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Teatro in tivù
LA SCENA DELL’ASSURDO PROPOSTA DA CAMILLERI, INTRODOTTA DA RUGGERO JACOBBI
A metà degli anni ’70 lo scrittore e regista di Porto Empedocle riuscì a convincere i
dirigenti della Rai a produrre una serie teatrale che comprendeva opere di Harold
Pinter, Murray Schisgal, Arthur Adamov, Samuel Beckett, e chiamò lo studioso
veneziano a presentare criticamente la messa in onda delle diverse pièces. I preziosi
videodocumenti giacciono oggi nelle teche della televisione di Stato mal catalogati e
pressocché dimenticati.
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di Luca Succhiarelli
La confidenza me l’ha fatta Andrea Camilleri. Nel corso del primo dei tre incontri che ho avuto con
lui, ad un certo punto, ha detto qualcosa che mi ha particolarmente meravigliato. «Mi preoccupai
anche che questa serie venisse presentata brevemente, ma lucidissimamente, e chiamai Ruggero
Jacobbi per fare questo lavoretto. In tre minuti, quattro minuti iniziali diceva cosa sarebbe
successo».
Faccio subito un passo indietro. Ne L’ombrello di Noè (Rizzoli, 2002) – libro al quale, assieme a Le
parole raccontate (come sopra, 2001), ha affidato le proprie memorie sul teatro e lo spettacolo –
Camilleri confessa: « (...) mi venne in mente di programmare un azzardato ciclo dedicato al teatro
dell’assurdo – lo chiamammo così pro bono pacis – ed elaborai un ciclo che comprendeva il mio
amato Adamov, Beckett, Ionesco, Pinter, Mrożek, Schisgal».
L’idea, è facile immaginarlo, richiedeva, pur negli anni Settanta, una buona dose di coraggio,
nonostante le coeve offerte del secondo canale Rai (il «Corriere della sera» di sabato 22 aprile 1978,
a pagina 17, comunica la messa in onda, alle 20.40, dell’Amleto di Carmelo Bene). Servendosi di
“esche”, ossia di nomi popolari di grandi attori come Peppino De Filippo, Lilla Brignone, Renato
Rascel e Adolfo Celi (con il quale Jacobbi ha condiviso l’esperienza brasiliana: si veda a riguardo
Teatro in Brasile, Cappelli, 1961, pp. 120-121), in grado di catturare e sollecitare la curiosità di un
pubblico variopinto, quindi anche disavvezzo, e facendo precedere ciascuna opera da una succinta
(pochi minuti) ed eloquente introduzione, il regista e scrittore di Porto Empedocle è riuscito a
realizzare il progetto.
La mia ricerca ha innanzi tutto chiarito un equivoco, piccolo ma che in un primo momento mi ha
fatto deragliare. Camilleri ha avuto modo di proporre e realizzare, per la Rete 2, un ciclo dedicato al
teatro dell’assurdo non nel 1978 – come ha dichiarato durante la lezione su Samuel Beckett
promossa dal Teatro di Pisa e tenuta il 10 febbraio 1997 (poi trascritta ne L’ombrello di Noè, pp.
117-137; cfr. p. 133) –, ma, presumibilmente, o sul finire del 1976 o agli inizi dell’anno successivo,
come suggerisce la data di trasmissione dell’opera che comincia il cerchio.
Harold Pinter ha aperto le danze, venerdì 21 gennaio 1977 alle ore 20.40 (così per il «Corriere della
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Sera», ma la scheda del programma consultabile nel catalogo multimediale Rai indica come ora di
trasmissione 00.00.01), con Il guardiano, nella versione e nell’adattamento televisivo in due tempi
di Edmo Fenoglio, che è anche il regista. Per questa realizzazione l’autore ha autorizzato la
sostituzione dei nomi inglesi – e delle persone e delle località – con altri italiani. Gli attori sono:
Lino Capolicchio (Un giovane), Ugo Pagliai (Un uomo) e Peppino De Filippo (Un vecchio).
Antonio Capuano ha realizzato le scene, i costumi e l’arredamento, mentre Angelo Sciarra ha curato
le luci.
Venerdì 9 dicembre 1977 alle 21.50 è stata la volta de I dattilografi di Murray Schisgal (nome che
non compare nella scheda presente nel suddetto catalogo, che tra l’altro indica quale ora 00.00.01),
nella traduzione di Ettore Capriolo e per la regia di Vittorio Melloni. Gli interpreti sono Claudia
Giannotti, nei panni di Sylvia Payton, e Roberto Bisacco in quelli di Paul Cunningham. Le scene, i
costumi e l’arredamento sono di Giorgio Luppi e le luci di Ludovico Negri Della Torre.
Il 16 dicembre 1977, alle ore 21.50 (così per il «Corriere della Sera» e il «Radiocorriere», mentre la
scheda Rai addirittura indica le 10.00.00), la seconda rete ha mandato in onda Le ricomparse di
Arthur Adamov nella traduzione di Gian Renzo Morteo, con Lilla Brignone (La più felice delle
donne e La madre), Giampaolo Saccarola (Edgardo) e Alessandra Dal Sasso (Luisa). Le scene sono
di Paolo Bernardi; assistente all’arredamento è Isidoro Borgognone; Maria Teresa Stella ha
realizzato i costumi, mentre le luci sono di Bruno Saccheri. La regia è di Andrea Camilleri, assistito
da Lalla Cioci. Se ai tempi della prima italiana di Come siamo stati, avvenuta all’interno del 2°
Festival delle Novità (1957) al Teatro dei Satiri di Roma (Camilleri racconta divertito i fatti ne
L’ombrello di Noè, p. 118), i “vice” scrissero di Adamov quale di uno «Scrittore russo quarantenne
che vive a Roma», «Uno scrittore tipicamente intimista», «Un autore prolisso e sentimentalistico»,
ora ne parlano come di un «drammaturgo che in tutta la sua opera non ha mai rinunciato alla
battaglia per la libertà dell’individuo» («Corriere della Sera», venerdì 16 dicembre 1977, p. 19).
