Pierre Legendre, Godere del potere, Casa di marrani

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Pierre Legendre, Godere del potere, Casa di marrani
Kaiak. A Philosophical Journey, 1 (2014): Sottosuoli
Pierre Legendre, Godere del potere
Casa di marrani, Gussago 2014
pp. 279
Euro 17
ISBN 978-88-905562-2-7
Il ritorno in traduzione italiana di un volume straordinariamente interessante di Pierre Legendre,
giurista e psicoanalista lacaniano, fornisce l’occasione per tornare a discutere quelli che sono i fondamenti del diritto, a partire da un punto di vista sicuramente eccentrico e radicale.
Legendre, come aveva già fatto nel volume precedente del 1974, L’amour du censeur, parte dal
presupposto secondo cui fin dalle origini il diritto è caratterizzato da una dimensione «estetica», anteriore a qualsiasi formalizzazione: ed è proprio qui, prima dell’affermazione della dimensione giuridica in quanto tale, che si gioca l’avvenire delle istituzioni.
Il testo di Legendre è anteriore alle sue Lezioni ed è quindi privo di quell’ulteriore approfondimento riscontrabile a partire dagli anni ottanta; tuttavia, la sua attualità non può essere facilmente
messa in discussione, soprattutto se pensiamo a come il tema del centralismo di fronte alle richieste
sempre più pressanti di autonomia sia ben presente nelle riflessioni contemporanee sul diritto e sullo
Stato.
Per Legendre le istituzioni si occupano di sofferenza e di godimento e funzionano affinché tutti
ne possano godere, « i senza potere e i padroni, tutti uniti nel qui pro quo del Sovrano inumano,
mangiatore di umani chiunque siano» (p. 26).
In termini lacaniani, dovremmo dire che l’amore per lo Stato sovrano è l’amore per il grande Altro, che non possiamo dominare ma che domina il nostro desiderio. Nello Stato, nella Legge bisogna credere, pena la soppressione del nostro essere-sudditi. Vediamo quindi fin dall’inizio del saggio come l’argomentazione del giurista francese tenda a mettere in discussione qualsiasi idea consolidata del Diritto e a sottolinearne la paradossalità. La riflessione occidentale sul potere e sulla Legge è per Legendre una gigantesca messa in scena in quanto distribuzione del godimento – e va ricordato che la jouissance lacaniana ha in sé qualcosa di mortifero.
Nemmeno la morte tuttavia, in questo contesto, esaurisce la questione del godimento. Perciò,
quando l’autore parla di «manipolazione del senso», dobbiamo intendere tutto questo nel senso di
un considerare i sudditi – o i cittadini incapaci «di intendere e di volere», alla lettera.
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Data di pubblicazione: 01.07.2015
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L’autore arriva a vedere nel messaggio pubblicitario una ripresa della dogmatica giuridica sotto
mentite spoglie, proprio perché gli elementi censurati sono metodicamente recuperati dal linguaggio
pubblicitario delle società industriali. È così che «La nostra burocrazia, in cui l’impresa gerarchica e
lo spirito di proprietà sembrano oltrepassare i risultati ottenuti un tempo sotto l’Ancien Régime, non
sarebbe a tal punto conservatrice e popolare se non disponesse di strumenti sensazionali che permettono di armare i deboli contro i deboli e di stabilire i livelli elevati su una bassura cui dà alimento la
credenza feudalistica secondo cui, democratizzando i privilegi, si livella l’umanità senza distruggere
la divinità dei capi» (p. 53). L’intemporalità della Legge si fonda proprio su questi elementi fantasmatici, non sulla razionalità delle proposizioni come potrebbe sembrare seguendo la lettera dei testi.
Le istituzioni hanno un senso solo nella misura in cui sono una dichiarazione di verità: fino
all’iperbole della dichiarazione di Luigi XIV, «lo Stato sono Io».
Come afferma l’autore, «L’accentrare e il decentrare sono un manipolare le credenze, non così
come capita, ma secondo la grammatica che le comanda. La nostra amministrazione è religiosa in
quanto nazionalistica, cioè in quanto funziona come un sistema di significanti, in rapporto a una
certa religione» (p. 79).
