Capitolo 1: Julia e il Signore dei Topi Salve caro diario. Sono Julia e
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Capitolo 1: Julia e il Signore dei Topi Salve caro diario. Sono Julia e
Capitolo 1: Julia e il Signore dei Topi Salve caro diario. Sono Julia e voglio raccontare a qualcuno tutta la verità su di me. Mia madre non è mai esistita, sono una figlia illegittima… I nobili si sentono autorizzati ad avere un harem qui a Calusoina… Ebbene, sir Felix Calados era un servo della chiesa di Heironeus, uno dei tipici uomini che anche a quarant’anni non si sentono abbastanza vecchi e ammuffiti per posare l’armatura e la spada. Mio padre… Che palle di uomo… Il tipico Calusoiniano testa calda, sempre arrabbiato e fissato con le sue burocratiche regole da nobile. Lui se l’è sudata la sua nobiltà, a quel che dice ha combattuto con draghi, orchi e mostri… E a me che me ne importa? Io sono una colomba. Non posso stare rinchiusa in una gabbia, voglio volare alta nel cielo. Mio padre non mi permetteva di volare alta nel cielo. Ok ok sto divagando: una cosa alla volta: non devo commentare al presente quello che è successo nel passato… Dicevamo: dall’infanzia, il mio migliore amico è sempre stato Lohan, il figlio di (----), un altro palloso nobile come mio padre. Un incantatore, uno di quelli che ammuffiscono sui libri per studiare a memoria delle formule incomprensibili… Non hanno proprio niente di meglio da fare? Oh, almeno Lohan fa qualcos’altro oltre che stare ore e ore a studiare sui libri… Stupidi maghi. A me la magia non viene così difficile: Lohan mi ha insegnato un paio di formule perché dice che io ho talento, dice che sono portata naturalmente per la cosa, probabilmente ho il sangue di qualche bestia strana nelle mie vene- un avo lontano drago o demone dice lui… Bah, vallo a capire. Beh, fino alla tenera età io e Lohan eravamo amici per la pelle, e raramente uscivo dalla tenuta di mio padre… Tutte le mie emozioni, le mie gioie, le mie paure, erano tutte condivise in quel bambino. Mi aveva promesso di sposarmi, di proteggermi per sempre dai mostri e dagli zingari… Eravamo teneri all’epoca… Lui però era un maschio, avrebbe ereditato la torre, i suoi averi, tutto… Lui era libero di uscire- seppur accompagnato- in strada, era libero di vedere il mondo, e quello che mi raccontava delle strade, del mercato, degli zingari, mi incuriosiva un sacco. Poi, un giorno, un servo venne a dirmi che Lohan non c’era più: era andato ad un’accademia di magia a Madain Talef; l’avrei rivisto tra 10 o 15 anni forse, o forse non l’avrei mai più rivisto. Piansi quel giorno, maledicendo la magia, maledicendo i nobili, maledicendo mio padre. Scappai di casa, intrecciando le lenzuola mi calai dalla finestra: avrei esplorato il mondo per conto mio. Avevo undici anni quella volta, quella prima volta… Vidi le strade, vidi il mercato, vidi gli zingari. Lohan me li aveva descritti come banditi sporchi e cattivi… Ma io non mi sono mai fidata troppo del giudizio degli altri: ognuno giudica le cose dal suo punto di vista, e il mio si era rivelato molto diverso da quello di Lohan… Scommetto perché quelle cose gli sono state date per buone dai nobili. Non mi piacciono i nobili, si credono l’incarnazione della giustizia sulla terra e poi disdegnano i Quadesh, i loro cugini dispersi da tempo… Bastardi. Mi parlò un bambino zingaro. “Ciao bambina, come ti chiami?” Aveva un accento strano, una parlata fluente e incalzante, non che parlasse male il linguaggio commerciale universale, solo che lo faceva con un’impostazione di voce strana, che io non avevo mai sentito, se non qualche rarissima volta da alcuni servitori a palazzo. “Sono Julia… Tu chi sei?” “Soy Ermes. Porque piangi?” Capiì il significato di quelle parole per senso, anche se mi rendevano sempre più confusa e se dobbiamo dirla tutta un po’ impaurita. “Porque il mio amico è partito per sempre…” “E beh? Non puoi andarlo a trovare? Magari insieme con altri amici…” Quella frase mi suonò strana: avrei davvero potuto andarlo a trovare? Davvero potevo farlo, se lo volevo? Mio padre non me l’avrebbe mai permesso credo… Fu terribile dopo. Mio padre arrivò coi soldati e catturò me ed Ermes: a