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CENTO ANNI DALLA FONDAZIONE DEL MUSEO CORREALE DI TERRANOVA: MEMORIE E PROGETTI
di Lucio Esposito
Il Museo Correale è un’entità storica diversa da tutte le altre, che ha un proprio linguaggio ed è in continua
evoluzione. La sua è una storia scritta dai fratelli Correale, che hanno raccolto il materiale, da chi l’ha ordinato ed
esposto; che si intreccia con quella dell’edificio dove gli oggetti sono ospitati e con le personalità di quanti hanno
assunto la direzione del museo e ne hanno guidato l’evoluzione attraverso varie vicende politiche e sociali. Una
storia che rende ancor più delicato e affascinante il lavoro di chi, oggi, è chiamato ad intervenire all’interno della
realtà museale.
La peculiarità del Correale è nel rapporto ottimale tra contenitore e contenuto, che trasmettono una doppia
memoria storica: il contenitore è una villa settecentesca, il contenuto rimanda ad una vita quotidiana aristocratica tra
’700 e ’800, insieme essi raccontano la storia di Sorrento e la cultura che li hanno formati. Il Correale è, infatti, tra
gli esempi più ricchi e completi di quel collezionismo napoletano tardo ottocentesco, basato sui criteri
dell’eclettismo storicistico, che si applicava a realizzare, per le raccolte vere e proprie, una sede anch’essa concepita
a mo’ di collezione. Esso costituisce, inoltre, un raro esempio di collezione privata rimasta integra nella sua sede
originaria rappresentando, per questo immutato rapporto, un documento straordinario della museografia
ottocentesca.
La stessa funzione della villa-museo, nello spazio cittadino, è evidente nei materiali e nei colori utilizzati,
nelle pietre, negli intonaci, nei tetti e nelle varie vedute di cui il visitatore può godere, in un dialogo continuo con la
città e il golfo.
Gli interrogativi e i progetti su cosa e come fare, in questo museo, non possono non collocarsi in una
riflessione sul presente e il futuro dei musei di pari vocazione. È comunque chiaro che un progetto di adeguamento
non deve mirare al raggiungimento di un livello di merito, attraverso le collezioni possedute, né all’attrazione sul
pubblico, o alla dimensione fisica, ma ad ottimizzare la capacità di soddisfare le specifiche esigenze di gestione del
museo, di cura delle collezioni e di servizi al pubblico.
Perché il lettore disponga di un chiaro quadro di riferimento, si propone una sintesi dell’istituzione in cifre. Il
Correale conta su 19.000
visitatori in media l’anno; 1.200 metri quadri di esposizione; 4 piani di villa
settecentesca; 7.000 metri quadri di parco e agrumeto; 5.000 volumi in biblioteca; 2.000 oggetti di porcellana e
maiolica; 200 opere della Scuola di Posillipo; 55 opere di Giacinto Gigante (la maggiore concentrazione in Italia);
100 mobili d’epoca; 500 dipinti eseguiti con diverse tecniche da 380 autori italiani e stranieri.
Il centenario della fondazione (1904-2004).
Lo statuto approvato col R.D. 242 del 18 febbraio 1904 decretò la nascita dell’Ente Autonomo Museo
Correale di Terranova in Sorrento. Esso era già stato approvato dal consiglio comunale di Sorrento il 12 marzo
1903, Sindaco Guglielmo Tramontano.
Lo status giuridico del Museo Correale fu quello di fondazione privata, con legami forti con il Museo
Filangieri, il Museo Artistico Industriale e il Comune di Sorrento. Non a caso Nadia Barrella parla di diretta
‘discendenza’ del Correale dal Filangieri e del fatto che dall’istituto napoletano esso trasse cospicui spunti per la sua
organizzazione. Il museo nacque in ogni modo economicamente ben dotato e fornito di una sua specifica struttura
organizzativa.
L’articolo 16 dello statuto enuncia una norma che si raccorda al clima culturale e ai principi della Napoli e
dell’Europa del tempo: “Il Museo sarà aperto al pubblico mediante una tassa d’ingresso che sarà stabilita dal
Consiglio di Amministrazione. Una volta per settimana, in giorno non festivo, sarà aperto al pubblico gratuitamente,
specialmente per dare agio agli artisti delle arti maggiori ed agli artisti industriali di fare, con permesso del
Direttore, studi sugli oggetti che costituiscono il Museo”. Non a caso, lo statuto del Museo Artistico Industriale del
1878 adotta un analogo provvedimento “al fine di concorrere all’istruzione di artisti e artigiani e di promuovere
l’operosità delle arti e delle industrie”.
Museo come luogo di ricerca e strumento didattico dunque: è questo il principio ideale e lo stimolo alla
creazione di innumerevoli raccolte private e pubbliche per tutto l’Ottocento e poco oltre. Con lo scopo di “educare il
gusto degli artigiani e degli studenti delle scuole d’arte, con l’esposizione dei begli esempi delle manifatture del
passato” nascono ‘musei industriali’ e ‘d’arte e industria’. I primi nell’ottica della scienza applicata all’industria
(capostipite il Conservatoire des art et metiers di Parigi); i secondi con l’obiettivo dell’arte applicata all’industria
(capostipite il South Kensington Museum di Londra). In Italia questo principio trova applicazione nel Regio Museo
Industriale Italiano di Torino nel 1862 e, via via, fino al Museo Artistico Industriale Scuola Officina, inaugurato da
Gaetano Filangieri nel 1888 a Napoli, a fianco della scuola politecnica di arti e mestieri. Ma il Correale è legato al
Filangieri anche perché entrambi sono raccolte aristocratiche rese pubbliche per spirito civico e per tramandare
nome e meriti di un’antica famiglia.
La statuto del Correale appare moderno e lungimirante rispetto ai tempi in cui fu stilato, per ciò che riguarda
la tutela e la conservazione, se si considera che contemporaneamente una serie di ministri preparavano un progetto
organico di legislazione per la protezione delle cose di antichità e d’arte, e che la legge 1089 del 1939 è ancora
lontana. E tuttavia i Correale non sono indenni - anzi, tutto lo statuto ne è pervaso - dal ‘senso della proprietà
inviolabile’ sancito dallo statuto Albertino.
Il documento divenne giuridicamente operante solo nel 1917, dopo la morte di Angelica de’ Medici di
Ottajano, moglie di Alfredo Correale, usufruttuaria di tutti i beni. Dopo l’allestimento e l’adeguamento dello
strutture, il Correale fu inaugurato il 10 maggio 1924 dal ministro Gentile.
