. Le risposte del prof. Enzo Iori .............. 34 – Conoscere gli altri: i Careli, di Riccardo Bertani ........................... 35 *** – I nostri lutti ..................................................................................... 36 – Anniversari ..................................................................................... 37 – Offerte ............................................................................................ 39 NOTIZIARIO A.N.P.I. Spedizione in abbonamento postale - Gruppo III - 70% Mensile del Comitato Provinciale Associazione Nazionale Partigiani d'Italia di Reggio Emilia e-mail: [email protected] Proprietario: Giacomo Notari Direttore: Antonio Zambonelli Comitato di redazione Eletta Bertani, Glauco Bertani, Ireo Lusuardi Collaboratori: Massimo Becchi, Riccardo Bertani, Bruno Bertolaso, Sandra Campanini, Nicoletta Gemmi, Enzo Iori, Enrico Lelli, Saverio Morselli, Fabrizio Tavernelli Registrazione Tribunale di Reggio Emilia n. 276 del 2 Marzo 1970 Stampa: Litograf 5 - Reggio Emilia Questo numero è stato chiuso in tipografia il 24 agosto 2006 *** Per sostenere il “Notiziario”: BIPOP CARIRE, piazza del Monte (già Cesare Battisti) - Reggio Emilia c.c. bancario n. 11819 ABI 5437 CAB 12811 (specificare la causale). L’Anpi davanti alle sfide del presente e del futuro Al 14° Congresso della nostra associazione, gennaio 2006, fra tanti temi ci ponemmo una domanda: dopo i sessantesimi della liberazione dal fascismo e dalla monarchia, della conquista del voto alle donne, della nascita della Repubblica e della Costituzione, c’è ancora bisogno di un’associazione partigiana che incarni in sé i valori della resistenza, li difenda con altre forze democratiche, mettendo al sicuro i principi costituzionali? A tale interrogativo rispondemmo di sì, che c’è ancora bisogno dei vecchi e nuovi resistenti. Le modifiche allo Statuto (sancite dal Congresso nazionale) che consentono ai giovani di entrare a pieno titolo nella nostra associazione sono soltanto la logica conseguenza di tale risposta. Riprendiamo il discorso in merito in un momento politico di non facile interpretazione, ma anche con segnali di chiara lettura. Vedasi il tentativo di attacco alla Carta costituzionale, si pensi ai venti di guerra che macinano uomini e ricchezze determinando uno stato di ansia generalizzata e in particolare fra le giovani generazioni. Giovani francesi hanno manifestato tale stato di ansia, forse di angoscia, devastando interi quartieri, senza precisi obbiettivi. I riferimenti culturali alla Comune di Parigi o alla Resistenza francese contro il nazismo paiono assopiti se non addirittura cancellati. In Italia la gran parte dei giovani sembra apparentemente vivere nella indifferenza. Ma se analizziamo meglio, troviamo che su precisi obbiettivi ci sono slanci generosi. La rivolta che si manifestò contro la riforma Moratti nella scuola, e quella ancora ben viva contro la guerra in Iraq, sono alcune delle possibili conferme. Slanci di solidarietà li troviamo nel volontariato, nell’impegno nel sociale anche verso i paesi più poveri dei vari continenti. Sono molti i giovani che, attraverso associazioni, comuni, parrocchie, prestano la loro opera gratuita costruendo ambulatori, scuole, ospedali, pozzi “L’Anpi di Reggio Emilia, sul tema del rapporto con le nuove generazioni, organizzerà in autunno un seminario aperto ai contributi dei giovani, di organizzazioni politiche, di circoli, associazioni culturali e ricreative con l’obbiettivo di contribuire a ricomporre un possibile discorso unitario di fronte ai grandi temi della pace e della giustizia sociale in un mondo che talvolta sembra avvitarsi in violente contraddizioni senza via di uscita. Ma come vecchi resistenti, abbiamo sempre presente il motto che fu caro a Gramsci: pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà”. dove manca l’acqua potabile, ecc., o facendo arrivare cibo, medicinali, vestiario. Questi impegni lodevoli e particolari, maturano in assenza di obbiettivi generali che la politica non riesce a proporre, una politica rinnovata, capace di coinvolgere la moltitudine dei giovani. D’altra parte si deve purtroppo registrare che, in mancanza di motivazioni capaci di mobilitare, c’è chi si rifugia nella droga, nell’alcol oppure in gruppuscoli velleitari che pensano di cambiare il corso della storia,magari rompendo qualche vetrina , incendiando qualche auto, e non andando a votare. Giacomo Notari. L’Anpi, aprendo ai giovani, manifesta una grande fiducia nelle nuove generazioni che dovranno prendere in mano il destino del nostro Paese nel tempo che verrà. La storia del secolo appena trascorso ci deve illuminare. Noi, e anche molti più vecchi di noi, cresciuti nell’angusta e soffocante cultura del fascismo, quando fu il momento non avemmo esitazioni a prendere le armi, nelle città e nelle campagne, contro i nazisti e i loro servi, contro la guerra. Si rifletta sugli elenchi dei partigiani caduti: oltre il 60 per cento di loro sono giovani dai 16 ai 25-30 anni. Eppure nessuno, al momento della scelta, aveva loro promesso una paga, una elegante divisa, confortevoli condizioni di alloggio e di nutrimento. Eppure l’aspirazione alla pace, alla libertà, fu come un grido che penetrò tante coscienze di giovani che seppero affrontare sacrifici inenarrabili. Grande fu poi l’impegno dei giovani nella ricostruzione morale e materiale del Paese. Alle elezioni politiche del 1953 1.500.000 giovani votarono comunista dando un contributo determinante per battere la “legge truffa”. Ancora nel 1960, contro il governo Tambroni, troviamo nelle piazze i giovani delle magliette a strisce a difendere la libertà come vecchi partigiani, da Genova a Palermo a Catania, da Milano a Reggio Emilia, questa nostra città dove i cinque giovani uccisi in piazza il 7 luglio ancora sanguinano chiedendo giustizia. Grazie a quei giovani l’Italia riprese un cammino democratico. E infine come non aver presente l’impegno di tanti giovani nelle strade di Genova e di Firenze, e anche il loro contributo nel risultato elettorale alle politiche del 9-10 aprile 2006. Ecco perché l’Anpi ripone fiducia nelle nuove generazioni. Ed è per questo che assieme dobbiamo costruire percorsi che guardino al futuro, al bene dell’Italia e del mondo. Giacomo Notari NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 3 “Con voi dell’Anpi mi sento in una grande famiglia” Nostra intervista a Giulio Fantuzzi, neo segretario Ds Caro Fantuzzi, hai alle spalle una lunga esperienza di pubblico amministratore, di parlamentare europeo, di dirigente politico e del movimento cooperativo e contadino. Che effetto ti fa trovarti da qualche tempo, e in questa situazione, segretario provinciale dei Ds di Reggio Emilia? Mi dà la piacevole sensazione del ritorno a casa, entro le mura amiche di quel Partito in cui non ho mai smesso di “credere”. Un Partito che è sempre stato un riferimento ideale e politico di primissimo ordine in tutte le esperienze che ho potuto fare in questi anni e che hai richiamato. La sua vitalità, la sua serietà, il suo volto ragionevole e perbene li ho potuti sperimentare e collaudare sia nella militanza attiva che nel rapporto di vicinato vissuto in prima persona, in tutti questi anni, a Reggio e fuori. A favore di questo Partito, a tutti i democratici di sinistra di questa provincia, spero di poter ricambiare, almeno in parte, quello che, lui e loro, hanno dato a me. Davvero tanto. Sono ancora un po’ incredulo. Tanta fiducia per un ruolo così delicato e in un momento tanto difficile, concentrarsi proprio sul sottoscritto… Cercherò di farne tesoro. C’è tanto lavoro da fare. Non siamo più ai tempi del vecchio Partito che pretendeva di “dettare la linea” un po’ su tutto. Tanta acqua è passata sotto i ponti. Anche sotto quello di San Pellegrino, che separa la storica sede del Pci Via Toschi da quella attuale dei Ds in Via Gandhi. Eppure un moderno partito di massa come il nostro nel Paese e a Reggio ha un ruolo essenziale da giocare. Dopo l’oscura parentesi berlusconiana, c’è da ridare alla politica il senso del progetto, del bene comune. Siamo stati contaminati dall’abuso politico dei poteri forti, degli interessi personali. Serve un robusto antidoto. E grazie ai Ds, è ancora disponibile. È il gusto, la voglia della partecipazione in prima persona per offrire un futuro migliore ai nostri figli. Io ne ho tre. Non vorrei sentirmi rimproverare da loro: ma papà, perché non ci hai provato quando avresti potuto? In particolare, come vedi la prospettiva 4 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 sponsabile, di democrazia matura si corrompe. Il popolo delle primarie, invece, un messaggio preciso ce l’ha dato. Insieme si può. Tra partiti riformisti è meglio. Purché il tutto non si riduca ad un’operazione di vertice (meglio, di vertici). Ds e Margherita si intendono più che bene nel Governo nazionale, nei governi locali di Reggio e provincia. Dunque possono essere i motori di un grande rinnovamento della politica italiana. E con un grande partito riformista anche il bipolarismo made in Italy sarà meno precario. di un’unità del centro sinistra che dai livelli di governo (locale e nazionale) possa approdare alla costruzione del Partito democratico? La vedo come una necessità storica ineludibile. Ho grande rispetto per chi, anche nel nostro Partito, vive questo percorso verso il nuovo Partito dell’Ulivo con molta ansia e preoccupazione. Però star fermi non si può. E serve il contributo di tutti, affinché quella prospettiva sia sicura e sostenibile. Le nuove generazioni chiedono alla politica, a quella onesta e disinteressata, un grande sforzo d’innovazione. I partiti di più consolidata tradizione perdono appeal, di fronte alle grandi sfide della modernità. Anche la tradizione socialista sconta le sue difficoltà. L’esito elettorale ce lo conferma. Crescere in consenso, così come si è, è un problema serio, già da un po’ di tempo anche per il nostro Partito. Nel vuoto d’indifferenza e di passività che si crea, possono sorgere tentazioni antipolitiche che inseguono leader dalle facili promesse. E il tessuto civile di solidarietà sociale, di partecipazione re- Poiché ti sto intervistando per il periodico dell’Anpi locale, sento il dovere di farti una domanda che attiene anche (ma non solo) alle tue radici familiari (penso in particolare a tuo nonno sen. Silvio Fantuzzi): quanto pensi debba pesare la “cultura dell’antifascismo” nella prospettiva del Partito democratico? Viva le radici, familiari e non. Viva l’appartenenza alla causa dei deboli, degli oppressi. Viva la condivisione della solidarietà, della pace, della libertà. Queste sono tracce della mia vita. Sono cresciuto nella cultura politica dell’antifascismo e ne sono orgoglioso. È una grande fortuna che mi è capitata. Ebbene, se io penso, oggi, agli impegni forti su cui il Partito democratico si sta cimentando già nel suo farsi, non posso non pensare alla straordinaria attualità del sentimento antifascista. La difesa della Costituzione, l’unità della Repubblica, la costruzione della pace ai confini dell’Europa, i diritti di cittadinanza e l’integrazione degli immigrati non sono qualcos’altro rispetto ai valori per i quali l’Anpi impegna le sue energie con tanta passione. Il peso della cultura dell’antifascismo è oggettivo. È qui. Non altrove. Ecco con voi dell’Anpi mi sento in una grande famiglia, che non vive di ricordi, ma che guarda in avanti, a quel “nuovo raccolto” che viene dopo e a cui è bene prepararsi con animo ben disposto. Quel nuovo raccolto di cui parlava Papà Cervi. Lo conobbi da bambino. Un’altra grande fortuna. a cura di Antonio Zambonelli Dario sempre con noi! Sono passati quasi dodici mesi dalla scomparsa di Giuseppe Carretti, avvenuta il 2 ottobre 2005, dopo una breve quanto fulminea malattia. L’Anpi provinciale e la redazione del “Notiziario Anpi” ricordano con grande affetto e grande stima il Partigiano Dario, vice comandante di battaglione della 145a Brigata Garibaldi, che ha diretto in qualità di presidente, per 25 anni, l’Associazione con equilibrio e nello stesso tempo con grande incisività e che, in veste di direttore, ha trasformato il “Notiziario Anpi” da semplice foglio dattiloscritto in una Rivista apprezzata anche fuori dai confini provinciali e regionali. Non è certo superfluo, allora, tracciare brevemente un suo profilo non tanto per chi lo ha conosciuto, ma per chi s’imbatta “casualmente” in queste righe commemorative. Nato nel 1923 a Villa Cella (RE), trascorre in povertà l’infanzia e la giovinezza a Villa Seta. Il 15 aprile 1944, insieme a una quarantina di altri giovani, sale sull’Appennino reggiano e diventa Partigiano. Dopo la guerra, Carretti, cogliendo le opportunità offerte dall’Anpi e da altri soggetti, consegue la licenza di terza media. Dal 1960 al 1977 è sindaco di Cadelbosco Sopra per il Partito comunista, al quale aveva aderito al termine del conflitto, partecipando come protagonista alla Ricostruzione. Nel 1964, e recentemente ripubblicato, aveva scritto una storia di Cadelbosco (I giorni della grande prova) in cui sono menzionati momenti della sua esperienza di partigiano. Nel ’77 è eletto presidente dell’Anpi, carica che lascerà all’inizio del 2002 insieme a quella di direttore del “No- tiziario”, con cui continuerà a colloborare fino all’ultimo (per una breve biografia si veda: a.z., Auguri affettuosi a Dario che ha compiuto ottant’anni, “Notiziario Anpi”, 1-2/2003). Nel ricordare la figura di un uomo che dei valori civili e sociali ha fatto la sua ragione di vita, un affettuso saluto va anche alla vedova Maria Montanari, che con lui ha condiviso un’intera vita, e che nel numero di marzo 2006 del “Notiziario” ha ricordato, in un’intervista, il suo incontro con Giuseppe: “Quando è arrivato a casa dalla montagna, sarà stato il 26 o il 27 aprile, era vestito così (indica una foto in cui Caretti è vestito da partigiano, ndr). Sai, giovane, vestito così, in una moto… e baciava tutte, e a me mi ha baciata ma in un modo… in un altro modo, almeno così mi pareva”. Ciao Dario. NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 5 Non dimentichiamo la Palestina! La drammatica situazione che si è creata in Medio Oriente con la guerra che Israele ha portato nel cuore del Libano rischia di far dimenticare l’altrettanto drammatica situazione di Gaza e della Cisgiordania. Mentre sui nostri teleschermi scorrevano le immagini delle città israeliane bombardate, dei morti e dei feriti libanesi, delle infrastrutture distrutte, dei quartieri di Beirut e di Tiro rasi al suolo, dei profughi in fuga dalle loro case, a Gaza l’esercito israeliano continuava la sua opera di devastazione e di uccisioni. Mentre sui nostri giornali si dava il giusto rilievo alla nuova emergenza umanitaria del Libano, a Gaza l’emergenza continuava facendosi di giorno in giorno più acuta. Anche la situazione in Cisgiordania è diventata insostenibile. Continuano le incursioni e i rastrellamenti nelle città palestinesi con arresti (perché non li chiamiamo rapimenti?) e uccisioni mirate, a Nablus come a Ramallah. Gli spostamenti sono sempre più difficoltosi, la mancanza di lavoro sempre più grave e, per chi ancora lavora, come i dipendenti pubblici (insegnanti, impiegati delle amministrazioni, personale sanitario, polizia) non c’è salario da sei mesi. È evidente che in una situazione simile si rendono ancor più necessari concreti aiuti internazionali. È altrettanto evidente però che più la situazione peggiora, più diventa difficile realizzare progetti di sostegno e inviare aiuti. Difficile, perché i bisogni sono enormi, perché i blocchi, le chiusure, le intimidazioni dell’esercito israeliano impediscono incontri e contatti, perché Israele non fa entrare merci (medicinali, derrate alimentari, strumenti) se non a suo arbitrio e dopo interminabili attese, perché le Banche si rifiutano di “far girare” soldi destinati ai Palestinesi per timore di incorrere in sanzioni internazionali. E poi, in un paese dove si muore per mancanza di medicine salvavita e di cure e dove tra un po’ si potrà morire di fame o di sete (qualche morto c’è già stato tra le centinaia di palestinesi che tentavano di rientrare a Gaza dall’Egitto attraverso il valico di Rafah e che sono stati bloccati per giorni e giorni alla frontiera, accampati alla meglio nel deserto) con quale cuore si può pensare a realizzare progetti che guardano al futuro? A costruire occasioni di crescita e sviluppo? 6 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 Eppure è di questo che i Palestinesi hanno bisogno, per preservare la loro dignità, per resistere all’occupazione, per non perdere la speranza nel futuro e continuare a credere in una pace possibile. E ne hanno bisogno adesso. In attesa che la diplomazia internazionale si decida finalmente ad intervenire, sono le “piccole”azioni solidali, frutto dell’impegno personale di chi nel mondo vuole essere vicino al dramma di questo popolo, che possono contribuire a rompere l’isolamento e a mantenere viva la speranza. Fra tutte le cose che potrebbero essere fatte me ne vengono in mente un paio, diverse fra di loro, ma accomunate dal fatto di essere rivolte ai bambini che rappresentano per eccellenza il futuro di un popolo. Il Centro di Riabilitazione di Ramallah Quando l’anno scorso il Presidente della Mezza Luna Rossa Palestinese è stato ospite di Reggio Emilia (e dell’Anpi) aveva presentato la richiesta di supporto per il Centro di Riabilitazione dei bambini con problemi dell’udito e del linguaggio a Ramallah. Durante il nostro viaggio in Palestina di qualche mese fa abbiamo visitato il Centro, abbiamo raccolto informazioni e documentazione. A Reggio ne abbiamo parlato con la dr.ssa Martini, direttore generale dell’Usl di Reggio e con professionisti esperti del problema. Alla luce di queste acquisizioni un intervento a favore di questo centro potrebbe articolarsi in: Un’immagine dell’Asilo di Seilat. A - Collaborazione scientifica • Formazione (sia in loco che in Italia) • Stages • Consulenze • Confronto di esperienze • Strumentario (sostituzione di strumenti obsoleti, manutenzione, forniture) B – Adozione di una classe della scuola speciale del centro Fin dalla fine degli anni ’90 il Centro si è dotato di una Scuola Materna e di una Scuola elementare nelle quali i bambini, attraverso programmi ed attrezzature speciali possono essere riabilitati e seguire un corso di studi “regolare”. Alla Scuola è annesso un Convitto dove alcuni bambini possono risiedere durante la settimana. Il Convitto non era inizialmente previsto, ma si è reso necessario per le gravi difficoltà di spostamento dei bambini che vivono fuori Ramallah. I check points, le frequenti e improvvise chiusure del territorio da parte degli israeliani, le incursioni dell’esercito israeliano rendono pericoloso e spesso impossibile qualsiasi spostamento. Per quanto riguarda la Scuola, vi è la necessità di aumentare il numero delle classi; si potrebbe dunque pensare alla “adozione” di una nuova classe nelle forme che i Responsabili del Centro riterranno più opportune (arredi, attrezzature speciali, materiale didattico…). L’Asilo di Seilat Seilat è un villaggio di circa seimila abitanti nella Provincia di Jenin. La sua economia si basava sull’agricoltura (20 percento), su piccole imprese artigianali e commerciali (30 percento) e per il resto sul lavoro in Israele. Negli ultimi anni questa importante risorsa si è completamente azzerata perché Israele non concede più permessi lavorativi ai Palestinesi. A Seilat abbiamo incontrato Taman, una piccola donna testarda e coraggiosa che, oltre ad essere consigliera comunale, è la Responsabile del Centro Donne del villaggio. A Seilat Taman ci ha fatto visitare l’Asilo che è stato realizzato alcuni anni fa dal Centro Donne, grazie anche agli aiuti delle Donne in Nero italiane, e che riesce ad accogliere una novantina di bambini in età prescolare. L’asilo è piccolo, disadorno. A noi che veniamo da Reggio Emilia (“le scuole più belle del mondo”) il cuore si stringe un po’. Grazie all’asilo, qualche mamma ha potuto dedicare parte del suo tempo a piccole imprese lavorative, unica fonte di sussistenza, a volte, per le famiglie. Sempre grazie all’asilo, 5 ragazze diplomate hanno potuto ottenere il posto di maestre e ricevere un modestissimo stipendio. Per consentire questo e per garantire la vita quotidiana dell’asilo i genitori dei bambini pagano una piccola retta mensile. Taman era orgogliosa dei risultati raggiunti, ma la situazione, invece di migliorare, si fa sempre più pesante. L’occupazione israeliana non allenta la sua morsa, anzi. È sempre più difficile trovare un lavoro, ricevere aiuti, sopravvivere. L’asilo ha subito dei danni, le linee telefoniche sono state tagliate, la struttura si deteriora se non si eseguono lavori di manutenzione e di parziale ristrutturazione. C’è bisogno di materiale didattico, di giochi; c’è bisogno di garantire una mensa ai circa 90 bambini che lo frequentano. Abbiamo promesso a Taman che ci saremmo ricordati di Seilat al nostro ritorno in Italia. Le donne I “Centri donne”, diffusi un po’ in tutti i Territori occupati, sono dei Comitati locali di assistenza socio sanitaria sostenuti dal Medical Relief, Ong palestinese il cui presidente è il dr. Mustafa Barghouti. La loro filosofia si incentra sull’idea di società civile, quale soggetto ricco di valori ed energie da mobilitare e valorizzare per garantire la crescita democratica del Paese. Le donne che hanno voluto questi Centri e che con determinazione ne sostengono lo sviluppo e le attività sono l’ incarnazione (emblema…simbolo…) della Resistenza palestinese. Molte di loro hanno subito il carcere israeliano, arrestate senza ragione o semplicemente perché parenti di persone “sospette”; alcune portano i segni delle percosse e dei maltrattamenti subiti durante la detenzione. I loro uomini sono stati feriti, uccisi, imprigionati o costretti a vivere nascosti; quando gli è “andata bene” hanno comunque perso il lavoro. Queste donne si sono fatte carico di preservare e anzi di migliorare il tessuto sociale palestinese, sviluppando fitte reti di solidarietà, creando opportunità educative e di lavoro, sostenendo giorno dopo giorno il diritto alla libertà. Daniela Lorenzoni L’ANPI di Reggio Emilia per i bambini Palestinesi Nell’ultimo Congresso Provinciale è stata lanciata una campagna di solidarietà per il Popolo Palestinese rivolta al futuro di ogni popolo: i bambini. L’intervento si concentra sulle loro necessità quotidiane e sulle esigenze di riabilitazione.; la visita in Palestina di alcuni medici ha consentito di individuare obiettivi specifici e realizzabili in tempi brevi. Il Presidente della Mezza Luna Rossa Palestinese ospite dell’Anpi. L’ASILO DI SEILAT Seilat è un villaggio di circa 6.000 abitanti nella Provincia di Jenin. A Seilat c’è un Asilo realizzato dal Centro Donne del villaggio. L’asilo è piccolo, disadorno e lo frequentano circa 90 bambini. A noi che viviamo a Reggio Emilia (“le scuole più belle del mondo”) il cuore si stringe un po’. L’asilo ha subito danni, le linee telefoniche sono state tagliate e la struttura si deteriora se non sarà possibile eseguire lavori di manutenzione e di parziale ristrutturazione. C’è bisogno di materiale didattico, di giochi, di garantire una mensa ai bambini che lo frequentano: c’è bisogno di un gesto concreto di solidarietà In attesa che la diplomazia internazionale intervenga efficacemente, sono le “piccole”azioni solidali, frutto dell’impegno personale di chi nel mondo vuole essere vicino al dramma di questo popolo, che possono contribuire a mantenere viva la speranza. di pace. Foto del Centro di riabilitazione per bambini con problemi dell’udito e del linguaggio. Versamenti sul c.c.b. Anpi - RE n. 11819 - Abi 5437 - Cab 12811, causale: “pro asilo di Seilat - Palestina”. NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 7 È in gioco il futuro di Israele! Nota: Ho scritto