Consulenza in ascolto delle Pmi
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Consulenza in ascolto delle Pmi
MERCATI CONSULTING FIRM. 2011 in ripresa, ma la domanda è cambiata radicalmente Consulenza in ascolto delle Pmi Il futuro del settore dipende dalla capacità di rispondere alle criticità delle imprese: sottocapitalizzazione, recupero di efficienza interna, fusioni, internazionalizzazione N on c’è dubbio: il ruolo del management consulting negli ultimi vent’anni ha subito una fortissima evoluzione. Allora si sentiva ripetere ossessivamente la frase, attribuita a Peter Drucker (ma lui ne ha sempre negato la paternità), che “un consulente si fa pagare per dirti che ore sono e per risponderti ti chiede in prestito l’orologio”. Insomma, un esperto, chiamato nelle aziende preferibilmente per fare i lavori sporchi che né l’imprenditore né il management vogliono gestire in prima persona (di solito le ristrutturazioni con taglio di personale), non sempre portatore di know how e competenze. Ma nel frattempo il mondo è cambiato. È esplosa l’azienda, che non è più chiusa in se stessa, nel bene e nel male. La globalizzazione ha scompaginato equilibri immutabili, l’organizzazione aziendale si è orribilmente complicata, le competenze da mettere in campo sono diventate vastissime, sempre più difficili da “gestire in casa”. E, naturalmente, è arrivato Dilbert, il cattivissimo fumetto aziendalista di Scott Adams, che ha dato la nuova definizione “assoluta” del consulente, per gli imprenditori l’unico credibile, “perché non è così tonto da lavorare come dipendente in azienda”. Sarcasmo, certo, ma con un implicito riconoscimento di un ruolo essenziale, quello di avere un punto di vista diverso. Detto questo, i consulenti hanno subito come tutti gli effetti dello tsnuami finanziario 2008/2009 con un consistente calo dei fatturati e una forte contrazione dei mercati di riferimento. Il 2011, a livello internazionale, dovrebbe essere l’anno della riscossa. Ma su che cosa puntano le grandi consulting firm globali per sedurre il mercato? Boston Consulting Group, che dallo scorso novembre apre il suo sito .com con un documento intitolato What’s New for Alternative Energy? (La sai l’ultima sulle energie alternative?) che parte proprio dalla considerazione che l’enorme interesse dimostrato verso l’argomento sarebbe sul punto di tradursi in sviluppo economico. La McKinsey, dal canto suo, dopo aver aperto il sito per tutto il 2010 con una serie di articoli su Che cosa rimpiazzerà il petrolio, e quando? centrato sul tema dei biocarburanti, quest’anno punta su un tema altrettanto green, Quanto grandi possono diventare le città?. A fine gennaio Accenture ha diffuso lo studio “Nuove tendenze nello sviluppo: liberare le opportunità nel mondo multipolare” che lega la crescita delle nazioni nei prossimi 10 anni a quattro fattori chiave: 1) l’economia “d’argento” (sviluppo di servizi per una popolazione sempre più vecchia); 2) l’integrazione multitech (l’accesso a internet disponibile ad almeno metà della popolazione mondiale); 3) l’impeto dei mercati emergenti (Bric e non solo); 4) la gestione delle risorse naturali e lo sviluppo della green economy. Alla fine dell’anno scorso, la A.T. Kearney ha pubblicato “Sustainibility: a product life cicle approach”, manifesto per la trasformazione dei processi industriali in chiave sostenibile come fattore di successo per i prodotti di consumo e “Green Winners”, l’importanza del fattore sostenibilità per le aziende che hanno saputo superare la crisi. Ce n’è abbastanza, insomma, per sospettare che non si tratti di una moda passeggera ma di una leva robusta che la consulenza intende utilizzare per recuperare fette di mercato erose dalla crisi. Questo il quadro a livello internazionale. E in Italia? Green economy, il driver principale La consulenza è un fenomeno bizzarro. Perché un tessuto industriale fatto di microimprese come in Italia, con pochi manager “organici” e salariati, dovrebbe avere nei consulenti esterni un vero e proprio pilastro fondamentale. Invece no. Continuiamo a essere il fanalino di coda fra i Paesi dell’Unione Europea come fatturato della consulenza in rapporto al Pil. E, a quanto pare, il nostro governo partico- A giudicare dalle home page dei siti delle major, il 2011, già prima dello tsunami giapponese e dei guai con le centrali nucleari che ne sono derivate, era stato “eletto” l’anno della green economy. Fonti rinnovabili, biocarburanti, architettura sostenibile dovrebbero essere i nuovi fronti dell’economia post crisi del prossimo decennio: parola di 20 L’impresa n°4/2011 L’incertezza che spezza le gambe mercati L’impresa n°4/2011 21 mercati larmente duro d’orecchio con i suggerimenti delle grandi case di consulenza. A dimostrarlo, per esempio, il decreto Romani dello scorso marzo che sembrerebbe aver messo fine agli incentivi per le energie rinnovabili. Ma è proprio così? A mettere in guardia da conclusioni affrettate