Lo statuto di fondazione del Museo Correale non è modificabile, ma, attraverso il regolamento, si può
adeguare alle esigenze nascenti. Tra l’altro, già nel 1969 fu approntato dal Consiglio Direttivo un nuovo
regolamento e sottoposto all’approvazione della prefettura di Napoli. La semplice enunciazione di “ente morale” e
“senza fini di lucro” non è più sufficiente, è essenziale che gli scopi siano definiti in stretta relazione con gli ambiti
tematici e territoriali, l’arco cronologico e la natura delle collezioni. Occorre dichiarare esplicitamente di voler
promuovere e diffondere la conoscenza della cultura d’ambito del Correale in tutte le sue manifestazioni,
implicazioni e interazioni con altri settori del sapere, quale laboratorio di ricerca museale, progettuale e d’incontro
tra le comunità accademiche per favorire e sviluppare collaborazioni, integrazioni e sinergie. L’esplicazione delle
finalità attraverso l’enunciazione delle funzioni consente di individuare in forma analitica responsabilità e compiti
del museo, definendo i campi in cui esso si impegna ad operare. L’organo di governo del museo è tenuto ad
approvare e rendere pubblico un documento programmatico che individui obiettivi annuali e pluriennali.
Alfredo e Pompeo Correale: patrizi e mecenati sorrentini.
Dalle carte conservate presso l’archivio del Museo, si ricostruisce la storia della famiglia Correale a partire
dagli inizi del XV sec. Il cognome rimanda al ducato bizantino, e in particolare a Napoli, dove già nel X sec.
troviamo un Ordo curialum, ossia una corporazione di curiali, ai quali è dato potere certificatorio e probatorio nella
redazione di documenti pubblici e privati.
Si hanno poi notizie di una famiglia Correale o Curiale a Scala, presso Ravello, e lo storico Francesco Pansa
afferma che nel sec. XIII alcuni Correale si trasferiscono da Scala a Sorrento. Nel 1428 Giovanna II d’Angiò
concede a Zotula Correale un territorio demaniale denominato “Capo Cervulo”, che andava dalla prima porta di
Sorrento al mare. Il privilegio fu confermato da Ferdinando d’Aragona con un diploma del 1481 al figlio di Zotula,
Nicola Correale.
Capo Cervolo, da semplice ed enorme squarcio nel banco tufaceo, diventa a seguito degli investimenti dei
Correale un porticciolo mercantile, tale da oscurare quello di Marina Grande. Nelle Croniche antiquissime,
leggiamo: “1443. a Dì 26. Febraro a le 16. hore intrò in Nap. Re Alfonso I de Aragona con lo carro trionfale, et
intrò per la porta de lo mercato (…) et fece multi Conti, et baruni, cioè Monsignor Marino Corriale de Sorrento
Conte di Terra Nova (…) et altri”. Nelle stesse cronache, Tommaso da Catania riporta il dolore del Re Alfonso per
la perdita prematura del bellissimo paggio Gabriele Correale. Il potere dei Correale sul territorio sorrentino diviene
enorme, tale da esporli ad attacchi degli altri patrizi, sia attraverso contese giuridiche sia con tentativi di suscitare
conflitti tra la casa Correale e la città di Sorrento.
Nel 1643 i padri teatini, giunti da Napoli in Sorrento con un lascito testamentario in loro favore di Giustina
Caracciolo, moglie di Giulio Cesare Correale, trattano la transazione della marina di Capo Cervo con Pompeo
Correale, discendente da un ramo cadetto, diverso da quello di Zotula. Alcuni Correale fecero parte poi dei cavalieri
sorrentini che difesero Sorrento durante l’assedio del 1648. Essi sono altresì annoverati tra i confratelli della
congregazione dei Servi di Maria. L’autorità dei Correale andava decadendo, ma era mantenuta grazie a una politica
strettamente favorevole ai primogeniti, con matrimoni incrociati e ritiri in convento.
Il Settecento trova i Correale di Sorrento ridotti a poche presenze divise in due rami: quello di piazza
Castello e quello della masseria il Circo. Proprio in qualità di deputato della Piazza di Porta o Castello, Giovan
Battista Correale (1697-1740) fu incaricato dal parlamento sorrentino di portare il giuramento di fedeltà della Città a
Carlo di Borbone.
L’ultima discendenza è originata dal matrimonio tra i cugini Giovan Battista juniore, figlio di Pompeo
Correale Carafa della masseria il Circo, e Melchiorra, ultima erede del ramo di Piazza Castello. Sono, costoro, gli
ultimi a vivere stabilmente in Sorrento, in quanto nella seconda metà del Settecento molti nobili e patrizi si
trasferiscono a Napoli.
I Correale, in questi anni, conservano a Sorrento solo trascurate dimore di villeggiatura, ma sono comunque
registrati nel Registro delle Piazze chiuse col titolo di “Conti di Terranova”. Francesco Maria Correale, noto negli
ambienti moderati quale cattolico giobertiano, nel 1861 riceve dal re la nomina a senatore. Dal suo matrimonio con
Maria Clelia Colonna nascono nel 1827 Alfredo e nel 1829 Pompeo; seguono Laura, Cecilia, Matilde e infine Luisa.
Nel decennio 1858-68 Alfredo e Pompeo Correale, scapoli trentenni, compiono una serie di viaggi in
Europa. Dotati di un vasto bagaglio culturale e ben attrezzati per conoscere il moderno gusto europeo per le arti
applicate occidentali e orientali, visitano, fra l’altro, il parigino Museo Cluny, quello londinese di Kensington, il
Museo Industriale di Torino.
Ma l’evento che suggerì ad Alfredo e a Pompeo un’embrionale idea di quello che sarebbe stato il loro
‘museo’ fu sicuramente l’Esposizione Nazionale di Belle Arti di Napoli del 1877. Il Conte Correale (non sappiamo
quale dei due) vi partecipa fornendo 65 pezzi di porcellana napoletana, sei maioliche di Castelli e un “Cristo alla
colonna” in argento, dalla sua collezione. Nel Comitato Ordinatore dell’Esposizione è menzionato Alfredo.
Nel comitato direttivo delle celebrazioni del terzo centenario della morte del Tasso, volute dal consiglio
comunale di Sorrento il 10 giugno 1893, presidente onorario Bartolommeo Capasso, troviamo Alfredo Correale
accanto a Manfredi Fasulo, a Berardo Filangieri di Candida, al tesoriere Francesco Cariello.
Pompeo Correale muore celibe il 12 aprile 1900; il fratello Alfredo, sposato nel 1878 con Angelica de’
Medici dei Principi di Ottajano, il 16 agosto 1902.
Non si può dire che i Correale raggiunsero, come collezionisti, il livello dei Filangieri o dei Placido de
Sangro; ma, spinti da analogo impulso, raccolsero quadri, porcellane, maioliche, mobili, orologi, così come, dalla
metà del XIX sec., fecero numerosi aristocratici in altre città d’Italia, ad esempio Gian Giacomo Poldi Pezzoli,
Frederick Stibbert, Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi.
