347 I cinque colori dellíinchiostro :Layout 1
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n° 347 - ottobre 2010 © Tutti i diritti sono riservati Fondazione Internazionale Menarini - è vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it I cinque colori dell’inchiostro L’antica tecnica orientale che traduce su carta lo stato di immedesimazione zen attraverso l’immediatezza di una pennellata fluida e controllata Un’espressione orientale rivela che “ci sono cinque colori nell’inchiostro”, quest’affermazione spiega l’apparente negazione dei colori nella tradizione pittorica in Cina e più in generale in Oriente dove si cerca di cogliere quegli aspetti che trascendono le esteriorità formali e quindi anche quelle cromatiche. È un metodo pittorico, si chiama suibokuga o sumi-e, che nasce in Cina tra il 618 e il 907 insieme ai materiali utilizzati: la carta, il pennello, la pietra per stemperare l’inchiostro e la china stessa fatta con la fuliggine di pino; successivamente, nel XIV secolo, viene introdotto in Giappone tramite alcuni monaci zen acquistando vigore fino a raggiungere il massimo splendore nel XVI secolo. In Cina si sono create due correnti del suibokuga: la scuola hokuga (pittura del Nord) che riflette la rigidità del clima e la severità del paesaggio della Cina settentrionale e che si distingue per la pennellata forte e vigorosa e la scuola nanga (pittura del Sud) che interpreta invece le caratteristiche della Cina meridionale dove la luce solare e il clima umido, che rendono le pianure rigogliose di verde, danno luogo a una pittura più delicata e ricca di chiaroscuri. In Giappone il grande successo si lega in particolare alla corrente nanga, probabilmente per la similitudine del paesaggio giapponese con quello della Cina meridionale. Il suibokuga è l’arte della pittura a inchiostro di china, dapprima usato puro e in seguito diluito con l’acqua così da stemperare il nero assoluto nelle tonalità di grigio capaci di restituire sulla carta le sensazioni dei colori. Gli artisti orientali hanno cercato, attraverso la disciplina che regola questa forma di pittura, di avvicinarsi a ciò che resta inesprimibile, i colori appaiono eliminati, ma in realtà viene espressa l’essenza nascosta della natura attraverso la varietà di grigi compresi tra il bianco e il nero. Come accade nella fotografia in bianco e nero anche in questo caso l’attrattiva è data proprio dai colori mancanti. Nonostante che il parlare della pittura monocromatica a inchiostro, lasci intendere una pittura in nero, il vero protagonista, in realtà, è il bianco. Il bianco presente all’inizio nella carta vuota è l’universo, che in seguito resta leggi- Ike Taiga: Meravigliosi scenari di Mutsu bile negli spazi attorno ai segni tracciati a rappresentare le forme materiali che vi appaiono e scompaiono incessantemente. Il vuoto non fa paura e perciò il foglio non viene necessariamente riempito, ma anzi l’impegno si sposta nell’armonizzare i pieni dipinti a china e gli spazi bianchi, che assumono il valore di una pausa silenziosa della parte disegnata. I tratti neri servono per rendere visibile la figura esistente nel bianco dello sfondo, ma è lo spazio bianco che dà armonia alle forme emerse, un po’ come succede tra la statua scolpita e il materiale del marmo: lo scultore vede l’immagine della figura che intende scolpire già nel blocco di marmo iniziale esattamente come l’artista suibokuga o sumie la vede nella carta bianca. Attraverso la delicatezza del chiaroscuro dell’inchiostro, si rende visibile la tridimensionalità, la pro- pag. 2 spettiva, il movimento e l’energia vitale, si rivela l’indefinibile, mentre l’espressività e l’armonia sono ottenute attraverso le combinazioni e i cambiamenti di forza e di velocità impressi al pennello nel tracciare i segni. Ma è un’arte che va anche oltre, emancipandosi oltre i concetti di colore, di astratto e figurativo, diventa espressione della personalità e riflesso dell’animo dell’artista; legata ai rigori delle correnti religiose zen, fa propri alcuni concetti determinanti come la nozione del vuoto e l’immedesimazione con la natura. Lo spirito che sta alla base non è quello di riprodurre la realtà, ma di avvicinarsi a una forma per rivelarne l’essenza, in cerca dell’anima delle cose. Il supporto bianco diventa il campo di battaglia per un’arte che, al pari di quella della spada, porta l’artistasamurai in cerca dei propri limiti: si vuole cogliere lo spirito del soggetto raffigurato tentando di immedesimarsi con esso. Per arrivare a questo, la prima fase da raggiungere è quella di uno stato mentale di serenità e concentrazione attraverso la meditazione. Tutto l’occorrente è