lui furono tagliate le mani ed io fui messa in punizione. Diceva che lui mi aveva rapita… Riuscì a tenermi buona per un sacco di tempo. Se per un attimo la mia voglia di vivere e di vedere il mondo oltre a quei tendaggi, così simili ahimè ai miei occhi alle gabbie di una prigione… Se per quel giorno triste avevo creduto che fosse possibile vivere in libertà, se per un giorno la colomba aveva spiegato le sue ali, per cinque lunghi anni le tenne ripiegate. In cinque anni dimenticai ciò che era successo, anche se la vista di quel povero bambino con le mani mozzate che piangeva e veniva malmenato dai soldati mi stringerà per sempre il cuore. Ero sul letto, leggevo- mio padre mi voleva insegnare la stupida lingua degli angeli, il linguaggio dei piani celestiali (o più semplicemente il celestiale). Mi annoiavo, ma la noia non mi faceva soffrire- ne ero così abituata. A un certo punto però sentì qualcosa venire dalla finestra, un rumore strano, un flauto credo. Sì, un flauto melodioso che suonava una musica altamente strafottente, che sembrava dire “Fate quel che volete che a me non cambia niente. Io vivo bene così”. Fui come richiamata alla finestra, incantata da quella musica… Quadesh. Vidi sotto un ragazzo coi capelli neri, avrà avuto meno di vent’anni, carnagione scura, uno sguardo sorridente che da solo poteva conquistare il mondo. Stava guardando dritto verso la mia finestra. “Tu sei Julia, vero?” “Sì… Sì sono io, perché? E tu chi sei?” “Oh, io sono io, che domande sono? Non vedi? Sono il signore dei topi, tutti mi conoscono!” Quella risposta era assurda, assolutamente assurda: come potevo conoscerlo? Ma forse l’aveva fatto apposta… “Allora signorina Julia, brucia ancora?” “Eh?” “Voglio dire per Ermes…” Che stronzo… Aveva riaperto in me una ferita che avevo creduto di essere riuscita a lenire… “Stai tranquilla piccola: Ermes sta benissimo adesso, ha trovato un ottimo paio di mani di legno e non ce l’ha con te.” “…” “Sai, noi Quadesh sappiamo essere felici. Dopo duemila anni di schiavitù questa ci sembra un reggia.” Non era sarcastico, sorrideva. Noi Quadesh sappiamo essere felici… “Allora, ti piace la musica?” “Si è molto bella…” “E tu sai suonare?” “No, veramente io…” “Oh, certo che voi nobili non sapete fare proprio un cazzo…” ”Ehi, non mi chiamare nobile!!!” Aveva risvegliato in me un qualcosa di strano, aveva allentato il nodo di senso di colpa che legava le ali della colomba. Probabilmente era quello il suo scopo, perché sorrise. “Allora, non scendi?” “E come?” “Come cinque anni fa. O hai disimparato anche a fare queste piccole fughe?” “Te lo faccio vedere io se ho disimparato!” Non so cosa mi prese, ma senza avere motivi razionali presi le lenzuola e ripetei la fuga fatta tempo prima. So solo che scesi da quella finestra, trascinata dalla sua provocazione, e ancora una volta sorrise, conscio di aver fatto centro. Mi resi conto di essere nelle sue mani, e più avrei tentato di dimostrare il contrario più avrei fatto il suo gioco… Quel ragazzo aveva un notevole savoir-faire. Mi fece visitare la strada, mi fece vedere uno scorcio di mondo. Andai più lontano dell’altra volta, decisamente più lontano. Ovviamente venne più volte da me: veniva praticamente una volta a settimana, e come era facile aspettarsi, io passavo tutta la settimana ad aspettare quei momenti- che tra l’altro non erano affatto regolari ma sempre improvvisi seppure opportuni, proprio come imparai ad aspettarmi da quell’uomo bizzarro. Sì, stava slegando le ali alla colomba, che presto avrebbe volato nel cielo più alta di tutti. Ottenni la complicità di una serva- una brava donna. Man mano che i giorni passavano la mia apertura alare sfregava sempre di più contro le pareti di quella prigione. I discorsi con mio padre mi hanno fortificato un sacco: all’inizio era difficile stargli dietro, lui aveva l’autorità dalla sua, ed imparai che era tosto a modo suo, o perlomeno cocciuto; dopo un po’ però, sia per l’influenza negativo-positiva del Rattaio sia perché la colomba tutto sommato era brava a volare, cominciai a tenergli testa, e lui mi odiò ancora di più per questo. Non che non le avessi pagate: una volta mi tenne due mesi segregata in una torre