è proprio un consulente, Giampaolo Attanasio, associated partner di Kpmg advisory, esperto di aspetti energetici (più del 50% del fatturato della sua business unit deriva proprio dallo sviluppo e dalla gestione di progetti legati alle rinnovabili): «Il fatto è che gli incentivi italiani avevano finito per diventare poco sostenibili. Negli ultimi anni si era fatto un po’ troppo per incentivare il fotovoltaico, che fra il 2007 e il 2010 ha avuto uno sviluppo molto più elevato del previsto. Non bisogna dimenticare che in Germania, il Paese dove il fotovoltaico ha la maggior diffusione al mondo, gli incentivi ci sono da circa vent’anni e sono circa la metà di quelli che c’erano in Italia. Dunque non si può dire che non fosse giusta una revisione. Altro è dire, giustamente, che non si può cancellare tutto e basta. Le banche estere hanno detto al governo che in un quadro d’incertezza di questo tipo non finanzieranno più, non solo le rinnovabili, ma nessun tipo d’intervento infrastrutturale in Italia. È un rischio grave. Bisogna ridefinire al più presto un quadro certo di incentivi più sostenibili e se possibile non toccarlo più. Per investimenti a lungo termine come quelli energetici conta più la certezza che l’entità dell’incentivo». Insomma, nessuna volontà del mercato di fare a meno di un settore così promettente, ma è l’incertezza che può rivelarsi fatale. Aziende molto prudenti Michele Bianchi, amministratore delegato di Jmac Italia, la più importante società di consulenza giapponese presente in Europa, spiega che già 15 anni fa la sua azienda ha iniziato a sviluppare in Italia progetti di eco design, eco procurement ed eco manufacturing. Ma mentre questi temi in Giappone hanno avuto un forte sviluppo, da noi le cose sono andate diversamente. «Evidentemente siamo arrivati in anticipo sui tempi. Nei prossimi anni la situazione potrebbe cambiare, ma in realtà il vero driver del nostro lavoro è la riduzione dei costi. La media impresa italiana non è molto sensibile ai temi di comunicazione, guarda al valore senza tanti fronzoli: l’ambiente non è ancora vissuto come un investimento che porta a un ritorno certo. Per noi gli ultimi mesi del 2010 hanno già visto un po’ di ripresa. Credo che i problemi abbiano toccato soprattutto chi lavora prevalentemente con le grandi aziende, dove Necessario adeguarsi al nuovo scenario L’opinione di Ezio Lattanzio, presidente di Assoconsult Il mercato della consulenza in Italia? Fotografato per la prima volta l’anno scorso da Assoconsult (l’associazione delle consulting firm italiane aderente a Confindustria) e dall’Università di Tor Vergata ha rivelato un fatturato di 3,5 miliardi (2009) pari allo 0,25% del Pil (contro una media Ue dello 0,38%) diviso per 13.400 aziende (l’85% con meno di tre addetti). Fatturato medio per consulente di 80 mila euro, la metà della media europea. Il 28 giugno, a Roma, nella sede di Confindustria si terranno gli Stati generali della consulenza, in cui verranno presentati i dati di settore 2010 e le previsioni per il 2011. Ma nel frattempo quali sono le prospettive? Ezio Lattanzio, partner di Lattanzio e Associati, presidente Ezio Lattanzio di Assoconsult non vuole anticipare i risultati della rilevazione in corso, ma ricorda che nel 2009 la contrazione del fatturato era stata del 5%, la previsione per il 2010 era ancora di un calo dell’1%. Il 2011 potrebbe vedere il ritorno di un segno positivo. «Il settore − spiega Lattanzio − ha complessivamente tenuto, assestandosi sui valori del 2007, subendo meno di altri gli effetti della crisi. Ma questa considerazione non coglie le criticità: le imprese di consulenza erano abituate a uno scenario di continua crescita, con incrementi annuali a due cifre, scenario sul quale avevano basato (o non costruito) le loro strategie di sviluppo. I valori medi del mercato (-6% in due anni) riassumono realtà molto diversificate con imprese che hanno visto cali del 60% e altre una crescita del 20%. Nel frattempo, la domanda di consulenza è cambiata radicalmente sotto tutti i punti di vista: contenuti dei progetti, attenzione al prezzo, selezione in base alle competenze specialistiche. Il tema dei prossimi anni, a fronte di un quadro di stabilità dei volumi, sarà il comportamento delle aziende di consulenza rispetto alle problematiche tipiche di tutte le imprese italiane: sottocapitalizzazione, recupero di efficienza interna, fusioni tra diversi operatori, internazionalizzazione». Insomma, il mercato passa di lì. L’impresa n°4/2011 23 mercati sull’onda della crisi sono stati tagliati o congelati anche investimenti strategici. Adesso stanno ripartendo, ma in maniera molto selettiva. Nel frattempo la competizione fra consulenti si è fatta più forte, e non solo sulla leva del prezzo…». Insomma, prima di guardare al green le aziende vogliono assicurarsi di non restare al verde, come sottolinea Antonio Angioni, direttore generale della filiale italiana di Right Management (opera nella gestione strategica delle risorse umane, è presente in 50 Paesi): «Le aziende che ricorrono a un consulente affrontano spese da cui vogliono un ritorno. Può sembrare banale ma non lo è. In Italia c’è una scarsa propensione a gestire in maniera strategica le risorse umane, dunque rivolgersi a un consulente per farlo non è scontato. Dal canto loro, le società di consulenza spesso cercano di imporre dei modelli. Gli imprenditori questo non lo capiscono: c’è un fondamentale problema di linguaggio. Non ci si può rivolgere nello stesso modo alle piccole, medie e grandi imprese. Per ognuna bisogna essere capaci di evidenziare le opportunità. Le società di consulenza vincenti sono quelle che sanno interpretare non solo i trend, ma anche i bisogni veri delle aziende. Non si esce da un mercato stagnante senza innovazione e una forte capacità di mettersi in discussione che per i consulenti si concretizza in una sola attività: lo studio. Gli imprenditori italiani sono stanchi di sentirsi proporre vecchie soluzioni in un contesto che è completamente cambiato. La ripresa aiuterà le aziende capaci di individuare le idee migliori e di usare la crisi come occasione per riorganizzarsi». Largo alle new entry Dunque anche la segmentazione del mercato ha un forte significato, che lascia spazi a consulting firm “piccole e nuove”, come afferma Alessandro Poggi, amministratore delegato di Intelligenze (sei i soci, due i business partner, Alessandro Nicodemi il fondatore), nata all’inizio del 2010 con un obiettivo preciso: «Prenderci carico di tutte le necessità che può avere un’impresa. Siamo tutti ex manager di diverse aree aziendali e abbiamo ben chiari i bisogni e gli interventi funzionali necessari per ogni area di staff. Abbiamo deciso di partire nel mezzo della crisi perché crediamo che per le Pmi italiane questa sia soprattutto un fatto di organizzazione. Le piccole imprese spesso lo sanno, ma sono restie a investire sul- la major, frenati da costi e tempi dei progetti. Per noi la crisi è stata un’opportunità. Certo, bisogna anche credere in quello che si fa, se no non si può essere credibili con i clienti. Ma lo spazio c’è, stiamo constatando che il mercato risponde». n Giovanni Medioli I trend settore per settore a cura di Assoconsult Pubblica amministrazione. La carenza di risorse finanziarie obbliga la Pa a tagliare. Questa necessità riduce la possibilità di investire in supporto al cambiamento. I tagli sulla consulenza non sono selettivi: si riduce la dimensione della spesa, non se ne migliora la qualità. In prospettiva la consulenza deve giocare sempre più la propria credibilità sulla resa di risultati concreti e tangibili. È necessario un migliore dialogo tra domanda e offerta nella fase precompetitiva, proprio per aiutare l’attuazione di questo processo. Consulenza alle Pmi. Sta avvenendo un sostanziale cambiamento nella modalità di remunerazione dei servizi; è infatti in corso un passaggio dal compenso a giornata o pacchetto al success fee. Responsabilità degli amministratori. Nell’ambito delle Pmi, Assoconsult sta lavorando a un progetto per la realizzazione delle linee guida per l’implementazione dei modelli organizzativi conformi alla nuova legge sulla responsabilità legale degli amministratori, anche in tema di sicurezza e qualità. Internazionalizzazione. A causa della crisi, oggi anche le società di consulenza di medie dimensioni si pongono il problema dell’internazionalizzazione come attività di vendita dei loro servizi all’estero, per esempio alle Pa degli Stati emergenti. Assoconsult ha avviato dei gruppi di lavoro per sviluppare progetti di missioni all’estero in accordo con Confindustria. Sicurezza. Il tema della sicurezza risulta un peso per le imprese sia dal punto di vista economico che operativo Le iniziative da avviare, per le imprese di consulenza, sono lo sviluppo di nuovi sistemi di gestione, la semplificazione della documentazione e in particolare del documento di valutazione rischi, il miglioramento dell’accessibilità, fruizione e aggiornamento delle informazioni, l’integrazione dei modelli organizzativi. Qualità. In tema di qualità emerge la questione dei conflitti d’interesse tra società di consulenza e organismi di certificazione all’interno del nuovo ente unico Accredia. Un tema squisitamente burocratico. L’obiettivo delle associate è invece cercare di operare in un mercato dove le regole siano chiare, portando valore aggiunto ai clienti. Green Economy. Le imprese della consulenza offrono un contributo all’innovazione nella direzione dello sviluppo sostenibile, rafforzato dal fatto che spesso realizzano anche attività di progettazione e sviluppo progettuale insieme ai clienti. Le imprese di Assoconsult rifiutano la tentazione di essere coinvolte, grazie all’utilizzo delle loro competenze, in interventi di green washing, che strumentalizzino a fini di marketing valenze ambientali spesso non rispondenti al vero. L’impresa n°4/2011 25