Nella dimensione istituzionale c’è un solo discorso legittimo, e nessuno può farsi avanti a proporre il proprio desiderio. Come afferma l’autore, «di vero c’è solo quel che si crede, e che transita
per il luogo mistico della legge» (p. 91). Certo, questa lettura della legge mette alla berlina, in un
certo senso, secoli di tradizione interpretativa – non parliamo della lettura kelseniana, tra le altre.
Ma v’è di più: secondo Legendre, «La formula trita e ritrita del cosiddetto Stato giacobino, è una
massima politica, di cui occorre sottolineare la stranezza, in quanto i giacobini della I Repubblica,
in un contesto insurrezionale, pensavano d’impadronirsi del potere, proprio come i loro avversari
federati; né gli uni né gli altri avevano una dottrina amministrativa o la minima teoria pro o contro il
centralismo in quanto tale, una constatazione su cui ho già fornito le necessarie precisazioni erudite» (p. 97).
A questo punto si viene inevitabilmente rimandati alla coppia concettuale lacaniana di simbolico
e immaginario: lo Stato ha, per Legendre, una componente immaginaria – oltre un certo limite è
proibito sapere, c’è l’ interdetto a impedirlo.
Il soggetto della Legge
Il soggetto della Legge è il rapporto con il Padrone assoluto. Ma, nei fatti, che cosa significa?
Le situazioni di diritto pubblico sono situazioni di domanda e di adesione immediata: ovvero, di
non-riflessione.
Il diritto ha bisogno di soggetti «irresponsabili», ai quali mostrare senz’altro un volto bonario –
almeno fino a un certo punto – e a cui richiedere amore. Come afferma Legendre, «La passività, politicamente rappresentata da quest’idea di soggetto di diritto della burocrazia, è infatti direttamente
collegata al sistema delle credenze. In definitiva, qui passivo vuol dire essere trasformato in oggetto
di scambio, in maniera radicale, totale» (p. 105).
A questo punto Legendre introduce il tema della riproduzione (asessuata) nelle istituzioni. Proprio qui si esercita il potere dei discorsi arcaici, che così pongono in una forma non brutale i loro
principi.
Di fatto, «La dottrina teocratica è in definitiva la scienza applicata della teologia
dell’incarnazione. Si trattava di spiegare perché l’organizzazione di uno Stato-monarca in fondo costituisca solo un caso di applicazione di un ordine naturale della politica, allo stesso titolo delle
Istituzioni della Chiesa cattolica del ramo latino, interprete di una verità rivelata, inventariata e garantita dal divino fondatore, la cui nascita e presenza tra gli umani rimangono una catena di fatti inspiegabili, soprannaturali e misteriosi» (p. 116).
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Queste riflessioni introducono ad una dimensione superiore – e mistica, nella quale la Parola cessa di essere parola umana, da quando il potere vi transita.
Vedere il fondo del pensiero del sovrano è altrettanto pericoloso che vedere Dio; tutto questo
viene però occultato dalla moderna scienza dell’amministrazione. La presenza del fallo come oggetto del desiderio è sottesa alla macchineria del potere, medievale e moderno: il potere ama i propri
sudditi e sa parlare loro nel linguaggio dell’amore.
Come si può godere del potere in modo lecito? Avvicinarsi al cuore del centralismo significa per
Legendre avvicinarsi al contempo alla dimensione mistica del potere. La mistica del potere spinge il
suddito ad abbandonarsi totalmente al grande Altro, a credergli incondizionatamente: non può essere esercitato lo scetticismo di fronte alla Legge.
C’è un’altra questione centrale che deve farci riflettere: in questo contesto, l’umanità è criminale,
ma lo Stato è salvifico. Il Potere, in un certo senso, frena proprio perché si situa nella dimensione
dell’a-sessualità e della purezza.
Il Diritto come feticcio
Come funziona la credenza nella Legge – e nello Stato?