predisposto minuziosamente e con precisi rituali affinché niente impedisca di raggiungere l’essenziale, perfino la preparazione dell’inchiostro con la fuliggine di pino è compiuta dall’artista come un rito. Tutta l’attività preparatoria è necessaria per eseguire quella Sesshu Toyo: Rotolo lungo delle quattro stagioni; part. Autunno - Bologna, Centro studi d’arte Estremo Oriente che si può definire l’arte dell’istantaneità, infatti, una volta raggiunto lo stato mentale ritenuto giusto, l’artista si muove e rende visibile la raffigurazione con gesto rapido e sicuro, non sono ammessi ripensamenti, una volta partiti non ci devono essere incertezze e l’errore non viene cancellato, ma messo a frutto per un futuro miglioramento. Come in una danza il corpo, rilassato e addestrato, partecipa seguendo l’esecuzione e la cadenza del respiro che scandisce il ritmo del tratto. È una pittura che non necessita di alcun tracciato preparatorio, perché il disegno, già incluso, è solo invisibile e diventerebbe ridondante, perché per cogliere l’essenza della natura è necessario abolire ogni elemento superfluo. I temi della tradizione cinese mantenuti invariati anche in quella Giapponese sono quattro: panorami, ritratti, animali, piante. La natura assume nella pittura un significato simbolico e orchidea, pruno asiatico, crisantemo e bambù rappresentano l’energia vitale (qi) delle quattro stagioni (nell’ordine primavera, estate, autunno, inverno), le virtù e le quattro età dell’uomo. Esiste un particolare legame tra pittura (suiboku) e scrittura (shodo), entrambe le espressioni utilizzano lo stesso strumento, il pennello, gli stessi materiali, la carta e la china e anche la medesima tecnica d’esecuzione, si possono considerare come varianti di una stessa pratica che sostanzialmente si esprime col tracciare una linea d’inchiostro. Tutto contribuisce a generare una straordinaria armonia estetica e la linea diventa l’elemento cardine, può variare di spessore, di intensità, espandersi in modo non uniforme, essere dolce, potente, tagliente, ritmica o statica per diventare manifestazione di un ritmo interiore che si rivela. Entrambe le arti necessitano dell’assoluto controllo del corpo, della mente, dello strumento e di conseguenza del tratto affinché ciò che è stato immaginato passi liberamente, attraverso il braccio, alla carta in modo fluido senza interruzioni dell’energia. È la tecnica dell’immediatezza che però, dal punto di vista zen, non coincide con improvvisazione, si tratta di un’immediatezza che deriva da tutta l’attività preparatoria della meditazione e concentrazione che, precedendo Ike Taiga: Daibutsukaku da Six sights in Kyoto pag. 3 l’esecuzione, crea una tensione che si libera poi tutta insieme in un tempo brevissimo. Sia la pittura, sia la scrittura rispondono a questi principi per andare a formare l’arte di scrivere dipingendo o quella di dipingere scrivendo. Tra disegno e scrittura, in Oriente non esistono particolari distinzioni, gli stessi ideogrammi sono strettamente connessi con la rappresentazione grafica tanto che è tipico riempire gli spazi bianchi di una pittura con delle scritte così come le poesie a volte vengono dipinte (come nel caso del componimento poetico haiku) per generare un armonioso tutt’uno dove la pressione e il ritmo for- niti alla pennellata stabiliranno la profondità e la vivacità dell’opera finale. Attraverso le grandi esposizioni universali del XIX secolo l’arte orientale penetra in Occidente, gli impressionisti stessi sicuramente traggono ispirazione dalle opere degli artisti giapponesi, dalla spontaneità dei momenti di vita raffigurati in contrapposizione alle pose dell’iconografia classica contro cui muovono la loro rivoluzione. Quest’influenza suggerisce una graficizzazione della pittura, si pensi a Toulouse-Lautrec, a Matisse, senza cercare alcuna simulazione della tridimensionalità a favore di un’idea, di una sin- tesi della realtà allo stesso modo di un ideogramma, aprendo la strada a espressioni artistiche che rifiutano gli effetti naturalistici, tonali e prospettici tradizionalmente cercati in Occidente. Oggi gli ideogrammi, ancora sufficientemente misteriosi e indecifrabili, affascinano sempre, e forse di più, gli occidentali frutto dell’omogeneità della globalizzazione, attrazione che si esprime attraverso la grande espansione del fumetto giapponese nonché le invasioni di riconoscibili segni nel mondo della grafica e della comunicazione e, non ultima, quella del sushi sulla tavola. francesca bardi Da sinistra in senso orario Sesshu Toyo: Paesaggio Hon’ami Koetsu: Sanjurokkasen Tokyo, Museo Nazionale Huai Su: Sosho, scrittura corsiva Sesshu Toyo: Fiori di loto