contro nei confronti di per la riforma

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contro nei confronti di per la riforma
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N. 02472/2012REG.PROV.COLL.
N. 06960/2009 REG.RIC.
R E P U B B L I C A
I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello nr. 6960 del 2009, proposto dalla signora Valentina
MANNARA, rappresentata e difesa dagli avv.ti Umberto Verdacchi e Alba
Giordano, con domicilio eletto presso quest’ultima in Roma, via M. Clementi, 58,
contro
il
MINISTERO
DELLA
DIFESA,
in
persona
del
Ministro pro
tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato,
domiciliato per legge presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,
nei confronti di
signori Andrea BEVILACQUA, Marzia PELLEGRINI, Michele NEGRELLO,
Francesco MAIORINO, Farfalla SHEEJA, Luca BOERNER, Francesco
RICCIARDIELLO, Alessandro ALCIBIADE, Mario MORCIANO, Francesco
SCIVITARO, Sergio SCARINGI, Gabriele NECCIARI, Angelo CIRILLO,
Manuela SURIANI e Giuseppe SAMMARCO, non costituiti,
per la riforma
della sentenza nr. 2541/2009, non notificata, pronunciata dal Tribunale
Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione Prima bis, in data 9 gennaio 2009,
depositata il 14 marzo 2009, nel ricorso nr. 10082/07, con la quale il T.A.R. adito
ha respinto il ricorso.
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Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione appellata;
Viste le memorie prodotte dalla appellante in date 24 febbraio e 3 marzo 2012 a
sostegno delle proprie difese;
Vista l’ordinanza di questa Sezione nr. 4992 del 6 ottobre 2009, con la quale è stata
respinta la domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione della sentenza
impugnata;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, all’udienza pubblica del giorno 27 marzo 2012, il Consigliere Raffaele
Greco;
Uditi l’avv. Giordano per la appellante e l’avv. dello Stato Stefano Varone per
l’Amministrazione;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La signora Valentina Mannara ha impugnato, chiedendone la riforma previa
sospensione dell’esecuzione, la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio ha
respinto il ricorso da lei proposto avverso gli atti del concorso indetto con bando
del 14 dicembre 2006 per l’ammissione di 141 allievi della 1^ classe dei corsi
normali dell’Accademia Navale di Livorno per l’anno accademico 2007/2008.
A sostegno dell’appello, ha dedotto:
1) motivazione erronea, per inesatta individuazione dei presupposti di riferimento;
motivazione incongrua, irragionevole, contraddittoria, illogica, apodittica e
irrazionale; violazione dell’art. 25, comma 2, del decreto legislativo 11 aprile 2006,
nr. 198 (con riferimento alla reiezione delle censure articolate avverso il bando di
concorso, nella parte in cui equiparava le prove di efficienza fisica alle prove di
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esame, prevedendo per esse l’assegnazione di un punteggio, senza introdurre
correttivi che tenessero conto della diversità fisiologica dei sessi);
2) omesso esame delle censure proposte con il ricorso in primo grado, siccome
erroneamente definite “teoriche e prive di riflesso pratico” (con riferimento alle ulteriori
doglianze con cui si era denunciata violazione del principio di eguaglianza e del
divieto di discriminazione tra i sessi).
Il Ministero della Difesa, nel costituirsi, ha depositato ampia relazione e documenti
a sostegno della correttezza del proprio operato, con argomentazioni cui la parte
appellante ha replicato con successive memorie.
All’esito della camera di consiglio del 6 ottobre 2009, la Sezione ha respinto la
domanda cautelare formulata dalla appellante.
All’udienza del 27 marzo 2012, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. L’odierna appellante, signora Valentina Mannara, ha partecipato al concorso
indetto (d.m. 14 dicembre 2006) per l’ammissione di allievi della 1^ classe dei corsi
normali dell’Accademia Navale di Livorno per l’anno accademico 2007/2008, e in
particolare alla prova per l’ammissione a 13 posti (poi ridotti a 10) nel Corpo
Sanitario Militare Marittimo.
All’esito delle prove scritte e orali sostenute, ha riportato il punteggio medio di
23/30, corrispondente al tredicesimo posto in graduatoria (e, quindi, a posizione
utile per risultare vincitrice a seguito di rinuncia di tre dei vincitori); tuttavia, a
seguito delle prove di efficienza fisica, il punteggio conseguito per le stesse ha
comportato il suo posizionarsi al diciannovesimo posto della graduatoria finale, e
quindi l’esclusione dal novero dei vincitori.
Pertanto, la sig.ra Mannara ha impugnato l’esito della procedura concorsuale
unitamente al bando della stessa, nella parte in cui: a) prevedeva per le prove
fisiche l’assegnazione di un punteggio di merito, che andava a sommarsi a quelli
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conseguiti dai candidati nelle precedenti prove d’esame; b) non differenziava, a tal
fine, fra i candidati di sesso diverso in ragione delle diversità fisiologiche tra i due
sessi.