del palazzo a far niente tutto il giorno. Credo che per due mesi tenni il sorriso sbeffeggiante sulle labbra, pur essendo incazzata, giusto per averla vinta: quella fu la mia prima grande vittoria. Ovviamente il Signore dei Topi lo sapeva già, mi fece i complimenti anche se sarcasticamente. Una volta lui non si fece vivo per un mese, e io decisi di andarmene per conto mio: visitai le strade da sola, lo andai io a cercare. In effetti credo proprio che fosse quello il suo piano: mi aveva cambiata molto, mi aveva risvegliata. No, non è giusto dire che mi aveva cambiata: egli mi aveva dato l’opportunità di cambiarmi. Io mi ero cambiata. “Ma porque se chiama Signore dei Topi? Non me l’ha voluto spiegare…” (avevo assunto una leggera parlantina Quadesh, che ovviamente a palazzo trattenevo se non con la serva). ”Ma non lo sai? Pare che abbia un flauto magico che possiede l’abilità di richiamare a se un sacco di topi…” “Ma qual è il suo vero nome?” “E chi lo sa?” No, non era un Quadesh qualsiasi… Una specie di leggenda metropolitana. Eppure, anche se nessuno sapeva nulla di lui, si sentivano tutti suoi fratelli- è questo lo spirito dei Quadesh. Lo amavo, credo… Non lo so, non è facile dare una definizione perfetta di amore: è stupido dire che una persona mi fa provare qualcosa. A me quasi tutte le persona fanno provare diverse sensazioni- quasi tutte le persone sono diverse. Infatti ho fatto l’amore con molte persone, se dobbiamo metterla in questi termini, non per infedeltà- molti mi definiscono sgualdrina- ma perché io sono così, punto e basta. Lohan soffre tanto di questo comportamento…….. Beh, il mio primo rapporto fu con lui. Per me il primo per lui chissà, pensavo, forse il decimo o perché no il centesimo. Chissà se fa così con tutte o se conto qualcosa per lui? Un tempo mi facevo queste domande… Ora so trovare da sola le risposte, o se non da sola ho degli amici che mi aiutano a trovarle. “Perché ti interessi così tanto a me?” Quella volta fu lui a darmi le risposte. Il suo viso così sarcastico riusciva, pur restando immensamente beffardo, era molto dolce. Eravamo nudi sotto le coperte in quella casa abbandonata che lui aveva scelto come luogo del mio delitto. Avevo diciassette anni e andavo verso i diciotto. “Noi si abbandona mai una sorella” “Non mi sembra che tu mi tratti come una sorella… Abbiamo appena scopato!” “Ma come siamo volgari… Parli proprio come una Quadesh…” “Io non sono una Quadesh… Purtroppo…” Il suo seguente sorriso fu per me indecifrabile. “Ti sei mai chiesta chi fosse tua madre?” Sentii crollarmi il mondo addosso. Ero felice di essere parte di quel popolo che tanto avevo imparato ad amare, ma al contempo questa rivelazione su un problema che tra l’altro non mi ero mai posta né nessuno mi avesse mai fatto porre… Entrarono le guardie di casa Caladas, entrarono le lance e l’odio verso i Quadesh. Entrò Sir Felix, mio padre. Pensai che fosse giunta la fine, quando Il Signore dei Topi, che anche questa volta aveva la risposta pronta, saltò su una trave lì vicino e li attirò a sé. Non so come fece, credo fosse anche un discreto mago. Fatto sta che lo inseguirono per le scale, e mentre una guardia si avvicinava a me, lui che li aveva già portati sul balcone o chissà dove sbucò da sopra e li intrattenne. “Scappa Julia, rivestiti y scappa!” “No, per diamine, non un'altra volta!” “Ehi, ma per chi mi hai preso?” Era preoccupato. Probabilmente non l’aveva programmato, questo. Non l’avevo mai visto preoccupato. Era circondato da tutti i lati, almeno sei uomini attorno… Prese il flauto, suonò le note di un motivetto strano ed esotico. Arrivarono. Erano centinaia, forse migliaia: i ratti occuparono tutto l’edificio e lui, dall’alto di una balconata su cui era appena salito, stava lì a contemplare le guardie impazzite in mezzo a quel branco di topi, che stavano dando a me e a lui la via di fuga. Stava continuando a suonare con uno sguardo spaventosamente autoritario. “Scappa Julia, por favor!” Mi rimisi in fretta il vestito, alla menopeggio, e scappai in strada. Le guardie mi stavano inseguendo, ma ad un certo punto eccoli, invisibili come ombre, portarmi via, trarmi in salvo, combattere le guardie di palazzo. Erano