queste righe ai primi di agosto. Non so che cosa succederà da adesso al momento in cui verrà pubblicato l’articolo. La guerra continua e aggiunge morti e distruzioni giorno dopo giorno. Mi auguro che l’Europa, l’Onu, la Comunità Internazionale, riescano a porre fine a questa follia. Mi auguro che finalmente si riesca a dare agli eventi il loro giusto nome e se i razzi sparati da Hezbollah sul Nord di Israele vengono chiamati “atti terroristici” mi chiedo se le violenze che Israele ha fatto in Libano contro popolazioni civili in questi giorni non siano da considerarsi a loro volta non solo atti terroristici, ma veri e propri “crimini di guerra”. (d.l.) Questo è il titolo di un articolo di Michel Warschawski, comparso il primo agosto sul sito internet di Aic (Alternative Information Center), associazione pacifista israelo-palestinese. Warschawski è un ebreo israeliano, scrittore e giornalista, pacifista, fermo oppositore dell’occupazione israeliana della Palestina, autore di lucide e inquietanti analisi sulla società israeliana (si veda il suo libro A precipizio ed. Bollati Boringhieri). Conoscendo il pensiero dell’autore, non possono esservi dubbi (e la lettura dell’articolo lo conferma) che ciò che mette a rischio il futuro di Israele non sono i missili di Hezbollah, né la vittoria di Hamas alle elezioni politiche palestinesi, né le dichiarazioni del Presidente Iraniano Ahmedinejad. Ciò che mette a rischio Israele è la sua stessa politica. Una politica che vede come unica scelta possibile l’opzione militare e che fa dire al Ministro della giustizia israeliano Haim Pamort (Ha’aretz 28 luglio 2006): “Dobbiamo ridurre in polvere i villaggi del Sud… Non capisco come possa ancora esserci l’elettricità in quei posti…”. Scrive Warschawski: “Ciò che l’opinione pubblica di Israele non capisce sono le drammatiche implicazioni della sua politica sulla sua stessa esistenza come Stato nel cuore del mondo Arabo e Musulmano. Con la sua illimitata brutalità e la retorica e strategia dello ‘scontro di civiltà ’ lo Stato di Israele sta dimostrando ai popoli della regione che è, e vuole rimanere, un corpo estraneo ed ostile nel Medio Oriente, nient’altro che il braccio armato degli Stati Uniti nella loro crociata antimusulmana del 21° secolo. L’odio generato dai bombardamenti di Beirut, con la distruzione delle infrastrutture libanesi, le centinaia di civili uccisi, le centinaia di migliaia di profughi, la politica della terra bruciata, è immenso… Olmert, Peretz e Haluz sono i leaders più 8 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 pericolosi ed irresponsabili che Israele abbia mai avuto; giocano con un fuoco che potrebbe distruggere realmente la nostra esistenza nazionale in Medio Oriente. Sulle deboli spalle dello sparuto movimento pacifista israeliano grava non soltanto la sorte attuale della nazione e la decenza morale della nostra società, ma il futuro stesso dei nostri bambini. ‘Rifiutiamo di essere nemici’ è uno degli slogan delle nostre manifestazioni in piazza. Mai slogan è stato più importante, più urgente e più essenziale di questo”. Si potrebbe pensare che, poiché Warschawski appartiene a quello “sparuto gruppo” di oppositori alla guerra, egli non esprima il sentire diffuso nella maggioranza degli israeliani. Questo è fuori di dubbio. In quegli stessi giorni di fine luglio/primi di agosto, solo 10 deputati della Knesset (su 120) erano apertamente contro la guerra nel Libano ed il 90 percento degli israeliani si pronunciava a favore della politica del Governo. Ce lo hanno scritto anche alcune donne israeliane, raccontandoci della loro coraggiosa manifestazione contro la guerra e degli insulti ricevuti dai passanti. Si tratta dunque soltanto della posizione di alcuni pacifisti “radicali”? No, se anche Meron Benvenisti, opinionista del giornale “liberale” Ha’aretz, ancora prima della strage di Cana, che ha fatto inorridire il mondo senza peraltro renderlo loquace, scrive in un articolo del 26 luglio: “Nessuno è in grado di predire quando l’opposizione alla guerra e allo spargimento di sangue, da atto di tradimento si trasformerà in una posizione legittima e persino corretta, quando una condanna morale dei malefici effetti della guerra diventerà accettabile da un punto di vista “patriottico” (mie le virgolette) e quando slogan quali ‘sradicare il terrorismo’, ‘una guerra per le nostre case’, ‘una lotta per la sopravvivenza’ e cose simili non saranno più roboanti grida di guerra ma vuota retorica… presto (tuttavia) ogni cosa tornerà come era prima, a parte coloro che hanno perso la vita. Ma chi avrà perso più di tutti sarà il Popolo Israeliano che, attraverso una smisurata reazione ad una provocazione, ha dimostrato la sua posizione di elemento estraneo alla regione, di confinante prepotente, oggetto di odio impotente”. Anche Sandro Viola, sulla Repubblica del 1/8/06 scrive di “paura per Israele” proponendo più o meno, anche se con maggior cautela, le stesse argomentazioni; e ancor prima Luciana Castellina, sul Manifesto, parlava di “solitudine di Israele”. Gli “amici” di Israele sono scesi in piazza contro le minacce portate allo Stato ebraico, hanno giustificato aggressioni, distruzioni e massacri in nome della “legittima difesa”, hanno condiviso la cieca furia guerrafondaia dei Governanti di Tel Aviv e di Washington. In un certo senso avevano ragione. Israele ha un grande bisogno di essere difeso. Ne ha bisogno il suo Popolo. Ma i veri amici di Israele sono quelli che hanno capito che Israele deve essere difeso da se stesso. E allora possiamo scendere in piazza anche noi, noi che siamo costantemente tacciati di antisemitismo quando osiamo tentare di dire qualche verità. Possiamo e dobbiamo scendere in piazza “per Israele”, l’Israele degli obiettori di coscienza, quelli che rifiutano di combattere nei territori palestinesi e, oggi, nel Libano aggredito, l’Israele delle Donne contro la guerra, dei Warschawski, degli Halper, degli Avneri, della gente che vuole vivere in pace, non l’Israele dei Sharon, dei Netaniau, degli Olmert… (d.l.) Chi è amico di Israele? A cavallo dei giorni di ferragosto se ne sono lette e sentite di tutti i colori, nel quadro delle polemiche interne tra centro destra e centro sinistra, circa il tasso di amicizia, o di inimicizia, con lo Stato di Israele, con sconfinamenti in accuse, da destra ma anche da qualche esponente della comunità ebraica romana, di antisemitismo a carico di Massimo D’Alema. In quest’ultimo caso per la ormai famosa “passeggiata” del ministro degli esteri italiano tra le rovine di Beirut, il 14 agosto, “a braccetto” con Fauzi Salluk, suo omologo libanese, e Hussein Haji Hassan, deputato libanese appartenente ad Hezbollah. Un D’Alema dall’aria tesa, in mezzo alle tragiche rovine di Beirut, è in realtà quasi trascinato, o sostenuto, dai due, mentre tra le macerie gente disperata sta ancora frugando alla ricerca di superstiti, o di cadaveri da recuperare. E d’altra parte D’Alema era in missione tra Libano, Egitto e Israele, per favorire una tregua alla disgraziata guerra scattata in seguito alle provocazioni di Hezbollah contro Israele. E dunque doveva parlare con tutti, a tutti stringere la mano, a nessuno rifiutando di essere preso sottobraccio, in nome di un obbiettivo di sia pur temporanea pacificazione. Ma da destra, per tacciare D’Alema di animus anti-israeliano, si è cucito assieme la foto della passeggiata (che poi era un tragica ricognizione tra luoghi di dolore), con le dichiarazioni dello stesso D’Alema all’inizio della reazione israeliana, considerata “non proporzionata”, alle provocazioni di Hezbollah. Ma anche in quella circostanza, e con quel giudizio, risulta ben chiaro, a chi voglia ragionare con animo sereno, che lo scopo era, ancora una volta, di “equivicinanza” Ecco l’immagine della famosa “passeggiata” di D’Alema tra le rovine di Beirut. tra due parti bisognose di essere aiutate (o persuase, o indotte) a compiere scelte di pace. Da un lato D’Alema era da subito chiaramente e dolorosamente colpito dalla distruzione di tante vite umane che i bombardamenti israeliani stavano provocando, dall’altro si faceva carico dell’isolamento in cui Israele rischiava di cadere per la durezza della sua reazione, e dalla crescita di consenso (che poi in effetti ci fu) verso il movimento estremista di Hezbollah tra la popolazione libanese ed anche tra i paesi arabi “moderati”. Dunque seria preoccupazione per la dissipazione di vite umane tra la popolazione libanese, ma anche per il male che lo stato di Israele stava facendo a se stesso con una reazione puramente e assai duramente bellica. E i veri amici di Israele sono quelli che sanno anche segnalare gli errori che lo stato ebraico commette. I finti amici, a partire dai post-fascisti di Alleanza nazionale, sono quelli che si agitano freneticamente a difendere ogni atto di Israele perché hanno molto da farsi perdonare (o da cancellare) per rifarsi una verginità assai dubbia. Infine sulla nozione di “equivicinanza”, da noi sostenute su questa pagine già da molto tempo e dalla solita destra considerata “equivoca”, ne ribadiamo qui la validità. A suo tempo ne accennammo circa il rapporto nostro, di democratici italiani ed europei, con le due parti in contrasto sul territorio dell’antica Terra santa. Vicini ai Palestinesi, ed al loro diritto ad avere uno Stato, vicini ugualmente al popolo di Israele, ed al suo diritto a vivere in pace entro confini sicuri. Due popoli, due stati. Non ci stancheremo di ripeterlo. Come non ci si deve stancare di denunciare con forza la repellente follia dei proclami dell’iraniano Ahmadinejad incitanti alla cancellazione di Israele (a.z.). Un blindato dell’Unifil entra a Naqura, in Libano. NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 9 I tristi strascichi della guerra Tornano le rondini I giorni si susseguono l’un dopo l’altro... e nella piccola casa posta ai limiti del villaggio regna un triste silenzio. Là vivono un padre e una madre, il cui figlio non è più tornato da una guerra combattuta lontano in paesi di cui essi non sapevano nemmeno l’esistenza, lasciando ora un grande vuoto nel loro cuore. Ma ecco che al giungere della primavera le rondini tornano di nuovo a garrire Sfogliando le pagine di una vecchia rivista letteraria kirghiza del periodo sovietico, mi è capitato di leggere una poesia di Anataj Omurkanov, intitolata Tornano le rondini, dove si dice della disperata solitudine di due anziani genitori kirghizi che hanno perso il loro unico figlio, nell’immane e sanguinosa seconda guerra mondiale. L’unica consolazione rimasta loro era quando ad ogni primavera le garrule rondini tornavano al nido che stava sotto il tetto di casa venendo in tal modo a colmare con la loro gioiosa vivacità l’immane vuoto che la morte del giovine figlio aveva lasciato nel cuore dei due anziani genitori. La storia di questi due anonimi genitori kirghizi, chiusi nella loro disperata solitudine, per il loro figlio perduto in una lontana terra straniera, porta alla mente la visuale di quei giovani soldati “mongoli”, facenti parte della famosa divisione “Turkestan” (infatti questa più che da mongoli era costituita da turchi mongolizzati, specialmente da kirghizi e Kazachi), i cui reparti furono usati dai tedeschi per reprimere la guerriglia partigiana nell’Italia Settentrionale. Che il figlio dei due poveri genitori kirghizi menzionati nella poesia facesse parte anch’egli a questi reparti “mongoli”, purtroppo resisi invisi per le violenze e le atrocità compiute contro anche l’inerme popolazione italiana? Colpe che questi hanno pagato poi duramente, spesso con la morte, e forse anche più dei loro feroci padroni tedeschi. Ma il destino finale avuto da questi giovani dagli occhi obliqui, poco o nulla è stato detto, quindi per la maggior parte di essi, il loro ricordo è rimasto vivo solo in coloro che stanno laggiù nelle lontane steppe asiatiche, come appunto lo sono i due genitori menzionati nella suddetta poesia. Riccardo Bertani 10 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 nel nido che stava sotto il tetto della casa di quei due anziani genitori. Nel sentire quel gioioso garrire lo stanco cuore dei due vecchi si rivivifica, come fa l’erba sotto il caldo sole di primavera. Ed immensa era la loro gioia nel vedere quando i piccoli delle rondini, lasciavano il nido per librarsi felici nel limpido cielo azzurro; perché la spensierata vivacità di quei piccoli uccelli ricordava ad essi quella del giovane figlio perduto. Ma quando al giungere del freddo autunno, le rondini ripartivano verso i lontani paesi del sole, ecco allora i due vecchi tornare nella loro triste solitudine. Tornate presto garrule rondini, perché solo voi ora potete colmare l’immenso vuoto che la guerra, ha lasciato nel cuore di questi due poveri vecchi. di Anataj Omurkanov (poeta kirghizo) (traduzione di Riccardo Bertani) La steppa dei kirghizi. Linoleografia di K. Dzolocnev. ˇ Mattino nella steppa dei kirghizi. Linoleografia di K. Dzolocnev. ˇ Mondiali Antirazzisti 2006 Dieci anni di dialogo e lotta al razzismo Cinque giorni di festa che hanno visto la partecipazione complessiva di oltre 7.000 persone provenienti da tutte le parti d’Europa e in rappresentanza di 40 nazioni del mondo. Seicenticinquanta incontri sportivi, fra calcio, basket, pallavolo e cricket. Un centinaio di iniziative culturali fra mostre, dibattiti, proiezioni cinematografiche, workshop, incontri, concerti, happening ed esibizioni, organizzati anche dai partecipanti. Questi gli strabilianti numeri fatti segnare dai Mondiali Antirazzisti 2006, tenutisi al Parco Enza di Montecchio (RE) dal 12 al 16 luglio. Partiti 10 anni fa con l’idea di base che le diversità producono arricchimento, fertilità nel confronto e nella conoscenza, l’evento è oggi diventato un importante appuntamento contro il razzismo. La manifestazione è organizzata da Istoreco di Reggio Emilia e dal Progetto Ultrà-Uisp Emilia-Romagna, in collaborazione con la Rete Fare (Football Against Racism in Europe). Con il sostegno, tra gli altri, della Regione Emilia-Romagna, Provincia di Reggio Emilia, Sportenza, Comune di Montecchio. Hanno contribuito inoltre a quest’edizione Enìa, Cgil di Reggio Emilia, Coopsette, Coop Nordest, Commercio Equo e Solidale, Cisl Emilia-Romagna e altri. Fra i numerosi premi assegnati in quest’edizione ricordiamo il trofeo più importante, ovvero la Coppa Mondiali Antirazzisti, andata al gruppo Republica Internationale di Leeds che organizza un torneo simile al nostro ed è costantemente impegnata in attività a carattere sociale. Fin dall’inizio i Mondiali Antirazzisti hanno lavorato per il coinvolgimento diretto e la contaminazione di realtà che spesso nei media e nel dialogo istituzionale vengono vissuti come contrastanti e contraddittorie: i gruppi ultrà, etichettati come violenti e razzisti, e le comunità di immigrati, spesso considerate unicamente fonte di criminalità. Grande impegno come ogni anno nel sostenere progetti di carattere sociale, di sottolineare tematiche importanti come il sostegno ai prodotti fair trade (si gioca infatti con palloni etici, non cuciti da bambini) o come l’attenzione nei confronti dell’ambiente, diventando, a partire da tre anni fa, Ecofesta, che ci ha fatto segnare cifre da record nello smaltimento e nel riciclo dei rifiuti. Ma anche la Resistenza è stata protagonista, quest’anno più che mai, ai Mondiali Antirazzisti, occupando diversi momenti della festa con il coinvolgimento di molti partecipanti, a partire dalla mostra “Propaganda razzista? Io non ci casco!”, realizzata da I vincitori del torneo di calcio mentre alzano la coppa. Incontro con i partigiani. studenti e grafici professionisti che hanno creato 10 manifesti in seguito al Viaggio della Memoria 2006 a Berlino, e allestita nella piazza del Municipio di Montecchio. E ancora, presso il nuovissimo spazio cinema della festa, la proiezione con traduzione multi-lingue dei film La liberazione di Reggio Emilia, pellicola del 1945, Guerrilleros, Maquisards, Partigiani, video-documento realizzato dall’Istituto Parri di Bologna, Sentieri partigiani 2005, sull’omonimo progetto d’Istoreco, e andato in onda sulla prestigiosa rete satellitare RAI news24. Claudio Silingardi, direttore dell’Istituto storico della Resistenza di Modena ha tenuto poi, di fronte a una giovane platea proveniente da diversi paesi del Mondo una lezione sulla Resistenza, dal titolo calzante di Partigiani in Europa. E non poteva mancare, anche per questa edizione, l’ormai consolidato e atteso appuntamento con una di quelle persone che in prima persona parteciparono alla Resistenza, portando il proprio contributo alla lotta contro il nazi-fascismo. Quest’anno, ospite delle Testimonianze partigiane, Ultimio Pagani di Montefiorino, che ha letteralmente commosso e affascinato l’affollatissimo spazio dedicato. Molte le domande, le curiosità, i ringraziamenti per il contributo esemplare di lotta per la libertà. Dieci anni di lotta al razzismo con la consapevolezza che i Mondiali Antirazzisti sono diventati un luogo e un evento dove sperimentare e dare vita nel concreto a dialogo, idee, pratiche di libertà, assieme a tantissime diverse realtà provenienti da ogni angolo del Mondo. Ringraziando i partecipanti e tutti coloro che hanno contribuito all’ottima realizzazione della manifestazione diamo a tutti appuntamento al 2007! Fabio Dolci (Istoreco Esteri) La festa al Parco Enza di Montecchio. NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 11 Spagna 1936-2006 Ricordo della guerra civile e rischi di eccesso di memoria Sul numero precedente abbiamo avviato il discorso sul “recupero di memoria storica” in atto nella Spagna di Zapatero, nel 70° anniversario dell’inizio della guerra civile, e dopo una lunga rimozione. Abbiamo segnalato come lo stesso Zapatero indichi negli ideali e nell’eroica e sfortunata lotta della Repubblica contro il franchismo sostenuto da Hitler e da Mussolini le radici dell’attuale democrazia spagnola e del complesso moto di rinnovamento in atto nel Paese iberico. Accennavamo anche, sinteticamente, alle iniziative culturali in atto in Spagna in tema di riflessione sulla memoria della Guerra civile 1936-1939. Merita darne ora conto con qualche accenno più puntuale. Per esempio il 26 giugno (apprendiamo dal quotidiano “El Pais”), nel quadro del ciclo di trasmissioni “El laberinto español”, la 2a rete TV ha trasmesso il documentario “Volontari da leggenda”, come omaggio ai volontari delle Brigate internazionali accorsi in aiuto della Repubblica spagnola. Si è trattato delle testimonianze dei dodici unici superstiti dei 2800 volontari statunitensi che furono inquadrati nella “Brigata Abramo Lincoln”. Di quei 2800 circa la metà morì in terra di Spagna. I sopravvissuti, rientrati negli Usa, furono perseguitati durante la famigerata caccia alle streghe promossa dal sen. Mac Carthy. Il documentario intercalava alle testimonianze brani filmati tratti dagli archivi della televisione spagnola e dagli archivi dell’Associazione degli ex volontari antifranchisti di New York. Il 7 aprile 2006 è stato trasmesso un dibattito tra Manuel Requesca Gallego, professore di storia dell’Università di Castiglia la Mancha e direttore del Centro studi e documentazione delle Brigate internazionali, che proprio in quella regione, nella città di Albacete, avevano avuto la sede del Comando centrale, alla cui testa erano l’italiano Luigi Longo e il francese André Marty. Con Gallego, il prof. Remy Shutelsky, della Sorbona, autore del libro Novedad en el Frente, con cui “demistifica il potere sovietico nelle file brigatiste”. Trasmesso ancora dalla TV, ed era una prima assoluta per la Spagna, il capolavoro del grande documentarista olandese Joris Ivens, Terra di Spagna, realizzato nel 1937 in collaborazione con Ernest Hemingway e girato prevalentemente durante i combattimenti nella Città universitaria, dove si difendeva Madrid, e sul Fronte del fiume Jarama. Il settimanale “Cambio 16”, dal canto suo, sul numero del 12 giugno, in un servizio 12 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 sulla Fiera madrilena del Libro, intervista l’ispanista americano Ian Gibson, autore del volume Libero de equipage, una biografia del grande poeta Antonio Machado, uno degli autori, con Garcia Lorca, da riscoprire e valorizzare, secondo Gibson, nel quadro di “un recupero della memoria storica fondamentale per la salute di questo Paese che per la prima volta [con Zapatero] conosce una democrazia stabile, ciò che costituisce un’autentica rivoluzione”. Da notare che del libro di Gibson, in un solo mese dalla sua pubblicazione in Spagna, ne sono state vendute ben 40.000 copie. Non manca però chi mette in guardia da un “sovraccarico di memoria”, con tutti i rischi che ne possono derivare. Così lo scrittore Isaac Rosa, che su “El Pais” del 16 luglio avverte che tra le molte iniziative, editoriali e commemorative, che giudica buone e positive, si debba registrare anche una sovraproduzione di titoli riferiti alla guerra civile e al franchismo dovuta a opportunismo di alcuni editori e autori i quali, per così dire, cavalcano l’onda a scopi puramente commerciali. La sovrapproduzione, insiste Rosa, produce stordimento, indigestione e il rischio conseguente di una prossima liquidazione del tema come se in questo anno 2006, proclamato appunto “Anno della Memoria”, si dovesse concludere l’argomento e che poi “qualcuno dica: Basta memoria per favore”. Un rischio, noteremo di passaggio, che anche in Italia si è ricorrentemente affacciato a proposito della resistenza antifascista. In sostanza, pare suggerire Rosa, (e il suggerimento vale anche per noi italiani) il punto è di non eccedere una tantum nelle rievocazioni – rischi di retorica compresi – ma di avere il riferimento alle radici repubblicane e antifranchiste (antifasciste) della moderna democrazia spagnola come una Barcellona nei primi tempi della guerra civile. La scritta, in lingua catalana, dice: “Il grido di guerra di Madrid eroica risuona fino a noi in Catalogna. Non passeranno!”