La grande sfida per le congregazioni
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La grande sfida per le congregazioni
Massimo Greco • teorico-culturale 53 area La grande sfida per le congregazioni religiose di Marco Grumo * 1. L’esigenza di una nuova filosofia di gestione al passo con i tempi Le congregazioni religiose, sia a livello nazionale che internazionale, si trovano in una fase di grande cambiamento. Rispetto al passato è mutato il contesto nazionale e internazionale, sono emersi nuovi bisogni, esiste una nuova dinamica delle vocazioni. Tutto ciò sta avendo molte conseguenze sulla gestione delle congregazioni. In particolare, solo per citare alcuni fenomeni, si registra: – una accentuazione della differenza tra istituti non innovativi e istituti innovativi dal punto di vista gestionale, ma anche religioso; – un cambiamento, con riferimento alle attività tradizionalmente svolte dagli istituti religiosi (sanità, assistenza e scuola) dei soggetti finanziatori e delle logiche di finanziamento; – incremento della quantità, qualità e complessità dei bisogni sociali delle persone, il tutto in un contesto di crescente razionalizzazione dell’intervento pubblico; – innalzamento, in molti settori (es. sanità, assistenza e scuola) del livello di competizione tra soggetti pubblici, soggetti profit e non profit; – incremento delle istanze di efficacia, efficienza e qualità dell’azione svolta dagli istituti non profit da parte delle rispettive comunità, e anche di trasparenza circa l’utilizzo delle risorse; – carenza di vocazioni e conseguente esigenza di sperimentare nuovi modelli di gestione fondati maggiormente sui laici. Tutto ciò impone ai vertici delle congregazioni, almeno in Italia e in generale in Europa, di sperimentare e adottare un nuovo modo di amministrare (o meglio gestire) questi soggetti. Un modo di gestire unitario e non più a ‘viste parziali’, e in molti casi, molto diverso dal passato. Il concetto di amministrazione non risulta più sufficiente. Il concetto di ‘amministrazione’ deve essere completato e inserito nell’ambi- * Professore di economia e management delle organizzazioni non profit presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; Direttore divisione “Non Profit e Pubblica Amministrazione” di Altis (Alta Scuola Impresa e Società). È mutato il contesto nazionale e internazionale Nuovo modo di amministrare area Modello presenta molteplici segnali di sofferenza 54 teorico-culturale • Marco Grumo to del più ampio concetto di ‘gestione’. Del resto, da sempre, l’amministrazione ha senso solo se supporta una buona gestione. Specie nell’attuale contesto, obiettivo delle congregazioni non è più solo un obiettivo di conformità rispetto alle norme, bensì di continuità dell’opera e di sviluppo nel tempo. In non pochi casi si tratta di un cambiamento sostanziale nella conduzione delle opere e degli enti. Non si tratta tuttavia di stravolgere il proprio modo di gestire le opere o di trasformare queste ultime in imprese profit, ma semplicemente di aggiornare e potenziare il modello adottato da sempre dalle congregazioni, in modo che esso possa risultare veramente coerente con le nuove sfide imposte dal contesto e le condizioni operative attuali (non ultima, il calo delle vocazioni). Il modello di gestione delle opere religiose sin qui adottato è stato costruito di fatto su due assunti sinora sempre verificati: – l’abbondanza di vocazioni; – l’assenza di competitività. Oggi invece questi assunti non sono più verificati e il modello ha così iniziato a presentare molteplici segnali di sofferenza, che non giustificano in ogni caso nessun arretramento dalle funzioni sociali, ma solo un cambio di modello di gestione. Ciò è confermato anche dalle esperienze internazionali delle congregazioni, le quali, ad esempio, nei Paesi anglosassoni o asiatici (caratterizzati proprio da una carenza di vocazioni e un’iper-competitività) hanno sin dall’inizio posto in essere modelli di gestione profondamente diversi da quelli adottati in Europa: modelli che oggi divengono attuali e necessari anche in Italia. Si tratta inoltre di affiancare alle competenze tecniche e amministrative tradizionalmente presenti nel personale delle congregazioni, una competenza gestionale nuova, specifica delle organizzazioni non profit, e cioè, diversa da quella tradizionalmente applicata nel mondo delle società commerciali e della pubblica amministrazione. Le congregazioni non possono più essere gestite solo in termini patrimoniali: il patrimonio è certamente da conservare e amministrare con competenza e prudenza nel tempo, ma accanto a tale gestione, occorre innestare un nuovo modo di condurre le opere La grande sfida per le congregazioni religiose • teorico-culturale che, alla fine, costituiscono il vero veicolo di trasferimento e propagazione della missione (carisma) nel tempo. Del resto, nelle congregazioni religiose la gestione del patrimonio ha senso solo se essa è strumentale al raggiungimento delle finalità proprie dell’istituto, inclusa la conduzione delle opere. Le congregazioni religiose, dal punto di vista gestionale, sono un sistema di elementi mutevoli e interdipendenti: la missione (carisma), la relazione con i destinatari diretti della missione; la relazione con gli interlocutori critici; le attività; la dimensione economica; le risorse tangibili e soprattutto il personale (sia laico che religioso). Nel mondo religioso, buona gestione e missione non sono aspetti antitetici, bensì complementari, soprattutto nel contesto attuale. Troppo spesso invece in passato il tema della missione è stato insegnato e praticato in modo disgiunto, per non dire contrapposto, rispetto al tema della gestione delle risorse. Risultato ne è che molti enti oggi si trovano in difficoltà (e con essi la propria missione) proprio a causa di problemi che attengono direttamente alla gestione delle opere. Il contesto attuale richiede un pronto superamento dell’impostazione culturale della contrapposizione concettuale tra la missione e le risorse: una concezione che gli eventi rilevano essere sempre più teorica, astratta, ma soprattutto senza fondamento nella prassi, a meno di casi particolarmente border-line. Una logica, come detto, che è anche alla base di molti problemi attuali delle congregazioni. Missione e risorse sono ‘due facce della stessa medaglia’, e come tali esse devono essere studiate, insegnate (soprattutto nei confronti dei religiosi giovani) e concretamente gestite nelle congregazioni dei prossimi anni. Sul piano concreto, molte congregazioni sono oggi chiamate a raccogliere specifiche sfide gestionali tuttaltro che irrilevanti, tra cui: la sfida di passare a una gestione delle opere veramente moderna fondata su personale laico altamente preparato e motivato; su una continua aderenza alla missione; su condizioni di sostenibilità economica. Una gestione pianificata, e non improvvisata o condotta secondo la logica ‘pronto soccorso’. Inoltre nelle congregazioni religiose il tema della gestione non è un tema dei soli economi o del personale amministrativo, ma 55 area Elementi mutevoli e interdipendenti Superamento contrapposizione tra missione e risorse area Preparazione adeguata del personale 56 teorico-culturale • Marco Grumo è anzitutto un tema di governo. Quanto più si sale nella gerarchia delle