i Quadesh, non avevano neppure un viso; eppure, erano furtivi come topi, e agili come gatti, e i cani furono troppo stupidi per prenderli- o per prendere me. “Non preoccuparti, ce la farà.” Mi venne dato un cavallo e io corsi, persa, non sapendo cosa fare, dove andare, perché, non avendo più nulla senza di lui…… Ce la farà…. Sentii una melodia dolce, melanconica ma al contempo allegra, all’orizzonte. Mi stava dando l’addio. Forse era lì, sul tetto di una casa, con il suo flauto. Ora che mi ci fai pensare, non lo rividi mai più. Capitolo 2: Lohan e Adone Credo che Lohan sia la persona che amo, ma non mi piacciono i legami fissi. Perché se voglio ricevere l’amore di una persona non posso ricevere quello delle altre migliaia di migliaia di persone del mondo? Perché se voglio amare una persona mi è preclusa la possibilità di amare tutto il resto del mondo? Questo proprio non lo capisco di te, Lohan. La gelosia non fa per me, e mi fai arrabbiare quando fai così. Ciò non toglie che io ti voglia bene. Ero sola e sperduta, e mi ricordai di getto che tu eri l’unica cosa che mi era rimasta. Galoppai verso quella torre, e in quell’ultimo galoppo erano riposte tutte le mie speranze, tutto il mio futuro. Qual’era il mio futuro poi? Boh. Non lo sapevo. Avrei scoperto solo dopo che è sempre meglio non sapere cosa riserva il futuro, perché una vita già programmata è come una vita già vissuta, non vale la pena di viverla (insomma, mi sono spiegata…..). Arrivai nella grande torre spalancando le porte, chiedendomi che cazzo ci facessi lì. Ci riconoscemmo subito. Gli occhi di me e di Lohan non erano cambiati: i suoi occhi erano sempre stati il mio rifugio, la mia casa, l’unico luogo che mi facesse sentire protetta. Mi sarebbero mancati qualche anno dopo, ma in quel momento non lo sapevo. Restai alcuni secondi lì a bocca aperta, restai alcuni secondi a fissarti mentre era in atto una cerimonia. “Lohan, salvami: mio padre si è arrabbiato, è successo un guaio…. Vieni con me, scappiamo! Basta questa nobiltà! Basta questi impegni! Andiamo via, io e te!” Tutti i maghi nella sala mi guardarono restando a bocca aperta, tutti, Lohan incluso. Il più veloce a chiuderla fu suo padre, che però la riaprì (purtroppo) subito: “Signorina Calàdos, che cosa sta facendo qui? Lei non può permettersi di…” In quel momento devo a te il cambiamento della mia vita: tu, non ho mai capito bene come, facesti quel gran casino, tu mi prendesti per mano e mi facesti scappare… Quel giorno hai letto nei miei occhi. Grazie, Lohan. Viaggiammo molto, fino a notte, e la notte ci baciammo, ci amammo. Fu tanto bello… Dovresti farlo più spesso… Passione pura scaturita dai occhi, dalle tue mani… Da tutto il corpo… Da tutta l’anima… Eppure… Anche se quel “fuoco” che c’era tra di noi quella sera era tanto caldo, col Signore dei Topi era diverso… Era… No, povero Lohan, dopo tutto quello che gli ho fatto passare non posso fare così. Non devo pensare a queste cose! Non è giusto nei suoi confronti, povero piccolo mio… Viaggiammo per il deserto, non fu facile, raggiungemmo una piccola città un po’ periferica e andante. Non c’erano molti Quadesh, ma era di notevole importanza quell’abbazia di Olidammara di cui tanto i nobili sparlavano… Eravamo una coppietta tenerissima, tutti tristi e incupiti, quando bussammo a quella porta; quando entrammo, eravamo una coppietta allegra. Non si può non venire trascinati dall’ondata di cordialità che sprizza da un tempio di Olidammara. L’uomo che ci aprì la porta era alto, capelli biondi scuri ed abiti sospettosamente attillati. Non ci facemmo molto caso, allora; avevamo altro a cui pensare, e poi non si sarebbe detto che Adone era bisex. “Prego, viaggiatori, vi vedo parecchio stanchi… Seguitemi, vi offro da bere!” “E da mangiare!” aggiunse Lohan “Ah già, mangiare… Beh sì anche.” Scendemmo in una tavernetta infestata da un tremendo odore di vino e dove schiamazzi e risa andavano mischiandosi con allegre fanfare per creare quel clima che mi avrebbe insegnato la serenità. Ci unimmo alla festa, ballammo, bevemmo (soprattutto io). Nel primo bicchiere di vino gettammo via il passato, nel secondo bicchiere (come nel terzo, nel quarto, nel