. costante dell’operare politico e di una possibile educazione alla cittadinanza. Il dibattito coinvolge naturalmente non solo gli addetti ai lavori, come gli storici, ma anche semplici cittadini che scrivono le loro opinioni ai giornali. Così Miguel Angel Herrero Fernandez, che in una lettera a “El Pais” (18.07.06) si chiede perché “il Partito popolare, che è considerato come la destra democratica del Paese, si rifiuta di condannare il regime [quello franchista,NdR] che pose fine anche alla destra politica democratica repubblicana. Sullo stesso quotidiano, la risposta alla domanda di Herrero Fernandez viene indirettamente fornita da un cattolico che continua ad apprezzare il franchismo, il prof. Jordi Gracia, docente di letteratura spagnola all’Università di Barcellona, il quale nega apoditticamente che il regime di Franco fosse fascista e difende ad oltranza il ruolo della chiesa spagnola durante e dopo la guerra civile. Per difendere regime e chiesa il professore sostiene che durante il franchismo “non c’era censura, ma ragioni di profonda igiene morale e il rispetto della verità consigliavano di essere “estrictos en ese asunto” (rigorosi su questo argomento), infatti, aggiunge l’ineffabile professore “chi avrebbe desiderato vedere un proprio figlio a contatto con l’ateismo, il marxismo o la “aspera razon sempre tan desesperazadora” (“l’aspra ragione sempre tanto disperante”, nel senso del noto “Emilia sazia e disperata”, NdR)”. Quanto ai massacri (ma Gracia non li chiama così) compiuti dal franchismo anche dopo la fine della guerra “furono un prezzo amaro che si dovette pagare per redimere la Spagna”. Un Torquemada redivivo, questo professor Gracia. Antonio Zambonelli Estate 1936. I primi dodici reggiani volontari antifranchisti in Spagna Settant’anni or sono, nell’estate 1936, già alcuni reggiani erano in Spagna come volontari per combattere a fianco dei repubblicani contro il golpe fascistizzante che il generale Franco aveva scatenato il 16 luglio, con l’appoggio di Hitler e Mussolini, contro il governo di centro sinistra nato da libere elezioni nella primavera. Adelmo Guidi, di Novellara, era già in Spagna prima dello scatenarsi della guerra civile. Arruolato nelle milizie popolari fin dal luglio, fu prima nel battaglione Meabe poi nel battaglione Rusia. Operaio comunista, arrestato nel 1921 assieme ad altri due compagni di Novellara per aver resistito con la armi in pugno alla violenza squadrista, subì varie persecuzioni che lo indussero ad espatriare in Francia poi in Belgio. Egidio Martini, giovane socialista a Montecchio, espatriò in Francia nel 1932 aderendo poi ai gruppi di lingua italiana del Partito comunista francese. In Spagna dal febbraio 1936, fece parte del plotone di cavalleria della XIV poi della XV Brigata del V Corpo d’armata repubblicano. Enrico Zambonini, l’anarchico di Secchio di Villa Minozzo, che nel gennaio 1944 sarà fucilato dai fascisti con don Pasquino Borghi e altri otto antifascisti, era espatriato nel 1922 per sottrarsi alle persecuzioni fasciste: esule in Francia e in Belgio, lavorando come Alberto Bartoli, detto “Moro”, in una istantanea del 1936, quando faceva parte del Battaglione “Garibaldi”. Gilberto Carboni, nel settembre 1936 inquadrato nella centuria “Gastone Sozzi”. minatore, fu attivo militante del movimento anarchico e già attorno al 1932 si era recato in Spagna. Combattente nelle milizie libertarie, ebbe anche ruoli politici e perfino di educatore in una colonia per orfani. Il 23 agosto 1936 un primo contingente di italiani scese in campo sul fronte di Huesca, nell’Aragona, inquadrato nella Colonna “Ascaso”, di cui fu animatore Carlo Rosselli. Al combattimento del 28 agosto, a Monte Pelato, partecipò anche l’anarchico Camillo Berneri, che conserverà sempre un affettuoso ricordo di uno dei suoi primi maestri reggiani, Camillo Prampolini. Nella Colonna “Ascaso”, prevalentemente costituita da anarchici ma anche da socialisti e da aderenti a Giustizia e Libertà e qualche comunista, in ottobre furono inquadrati altri reggiani: Carlo Vinsani, Umberto Ferrari, Lebo Piagnoli e Ateo (o Alteo) Scorticati. Vinsani, comunista, aveva avuto qualche notorietà negli anni venti come pugile. Espatriato nel 1930 in Francia, con la “Ascaso” combatté sul fronte di Huesca. Più tardi farà parte del battaglione “Garibaldi”. Ferrari, bracciante di Scandiano, migrato a Parigi nel 1930, era entrato in contatto con ambienti anarchici. Piagnoli, falegname di Sant’Ilario, a Casablanca (Marocco) dove si era recato nel 1930, fu tra i fondatori del circolo antifascista “Svago e Progresso”. Partì per la Spagna con altri cinque compagni emiliani nell’agosto 1936. Scorticati, giovane comunista di Rivalta, nel 1930, assieme al resto della famiglia, raggiunse in Francia il padre emigrato nei primi anni venti. Il 13 settembre 1936 ricevette il battesimo del fuoco la Centuria “Gastone Sozzi” formata quasi interamente da comunisti italiani ed inquadrata nella Colonna “Llibertat”, organizzata dal Partito socialista unificato di Catalogna. Ne fanno parte anche quattro reggiani: Alberto Bartoli ed Angelo Curti, i quali erano partiti insieme da Parigi entrando regolarmente in Spagna ma con nomi e passaporti spagnoli, nonché Gino Poli e Gilberto Carboni. Tutti e quattro militanti comunisti, erano stati protagonisti delle lotte contro lo squadrismo reggiano e delle vicende dell’emigrazione in Francia. Curti, primo segretario della federazione comunista reggiana nel 1921, già sottotenente del Genio durante la guerra 15-18 (e degradato per propaganda pacifista), fu ferito in combattimento nella zona di Pelahustan, in prossimità della frontiera portoghese, in settembre. Sullo stesso fronte, e negli stessi giorni, in prossimità di Real Cenicientos, veniva ferito anche Poli. Assai avventurosa la vita di Gilberto Carboni, bracciante di Villarotta di Luzzara, che cadrà eroicamente nel 1938 sul fronte dell’Ebro. La sua figura meriterà di essere rievocata per esteso in una prossima occasione (a.z.) Angelo Curti fotografato nell’estate 1972 nell’orto della sua casetta a Drancy. NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 13 Noi e le Reggiane Storie di lavoro e di politica PRESENTAZIONE di Mirto Bassoli segretario generale CdLT di Reggio Emilia Altre testimonianze, altri percorsi di memoria e di riflessione sulla propria esperienza da parte di lavoratori che hanno vissuto le vicende del movimento operaio alle Officine Reggiane. Vicende che hanno avuto un significato straordinario nella storia del Novecento, a Reggio Emilia e nella dimensione nazionale. Questo nuovo volume, che fa seguito a quelli opportunamente ricordati nello scritto di Romeo Guarnieri, dimostra che la ricerca intorno a questa storia è lontana dall’aver esaurito il suo interesse e il suo valore. La trama collettiva delle vite che vengono cambiate con l’ingresso nella grande fabbrica, la realtà quotidiana del lavoro, la solidarietà e le lotte, i successi e le sconfitte appaiono sotto aspetti originali, mai scontati, con i contributi che sono via via pubblicati. Renato Ferraboschi, Simone Brega e Mario Sulpizio hanno seguito strade diverse, dopo aver lavorato alle Officine Reggiane. Questa esperienza è tuttavia rimasta un momento centrale e decisivo nella loro vita e nella definizione del loro percorso successivo. A distanza di tanti anni, la memoria torna con passione su quel periodo, ricostruisce situazioni ed avvenimenti, consegna al presente domande sulle quali riflettere. “È sempre stato difficile il ruolo del sindacato di rappresentare il lavoro” dice Guarnieri nella sua prefazione. Condivido questo giudizio, che trova conferma quando si guarda alla storia vera e reale del movimento operaio e non ci si lascia confondere dalle semplificazioni di comodo. È un giudizio che si propone in modo decisamente radicale nella condizione odierna delle lavoratrici e dei lavoratori, di fronte ai processi in atto e al modello sociale che si è imposto. Una realtà che svalorizza il lavoro, che non lo considera come un criterio di riferimento per le scelte economiche, sociali e politiche che danno il segno allo sviluppo. Se un insegnamento viene dalla storia dei lavoratori delle Officine Reggiane, ci dice che questo modo di funzionare della società non è un destino ineluttabile. Insieme con la difesa della loro condizione concreta, insieme con il rifiuto dell’alternativa tra disoccupazione ed emigrazione (la sorte che colpì tanti di loro, dopo la chiusura della fabbrica) era questa la convinzione che animò la straordinaria occupazione delle Reggiane del 1950-51. In una situazione e in un contesto diversi, si ripropone il legame, fondamentale per il sindacato, tra la capacità di rappresentare i lavoratori nella concreta condizione di lavoro e un progetto sociale che dia espressione ed un orizzonte alle esigenze di cambiamento. Come altri contributi, anche le memorie qui pubblicate ci parlano di problemi e di domande che interrogano ancora il presente. Un ricordo doveroso e dolente va alla memoria di Renato Ferraboschi, figura tra le più significative del sindacalismo e del movimento operaio reggiano, deceduto proprio mentre il presente volume sta andando in stampa. Dove l’uomo separò la terra dalle acque Con una locuzione destinata a diventare famosa, Carlo Cattaneo definì l’Italia padana una “patria artificiale”. Artificiale perché costituita dall’uomo in duemilacinquecento anni di escavazione di canali, erezione di argini, costruzione di ponti per il transito umano e per quello dell’acqua (le “botti”). Tra le regioni italiane, l’Emilia Romagna è quella in cui il confronto dell’uomo con le acque è stato più impegnativo e più tragico, consentendogli vittorie luminose, ma anche inferendo sconfitte crudeli. La storia di queste vittorie e sconfitte riconosce i propri protagonisti nelle migliaia di uomini senza nome che hanno tracciato canali ed eretto argini, che ne controllano e ne regolano il flusso. 14 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 L’immane lavoro delle moltitudini senza nome è stato comandato, nei secoli, da principi e architetti, finanzieri e spregiudicati avventurieri: i primi attori della vicenda drammatica delle bonifiche emiliane. Ora da consorzi che ordinatamente vigilano su questa feconda terra di acque. Antonio Saltini, è giornalista e divulgatore scientifico di letteratura agroalimentare, storico e scrittore. Frutto di queste attività sono state, fra le molte cose, le collaborazioni a “Terra e vita”, il settimanale agricolo diretto da Luigi Perdisa, i quattro volumi della Storia delle scienze agrarie e il romanzo L’assedio della Mrandola. Vita, guerra e amore al tempo di Pico e di Papa Giulio. Donne in guerra, donne di pace: libro e recital al Museo Cervi vegno nazionale (ottobre 2004) che ha portato a Reggio cinquanta storiche e storici a parlare di donne, guerra e politica e, infine, con il convegno “Donne di guerra, donne di pace”, nel corso del quale è stato appunto presentato il volume curato da Dianella Gagliani (docente di storia contemporanea all’Università di Bologna) e del quale, insieme alla curatrice, hanno parlato le storiche Anna Bravo, Rosanna De Longis, Lucia Motti e Anna Scattino. Suddiviso in tre grandi capitoli (“Guerra e violenza”, “Resistenze” e “Patria/Patrie”), il volume dell’Istituto Cervi propone il risultato di studi che hanno indagato su questioni ed esperienze territoriali diverse, e che per Reggio Emilia propongono il tema dei “Gruppi di difesa delle donne fra garibaldini e Fiamme Verdi”. “Un libro di grande pregio – ha detto la presidente del Consiglio regionale – che ci stimola a riportare al centro del dibattito politico la “Il segno della sofferenza unisce queste storie tragiche e grandi al tempo stesso, dalle quali sono nati tanti anni di pace; il rileggerle non serve solo a comprendere quale ruolo abbiano giocato nle donne per la Liberazione e la costituzione della Repubblica, ma anche a far sì che oggi, in tempi in cui di altre violenze ed esclusioni sono oggetto, le donne acquisiscano maggiore identità e soggettività politica”. Lo ha detto la presidente della Provincia di Reggio Emilia, Sonia Masini, intervenendo al Museo Cervi alla presentazione del libro “Guerra, Resistenza, politica. Storie di donne”, quasi quattrocento pagine contenenti 35 saggi inediti di storiche italiane proprio sul ruolo delle donne nella Resistenza e nella costituzione della Repubblica, quelle donne che, armate o disarmate, “pagarono un prezzo altissimo – come ha detto la presidente del Consiglio regionale, Monica Donini – per un futuro di democrazia e libertà e, seppure numericamente poche tra i costituenti, certo incisero sulla carta costituzionale nell’affermazione del principio in cui l’Italia ripudia la guerra”. Con la pubblicazione del ponderoso volume (edito da Aliberti), l’Istituto Alcide Cervi – ha sottolineato il presidente Ugo Benassi – ha concluso un lungo percorso per le celebrazioni del 60° della Resistenza e della Liberazione; un cammino che ha voluto appositamente mettere in rilevo il contributo spesso sconosciuto o non riconosciuto che le donne hanno assicurato alla costruzione di una pagina storica così importante”. Questo percorso si è snodato attraverso un convegno sulla figura di Genoeffa Cocconi Cervi, poi con un con- Le felicitazioni dell’Anpi al presidente della Repubblica questione femminile, che di quel confronto non può essere uno del tanti temi, soprattutto in una stagione in cui – proprio come sessant’anni fa – i grandi problemi di natura economica, sociale e culturale si scaricano innanzi tutto sulle donne”. Analisi e approfondimenti al mattino al Museo Cervi, e nel pomeriggio testimonianze (Laura Mirka Polizzi, vicepresidente nazionale dell’Anpi) e poi grandi emozioni con il recital “Sebben che siamo donne…” scritto e interpretato da Ivana Monti con la partecipazione del coro delle mondine di Novi di Modena diretto da Giulia Contri. Un recital da donne per le donne, che parte dal loro impegno in politica fin dal Risorgimento e da lì avanza fino alla metà del secolo scorso, con la voce e il canto struggente di Ivana Monti e tanti canti della tradizione popolare proposti dalle mondine di Novi Gino Belli L’Anpi ha inviato un messaggio di felicitazioni e di auguri al Presidente Giorgio Napolitano il quale ha risposto con il seguente telegramma indirizzato al Presidente Giacomo Notari. Ringrazio sentitamente per le cortesi espressioni d’augurio rivoltemi in occasione della mia elezione e ricambio un cordiale saluto. Giorgio Napolitano Mittente: Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica Palazzo del Quirinale 00187 Roma NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 15 Tornare a Falcade Sulle orme dello scultore partigiano Augusto Murer A Falcade di Belluno c’ero stato da ragazzo nel luglio del 1963 e fu quello il mio primo contatto con le Alpi, montagne che fino ad allora avevo visto solo al cinema e sulle cartoline in bianco e nero o colorate come si coloravano allora. Il viaggio avvenne in corriera con tutta la comitiva dei reggiani che avrebbero trascoso un turno di due settimane secondo la norma di quegli anni nelle vacanze organizzate dalla Camera del Lavoro. La corriera fece sosta a Bassano presso quella lunga fila di alberi sui quali erano stati impiccati i partigiani rastrellati sul monte Grappa, quindi imboccò la valle del Cordevole ed infine, risalendo il Biois, mi apparvero le cime del Focobon. Soggiornai alla pensione Negritella che era gestita dall’ Etli (Ente Turistico Lavoratori Italiani) di Reggio assaporando ingenuamente la meraviglia dei luoghi e la diversità degli abitanti. La pensione era frequentata da molti sindacalisti reggiani: Walter Marghignani, Ivano Pezzarossi, Rosa Galeazzi, Giacconi, Moscardini, al Mègher, Gabetto, Bléki e tanti altri di Modena, Bologna, Ancona, Roma ma non ricordo chi di loro scherzava sulle somiglianze del testone coricato riconoscibile nelle ombre del profilo del monte Mulaz. I reggiani al Negritella ci andavano già da alcuni anni se nel 1960, dopo i sanguinosi fatti del 7 Luglio, molti di essi si precipitarono a Reggio interrompendo bruscamente la vacanza. Bisognoso di fresco e di silenzio ci sono ritornato solo quest’anno ed appena giunto mi sono assurdamente stupito nel constatare che il Focobon, come qui chiamano alcune delle pale di San Martino, con la sua tazza innevata rinchiusa dalle guglie circostanti, era ancora lì come nel 1963 assieme alle altre cime che nella loro maestosità vegliano su Falcade. Una delle prime cose che ho fatto è stata la ricerca della pensione Negritella ma in quarant’anni Falcade è cambiata ed è cresciuta nonostante i luoghi non siano stati snaturati dalla edilizia come purtroppo è avvenuto dalle nostre parti; non è stato facile ritrovarla perchè è stata trasformata nella locale sede dell’ufficio postale. Ho rivisto volentieri la fontana nella piazzetta di Falcade Alto della quale conservavo il benevolo ricordo d’una colossale bevuta d’acqua fresca tornando da una gita che passava per Somor. Lì vicino non ho invece trovato un’osteria nella quale avevamo passato una indimenticabile serata con gente del luogo. Scomparsa è anche la Casa Storica, che avevamo visitato a Pié guidati da una anziana 16 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 Le tre cime del Focobon ed il Mulaz dietro Falcade. signora che ci raccontò di quando erano ritornati gli austriaci dopo la rotta di Caporetto ed alla quale, non ricordo chi, forse Magnanini di Fabbrico, pagò per noi ragazzi con una moneta d’argento da 500 lire. Gli storici locali pare abbiano risolto la controversa questione etimologica sul nome del paese: non c’entrano i falchi ed il castello Falcone posto a guardia della valle non è mai esistito. Il toponimo deriverebbe dal “falciare” (localmente Falcade si chiama Falciade) della fienagione, attività basilare nella economia alpina. La prima antropizzazione risalirebbe attorno all’anno Mille indotta dallo sfruttamento delle fittissime foreste di abeti e di larici integrata in seguito dalla attività mineraria che venne esercitata per secoli nell’Agordino. Il dialetto parlato è un veneto molto particolare ma dalla toponomastica: ciasa, falciade, trapela il substrato ladino che era ancora diffuso nella valle del Biois alla fine dell’Ottocento. Mentre a Reggio, nell’ultima settimana di giugno, c’era un caldo torrido a Falcade c’era freschissimo anzi spesso pioveva e questo impediva di fare passeggiate nei bellissimi boschi e nelle praterie dai colori intensi. Addentrandomi nella valli laterali del Biois, come quella di Gares che di sera è particolarmente suggestiva, ho scoperto che Canale d’Agordo è il paese natale di Papa Luciani. In una mattinata particolarmente uggiosa ho visitato il locale museo dedicato ad Augusto Murer, il celebre scultore di Falcade deceduto nel 1985. Murer l’avevo visto di persona nel 1963 alla pensione Negritella che l’artista frequentava perché lì c’erano dei sindacalisti reggiani suoi amici i quali erano stati partigiani e con loro si sentiva compreso ed in buona compagnia. Se ben ricordo la Resistenza a Falcade era nel 1963 un argomento tabù ma dopo sessant’ anni non sembra sopito il pesante segno lasciato dal massacro perpetrato dai nazisti nella frazione di Caviola nell’agosto del 1944, dalle vicende che ne seguirono, dalle polemiche sui partigiani rinfocolate nella prima metà degli anni Cinquanta tratteggiate in una bibliografia che prosegue col recentissimo libro Al di là e al di qua del Piave. La mia impressione è che ancora il tutto covi nella memoria di un paese in cui il centro destra raggiunge il 65 percento e che fa fatica a raccogliersi a Caviola attorno allo struggente monu- Reggio Emilia 1974. Da sinistra: Augusto Murer col figlio Franco, Ulisse Gilioli, Bagni, Cesare Zavattini. mento di Murer dedicato al caduto partigiano. Il museo sorge ai margini della frazione di Molino, all’inizio della via Tilman che lo collega all’altopiano di Asiago in un ideale contatto con Rigoni Stern, ed è collocato nell’ex laboratorio costruito secondo linee architettoniche moderne e discontinue con quelle tradizionali delle case alpine. Il museo è stato visitato da numerosissimi artisti e personalità tra le quali personaggi leggendari come Sandro Pertini. La visita al museo provoca delicate emozioni perché Murer ha saputo amalgamare i valori e la centralità del lavoro e della Resistenza con la sua opera fortemente legata alla natura, al legno delle sue foreste, ad una cultura piena di credenze pagane che, come Carlo Levi ad Aliano, laicamente inglobava e traduceva nella sua arte. Il rapporto con la cultura contadina, coi minatori, la immedesimazione nel lavoro e nella contemplazione della propria opera artigiana diventano con Murer una proiezione artistica della Repubblica Democratica fondata sul lavoro e della sua Costituzione del 1948 e proprio nei giorni del referendum, sotto l’effetto della vittoria del NO, ho lasciato scritto sul diario dei visitatori del museo: “come si fa ad essere contro le idee di Augusto Murer?” quasi per rimproverare Falcade, periferia di un improbabile Lombardo-Veneto ridotto ad una manciata di provincie, che al referendum aveva appena votato massicciamente SI. Interprete di una cultura locale ma non folklorica che affonda le proprie radici nel territorio come le piante nelle foreste tra cui è nato e dove l’agitarsi del larice nel vento ricorda la sofferenza dell’uomo dei boschi, dove natura, tronchi, pietre ed uomini si confondono in un complesso ed arcaico groviglio ispiratore dell’arte del legno che oggi sembra affidata alla ripetitività di bottegai attenti soprattutto al portafoglio dei turisti, amico di Carlo Levi, di Guttuso, di Zancanaro, di Rigoni Stern che è autore di una commovente dedica posta sui muri del museo e di tantissimi altri, Murer era inserito nei massimi cenacoli artistici e culturali ma l’ ex partigiano non lasciò mai Falcade e sulla sua sepoltura, nel locale cimitero, domina una statua da lui appositamente scolpita per la sua tomba. I Falcadini sono emigrati in varie parti del mondo portando l’esperienza dell’attività muratoria e mineraria (disegni sui minatori di Murer, che non era solo scultore, verranno esposti nella mostra dedicata al 50° del disastro di Marcinelle) ma molti sono stati sterminati dalle guerre mondiali ed i loro principali cognomi compongono una lunga lista di caduti sul cippo innalzato davanti alla chiesa nuova che conclude Augusto Murer: il monumento dedicato al partigiano a Caviola. con un accenno ai caduti partigiani elencati poi nella targa posta attorno al 1990 nel parco comunale. Falcade, crocevia delle valli di Fassa, del Biois, del Cordevole e del Cismon è oggi tipica meta turistica nel cuore delle Dolomiti. Abbiamo avuto la fortuna di dormire in uno dei più vecchi alberghi nel cuore del paese, dove si mangia benissimo ed abbiamo scherzato con la titolare sul fatto che ai clienti proponeva il formaggio “Parmigiano” mentre noi, fedeli ambasciatori del nostro grana, insistevamo affinchè lo chia- masse “Parmigiano Reggiano”. Ma in tutta la valle e nei suoi rifugi si mangia molto bene: canederli, casunziei, ravioli di vari tipi, capriolo con polenta e altro, una cucina dolomitica ma con sue caratteristiche peculiari. Si beve poi ottimamente, non dimentichiamo che siamo nel Veneto e che il vino viene su dalla vicina Marca Trevigiana. Un tocco finale di reggianità: la Laccabue madre del pittore Antonio Ligabue è originaria di Cencenighe, il paese che chiude la valle del Biois. Bruno Grulli Narrazioni intorno a Filippo Re Narrazioni intorno a Filippo Re - Ritratto poliedrico di uno scrittore scienziato, a cura di Gabriella Bonini e Antonio Canovi, Ed. Diabasis, Correggio, Maggio 2006. L’intento di questo libro (con annesso Cd) è quello di restituire il senso di un percorso pluridisciplinare e didattico condotto assieme a una fitta rete di interlocutori e consulenti: segnatamente i docenti e gli studenti di alcune scuole superiori nella provincia di Reggio Emilia, e le università di Modena e Reggio Emilia e Bologna, intorno al poliedrico studioso. Le suggestioni a “mettersi in viaggio” con Flipàz – come Filippo Re veniva talvolta chiamato in tono canzonatorio in famiglia – costituiscono una precisa indicazione di lavoro. Lo “scrittore scienziato”, a due secoli di distanza, colpisce particolarmente per lo sguardo olistico che rivolge al paesaggio agrario italiano. In quel suo obliquo incedere dall’eternità dei testi classici al particulare delle consuetudini locali, si ritrova una posizione originale, meritoria di essere ricordata e trasmessa. Queste narrazioni intorno a Filippo Re nascono con l’intento dichiarato di restituirne il ritratto non tanto al suo, quanto al nostro tempo. NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 17 Un romanzo che ci tuffa nella storia sociale dell’Ottocento NORMANNA ALBERTINI , Isabella, ed. Chimienti , Milano-Taranto, 2006 Alla sua seconda prova come romanziera, dopo Shemal, Albertini conferma le sue doti di narratrice che unisce fantasia creativa a recupero della dimensione storica, riuscendo ad intrecciare in modo persuasivo e coinvolgente le vicende di personaggi di pura fantasia a presenze sorprendenti di personaggi storici reali, diversi dei quali, dall’avventuriero Luigi Parmeggiani al patriota carbonaro Franceschini, reggiani. All’interno di una struttura consapevolmente recuperata dal feuilleton francese di fine Ottocento, l’Autrice trasmette al lettore la sua particolare sensibilità ai temi della libertà, della giustizia sociale e, in particolare, della condizione femminile. Complicato sarebbe riassumere in questa sede la trama del romanzo, i cui personaggi, storici e di fantasia, si muovono tra Parigi, Clermont Ferrand, la Rubiera della decapitazione di don Andreoli , la Milano di Bava Beccaris e di don Albertario (che fa pensare a don Pasquino Borghi) e “Casa degli Osti”, nome di fantasia di un borgo ai piedi della Pietra di Bismantova. Da Casa degli Osti partono i fili della complessa e coinvolgente vicenda, dipanandosi attraverso il tempo di circa un secolo e lo spazio di mezza Europa. A Casa degli Osti le varie trame si ricompongono a cavallo tra XIX e XX 18 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 secolo, con il convergere lassù, da varie parti del mondo compresa l’America, di una serie di personaggi le cui storie personali hanno tutte, in vario modo, a che fare con il personaggio che dà il titolo al romanzo, Isabella appunto. Frutto di uno stupro, fanciulla sensibile e di delicata bellezza, soltanto in questa fase finale conoscerà la vera madre ed il padre stupratore finalmente pentito. Lungo tutta la storia, costellata di indizi e false piste , un ritornello tiene desta l’attenzione e la curiosità del lettore: “Ainsi font, font, font/Les petites marionettes,/Ainsi font, font,/Trois petits tours et puis s’en vont…”.Un ritornello che lega la Salpêtrière del celebre medico Charcot, dove la madre stuprata di Isabella viene in qualche modo curata, e la casa parigina di Leon y Escosura, dove la stessa madre accosterà Luigi Parmeggiani, fuggito da Reggio dopo l’attentato a Camillo Prampolini. Ecco, lo stupro,la violazione del corpo femminile è uno dei filoni che percorrono il libro, dal quale esce come un dolente grido di protesta per secoli di oppressione della donna, soprattutto della donna povera, come per alcune delle tante ragazzine del nostro Appennino andate per serve in città. Un grido che trova lucida espressione nella figura di Anna Kuliscioff, che l’A. immagina aver a che fare con Isabella ed essere capitata a Reggio, e a casa degli Osti, prima ancora di sapere che davvero la celebre rivoluzionaria russa dalle nostre parti era capitata davvero. Ma questo ha forse a che fare con una certa identificazione dell’Autrice con le “streghe” (o pretese tali) per secoli perseguitate in quanto dotate di “saperi” o di sensibilità diversi da quelli maschili, e tali da compromettere la superiorità maschilista. Streghe che sono anche protagoniste positive del romanzo, come “la Pagana” di Casa degli Osti. Come la stessa Isabella, che in una caso ha visioni di ciò che sta accadendo o per accadere. Intrigante poi il recupero, attraverso alcuni dei personaggi di rivoluzionari che giocano un loro ruolo nel romanzo, delle radici storiche degl’ideali di libertà e di giustizia incarnati nelle figure di personaggi reali come Gracco Babeuf o Filippo Buonarroti. E siamo così alle sorgenti dell’utopia comunista nell’Europa moderna. Ne scaturisce, nel complesso, una sorta di proposta per un appassionante dibattito sulla storia contemporanea, dal- la Rivoluzione Francese alle lotte sociali di fine Ottocento - inizio Novecento. Con una intuizione, anche qui siamo forse alla “magaria” di Normanna Albertini, che ci fa compiere un balzo all’indietro fino al grande Blaise Pascal, citato un po’ misteriosamente dall’Autrice quando scrive che Giovannino, in fuga dallo sfruttamento bestiale cui era sottoposto a Saint Romain Le Puy per tornare a Casa degli Osti, passa da Clermont Ferrand e “non sa che […]è la patria di un grande pensatore cattolico, il quale sosteneva che l’uomo non deve negare la sua meschinità ma deve saper accogliere, limpidamente, la propria essenza e tutto ciò che essa racchiude”. Di una intuizione “proto-comunista” di Pascal, l’Autrice pare non essersi accorta, anche se in realtà ne anticipa il concetto dieci pagine prima quando cita il “terzo grado” della iniziazione della Massoneria storica (e rivoluzionaria): “Tutto ciò che c’è di sbagliato e di malvagio nel mondo aveva origine nella divisione della terra”. Che è quasi la perfetta parafrasi dell’articolo VI, n.53 di un pensiero di Pascal: «Mien, tien. – “Ce chien est à moi, disoient ces pauvres enfans; c’est là ma place au soleil”. Voilà le commencement et l’image de l’usurpation de toute la terre». Che, tradotto dal francese seicentesco suona: ««Mio, tuo» – «Questo cane è mio, dicevano quei poveri ragazzi, questo è il mio posto al sole». Ecco l’inizio e l’immagine dell’usurpazione di tutta la terra»» (Pensées, ed. Mignot, pag.97). Ulteriore indizio, con molti altri su cui non possiamo qui soffermarci, che la “tentazione comunista” (o egualitaria) dell’Autrice si nutre di succhi di un cristianesimo che ha in qualche modo a che fare con la Teologia della liberazione. Un libro davvero appassionante da leggere, questo della Albertini. E da discutere. Antonio Zambonelli Normanna Albertini è nata a Canossa nel 1956. Insegnante, vive e lavora nel comune di Castelnovo Monti, in vista di quella Pietra che nel romanzo appare quasi come protagonista. Impegnata in varie iniziative di pace e solidarietà, scrive da anni per “Tuttomontagna”. Con questo libro è alla sua seconda opera di carattere narrativo. Che lo spirito di Zapatero sia con noi Una riflessione sull’aria fresca che arriva dalla Spagna È un’autentica boccata d’aria fresca leggere Zapatero. Il socialismo dei cittadini. Intervista al premier spagnolo di Marco Calami e Aldo Garzia (Feltrinelli, 2006). Nelle parole del primo ministro spagnolo e segretario del Psoe e in quelle di alcuni suoi collaboratori e collaboratrici risulta, in negativo, ciò che manca alla sinistra italiana: una chiara idea del futuro e la capacità, quindi, di suscitare nella società energie positive. Se Zapatero parla di “socialismo dei cittadini”, ossia di “crescita dei diritti dei cittadini”: “i diritti fanno più forte i cittadini – spiega Zapatero – e rendono più forte la società e la democrazia”, qui da noi la voce dei leader della sinistra è sostanzialmente atona. Zapatero, scrivono nell’introduzione i due curatori, quando parla di «socialismo dei cittadini”, sottolinea due temi centrali. “Il primo: la necessità che la “sinistra moderna” superi i limiti storici della socialdemocrazia, la quale, “nell’ultima fase del Ventesimo secolo ha dimenticato, concentrando il suo progetto nell’economia e nel settore pubblico statale, la società e il funzionamento democratico” […] Il secondo: l’importanza di recuperare, adattandoli alla situazione attuale, i valori “che stanno sulla facciata principale dell’edificio politico costruito dalla rivoluzione francese” […]. I nostri grandi obiettivi, sostiene il premier, sono il “rinnovamento democratico e lo sviluppo della cittadinanza”». La storia della sinistra italiana, in primis quella comunista, ma senza dimenticare quella socialista decompostasi “tragicamente” nel delirio di potenza e di corruzione di Craxi e di tanti suoi seguaci, ha perso tempo prezioso nel cercare la quadratura del cerchio, ossia rimanendo fedele a parole alla Rivoluzione d’ottobre mentre si cimentava con le domande e le esigenze della democrazia, che non ammettono scorciatoie. Il limite fondamentale del Pci è nato dall’arroganza taumaturgica di credere che il solo esserci avrebbe cambiato sia il funzionamento della burocrazia statale sia quello della politica democristiana. Il “flirt” con Rumor prima e con Andreotti poi, alla metà dei Settanta, nasce essenzialmente da questa suicida presunzione. E quando la storia del comunismo si è dissolta, gli stessi uomini che per anni hanno sventolato la bandiera del socialismo sovietico hanno deciso di ammainarla. Che andava bene. Ma il problema vero è che avrebbero dovuto farsi da parte, invece, hanno agito precludendo tanto il ricambio quanto l’innesto di energie nuove. Hanno agito come le più classiche delle élite, hanno conservato il potere anche nella nuova formazione politica. La storia del partito comunista italiano, almeno per quello emiliano, è una storia di socialdemocrazia non voluta riconoscere – con in più la presunzione di saper far meglio del Partito socialista quando questi diede vita, insieme alla Dc, al centro-sinistra – che gli ha impedito di attraversare il famoso guado finendovi, invece, annegato. Oggi, quello stesso stato confusionale continua ad essere il filo rosso della loro (nostra) storia: dal comunismo al partito democratico. Con l’intermezzo altrettanto della “Cosa”. Io credo allora sia necessario riflettere su una fase intermedia soprattutto per stimolare le fiacche energie che ruotano intorno ai partiti del centro sinistra, in particolare, penso, ai Ds, che continuano ad essere, almeno per chi scrive, il punto di riferimento a sinistra come lo spirito unitario che guida l’Anpi in tante sue prese di posizione, che si richiamano allo spirito costituente, dovrebbe ispirare il comportamento politico e morale dei partiti che rappresentano il centrosinistra, Ds compresi. Bisognerebbe avere il coraggio, allora, di parlare se non di “socialismo dei cittadini” di “piena attuazione delle norme costituzionali del ’48” che hanno avuto, con il referendum confermativo del 25 e 26 giugno scorso, l’incredibile conferma della loro attualità, ma soprattutto che continuano a essere vive nello spirito di milioni di cittadini italiani, non certo definibili “reduci”. Bisognerebbe avere il coraggio perché i cittadini contino veramente nella vita dello Stato e nelle sue articolazioni territoriali, preoccupandosi di allargarne i diritti di cittadinanza. Contrastando, monopoli, lobbies e privilegi di categoria, consentendo finalmente alla società italiana di essere aperta e di permettere a chi è meritevole di raggiungere i più alti gradi di studio e di ambire a posti di direzione e di poterli soprattutto ricoprire, indipendentemente dallo status di partenza. Certo, il partito democratico, che dovrebbe nascere dalla confluenza di culture diverse, è soggetto a compromessi, ma ciò che dovrebbe unire è la consapevolezza che solo la rottura di circoli chiusi dall’aria viziata è la premessa del suo possibile successo. Ma il problema è quello posto sopra: sono sempre gli stessi, giovani o vecchi che siano. Ci vorrebbe un bagno di umiltà creativa. C’è un’idea della politica troppo chiusa, riservata solo agli addetti ai lavori, e invece dovrebbe potenzialmente essere aperta a tutti. Moralità e sobrietà. Ci vorrebbe la chiarezza sul fatto che il rispetto intelligente delle regole è quella “riforma protestante” che oggi, in un Paese frantumato nel particulare qual è il nostro, darebbe il segnale che qualcosa sta cambiando. Bisognerebbe avere il coraggio di intervenire sui costumi e la televisione è un obiettivo sensibile da tenere sotto controllo per spezzare la sua potenza veicolante della “cultura”, in senso generale e con tutta la negatività attribuibile, berlusconiana. Si cambia realmente quando si è in grado di inserire elementi culturali diversi da quelli esistenti. Il problema non è, naturalmente, imitare Zapatero ma capire quali possono essere le corde da pizzicare perché i cittadini italiani trovino ancora ragione nella politica e nell’appartenenza ad una società che solo attraverso la solidarietà può trovare un futuro comune. (g.b.) IL NOTIZIARIO ANPI Periodico di politica, storia, cultura e informazione varia LEGGETE E DIFFONDETE IL NOTIZIARIO ANPI NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 19 Un’esperienza educativa nata 60 anni or sono per iniziativa dell’Anpi Del convitto scuola “Luciano Fornaciari” di Rivaltella abbiamo qua e là pubblicato qualche accenno su questa rivista. Quella straordinaria esperienza meriterà di essere ristudiata in modo approfondito anche per l’importanza che ebbe nel quadro della Ricostruzione morale e materiale della nostra provincia, e non solo. Qui riproduciamo alcune pagine dell’ormai introvabile opuscolo “2 anni di attività dell’Anpi di Reggio Emilia”, pubblicato nel 1947 a cura di Didimo Ferrari, Eros. Ritenuta indispensabile nel campo della scuola una riforma sostanziale, considerata l’impossibilità, data la situazione in cui si trovava il Paese allora, di raggiungerla con una certa rapidità, vista la posizione in cui venivano a trovarsi molti partigiani e reduci privi di una professione che loro desse garanzia per l’avvenire, si gettavano le basi per la creazione di un Convitto Scuola ove l’individuo avesse trovato nello studio, unitamente alle cognizioni culturali di carattere generale, anche una professione od un avviamento professionale, che fosse conforme alle proprie tendenze ed alle proprie capacità pratiche. Nacque così il Convitto che iniziò la sua attività fidando sull’aiuto dell’Anpi Provinciale. Più tardi, in seguito al sorgere di altri Convitti, entrò nel Circolo dei Convitti Nazionali ottenendo così la sovvenzione dell’Assitenza Post-Bellica. Il Convitto reggiano l’anno scorso ha svolto un Corso per capimastri muratori e un corso di perfezionamento edile al quale hanno partecipato inizialmente 40 allievi tra partigiani e reduci. Agli esami si sono presentati 32 allievi e i risultati sono stati più che soddisfacenti, come ha affermato lo stesso Provveditore agli studi della nostra provincia. Subito dopo si è iniziato il corso telegrafisti: dei 25 partecipanti solo 12 hanno conseguito il brevetto. Ha poi indetto due corsi per ottenere le patenti di 2º grado e circa 50 sono stati gli iscritti e tutti hanno superato l’esame con esito favorevole. [...] Per ragioni sanitarie e scolastiche il Convitto Scuola che aveva la propria sede in Via S. Rocco si trasferì a Rivaltella dove più di 100 allievi frequentano i due corsi. La scuola è stata attrezzata modernamente ed ha mensa, dormitorio, Uffici, biblioteca, aula per esercitazioni pratiche e teoriche, campo sportivo ecc. L’Istituzione del Convitto Scuola, pur incontrando, come si è detto, enormi diffi20 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 Scuola Convitto, sede di Rivaltella. Dormitorio. coltà, ha tuttavia incontrata il pieno desiderio dei partigiani, dei reduci e del popolo tutto, i quali vedono in esso non più la scuola meta solo dei privilegiati, ma la casa educativa del popolo e di tutti coloro che intendono progredire per il proprio benessere e per il benessere della collettività. [...] Nella nostra Scuola si mette in pratica la più stretta collaborazione fra insegnanti e allievi. Alla direzione di questa vi è il Consiglio dei Professori al quale partecipano gli studenti attraverso la loro Commissione di studi dei problemi didattici. Gli studenti si interessano, dell’organizzazione della Scuola e del Convitto. In tal modo si è dato vita ad un completo auto-governo del Convitto e della Scuola che permette di educare gli allievi allo spirito di iniziativa ed al senso di responsabilità. [...] Riportiamo qualche giudizio sul nostro Convitto Scuola. Reggio Democratica scrive: “Un grande entusiasmo pervade tutti i giovani che in questa Scuola convivono: e una prova di esso è il fatto che nelle ore di ricreazione essi si dedichino alla sistemazione del parco della Villa e ad altri lavori utili alla comunità. E tutto essi compiono con una serietà e una precisione che colpisce l’osservatore: idonei a portare tra il popolo un maggior numero di tecnici di cui in Italia vi è innegabilmente un grande bisogno. È infatti in stridente contrasto con i tempi ostinarsi e limitare la luce del sapere a pochi privilegiati, ma questa deve dilagare in tutte le case, dal più remoto villaggio di pianura e di montagna ai maggiori centri urbani. Lo Stato deve sorreggere finanziariamente e non lasciare affogare nel pantano del conservatorismo, esperienze acquisite giornalmente dal Comitato direttivo della Scuola e da tutti gli allievi. Democratizzazione della scuola e dei metodi di insegnamento, ferma volontà e umana aspirazione dei giovani lavoratori di impossessarsi delle cognizioni tecniche; riforma dei programmi e loro adeguamento alle esigenze create dai tempi e dalla storia in continuo divenire; possibilità di studiare a coloro che, pur avendo pozzi di intelligenza non ne hanno i mezzi: questo è quanto si deve fare in Italia. E le decine di Convitti Scuola per i partigiani e reduci esistenti nel nostro Paese hanno già creato le basi per questo rinnovamento, fornendo all’attuale e ai futuri Ministri della Pubblica Istruzione preziose esperienze che ogni democratico, anche se non eccessivamente progressivo, deve estendere nella Scuola italiana”. E il Giornale dell’Emilia: “Il Convitto Scuola per partigiani e reduci allestito a Rivaltella appunto a cura di queste due Associazioni, è in funzione fin dal novembre scorso per l’interessamento del Provveditorato agli Studi, è uno di quei collegi improntati alle norme della didattica più moderna”. Da Tempo Nostro: “Il nuovo regime democratico che sta realizzandosi in Italia ha fatto sorgere un po’ dappertutto nuovi Enti, nuovi Istituti che si preoccupano di soddisfare sempre più le esigenze popolari. Fra queste nuove realizzazioni, per le alte finalità che persegue e per il modo assolutamente encomiabile col quale è stata attuata, merita un particolare rilievo la Scuola-Convitto per Partigiani e Reduci”. Il Preside del Convitto, Prof. Valpot in occasione della conferenza stampa tenuta al Convitto alla presenza dei corrispondenti di vari giornali quotidiani e settimanali, ha affermato che “In questi nuovi sistemi pedagogici di insegnamento è l’avvenire della scuola italiana”. La Resistenza vive nella Costituzione Alessandro Fontanesi, autore, col padre Denis, del volume “Volti di libertà”, non manca di commentare con passione e lucdità momenti importanti della vita locale e nazionale, anche con interventi sulla stampa. Pubblichiamo in ritardo (per motivi tecnici) alcuni brani di una sua bella lettera indirizzata al Presidente Notari in aprile. Stimatissimo Presidente, amici e compagni partigiani e fanno 61, 61 come gli anno trascorsi dal 25 aprile, giorno della Liberazione del nostro Paese. Sembra ieri, eppure oltre mezzo secolo è passato per voi ragazzi con i capelli bianchi, con il volto segnato dal tempo, ma che dentro agli occhi avete ancora la gioventù e l’entusiasmo dei vent’anni, che avete dato la vita per la nostra libertà. Tanti anni sono passati, molti di voi partigiani non ci sono più, ma non per questo sbiadisce il ricordo dei vostri sacrifici. Le idee per le quali avete combattuto e per le quali tanti ragazzi sono morti, non sono affatto morte con essi, tutt’altro, hanno messo radici, sono germogliate ed il 25 aprile, data simbolo della Resistenza e della Liberazione, è più che mai attuale, così com’è attuale l’insieme dei valori storici, politici e morali che esso incarna. [...] Dopo 61 anni il cammino verso una democrazia piena è perlomeno messo in pericolo ed un altro esempio lampante è l’esito delle elezioni politiche. Ha vinto Prodi, certo di poco, eppure ad oltre una settimana dal voto, arroventando ancor più il clima politico come fosse ancora in campagna elettorale, lo sconfitto non ammette e non accetta il responso delle urne. Millantando brogli ed irregolarità, Berlusconi ed i suoi, ben sapendo che avrebbero perso, hanno confezionato la “porcata” (per loro stessa ammissione) della nuova legge elettorale per destabilizzare il voto e la futura governabilità ed alla fine sono rimasti vittime della loro stessa truffa. Ora piangono e sbraitano contro tutto e contro tutti, Berlusconi vorrebbe mantenere il proprio potere ad ogni costo e con qualunque mezzo, servendosi della sua “claque” politica e della pressoché totalità dei telegiornali, questi ultimi ossequiosamente e servilmente prostituiti in modo indecente, vorrebbe far credere che il vincitore non c’è. [...] Il 25 aprile, giornata simbolo dell’unità del nostro popolo, giunge come una boccata d’ossigeno per questa sorte di palude mediatico-politica, ma soprattutto dovrà essere il momento per rendere attuali gli insegnamenti ed i valori di chi ha liberato il nostro Paese, primo fra tutti la Costituzione, figlia di quella straordinaria stagione di lotta. Per certuni dunque, la nostra Carta fondativa è già vecchia, al punto da capovolgerne i capisaldi fondamentali, in quanto troppo intransigente e troppo garante degli interessi del popolo, piuttosto che dei privilegi di un megalomane che si crede Napoleone e si è paragonato a Gesù Cristo. Usando le parole del presidente Ciampi: “la Resistenza vive nella Costituzione”, quella Costituzione che come scrisse Pietro Calamandrei: “se può apparire alla decrepita classe politica che lotta vanamente per salvare i suoi privilegi, come un’inutile carta che si può impunemente stracciare; essa può diventare per le nuove generazioni, che saranno il ceto dirigente del domani, il testamento spirituale di centomila morti, che indicano ai vivi i doveri dell’avvenire”. Dopo 61 anni quindi, il 25 aprile si pone ancora una volta in prima linea per difendere quelle conquiste che credevamo ormai certe, per difendere la libertà degli italiani, i quali statene certi non esiteranno a scegliere irrevocabilmente la strada sicura della libertà, della giustizia, della Costituzione repubblicana, sulla quale edificare il futuro dei loro figli e sulla quale riprendere serenamente il percorso verso una democrazia piena e consapevole. W il 25 aprile, W la Resistenza, W la Repubblica. Con sentita e sincera amicizia, un grande abbraccio. Alessandro Fontanesi Anpi Poviglio Visita d’istruzione delle classi terze all’antico monastero della Benedicta Grazie all’aiuto dell’Anpi sezione di Poviglio e ai signori Sidraco Codeluppi e Giorgio Campanini che hanno accompagnato gli allievi, le classi terze della Scuola Media di Poviglio si sono recate, il 18 e 19 maggio, a visitare un commovente e particolare luogo della memoria: i ruderi dell’ antico monastero della Benedicta (Comune di Bosio, provincia di Alessandria). Intorno al Monte Tobbio nell’inverno ’43-44 si rifugiarono i primi nuclei di giovani partìgiani e renitenti alla leva che si opponevano al fascismo: questi collocarono il loro quartier generale nell’abbazia benedettina chiamata Benedicta. Male armati e privi di istruzione militare, questi giovani furono colpiti da un violento rastrellamento nazifascista nei giorni di Pasqua del 1944; il monastero, uno dei maggiori monumenti dell’ Appennino, fu fatto saltare. Furono 147 i partigiani fucilati sul posto, altri trucidati al Passo del Turchino e 400 furono deportati in Germania: di questi 200 riuscirono a fuggire, gli altri morirono nei campi di sterminio. I boschi, il silenzio che ora circonda questi luoghi, il sacrario commemorativo fra le piante hanno dato ai partecipanti la possibilità di una riflessione profonda e assolutamente non banale sulla lotta per la libertà. La visita si è conclusa con la deposizione di una corona d’alloro al monumento ai caduti. La visita di istruzione è stata preceduta da una lezione tenuta dalla professoressa Maria Assunta Ferretti, responsabile della sezione Didattica di Istoreco. La scuola, gli insegnanti, gli alunni, i genitori ringraziano di cuore l’Anpi che permette, con queste splendide iniziative diventate un appuntamento tradizionale per le classi terze, di mantenere i legami con la nostra storia per non dimenticarla e per avere sempre più occasioni per costruire e valorizzare la pace. Gli alunni e gli insegnanti accompagnatori Gli studenti e gli accompagnatori alla Benedicta. NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 21 NINO BARAZZONI, Una vita tra due mondi Nino Barazzoni, Una vita tra due mondi (da Bibbiano al Perù e ritorno), Anpi e Comune di Bibbiano, pp.115, euro 5,00. Conservato per 70 anni tra le carte di famiglia, l’autobiografia manoscritta del medico bibbianese Nino Barazzoni, padre del nostro amico prof. Renzo, è stata pubblicata, (cura e introduzione di Loris Bottazzi), dall’Anpi di Bibbiano. Si tratta di un testo davvero eccezionale, come eccezionale è stata la vita del suo autore, nato nel 1870 e morto nel 1936. Emigrato poco dopo la laurea in Perù, là iniziò l’esercizio della professione medica, aprendo anche un ospedale, e diventando addirittura Sindaco della città di Callao. Rientrato in Italia, nella sua Bibbiano, dopo 17 anni, nel 1914, Nino Barazzoni fu ufficiale medico durante la 1a Guerra mondiale. “Mi sono sempre chiesto – scrive Barazzoni – se Trento e Trieste valessero tanti morti e feriti, tante distruzioni. Oggi, a 10 anni dalla fine della guerra, le misere condizioni in cui versa il nostro paese mi confermano ancor più nelle mie convinzioni: quel piccolo aumento territoriale, ottenuto a così caro prezzo, non sarebbe stato possibile ottenerlo nel 1914 con trattative diplomatiche?”