congregazioni, tanto più queste competenze non possono mancare. Molti problemi economici, di funzionamento delle congregazioni, o anche di atteggiamenti di crisi individuale e scoraggiamento, nascono oggi proprio dalla mancanza di competenze di corretta gestione delle attività di cui il singolo religioso/a si trova di fatto ad averne la responsabilità. Una responsabilità che peraltro investirà sempre più il personale religioso, specie nell’attuale contesto di calo delle vocazioni. Gestire le congregazioni religiose oggi, o singole opere delle stesse (generalmente di medio-grandi dimensioni) non può più essere oggetto di improvvisazione. Una preparazione adeguata del personale è fondamentale per delegare correttamente, ma soprattutto per governare in modo efficace senza che l’organizzazione prenda realmente il sopravvento. Infine i riferimenti teorici non sono quelli del mondo profit, del mondo della pubblica amministrazione, e in alcuni casi, nemmeno quelli delle aziende non profit tradizionali, data l’estrema specificità del mondo in esame. L’analisi empirica mostra spesso come anche nelle congregazioni religiose le perdite o le chiusure delle attività (peraltro sempre più diffuse) non sono la conseguenza dell’operato degli organi amministrativi-economati (i quali invece hanno certamente il ‘compito’ di quantificarle e gestirle). Questi effetti nascono invece in tutta l’organizzazione e sono il risultato dell’atteggiamento di tutti coloro che, alla fine, hanno un minimo potere decisionale e di spesa nell’organizzazione. Per questo motivo, anche nelle congregazioni religiose, le competenze di gestione non possono che essere competenze diffuse e non localizzate (come invece di fatto lo sono quelle di carattere giuridico-amministrativo), ma soprattutto devono diventare competenze di governo e non solamente ‘amministrative’. Infatti nelle congregazioni religiose, i problemi oggi sono anzitutto problemi di gestione e non di amministrazione: quando si trascura l’amministrazione, la congregazione incorre in sanzioni, mentre quando esse trascurano la gestione, chiudono le attività, entrando in situazioni di crisi più o meno profonda. La grande sfida per le congregazioni religiose • teorico-culturale 2. La questione culturale Molte volte negli anni passati si è sentito parlare di cultura manageriale/aziendale applicata alle congregazioni religiose e altrettante volte si è sentito sostenere che si tratta di aspetti da tenere distinti, assumendo quasi una sorta di incompatibilità aprioristica tra i due concetti. Questa posizione è condivisibile soltanto se ci si pone in una particolare prospettiva di ragionamento fondata sulla coincidenza tra il concetto di “cultura manageriale/aziendale” e il concetto di “cultura delle imprese profit”. Se intesa in questi termini, cultura manageriale/aziendale e congregazioni religiose non sono compatibili: congregazioni religiose e imprese profit sono infatti istituti profondamente diversi e in quanto tali, ai primi non sono applicabili gli strumenti pensati, sperimentati e realizzati con riferimento ai secondi. Il problema del ragionamento sopra richiamato sta tutto quindi nell’assunzione di una definizione non corretta di cultura manageriale/aziendale: in altri termini, alla base di questi ragionamenti vi è una concezione non corretta di “management”. Per contro il concetto di management, e quindi “gestire”, non è un’azione univocamente riconducibile alle imprese profit. Certamente l’impresa profit (avendo come finalità ultima la massimizzazione della differenza tra ricavi e costi, quale mezzo per crescere nel tempo e remunerare adeguatamente gli azionisti-investitori) inserirà gli strumenti di management nella più ampia ottica della massimizzazione del reddito; per contro, gli istituti non profit (e tra questi, le congregazioni religiose) dovranno interpretare e inserire tali strumenti al servizio della più alta finalità di ordine meta-economica (nello specifico, la missione), la quale deve costituire anche il riferimento ultimo rispetto a cui misurare l’adeguatezza di ciascuna decisione gestionale. Fino ad oggi, nella nostra società, la cultura gestionale, e quindi gli strumenti e i sistemi di management, sono stati utilizzati prevalentemente, per non dire esclusivamente, dalle imprese profit. Questo utilizzo quasi mono-direzionale (complice anche la stereotipizzazione della figura del “manager” praticata talvolta dai media del comparto non profit) ha generato soprattutto nel mondo religioso, una sorta di assimilazione, (certamente non corretta) tra i concetti di cultura manageriale/aziendale, impresa, azienda e profitto. 57 area “Cultura manageriale/ aziendale” “cultura delle imprese profit” area 58 teorico-culturale • Marco Grumo Come detto, la cultura, gli strumenti e i sistemi di management possono invece essere convenientemente applicati anche per servire finalità diverse da quelle reddituali, tra cui proprio le finalità tipiche delle congregazioni religiose. Si pensi, solo, a quanti istituti oggi sono costretti a chiudere, a ridurre il proprio intervento, non espandono l’attività, oppure ancora a quanto patrimonio è in stato decadente a causa di problemi sostanzialmente economici. La non capacità delle congregazioni di affrontare adeguatamente e risolvere i problemi di ordine economico-gestionali si riProblemi di ordine percuote spesso sulla continuità del raggiungimento della più alta economico-gestionali finalità non economica. Ecco allora il contributo che può derivare dall’applicazione dei principi e degli strumenti manageriali alle congregazioni religiose: principi e strumenti chiaramente diversi da quelli delle imprese profit e della pubblica amministrazione, e importanti per rafforzare la continuità della missione nel tempo, specie nell’attuale contesto di profondo cambiamento. Chiarito quindi che i principi e gli strumenti di management (delle aziende non profit) sono aspetti che rafforzano la missione e non antitetici, le congregazioni religiose devono: – superare l’atteggiamento di resistenza culturale verso una gestione moderna e professionale delle attività (in realtà, più che un atteggiamento di vera resistenza si tratta spesso di atteggiamenti di non conoscenza, e quindi di timore, rispetto a un modo nuovo di gestire gli istituti e le opere; una gestione moderna mai sperimentata prima, la quale talvolta viene anche percepita come “distante” dal modello precedente tanto da generare nella “base” alcune resistenze iniziali non giustificate, il tutto magari in un contesto in cui la stessa congregazione già applica questi principi nelle province estere, solitamente quelle nord americane e asiatiche); – collocare gli strumenti di management al posto giusto, e cioè realmente al servizio della missione; le congregazioni religiosi sono istituti differenti che richiedono strumenti di management inevitabilmente differenti; – scegliere le persone giuste che sappiano aiutare gli istituti a utilizzare tali principi e strumenti in modo coerente rispetto alle peculiarità gestionali dell’istituto. La grande sfida per le congregazioni religiose • teorico-culturale Gli strumenti gestionali da applicare al mondo non profit (e nello specifico alle congregazioni religiose) infatti non possono essere gli stessi di quelli delle imprese profit, perché