Legendre sottolinea che «la nostra ragione, l’abbiamo mutuata dal diritto romano, a sua volta
manipolato per tutti gli usi (compreso il miracolo coloniale) dalla Scolastica in poi. In altri termini,
nessun giurista ignora che l’iniziale del diritto è una finzione» (p. 157). Il centralismo si trova dunque oltre e al di fuori dal campo umano, situato, per così dire, in uno spazio mitico.
Per Legendre il diritto amministrativo è legato a testi o rami dimenticati o che appartengono a
periodi ormai sorpassati, e giunge a forme di razionalizzazione a volte bizzarre o, addirittura, al limite del delirio; naturalmente, bisogna pensare il ragionamento dell’autore francese come posto
all’interno di una lettura psicoanalitica del Diritto.
Il servizio sovrano è il servizio della ragione, la quale serve da tappabuchi al non-detto (azzardiamo: al rimosso) del potere. «Misticamente, Stato e diritto sono intercambiabili, significanti del
Testo che tratta e trita indefinitamente l’ideale verità. Attraverso questa topica possiamo vedere come gli Scritti giuridici funzionino come traduzione simultanea del mito, ovvero come ripetizione di
un discorso sacro sul sesso» (p. 161).
Lo stato è l’ideale del senza-sesso: la sua produzione legale si fonda sulla pura teoria, che esclude la sessuazione. Questa purezza non è ordinaria, ed è protetta da un muro di silenzio.
Il luogo dell’ideale è il luogo stesso dello Stato. Giuridicamente, «…là dove lo Stato si inscrive e
l’amministrazione s’instaura si lavora per la salvezza di un’umanità massiccia e indistinta. Lo Stato
ci ama senza incrinature, non fa nient’altro che questo, ci ama; sta dalla parte del Bene, sempre» (p.
165).
Nei testi si nasconde un fantasma che viene sistematicamente rimosso, e di cui non è permesso
parlare. Sta nei sotterranei, non vi si può accedere. I fondamenti del Testo sono censurati e le sue
origini selvagge non sono patenti.
L’interrogativo fondamentale ‘Lo Stato, chi è?’, ci spinge verso la teoria del Sesso – della sessualità –, ma ma con una significativa esclusione delle questioni che riguardano il matrimonio come
istituzione. Rispetto all’Ancien Régime, la moderna amministrazione riformula questi problemi attraverso una crescente razionalizzazione, che però occulta, ma non elimina la questione sessuale. Il
simbolo del Sesso immaginario è sempre mascherato e nessuno lo può vedere direttamente.
L’ideale del senza-sesso comanda lo Stato contemporaneo. Bisognerebbe chiedersi se questo vale ancora nel XXI secolo e, se seguissimo ancora Legendre, potremmo forse dubitarne.
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La Legge come simulacro
La scrittura è una ripetizione della Legge per mezzo di un simulacro.
Quando Legendre ha in mente la «viva voce del diritto», pensa alla tradizione della glossa cattolica. «Scrivere, in questa sacra topica dell’organizzazione, è dire il desiderio di questa Legge. Ridurre la questione alle futili dimensioni delle scartoffie è un’esca» (pp. 171-72).
I cittadini sono soggetti e sintomi del Diritto, ossia, seguendo Lacan, resi santi dalle Istituzioni.
Ma per ottenere questo, come abbiamo visto, lo Stato compie una pia fraus, ovvero ci inganna attraverso delle finzioni.
Lo Stato ignora il posto del desiderio; come afferma Legendre, «Misticamente, nell’ordine delle
credenze, se si presume che non abbiamo scambi con lo Stato amministrativo, se siamo senza commercio umano con quella che si chiama potenza pubblica, questo vuol dire che siamo dei quasimorti, nella posizione tipica di essere degli oggetti» (p. 182).
Qui la relazione con Lacan è ancora più chiara: quello che è in gioco è la relazione con il Significante sovrano, con l’Altro terribile e invisibile che ci domina.
Il Padrone è unico, ed esige l’amore dei propri figli-sudditi – o cittadini, in questo caso.