. È soltanto una delle folgoranti osservazioni contenute nel testo, e vi troviamo la duplice ispirazione di matrice socialista e cristiana. Tanto più significativa quella osservazione in quanto espressa nel pieno dispiegarsi della retorica fascista sulla “vittoria tradita”. Del tutto godibili, e di notevole interesse anche storiografico, le descrizioni del paese natio e dei suoi dintorni sul finire del secolo XIX, quando Bibbiano era ancora luogo di villeggiatura, e per recarsi a Reggio “si viaggiava ancora con le vecchie diligenze a cavalli” e “si impiegavano, con la Corriera, non meno di due ore a stagione buona, e sempre più tempo quando le strade erano fangose e inghiaiate”. Oltretutto il testo, scritto da un medico che quando era universitario a Bologna amava talvolta seguire le lezioni di Giosue Carducci, è anche di ottima qualità lettera- ria, una qualità che il figlio Renzo ha decisamente ereditato. Avvincenti poi le narrazioni relative ai lunghi anni vissuti in Perù. Davvero meritoria l’iniziativa dell’Anpi di Bibbiano, di dare alle stampe questo diario che l’A. aveva scritto e concepito come una eredità spirituale esclusivamente destinata ai figli. E grazie all’amico Renzo per essersi lasciato convincere da Loris a rendere pubbliche le pagine del Padre (a.z.). Il dottor Nino Barazzoni in una foto del 1913. “Abbasso il Duce”, video resistente girato a San Polo d’Enza Il documentario è il prodotto di una serie di interviste a partigiani, staffette o semplici osservatori, protagonisti della Resistenza Sampolese. Alcune interviste sono state realizzate in casa, altre nei luoghi che hanno segnato la Resistenza Sampolese. Il documentario è corredato da fotografie e filmati d’epoca messi a disposizione dal Museo dell’Anpi locale, dalle famiglie Sampolesi e dall’Istoreco di Reggio. La percezione della guerra, la politica, la scelta del partigianato, il ruolo delle donne, ma anche le battaglie, gli umori e gli aneddoti. Questi i temi trattati nel documentario sotto forma di racconto. Gli autori Marco Righi, ventiduenne di San Polo, lavora come regista e montatore video presso una casa di produzione. Nel tempo libero realizza cortometraggi autoprodotti che hanno ricevuto premi e menzioni in alcuni festival. Cosimo Bizzarri venticinquenne di Reggio Emilia, lavora a Treviso al Dipartimento di scrittura Creativa di Fabbrica, (il centro di comunicazione del gruppo Benetton). A Reggio ha collaborato come giornalista, autore e copywriter con alcune testate locali. Circolo Arci “Indiosmundo” di San Polo d’Enza - Presidente Lodovico Bonfatti - circolo che si prefigge di promuovere attività culturali, musicali e ricreative. Per eventuali comunicazioni tel. 3683664273 ind. e.mail– [email protected] (l.f.) 22 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 Nella foto in allegato da sinistra: Mario Sulpizio Guerra, il sindaco Milena Mancini, Sonia Masini, presidente Provincia di Reggio Emilia, Ivo Mareggini, Marco Righi, Cosimo Bizzarri, Lodovico Bonfatti. Invito alla presentazione del video a suo tempo distribuito oltre ad una foto scattata durante la manifestazione. Il No al referendum: quant’è bella la nostra Costituzione Ironia della storia: Vittorio Emanuele di Savoia, quello che sarebbe potuto diventare il nostro re, fino a pochi anni fa, come dettavano le norme transitorie della nostra “bella” Costituzione, non poteva entrare sul suolo italico, mentre oggi, per le note vicende giudiziarie che lo hanno visto coinvolto, non può lasciarla, l’Italia. Non sarebbe stato meglio, mi chiedo, lasciarlo fuori, così non si sarebbero peggiorate le già gravi condizioni in cui versa lo spirito pubblico nazionale? In ogni caso, l’abbiamo scampata bella il 2 giugno 1946: ve lo immaginate come nostro re, simbolo dell’unità nazionale e dell’Italia nel mondo? Però, abbiamo avuto un recente primo ministro… ma leggere che il 64,4 percento degli italiani, il 25 e 26 giugno scorsi, hanno detto NO allo stravolgimento della Costituzione del ’48 – quella, per intenderci, dei Ruini, dei Dossetti, dei Terracini, solo per citare i primi nomi che mi vengono in mente – proposta da raffinati politici e studiosi della Casa delle Libertà e pensata in quel di Lorenzago (?), bè, è stata una bella iniezione di fiducia. Così, ancora più numerosi i reggiani che hanno rispedito al mittente l’indecente proposta: un bel 71,92 percento di NO, con punte di oltre l’80 percento a Campegine, Cavriago, Fabbrico. La speranza, a questo punto, è che il centrosinistra non abbia tanta fretta di riformare ciò che i cittadini hanno ritenuto ancora un ottimo “contratto sociale”. Probabilmente per arrivare a un governo stabile sarebbe sufficiente una buona legge elettorale come quella, ad esempio, a due turni francese: il primo serve a contare la forza di ciascun partito, cioè a tutelarne la pluralità; il secondo serve a riprodurre gli aspetti classici del collegio uninominale, ossia a garantire la governabilità. L’istituto del referendum: andrebbe sì riformato ma nel senso di togliere alla Corte costituzionale la discrezionalità di decidere quali siano i referendum ammissibili, restituendo all’art. 75 la sua completa efficienza. Il ruolo che svolge la Costituzione nel regolare la vita dello Stato, delle sue articolazioni fondamentali e dei cittadini potrebbe essere per il centro sinistra al governo una buona occasione per rimettere in movimento nell’esangue corpo sociale il significato e il ruolo culturale e politico ma anche, e soprattutto, etico e morale delle regole in una società ordinata, aperta e non autoritaria. Mettere al primo posto nell’agenda politica i diritti e i doveri dei cittadini, educazione civica, in una parola, potrebbe essere la strada per far crescere la società civile ma anche la stessa classe politica che sarebbe costretta a confrontarsi, e non allo specchio. Potrebbe essere l’occasione per riflettere sul rapporto che deve instaurarsi fra Stato ed autonomie locali e fra questi e i cittadini tutti, allargandone i diritti e allo stesso tempo rimarcando i doveri (pensiamo solo al dovere di pagare le tasse) reciproci. È necessario, insomma, ridare significato alla parola “società”. Le istituzioni rappresentate da sanità, uffici amministrativi locali e statali ecc. sono i luoghi in cui, spesso, l’onnipotenza della burocrazia, ad esempio, può frustrare i diritti che le leggi del Parlamento hanno riconosciuto ai cittadini. Rispetto delle regole è far “pulizia” di chi fra pubblici funzionari, amministratori, politici e parlamentari è coinvolto in reati penali e/o amministrativi. Allora “regola” diviene sinonimo di legali- tà e in parti del Paese la vessazione e la corruzione, invece, sono la legge. Se la classe dirigente del centrosinistra vuole realmente aprire dei canali di dialogo con la società e non limitarsi a mandare messaggi in codice agli altri addetti ai lavori e lanciare slogan a tutti gli altri che stanno fuori e che ogni cinque anni votano, il No al referendum costituzionale, può diventare il nostro “socialismo dei cittadini”, promosso in Spagna da Zapatero. Infatti, con le attività di governo, l’Unione dovrebbe indicare la strada della legalità, del rispetto delle regole e fare della politica alta il suo marchio di fabbrica, ispirandosi ai principi della Costituzione e a quelli che a sua volta la ispirarono, i venti mesi della Resistenza. Glauco Bertani Il 61° della battaglia di Albinea sulla rivista inglese “Trenchard” Sulla commemorazione della battaglia di Albinea del 26-27 marzo 1945 un reportage è stato scritto da Francesca Riccomini, nipote del tenente James Arthur Riccomini, uno dei tre inglesi (con il sergente Sidney Guscott ed il caporale Samuel Golden) caduti nell’attacco al comando germanico di Villa Rossi e Villa Calvi, e pubblicato (corredato da foto del nostro Mario Crotti) sul numero di giugno 2006 della rivista “The Trenchard”. Dopo aver riassunto le circostanze della battaglia, e accennato con gratitudine all’accoglienza fatta alla delegazione britannica, oltre che dalla sindaca Antonella Incerti, da Glauco Monducci, Gordon, che “ora è un anziano piuttosto fragile ma dotato di ammirevole forza vitale”, l’autrice rende omaggio a Mario Crotti per la “meravigliosa mostra informativa, anche per quelli di noi che non conoscevano l’italiano”. “Un aspetto memorabile del nostro viaggio – aggiunge Francesca Riccomini – è stato l’incontro con la vedova e la figlia di Giuseppe Casoni, il giovane che nella notte fatale guidò il gruppo composto dai britannici dello Special Air Service e da un centinaio di partigiani giù dalle colline verso il loro obbiettivo, conducendo poi i sopravvissuti in salvo nei loro nascondigli. Dopo la cerimonia principale, quale riconoscimento del suo impegno, una via è stata intitolata al suo nome. Claudia [la figlia di Casoni, NdR] ci ha gentilmente accompagnati al cimitero in cui in un primo tempo erano stati sepolti i tre soldati inglesi”. Una delle foto Crotti pubblicate su “Trenchard”. NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 23 24-25 maggio ’44. L’assedio di Villa Minozzo nel racconto di una bambina di dieci anni All’assedio di Villa Minozzo del 24-25 maggio 1944 Guerrino Franzini, nella sua Storia della Resistenza reggiana, dedica 5 pagine (145-149) lungo le quali la vicenda viene ricostruita sulla base di fonti testimoniali e documentarie, sia di parte resistenziale che fascista. Qui pubblichiamo la testimonianza, scritta “a caldo” tra fine maggio e primi giugno del ’44, da una bambina che all’epoca aveva 10 anni (Sandra Zambonini, figlia del partigiano Sestilio) e abitava a Castiglione d’Asta, dove torna ogni estate in vacanza, da Modena, col marito Pietro Alberghi, storico della Resistenza. Scritta su un foglio protocollo, quasi come un compito in classe, la narrazione di Sandra ci offre un punto di vista assai interessante su un evento bellico visto, per così dire, “dal basso” e con lo sguardo di una bambina appunto. Come nel romanzo La Storia di Elsa Morante, dove gli eventi passano sulla testa della protagonista. Anche se, come precisa oggi Sandra Zambonini, i fatti le furono poi spiegati da suo padre. Il testo viene pubblicato così come ci è stato consegnato, senza correzioni. Lasciando in sostanza i piccoli errori di italiano che la maestra Sandra Zambonini da decenni ha smesso di lasciarsi scappare. Il 24 maggio 1944 era circa mezzanotte, quando mia madre sentì bussare più volte alla porta, s’alzò e andò ad aprire erano partigiani e volevano da bere e ristorarsi un poco. A mia mamma dissero pure che andavano finalmente ad attaccare il presidio di Villa Minozzo, loro le dissero di chi sono tutti quei carichini di carbone che avete davanti a casa? Mia mamma le rispose:”sono barocciai di Vezzano che forniscono la nostra provincia di carbone, macchine non ne circolano più”. “Bene” fu la risposta , voi non dite nulla di quello che vi abbiamo confidato dato [che] se va il colpo bene quando sono giù a Villa Minozzo li fermeremo, le faremo scaricare il carbone e li manderemo indietro col nostro bottino di guerra!”.Lasciarono pure a mia mamma qualche lanterna e le dissero:”Se non avremo la fortuna di tornare saranno vostre”. Parlo per lo più della mia mamma perché mio padre fu arrestato dai fascisti per essere scappato l’8 settembre 1943. Proseguendo il discorso sopra interrotto, dopo un’ora circa che i partigiani se ne furono andati da casa mia per la prima volta sentimmo le armi da guerra in grande battaglia, c’era pure una mitraglia pesante che faceva addirittura spavento. Mia mamma che non aveva più dormito svegliò tutti quei 24 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 Altre rovine di Villa Minozzo. barocciai che nel sentire un così grosso attacco tremavano a denti stretti. Io con la mia famiglia ci portammo tutti all’ultimo piano della casa e vedemmo giù Villa Minozzo quasi tutto illuminato dalle armi che sparavano, si vedevano pure dei razzi di diversi colori andare altissimi che li adoperavano i fascisti per chiamare soccorso. Io ogni tanto vedevo la mia mamma segnarsi e pregare. L’attacco continuava che non ci dava pace. Durò diverse ore fino a mattina inoltrata. Non si seppe più nulla, non circolava più nessuno, non si sapeva chi aveva vinto o perso, partigiani a venire indietro non se ne vedevano. Terminata la battaglia i barocciai partirono da casa mia. Circa mezzogiorno correvano voci che era giunto un grosso rinforzo ai fascisti e i partigiani dopo una lotta accanita avevano dovuto ritirarsi. Era però le undici del 25 maggio giorno seguente quando ormai si viveva tranquilli e quasi non si pensava più ai fatti successi il giorno prima, sentiamo una grande sparatoria giù poco distante al mio paese giù nella strada vicino al Secchiello. Non abbiamo ancora intuito cosa può essere successo che vediamo passare sette partigiani che andavano di una corsa pazza, laceri senza cappello quasi scalzi, mia mamma comprese tutto e cominciò a nascondere roba. Poco dopo comparve una vicina di casa in gran pianto! “I partigiani che ieri attaccavano Villa Minozzo oggi hanno attaccato una gran quantità di fascisti e tedeschi venite a vedere la popolazione del paese di sotto ha abbandonato le case e fugge via. Anche noi è meglio scappare”. No rispose mia mamma, è meglio rimanere, se trovano le case vuote ce le bruciano bisogna farsi coraggio. Intanto gli spari si udivano sempre più vicini e per la prima volta udimmo spari e colpi di mortaio. Poco dopo comparvero due ragazze del paese di sotto chiamato Governara col pianto agli occhi:”Bisogna scappare hanno ucciso una quantità di fascisti, una corriera piena è ruzzolata nel Secchiello, l’ha detto una vecchia che veniva dal mulino. La mia nonna che stava di sopra cominciò con un altro vecchio a recitare il S.Rosario, ma la mia mamma quando seppe che la peggio c’era toccata a loro il S.Rosario non lo volle dire. Intanto gli spari si udivano avvicinarsi sempre più, mia mamma ci fece andare in camera io e mio fratello e ci teneva sul letto. Ogni tanto io mi avvicinavo ai vetri della finestra e vedevo tanti soldati avanzare da tutte le parti, pestavano i campi di grano, sbucavano da ogni lato e li vidi giungere alla mia casa. Mia mamma allora scese come nulla fosse accaduto e le chiese cosa volevano “da bere” le fu risposto. Poi un fascista sentii che disse”Se incontrassi mio pare e mia madre non le perdonerei nemmeno a loro”. Bevete le disse mia mamma vi farà bene. Noi ci facemmo coraggio e stavamo zitti. In poco tempo la casa fu piena di fascisti ed un tenente volle pure perquisirla tutta era molto arrabbiato parlava poco. Era poco che questa quantità di fascisti circa duecento era partita per Villa Minozzo , entrò altri soldati vestiti col elmetto da guerra uguale a quelli di prima e chiesero quanto tempo era che gli altri erano partiti. Sarà dieci minuti le rispose mia mamma e come avete lasciato partire i vostri colleghi? Allora alzarono tutti il rivolto della giacca e sotto c’era scritto in rosso “Viva Garibaldi”. Noi non siamo di quelli signora vede che paura abbiamo? E fuggirono ridendo ad inseguire il nemico in ritirata. Il giorno dopo sapemmo che sette partigiani avevano ucciso circa quaranta fascisti senza contare i feriti. Mai potrò dimenticare questo episodio della lotta partigiana svoltosi nel mio paesello di montagna durante la guerra clandestina. Sandra Zambonini Sono ancora necessarie le basi Usa in Italia? È stata necessaria la richiesta del presidente della giunta regionale sarda Renato Soru di rendere pubblico l’accordo riservatissimo, che ha consentito di costituire la base Usa della Maddalena, chiedendone contemporaneamente lo smantellamento, per riportare in primo piano il problema della basi americane in Italia. Se si scorre il rapporto ufficiale del Pentagono “Base Structure Report 2003” ci si rende conto immediatamente delle notevoli dimensioni della presenza militare Usa in Italia. Nel nostro Paese le forze armate statunitensi posseggono oltre 2000 edifici, che occupano una superficie di oltre un milione di metri quadri ed hanno in locazione altri 1100 fabbricati con una superficie di altri 780.000 mq. Il personale addetto alle basi ammonta a 15.000 militari ed a 4500 civili. L’esercito Usa dispone di proprie basi in Veneto ed in Toscana. Alla caserma Ederle di Vicenza è di stanza la 173° brigata aviotrasportata, operante nel quadro della Setaf cioè la task force del sud Europa, agli ordini del Comando europeo delle Forze armate Usa, la cui “area di responsabilità” include ben 91 Paesi e territori che vanno da Capo Nord al Capo di Buona Speranza. Nel marzo del 2003 fu proprio la 173° brigata ad essere inviata per prima nel Kurdistan iracheno. A Camp Darby (Livorno) è dislocata la base logistica, che rifornisce le Forze terrestri ed aeree, operanti nell’area mediterranea, nordafricana e mediorientale. L’aeronautica Usa ha proprie basi in FriuliVenezia Giulia, in particolare ad Aviano (Pordenone) ove sono schierate la 31° Fighter Wing e la 16° Air Force, la quale, dotata di caccia F-16 e F-15 svolge compiti di pianificazione e conduzione di operazioni di combattimento aereo anche in Medio Oriente. La marina Usa ha il suo centro principale a Napoli, dove è stato trasferito il quartiere generale delle Forze Navali Usa in Europa, prima a Londra. La sua “area di responsabilità” include 89 Paesi di tre continenti (Europa, Asia ed Africa), da Capo Nord al Capo di Buona Speranza, mentre ad Est si estende fino al Mar Nero. La marina Usa dispone inoltre della base aeronavale di Sigonella e di quella della Maddalena la quale oltre essere base di appoggio per i sottomarini atomici è divenuta base logistica per le operazioni belliche in Medio Oriente e nei Balcani. Nelle fasi iniziali della guerra, scatenata contro l’Iraq, i sottomarini Usa di base alla Maddalena, all’insaputa dei Paesi europei circostanti, hanno bombardato Bagdad ed altri obiettivi, direttamente dal Mediterraneo, impiegando armi missilistiche da crociera. Le strutture Nato a disposizione, inoltre, degli Usa sono molteplici e prima fra tutte il Joint Force Command di Napoli con a capo un ammiraglio americano, il quale è contemporaneamente comandante delle Forze Navali Usa in Europa e comandante della “Forza di risposta della Nato”, che comprende oggi 17.000 uomini, pronta ad essere “dispiegata in qualsiasi parte del mondo nello spazio di 5 giorni”. A Taranto, poi, è dislocato il quartier generale della High Readiness Force una forza marittima speciale di rapido intervento, inserita nella catena di comando del Pentagono, che ha in programma la creazione in zona di un grande centro servizi per la Sesta flotta, dotato, fra l’altro, di un complesso sistema di comunicazione, controllo, computers e intelligence, che lo farà diventare un centro unico nel Mediterraneo di comando e spionaggio del Pentagono. Tutte le su elencate Forze e basi Usa, anche se ospitate su territorio italiano, sono inserite nella rete di comando del Pentagono e sottratte, quindi, a qualsiasi interferenza decisionale italiana, trasformando, in tale modo, l’Italia in un trampolino di lancio della “proiezione di potenza” statunitense verso sud e verso est, in un quadro di ridislocazione delle Forze Usa dall’Europa settentrionale e centrale a quella meridionale ed orientale. Una tale “esibizione” di potenza militare deve essere considerata, pertanto, non una semplice strategia militare ma una vera strategia politica, che si prefigge lo scopo di superare le resistenze di quella che Rumsfeld definisce la “vecchia Europa”, attraverso e per mezzo degli amici più fedeli fra i quali emerge l’Italia. Una siffatta strategia, peraltro, non può non scatenare una serie di risposte, che non lasciano intravedere niente di pacifico. La Russia, infatti, per rispondere alla installazione prevista di una base missilistica Usa in Europa, come recentemente dichiarato dal ministro della Difesa Serghei Ivanov, sta predisponendo adeguate misure militari ed ha aggiunto: “Si tratta di una questione sulla quale stiamo discutendo da tempo con gli Usa, entrando anche nei dettagli, anche se non ci è noto quale sarà il Paese scelto per l’installazione della base e quali saranno il numero ed il tipo di missile ospitato”. Il generale Henry Obering direttore del sistema antimissile americano, sostiene da tempo,che la base europea sarà semplice parte del Sistema di difesa antimissilistico, anche se deve essere evidente come la crescente pressione, anche in tal modo, esercitata dagli Stati Uniti e dalla Nato nei riguardi dell’area, cosiddetta “post-sovietica”, abbia spinto Mosca a modernizzare il suo scudo nucleare. Secondo quanto annunciato da Ivanov l’esercito russo riceverà nell’anno in corso sei nuovi missili balistici intercontinentali (Mbi), altrettanti apparati spaziali e dodici razzi vettori con una spesa prevista di 53.500 milioni di rubli e cioè 910 milioni di dollari in più di quanto stanziato nel 2005. Il presidente Vladimir Putin ha recentemente dichiarato che la Federazione russa ha adeguatamente perfezionato e potenziato i mezzi di dissuasione nucleare, aggiungendo che le Forze armate del Paese debbono raggiungere il massimo di efficienza, onde garantire la sicurezza globale e difendere il Paese stesso da qualunque tentativo di pressione o ricatto effettuato con mezzi politico-militari. Dichiarazioni tutte, che non possono lasciarci passivamente indifferenti, specie se risultassero veritiere le voci, che affermano come sarà l’Italia il Paese, nel quale verrà allestita la succitata base missilistica. D’altra parte una più o una meno che differenza fa? E questa differenza può essere accettata dal movimento pacifista europeo, che oggi, nel contesto di una invasione mondiale del modello di “guerra giusta” e di “guerra umanitaria” vede spazzato via un qualsiasi “luogo-riparo”? Il movimento pacifista ha, avrà, di fronte a sé grandi responsabilità, che non ammettono impazienze, disfattismi e/o massimalismi, ma che prevedano un forte e continuativo impegno, basato sulla convinzione che il futuro del mondo sarà un futuro tragico, se non verrà distaccato dalla logica della violenza, che le basi militari Usa in Italia rappresentano in pieno. Bruno Bertolaso Uno scorcio della Maddalena. NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 25 In ricordo di Enzo Salsi Il 24 maggio scorso si è spento nella sua casa di Poviglio il compagno Enzo Salsi, lasciando nello sconforto i suoi cari e tutti i compagni che con lui hanno tanto intensamente collaborato. Enzo ha condotto, infatti, un’esistenza molto attiva, all’insegna dell’impegno sociale e civile. Nato in una famiglia di antifascisti – il padre Odoardo era iscritto al partito comunista clandestino negli anni del regime fascista – Enzo fu forgiato giovanissimo come collaboratore nella Resistenza. Casa Salsi era infatti una casa di latitanza, che ospitava partigiani del battaglione mobile della pianura. Questo gruppo che compiva avventurose e rischiose azioni di guerriglia durante la notte, di giorno trovava rifugio in case sicure come quelle delle famiglia di Enzo. I Salsi erano contadini; toccava al tredicenne Enzo andare al caseificio con il bidone del latte vuoto, dire al cascinaio che era caduto ed aveva rovesciato nel fosso quel latte che in realtà era servito a rifocillare i partigiani. Il suo funerale ci racconta molto di lui: una folla immensa, silenziosa e commossa nel dolore e nel ricordo. Gli stendardi che accompagnavano il feretro, nella loro potenza simbolica, parlavano più che un fiume di parole del suo impegno. C’era la bandiera dell’Anpi. Da sempre dirigente dell’associazione Enzo, ormai malfermo di salute, nelle ultime gocce della sua esistenza non ha ces26 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 sato di lavorare per contribuire al rafforzamento della sezione povigliese. Anche la bandiera dei Democratici di sinistra lo ha accompagnato nel suo ultimo viaggio. Enzo è stato segretario della Fgci negli anni Cinquanta, e poi ha fatto parte del direttivo della sezione Pci di Poviglio. Quando ci fu la svolta della Bolognina mi disse: “Mi dispiace, sono sempre stato comunista, ma se c’è da cambiare si cambia!”