diverse sono le finalità e i caratteri di tali realtà. Le congregazioni religiose, rispetto alle imprese profit, agli istituti della pubblica amministrazione, ma anche rispetto alle altre organizzazioni non profit, necessitano di strategie, alleanze, assetti organizzativi, strumenti di pianificazione, programmazione e controllo differenti. Gli strumenti di management, se ben finalizzati e utilizzati al servizio degli scopi istituzionali, possono consentire anche alle congregazioni religiose di svolgere la propria attività con maggiore efficacia, qualità e intensità, di avere minori preoccupazioni economiche (e quindi anche minori tensioni e rischi sia interni che esterni), di eliminare gli sprechi, di reperire maggiori fondi dalle attività collaterali, di aumentare la quantità dei servizi prodotti, di disporre di strutture e risorse di maggiore qualità, specie nell’attuale contesto di crescente presenza del personale laico. Certamente un’applicazione degli strumenti di management da parte di soggetti non sufficientemente esperti, porta inevitabilmente con sé il rischio di una non corretta impostazione della gestione, non positiva per lo sviluppo di tali particolari realtà. Il problema però, come sempre, non sta nei principi e negli strumenti, bensì in una loro applicazione non sufficientemente coerente rispetto alle molteplici specificità delle congregazioni religiose. Questo è il rischio che giustamente le congregazioni religiose intuiscono e che quindi bisogna evitare. 3. Alcune sfide specifiche per le congregazioni religiose italiane ed europee Tutte le analisi condotte in questi anni sulle congregazioni religiose italiane ed europee, mostrano come esse oggi debbano raccogliere alcune sfide di gestione specifiche (che, come detto, per questi istituti sono anzitutto sfide culturali): – potenziare la qualità degli organi di governo ai diversi livelli, di istituto e di opere; – sviluppare una maggiore attenzione del vertice ai problemi di ordine strategico e non solamente a quelli operativi: anche per 59 area Strumenti di management area 60 teorico-culturale • Marco Grumo le congregazioni religiose la crescita oggi non è mai un percorso casuale e solo di breve periodo; – sviluppare una maggiore capacità di accrescere le specificità dei servizi offerti e di comunicarli alla comunità; – non confondere il concetto di gerarchia con quello di burocrazia e nemmeno quello di autonomia con quello di perdita di controllo; – non pensare che l’esperienza passata possa costituire l’unico (o il principale) strumento utilizzabile per gestire la congregazione nel futuro: l’esperienza passata, che in queste realtà condiziona fortemente e nomine e l’azione futura, è per definizione un fattore contestuale e il contesto passato non è quello attuale; – non giustificare le inefficienze dietro la finalità perseguita: buona gestione e perseguimento della finalità non sono, come detto, concetti antitetici; – velocizzare i processi decisionali; – assumere un atteggiamento di innovazione e di sperimentazione anche gestionale, non pensando invece che i problemi siano sempre troppo complessi da gestire: le analisi mostrano infatti come spesso i responsabili percepiscano i problemi molto più complessi di quanto effettivamente essi siano, cercando anche di modellizzarli il più possibile a priori. Questi atteggiamenti costituiscono solitamente il miglior indicatore di una capacità di analisi dei problemi gestionali da potenziare; – non pensare che l’ente pubblico possa essere l’unico o il principale finanziatore delle attività, specie nell’attuale contesto di crisi e di razionalizzazione della finanza pubblica in tutti i settori (si pensi per tutti alla scuola), per non parlare dei ritardi con cui questi pagamenti giungono in alcuni casi alle organizzazioni, con i conseguenti risvolti negativi in termini di gestione finanziaria. In altri termini le congregazioni religiose hanno bisogno oggi di sperimentare nuovi modelli di gestione che tengano conto delle Sperimentare nuovi mutate condizioni dell’ambiente economico, sociale e religioso. modelli di gestione Non è più un problema di documenti, di organigrammi o di configurazione degli assetti giuridici. Come sempre, con qualsiasi forma giuridica è possibile avere: – una gestione florida; oppure – una gestione depressa, in declino o di prossima chiusura. La grande sfida per le congregazioni religiose • teorico-culturale 4. La grande sfida delle risorse umane Il tema delle risorse umane costituisce oggi l’aspetto veramente critico per la continuità delle congregazioni religiose italiane e in generale europee. Da sempre il modello di gestione delle congregazioni religiose si è fondato sull’abbondanza di personale religioso. I religiosi occupavano direttamente tutte le posizioni della struttura organizzativa, dalla base al vertice, dai servizi direttamente rivolti all’utente a quelli di carattere più accessorio, con risvolti positivi in termini anche di risparmio del costo del personale. Questo è il modello che è stato applicato sempre in Italia, e in generale in Europa, dalle congregazioni maschili e femminili, di grandi ma anche di piccole dimensioni. Un modello magari non implementabile in altre zone del mondo, dove invece le vocazioni non c’erano oppure erano limitate. Oggi il contesto italiano ed europeo invece è mutato. Il calo delle vocazioni richiede un cambiamento del modello preesistente, non certo facile, tanto che alcuni istituti, specie quelli più piccoli, stanno risolvendo il problema cedendo in toto le opere. Nel nuovo contesto, i religiosi (sempre minori e di età mediamente avanzata) tendono a spostarsi verso le posizioni “apicali” degli istituti e delle opere, coinvolgendo nelle altre posizioni una grande quantità di personale laico. Dal punto di vista gestionale, ciò significa: – il passaggio (tuttaltro che agevole) da una gestione diretta delle opere a una gestione “indiretta”, nel senso che in prima linea tendono ad esserci sempre più laici e non religiosi; – la necessità di mantenere l’effettivo allineamento tra la missione e l’operatività dell’organizzazione “vivente”; – l’esplosione del problema della sostenibilità economica delle opere per effetto della crescita del costo del personale; – l’importanza strategica della qualità del personale laico e religioso; – la necessità di rafforzare le funzioni di gestione delle risorse umane e non solo dell’amministrazione. Anche nelle congregazioni religiose il raggiungimento dei risultati religiosi, sociali, ma anche economici, è fortemente influenzato da elementi quali la motivazione del personale religioso e laico, le 61 area Il contesto italiano ed europeo è mutato area Esistono organizzazioni capaci di attrarre persone preparate 62 teorico-culturale • Marco Grumo abilità, le conoscenze, il modo di agire. Sbagliare in queste organizzazioni la selezione di una persona laica non solo genera costi difficilmente recuperabili, ma, aspetto ancor più grave, si ottiene un importante impatto negativo sulle attività e sulla missione. Anche nelle congregazioni religiose, i temi del reclutamento, della formazione e della gestione del personale religioso e laico hanno quindi un’importanza centrale. In molti casi è proprio sulla gestione del personale religioso, laico, stipendiato e volontario che le congregazioni