La documentazione presente presso il Museo non consente di ricostruire le fasi di raccolta della collezione; i
registri di famiglia, pur minuziosi e dettagliati per quanto riguarda il ménage domestico e l’amministrazione del
patrimonio, non parlano mai di acquisti di cose d’arte. Renato Ruotolo ipotizza l’assenza di una vera politica
artistica della famiglia e presume che l’oggetto d’arte fosse soltanto parte dell’arredo delle case, acquisito per eredità
o per necessità. In effetti, un vero modello collezionistico non si riesce a decifrare. Tra le scarne notizie c’è quella
che nel 1854 pervenne ai Correale l’eredità di Maria Ippolita Falangola che comprendeva, tra l’altro, tele di
Bernardo Lama, Alonso Rodriguez, Andrea Vaccaro e il quadro del gioco del Biribisso.
Un curioso documento getta uno sprazzo di luce su una attività ‘sommersa’ dei Conti: un antiquario
restauratore dichiara di detenere sedici dipinti che il Correale ha acquistato da altri aristocratici in difficoltà e di
impegnarsi a restaurarli e a venderli; i due terzi del guadagno toccheranno al Conte. Una società a tutti gli effetti, in
cui il Conte si riserva di tenere per sé, a restauro ultimato, le opere che gli piacciano, dietro ‘compenso di
coscienza’.
Di certo sappiamo che Pompeo Correale è allievo di Duclère e Gigante, producendo una serie di acquerelli
che testimoniano il suo amore per la pittura della Scuola di Posillipo. La moglie di Duclère era la figlia di Pitloo e
da lei, secondo Raffaello Causa, Pompeo Correale acquistò i 30 quadri di Pitloo. A completare il panorama della
Scuola di Posillipo, furono acquisiti anche lavori di altri suoi rappresentanti, soprattutto stranieri, con i quali
probabilmente Pompeo entra in rapporto diretto (a ‘villa alla Rota’, ora Museo Correale, nei mesi estivi egli
ospitava amici e artisti).
L’allestimento del Museo e la sistemazione delle collezioni
Il primo allestimento del Correale fu curato da Carlo Giovene Duca di Girasole, noto nel mondo culturale
napoletano e primo ordinatore anche del Museo Duca di Martina di Napoli. Giovene fu egli stesso collezionista e
appartenne ad una famiglia aristocratica di origine calabrese, di cui rimane in Napoli il palazzo, con pregevoli
retaggi del passato.
Giovene ordinò il Museo Correale come una casa nobiliare napoletana settecentesca. Tuttavia, esso ha poi
subito due traumatici eventi: la seconda guerra mondiale e il terremoto del 1980. Il 16 novembre 1943, infatti, il
Museo fu requisito per alloggiare i soldati inglesi e fu riaperto al pubblico solo il 21 febbraio 1953. Le collezioni
erano state messe al sicuro nel 1943 dall’allora presidente Colonna, che le trasferì nei depositi di una banca, e
furono poi riordinate da Raffaello Causa. L’edificio fu restaurato dal Ministero della Pubblica Istruzione, che si
preoccupò anche di rifare il tetto, distrutto da una bufera nel 1959. Il Causa, direttore del Museo di Capodimonte e
poi Sovrintendente alle Gallerie di Napoli, studioso di Pitloo, più che procedere a un vero riordino del Museo
sistemò la raccolta della Scuola di Posillipo e i paesaggisti stranieri.
L’istituto rimase chiuso per altri due anni, dal 1972 al 1974, per lavori di rifacimento del solaio del secondo
piano, quando venne pure installato l’impianto di allarme. In occasione del terremoto del 1980, che danneggiò le
strutture murarie, lo scalone e il tetto del Museo, le collezioni restarono miracolosamente indenni. Murate in una
sala, rividero la luce nell’ottobre del 1989, quando il Museo fu riaperto, riordinate dalla direttrice Rubina Cariello,
sostanzialmente come si trovavano prima del sisma.
L’allestimento iniziale del Giovene non ha subito alcuna radicale rivisitazione. E tuttavia, alla luce di studi
recenti, sono state modificate alcune attribuzioni, mentre, in seguito all’accettazione di donazioni, c’è oggi una
maggiore ricchezza e varietà di oggetti. Soprattutto le porcellane europee hanno subito frequenti spostamenti, fino a
trovare sistemazione nella nuova sala ricavata nel sottotetto in occasione dei lavori per il terremoto e inaugurata nel
1995.
Oggi il Museo è così organizzato. L’allineamento prospettico da via Correale, quando il portone d’ingresso è
aperto, attraversa l’atrio e sfonda nel parco, con un impatto di grande effetto. Ai lati del portone sono poste due basi
onorarie dell’epoca di Traiano con iscrizioni riguardanti personaggi del municipio sorrentino. In chiave di volta del
portale di ingresso, lo stemma dei Correale.
L’androne, che dà accesso alla biglietteria, alle sale del piano terra, allo scalone che conduce ai piani
superiori, agli uffici della direzione e al parco, è lastricato in basolati lavici come il cortile e vi sono sistemate lastre
di marmo con iscrizioni.
Tra le opere poste nell’androne vi sono due reperti lapidei di spolio, applicati a parete con macchina
girevole, per permettere la lettura di entrambe le facce: essi recano da un lato iscrizioni romane e dall’altro – a
seguito del loro adattamento a uso pavimentale nel Medioevo – un decoro cosmatesco. Incassata a muro vi è una
lastra tombale a bassorilievo del XII sec.; a terra, un cippo miliare.
Come si conviene nelle case museo, nella prima sala accolgono il visitatore i ritratti e gli alberi genealogici
della famiglia Correale. Il pavimento è di “riggiole” in maiolica ottocentesca, retaggio dell’antica pavimentazione
del palazzo. Il quadro in prospettiva nobile rispetto all’ingresso è il Ritratto di Pompeo Correale, di Antonio
Moriani. Il fondatore è raffigurato in un interno privo di connotazioni spaziali, in posa elegante e disinvolta. Il suo
status sociale è manifestato dall’abito, con catena d’oro per l’orologio da taschino, occhialini al petto e cravatta con
ferma-nodo prezioso. Del Moriani è anche il ritratto di Alfredo, altra anima del museo, raffigurato a mezzobusto.
Per il ritratto della moglie, Angelica de’ Medici, Alfredo incaricò Luca Postiglione, quanto di meglio offriva la
piazza al momento. L’arredamento è costituito da uno stipo con figure scolpite a bambocci, tipico della produzione
genovese del XVI sec., da due cassettoni napoletani del primo quarto del sec. XVIII e da uno stipo con intarsio
moresco in ebano e avorio (sec. XVII).