. C’era una delegazione della Pubblica assistenza “Croce azzurra” con lo stendardo. Di questa associazione al servizio della salute dei cittadini Enzo era stato a lungo milite volontario. Rosseggiava la bandiera dello SpiCgil, il sindacato dei pensionati, nel quale Enzo rivestiva il ruolo di componente del comitato direttivo. A rappresentare l’Istituto Alcide Cervi c’era Maria Cervi con un gruppo di volontari del Museo Cervi di cui Enzo era un assiduo collaboratore. Nei giorni festivi lo si poteva incontrare come eloquente guida ad illustrare la storia di questa casa e del mondo contadino. Da contadino mezzadro, era divenuto operaio specializzato alle officine meccaniche Greco di Reggio Emilia. Di questa esperienza di crescita e di cambiamento Enzo era orgoglioso. Appassionato e raffinato conoscitore di musica, faceva parte degli “Amici della Lirica”. Tanti amici che condividevano con lui questa passione si sono stretti attorno al suo ricordo nel momento dell’estremo saluto. Ci manca molto la sua presenza, e riecheggiano nella memoria la sua parlata a voce alta, il suo timbro così potente, tipici delle persone schiette. A me resta il rimorso di non avere avuto la forza di comporre l’orazione funebre che il nostro Enzo si meritava. Il suo esempio vivrà però al di là delle parole come il solenne silenzio, più evocativo di mille discorsi che lo ha accompagnato nel suo ultimo viaggio, ci ha raccontato. L’essenziale, scarno racconto delle vicende della sua esistenza sono già un monito per le giovani generazioni. A noi, suoi compagni di mille avventure e mille battaglie, il compito di non disperdere la sua testimonianza. Alla moglie, compagna Silvana, ed alla figlia, amica Catia, le nostre più sentite condoglianze ed il nostro affettuoso abbraccio. Sidraco Codeluppi Segretario ANPI-Sezione di Poviglio Un aiuto all’Anpi in memoria di Elio Trolli Il Centro Sociale Autogestito “Orologio” di Reggio Emilia ci ha fatto pervenire la seguente lettera. Nella giornata di domenica 18 giugno, con l’organizzazione del nostro gruppo di cicloturisti, si è svolto il raduno della Resistenza intitolato “Memorial Elio Trolli”. La manifestazione ha registrato la presenza di numerosissimi amici cicloturisti e ha visto l’entusiastica partecipazione di tanti amici nella cura di ogni dettaglio organizzativo. L’occasione del “Memorial Elio Trolli” ci ha consentito anche momenti di riflessione e, insieme ai soci volontari che hanno curato l’iniziativa, abbiamo deciso di devolvere la somma di € 150,00 (centocinquanta) alla Vostra Organizzazione. L’attenzione e l’impegno della Vostra Organizzazione per la salvaguardia dei valori fondanti della nostra società, ci stimolano a proseguire nello sviluppo di attività che vedano la partecipazione attiva e democratica di tutti i cittadini. Vi porgiamo cordiali saluti. La Presidente Lina Montanari Ringraziamo gli amici del Centro Sociale “Orologio” e con loro rinnoviamo il ricordo del partigiano Elio Trolli, già comandante di battaglione nella 144ª Brigata Garibaldi, per tanti anni organizzatore del Trofeo ciclistico della Resistenza. Cogliamo l’occasione per manifestare solidarietà all’amica Lina per i danni subiti dal Centro sociale in seguito ad atti delinquenziali. Restaurata in Camporanieri la stele per i partigiani Malaguti e Simonazzi La stele restaurata dopo le deturpazioni subite ad opera di ignoti vandali, è stata ricollocata, grazie alla volontà di Comuni ed Anpi di Castelnovo Sotto e Poviglio, all’interno dell’area verde dell’ex fornace Dall’Aglio, in comune di Castelnovo Sotto, e viene ora custodita dall’associazione Anziani del Laghetto Camporanieri”. Segnaliamo che Codeluppi e Righi hanno già in passato curato il restauro o il rifacimento di altri cippi dedicati a caduti partigiani nei comuni di Poviglio, Campegine e Novellara Nelle foto (sotto): 1° maggio 2006, un momento della inaugurazione. Erano presenti, assieme ai familiari dei due caduti, Orio Vergalli per l’Anpi provinciale, i sindaci di Castelnovo Sotto (Roberta Mori) e Raul Daoli (Novellara ), l’Assessore Fabio Montanari di Poviglio, un assessore di Guastalla e don Ercole Artoni. (a fianco): la stele come si presenta ora. La ragazzina seduta è la pronipote di Posacchio Malaguti (figlia di una figlia di Franco); a lei è stato affidato il compito del taglio del nastro. I fratelli Rosa e Franco Malaguti ringraziano vivamente l’assessore comunale Montanari di Castelnovo Sotto e i dirigenti dell’Anpi di Poviglio Sidraco Codeluppi e Germano Righi per l’impegno con cui hanno provveduto al rifacimento e alla ricollocazione, in località Campo Ranieri, del cippo dedicato alla memoria del loro padre Posacchio Malaguti e di Alvaro Simonazzi, partigiani della 77ª Brigata Sap, caduti in combattimento il 24 aprile 1945. Nell’occasione hanno fatto un’offerta all’Anpi di Poviglio. Un grave lutto ha colpito Giannetto Magnanini, presidente di Istoreco Sabato scorso 19 agosto, è morta Norma Cagnoli, di anni 79, moglie di Giannetto Magnanini. Il decesso, in seguito ad attacco cardiaco, è avvenuto all’ospedale di Mirano, provincia di Venezia. Il funerale si terrà in quella località giovedì prossimo 24 agosto alle ore 12. La famiglia Magnanini si era trasferita a Martellago (Venezia) circa tre anni fa. Norma Cagnoli prese parte alla Resistenza entrando giovanissima nei Gruppi Difesa della Donna, partecipò alla lotta per la salvezza del pennellificio “Agazzani”, una delle poche fabbriche che nel dopoguerra occupava manodopera femminile. Aderì al Pci nel 1945 e, in seguito, al Pds e successivamente entrò nei Ds, ove era ancora iscritta. L’iscrizione al Pci avvenne assieme a gruppi di donne operaie di diverse fabbriche reggiane che scelsero quel partito per realizzare i loro ideali di giustizia sociale, di libertà e di pace trasmessi dalla Resistenza e che animarono tutta la loro vita. Il senatore Ugo Benassi, amico e compagno di militanza di Magnanini, nell’esprimergli la paretecipazione al suo dolore, gli ha scritto: “Norma come Lucia [moglie del senatore, NdR] sono state parti importanti della nostra vita personale e della nostra storia politica…”. Alla notizia della scomparsa di Norma Cagnoli, sono arrivate a Istoreco attestazioni di solidarietà e partecipazione da tante persone, compagni di partito, singole personalità e da organizzazioni tra cui l’Anpi provinciale e l’Anppia. L’orazione funebre è stata tenuta da Hermes Grappi. Il testo sarà pubblicato sul prossimo numero del “Notiziario”. NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 27 Guerra-Resistenza-Politica: Storie di donne Pubblicati gli atti del Convegno dell’Istituto Cervi: un importante contributo alla ricerca storica È finalmente uscito (e presentato il primo giugno scorso al Museo Cervi in una giornata di studio no-stop ricca di riflessioni e di emozioni) il volume “Guerra-Resistenza-Politica: storie di donne (a cura di Dianella Gagliani, Aliberti Editore), che raccoglie gli atti del convegno nazionale omonimo promosso il 7-8-9 ottobre 2004 dall’Istituto Alcide Cervi e dalla Società italiana delle storiche e tenutosi nella nostra città presso l’Università. Il Convegno e il volume sono stati dedicati, non a caso, a Genoeffa Cervi, rivalutandone il ruolo all’interno della famiglia: una figura “simbolica”, quella di Genoeffa, che riassume in sé tutte le donne che hanno vissuto la guerra e la Resistenza, e le donne contadine in particolare: la loro forza, la loro umanità, la loro capacità di sopportare il dolore e di reagire alle avversità, la loro consapevolezza e condivisione della lotta comune. Perché, come ricorda la nipote, Maria Cervi, nella sua lucida ed insieme commossa testimonianza: “L’immagine di lei che il tempo ci ha trasmesso, di una moglie e madre vissuta all’ombra del marito e dei figli, non le rende giustizia”. Tutto il Convegno del resto è teso, attraverso un impegno non facile, attento e rigoroso di ricerca e di interpretazione storica, a fare emergere il ruolo essenziale che innumerevoli donne, perlopiù nell’ombra ed in silenzio, hanno avuto in quel tragico periodo della nostra storia, contribuendo all’esito vittorioso della Resistenza e continuando ad impegnarsi poi, anche nella ricostruzione, per la conquista dei primi diritti e nella costruzione dello Stato sociale. Tutto questo è raccontato, nel Convegno, non solo attraverso i fatti, ma portando in primo piano le motivazioni, le ragioni, i vissuti, i caratteri e le forme diverse ed originali di una partecipazione attiva e corale delle donne a quella vicenda storica, che ha segnato una rottura radicale, culturale e politica rispetto al ruolo storicamente loro assegnato, in particolare nell’Italia del fascismo. Ciò avviene anche con un’esplicita critica alla storiografia ufficiale e con un’aperta rottura rispetto alla rappresentazione spesso agiografica della Resistenza prevalsa sino ad ora anche nelle forze antifasciste, che hanno in genere, taciuto, ignorato, sottovalutato quel ruolo e quella partecipazione, al massimo rinchiudendola e svilendola nella retorica sulle mater dolorosae o sull’esaltazione di singole 28 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 “eroine” della guerra partigiana dotate di virtù “virili”. Dianella Galliani, la valente docente di storia Contemporanea all’Università di Bologna, che ha voluto e coordinato il complesso lavoro del Convegno, così riassume il senso del volume: “Pochi avrebbero pensato, sino a non molto tempo fa, che la storia delle donne e di genere avrebbe conferito nuovi significati alle categorie storiche di “Guerra” e di “Resistenza”... E ancora: “Lo sguardo rivolto al pianto dei bambini, insieme a quello di donne e di uomini, ha permesso di superare una visione della guerra prevalentemente incentrata sulle strategie e le operazioni militari o sugli strumenti bellici o le innovazioni tecnologiche, per porre al centro della scena la distruzione, la sofferenza, la morte. Anche la Resistenza, sottratta agli aspetti combattentistici, si è dispiegata in una varietà di presenza e di attività le quali consentono una sua ulteriore definizione”. È dunque, per citare una felice sintesi, il racconto e l’analisi di “una diversa guerra, una diversa Resistenza, un’altra politica”: quella delle donne in carne ed ossa. Il filo che lega i diversi interventi Il filo che lega i tanti diversi contributi è appunto volto ad analizzare e a fare emergere ciò che ancora della guerra e della Resistenza non è stato raccontato e ciò che differenzia, distingue il modo con cui le donne hanno vissuto quegli eventi e quelle circostanze, il loro peculiare modo di vivere ed affrontare la guerra e le sue devastazioni, di “fare” la Resistenza, di intendere e di sentire l’idea di “patria”. Ne esce un quadro complesso ed articolato, che si articola nel Convegno in tre filoni tematici: 1) Guerra e violenza; 2) Resistenze; 3) Patria/patrie. Ciascuna di queste parti si compone di una pluralità di contributi specifici e di approfondimenti che mettono a fuoco temi ed aspetti sinora ignorati o poco trattati, da cui emerge la complessità, la diversità, la specificità di situazioni, di contesti e di vissuti e anche le differenze territoriali. Nella parte “Guerra e violenza” al centro sono le donne come principali “vittime” della guerra, le loro strategie di sopravvivenza e di reazione in situazioni estreme. Importanti i contributi sulle confinate politiche contro la guerra, sulle internate e deportate, sulle donne dei campi profughi in Puglia, l’approfondimento sulla memorialistica femminile e sul difficile tema degli stupri di massa nel basso Lazio ad opera delle truppe francesi, sugli abusi e le violenze sessuali lungo la linea gotica, sul tema della sessualità e della violenza nelle memorie delle resistenti. Nella seconda parte, “Resistenze”, si analizza, attraverso analisi riferite ai diversi contesti territoriali, come, perché e con quali percorsi, le donne, dalla ricerca di strategie di sopravvivenza nella guerra, giungono a partecipare attivamente, consapevolmente, seppure in forme diverse, alla Resistenza antifascista e antinazista, come matura in loro una coscienza collettiva, come si realizza una “rottura storica” rispetto al ruolo tradizionale. Contributi ulteriori a quelli che sinora erano stati portati in periodi precedenti vengono, per esempio, dalle comunicazioni sulle donne e la Resistenza in Emilia Romagna: si veda quella di Anna Appari sui Gruppi di difesa della donna a Reggio Emilia tra Garibaldini e Fiamme Verdi; di Caterina Liotti su Diventare partigiane: pratiche e culture politiche tra soggettività e percorsi collettivi; di Delfina Tromboni “Terribili contingenze-Inaspettate libertà”. Ma di grande interesse sono anche le comunicazioni sull’esperienza delle donne in Veneto (dove emerge il ruolo della Chiesa e delle donne cattoliche), nelle Marche, a Roma, e nel Sud. In modo specifico viene affrontato il tema dei riconoscimenti, dai quali gran parte della donne viene esclusa, anche perché molte, ritenendo “normale” ciò che avevano fatto non li chiesero, ma soprattutto per i “criteri” maschilisti individuati per l’assegnazione. La terza parte, “Patria/ patrie”, affronta il tema delle diverse culture e dei diversi modelli su cui le donne si sono formate ed anche divise e contrapposte prima e nel corso della guerra e il tema, ancora aperto del loro ruolo nel dopoguerra e dell’avvio alle prime esperienze di cittadinanza, nel periodo della ricostruzione. Sono affrontati diversi aspetti della militanza politica delle donne, tra i quali il tema delle antifasciste e la tradizione socialista, e ciò anche attraverso l’analisi delle biografie di alcune figure femminili (Frida Malan, Tina Merlin). Ma per la prima volta in modo approfondito, sono anche analizzate le motivazioni e le modalità di militanza delle donne che stavano dall’altra parte e del consenso femminile al regime (dalla storia delle collaborazioni- ste della Rsi, alle collaborazioniste processate a Roma, al ruolo di riviste quale “Lumen”, al tema del patriottismo e della fede fascista nella biografia di una dirigente delle donne del regime: Angela Maria Guerra. Contributi significativi vengono infine dati su “silenzi e presenze nella storiografia italiana” (Maria Grazia Soriano) e sulla storia del movimento pacifista internazionale delle donne (Elda Guerra). Le prospettive dopo il Convegno Il volume si chiude affrontando il tema delle “prospettive” con un importante intervento di Anna Bravo (una valente storica cui si devono le prime ricerche storiche di “genere”) dal titolo Resistenze e riduzione del danno, che, con riflessioni innovative di grande interesse, trae alcuni spunti di valore generale su cui gli storici, ma anche la politica sono chiamati a riflettere, confrontarsi e a ricercare ulteriormente. Alla Bravo alcuni punti appaiono acquisiti, dopo il grande lavoro fatto: 1) la Resistenza è un oggetto plurale e differenziato su cui occorre scavare ancora; 2) lo studio delle lotte inermi, (la guerra senz’armi) delle donne è una tappa importante di questa ricerca; 3) l’opera femminile deve diventare più visibile. E fare ciò consente anche di rispondere ad un uso politico della storia (l’attuale ondata revisionista) che la riduce a pura violenza, alla guerra civile e alle vendette del dopoguerra, e di fare emergere la realtà e il ruolo della resistenza civile e di come la vissero le donne; consente di fare emergere valori e significati di umanità, di solidarietà, di lotta per la vita e per la pace, di riscatto e liberazione individuale e collettiva, di ricerca di un modo diverso di essere se stesse. Valori e significati “carichi di futuro”, oltre che autentici motori della partecipazione popolare femminile alla resistenza, valori carichi di “politicità”, di un modo diverso di intendere e vivere la politica. Dunque, un Convegno, un libro importante che ci auguriamo, tante e tanti vorranno leggere. Un Convegno che certo non partiva da zero, perché, soprattutto in alcune regioni, (in Emilia, per esempio), in particolare dalla metà degli anni ’70, è stato compiuto uno sforzo di ricerca storica sul ruolo delle donne, le cui fasi sono ricostruite nel Convegno. Recentemente, in particolare col 60o, le stesse protagoniste hanno cominciato a raccontarsi, dando ulteriori contributi di memoria storica. Ma la novità e il valore del Convegno è quello di collocare storicamente e nell’insieme il tema del ruolo delle donne in quegli anni cruciali e di affrontarlo, appunto, da un punto di vista “di genere”, cogliendo cioè il modo peculiare con cui esse hanno vissuto guerra e Resistenza, hanno gestito una quotidianità sconvolta, hanno reagito all’orrore, analizzando il percorso che le ha portate a compiere gesti e scelte anomali, a prendersi rischi e ad assumersi responsabilità nuove e maturando così un’idea diversa di sé stesse e del proprio ruolo sociale. A partire dal Convegno c’è motivo di riflessione e di ulteriore ricerca su molteplici temi, per il movimento delle donne, per gli storici, per la politica. È un importante stimolo a continuare il lavoro di ricerca, peraltro già avviato anche a Reggio nei singoli territori e sui temi ancora aperti (tra questi, il ruolo delle donne nel dopoguerra e negli anni seguenti). È di stimolo alle giovani donne a costruire un nuovo rapporto con le generazioni precedenti, ad attingere in modo creativo a quella memoria storica per ricavarne, nella concretezza del loro tempo, forza, consapevolezza, fedeltà ai valori universali che le donne di allora hanno saputo difendere e proporre. È uno stimolo e un segnale per la ricerca storica in senso più ampio, che deve assumere finalmente l’approccio di genere come un contributo determinante alla ricostruzione intera di quello e di altri processi storici, in cui gli aspetti politico, militari, istituzionali non possono più essere disgiunti dall’esperienza e dal vissuto quotidiano di coloro, donne e uomini appunto, che li vissero da protagonisti e non solo subendoli. È uno stimolo per la politica a ripensarsi, nei suoi valori e nelle sue forme, assumendo sino in fondo il tema ancora aperto della piena cittadinanza femminile, portando così a compimento il percorso iniziato, appunto, dalle donne che il Convegno del “Cervi” e delle storiche ha saputo raccontare in modo così efficace, lucido e pienamente partecipe. Eletta Bertani Ricordati i caduti dello Sparavalle Passo dello Sparavalle, 11 giugno 2006. Manifestazione in ricordo dei partigiani caduti in combattimento nel giugno 1944. Hanno pronunciato parole di saluto i sindaci di Castelnovo Monti (Marconi) e di Busana (Govi). I ragazzi delle scuole medie di Felina e di Busana hanno letto loro elaborati sul tema della Resistenza e dei suoi valori. (foto Fani) Un aspetto del corteo che si dirige verso il cippo eretto in memoria dei partigiani caduti Ennio e Marino Gilioli, Giulio Canedoli, Stelio Baisi, Primo Cilloni, Marino Dallari, Florio Mughetti, Walter Incerti Vecchi, Nello Lasagni, Almo Ferrari, Domenico Manfredi, Dino Morelli, Mentore Pagani, Giuseppe Notari, Adelmo Ferrari, Enzo Parenti, Ettore Simonazzi, Adolfo Tedeschi, Alberto Montanari. Dietro i gonfaloni della Comunità Montana e dell’ANPI provinciale sono visibili i sindaci di Busana (Govi), di Castelnovo M. (Marconi), Fiocchi di Villa Minozzo ; il vice sindaco di Carpineti, la prof. Clementina Santi, Assessore della Comunità Montana e due assessori di Collagna e Ligonchio. (foto Fani) NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 29 Un partigiano di 16 anni Bruno Friggeri Classe 1928 - Nome di battaglia Trédes Partigiano nella 31ª Brigata Garibaldi e nella 76ª Brigata Sap (operante nel Reggiano) Essendo nato a Montecchio (Reggio Emilia) in ambiente famigliare contrario al fascismo e dopo aver sopportato la morte di un fratello per mano di questi, il Friggeri decise nell’autunno 1944 di aggregarsi alle formazioni partigiane che operavano nelle colline circostanti il paese di Ciano D’Enza già allora sede di distaccamenti dove però non venne accolto per la sua giovane età. Il suo carattere deciso lo spinse però a non rassegnarsi ed egli si diresse verso il territorio parmense ed attraversando i paesi di Tortiano, Basilicanova, Felino, Collecchio, giunse a Fornovo dove sostò per una notte da alcuni contadini che il giorno seguente gli indicarono la via per la Valceno senza seguire la strada provinciale che era sotto il controllo delle truppe nazifasciste Dopo aver percorso diversi chilometri, Bruno si imbattè in un posto di blocco partigiano che sorvegliava la strada, le sentinelle lo fermarono e lo accompagnarono ad un comando partigiano che si trovava nei pressi di Salsomaggiore e qui i comandanti dopo qualche attimo di incertezza lo accettarono nelle file partigiane dandogli il nome di battaglia di Trédes (13 in dialetto reggiano) e indirizzandolo al campo di concentramento di Vischeto presso Bardi nella ex fabbrica di talco. Nei mesi di fine ’44 inizio ’45 le forze nazifasciste stavano preparando un rastrellamento di vaste proporzioni e quando i primi giorni di gennaio si ebbero le prime avvisaglie gli addetti alla guardia del campo ebbero non poche difficoltà per occultare le anni e per lo sgombero dei numerosi prigionieri che potevano servire per effettuare scambi. Il comandante da cui dipendeva Trédes si chamava Fiorello Donelli nome di battaglia Pippo ordinò che metà degli uomini rimanesse sul posto per l’occultamento delle armi e l’altra metà si dirigesse con i prigionieri verso l’alta Valceno. Trédes restò ad occultare le armi ed a malincuore sotterrò il suo Bren quasi nuovo ma risparmiandosi alcuni caricatori che si portò dietro durante lo sganciamento. Il drappello dei partigiani rimasti al campo una volta concluso il lavoro si diresse anch’esso verso i confini dell’Appennino ligure/emiliano sopportando disagi indicibili per il freddo, la neve alta e la paura delle pattuglie di rastrellatori che grazie ad un equipaggiamento adatto avevano un notevole vantaggio da chi doveva fuggire con poco cibo ed un vestiario inadatto alle circostanze. Il gruppo sfuggì alla cattura in modo fortunoso per due volte e dopo aver incontrato un gruppo di altri fuggiaschi formato solo da ex militari russi corse un’altro mortale pericolo quando da lontano credette di aver trovato un altro gruppo di questa etnìa che invece era una pattuglia di rastrellarori appartenenti alla Divisione Turkestan dell’esercito tedesco tutti di etnìa mongola largamente impiegati nelle azioni di rastrel- Friggeri durante una manifestazione resistenziale accanto al Sindaco di Montecchio Iris Giglioli. 