si distinguono: esistono infatti organizzazioni, o parte di esse, capaci di attrarre e trattenere persone preparate (anche giovani) e altre che invece non sono in grado di attrarli o addirittura le perdono. Il problema sta tutto nella concezione che la singola congregazione (e quindi alcune figure apicali delle stesse) ha della risorsa umana e quindi nelle modalità di comunicazione, formazione, coinvolgimento e gestione delle persone. Da questo punto di vista, esistono infatti: – congregazioni moderne che concepiscono la gestione delle persone (in particolare i laici) come un fattore strategico di sviluppo delle stesse e quindi oggetto di costante investimento da parte delle strutture; ma soprattutto, poiché sono ancora le più numerose, – congregazioni che concepiscono ancora il personale in chiave sostanzialmente amministrativa, di costo e non di investimento, e in generale di componente sostanzialmente sotto-ordinata rispetto alle figure religiose (oggi di numero sempre minore e di età media avanzata). Queste due concezioni hanno rilevanti effetti diretti sulla gestione e sulla continuità delle opere. Ad esempio il turnover del personale laico (di elevata qualità) è solitamente molto basso nella prima tipologia di congregazioni a differenza della seconda, con inevitabili ripercussioni sulla gestione di breve e di medio-lungo periodo. Anche nelle congregazioni religiose il turnover è negativo perché: – riflette un problema di gestione delle persone; – espone l’ente al problema del “pronto soccorso”; – si perde costantemente il know how legato alle esperienze e ai processi formativi; – l’organizzazione risente della mancanza di legame affettivo che normalmente si instaura tra il personale e l’utente finale. La grande sfida per le congregazioni religiose • teorico-culturale Alcune organizzazioni per ridurre tale fenomeno stanno tentando di: – individuare, già in fase di reclutamento, il grado di sintonia effettiva tra le aspettative e le motivazioni del singolo lavoratore rispetto a ciò che l’organizzazione può realmente offrire; – sviluppare un maggior legame tra i bisogni professionali della singola persona e gli “stimoli” offerti dall’organizzazione; – maggiore attenzione all’integrazione del personale stipendiato con quello religioso, pur sempre nel rispetto dei ruoli. Riguardo all’ultimo punto, un aspetto importante da considerare sta anche nel creare nell’organizzazione un rapporto tra il personale laico e quello religioso basato realmente sulla cooperazione e non sulla competizione. In generale, quando le congregazioni si presentano poco ricche dal punto di vista degli stimoli di missione e di attività, anche il personale laico tende ad essere poco motivato e incentivato all’innovazione, tanto che in queste realtà non poche persone lasciano l’organizzazione oppure vi restano in condizioni sostanzialmente passive. Anche nelle congregazioni religiose, quando il personale laico è apprezzato e si sente realizzato costituisce una risorsa di grande valore per la missione e per lo sviluppo delle opere, quando invece le persone fanno esperienze contrarie o molto diverse da quelle immaginate (o prospettate loro inizialmente) oppure semplicemente non hanno “ritorni” comunicativi o concreti circa il proprio operato, esse tendono ad abbandonare l’istituto o a restarvi con atteggiamenti più o meno di resistenza. Inoltre anche nelle congregazioni religiose il più grande errore nel quale si può incorrere è porre le persone (religiose e laiche, stipendiate o volontarie) nel luogo sbagliato. Eppure, non sempre ciò si verifica, con problemi: – per il lavoratore, di non soddisfazione, e quindi di demotivazione; – per la congregazione, poiché essa dovrà sempre fare i conti con una persona non motivata, che magari si trova anche in una posizione chiave dell’organizzazione o a contatto diretto con i destinatari della missione; – per gli utenti. 63 area Rapporto tra il personale laico e quello religioso area Partire sempre dalle esigenze del ruolo 64 teorico-culturale • Marco Grumo Il motivo di tutto ciò è che spesso nelle congregazioni religiose la gestione del personale laico e religioso non è ancora adeguatamente sviluppata, mentre molta attenzione è dedicata all’amministrazione, semplicemente perché quest’ultima, a differenza della prima, è imposta dalla legge. Come detto, è invece proprio sulla gestione del personale (soprattutto del personale laico) che si gioca oggi il futuro delle congregazioni. In ogni caso, la scelta della persona da inserire nelle opere deve partire sempre dalle esigenze del ruolo e non da una “rosa chiusa” di persone. Questa è la logica seguita oggi dalle congregazioni che crescono. Inoltre obiettivo della corretta gestione non è garantire solamente le persone giuste oggi, ma, specie per le congregazioni religiose, assicurare anche una corretta successione delle stesse nei ruoli-chiave dell’organizzazione e delle opere. Questo aspetto è stato trascurato da molte congregazioni negli ultimi anni. Ad esempio non pochi istituti europei negli ultimi anni non hanno preparato i giovani, oppure li hanno persi privilegiando ad esempio il criterio dell’anzianità. Giunti a questo punto gli scenari sono sempre due: – o si riduce l’attività; oppure – le congregazioni (o alcune delle opere gestite dalle stesse) devono inevitabilmente aprirsi a un massiccio reclutamento dall’esterno, peraltro sempre in condizioni di urgenza. In particolare, nelle congregazioni religiose di oggi: – il personale costituisce il vero fattore di sviluppo (e distintivo) delle organizzazioni in crescita rispetto a quelle in ‘crisi’: anche per le congregazioni religiose è giunto il momento di investire nelle persone di elevata qualità. Chi lo sta facendo (peraltro ancora in pochi e comunque in modo più guidato dai singoli che dalle politiche di istituto) sta avendo buoni risultati (di missione ed economici), chi invece non lo fa, continua a faticare nella conduzione delle opere; – le opere in crescita dispongono sempre di personale di elevata qualità: in queste congregazioni, contrariamente alle altre, il personale tende a essere motivato, orgoglioso di lavorare per quella istituzione; ottimista; il clima di lavoro è positivo; i giovani sono aiutati e crescere e ad assumere posizioni chiave nell’organizzazione, verso l’interno e verso l’esterno; – il personale non può più essere considerato dalle congregazioni come un costo, bensì deve essere considerato come il mi- La grande sfida per le congregazioni religiose • teorico-culturale gliore degli investimenti, in termini di capacità di produrre ‘ritorni’ sociali, di missione, ma anche economici; un investimento oggi molto più importante di quello nei beni materiali e nei patrimoni, poiché i secondi non generano i primi, mentre i primi alla lunga determinano i secondi; – per disporre di personale di qualità le congregazioni però devono essere in grado di attrarle, e quindi dimostrare di essere organizzazioni ad elevata credibilità e innovazione. Anche gli istituti devono offrire quindi al personale laico un’esperienza professionalmente e umanamente stimolante, certamente non sminuente, magari con atteggiamenti “al ribasso” o eccessivamente orientati alla conservazione. Le congregazioni che attraggono persone non offrono loro stipendi particolarmente elevati, ma