quinto e via dicendo) cominciammo a incamminarci verso il futuro. Conobbi anche Adone: egli aveva qualche annetto più di me e più di Lohan, ma riusciva ad essere giovanile e spensierato più di noi. E tuttavia, scoprii nel tempo, restava pur sempre un uomo assai saggio, furbo: a volte nei suoi sorrisi, nelle sue parole, rivedevo quella stessa sicurezza di se stesso, quello stesso equilibrio interiore che avevo visto nel Signore dei Topi, e che solo più tardi avrei rivisto in me. Ebbene, passammo sei mesi (forse di più, forse di meno boh, chi se lo ricorda) in quel tempio. Imparammo a recitare, a suonare (a dire il vero il Signore dei Topi mi aveva già dato due dritte su come suonare il flauto), e trovammo in quella recitazione, in quella musica quel fuoco di cui avevamo bisogno. Dopotutto Lohan, anche se si contiene sempre e tenta sempre di fare la persona responsabile e matura (a costo di passare per il guastafeste), ha voglia di vivere appieno, proprio come me e come tutti gli altri. Egli spesso e volentieri ci cazzia quando torniamo troppo ubriachi al carrozzone (o quando troppo ubriachi NON torniamo al carrozzone, soprattutto me): egli tenta sempre di dimostrarsi saggio e maturo- non che lui non beva o non si diverta, intendiamoci- ma secondo me nella sua moderata spensieratezza, Adone dimostra di aver trovato molte più risposte del mio piccino. Adone è apprezzabile, è quello che sa sempre darti una risposta quando la cerchi, e mai ti nega un sorriso. Comunque, dopo mesi di lavoro, Lohan scrisse la sua prima scenografia: io lui e Adone, che intanto era diventato molto amico con noi, esordimmo davanti ai chierici con un teatrino improvvisato, molto grezzo ma ricolmo d’impegno e di passione. Venimmo applauditi e apprezzati per la prima volta, la prima di una lunga serie di successi (e di insuccessi pure, s’intenda!). Dopo alcuni mesi partimmo, decisi a dare via al nostro teatrino, decisi di guadagnarci da vivere come attori nomadi: dobbiamo molto a quei sacerdoti che ci comprarono carro e cavalli, dobbiamo molto ad Olidammara che ci insegnò a ridere e scherzare, che ci insegnò che la vita va presa sempre con allegria, anche nelle difficoltà (e io devo molto al Priore che mi insegnò che i liquori dei nani non si addicono a una signorina, ohi ohi ohi…). Adone venne con noi, non so dire esattamente il perché, ma è come se il destino lo avesse portato sul nostro carro- in senso metaforico, è come se il suo stesso Dio avesse scelto che lui doveva venire con noi, è come se Olidammara gli avesse detto “Vai con gli Spiriti Erranti, divertiti!”. Sì, gli Spiriti Erranti nacquero così, con Lohan alla guida di uno sgarruppato carro trainato da due pony ubriachi, mentre cantavamo sotto il sole. Sono bei momenti da ricordare, soprattutto se si pensa che questo spirito leggero e questa allegria si è mantenuta, nel tempo, fino ad adesso. Viaggiammo parecchio, eravamo in tre ma lavoravamo per sette. Avremmo poi assoldato anche altre persone, ma nessuno di loro era veramente legato a noi. Eravamo noi tre, io Lohan e Adone, erano passati due anni quando spostandoci nell’Entroterra, poco prima del tramonto, vedemmo di lontano quell’accampamento. Capitolo 3: Relèm e Raykinishi All’inizio avevo temuto che fossero dei Quadesh dell’Ovest, e se fossero stati loro io ora non avrei un braccio per scrivere queste parole (e neanche un cervello per pensarle, mi sa…). No, non erano Quadesh: una tribù di nomadi come tante, piuttosto pacifici per essere dei nomadi. Restammo lì, e loro furono molto ospitali, ci offrirono del buon vino. Forse però era troppo pesante. Restai a parlare con Relém, il capotribù, credo; parlammo di molte cose, della musica, della famiglia… “Io sono figlio solo di me stesso”. Era un bel ragazzo, e ballammo per tutta la sera attorno al fuoco. Ehm, ballammo anche dentro al carro. Non ero sobria… Non è colpa mia… Perdonami Lohan, non lo so perché l’ho fatto… Non lo so… Forse se tu mi avessi dato più calore, più amore… Fatto che sta che ti perdetti un’altra volta, stavolta per colpa mia. Quando Lohan entrò nel carro e vide me e Relém (che per altro era per metà elfo, curioso no?) sotto le coperte, andò su tutte le furie: stava per utilizzare la magia contro lo zingaro, ma egli era abbastanza deciso da fermarlo; quando tentai di scusarmi, mi tirò uno schiaffo, e io mi arrabbiai, purtroppo, tantissimo. Lo maledissi, lui, piangendo, andò via, e anche io piansi dopo. Poi, la cosa che feci la feci fu dettata soprattutto da uno strano ma tanto umano desiderio di vendetta; chiesi a Relém di restare. Relém ne fu stupito, e sul subito rifiutò: io lo pregai, gli dissi che Lohan non contava niente, gli dissi che mi avrebbe fatto piacere che rimanesse, che avremmo potuto ballare assieme… No, se ne stava andando, quando prendendo la sua spada lesse l’iscrizione sull’elsa. “Segui la tua strada”, o qualcosa del genere. Proprio un tipo strano… Venne con noi. Sostituì Lohan, diventando bravo anche a recitare, forse più bravo persino di Lohan. Non lo sostituì nel mio cuore… Relém è un mio caro amico, ma di certo non provo per lui lo stesso affetto forte che provo per il mio piccino; è un affetto diverso. Ripartimmo dall’accampamento il giorno dopo, salutati da tutti, con la malinconia addosso ai nomadi per la partenza del loro amico, con la malinconia addosso a me, e credo anche ad Adonàro per via della partenza di Lohan. “Come va Julie?” La voce di Adone era come sempre calda per quanto non completamente mascolina. “Adone… Va bene…” Sono brava a dire le bugie, ma quella volta non mi riuscì tanto bene, non ne avevo l’umore… Non è facile raggirare Adone… Dopo un sospiro, “Lo so, fa male. Ma tu sei fatta così… Lui lo sapeva.” mi disse. Abbassai lo sguardo, piansi, mi accarezzò i capelli. Piansi, mi diede una spalla, mi diede una pacca sulla spalla, mi diede il suo sorriso quasi paterno… Sì, forse non era solo Il Signore dei Topi ad essere stato come un padre per me, forse lo era stato anche Adone… Era poco più vecchio di me, ma aveva trovato dalla vita tutte le risposte che si potessero trovare; io non ancora, allora non le avevo ancora trovate, e forse neanche adesso. Quella notte, qualche decina di giorno dopo la dipartita di Lohan, scopai con Adone. Lo facemmo poche volte, tipo tre o quattro, poi concordammo insieme che sarebbe stato meglio non farlo più: avevo messo da parte quel vuoto, anche se non dimenticato. Infatti ora oltre al vuoto di lui, del Signore dei Topi, ora c’era il vuoto lasciatomi dalla dipartita dell’uomo che mi ama, Lohan. Poi, tempo dopo, dopo un’esibizione, si erano uniti momentaneamente a noi due o tre attoruncoli usa e getta, un uomo grande e grosso e piuttosto bizzarro per abbigliamento e modi di fare (aveva un martello gigante dietro la schiena… Non è stata colpa mia se mi sono messa a ridere!!! Dai scusa Rayki, non l’ho fatto apposta…). “Ehm, io veramente…” Era piuttosto impacciato, anche con il linguaggio: credo fosse un idioma barbaro, purtroppo non Quadesh. Ci chiese la possibilità di fare da guardia, con un grande imbarazzo all’inizio, noi lo accogliemmo calorosamente: è un ragazzo tanto tenero, Raykinishi, un amico che vale più di tutto l’oro del mondo… Stette con noi per diverso tempo in maniera timida, non osando molto; alla fine la vivacità di Adone (che intanto gli aveva giocato un brutto scherzo che non sto a descrivere… Insomma, sapete com’è Adone!) e il gomito sempre alto di Relém lo fecero integrare, e lui si integrò finalmente: da semplice guardia- inutile palo malpagato finalmente diventò uno dei nostri. Sono felice. Una sera poi, una delle pochi volte che andai in taverna con loro (mmh, come confidai ad Adone c’era un periodo in cui spesso viaggiavo di taverna in taverna alla ricerca di risposte che spesso si trovavano sotto a delle coperte e ad un petto muscoloso), Ray, che mi aveva pregato di “parargli il culo da Adonàaro” (ehm, non è una metafora…), quella sera confidando in me bevette alla grande, e diede fuori di brutto. Dopo aver spaccato qualche tavolo e sedia, cominciò a sedersi in un angolo, sproloquiando; sì esatto sproloquiava, ma che sproloquio! le frasi erano poetiche e cariche di passione, calienti direbbe un Qaudesh, l’andamento della narrazione era fluente, sì era una storia con un senso più o meno- una versione un po’ distorta dall’alcool della sua vita da povero tapino- e soprattutto, Raykinishi