30 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 lamento. Dopo queste peripezie lo sconforto si insinuò nel piccolo gruppo di partigiani e molti decisero di arrendersi presentandosi ai posti di blocco sulle principali strade, ma il giovane Trédes scelse di non andare con i compagni e si diresse invece verso il paese da cui erano partiti vedendo in questa località un posto accogliente. Era una scelta coraggiosa non priva di incognite ma il giovane partigiano si lasciò guidare dall’entusiasmo dei suoi 16 anni e dopo alcuni giorni di sofferenza giunse a Vischeto dove trovò il paese sconvolto, la gente impaurita e non più disponibile come prima del rastrellamento, ma nonostante tutto per quella notte trovò accoglienza. In quel tempo specialmente nel nostro appennino la gente viveva in condizioni misere e lo zaino contenente due coperte che Trédes portava con sé fecero gola a due ragazze che incontrò per strada che gli chiesero se poteva regalargliele ma quelle misere coperte erano tutto quello che poteva salvargli la vita ed oppose perciò un netto rifiuto. La strada che portava verso Bardi, Varsi, Varano era presidiata ancora dai rastrellatori e Trédes si rese presto conto che lo zaino e le coperte erano importantissime ma erano anche segno evidente della sua appartenenza alle formazioni partigiane e perciò se ne dovette disfare se voleva sperare di passare inosservato ad eventuali posti di blocco. Il suo senso del pericolo aveva funzionato ancora perché i posti di blocco erano ad ogni paese ma la sua giovane età e il non portare bagagli gli consentirono di passare senza problemi Bardi e Varsi e di arrivare in quel tardo pomeriggio alla periferia di Varano Melegari. Poco prima del paese si fermò in un gruppo di case posto sulla destra della strada, bussò e chiese ospitalità alla giovane donna che si presentò alla porta che intuendo che si trattava di un giovane partigiano lo fece entrare per rifocillarsi e per passare la notte. Trédes però non poteva immaginare che quella giovane donna custodiva un tragico segreto e dopo poco confidò fra le lacrime che i fascisti avevano fucilato il suo fidanzato partigiano appartenente alla 31ª Garibaldi con il nome di battaglia di Bistecca (Giulio Rovacchi) anch’egli nato a Montecchio come il giovane Trédes. Con questo triste fardello nel cuore egli abbandonò Varano per dirigersi verso la natìa terra dove gli ultimi mesi della guerra lo vedranno aggregato alla 76ª Brigata Sap operante nel territorio di Montecchio fino alla liberazione. La battaglia per la liberazione del paese è avvenuta il 23 aprile 1945. (g.f.) CITTADINI-DEMOCRAZIA-POTERE Il porta a porta della discordia La polemica sulla sperimentazione della raccolta dei rifiuti urbani, chiamata “Porta a Porta”, sta diventando sempre più forte e, purtroppo, si sta radicalizzando, riducendo lo spazio per una valutazione serena e obiettiva di quanto sta accadendo. Al momento sono due i fatti accertati: il primo è che la sperimentazione, in corso nella 7a Circoscrizione, non sta andando come i promotori si attendevano, il secondo è che i costi sono più elevati del previsto. Non aiuta nemmeno l’attivismo dei comitati anti-inceneritore che vedono, in questo sistema di raccolta l’alternativa alla costruzione dell’inceneritore e, nel disagio manifestato dai cittadini della 7a Circoscrizione, un’esagerazione alimentata dai fautori del partito del termo-valorizzatore. È una posizione sbagliata perché i problemi che sono emersi nella sperimentazione ci sono e sono reali. Quando più di 1000 cittadini, fruitori del servizio mettono la loro firma sotto una lettera di protesta, questa non può essere liquidata come faccenda irrilevante o come atto pilotato da forze politicamente ostili. La questione va presa sul serio, soprattutto dal Comune di Reggio che del “Porta a Porta” ne è promotore, E, allora, cominciamo col dire che la raccolta Porta a Porta, se funzionerà, farà innalzare in modo decisivo la quantità di rifiuti riciclabili. Come tutti servizi diretti al pubblico, però, esso deve, prima di ogni altra cosa, funzionare bene, poi costare un prezzo compatibile con le risorse disponibili. Nel caso del Porta a Porta, le condizioni del buon funzionamento sono, essenzialmente, quattro: la prima è che il nuovo sistema non può obbligare i cittadini a fare cose inadatte alla loro situazione abitativa e alle loro condizioni personali o famigliari. Non è nemmeno pensabile di privare i cittadini della possibilità di liberare la casa dai rifiuti quando lo ritenga necessario, soprattutto quelli “umidi”, soggetti a rapido deterioramento, né farli carico di troppo ingombro, che può essere causato dalle altre quattro categorie di rifiuti (carta, plastica, vetro e lattine e secco residuo). La seconda è che il risultato di un più alto livello di raccolta differenziata non può essere raggiunto abbassando il livello d’igiene privato, cioè quello dentro le abitazioni, né il livello d’igiene pubblico, cioè quello delle strade e dei punti di accumulo collettivi. Il rischio, a causa degli accumuli in casa e del deposito dei sacchetti lungo le strade è molto concreto. La terza è che occorre accompagnare il nuovo metodo di raccolta con un sistema incentivante in grado di premiare i com- portamenti individuali virtuosi, in base al principio “chi più separa e collabora più risparmia”. Il quarto è quello di pervenire ad un’efficienza in grado di mantenere i costi ad un livello di compatibilità con le risorse disponibili; Con questa sperimentazione nessuna delle condizioni appare soddisfatta. Infatti, le lamentele più forti sono originate dal deterioramento delle condizioni igieniche sia nelle abitazione che nelle strade e dall’approccio troppo “spinto e integrale” che si è voluto dare alla sperimentazione. Da qui, sembrano trarre origine episodi di “esportazione” di rifiuti in altre zone della città e i più deplorevoli abbandoni lungo le strade di cui hanno dato conto i giornali nelle settimane scorse. Sulla necessità di un sistema incentivante e del deficit di tecnologia a suo supporto, torneremo in una prossima occasione. Importante, invece in questa fase assumere un giusto approccio ai costi. Dalla sperimentazione stanno emergendo alti costi. Ma, data la complessità del Porta a Porta, rispetto alla raccolta mediante cassonetti, il fatto non sorprende. I costi sono sensibilmente più alti rispetto alle previsioni. Qualcuno parla anche del doppio. Se così fosse sarebbe un prezzo eccessivo che la collettività non potrà, certamente, accollarsi. Ma, se fossero apportati aggiustamenti, improntati a maggiore realismo e semplificazione gestionale, anche un ragionevole maggior costo, potrebbe essere accettato dai cittadini. Un sistema che consente un altissimo grado di recupero e riciclaggio e capace di porre l’Italia in linea con gli obbiettivi dell’Europa, merita anche un sacrificio economico in vista di un più grande beneficio futuro. Ma come dicevamo all’inizio, il servizio deve funzionare e deve farlo senza imporre inutili e irragionevoli vincoli ai comportamenti privati dei cittadini ai quali è lecito chiedere, soltanto, il dovere della collaborazione. Per questi motivi, la possibilità di portare al successo il Porta a Porta, passa dalla capacità di risolvere i problemi che sono emersi e stanno ancora emergendo con la sperimentazione nella 7a Circoscrizione. Bene ha fatto il Comune a procedere con la fase sperimentale, ma prima di estenderlo a tutta la città è necessario che ogni ragionevole insoddisfazione sia eliminata e che il piano tecnico e finanziario a sostegno del progetto complessivo sia più robusto e completo di quanto non lo sia stato quello della fase sperimentale. Infine, ma non per importanza, il servizio Porta a Porta esteso all’intera città, dovrà essere preceduto da una forte promozione partecipativa dei cittadini e di tutte le categorie sociali ed economiche, perché il più importante dei risultati non potrà venire che dalla loro partecipazione informata e convinta. Claudio Ghiretti Bidoni e cassonetti della raccolta differenziata in un cortile della zona di Via Adua. NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 31 SEGNALI DI PACE di Saverio Morselli Una certezza annunciata: nessuno (a parte, forse, gli Stati Uniti) riesce a capire le ragioni dello Stato di Israele, nessuno è in grado di comprendere quella sorta di sindrome da accerchiamento e da annientamento capace di cementare in modo così forte e trasversale il suo popolo. Evidentemente, è così che Israele la pensa se, per l’ennesima volta, ha ritenuto legittima e assolutamente doverosa la durissima reazione militare (una vera e propria guerra) in Libano, seguita al sanguinoso agguato Hezbollah a una pattuglia di soldati e al rapimento di due di essi. Certo, non sfugge che la vera causa di quella che D’Alema ha definito “reazione spropositata” va ricercata nel clima politico che infiamma attualmente il Medio Oriente, ove ritrova vigore il pensiero integralista a favore della eliminazione fisica degli “sionisti” o, dall’altra parte, la convinzione che gli straccioni arabi vadano tenuti ad una adeguata distanza di “sicurezza”. D’accordo, per l’ennesima volta la diplomazia è in vacanza. Ma ciò che colpisce è la radicale diversità di vedute, la distanza abissale che separa le parti. Due esempi: Il governo libanese accusa Israele di voler imporre un nuovo ordine mediorientale, intimidendo i Paesi arabi attraverso la devastazione del Libano, e rilancia: “Hezbollah è la conseguenza di anni di occupazione israeliana, l’unico responsabile di quanto sta accadendo è Israele, uno stato che continua a martirizzare le popolazioni palestinese e libanese e a violare deliberatamente le risoluzioni Onu”. Non una parola sulla capacità di Hezbollah di colpire città israeliane; non una parola sulle dichiarazioni irresponsabili del Presidente iraniano in barba e giacchetta Ahmadinejad, non un accenno alla aggressività di Hamas. Ma tant’è: di fronte c’è solo morte e distruzione. Il vicepremier israeliano Peres rigetta ogni accusa di aggressione a uno Stato sovrano, ribadisce un curioso concetto di guerra di difesa (“Stiamo solo difendendoci da un attacco premeditato di Hezbollah, commissionato dall’Iran”) e testualmente afferma: “Penso che dobbiamo combattere, non indiscriminatamente e con ritegno. […] Così difendia32 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 mo la pace vera, quella in cui credo profondamente, quella che deve ancora venire e per cui continuerò sempre a combattere”. Ed ancora, sul concreto: “Tutti gli edifici su cui abbiamo sparato erano pieni di armi, nascondigli, magazzini ed uffici di Hezbollah”. E la strage di Cana (corteo funebre massacrato)? “Un errore, come ne possono accadere in guerra”. Viene davvero da chiedersi come un Premio Nobel per la pace possa parlare così. Chissà cosa vorranno mai dire per lui gli aridi numeri del conflitto che, se la logica ha ancora un senso, ha devastato il Libano senza neppure una vera e propria dichiarazione di guerra: 1069 vittime civili accertate, oltre 1000 feriti, un milione di profughi, distruzione di aeroporti, strade, ponti, telecomunicazioni, acquedotti, impianti elettrici ed industriali per un costo di ricostruzione (per il quale occorreranno 3-4 anni) di almeno 2,5 miliardi di dollari, 15.000 tonnellate di greggio riversate in mare a seguito del bombardamento della centrale di Jiyye, per un costo di bonifica stimato in 100 milioni di dollari. E chissà se l’elevato prezzo pagato anche dal suo popolo in termini di vite umane e di distruzione gli faranno sorgere qualche dubbio in più… La situazione mediorientale è e rimane estremamente complessa ed è pertanto arduo, forse presuntuoso, dare giudizi a tavolino (o, come detto da una donna nel rifugio per sfuggire ai razzi Hezbollah, “dottoreggiare su una guerra contro il terrorismo che dovreste almeno capire e in cui siamo lasciati così soli”), stabilire cosa è giusto e cosa non lo è da dietro lo schermo di un computer. Ma ciò che non quadra in questo contesto è che se da una parte è estremamente facile (e giusto!) condannare gli atti di terrorismo che colpiscono la popolazione civile israeliana, se la protesta e lo sdegno montano ogniqualvolta l’antisemitismo viene ignobilmente riproposto, dall’altra la sacrosanta condanna per gli atti di vero e proprio terrorismo di stato posti in essere dalle autorità israeliane è attenuata, ridimensionata da una sorta di timoroso giustificazionismo, di cattiva coscienza storica che impedisce di prendere una posizione netta e risoluta. Il fantasma del genocidio è sempre lì, aleggia in mezzo a noi. Un senso pro- fondo di responsabilità collettiva ci impedisce di vedere e di credere che i discendenti dei massacrati siano ora in grado, talvolta, di rendersi responsabili di nefandezze e di infamità. Di eseguire esecuzioni mirate, di arrestare parlamentari o semplici cittadini e di tenerli in galera per anni senza alcun processo. Di radere al suolo case e villaggi, di creare muri divisori, di occupare arbitrariamente da decine di anni terre che non gli appartengono.. Il mondo politico occidentale eccede in cautele, ricorda l’inviolabile diritto di Israele ad esistere e auspica, sì, auspica (da cinquant’anni) che questo diritto sia riconosciuto anche al popolo palestinese. Riconosce come legittimo il ricorso alla autodifesa, anche quando, come certa guerra di recente accezione, è “preventivo”, assolve i massacri di civili attribuendone la responsabilità alla feroce spregiudicatezza dei terroristi ed infine, forse in nome della “Soah”, accetta passivamente il mancato rispetto di decine e decine di Risoluzioni Onu. Eh sì, criticare Israele non è solo disdicevole, ma presta il fianco all’accusa di antisemitismo e di negazione delle ragioni storiche di un popolo che vive accerchiato dalla ostilità di milioni di arabi. Ma chiudere gli occhi di fronte alla realtà, per cruda e spiacevole che sia, non aiuta il negoziato e tantomeno la pace. Chiudere gli occhi sulle responsabilità, di chiunque siano, significa rendere un cattivo servizio alla giustizia e alla credibilità di chi continua ad impegnarsi per una equa ed accettabile soluzione del conflitto mediorientale. Ed allora, apriamoli questi occhi, e magari leggiamo il rapporto di Amnesty International sulla guerra in Libano, nel quale si accusa Israele di aver commesso “crimini di guerra” per aver deliberatamente preso di mira le infrastrutture del Paese con lo scopo di far rivoltare i civili e governo contro Hezbollah. Gli elementi raccolti starebbero ad indicare che “un tale livello di distruzione è stato premeditato e parte di una strategia militare”. L’aviazione avrebbe compiuto non meno di 7000 raid tra il 12 luglio e il 12 agosto, provocando oltre mille morti, metà dei quali bambini. Potremmo aggiungere, con Regis Garrigues della associazione “Medecins du Monde” che è stato accertato l’uso di bombe a frammentazione e al fosforo bianco. Ma, a quel punto, l’accusa di antisionismo non ce la leverebbe nessuno. OPINION LEDER Ladro di opinioni di Fabrizio "Taver" Tavernelli (Presidente Anpi Correggio) Perversi giochetti linguistici La linguistica è la scienza del linguaggio articolato. Attraverso la lingua e le sue diverse articolazioni possiamo creare e disfare un senso, possiamo edificare o abbattere una realtà. Il linguaggio come l’architettura può arrivare ad ergere ardite costruzioni che sembrano appoggiare sul nulla, solide o eteree, ridondanti o minimali. Mentre parliamo, mentre tutto nel mondo ci rivolge la parola, si elaborano concetti, si da una lettura ed un’interpretazione del circostante e del proiettabile. Il linguaggio è un potente strumento magico-alchemico capace di dare nuovi significati e come l’organo che la sostiene nel suo svolgersi in parole e pensieri, la lingua, può arrotolarsi in grandi verità ed in grandi mistificazioni. Ecco dunque qualche giochetto verbale estivo a cui dare una propria interpretazione. Questa è soltanto la mia personale traduzione di frasi, modi di dire, definizioni, etichette, aggettivi, neologismi che da modo di dire si sono tramutati in senso comune. Sinistra radicale – forse un tempo ormai lontano c’era solo la sinistra che si trovava ad essere radicale per sua stessa natura fondante. Poi con la storia e con il nascere della scienza politica ha cominciato ad assumere diverse connotazioni. Oggi tutti tendono a rimarcare le differenze e la distanza tra una sinistra moderata e riformista ed una radicale. Il giochetto, personalmente non mi appassiona ed anzi mi pare un’insidiosa trappola. Simpatizzando il sottoscritto per ciò che è “radicale” (ma non violento, devastante o autodistruttivo, che è altra cosa) credo che l’aggettivo “radicale” che nei tg, nei salotti buoni, ha assunto un carattere negativo si stia sempre più allargando sino ad includere pensieri, azioni, sentimenti che sino a ieri erano patrimonio della sinistra senza aggiunta di altre specifiche. Diventa dunque “radicale” (e quindi negativo) lo sciopero, diventa “radicale” (e quindi negativa) ogni forma di protesta che vada appena un pelo sopra le righe, diventano “radicali” le azioni che nascono spontaneamente dal basso ed in più si rispolverano ordinamenti d’emergenza, come il concorso morale del codice Rocco, per chi manifesta nelle piazze. Diventerà radicale forse esprimere pensieri forti e scomodi per il buon senso generale? Poi mi chiedo, cosa c’è stato di più radicale in questi anni, del liberismo selvaggio ed inumano, cosa c’è stato di più radicale dell’antipolitico Berlusconi, cosa c’è stato di più radicale della guerra preventiva americana, cosa più radicale degli integralismi religiosi, cosa c’è di più radicale dell’antistato e del razzismo leghista? Io di fronte a queste “radicali” offese alla giustizia ed all’intelligenza non posso che rispondere radicalmente. Dunque permettetemi l’indignazione, lasciatemi protestare seriamente, lasciatemi l’incazzatura, poi semmai ci posso ragionare sopra. Non il contrario, pensando se è meglio far finta di niente e cosa mi conviene, cosa ci guadagno se assumo una posizione moderata e d’attesa. Qui non si vogliono legittimare guerriglie urbane, auto incendiate, vetrine rotte ecc. si vuole soltanto smascherare il sottile trabocchetto grazie al quale un’opinione, una protesta decisa e ad alta voce è stata fatta diventare “terrorismo”. Possibile che tutto quello che sta al di fuori ed oltre i soporiferi teatrini politici televisivi sia così estremo? Partito democratico – tanta strada, tante lotte, tante giuste differenziazioni per arrivare presto ad impersonare la parte della corrente di sinistra della democrazia cristiana? Calciopoli e campioni – … a questo punto mi aspetto di ricevere una bordata di fischi… ma aldilà della comprensibile festa, del nazionale entusiasmo (attenzione però alla trasformazione in nazionalismo) e lasciatemelo dire della retorica, non appare eccessivo, se non isterico quello che ha seguito la vittoria dei mondiali? Non è che per caso dietro a questo sfilare, urlare, dimenarsi della giovine Italia vi sia da un lato il nulla, il calcio ed i suoi testimonial-calciatori come ultimi eroi di un futuro che non promette niente e dall’altro il gioco, l’aspetto ludico che nelle epoche buie serve a fare dimenticare angosce, ansie, insicurezze. Qualcuno poi, propone di proseguire la festa, con un’amnistia generale che cancelli la vergognosa onta di calciopoli. Che si festeggi ad oltranza dunque! Liberalizzazioni – tutti invocano il mer- cato libero, tutti si dicono pronti alla competizione… poi quando qualcuno prende provvedimenti in tal senso ecco che rispuntano lobbies varie, particolarismi atavici, categorie che si barricano, eredi di titoli e professioni per albo genealogico che gridano allo scandalo. Si coalizzano farmacisti, taxisti, notai, avvocati, monopoli televisivi ecc. Tutti vogliono essere liberi di fare i loro interessi senza che nella gara vi siano altri concorrenti. I nostri soldati – i figli del popolo. Pasolinianamente parlando. Massima pietà e compassione, onore e gloria, lacrime, bare e bandiere. Possibile che ancora oggi i figli delle classi cosiddette popolari, i ragazzi dell’Italia più povera abbiano come unica chance per studiare, sposarsi, pensare ad una casa, soltanto la partenza per la guerra. Tutto questo pasolinianamente detto, se permesso, da uno che non è figlio di ricchi borghesi. Commerciale – si è riusciti infine a rendere questa categoria il massimo dell’aspirazione giovanile. Quindi è tutto un fiorire ed un richiedere, senza tante pretese e velleità intellettuali, di musica commerciale, cinema commerciale, immagine commerciale, cibo commerciale… “il commerciale” unisce, rassicurante e riconoscibile. Laicismo – il dizionario dice: atteggiamento ideologico di chi sostiene la piena indipendenza del pensiero e dell’azione politica dei cittadini dall’autorità ecclesiastica. I teocon all’amatriciana sottolineano l’aggettivo “ideologico” e parlano di deriva laicista. Noi allora possiamo sostituire la prima parte con “cosciente separazione di ruoli, tra sfera dell’intimo e ambito pubblico” in questo modo anche il presunto laicismo si può tranquillamente tradurre in laicità. NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 33 L’INFORMAZIONE SANITARIA Le risposte del Prof. Enzo Iori Egregio prof. Iori, sono una donna nubile di 59 anni. Col caldo estivo faccio fatica a trovare il sonno (abito alla periferia di Correggio). I genere mi addormento verso le 2 di notte. Ma al mattino verso le 5 , 5,30 mi sveglio con una specie di smania addosso e non resisto più a stare a letto , anche se mi sento stanca e vorrei dormire ancora. Cosa posso fare? Io non ho mai preso sonniferi, ma in questa mia situazione possono servire? Attendo una sua cortese e competente risposta e la ringrazio. Francesca S. Cara Francesca, l’insonnia è un disturbo molto comune, circa il 14 percento delle persone lamenta disturbi del sonno e tale percentuale aumenta con l’età, raggiungendo il 33 percento dopo i 60-65 anni. Nella antica Grecia il sonno era rappresentato come un adolescente che corre leggero per dare agli uomini il riposo del corpo e della mente con un papavero nella mano destra ed un vaso del suo succo nella sinistra. Il sonno era dunque visto come quiete e distacco dalle fatiche quotidiane per recuperare energie in vista di una nuova giornata. Cosa è l’insonnia? È la sensazione soggettiva di non avere tratto sufficiente riposo dal sonno, perché non abbastanza lungo o non abbastanza ristoratore. Non è dunque molto significativa la sola durata del sonno, poiché vi sono molte differenze individuali in ciò. Vi sono persone che dormono poco più di tre ore per notte senza alcun disturbo (come Napoleone, Papa Giovanni 23º, Pirandello) ed altre che se dormono meno di dieci ore non stanno bene. Possiamo quindi concludere che è insonne chiunque, indipendentemente dalla durata del sonno, non dorme bene e perciò non si sente in buona efficienza fisica e mentale durante il giorno. Vi è una insonnia primaria, quando il paziente è sano e non ci sono apparentemente cause che giustifichino l’insonnia, ed una insonnia dovuta invece a 34 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 malattie (come depressione, morbo di Parkinson, dolore cronico, asma) od abitudini (come uso di talune sostanze medicinali, abuso di droghe o alcolici); è chiaro che in tali casi si debba intervenire su queste cause per risolvere anche l’insonnia. Vi sono 3 tipi di insonnia: l’insonnia iniziale con difficoltà all’addormentamento, l’insonnia centrale con numerosi e prolungati risvegli, l’insonnia terminale con mancato ripristino del sonno dopo un risveglio precoce notturno. Se l’insonnia è occasionale è di solito legata a stati momentanei soprattutto di tipo ansioso legati a preoccupazioni, mentre l’insonnia cronica è un disturbo persistente che può diminuire il benessere e le prestazioni della persona. A seconda dell’età, delle cause dell’insonnia, dell’ambiente di vita il medico curante prescriverà una terapia adeguata alla situazione, concordandola con il paziente. Esistono due tipi fondamentali di terapia dell’insonnia: una terapia farmacologica ed una terapia non farmacologica. La prima si basa sulla somministrazione di determinati farmaci, detti ipnotici, che aiutano ad indurre o mantenere il sonno; tale terapia viene di solito preferita nei casi di insonnia a breve termine o acuta. In passato venivano utilizzati i barbiturici per indurre e mantenere il sonno, mentre attualmente vengono prescritti soprattutto due tipi di