semplicemente in linea con il mercato (certamente non più basso, che costituisce sempre un errore), ma soprattutto, offrono alle persone attività e progetti ad elevato contenuto di valori e di imprenditorialità cristiana e sociale, capaci cioè di farle realizzare pienamente; offrono ambienti di lavoro stimolanti ma anche ritmi di lavoro compatibili con la vita familiare. In questo modo le persone si appassionano alla missione, sviluppano idee, creano ambienti collaborativi, ma soprattutto successive generazioni di collaboratori altrettanto validi. – L’esperienza mostra infatti come le persone ‘di qualità’, quando ben reclutate, inserite e gestite dalle congregazioni, innescano nelle stesse un ciclo virtuoso di sviluppo per la missione, per l’economicità, e in generale per tutta la congregazione, capace di “contaminare” positivamente anche il personale religioso. Posto infatti un ambiente non eccessivamente conservatore, sono sufficienti poche persone di alta qualità (laiche o religiose) per cambiare una congregazione (o parte di essa). – Inoltre per preparare le persone giuste è necessario che la congregazione religiosa definisca chiaramente gli obiettivi da perseguire: l’assenza o la non comunicazione degli obiettivi, la sottovalutazione dei processi di pianificazione e programmazione, la non chiarezza delle idee nelle posizioni apicali (siano esse occupate da religiosi o laici), il gestire la congregazione ‘a vista’, oppure il lasciarla nelle mani di una sola persona, costituiscono rischi che possono trasformarsi in seri problemi di continuità. 65 area area 66 teorico-culturale • Marco Grumo – Infine anche nelle congregazioni religiose le persone non devono più essere controllate sulle attività, quanto piuttosto sui risultati che esse raggiungono per gli utenti (bambini, famiglie, anziani, ecc.) in termini di continuità, sostenibilità ma anche “competitività” della stessa congregazione nel tempo. “Salto culturale” 5. Dai consuntivi agli strumenti di pianificazione, programmazione e controllo di gestione specifici per le congregazioni religiose Come accennato, il contesto di riferimento in cui le congregazioni religiose vengono oggi ad operare, è molto più complesso, differente ed esigente rispetto a quello del passato: molti dei problemi che i vertici delle organizzazioni devono quotidianamente affrontare sono completamente nuovi rispetto al passato, e molti problemi, pur essendo “vecchi”, necessitano di essere affrontati e risolti in modo diverso dal passato, con conoscenze e abilità “nuove”. In particolare, le congregazioni devono: – passare dalla logica dell’amministrazione alla logica della gestione; – passare dalla gestione del “contenitore” alla gestione del “contenuto”; – passare dalla centralità del patrimonio alla centralità dei progetti e delle persone; – diventare, da un’ organizzazione sostanzialmente “chiusa”, una vera organizzazione “relazionale” particolarmente attenta alle relazioni con le persone e gli interlocutori critici. Per alcune congregazioni, sia maschili che femminili italiane si tratta di compiere un vero e proprio “salto culturale”. Come detto, il concetto di “amministrazione” deve essere completato da quello di “gestione”. E non si tratta di un passaggio solamente nominalistico, bensì di un cambiamento di sostanza nella conduzione di alcune opere. Anche per le congregazioni religiose, il paradigma della gestione delle opere istituzionali e orientate al mercato è così sinteticamente rappresentabile: La grande sfida per le congregazioni religiose • teorico-culturale Analisi della missione Analisi del contesto esterno Analisi dell’interno Pianificazione dell’attività di medio-lungo termine Programmazione dell’attività di breve termine azione Nel nuovo contesto, la performance religiosa, sociale ed economica, da variabile sostanzialmente indipendente sta diventando sempre più una variabile dipendente da alcune variabili di natura gestionale. Da qui la necessità di gestire e controllare le molteplici determinanti dei risultati anche a mezzo di sistemi di controllo di gestione progettati in modo da “catturare”, misurare, orientare e controllare non solo il livello di performance economica della congregazione, ma anzitutto misurare, orientare e controllare il grado di perseguimento della missione nel tempo, e cioè, della finalità sociale. Attualmente i sistemi di misurazione dei risultati, e in generale di controllo di gestione, sono interpretati dalle congregazioni in modo riduttivo: quando esistenti, essi sono focalizzati esclusivamente sulla variabile “costo”. In particolare, anche per le congregazioni religiose, il processo di controllo di gestione: – non può essere un “prodotto standardizzato”, bensì deve radicarsi su una profonda analisi delle variabili critiche della gestione e quindi delle esigenze informative e di controllo specifiche della singola (congregazione, provincia, casa religiosa od opera): in caso contrario, il rischio è che tale processo divenga una procedura non avente alcun valore aggiunto per la gestione; – deve modificare la propria struttura e composizione nel tempo, in relazione al mutare del contesto di riferimento e delle strategie dell’organo di governo (non si tratta quindi di un processo che può essere condotto in modo statico e immutevole);1 1 Con il mutare dell’ambiente, si modificano le aree critiche della gestione e quindi mutano, di conseguenza, le esigenze informative e di controllo del management dell’organizzazione. 67 area area 68 teorico-culturale • Marco Grumo – deve essere diverso da congregazione e congregazione, ma anche da attività ad attività perché diverse sono le variabili critiche della gestione e le strategie di missione e di natura economica. 6. L’impiego dei sistemi di pianificazione, programmazione e controllo nelle congregazioni religiose Attualmente gli istituti religiosi (non solo italiani, tranne qualche eccezione tuttavia riconducibile più alle decisioni dei singoli che a una vera strategia gestionale di istituto) fanno poco uso degli strumenti di pianificazione, programmazione e controllo della gestione. Da una recente analisi campionaria effettuata mediante interviste dirette su dieci istituti religiosi italiani, di piccole e grandi dimensioni, è emerso infatti quanto segue: Aspetto critico rilevato dalla ricerca Mancata adozione di un sistema di pianificazione, programmazione e controllo presso la congregazione Quando presente, il sistema di pianificazione, programmazione e controllo della congregazione coincide con il controllo dei costi Quando presente, le informazioni sono sistematicamente utilizzate per orientare e controllare l’operato del personale religioso e laico stipendiato Quando presente, il sistema di pianificazione, programmazione e controllo della congregazione produce sistematicamente informazioni per orientare la gestione di medio-lungo periodo e il controllo strategico Quando presente, il sistema di pianificazione, programmazione e controllo della congregazione evidenzia sistematicamente gli scostamenti rispetto agli obiettivi del piano Quando presente, il sistema di pianificazione, programmazione e controllo della congregazione evidenzia sistematicamente gli scostamenti rispetto agli obiettivi del budget Quando presente, il sistema di pianificazione, programmazione e controllo