Nella piccola Cappella contigua vi sono una Annunciazione su tavola di ignoto meridionale (sec. XV) e un
mobile Cappella con predella rientrante (Napoli prima metà del sec. XVIII). La bacheca orizzontale espone opere
tassiane aperte al frontespizio, il manoscritto de Lo forestiero napoletano overo de la gelosia, donato da Arthur
Lauria, e la lettera scritta da Roma nel 1589 dal Tasso al medico napoletano Pisani. La bacheca verticale mostra 35
formelle per un cabinet in ebano e avorio con scene della Gerusalemme liberata (sec. XVII). Di proprietà della
famiglia Falangola, nel 1860 pervennero a Pompeo Correale per lascito testamentario. Nell’angolo maschera
funeraria del Tasso su piedistallo donata dalla famiglia Thaon de Revel.
La piccola biblioteca, cui si accede dalla sala 1, è l’unico ambiente col soffitto affrescato. Il fondo librario è
attualmente oggetto di reinventariazione e riordinamento ad opera di Mario Russo. Manfredi Fasulo, sovrintendente
onorario negli anni ’30 del secolo scorso, fu il maggior donatore di antiche edizioni tassiane alla biblioteca, e ne fu
anche il miglior curatore, tanto che riuscì ad inserirla nei circuiti nazionali. Le opere più pregevoli sono le rare
edizioni tassiane stampate in Italia e all’estero dal ’500 all’ ’800. Sul camino in marmo vi è un Paesaggio con
querce di Brissot.
La maggior parte dei cinquanta oggetti intarsiati della sala 2, o della Tarsia, furono donati nel 1937 da Silvio
Salvatore Gargiulo, detto Saltovar. Spiccano il tavolo dodecagono eseguito da Antonio Damora nel 1860 e un
particolare secrétaire a mosaico di Giuseppe Gargiulo. Alle pareti vedute di Sorrento ad intarsio, tratte da stampe del
XVIII sec.
In un lato della sala, su una pedana, sono esposti pezzi di una recente donazione del dottor Ghester Sartorius.
Si tratta di quattro rarissimi apparecchi fotografici in legno di mogano o noce: un aletoscopio di Carlo Ponti del
1861 per la visione di fotografie con effetto stereoscopico, decorato con quattro tempere di V. Badoer; un
megaletoscopio, versione perfezionata dell’aletoscopio, del 1862; un apparecchio fotografico da studio del primo
’900 di Lamberti e Garbagnati e, della stessa epoca, una cinepresa su cavalletto “Ensign Cinepatograph Camera”.
La sezione archeologica, in due grandi sale contigue, contiene marmi ritrovati nel centro storico di Sorrento.
Fino al 1864 si trovavano nell’Episcopio; successivamente furono trasferiti nel Sedil Dominova. Nel 1913 lo
Spinazzola, direttore del Museo Nazionale di Napoli, esaminati questi marmi e altri appena ritrovati in Via
dell’Accademia, ne propose al Municipio il trasporto a Napoli per una pulizia, con l’impegno di restituirli
all’apertura del Museo. Nel 1924 il Correale fu invitato dalla Soprintendenza ai Monumenti di Napoli “ad
accogliere nei suoi locali, con riserva della proprietà a questo municipio, i marmi delle epoche greche, romane e
medievali, rinvenuti in Sorrento (…) allo scopo di assicurarne la migliore conservazione ed integrità”.
Nella prima sala spicca la grande base di Augusto, risalente al III sec d.C., pubblicata dal Rizzo nel 1933,
corredata da un piccolo disegno per agevolare la lettura dei rilievi. Ai lati della porta, due frammenti di statue con
Artemide su cerva, di cui uno recante iscrizione in dialetto dorico. Il frammento di figura egizia inginocchiata è del
Faraone Seti I della XIX dinastia. Nella vetrina, 65 oggetti provenienti dalla necropoli di Vico Equense e Carotto
(V-IV sec. a.C.).
Nella sala successiva, reperti risalenti all’età tardoimperiale. Alle pareti frammenti di lastre con rilievi e, a
sinistra dell’entrata, un’iscrizione relativa alla ricostruzione dell’orologio sorrentino distrutto dal terremoto causato
dall’eruzione del Vesuvio del ’79 d.C. Poggiato a terra un capitello con decorazione ad ovoli, proveniente da una
delle ville marittime sparse lungo la costa.
La scultura romanica è il tema dell’ultima sala dedicata ai marmi antichi. Si tratta di plutei, pilastrini,
frammenti di ambone e formelle provenienti dall’antica cattedrale di Sorrento (secc. IX-XI). I motivi decorativi sono
ispirati all’arte persiana del periodo sasanide.
Lo scalone di accesso ai piani superiori è voltato a vela, con 14 gradoni in piperno per ognuna delle quattro
rampe. I pianerottoli sono completati con balaustre in piperno decorate con volute e girali. Stemmi in marmo delle
famiglie gentilizie sorrentine e lapidi sono disposte lungo le pareti dello scalone.
Mentre nelle sale del piano terra il Correale racconta la storia della città di Sorrento, in quelle del primo
piano è proposta con quadri e mobili la Napoli del Seicento, capitale del viceregno spagnolo, folgorata dall’arrivo
del Caravaggio nel 1606 e flagellata dalla peste nel 1651. Nella sala 6, lo stelo didattico recita: “Pittori napoletani
del sec. XVII. Mobili napoletani del XVIII: monetiere in tartaruga rosa; coppia di cassettoni a fronte sagomato in
legno ebanizzato con intarsi in avorio”. Alle pareti quattro tele di Giovanni Lanfranco (Parma 1582 - Roma 1647);
due luminose tempere di Belisario Corenzio (Arcadia 1558 - Napoli 1646), Il profeta Eliseo e Il ritrovamento di
Mosè; una Maddalena di Silvestro Buono (1540 ca); S. Caterina e S. Francesco di Giovan Bernardo Lama. Vi è
anche una Maddalena attribuita prima a Massimo Stanzione, poi ad Andrea Vaccaro e nel 2001, in occasione del
restauro, ad Artemisia Gentileschi.
Nella sala 7 campeggiano due dipinti di Alonso Rodriguez (Messina 1578 -1648), consoles e specchiere
napoletane. Nella sala 8 è in evidenza la grande Deposizione di Andrea Vaccaro (Napoli 1598-1670), di
impostazione caravaggesca. Mentre invece di Battistello Caracciolo (Napoli 1578-1635), “spavaldo, agguerrito
sperimentatore di violente esercitazioni luministiche”, si ammira S. Ignazio e le opere dei Padri Gesuiti.