farmaci: le benzodiazepine utili per la fase di addormentamento e gli antidepressivi triciclici che regolano il sonno oltre ad avere un effetto sulla depressione. Entrambi questi farmaci devono essere assunti sotto controllo medico perchè non sono privi di effetti collaterali ed anche perché gli ipnotici possono perdere efficacia nel tempo. La terapia non farmacologica compone della correzione di abitudini sbagliate con una buona igiene del sonno e di vita; esistono anche tecniche di rilassamento muscolare e mentale, ed anche rimedi cosiddetti “naturali” come la cronoterapia, la fototerapia e la fitoterapia che si pongono come scopo quello di regolare nuovamente l’orologio biologico interno. Questi due tipi di terapia possono anche essere prescritti insieme, ma è in ogni caso importante parlarne con il proprio medico curante. Ecco infine alcune “regole d’oro” per dormire meglio: dormire in ambiente fresco, buio, silenzioso, ove non siano presenti stimoli antagonisti del sonno, come presenza di scrittoio e cyclette; astenersi da cene abbondanti, alcol, fumo, caffe e tè alla sera; evitare di dormire di giorno; ripetere gesti abitudinari prima di dormire, come mettere in ordine gli abiti dopo esserseli tolti, lavarsi i denti, puntare la sveglia; fare durante il giorno attività motoria moderata e regolare, come camminare, evitandola invece prima di coricarsi; evitare intenso esercizio intellettuale la sera; cercare di rilassarsi prima di andare a dormire con un bagno caldo, una tisana rilassante o leggendo un libro a letto. CONOSCERE GLI ALTRI I Careli I Careli sono un popolo di stirpe finnica che usano chiamare se stessi karjalaiset, un etnonimo, questi, molto probabilmente derivato da garja = foresta, dalla quale presero nome anche gli originari abitanti delle zone boscose che si trovavano a nord-ovest del lago Ladoga, assieme all’altra tribù finnica dei Vepsi, con gli elementi della quale spesso si mischiarono. Furono i Russi a coniare l’etnonimo Korely o Karely, dando a questi il senso dispregiativo di: luridi briganti della foresta. Attualmente i Careli contano in tutto circa 130.000 individui la Kalevala. Illustrazione di T. Jufa. maggior parte dei quali (80.000) residenti nel loro omonimo territorio, mentre un altro gruppo di essi si trova nella regione Tver. Come tipo antropologico i Careli si presentano quali individui di alta statura, se non dei veri giganti, dalla corporatura slanciata e con viso dai lineamenti regolari. Hanno folta barba e capelli castani, ed immensi occhi grigio-azzurri, che rispecchiano il loro carattere mite e sognante che li dispone alla poesia. Vedi in tal caso il magnifico poema epico “Kalevala”, dove esprimono tutto il loro quieto vivere, tra sonnolenti foreste e luoghi romiti. L’economia dei Careli meridionali in passato si basava essenzialmente su un tipo di agricoltura settentrionale, mentre nelle regioni del nord prevaleva la caccia, la pesca e il taglio del legname, e il suo trasporto per via terra o per fluitazione. La quasi totalità dei Careli professa la fede cristiano ortodossa russa, pur rimanendovi inseriti alcuni elementi di antica provenienza sciamanica. Riccardo Bertani Fanciulle careliane alla raccolta di funghi nella foresta. Detti e proverbi careli – Il nemico non si combatte a parole, ma coi fatti. – Se hai una moglie chiacchierona, sai di tutto il villaggio. – Non sperare di ricevere consigli da un taciturno. – Ogni lampo di felicità, equivale ad un raggio di sole. – L’ardore dei giovani si spegne alla prima folata di vento. – La volpe furba è difficile che cada nella tagliola. – Considera come un fratello chi giace nell’indigenza. – Se vai nella foresta, non è con l’odio che puoi uccidere un orso. – L’astuto osserva senza mai darlo a conoscere. – Le brutte parole è meglio che ti rimangano avvolte nei baffi. – Non sono le preoccupazioni che ti uccidono, ma la tristezza. – Del tuo paese natale conosci perfino i cespugli. – Se ascolti la gente, ti accorgerai che non tutto quel che si dice è vero. – Basta una bella canzone per renderti gaia la vita. – La lingua non avendo ossa la puoi manovrare come vuoi. Traduzione di Riccardo Bertani NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 35 I NOSTRI LUTTI SANTE SPAGNI (Spadino) Il 22 giugno 2006 è mancato all’affetto dei suoi cari Sante Spagni Spadino, di 83 anni, ex Partigiano. Aveva militato nel 3° battaglione della 76a Brigata Sap “Angelo Zanti”, comandata da Paride Allegri Sirio, che operava dal Secchia all’Enza e dalla zona collinare alla via Emilia. Sante, figura semplice e generosa dedita al lavoro e alla famiglia, era amato e stimato da tutti. Negli ultimi anni, le ore di svago le trascorreva con gli amici e soci del Centro sociale “La Rocca” di Scandiano. Venerdì 23 giugno, al funerale in forma civile, era accompagnato dalle canzoni della Resistenza suonate dal Corpo bandistico di Albinea, da tante bandiere rosse e dell’Anpi, compresa quella della Val d’Enza, dove Sante ha sempre operato, portata da Ivo Mareggini. Alla moglie Lucia, ai figli Liseo e Silvana e ai parenti tutti va l’abbraccio affettuoso e le più sentite e profonde condoglianze dell’Anpi di Scandiano. Per onorarne la memoria e con profondo ricordo, la Famiglia sottoscrive pro “Notiziario”, come il loro Sante ha sempre fatto. Anpi-Scandiano ENZO SETTI (Ferruccio) L’8 giugno 2006 è deceduto Enzo Setti Ferruccio, di Rubiera, nato nel 1913, Partigiano e perseguitato politico durante il ventennio fascista, già dirigente dell’Anpi rubierese. Il figlio Davide con la sorella Ileana uniti ai parenti e compagni lo ricordano con affetto e ne onorano la memoria con un’offerta al “Notiziario Anpi”. 36 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 GIOVANNI BATTISTA MARTINELLI (Cino) Per ricordare la scomparsa del Partigiano Giovanni Battista Martinelli Cino, avvenuta il 5 maggio scorso, la sorella Nelde sottoscrive pro “Notiziario”. ULTIMIO CASSINADRI (Fra’ Diavolo) Ad alcuni mesi dalla scomparsa, avvenuta il 12 maggio 2006, del Partigiano Ultimio Cassinadri Fra’ Diavolo, la moglie Carla e i figli Alfeo, Caterina e Maria Grazia lo ricordano con tanto affetto e sottoscrivono pro “Notiziario”, che non mancava di leggere e sostenere. ALBERTA BUFFAGNI ved. Canepari Il 2 agosto u.s. è mancata all’affetto dei suoi cari Alberta Buffagni. Per Alberta Con un sorriso, uno scherzo, una partita a carte, hai riempito le nostre vite. Hai portato a tutti noi, sereno e reale, il ricordo della tua vita partigiana e delle tue origini agresti. La mattina, ancora con la vestaglia, eri già con la scopa in mano, nel cortile o in strada a conversare e a scherzare con qualsiasi anima del creato. La tua simpatia e la tua curiosità per le cose della vita hanno sempre accolto la compagnia di amici e parenti e, nonostan- te fosse difficile avere la meglio facendoti cambiare idea, poi tutti tornavano assetati della tua compagnia. Ma lo scherzo ora ce lo hai fatto davvero grosso: non sei più qui con noi, ma ti promettiamo che faremo tesoro del tuo essere “Buffagna” e cercheremo di vivere come se tu fossi ancora qui con noi. Ciao zia Mirna GIUSEPPE RINALDINI (Spalla) Il 1° agosto u.s. è deceduto in età di 82 anni il partigiano della 145ª Brigata Garibaldi Giuseppe Rinaldini, Spalla (noto anche col soprannome di Pinca), di San Prospero Strinati. La moglie Ernesta e i figli Gianfranco e Aloma ne onorano la memoria con un’offerta pro Notiziario. ERMES TONDELLI L’11 agosto u.s. è deceduto il compagno Ermes Tondelli. Nato nel 1910 in una famiglia contadina, aveva compiuto 96 anni il 3 maggio scorso. A suo tempo non ebbe il riconoscimento della qualifica di partigiano, ma durante la Resistenza fu impegnato in un lavoro politico assai rischioso nella zona di Villa Cavazzoli, a fianco di Paolo Davoli. Per molti anni attivista dell’ANPI, fu anche funzionario del Pci. Diede inoltre un prezioso contributo di testimonianza con i suoi interventi nelle scuole in collaborazione con Istoreco. Abile disegnatore, accompagnava le sue testimonianze, per una maggiore efficacia didattica, con una bellissima “mappa della memoria”: il territorio allora campestre di Villa Cavazzoli dalla periferia ovest di Reggio fino alla Valle di San Giulio, evidenziando case di latitanza, percorsi notturni dei partigiani, luoghi di incontro I NOSTRI LUTTI tra Paolo Davoli e giovani reclutati nelle file della Resistenza. La morte lo ha colto nella casa di riposo di Casina dopo due mesi dal suo ricovero. Molti lo ricordano, già ultraottantenne, quando in vacanza a Castelnovo Monti saliva quasi ogni mattina, con passo fermo, verso la Piera di Bismantova. Ai familiari del caro Ermes giungano le condoglianze dell’Anpi e della redazione del Notiziario. ALDO GIANOTTI (Furia) Il 21 agosto u.s. è deceduto, amorosamente assistito fino all’ultimo dalla signora Maria, Aldo Gianotti Furia, di Villa Gavassa. Nato nel 1925, operaio alla Lombardini, era stato partigiano della 145.a Brigata Garibaldi. Lo annunciano addolorati e commossi i figli Pietro e Claudio, le nuore Carla e Alessandra, i nipoti Gabriele, Erik e Greta, le sorelle Amedea e Iside, unitamente a tutti i familiari. Essi ringraziano, per la partecipazione alle esequie, l’ANPI ed in particolare il suo Vice Presidente provinciale Orio Vergalli, che vi ha tenuto una toccante orazione funebre. In onore del caro scomparso offrono pro Notiziario. LUIGI CANTAGALLI (Fumo) 1° ANNIVERSARIO Nel primo anniversario della scomparsa, avvenuta l'8 agosto 2005, del partigiano Luigi Cantagalli Fumo, rinnovano la memoria del caro congiunto i suoi familiari con un'offerta al “Notiziario Anpi”. ANNIVERSARI PIETRO GOVI (Piretto) 1° ANNIVERSARIO Il 24 luglio scorso ricorreva il 1° anniversario della scomparsa del Partigiano Pietro Govi Piretto, di Rio Saliceto. La moglie Umberta, le figlie Adriana e Lorena lo ricordano con immutato affetto e sottoscrivono pro Notiziario. *** Il 24 luglio scorso ricorreva il 1° anniversario della scomparsa di Pietro Govi, partigiano combattente con il nome di battaglia Piretto nel distaccamento “G. Matteotti” della 144ª Brigata Garibaldi. Per onorarne la memoria e per ricordarlo con profonda nostalgia agli amici e ai familiari. “Dove sei tu non so pure mi è facile pensarti e credere al tuo viso, alla tua voce”. Lo ricordano con tanto affetto Katia, Adele, Silvano, Nadia, Simona, che sottoscrivono pro “Notiziario” per mantenere viva la sua memoria. BRUNO MARZI (Mem) 6° ANNIVERSARIO Il giorno 14 luglio ricorreva il 6° anniversario della scomparsa di Bruno Marzi Mem, partigiano combattente del distaccamento “G. Matteotti” della 144ª Brigata Garibaldi. La mia ombra La mia ombra combacia lievemente, delicatamente, con la tua, padre mio, ma dove di è nascosto il sole / raggiante del passato. Lo ricordano con tanto affetto Katia, Adele, Silvano, Nadia, Simona, che sottoscrivono pro “Notiziario” per mantenere viva la sua memoria. LINDA ORLANDINI in Manzotti 2° ANNIVERSARIO Il 27 luglio ricorreva il 2° anniversario della morte di Linda Orlandini Manzotti, che durante la lotta di Liberazione, a soli 14 anni, era organizzata come staffetta nella 77ª Brigata Sap. Per rinnovare la sua cara memoria, il marito e il figlio, con la nuora e i nipoti, offrono pro “Notiziario” CESARE MELIA 8° ANNIVERSARIO Il 9 agosto scorso ricorreva l’8° anniversario della scomparsa del caro Cesare Melia. La moglie Silvia e i figli Cinzia e Ivano lo ricordano con immutato affetto ed offrono pro “Notiziario”. GINO SETTI (Susmel) 2° ANNIVERSARIO Il 16 agosto u.s. ricorreva il 2° anniversario della scomparsa del partigiano Gino Setti (Susmel) di Reggiolo Commissario di Btg. della 26ª Brigata Garibaldi. Lo ricordano con profondo rimpianto i familiari offrendo pro “Notiziario”. Per un sostegno finanziario al "NOTIZIARIO" Tel. 0522/432991 (solo mattino) NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 37 ANNIVERSARI MARIA BARBANTINI 5° ANNIVERSARIO Il 5 luglio 2006 ricorreva il 5° anniversario della scomparsa di Maria Barbantini di Ligonchio. La ricordano con immutato affetto il marito Ennio Felici, i figli Giuseppe e Maria Grazia, i nipoti Roberto e Marco, la nuora Carla e il genero Tommaso e sottoscrivono per il “Notiziario Anpi”. DUILIO CARRETTI (Giuseppe) 7° ANNIVERSARIO Cadeva nel mese di luglio il 7° anniversario della perdita del caro Duilio, pertanto la moglie Clite, la figlia Meris, il figlio Mauro ed i nipoti nel ricordarlo con tanto affetto, offrono un contributo a sostegno del “Notiziario”, consapevoli dell’interesse che lui nutriva verso questo strumento d’informazione sui valori della Resistenza e della libertà. DAVIDE VALERIANI (Formica) 5° ANNIVERSARIO Il 25 settembre 2006 ricorre il 5° anniversario della scomparsa del partigiano Davide Valeriani Formica. La moglie e i figli nel ricordarlo con immutato affetto sottoscrivono pro Notiziario. 38 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 VILMA GALAVERNI ved. Verzelloni 7° ANNIVERSARIO Il 17 agosto 2006 ricorreva il 7° anniversario della scomparsa di Vilma Galaverni, amica dell’Anpi di Roncocesi, la ricordano con immutato affetto le famiglie Galaverni e in suo onore offrono pro “Notiziario Anpi”. VOLMER VERZELLONI 14° ANNIVERSARIO Il 3 ottobre 2006 ricorre il 14° anniversario della scomparsa del Patriota Volmer Verzelloni di Roncocesi. Lo ricordano con affetto le famiglie Galaverni offrendo in suo onore pro “Notiziario Anpi”. SEVERINO MORI (Carnera) 5° ANNIVERSARIO Il 21 luglio scorso ricorreva il 5° anniversario della scomparsa del Partigiano Severino Mori Carnera della 77a Brig. Sap “F.lli Manfredi”. I figli Nadia e Claudio lo ricordano con immutato amore, conservando di lui un ricordo indelebile per i valori che ne hanno sempre ispirato l’opera e per tutto l’amore che ha riservato loro. In suo onore sottoscrivono pro “Notiziario Anpi”. DANTE CALZOLARI (Spada) 1° ANNIVERSARIO Il 18 luglio 2006 ricorreva il 1° anniversario della scomparsa di Dante Calzolari Spada, Partigiano combattente della 26a Brig. Garibaldi. Ferito in combattimento a Villa Codemondo, nella fase di “pianurizzazione” della lotta, Calzolari fu anche detenuto ai Servi e duramente torturato a Villa Cucchi. Operaio delle Reggiane, fu protagonista della epica occupazione della fabbrica nel 1950. Aveva sempre vissuto in via Cassala, nel quartiere operaio per eccellenza di Santa Croce Esterna. Ne ricorda la nobile figura, con un offerta al “Notiziario”, il nipote Luciano con la famiglia. FRANCO ROSSI 27° ANNIVERSARIO Nel 27° anniversario della scomparsa di Franco Rossi, avvenuta l’8 settembre 1979, la mamma lo ricorda insieme al papà Dino, scomparso 6 mesi fa. In loro memoria sottoscrive pro “Notiziario Anpi”. GIOVANNI BERTOLINI (Paolo) 4° ANNIVERSARIO Il 29 agosto cadeva il 4° anniversario della morte del partigiano Giovanni Bertolini Paolo, ex volontario antifranchista in Spagna. La moglie, i figli e i nipoti lo ricordano e sottoscrivono a sostegno dell’Anpi. OFFERTE IL "NOTIZIARIO ANPI" E' UNA VOCE DELLA RESISTENZA E DELLA DEMOCRAZIA. PER VIVERE HA BISOGNO DEL TUO AIUTO – LEA FRANCIA ......................................................... € – ANNA TONDELLI e figli in memoria di Franco Cigarini ...................................................................... ” – ANSELMO BISAGNI e ANGIOLINA a ricordo di Casoli Renato e Valentina ......................................... ” – FAM. UGOLOTTI a ricordo del loro familiare scomparso .................................................................. ” – CESIRA GIBERTONI .............................................. ” – ANPI e UDI di Medicina ........................................... ” – BRUNO FANI ........................................................... ” – FAM.GOVI in memoria di Pietro Govi “Piretto” ..... ” – NADIA e CLAUDIO MORI in memoria del padre Severino “Carnera” .................................................... ” – ANPI di Campegine .................................................. ” – PAOLINA- WILLER e VALENTINA in memoria di Morabello Pinotti ................................................... ” – EX PARTIGIANI DIST. F.LLI ROSSELLI in memoria dei caduti ......................................................... ” – AGIDE CORRADI .................................................... ” – CENRO SOCIALE OROLOGIO .............................. ” – LUCIANO CALZOLARI a ricordo dello zio Dante . ” – ERMES LUSETTI ..................................................... ” – PEPPINO CATELLANI ........................................... ” – DAVIDE e ELIANA SETTI a ricordo di Enzo “Ferruccio” ................................................................ ” – FAUSTO BERGIANTI e figlio ................................. ” – FAM.SPAGNI per onorare la memoria di Sante Spagni ........................................................................ ” – ANPI SCANDIANO a ricordo di Sante Soragni “Spadino” .................................................................. ” – OSTILIANA PIPERI ................................................. ” – FERNANDO IBATTICI – CARPINETI .................. ” – ENNIO FOLIERI – Ligonchio in memoria della moglie Maria Barbantini ............................................ ” – DOMENICO SIMONELLI a ricordo del fratello Ulderico ..................................................................... ” – EMMA RAVAZZINI e fam. per onorare il marito Emilio “Miglietto” ..................................................... ” – LUIGI GALAVERNI in memoria della sorella e del cognato ...................................................................... ” – FAM. CARRETTI per la ricorrenza della scomparsa di Duilio Carretti ........................................................ ” – NELDA MARTINELLI per ricordare il fratello Giovanni Battista “Cino” ........................................... ” – VALTER CROCI in memoria di Giulio Croci .......... ” – BRUNO e PIETRA CARLETTI ............................... ” – RENZO SPAGGIARI ............................................... ” – GIOVANNI geom.BELPOLITI per avere visionato il notiziario ANPI ...................................................... ” – CESARINO MORSELLI – Reggiolo ....................... ” – ADA BARTOLI ........................................................ ” – CLAUDIO GALLI per onorare il padre Secondo ..... ” – PAOLA TORINELLI GORI a ricordo del marito deceduto in un incidente sul lavoro ........................... ” – MARIA MATTIOLI a memoria di Franco Rossi ..... ” – DIMMA ROSSI in memoria di Franco Rossi ........... ” – NEALDA DONELLI a ricordo della mamma Maria Manzotti .......................................................... ” – CARLA CASSINADRI in memoria del marito Ultimio ....................................................................... ” – CESARE e EURIDE SORAGNI ............................... ” – MARIA ROSA FRANCHI a ricordo della mamma Domenica ................................................................... ” – RICCARDO CAMPIOLI .......................................... ” – SANDRA PANINI .................................................... ” – SILVIA MELIA e figli a ricordo del marito Cesare nell’8° anniversario della morte ................................ ” 20 50 50 20 10 100 20 50 50 120 200 50 50 150 100 15 100 50 5 100 20 100 50 40 30 20 100 50 20 30 25 20 50 20 10 20 20 100 100 25 50 50 40 100 20 100 – TIZIANA PIGOZZI in memoria della sorella nel 1° anniversario della scomparsa ................................ ” – RINO TORREGGIANI e FANNI CARRI in memoria di Alberta Buffagni ............................................... ” – EBE e FRANCO CANEPARI per ricordare Alberta Buffagni ..................................................................... ” – DELEDDA in memoria della madre Maria Manzotti ” – DEMUS MANZOTTI e fam per ricordare il 2° anniversario della scomparsa di Linda Orlandini ...... ” – FAM. VALERIANI per ricordare il marito Davide Valeriani .................................................................... ” – NERINA CODELUPPI in memoria della partigiana Alberta Buffagni ........................................................ ” – MAURO, LIDIA VIANI e famiglia a ricordo di Alberta Buffagni ........................................................ ” – BICE MONTANARI BERTOLINI e famiglia per onorare Giovanni Bertolini “Paolo” .......................... ” – FAM. GOVI e amici in memoria di Pietro Govi ....... ” – FAM. MARZI a ricordo di Bruno Marzi ................... ” – ENNIO PISTONI “Jard” – Carpineti ........................ ” – LUCA BUFFAGNI per ricordare il nonno Marino Bertani “Massa” ......................................................... ” – GIORGIO e ORNELLA BUFFAGNI in memoria di Alberta Buffagni .................................................... ” – PIETRO BUFFAGNI per onorare Alberta Buffagni . ” – BRUNA e RAFFAELLA in ricordo di Alberta Buffagni ..................................................................... ” – SILVIA CANEPARI in memoria della madre Alberta Buffagni ........................................................ ” – MIRNA CANEPARI a ricordo di Alberta Buffagni . ” – KATIA CANEPARI a ricordo di Alberta Buffagni .. ” – ANGIOLINA CASOTTI in memoria di Alberta Buffagni ..................................................................... ” – DOMENICO CANEPARI a ricordo di Alberta Buffagni ..................................................................... ” – MERCEDES CANEPARI in memoria di Alberta Buffagni ..................................................................... ” – LAURA CANEPARI a ricordo di Alberta Buffagni . ” – BENIAMINO CANEPARI in memoria di Alberta Buffagni ..................................................................... ” – DOMINICO INCERTI per ricordare Alberta Buffagni ..................................................................... ” – SILVANO DALLARI per onorare la memoria di Alberta Buffagni ........................................................ ” – KATIA SALSI a ricordo di Enzo Salsi ..................... ” – SIDRACO CODELUPPI – Poviglio ......................... ” – ERNESTA BONACINI in Rinaldini e famiglia a ricordo del marito ................................................... ” – FAM.SETTI – Reggiolo per onorare Gino Setti “Susmel” nel 2° anniversario della morte ................. ” – LUCIA ZANICHELLI in memoria di Alberta Buffagni ..................................................................... ” – GENOEFFA, PIERINA, FRANCO, TINA, TERESA VENTURI per Alberta Buffagni ......................... ” – BRUNO FANI per ricordare Aldo Gianotti .............. ” – BRUNO FANI e NORMA BONORI per onorare Norma Cagnoli Magnanini ........................................ ” – ANNA MARIA OLMI .............................................. ” – ELETTA CERVI, figli e nipoti per ricordare Walter Cervi nel 2° anniversario della morte ........................ ” – PIETRO GIANOTTI, figli, nuore e nipoti per onorare Aldo Gianotti ...................................................... ” – ANGELA FERRETTI in memoria del marito Luigi Cantagalli “Fumo” ..................................................... ” – LAILA e MIRIA GROSSI in memoria di Alberta Buffagni ..................................................................... ” – IVAN BEDOGNI ...................................................... ” 50 20 20 30 150 50 50 100 50 50 50 25 40 50 25 200 300 50 50 50 30 50 50 30 30 50 80 30 100 50 25 75 15 15 26 50 200 500 30 10 NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006 - 39 Brescia e Reggio unite nel ricordo del 7 luglio e di Piazza della Loggia 7 luglio 2006. Alcuni aspetti della commemorazione del 46° anniversario dell’eccidio in cui caddero Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri, Afro Tondelli. Anche quest’anno era presente il gonfalone dell’Anpi di Brescia, portato dal prof. Ermanno Redeghieri (bresciano di origine reggiana) in significativo gemellaggio ideale tra l’eccidio di Reggio e la strage di Piazza della Loggia. 40 - NOTIZIARIO ANPI - n. 7 - 2006