In forma mistica, l’organizzazione centralistica si sviluppa come padronanza senza fine e il suo
scopo è quello di generare all’infinito dei capi ai quali bisogna credere.
La domanda, ancora una volta, è la seguente: che cos’è l’amore e da dove viene il potere?
Persecuzione
Come avverte Legendre, «Attraverso un meccanismo di identificazioni successive, la tirannide si
procura i mezzi dell’efficienza, cioè scopre una tecnica che la rende accessibile a tutti, se non popolare» (p. 208). È la tecnica amministrativa.
Nelle amministrazioni si fa immediatamente conoscenza con il nemico. Il fanatismo, alla fine,
non riguarda il funzionario in sé, ma procede piuttosto ex officio dalla sua carica, è il suo ruolo che
lo vuole e il ruolo è riconducibile, in ultima analisi, a un testo.
La constatazione di Legendre è molto netta: è la menzogna a legarci allo Stato e all’ideale della
Legge. Legato a questa affermazione, si presenta un punto cruciale: «Questi famosi sudditi sono per
l’amministrazione quello che generalmente sono nei confronti della finzione istituzionale: come cadaveri. Entriamo nelle amministrazioni come a teatro (il teatro, come lo concepisce per noi lo Stato
centralista): per vedere, non per toccare, ma per vedere» (p. 218).
Non si aspira ad altro, con l’amministrazione, che allo spettacolo, alla messa in scena.
Il conflitto, la persecuzione si costruiscono dunque intorno alla Legge: non si può attentare alla
gerarchia, non si possono negare i capi.
Ma c’è di più: «nella grammatica della Legge maneggiata dai giuristi, la fiscalità applicata agli
accordi conclusi dalle amministrazioni pubbliche solleva questioni tecniche, attraverso le quali si
può discernere con grande chiarezza il carattere fino a quel momento inaccettabile di qualsiasi allentamento dello Stato centralista» (p. 222).
Che cosa intende qui sottolineare l’autore? Che l’amministrazione, di fatto, procede a una sorta
di exactio, di esazione – di truffa.
I sudditi-cittadini vengono corrisposti nella loro domanda d’amore ricoprendoli di capi e funzionari-controllori. Una pratica oscurantista da Ancien Régime.
Come precisa Legendre, «La crudeltà di questo rapporto di scambio, di cui misconosciamo sapientemente i termini perché il confronto diretto con il desiderio del potere immaginario provocherebbe il panico, compare in ogni circostanza nell’amministrazione, persino nelle minime occasioni
di messa in questione del principio d’autorità» (p. 229).
La psicoanalisi non può rovesciare questo meccanismo, però può aiutare a comprenderlo.
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Per esempio, far notare che il pubblico potrebbe porre in questione il meccanismo burocratico
nominandolo, cosa che non viene fatta.
Il paziente-cittadino è incollato all’ideale e non se ne può staccare, non vedendo mai la libertà.
Il potere ha a che fare con la conquista – o riconquista – del luogo del desiderio. Anche per questo, le istituzioni sono conservatrici. Cos’è l’interdetto? L’interdizione è una misura di protezione,
per difendere sé stessi da persone considerate incapaci. La linea del testo è sorvegliata dal lavoro
dei tecnocrati.
Di nuovo, miti e menzogne
Questo testo del 1976 riceve sicuramente un’interpretazione più corretta se letto alla luce del
successivo Della società come testo, del 2001 e pubblicato in Italia nel 2005, a cura di Paolo Héritier.
Il saggio più recente è come una summa del pensiero di Legendre e insiste su alcuni punti centrali della sua riflessione sul Diritto, il desiderio e la testualità. Per esempio, egli afferma che «…la civiltà del diritto civile cristianizzato al modo occidentale, poi laicizzato, non deroga alla logica della
struttura che spinge, attraverso le proprie vie, l’etnologia fatta per studiare le società di tradizione
non europea, senza nondimeno avventurarsi fino a mettere allo scoperto le nostre concatenazioni
istituzionali»1.