della congregazione misura i costi e i ricavi dell’ente/attività per centro di costo Quando presente, il sistema di pianificazione, programmazione e controllo della congregazione misura sistematicamente il grado di successo sociale dell’attività svolta Frequenza nel campione esaminato 80% 100% 50% 0% 0% 50% 100% 0% La grande sfida per le congregazioni religiose • teorico-culturale Da questa analisi campionaria emerge quindi come nelle congregazioni religiose i sistemi di pianificazione, programmazione e controllo di gestione siano ancora poco diffusi. Del resto fino ad oggi, le congregazioni religiose non hanno avuto significative esigenze di implementarli. Inoltre considerate le peculiarità gestionali di tali istituti e le sfide imposte dal contesto attuale i sistemi di pianificazione, programmazione e controllo delle congregazioni devono essere configurati in modo da misurare: – il grado di equilibrio reddituale della gestione (di religione e culto, delle attività istituzionali diverse da quelle religiose e di quelle tipicamente accessorie); – il grado di equilibrio monetario della gestione; – il grado di efficacia sociale (e in generale il grado di perseguimento della missione dell’istituto – carisma); – il grado di efficienza. Infatti tali sistemi devono essere costruiti avendo a riferimento i seguenti due aspetti imprescindibili della gestione delle congregazioni religiose, e cioè: – il grado di raggiungimento della missione; – il grado di equilibrio economico (di breve e di medio lungo periodo). A tale riguardo le congregazioni possono essere posizionate nella matrice di seguito riportata: ECONOMICITÀ DELLA PERSEGUIMENTO DELLA MISSIONE GESTIONE E OTTENUTO A SCAPITO DELL’ASPETTO PERSEGUIMENTO ECONOMICO (CONGREGAZIONE CHE DELLA MISSIONE) PRESENTA UNA MISSIONE (CONGREGAZIONE REALIZZABILE SOLO NEL BREVE IN GRADO DI DURARE PERIODO) Grado di (III) perseguimento NEL TEMPO IN CONDIZIONI DI AUTONOMIA) (I) della missione Alto (carisma) EQUILIBRIO ECONOMICO OTTENUTO A SCAPITO DEL PERSEGIMENTO DELLA MISSIONE (ATTEGGIAMENTO LESIVO DELLA FINALITÀ ORIGINARIA DELL’ISTITUTO RELIGIOSO) (II) MANCATO PERSEGUIMENTO DELLA MISSIONE E DISEQUILIBRIO ECONOMICO (SITUAZIONE PEGGIORE IN ASSOLUTO) (IV) basso Alto Grado di equilibrio economico basso 69 area area 70 teorico-culturale • Marco Grumo Certamente la situazione più problematica è quella rappresentata nel quadrante (IV). Quella migliore è rappresentata invece nel quadrante (I), mentre le situazioni intermedie sono rappresentate nei quadranti (II) e (III), anche se per una congregazione religiosa, la situazione indicata nel quadrante due è ancora più pericolosa rispetto a quella del quadrante tre, poiché l’aspetto problematico in questo caso non è quello economico, bensì il grado di “smarrimento” della missione. I sistemi di controllo di gestione devono evidenziare quindi in quale quadrante la congregazione si colloca in un preciso momento del proprio ciclo di vita: a un diverso quadrante, corrispondono infatti diversi problemi di gestione e quindi diverse strategie di gestione delle opere. Inoltre i sistemi di pianificazione, programmazione e controllo di gestione per risultare realmente efficaci in una congregazione religiosa, devono avere ad oggetto tutta la gestione dell’istituto e non invece singole parti della stessa (singole case, singole province o singole attività). Ciò che è importante infatti nel nuovo contesto è passare a una gestione coordinata, unitaria e prospettica Gestione coordinata, di tutta la congregazione, sia sul piano nazionale che internazionale, seppure sul piano operativo declinata secondo il tradizionaunitaria e prospettica le principio di autonomia delle province. I sistemi di pianificazione programmazione e controllo delle congregazioni religiose devono avere ad oggetto contemporaneamente: le risorse tangibili, il personale (laico, religioso, stipendiato e volontario), le attività e i progetti realizzati (di religione e culto e diverse), la dimensione economica, la relazione con gli stakeholder critici, la relazione con i destinatari diretti ma anche, come detto, il grado di perseguimento della missione, come mostra la figura seguente, ottenuta adattando il modello generale della business balanced scorecard di Kaplan e Norton allo specifico mondo delle congregazioni religiose. Missione (Carisma) Destinatari diretti Interlocutori critici Dimensione economica Attività/progetti Risorse tangibili Risorse intangibili La grande sfida per le congregazioni religiose • teorico-culturale Come evidenziato dalla figura, i progetti e le attività realizzate (più o meno direttamente) dalle congregazioni religiose costituiscono solo un “tassello” (seppur importante) della gestione, così come la dimensione economica. Da qui l’insufficienza dei sistemi di controllo focalizzati esclusivamente sulla dimensione di progetto/attività oppure solamente sulla dimensione economica, in particolare sui costi. Questo spiega anche il motivo per cui oggi pochi di tali istituti risultano veramente sotto controllo. Anche i sistemi di qualità, progettati con riferimento alle specifiche attività svolte anche dalle congregazioni religiose (in primis quelle scolastiche) non sono assolutamente sufficienti e richiedono di essere intergrati in una logica di gestione, e quindi nell’ambito di strumenti di management, più ampi. Più in generale, le congregazioni religiose necessitano oggi di sistemi di pianificazione, programmazione e controllo che abbiano ad oggetto almeno tre dimensioni fondamentali e integrate tra loro: 1. la dimensione di missione e delle relazioni con gli stakeholder critici dell’istituto; 2. la dimensione economica della gestione e delle risorse tangibili (patrimoniali); 3. la dimensione delle attività e dei progetti. a) La dimensione di missione e della relazione con gli stakeholder critici La definizione e progettazione di un sistema di pianificazione, programmazione e controllo della dimensione di missione e della relazione con gli stakeholder critici rappresenta oggi sicuramente la più difficile, ma anche la più necessaria. La missione (carisma) costituisce infatti il vero “DNA” di una congregazione rispetto alle altre, e in quanto tale, essa deve essere preservata, valorizzata e concretamente rispettata nelle decisioni operative. La dimensione di missione non può più costituire un aspetto “teorico” sganciato dalla gestione di tutti i giorni, specie ai livelli più bassi della piramide organizzativa. Anzi essa deve costituire un aspetto centrale dei sistemi di pianificazione, programmazione e controllo della gestione delle congregazioni: un aspetto attualmente trascu- 71 area Sistemi di pianificazione, programmazione e controllo area 72 teorico-culturale • Marco Grumo rato dai sistemi di controllo di gestione. Infatti redigere piani strategici, programmi operativi o progettare sistemi di controllo di gestione per le organizzazioni non profit che non tengano conto dei valori e del grado di perseguimento della missione nel tempo, equivale di fatto a non porre concretamente la missione (e per le congregazioni, il carisma) al centro della gestione “vivente”: un rischio che aumenta in modo esponenziale nelle congregazioni di grandi dimensioni, di lungo corso e aventi carattere internazionale, specie quando alla gestione diretta da parte