Il Paesaggio con pescatori di Salvator Rosa (Napoli 1615 - Roma 1673) si qualifica per la ricerca di nuovi
effetti prospettici “a volo d’uccello”. Il dipinto, pur presentando motivi tipici del repertorio rosiano, si scosta dal
cosiddetto “paesaggio pittoresco” e da quello che si potrebbe definire, con termine non troppo esatto, pararomantico
e rimanda a una sorta di lezione classicista cui il Rosa giunse per probabili contatti con Gaspar Dughet.
Ma l’atmosfera della Napoli seicentesca rivive in due capolavori di Micco Spadaro, La fiera e il Porto di
sera, che ben provano la sua eccezionale capacità di illustrare e narrare con vivezza eventi napoletani. Altre due
tele, Tobia e l’angelo e il Matrimonio di Tobia, sono della scuola di Bernardo Cavallino. Di Paolo de Matteis sono
esposte una Sacra famiglia e S. Giuseppe e il Bambino.
Il centro della sala è occupato da un tavolo con base in noce riccamente scolpita e piano in scagliola (lavoro
fiorentino del sec. XVII); altri arredi sono una coppia di monetiere in tartaruga bionda (Napoli sec. XVII) e una
coppia di cassettoni in ciliegio e noce, a fronte sagomato con intarsi in legno di frutto e osso.
Domina la sala 9 Ascanio Luciani (Napoli 1612 ca. - 1706), con sei tele raffiguranti Rovine con figure.
Accanto, un bozzetto per la decorazione di un soffitto di Nicola Maria Rossi (Napoli 1690 - 1758), Allegoria della
Virtù. Di Domenico Antonio Vaccaro (Napoli 1681-1745), la Vergine e S. Brunone. Di Giacomo Del Po (Roma
1652 - Napoli 1726), il Sogno di Giuseppe e Apollo e Dafne. Di Gennaro Greco detto il Mascarotta (Nola 1663 Napoli 1714), Rovine con veliero, e Paesaggio con rovine, di derivazione fiamminga. Infine di Nicola Maria Rossi
(1690 ca - 1758) Il trionfo delle arti liberali.
Nella vetrina, preziose porcellane cinesi. Esse completavano l’arredo dei salotti aristocratici e venivano
importate dall’oriente in gran copia. La collezione di porcellane orientali, poco nota al pubblico, è costituita da circa
300 pezzi, che vanno dal XVII al XVIII sec. Completano la sala due cassettoni napoletani con intarsi in legni
pregiati e una rara coppia di poltrone Luigi XVI con tappezzeria originale rovinata e non più leggibile.
Nelle sale che seguono troviamo la raccolta dei dipinti del periodo borbonico. Dal 1735 Napoli diventa
capitale di un regno indipendente; Carlo di Borbone, cresciuto a Parma, tra collezioni e oggetti d’arte dei Farnese,
importò questo gusto a Napoli circondandosi di artisti, architetti e pittori. La sala 10 offre pitture a soggetti sacri a
partire da due diverse versioni del Riposo dalla fuga in Egitto, di Giacinto Diano (Napoli 1731 - 1803) e Lorenzo de
Caro (a Napoli dal 1740 al 1761). Al pittore di caricature Pier Leone Ghezzi (Roma 1634 - 1755) è attribuita una
Discesa dello spirito Santo, prima assegnata a Francesco Celebrano.
Da notare un piccolo olio su rame, Madonna con Bambino, di Francesco De Mura (Napoli 1696 - 1782), con
cui questo grande allievo di Solimena, ormai libero dall’influenza del maestro, tocca una grande raffinatezza
formale e cromatica. Questi pittori interpreteranno la grande stagione del rococò, esprimendo una visione culturale
libera e spregiudicata rispetto al gusto e all’educazione artistica della società napoletana. Saranno i grandi decoratori
della seconda metà del Settecento.
Uno dei pittori preferiti da Carlo di Borbone fu Giuseppe Bonito (Castellammare 1707 - Napoli 1789),
presente in questa sala con L’andata al Calvario, nella successiva col Ritratto di dama con mazzolino di fiori.
L’arredo della sala è completato da un cassettone con decorazioni in bronzo e piano in diaspro; da un alto trumeau
veneziano in radica di noce; da un cassettone napoletano del sec. XVIII con quattro comodini e infine da un vaso in
porcellana cinese montato in bronzo dorato (sec. XVII) e poggiato sul diaspro.
La sala 11 corrisponde al salone degli specchi del piano nobile del museo-villa. Illuminata da sei balconi, è
rifinita con sovrapporte laccate bianche e con cornici in oro e decoro a pittura, in una delle quali l’ovale centrale
reca Il bagno di Diana di Domenico Antonio Vaccaro. Alle pareti ritratti dei principi Colonna di Stigliano, antenati
dei Correale, e del Cardinale Antonio Sersale, opere di G. Pascaletti (Fiumefreddo (1699 - 1745 ?) e di Carlo Amalfi
(Sorrento 1707 - 1787). Il ritratto di Ferdinando IV bambino è attribuito a Anton Raphael Mengs. Le consolles, le
sovrapporte e le specchiere, tutti della seconda metà del ’700, sono quanto resta dei due saloni della villa.
Recentemente restaurate, hanno riacquistato la doratura cangiante a foglia d’oro, tipica dell’arte veneziana e
napoletana. Negli angoli vi sono monumentali vaso potisch in porcellana orientale a disegno blu, del sec. XIX.
La sala 12 ha due caminiere dipinte da Nicola Maria Rossi, pittore preferito dal viceré austriaco Harrach. Ai
lati della caminiera una coppia di appliques francesi Luigi XV in bronzo dorato. Particolarmente rara la tavola,
attribuita per i decori a Francesco Celebrano (Napoli 1729 - 1814), usata per il gioco del pari e dispari, detto
biribisso. La vetrina espone porcellane cinesi bianche e blu dal XVII al XVIII sec.
La sala 13 è dedicata ai pittori stranieri. Da notare lo Studio di teste di Antoine Van Dyck (Anversa 1599 Londra 1641), l’Interno di Cattedrale di Anversa firmato da Abel Grimmer e le due teste di vecchi di Michael
Sweerts (Bruxelles 1624 - Goa 1664). Due quadri di ugual misura e soggetto attribuiti a Peter Roos, anche noto
come Rosa da Tivoli, si fronteggiano in alto. L’arredamento della sala è costituito da un trumeau e sei sedie in lacca
inglese con motivi cinesi della prima metà del sec. XVIII, da un tavolo con piano a motivi geometrici in bronzo e
tartaruga; da un boureaux in noce con intarsi in avorio.
