Ritiro della patente ad autista e gmo Parere professionale
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Ritiro della patente ad autista e gmo Parere professionale
Massimo Mutti - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parere professionale Parere del legale Ritiro della patente ad autista e gmo Carlo Fossati - Studio Legale Ichino Brugnatelli e Associati Mara Russo - Studio Legale Ichino Brugnatelli e Associati Sovente, soprattutto nelle aziende che si occupano di logistica e trasporti, l’imprenditore si trova a dover fronteggiare situazioni in cui il proprio dipendente perda, a causa di un provvedimento dell’Autorità (il c.d. factum principis), un requisito amministrativo indispensabile per lo svolgimento delle proprie mansioni. Ci riferiamo, in particolare, a quei casi in cui provvedimenti di natura amministrativa incidono sul rapporto di lavoro quali, a titolo meramente esemplificativo, il ritiro della patente di guida all’autista, del porto d’armi a una guardia giurata, ovvero del tesserino di ingresso agli spazi aeroportuali rilasciato dalle autorità doganali al doganiere. In questo contesto, tratteremo in particolare il caso del ritiro della patente di guida da parte della Prefettura a una risorsa adibita a mansioni di autista. Soluzioni per l’azienda Nello specifico, si tratta di comprendere e delineare le soluzioni pratiche che consentano all’azienda, nel pieno rispetto delle vigenti normative, di contenere il più possibile il danno organizzativo che la fattispecie sopra descritta finisce con il generare, sia per quel che concerne le problematiche organizzative e funzionali, sia per quel che riguarda gli aspetti economico/finanziari connessi con il mantenimento in servizio di una figura, provvisoriamente o definitivamente impossibilitata allo svolgimento della propria originaria mansione e, in ogni caso, non idonea a produrre redditualità sostenibile per l’impresa datrice. Nella disamina si dovrà, pertanto, tenere conto della nozione di impossibilità sopravvenuta allo svolgimento della prestazione lavorativa e delle conseguenze pratiche che da essa derivano sui contraenti. Conviene, innanzitutto, premettere che le ipotesi al vaglio rientrano - di fatto - nella sfera soggettiva del prestatore a cui vengono paralizzate - in via temporanea e definitiva - la capacità operativa e la possibilità di adempiere alle obbligazioni contrattualmente previste al momento dell’assunzione. Salvo i casi in cui la perdita del requisito amministrativo non costituisca conseguenza di condotte riconducibili a fattispecie più gravi, connesse in modo diretto con il grave inadempimento delle obbligazioni e il negligente svolgimento delle prestazioni lavorative (ipotesi queste che potrebbero condurre a recesso immediato dal rapporto di lavoro per giusta causa o giustificato motivo soggettivo), normalmente - come vedremo - tale presupposto sarà idoneo a legittimare la risoluzione del contratto di lavoro solo per giustificato motivo oggettivo. Orientamento giurisprudenziale Il tema è stato più volte affrontato dalla giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, la quale ha costantemente statuito sulle tematiche oggi in esame. Nello specifico, si è ormai pacificamente affermato l’orientamento secondo cui i casi di perdita del possesso di titoli o abilitazioni necessari per l’espletamento della prestazione dedotta in contratto siano configurabili come cause di impossibilità parziale alla prestazione lavorativa le cui conseguenze, mediante l’applicazione del combinato disposto degli artt. 1464 c.c. e 3, legge n. 604/1966, sarebbero, come detto, idonee a configurare l’ipotesi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Più in particolare, le Corti hanno univocamente statuito che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo si realizza per ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa, ovvero a fatti che prescindono dalla condotta del lavoratore all’interno del rapporto di lavoro (tra le altre, Cass. n. 12719/1998, oppure Trib. Brindisi n. 4931/2012). Tale pacifico orientamento giurisprudenziale ha trovato ulteriore conferma nella circolare del Ministero del lavoro n. 3/2013 con la quale, nel delineare le ipotesi