dei religiosi ne subentra una fondata sempre più sul personale laico. In alcune realtà più problematiche, la missione rischia talvolta di essere celebrata ma non realmente vissuta da parte di tutti i membri dell’organizzazione; rischia di restare sullo sfondo, oppure esclusivamente nei “piani alti” o solo nella sempre più stretta cerchia dei religiosi, mentre poi la gestione viene indirizzata, condotta e controllata dai sistemi di pianificazione, programmazione e controllo in relazione ad altri parametri. Fino a quando la missione non entrerà direttamente e concretamente negli strumenti di management (e a cascata nei processi di rendicontazione, ad esempio nella forma del sistematico utilizzo dello strumento bilancio di missione) delle congregazioni, essa costituirà sempre una missione “a rischio”. Missione “a rischio” Per questo motivo, la missione deve essere esplicitata, tradotta in termini operativo-gestionali, declinata con riferimento alle specifiche attività realizzate dalla congregazione, ma anche tradotta in strategie relazionali e obiettivi concreti da assegnare alle persone (insieme agli obiettivi tecnici di attività, di compliance ed economici): obiettivi anch’essi da raggiungere e monitorare nel tempo. Solo in questo modo il carisma delle congregazioni potrà realmente trasformarsi da un insieme di enunciati di carattere generale a un sistema di obiettivi realmente indirizzanti per il personale religioso e laico e quindi verificabili nel tempo e nello spazio. Ciò implica l’effettuazione di un processo metodologico di “operazionalizzazione” della missione indicata dai fondatori con riferimento ai molteplici contesti geografici, temporali e di attività in cui la congregazione opera. Tale processo, non agevole, di declinazione del carisma “teorico/teologico” nel carisma “operativo/gestionale” necessario per la costruzione di strumenti di gestione realmente efficaci per le congregazioni religiose è di seguito sintetizzato. La grande sfida per le congregazioni religiose • teorico-culturale La necessità di passare da un carisma “teorico” a un carisma “operativo” 1 Valori/missione dell’Istituto in termini di rapporto con i molteplici destinatari della missione e stakeholders (missione principale e derivate a livello di ente) 2 3 Missione attività 1(nei confronti degli utenti e dei vari stakeholder) Missione attività 2 (nei confronti degli utenti e dei vari stakeholder) Strategie attività 1 (nei confronti degli utenti e dei vari stakeholder) Strategie attività 2 (nei confronti degli utenti e dei vari stakeholder) Missione attività …… (nei confronti degli utenti e dei vari stakeholder) Strategie attività …… (nei confronti degli utenti e dei vari stakeholder) A) Obiettivi operativi triennali e annuali B) Risultati annuali Sistema di controllo di gestione fondatiosulla missione C) B-A Scostamento b) Il controllo della dimensione economica delle congregazioni religiose Più tradizionale invece il controllo della dimensione economica delle congregazioni religiose, in relazione alla quale sono richiamabili i principi e gli strumenti tipici degli istituti non profit, seppure con alcune specificità. Infatti anche per le congregazioni religiose, la dimensione economica può essere indagata calcolando alcuni indici da applicare ai bilanci di esercizio, al bilancio “consolidato” della congregazione, ma anche ai documenti di pianificazione e programmazione economica-finanziaria. In particolare, ai fini del controllo del grado di solidità patrimoniale e finanziaria della congregazione è possibile calcolare i seguenti quozienti di sintesi: – rapporto di indebitamento della congregazione (mezzi di terzi/mezzi propri); – grado di copertura dell’attivo fisso netto e margine di struttura (mezzi propri + passività consolidate)/immobilizzazioni; – tasso di variazione del capitale investito dalla congregazione (capitale investito finale - capitale investito iniziale)/capitale investito iniziale; – tasso di auto finanziamento (risultato economico netto/mezzi propri). 73 area area 74 teorico-culturale • Marco Grumo L’analisi della liquidità aziendale invece può essere effettuata dal sistema di controllo di gestione componendo i seguenti indici (sia a preventivo che a consuntivo): – l’indice di liquidità primaria (disponibilità liquide + liquidità differite)/passività a breve); – il margine di tesoreria (disponibilità liquide + liquidità differite) - passività a breve); – la liquidità netta (disponibilità liquide attive - disponibilità liquide passive); – l’indice di liquidità secondaria (attivo a breve/passività a breve); – il capitale circolante netto (crediti verso clienti + magazzino) - debiti verso fornitori); – gli indici di liquidità calcolati sui flussi monetari della gestione caratteristica corrente. Quanto invece alla misurazione della redditività delle attività diverse da quelle di religione e culto realizzate dalla congregazione religiosa (es. attività scolastica, assistenziale, sanitaria, ecc.) svolte, di fatto, è possibile ricorrere ai tradizionali indicatori di redditività definiti dalla teoria economico-aziendale. Chiaramente uno specifico ragionamento dovrà in questo caso essere effettuato in relazione alla fase interpretativa. Come già detto infatti l’aspetto rilevante nelle congregazioni religiose, non è il minor valore degli indici di redditività rispetto alle imprese profit operanti nello stesso settore di attività, quanto piuttosto che essi siano rappresentativi di una situazione di equilibrio economico generale prospettico dell’organizzazione, siano in linea con gli indicatori mostrati da omologhe attività non profit, e soprattutto siano abbinati a un elevato livello di perseguimento della missione. La grande sfida per le congregazioni religiose • teorico-culturale 75 Valutazione della dimensione economica delle attività di “mercato” (diverse da quelle di religione e culto) realizzate dalle congregazioni religiose (scuole, ospedali, strutture assistenziali, ecc.) Alto Situazione ottimale ROE e ROI insufficienti a sviluppare le attività nel futuro, specie in un contesto competitivo Grado di perseguimento della missione basso ROI E ROE sono stati ottenuti a scapito della finalità sociale (atteggiamento da evitare e lesivo della missione della congregazione) Alto ROI, ROE e livello di missione insufficienti (situazione peggiore in assoluto per la congregazione religiosa) Livello di redditività delle attività di “mercato” basso Come sempre, il quadrante I rappresenta la situazione ottimale; il quadrante IV la situazione peggiore per le congregazioni religiose. I quadranti II e III rappresentano invece una situazione con un deficit in una sola delle due dimensioni critiche. Molto diversa invece la valutazione della dimensione economica dell’attività di religione e culto (inclusa l’attività caritativa) realizzata dalle congregazioni, con riferimento alle quali invece i tradizionali indicatori di redditività non trovano applicazione. Infatti queste attività fondamentali delle congregazioni religiose non sono rivolte in nessun modo al mercato. Inoltre, in non pochi casi, gli oneri superano i proventi. A differenza dell’attività sanitaria, di casa di riposo e scolastica, in relazione alle attività di religione e culto e caritative la grandezza reddito perde tutta la sua espressività, e