Nel salone 14 lo stelo indica: ”Pittori napoletani del XVII. Coppia di consoles napoletane con motivi
antropomorfi, con piani in commesse di marmo e scagliola; Coppia di consoles con piano in marmo verde”.
L’attenzione del visitatore è polarizzata da due grandi tele, di 370 per 210 cm, raffiguranti una Scena di caccia con
cani, di David De Kooninck (Anversa 1633 - Bruxelles 1699), e una Natura morta con figure, di G.B. Ruoppolo
(Napoli 1629 - 1693) e F. Solimena (Canale di Serino 1657 - Barra 1747). Altri quadri di questa sala sono L’uva
cornicella e Frutta e selvaggina di Ruoppolo, Pesci di Gaetano Cusati († Napoli 1720 ca), Fiori e vaso figurato e
Frutta e vaso figurato di Tommaso Realfonso (Napoli 1677 ca - 1743 ca).
La sala 15 contiene nature morte napoletane del sec. XVII. Vi compaiono ben sette quadri di Aniello
Ascione (a Napoli tra il 1680 e il 1708) e tre di Nicola Casissa (attivo a Napoli dalla fine del XVII al 1731).
Nella sala 16, oltre alle tele dell’abate A. Belvedere (Napoli 1642 - 1732), ultimo dei ‘fioranti’ napoletani,
sono degni di nota i Fiori con frammento architettonico di Daniel Seghers (Anversa 1590 - 1661).
La sala 17 conserva nature morte di scuola napoletana del sec. XVIII. Quattro tele di Jean Baptiste
Dubuisson (Parigi 1660 - Varsavia 1735) hanno per tema ancora fiori. Particolarissime le due pitture sottovetro di
ignoti giordaneschi e la Ghirlanda con immagine sacra di Salvatore Giusti (1773 - dopo 1845). La vetrina bifacciale
espone porcellane orientali.
La sala 18 contiene una raccolta di paesaggisti stranieri dal sec. XVII al XIX: Gaspar Dughet, Pierre Jacques
Volaire, Simon Denise, Joseph Rabbel, Frans Vervolet, K. Markò, J. Joseph Hartmann, Abraham Teerlink, T.
Duclère, Rebell.
Il salone 19 è dedicato ai paesaggisti della Scuola di Posillipo. Il merito di aver ispirato questa corrente
dell’arte napoletana spetta ad Anton Smink Pitloo (Arnhem 1790 - Napoli 1837), che dalla cattedra di paesaggio del
Reale Istituto di Belle Arti reagì alla corrente accademica, con il lavoro di gruppo esercitato in esterno, appunto,
sulla collina di Posillipo. Di Pitloo vi sono trenta quadri di vario formato e tecnica.
Di un altro esponente della scuola di Posillipo, T. Duclère (Napoli 1816 - 1867), amico e ospite a Sorrento
dei fratelli Correale, sono visibili trenta quadri. Completano il panorama della scuola opere di G. Smargiassi,
Raffaele Carelli, Filippo Palizzi, Michele Cammarano, Nicola Palazzi, Consalvo Carelli e Alessandro Ferola.
Proviene dal nord Italia la coppia di cassettoni a mezzaluna, con lavoro di legni pregiati intarsiati a motivi
geometrici (sec. XIX). Su uno di essi è poggiato un bronzo, Il maestro di violino, di Giovan Battista Amendola.
La sala 20 conserva ben 39 importanti quadri di varia grandezza e tecnica di Giacinto Gigante (Napoli 1806 1876). Vi si trovano pure una coppia di cassettoni e comodini napoletani con motivo a strumenti musicali della fine
del sec. XVIII e una portantina in cuoio appartenuta ad Angelica Correale. Nella vetrina a cannocchiale vi è un
servizio di piatti di terraglia napoletana ‘all’uso inglese’, con vedute del Regno di Napoli del XVIII sec.
La sala 21 è ricca di circa trenta preziosi orologi e pendole italiani, inglesi, francesi e tedeschi (secc. XVII e
XIX). Recentemente restaurato è l’orologio in madreperla e bronzo dorato, con figure in porcellana di Meissen
(Francia sec. XVIII). Il quadrante è firmato Jean Battista Baillon, orologiaio alla corte di Francia dal 1751 al 1772. Il
carillon è opera di Antoine Foullet. Rarissimo è l’orologio notturno costruito nel 1683 dai Fratelli Campani che
forse ne furono gli inventori; attualmente in deposito. Nelle vetrine collezione di vetri di Murano e cristalli di
Boemia (secc. XVIII e XIX).
La donazione Carignani di Novoli del 1940 comprende un diploma di Grande di Spagna, due medaglioni di
marmo raffiguranti Maria Carolina e Ferdinando IV di Borbone e due in bronzo dorato raffiguranti Maria Antonietta
e Luigi XVI di Francia. La donazione Paola Zancani Montuoro (1989) comprende un servizio in porcellana francese
decorata a Napoli (sec. XIX) e pedine per il gioco degli scacchi in avorio.
Lungo le scale di accesso al terzo piano, trova posto un grande arredo da muro scolpito e dorato del sec.
XVIII, con una imponente cornice barocca e, all’interno, maioliche di Castelli d’Abruzzo, opere di Carmine e
Bernardino Gentile.
Nella sala 22, altre maioliche della fabbrica Grue sono esposte nella vetrina e lungo le pareti. La raccolta di
pastori napoletani è costituita da non molti pezzi, ma di buona fattura: gli animali sono di Antonio e Saverio
Vassallo. Lo zampognaro di Matteo Bottiglieri. I rustici di Giuseppe Sammartino. Le zingare di Francesco
Cappiello. Le figure orientali di Giovan Battista Polidoro. Vi è, inoltre, un cabinet con miniature dipinte sottovetro
(Napoli sec. XVIII) donato da Paola Zancani Montuoro.
Al terzo piano, nella sala 23, si svolge il percorso della collezione di maioliche e porcellane europee,
testimonianza del raffinato gusto di sovrani e nobili settecenteschi, che gareggiavano tra loro per la conquista della
formula per la creazione della porcellana, fino ad allora nota solo ai cinesi. La collezione Correale offre una ricca e
completa antologia di tutte le manifatture europee, ordinata a partire da splendidi esemplari di maioliche italiane.
La raccolta è sistemata in dodici vetrine. Nella prima maioliche italiane dal XVII al XVIII sec., con pezzi
provenienti da Napoli, Venezia, Milano e Gerace Calabro. Porcellane delle Reale Fabbrica di Capodimonte dal 1745
al 1750 sono esposte insieme ad alcune della Fabbrica del Buen Ritiro di Madrid.