di licenziamento per cui è obbligatoria la procedura di conciliazione introdotta dall’allora neo entrata in vigore legge n. 92/2012, si è espressamente affermato che anche il caso del lavoratore autista a cui viene ritirata la patente di guida possa configurare un’ipotesi di giustificato motivo oggettivo di licenziamento. Guida alle Paghe 160 3/2017 Massimo Mutti - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parere professionale Parere del legale Requisiti per un licenziamento legittimo Quanto sin qui espresso, tuttavia, è riduttivo e costituisce esclusivamente l’anticipazione teorica delle soluzioni effettivamente adottabili dall’impresa al verificarsi di situazioni simili a quelle oggi trattate. Infatti, per poter procedere a una valida risoluzione del rapporto per motivi oggettivi (economici, organizzativi, tecnici e produttivi) che trovi la propria ragione scatenante nel ritiro della patente, non si potrà comunque prescindere dalla corretta applicazione delle regole standardizzate dalla dottrina e dalla giurisprudenza che prevedono un’analitica indagine delle soluzioni percorribili utili alla salvaguardia del posto di lavoro del dipendente. In altri termini, affinché un simile licenziamento si consideri legittimo, oltre che fondato, è necessario che il datore di lavoro dia dimostrazione sia delle ragioni di carattere tecnico-produttivo che rendono impossibile attendere la rimozione del temporaneo impedimento allo svolgimento delle mansioni contrattualmente pattuite, sia delle motivazioni ostative a un reimpiego del dipendente in altra collocazione. In tal senso il vaglio del giudice - cui è inibita qualsiasi valutazione in merito alla opportunità delle scelte imprenditoriali dell’azienda - si traduce nella verifica circa l’attinenza tra il giustificato motivo oggettivo e la cessazione del rapporto di lavoro e, quindi, sul fatto che il licenziamento fosse inevitabile. Su questa linea sono le disposizioni dell’art. 30 (Clausole generali e certificazione del contratto di lavoro), c. 1, legge n. 183/2010 secondo cui: fattispecie trattata e, inoltre, dopo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la medesima azienda dovrà comunque astenersi dall’effettuare nuove assunzioni nel ruolo che avrebbe potuto essere affidato al lavoratore licenziato per perdita della patente. Obbligo di repêchage «va riferito limitatamente alle attitudini ed alla formazione di cui il lavoratore è dotato al momento del licenziamento con esclusione dell’obbligo del datore di lavoro a fornire tale lavoratore di un’ulteriore o diversa formazione per salvaguardare il suo posto di lavoro» (Cass. n. 5963/2013). Posto che, nel quadro sopra esposto, si inserisce anche il caso (oggi in esame) di sopraggiunta inidoneità del lavoratore alle sue mansioni, il datore di lavoro prima di procedere al licenziamento del dipendente a cui è stata ritirata la patente, dovrà tentare di ricollocare lo stesso all’interno dell’azienda per lo svolgimento di attività anche solo astrattamente compatibili con le capacità professionali teoriche dallo stesso potenzialmente esprimibili. Vale la pena di sottolineare che al dipendente in esubero dovranno essere offerte solo posizioni esistenti in azienda e “libere” - nel senso di non occupate - al momento del licenziamento o immediatamente prima o dopo. Nessuno può, infatti, imporre all’azienda di modificare il proprio assetto organizzativo per fare posto al dipendente in esubero. Paradigmatica, a tal proposito, è la fattispecie del licenziamento del lavoratore per sopraggiunta inidoneità fisica in cui il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è privo di fondatezza nel caso in cui lo stesso possa essere validamente adibito allo svolgimento di mansioni differenti e/o inferiori con diritto alla conservazione della retribuzione fino a quel momento percepita. Va, qui, ancora ricordato che dopo la riformulazione dell’art. 2103 c.c. prevista dall’art. 3 del D.Lgs. n. 81/2015, il legislatore ha, di fatto, introdotto una sorta di repêchage “allargato”. Ai sensi del neo riformato art. 2103 c.c., infatti, il lavoratore può essere - al ricorrere di determinati presupposti legittimamente adibito anche a mansioni inferiori rispetto