Secondo l’istante, tali caratteristiche del bando di concorso avevano l’effetto di
determinare una discriminazione tra i sessi, in violazione del divieto di
discriminazione indiretta contenuto nel decreto legislativo 11 aprile 2006, nr. 198
(e specificamente, per quanto concerne l’accesso alle Forze Armate, dagli artt. 32 e
33 di detto decreto), come comprovato dalla circostanza che i punteggi medi
riportati dai candidati di sesso maschile nelle prove fisiche erano ampiamente
superiori a quelli dei candidati di sesso femminile.
Il T.A.R. del Lazio, nel respingere il ricorso ha osservato:
- che il possesso di requisiti minimi di efficienza fisica per l’arruolamento nelle
Forze Armate si giustifica in ragione delle funzioni che il personale da reclutare è
chiamato ad assolvere, corrispondendo quindi a un’esigenza connaturale
alla policy delle Forze Armate stesse;
- che, conseguentemente, la previsione di prove di efficienza fisica appare immune
da profili discriminatori ai sensi degli artt. 3, comma 3, 4 e 4 bis del decreto
legislativo 9 luglio 2003, nr. 216, come modificato dal d.l. 8 aprile 2008, nr. 59,
convertito nella legge 6 giugno 2008, nr. 101;
- che, in ogni caso, i requisiti minimi di efficienza previsti dal bando – ancorché
uguali per uomini e donne – erano del tutto alla portata di qualunque candidato,
come dimostrato dal fatto che più di un candidato di sesso femminile è rientrato
fra i vincitori;
- che, peraltro, la stessa ricorrente, pur risultando insufficiente in alcune delle
prove fisiche, ha superato il punteggio minimo complessivo di 1 previsto dal
bando, ed ha quindi superato le prove pur senza raggiungere un risultato finale
idoneo a consentirle di rientrare fra i vincitori;
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- che, di conseguenza, le doglianze formulate in ricorso erano del tutto teoriche e
prive di ricadute pratiche.
Avverso la richiamata sentenza del T.A.R. capitolino, è insorta l’originaria
ricorrente con l’appello oggi all’esame della Sezione.
2. Tutto ciò premesso, l’appello si appalesa fondato e pertanto meritevole di
accoglimento.
3. Innanzi tutto, la Sezione non condivide – e, prima ancora, fatica a comprendere
– l’argomentazione incentrata su una sorta di “prova di resistenza” sulla base della
quale il primo giudice ha ritenuto non meritevoli di approfondimento le censure in
diritto articolate dalla ricorrente nel merito della disciplina concorsuale.
In sostanza, in sentenza si assume che l’istante non avrebbe titolo né interesse a
dolersi di alcunché, avendo di fatto superato le prove di efficienza fisica la cui
illegittimità intenderebbe far valere: ciò in quanto il bando di concorso prevedeva
per il superamento delle dette prove una soglia minima di punteggio (superata dalla
ricorrente), tale da consentire un esito positivo anche per i candidati che non
avessero superato due delle quattro prove de quibus.
È del tutto evidente l’inaccettabilità di questo argomentare, con il quale si oblitera,
da un lato, che la prova fisica non può essere considerata in modo “atomistico” e
avulso da una considerazione globale dei risultati concorsuali (essendo ovvio che il
“bene della vita” cui la ricorrente aspira è, appunto, il superamento del concorso
nel suo complesso), e per altro verso che col ricorso introduttivo è stata censurata
anche e soprattutto la disciplina concorsuale in parte qua, considerata causa
determinante dell’esito sfavorevole riportato dall’interessata.
4. Ciò premesso, è evidente che, prima ancora di esaminare le circostanze di fatto
dalle quali l’Amministrazione e il T.A.R. hanno ritenuto di desumere l’irrilevanza
delle doglianze attoree, occorre approfondire nel merito le censure articolate dalla
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ricorrente (e riproposte con l’odierno appello) in punto di violazione, nella lex
specialis del concorso, del divieto di discriminazione tra i sessi.
4.1. Con riguardo alla vicenda che occupa, vengono in rilievo il generale divieto di
discriminazione nell’accesso al lavoro di cui all’art. 27 del richiamato d.lgs. nr. 198
del 2006 e, più specificamente, l’analogo divieto vigente per l’accesso alle Forze
Armate ai sensi del successivo art. 33; per quanto qui interessa, occorre evitare sia
le discriminazioni dirette che quelle indirette, definite dal precedente art. 25,
rispettivamente, come “qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento,
nonché l’ordine di porre in essere un atto o un comportamento, che produca un effetto
pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il
trattamento meno favorevole rispetto a quello di un’altra lavoratrice o di un altro lavoratore in
situazione analoga” (comma 1) e “quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto,
un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un
determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso,
salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché l’obiettivo
sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari” (comma
2).
Per quel che concerne il reclutamento del personale militare, il già citato art. 33
stabilisce che lo stesso “è effettuato su base volontaria secondo le disposizioni vigenti per il
personale maschile, salvo quanto previsto per l’accertamento dell’idoneità al servizio militare del
personale femminile dai decreti di cui all’articolo 1, comma 5, della legge 20 ottobre 1999, n.
380, e salve le aliquote d’ingresso eventualmente previste, in via eccezionale, con il decreto adottato
ai sensi della legge medesima”.