Nella seconda e terza vetrina sono esposti pezzi della Real Fabbrica Ferdinandea di Napoli dal 1771 al 1807,
tra cui un servizio “tête à tête” in materiale francese, ma decorato a Napoli nella bottega di Raffaele Giovine, con
ritratti di musicisti, tra cui quello di Rossini. Le maioliche Giustiniani dal XVIII al XIX sec. sono disposte nella
quarta vetrina.
Sul fondo della sala, è sistemata una grande specchiera della bottega napoletana di Bonniot, premiata con
medaglia d’oro all’esposizione di Arti e Mestieri di Napoli del 1853. Seguono le vetrine con i pezzi della fabbrica di
Giustiniani del Vecchio, i pezzi in biscuit della Real Fabbrica Ferdinandea realizzati a Napoli tra il 1780 e il 1805,
la fabbrica di Doccia con porcellane dal 1737 al 1877. Una vetrina è dedicata alla fabbrica di Meissen dal 1720 al
1814 e alle fabbriche inglesi e francesi. Questa collezione è l’unica pubblicata esaustivamente, in un volume ormai
raro.
Proposte e progetti per il futuro del Museo Correale: a) gli spazi.
La piena accessibilità, fisica e intellettuale, è la grande problematica dei musei in genere, delle case-museo in
particolare. In un contesto come quello del Correale, fornire per ogni opera adeguate informazioni senza soffocare le
opere con pannelli e cartellini è impensabile, ma possibile con le moderne tecnologie. Sarebbe opportuno l’utilizzo
di un computer senza tastiera, del tipo “touch screen”, per ogni due sale, dal quale il visitatore possa ricavare
informazioni relative a ogni elemento. Il monitor e il relativo cablaggio potranno essere incassati negli spessi muri
di divisione tra le sale. Solo questa soluzione potrà soddisfare e suscitare le curiosità di un pubblico multilingue e
multietnico, qual è quello del Correale.
Altra esigenza rilevante del Correale è la risistemazione delle strutture, che dovrà soddisfare i parametri
standard e le esigenze delle collezioni, del pubblico e del personale. Tra le prime cose da realizzare vi sono: un
ascensore che colleghi i vari piani; ambienti di servizio e spogliatoi per il personale; toilette per il pubblico ad ogni
piano; nuovi spazi, per una migliore sistemazione della biblioteca, per ricoverare i marmi romani esposti alle
intemperie esterne, per conferire maggiore leggibilità a tutta la collezione archeologica.
Il raggiungimento di tali obbiettivi non è semplice. Esistono tuttavia ambienti cantinati e un’ala sud est
facente parte della proprietà del Museo, ma ancora condotta dai discendenti del custode. Ebbene, la soluzione al
problema spazio, senza intaccare le estetiche o creare superfetazioni, è in questi volumi già esistenti. La casa del
custode contiene una scala a chiocciola, necessaria come scala di emergenza, e vari locali ammezzati, nel cui
attraversamento verticale potrebbero trovare posto l’ascensore e locali di servizio. L’acquisizione della casa
consentirebbe l’ampliamento del salone degli specchi e della sala Gigante e l’illuminazione delle sale dei Fondatori
al piano terra e del Biribisso al primo piano.
Il piano cantinato, cui si accede da una scala dal lato nord, è costituito da sei vani voltati a vela, per una
superficie totale di almeno 60 m2, illuminati e ventilati da finestre poste in alto. Il loro grado di umidità non appare
eccessivo; con una bonifica e una climatizzazione artificiale potrebbero fungere da cornice suggestiva alla
collezione archeologica e a una sala didattica.
L’ammodernamento dell’illuminazione è un altro dei lavori necessari. Un prolungamento dell’orario di
apertura fino a sera comporta un potenziamento dell’illuminazione per ottenere un minimo di 150 lux per ogni sala.
L’impianto attuale, con binari a soffitto, richiederebbe solo l’incremento dei corpi illuminanti.
b) gli aspetti finanziari.
La dotazione economica che Alfredo e Pompeo Correale fornirono al Museo era ed è costituita dai terreni
annessi al palazzo, con reddito annuo - all’epoca - di seimila lire, più altre seimila di capitale. Cifre cospicue, ma
non da capogiro, se si pensa che una poltrona numerata al teatro estivo di Sorrento negli stessi anni costava sette
lire. Le rendite nel corso degli anni si sono ridotte, e non poco. Un esproprio comunale per la costruzione del campo
di calcio nel 1931 ha circa dimezzato la proprietà fondiaria; inoltre i vecchi contratti con i tre coloni locatari,
conduttori del fondo e delle tre masserie, non solo non sono stati adeguatamente aggiornati, ma sono sfociati in
contenziosi giudiziari ancora irrisolti.
Già nel 1918 la Banca Generale Sorrentina di Tommaso Astarita stanziò forti cifre per i lavori di apertura del
Museo. Ulteriori elargizioni furono operate al momento dell’apertura da Guglielmo Tramontano, sindaco di
Sorrento e proprietario dell’Hotel Tramontano, da Silvio Salvatore Gargiulo e da Alberto Martini.
Ai giorni nostri, il Comune di Sorrento, con delibera n. 25/2000, ha approvato un contributo di 50 milioni di
lire per il funzionamento del Museo Correale e per un acconto sul fitto dell’area destinata a parco per i bambini. I
visitatori nel 2000, come da Bollettino Statistico dell’Ente provinciale per il Turismo, sono stati 14.201, di cui 295
non paganti. Un incremento delle entrate in tempi brevi si potrà avere solo con la crescita del numero dei paganti,
mentre a media e lunga scadenza dovrà verificarsi una revisione delle rendite fondiarie di dotazione.
Potrebbero arricchire il bilancio anche i proventi derivanti da servizi diretti o in concessione (per ora
mancanti) di caffetteria, ristorazione, bookshop; servizi di accoglienza come guardaroba e visite guidate; diritti di
riproduzioni fotografiche, pubblicazioni, e merchandising.
c) i rapporti col territorio.
Il territorio su cui fa perno il Correale è prevalentemente ad economia turistica e, in anni recenti, si è
arricchito di importanti istituzioni museali: il Museo archeologico “G. Vallet”; il Museo della Tarsia Sorrentina; il
Museo Mineralogico Campano di Vico Equense; l’Antiquarium di Vico Equense e quello di Castellammare di
Stabia; il Museo “A. Munthe” di Capri. Il movimento turistico è organizzato prevalentemente in gruppi che
fruiscono della base logistica offerta dai numerosi alberghi per escursioni sul territorio. Di conseguenza, il turista si
trattiene nella città di Sorrento soltanto nelle ore serali, o nei giorni metereologicamente avversi a escursioni
all’aperto.