a quelle precedentemente svolte. Ciò se da una parte costituisce un grande - e a nostro avviso doveroso - passo avanti nel senso della flessibilizzazione dell’impiego di personale da parte del datore di lavoro, dall’altra obbliga quest’ultimo ad adempimenti e verifiche più “strette” di quelle cui ci eravamo abituati nell’epoca pre-Jobs Act. Giova qui riportare, in particolare, il testo del 6° comma della disposizione in oggetto: L’onere probatorio a carico del datore di lavoro «deve essere contenuto nell’ambito delle circostanze di fatto e di luogo reali» (Cass. n. 7720/2003) che contraddistinguono la «Nelle sedi di cui all’articolo 2113, ultimo comma, o avanti alle commissioni di certificazione di cui all’articolo 76 del decreto legislativo n. 10 settembre 2003, n. 276, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, del livello «il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell’ordinamento, all’accertamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro o al committente». Il datore di lavoro dovrà giustificare la propria decisione, ossia il cosiddetto motivo oggettivo, e addurre prove sull’impossibilità di ricollocare validamente il lavoratore all’interno dell’azienda: si tratta del cosiddetto obbligo di repêchage, che Guida alle Paghe 3/2017 161 Massimo Mutti - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Parere professionale Parere del legale di inquadramento e della relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita». Come poc’anzi accennato, la portata innovativa di tale previsione normativa deve individuarsi nella possibilità da parte del datore di lavoro di variare in pejus le mansioni originariamente pattuite con conseguente restringimento delle possibilità di procedere a una valida risoluzione del rapporto senza aver prima attentamente vagliato tutte le effettive possibilità ricollocative endoaziendali volte a tutelare la continuità occupazionale del licenziando. Previsioni dei Ccnl Le ipotesi sin qui vagliate devono, in ogni caso, tenere conto di quanto previsto dai contratti collettivi di settore in caso di ritiro di patente di guida. A titolo esemplificativo, l’art. 43 del Ccnl per i dipendenti da imprese di autotrasporto merci, logistica e spedizioni prescrive quanto segue: «il socio lavoratore o il lavoratore dipendente che, per qualsiasi motivo diverso dalla tossicodipendenza e alcolismo, si veda ritirata la patente di guida e fosse perciò impossibilitato a svolgere la propria mansione, potrà essere destinato ad altri incarichi e, conseguentemente, percepirà la retribuzione equivalente al livello lavorativo nel quale verrà occupato o usufruirà di un periodo di aspettativa non retribuita durante il quale non decorrerà l’anzianità di servizio. L’impresa o la cooperativa dovrà ricollocare il socio o il lavoratore dipendente al livello occupazionale ricoperto precedentemente al ritiro della patente entro 30 gg. dal termine della causa della sanzione. Il mancato assenso del socio lavoratore o del lavoratore dipendente, quando opposto senza giustificato motivo oggettivo, al trattamento di cui sopra, comporterà l’immediata risoluzione del rapporto di lavoro. Restano salvi i diritti già acquisiti dal lavoratore, quali il Tfr, prima del ritiro della patente». Conclusioni In conclusione, fatte salve le eventuali eccezioni previste dalla contrattazione collettiva, il datore di lavoro non potrà procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo del dipendente adibito a mansioni di autista privato della patente di guida, senza aver attentamente vagliato ogni ipotesi di repêchage al proprio interno e, quindi, aver tentato di adibirlo allo svolgimento di mansioni amministrative, logistiche o semplicemente operative, compatibili con il suo grado di istruzione e con la formazione professionale teorica del medesimo. Fatto ciò, soltanto l’effettiva e dimostrabile assenza di valide alternative o l’eventuale rifiuto posto dal lavoratore a una valida ricollocazione ai sensi del novellato art. 2103 c.c. potrà definitivamente legittimare il recesso per giustificato motivo oggettivo, liberando l’azienda da qualunque conseguenza sanzionatoria connessa con l’illegittimo recesso. Guida alle Paghe 162 3/2017