a cascata, li perdono i tradizionali indicatori di redditività (Roi e Roe). c) La dimensione di attività/progetto Terzo “pilastro” del sistema di pianificazione, programmazione e controllo di gestione delle congregazioni religiose è costituito dalla dimensione di attività/progetto. area area 76 teorico-culturale • Marco Grumo Per quanto concerne le attività (e quindi anche i singoli progetti), essi possono essere: – attività/progetti di religione, culto e caritevoli; oppure – attività/progetti diversi da quelle di religione e culto (es. scuole, ospedali, ecc.). Di fatto, a livello complessivo di congregazione religiosa, l’economicità del singolo istituto (oppure della provincia o della casa religiosa) è pari alla sommatoria del grado di economicità delle singole attività/progetti, e più precisamente, alla somma algebrica dei margini di contribuzione di II livello generati dalle stesse, al netto dei costi di struttura, i quali sono inoltre sempre più rilevanti2. Struttura Consente di realizzare di: S attività/progetti Controllo di gestione a livello di (progetto/attività) Costi operativi di attività Ricavi di attività MDC di progetto (ricavi specifici-costi specifici) Costi di struttura Controllo di gestione a livello aziendale Ciò implica che il sistema di controllo dei costi delle congregazioni religiose debbano avere ad oggetto, al medesimo tempo: – costi di struttura dell’istituto; – i costi operativi delle singole attività/progetti. Inoltre, con riferimento a ciascun progetto/attività rivolta al mercato è utile anche che il sistema di controllo di gestione evidenzi sempre punto di pareggio (BEP- Break Even Point) a quantità e/o 2 Per margine di contribuzione di II livello prodotto da ciascun progetto si intende la differenza tra ricavi di progetto e i costi variabili e fissi specifici (di progetto). Il margine di contribuzione di II livello esprime quindi il contributo netto prodotto da ciascun progetto alla copertura dei costi fissi di struttura. La grande sfida per le congregazioni religiose • teorico-culturale a valore, così come è necessario che la congregazione inizi ad elaborare sistematicamente budget e piani economico-finanziari. Un esempio di piano Economico delle attività/progetti realizzati dalle congregazioni religiose Anno 1 Anno 2 Anno 3 Anno 4 Ricavi attesi tipo (a) + Ricavi attesi tipo (b) + Ricavi attesi tipo (c) + Altri ricavi (A) RICAVI TOTALI ATTESI DEL PROGETTO (-) Acquisto di materie prime (-) Costi per servizi (elettricità, acqua ecc.) (-) Altri costi (-) Costo del personale (B) COSTI OPERATIVI TOTALI DEL PROGETTO (C) MARGINE OPERATIVO LORDO (A-B) ATTESO DEL PROGETTO (-) Ammortamenti beni materiali (-) Ammortamenti beni immateriali (D) TOTALE AMMORTAMENTI E ACCANTONAMENTI (E) MARGINE OPERATIVO NETTO (C-D) ATTESO DEL PROGETTO Anno 5 Anno … 77 area area 78 teorico-culturale • Marco Grumo Un esempio di piano finanziario attività/progetti realizzati dalle congregazioni religiose Anno 1 Anno 2 Anno 3 Anno 4 (-) Investimenti tipo (a) riferiti al progetto (-) Investimenti tipo (b) riferiti al progetto (-) Investimenti tipo (c) riferiti al progetto (-) Investimenti tipo (…)riferiti al progetto (A1) TOTALE INVESTIMENTI RIFERITI AL PROGETTO (A2) IVA SU INVESTIMENTI (A) TOTALE FLUSSI DI CASSA RIFERITI AGLI INVESTIMENTI NECESSARI PER IL PROGETTO (A1+A2) (B) +/- MARGINE OPERATIVO LORDO DEL PROGETTO (C) +/- VARIAZIONE DEL CAPITALE CIRCOLANTE NETTO (D) FLUSSO DI CASSA OPERATIVO DEL PROGETTO (A+B+C) (-) (E) IMPOSTE SUL REDDITO (CALCOLATE SUL MARGINE OPERATIVO NETTO) (F) FLUSSO DI CASSA OPERATIVO NETTO DI PROGETTO NETTO (D+E) (+) DEBITI DI FINANZIAMENTO SPECIFICI PER IL PROGETTO (-) RIMBORSI QUOTA CAPITALE LINEA DI CREDITO (-) INTERESSI FLUSSO DI CASSA GENERATO NEL PERIODO DAL PROGETTO Anno 5 Anno … La grande sfida per le congregazioni religiose • teorico-culturale La redazione dei piani economico-finanziari delle attività/progetti (istituzionali e accessori) consente alla congregazione religiosa di calcolare ex ante alcune misure di convenienza economico-finanziaria delle attività, quali: – il valore attuale netto (VAN) dell’attività/ progetto, pari alla somma algebrica tra ricavi e costi prospettici attualizzati; – il tasso interno di rendimento (TIR), e cioè il tasso di attualizzazione che rende identici i flussi positivi e negativi di un’attività/progetto realizzata dalla congregazione (VAN = 0); – il pay back period, pari al numero di periodi che è necessario attendere, affinché i flussi positivi delle attività/progetti compensino le uscite sostenute. Inoltre è importante che le congregazioni religiose inizino anche a redigere veri e propri conti economici parziali delle attività/progetti (di religione e culto ma soprattutto diverse) simili a quello seguente: Un esempio esempio di di conto economico di attività/progetto attività/progetto per le congregazioni religiose per le congregazioni religiose Es. Progetto 1 1. 2. RICAVI COSTI VARIABILI OPERATIVI 3. I MDC PROGETTO (3=1-2) 4. COSTI VARIABILI COMMERCIALI 5. I MDC OPERATIVO PROGETTO (5=3-4) 6. ALTRI COSTI FISSI SPECIFICI 7. II MDC OPERATIVO DELL’ATTIVITÀ/PROGETTO (5=3-4) 8. COSTI FISSI COMUNI 9. REDDITO OPERATIVO ATTIVITÀ/PROGETTO (9=7-8) Obj. Cons. Var. 7. Considerazioni conclusive: nuova gestione e nuovi strumenti. L’importanza della ricerca economico-aziendale Il presente contributo ha carattere introduttivo e sarà seguito da ulteriori approfondimenti. Esso si riferisce a un comparto storico e rilevante del mondo non profit, rappresentato dalle congregazioni religiose, le quali si trovano oggi in un momento di grande cam- 79 area area Strumenti di management nuovi e specifici 80 teorico-culturale • Marco Grumo biamento che richiede di essere supportato da una ricerca economico-aziendale specifica, innovativa ma soprattutto solida. Le congregazioni religiose necessitano di strumenti di management nuovi e specifici, capaci di “catturare”, misurare, orientare e controllare non solo la performance economica, bensì anzitutto misurare, orientare e controllare il grado di perseguimento della missione nel tempo. Per quanto concerne gli aspetti economici, per le congregazioni religiose diviene sempre più necessario valutare la sostenibilità prospettica degli investimenti e delle opere; la capacità di generare cash flows; il grado di indebitamento prospettico/sostenibilità del debito. Le attività di religione e culto, e in generale caritatevoli, realizzate dalle congregazioni religiose sono spesso in perdita o al massimo in pareggio. Per questo motivo diviene sempre più necessario affiancare ad esse iniziative aventi maggiore carattere imprenditoriale, volte a produrre margini di contribuzione positivi. Il problema è tuttavia più generale. Le congregazioni religiose italiane, e in generale europee, sono chiamate a modernizzare i propri modelli e strumenti di gestione: un aggiornamento necessario per la continuità delle opere. Molte opere religiose infatti soffrono o chiudono non per obsolescenza della missione o per carenza di vocazioni, ma solo per la mancanza di un intervento dei vertici sul modello e sugli strumenti di gestione delle congregazioni. Un intervento sempre più necessario che è compito anche della ricerca economico-aziendale supportare adeguatamente. 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