Il Correale rappresenta la memoria storica del territorio; in particolare, la sezione archeologica è un canale
privilegiato per una lettura analitica della più antica storia di Sorrento. Accade però che proprio i sorrentini se ne
dimentichino: pochi sono i visitatori locali il giovedì, nonostante l’ingresso gratuito.
È con la comunicazione e la promozione che si può diffondere messaggi persuasivi, avviare e mantenere un
contatto sistematico con il pubblico di riferimento e stimolare la domanda: mentre l’obiettivo della comunicazione è
informare sulle attività dell’istituzione, avvicinando il museo al suo pubblico, il fine della promozione è
incrementare il numero dei visitatori e dei potenziali sostenitori, attraverso la diffusione di un’immagine positiva del
museo.
È utile quindi ricorrere alla diffusione, attraverso qualsiasi medium, di ogni evento che si produca nel Museo: la
partenza di opere per il restauro o per un’esposizione, le visite di ospiti particolari o di studiosi. È perciò
indispensabile una sottile e continua presenza sul territorio e nel tessuto sociale, affiancata da campagne
promozionali negli stand fieristici dei tour-operators e su riviste specializzate, turistiche e antiquarie.
La creazione di un sistema museale della penisola sorrentina rappresenta la parte conclusiva della presente
proposta. Esso - superando le barriere istituzionali – dovrebbe associare tutte le istituzioni museali del territorio in
uno sforzo sinergico. I percorsi storici, artistici, archeologici e naturalistici che ne scaturirebbero potrebbero essere
fruiti attraverso una “card museale”, un biglietto unico che comprendesse anche i mezzi di trasporto. Sarebbe pure
utile integrare e informatizzare i cataloghi delle singole collezioni, migliorandone e ampliandone la consultazione a
scopi scientifici, didattici e divulgativi.
Si tratterebbe, in sostanza, di applicare all’area sorrentina quanto si sta già realizzando con la “Campania arte
card “ che, al costo di un solo ingresso, fornisce per tre giorni facilitazioni e sconti per un grande circuito museale.
Una formidabile promozione anche per mostre, eventi, concerti e giornate di studio da Napoli a Pozzuoli a Baia, che
si preoccupa pure dei trasporti e delle visite guidate. Ma la Campania non è solo Napoli; e il Correale, come altre
piccole istituzioni, è ancora fuori dal circuito.
Il nuovo visitatore e il museo del futuro.
“Meno male che i musei si incontrano in viaggio di nozze e poi mai più”; questa esclamazione nella Coscienza
di Zeno di Svevo, nel 1923, svela una concezione statica del museo, sentito solo come luogo di conservazione,
contenitore di relitti della storia e dell’arte, non certo come portatore di molteplici significati. A partire dal secondo
dopoguerra, e in particolare nell’ultimo trentennio del XX secolo, questa situazione muta profondamente in tutti i
paesi industrializzati. L’alfabetizzazione generalizzata e uno sviluppo economico di cui beneficia ogni ceto sociale
favoriscono la diffusione sempre più ampia dei consumi culturali. Ciò si rivela nel diffondersi del cosiddetto
turismo culturale; negli spazi sempre più ampi in cui si manifesta la cultura, favorita da tecnologie comunicative
sofisticate; nell’attenzione, da parte dei produttori di cultura, ai gusti e agli interessi di un pubblico che tende ad
essere indifferenziato.
Oggi, dunque, il museo - come tanti strumenti di consumo culturale - deve diventare produttivo, attrarre
pubblico sempre diverso, imparare ad autofinanziarsi, utilizzare tecnologie avanzate. Vanno riesaminati fini e mezzi
dell’attività museale: i modi di comunicare e di educare, i modi di produrre e diffondere cultura.
Soddisfare le necessità e le aspettative del visitatore sempre più curioso e qualificato significa
necessariamente valorizzare la fruizione dei beni culturali. “Bisogna che i monumenti cantino. È necessario che essi
generino un vocabolario, creino una relazione, contribuiscano a creare una società civile” affermava già Paul Valéry.
Nella fattispecie, al Correale sarebbe opportuno sostituire i cartellini, sbiaditisi col tempo, e al pieghevole,
distribuito con il biglietto, aggiungere le piantine dei vari piani, che sono le grandi assenti non solo dalle
pubblicazioni, ma anche dai pannelli dell’ingresso. Si potrebbe ricorrere perfino a fogli ciclostilati o a fotocopie, per
chiarire situazioni che possono generare perplessità e dubbi.
Avvicinare l’offerta del museo ai desideri del visitatore, ovviamente senza trascurare le funzioni di
conservazione e di tutela, è la nuova logica nel futuro sistema-museo: in campo economico è definita strategia di
marketing, che non significa vendere e commercializzare le opere d’arte, ma compiere le azioni necessarie per
realizzare la missione del museo. È una strategia che porta il museo ad essere non solo medium del messaggio
artistico tra opera d’arte e visitatore ma anche luogo di appagamento dei bisogni culturali, emozionali, simbolici e di
socialità.
La qualità dei rapporti con il pubblico può e deve essere migliorata lavorando in tre direzioni: culturale, ludica e
didattica. Procediamo per ordine. Ancora oggi il Correale non fornisce un servizio di guida né esistono audioguide o
videotapes (il visitatore deve organizzarsi autonomamente). È necessario, quindi, che il Museo si doti di specifiche
professionalità, non necessariamente assunte nella pianta organica del personale: si potrebbe ricorrere a prestazioni
d’opera per un servizio guida generico o mirato a varie tipologie di visitatori. Si potrebbero pure proporre altri modi
per visitare il museo - di sera, per esempio, o seguendo percorsi tematici.
La più significativa fra le attività ludiche del Museo è stata quella dei “Concerti al Correale” e, nonostante i
problemi di spazio, non è stata negativa. Perché non replicarla? La serie di concerti di musica barocca nella sala
degli specchi è un modo nuovo di proporsi al pubblico. Le relazioni tra la musica e le collezioni sono molto più
strette di quanto si possa immaginare, in grado di aprire scenari di grande interesse.elite
Attività didattica: i ragazzi delle scuole visitano il museo per evadere dalle aule. E, tuttavia, non c’è collezione o
coagulo di opere artistiche o archeologiche che non giovi all’educazione dei giovani, al progresso degli uomini e
delle comunità. E allora, non resta che portare il museo nelle scuole sotto forma di fotografie, giochi, plastici, per
incuriosire e per preparare alla visita “sul campo”, senza dimenticare che quanto più la presentazione delle opere
sarà interdisciplinare e contestualizzante tanto più avrà il potere di attrarre. In ogni caso solo l’utilizzo di nuove
tecnologie informatiche e telematiche potrà trasformare il museo tempio in museo laboratorio, in cui i singoli
oggetti sono considerati nodi di reticoli storici e culturali complessi.