era nella storia, era nel personaggio. Ora, per recitare entrare nella storia, entrare nel personaggio sono cose fondamentali: Raykinishi aveva azzeccato quelle cose fondamentali, aveva dimostrato di possedere un potenziale da attore fuori dal comune. Non avrei permesso che quel potenziale andasse sprecato. Ora, al di là delle accese discussioni tra me e Raykinishi “meglio il vino o la birra?”, dove io dovevo faticosamente difendere l’onore del mio amato liquido purpureo dalla vivace opinione pro-birra del mio grosso amico bonaccione, non accadde molto in quei mesi: gli eventi si sarebbero condensati tutti in quel giorno maledetto, in quella sera in cui io e miei compagni avremmo cambiato vita. Capitolo 4: Il ritorno di Lohan e gli Spiriti Erranti Era sera tarda, una delle esibizioni più importanti che ci toccava fare quell’anno, in una grande città portuale, Pagrastiti. Pioeva, maledizione, seppure poco, e il cielo era scuro, ma nonostante queto c’era tanta gente a guardare il nostro spettacolo (avevamo un amico influente che ci ha fatto publlicità), tante facce entusiaste, tante succulente mani per applaudire, tanti succulenti portafogli da alleggerire con il prezzo del biglietto. Ero allegra perché avevo programmato tutto perfettamente, o meglio credevo di aver programmato tutto perfettamente. Raykinishi si ritrovò al centro della scena senza quasi accorgersene, e cominciò a recitare senza rendersene perfettamente conto: sarebbe stato, quella sera, lui il protagonista. Glielo dovevo dopotutto, per tutte le risate che mi aveva fatto fare. Stava andando benissimo, anche quando si rese conto di essere sul palco non smise di recitare, seppure emozionato, e fu bravissimo, davvero pieno di talento; poi però accadde davvero un gran casino. Le guardie salirono sul palco come grappoli d’uva. “Raykinishi, no? Vieni con noi, sei in arresto!” “Ottocentoquaranta monete d’oro di danni alla locanda… Mamma mia!!!” Ray mi guardò negli occhi, interrogativo e supplichevole, ed io non potei lasciarlo solo. Era la prima volta che recitava veramente, non sapeva cavarsela in queste situazioni… “Signori, ve ne prego” esclamai “dovete avere pietà di quest’uomo, perché nonostante i suoi errori il suo intento era nobile…” “Come? Nobile un cazzo! Ora te la facciamo vedere noi!” Le guardie scattarono, veloci, e si gettarono su di noi. Noi tutti estraemmo le armi, quelle vere. Credo che il pubblico non se ne sia neanche accorto che non stavamo recitando: a quel che ho sentito poi, la recita ebbe un successo memorabile. Adonarò e Relém uscirono dalle quinte, il primo atterrando due guardie, il secondo fendendo una terza; si fecero strada a colpi di spada, di catena, Raykinishi diede rimostranza di una potenza distruttiva senza pari col suo maglio: se prima si poteva parlare di acini d’una, ora si poteva invece parlare piuttosto di mosto. Solo che le guardie erano tante. Erano davanti a me in tre- non credo avessero mai conosciuto la cavalleria- quando io saltai sulla scala e combattei con una mano sola. Giunsi in cima, fino in cima, sopra il palco, su una trave; ne disarcionai due, ma venni circondata. Era la fine, vedevo la morte davanti a me, e sei metri sotto di me un palco. Avevo sempre vissuto al massimo su un palco… Sarebbe stata una degna tomba… … Sarebbe… Sarebbe se tu non fossi di nuovo arrivato a salvarmi, Lohan. Mentre chiudevo gli occhi vidi il tuo viso, vidi il tuo amore; spiccasti un salto verso di me, io stavo già cadendo e ti tesi la mano, come molti anni prima, tu mi prendesti, volando, salimmo in cielo, e saremmo arrivati fino alla luna quel giorno. Lo abbracciai forte… Lo abbracciai forte perché mi era mancato tanto, non era lo stesso senza di lui. Grazie, per avermi salvato, per avermi perdonato, per amarmi ancora. Spero di potermi sdebitare di tutto quello che hai fatto per me. Gli altri se l’erano cavata. Partimmo da quella maledetta città lasciando lì non solo carri e cavalli, ma anche tutto il nostro passato, anche tutte le mie lacrime. Eravamo soli, sperduti, pioveva, dormimmo. L’indomani Relém e Lohan si guardarono dritto negli occhi e si parlarono, io ne stessi fuori per un po’, poi arrivai e chiesi