Il richiamato art. 1 della legge nr. 380 del 1999 (in vigore all’epoca del concorso di
che trattasi), nel demandare a successivi interventi la regolamentazione del
reclutamento del personale femminile, ribadisce che fra i criteri direttivi di tale
disciplina avrebbe dovuto rientrare quello di “assicurare la realizzazione del principio
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delle pari opportunità uomo-donna, nel reclutamento del personale militare, nell’accesso ai diversi
gradi, qualifiche, specializzazioni ed incarichi del personale delle Forze armate e del Corpo della
guardia di finanza” (comma 2, lettera a).
4.2. Tutto ciò premesso, ad avviso della Sezione è immune da censure la scelta
dell’Amministrazione di qualificare nel bando concorsuale le prove di efficienza
fisica alla stessa stregua delle prove d’esame (scritte e orali), prevedendo per esse
l’attribuzione ai candidati di un punteggio destinato a sommarsi a quelli riportati
nelle altre prove concorsuali, e quindi a incidere nella determinazione della
graduatoria finale.
Tale opzione, ancorché forse contraddittoria rispetto alla conclamata volontà di
considerare le prove fisiche come finalizzate unicamente all’accertamento
dell’idoneità fisica dei candidati (ciò che evidentemente ne avrebbe comportato
una disciplina diversa, la quale le ponesse a valle dello svolgimento del concorso e
della formazione della graduatoria), non risulta ex se contrastante con i principi
innanzi richiamati in tema di pari opportunità fra i generi: e, anzi, risulta
effettivamente aderente alle esigenze evidenziate dall’Amministrazione come
connesse alla policy del reclutamento nelle Forze Armate, nel senso della necessità
di assicurare che a queste accedano soggetti fisicamente in grado di assolvere i
compiti d’istituto.
Ciò che, invece, è suscettibile di produrre effetti indiretti discriminatori e distorsivi
degli esiti della procedura è la previsione di identici punteggi per i candidati dei due
sessi, sia in termini assoluti che con riguardo all’individuazione della “soglia”
minima che gli aspiranti dovevano superare (in ciascuna delle quattro prove e nel
punteggio complessivo) per non essere giudicati inidonei.
Tale identità si scontra con il dato di comune esperienza per cui le caratteristiche
dei due sessi comportano potenzialità differenziate fra di essi quanto alla possibilità
di conseguimento di determinati standard di rendimento nelle attività comportanti
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sforzo fisico; in altri termini (e per restare al caso che occupa), come è dato
evincere da una seppur sommaria consultazione degli annali relativi a determinate
specialità sportive, ben diversi sono i risultati che gli uomini e le donne possono
conseguire quanto al tempo impiegato per percorrere 1000 metri di corsa, ovvero
25 metri a nuoto, o ancora per eseguire un certo numero di flessioni sulle braccia.
Pertanto, una disciplina concorsuale che fissi identici livelli di riferimento per i due
sessi nella valutazione delle prove fisiche appare ex se contrastante con gli evocati
principi in tema di pari opportunità, oltre che con il più generale principio di
eguaglianza (nella comune accezione che non solo impone di trattare in modo
identico situazioni identiche, ma impedisce anche di trattare in modo identico
situazioni oggettivamente diverse).
5. A fronte dei rilievi che precedono, poco pregio hanno gli opposti rilievi
dell’Amministrazione appellata, laddove evidenzia il livello poco elevato delle
ricordate “soglie” minime previste per le prove di efficienza, ciò che sarebbe
dimostrato dal fatto che più di un candidato di sesso femminile è rientrato fra i
vincitori.
Innanzi tutto, l’argomentazione risulta basata su un’impropria valutazione
“empirica” ex post, laddove è evidente che la verifica sulla sussistenza o meno di
profili discriminatori va condotta ex ante e la sua conclusione positiva non è esclusa
per il semplice fatto che, malgrado la sussistenza della discriminazione, taluno dei
soggetti discriminati sia riuscito – in ipotesi – a superare egualmente la prova
concorsuale.
In secondo luogo, il carattere discriminatorio della disciplina va apprezzato non
soltanto con riferimento alla sua idoneità a impedire in toto il superamento del
concorso, ma anche sotto il profilo della sua capacità di incidere sui punteggi
conseguiti e quindi sulla graduatoria finale, in modo da precostituire un’ingiusta
posizione di vantaggio per i candidati di sesso maschile.
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6. In conclusione, alla luce dei rilievi che precedono s’impone la riforma della
sentenza impugnata e l’accoglimento del ricorso di primo grado, con
l’annullamento degli atti impugnati nei limiti dell’interesse della ricorrente (e,
quindi, con l’obbligo dell’Amministrazione di ripetere le prove fisiche sulla scorta
di una disciplina immune dai vizi qui ravvisati).
7. In considerazione della novità delle questioni esaminate, sussistono giusti motivi
per compensare integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente
pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto,
in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado nei sensi di
cui in motivazione.
Compensa tra le parti le spese del doppio grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 marzo 2012 con
l’intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere, Estensore
Guido Romano, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/04/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)