Qui appare con evidenza come il fondamento rimosso del Diritto abbia a che fare col corpo e col
desiderio.
Il problema è quello dell’istituzione della vita (vitam instituere): là dove prendono forma i grandi
drammi soggettivi, dove il soggetto fa l’esperienza del proprio limite. Come osserva ancora Legendre, «Il limite, così inteso nella prospettiva della rappresentazione, conduce a considerare
l’istituzione monetaria [ma questo vale per ogni istituzione, Ndr.] sotto l’aspetto dogmatico, permettendo di cogliere la natura normativa del mercato»2.
Nel volume del 2005 appaiono con maggiore chiarezza i tratti estetici rilevati dall’autore nella
dogmatica giuridica. Il passaggio emblema-immagine è qui centrale. Come lo stadio lacaniano dello
specchio, a cui Legendre si riferisce costantemente nella definizione del soggetto del Diritto. La società occidentale ha dimenticato il limite, e cerca di nascondere costantemente questa rimozione non
dandole peso.
Per tutti questi motivi, la riedizione del saggio di Legendre del 1976 è tutt’altro che “Fuoritempo”; anzi, mostra l’attualità stringente di una critica giuridica e psicoanalitica insieme che faccia
vedere l’al di là del Diritto, o meglio i suoi fondamenti.
Il Testo giuridico racchiude la totalità della tradizione mitologica occidentale; e nella sua esegesi
si gioca ancora il destino dell’identità dell’uomo. Certo, in questa visione così particolare del Diritto
siamo molto lontani dal positivismo giuridico e dalla sociologia del XX secolo, e Legendre è stato
molto criticato per questo. Ma senza dubbio ci avviciniamo alla comprensione dei fantasmi che agitano il mondo delle istituzioni umane.
In fondo, in quanto cittadini, non siamo mai usciti dallo stato di minorità: anzi, il Potere ci vuole
così, docili e inconsapevoli. La politica è una forma di pastorale, e cura le sue greggi con metodi
ancestrali, pretendendo l’obbedienza incondizionata. Le forme in cui si esercita il potere sono sempre arcaiche, anche nelle nostre società digitali. La sostanza non cambia.
E le forme di esercizio del potere hanno sempre a che fare con meccanismi identitari, e perciò
immaginari, come ha spiegato Lacan. Lo stesso suddito è chiamato a inocularsi da sé la Legge, per
purificarsi.
1
P. Legendre, Della società come testo. Lineamenti di un’Antropologia dogmatica, a cura di P. Héritier, Giappichelli,
Torino 2005, p. 83.
2
Ivi, p. 111.
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Data di pubblicazione: 01.07.2015
Kaiak. A Philosophical Journey, 1 (2014): Sottosuoli
Non possiamo pensare, dunque, di vivere fuori dalla tradizione del Diritto romano, anche se il
contesto attuale sembra oramai aver abbandonato ogni legame con quelle formulazioni.
Il Corpus del Diritto è un totem al quale dobbiamo obbedienza e amore, e non possiamo sottrarci
alla sua auctoritas: le nebbie della burocrazia e i veli delle procedure del diritto internazionale non
possono cancellare questa verità. E, come abbiamo visto, la dimensione primaria di questo rapporto
con la Legge è teatrale, estetica.
L’interesse per la riedizione del saggio di Legendre sta, a nostro avviso, nella radicalità delle sue
tesi sui fondamenti del Diritto e nella capacità di applicare alcune categorie lacaniane (godimento,
alterità, relazione tra reale, simbolico e immaginario) al rapporto tra potere politico e cittadini mostrando come tale rapporto sia, in forma perversa, un «rapporto d’amore». Tale rivisitazione della
tradizione occidentale permette di mettere in discussione molte certezze acquisite della filosofia del
diritto ma anche, più in generale, della sociologia della cultura. I «sottosuoli del diritto» aprono prospettive inquietanti sull’istituzione dell’umanità in Occidente.
Jean-Claude Lévêque
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Data di pubblicazione: 01.07.2015