scusa a Lohan, gli dissi che era stato un errore, gli dissi di perdonarmi. Certo, non era bello da farsi davanti a Relém, ma egli capì. Adonàro e Lohan si abbracciarono forte (oh, che cosa strana, Adone che si abbraccia ad un uomo senza tentare di stuprarlo!), io e Lohan ci baciammo, io mi vergognavo un casino. Gli dissi tutto, quasi tutto, lui si sentì turbato ma mi perdonò, perché sapeva che in fondo mi dispiaceva un casino. “Allora, ragazzi… E’ finita?” La voce di Raykinishi era chiaramente dispiaciuta. “…Sì, temo che sia finita” (Relém). “Ma come finita? Io avevo appena iniziato… Ehi ehi ehi… Gli Spiriti Erranti non possono mollare, non adesso!” Lo guardavamo ma senza speranze: avevamo perso tutto, avevamo zero, se non quei cavalli su cui eravamo scappati. “Avete solo paura del mio talento! Non vi reputate degni di recitare con me, vero?” Io sorrisi, perché tutta questa passion e questo umorismo non mi lasciano mai indifferente. “Ma non abbiamo più niente…” mugugnai io. “Non è vero.” Era la voce di Lohan. “Noi abbiamo un sogno, una passione in comune. Noi amiamo recitare, e diamo il meglio di noi stessi su quel palco.” Silenzio. “Le emozioni che trasmettiamo quando siamo lassù, beh non sono emozioni gratuite: se uno non ci crede, neanche il pubblico ci crede. Quando un personaggio che sto interpretando piange, anche io sono triste; quando gioisce, anche io gioisco.” Capivo quel discorso, amavo Lohan tantissimo per averlo fatto. “Quando una persona recita, è vera: nella vita, noi ci ricopriamo di maschere perché non riusciamo a far vedere agli altri quello che siamo” (credo che si riferisse a lui stesso) “, perché abbiamo paura di essere giudicati. Quando saliamo su quel palco, non esistono maschere: se io interpreto la parte del principe Causoiñe, la interpreto davanti a tutti, davanti a chi amo come davanti a chi odio, ed esprimo quello che davvero penso attraverso a quello che pensa il principe. Volete davvero porre fine a tutto questo? Volete davvero buttare via il vostro talento, buttare via la vostra bravura, buttare via l’unico modo che avete di essere sinceri con il mondo? Proprio tu, Rei qualcosa, tu che sul palco sei stato un mito… Vuoi davvero mollare adesso?” “I carri si ricomprano, i cavalli ce li abbiamo, i vestiti ce li abbiamo… Direi che abbiamo tutto ciò che serve, no?” (mie parole con mio sorriso). “Mmh, secondo me no, abbiamo perso una cosa troppo importante.” Adone, con una faccia piuttosto seria, mi preoccupò un po’, perché forse avrebbe mandato in frantumi le nostre speranze. Macchè… Adone non manda mai in frantumi le speranze, al limite ti stupisce con delle trovate assurde, come esattamente quella: “Abbiamo perso il vino. Se non ci sbrighiamo a organizzare un altro spettacolo, come ci finanziamo la prossima bevuta?” “Eh già” aggiunse Relém “e poi diamine, io non so fare un cazzo… Se smetto di recitare non mi resta che chiedere l’elemosina…” “Bah, evidentemente non posso andarmene neppure io… Dopotutto, non posso permettere che Julie parli sempre male della mia amata birra!!” (un Raykinishi molto gioioso). Eravamo eccitati come bambini che vedono il circo. Sembrava la fine, invece era solo non dico un inizio, ma era un inizio: l’inizio del più bello dei nostri viaggi. “Quanto dista la città più vicina?” “Mmh, poche miglia a Nord.” “Bene” disse Lohan “Andiamo” Andammo, mano nella mano, sorridendo. ! # ! " $$ $ " $ %! " & ) * ' " +* " " , ! ( !+- Capitolo 5: Barcollo ma non mollo Inutile dire che Relém se ne andò poco dopo. Con un sorriso si congedò, mi disse “Addio”, mi baciò e senza nemmeno salutare gli altri e sparì tanto improvvisamente com’era venuto. Addio amico mio. Gli altri non mi lasciarono. Io crebbi. Lohan crebbe. Raykinishi credde. Adonaro era già sufficientemente grande, quindi si tinse i capelli. Ci dedicavamo ogni tanto ad alcuni lavoretti tosti, di quelli che fanno i mercenari, spesso portandoli a termine in maniera incompleta o insoddisfacente se non altro per sfida personale o per aumentare la popolarità e l’audience. Attualmente versiamo in condizioni economiche abbastanza felici (e con quel versiamo intendo che versiamo il contenuto dei nostri barili nel bicchiere…)