Anche un solo passo dell’articolo Teatro «congelato». «Le ricomparse» di Arthur Adamov, apparso
sul «Radiocorriere» (Anno LIV - N. 50, 11/17 dicembre 1977, p. 96), può dimostrare quanto sia
stata accidentata e difficoltosa la ricerca: «Arthur Adamov si è avvelenato ed è morto nel 1970.
Aveva 61 anni, viveva in un piccolo appartamento a Parigi, frequentava poca gente, da tempo era
malato. Fra i suoi amici non c’erano Samuel Beckett (misantropo quel che basta per conto suo) né
Eugène Ionesco, ma insieme, negli anni Cinquanta, avevano formato, per chi s’occupava di prosa,
una specie di Santa Trinità del “teatro dell'assurdo” (un genere al quale la Rete 2 dedica un ciclo di
spettacoli cominciato la scorsa settimana con I dattilografi di Murray Schisgal e che continuerà con
Finale di partita di Beckett)». È evidente la totale damnatio memoriae inflitta a Il guardiano
pinteriano andato in onda, per dire il vero incomprensibilmente, quasi undici mesi prima.
Il 23 dicembre 1977, alle ore 21.50 (qui la scheda Rai concorda), il secondo canale ha trasmesso
Finale di partita con Renato Rascel (Clov), Adolfo Celi (Hamm), Mario Carrara (Nagg) e Rina
Franchetti (Nell). Non a caso ultima regia beckettiana di Andrea Camilleri, questa versione
televisiva rappresenta un caso limite. Atto conclusivo di un “rapporto” cominciato quasi venti anni
prima con il debutto ai Satiri (il regista di Porto Empedocle ha firmato nel 1958 la prima italiana di
Fin de partie), questo estremo tentativo di capire l’opera di Samuel Beckett ri-realizzandola lo ha
compiuto scortato da suoi fedelissimi amici e collaboratori: le scene e i costumi sono infatti di
Angelo Canevari e le musiche sono state scritte e dirette da Vittorio Gelmetti. Rina Franchetti, la
quale già aveva recitato (assieme a Miranda Campa e Mario Chiocchio) nel Come siamo stati
diretto da Camilleri all’interno del 2° Festival delle novità sabato 27 luglio 1957, aveva alle spalle il
precedente beckettiano della versione radiofonica camilleriana di Fin de partie (1961).
In un articolo non firmato intitolato Nel vuoto di Beckett. «Finale di partita» («Radiocorriere»,
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Anno LIV – N.51 18/24 dicembre 1977, p. 152) si può leggere: «Continua il breve ciclo dedicato
dalla Rete 2 al “teatro dell'assurdo”, che si concluderà la prossima settimana». Non recando (o non
avendo voluto rivelare ai miei occhi) i palinsesti da me consultati altre tracce oltre quelle segnalate
(per quel che riguarda Ionesco e Mrożek, dal catalogo multimediale della Rai e dai quotidiani e
settimanali dell’epoca non ho – per il momento – avuto riscontri), possiamo considerare chiuso il
cerchio e ritenere il ciclo composto da Il guardiano, I dattilografi, Le ricomparse e Finale di
Partita?
La mia indagine mi ha permesso di individuare, recuperare e acquistare (tra il 2008 e il 2009) i
video delle opere di Pinter, Schisgal e Adamov, con le rispettive presentazioni di Ruggero Jacobbi
(“ovviamente” nelle schede del catalogo multimediale Rai il suo nome non figura, così come nei
palinsesti compulsati). Sembra invece essere stata cestinata la premessa apprestata per Finale di
partita, ma credo si possa continuare a sperare: magari giace da qualche parte con i topi di Otokar
Vavra.
Seduto per lo più su una sedia girevole (nell’introduzione a I dattilografi appare con i gomiti
appoggiati su una grossa scrivania), Jacobbi dapprincipio mostra le spalle al pubblico televisivo, poi
si gira togliendosi gli occhiali e cominciando a parlare. Il telespettatore può ascoltarlo e
contemporaneamente vedere alle sue spalle Atto senza parole di Samuel Beckett, nella versione
televisiva – con Angelo Corti unico protagonista – appositamente realizzata da Camilleri e
altrettanto intenzionalmente “distrutta”. Tagliato, spezzato, rotto, in frammenti l’Acte sans paroles
beckettiano doveva congiungere le opere destinate a far parte del ciclo. La decisione di pausarlo, di
renderlo “servile” – sarebbe meglio dire funzionale? –, di romperne la continuità a favore della
circolarità, la leggo come una critica alla definizione – Teatro dell’assurdo – entro la quale, pro
bono pacis per l’appunto, sono state racchiuse le opere.
Avrei voluto concludere questo breve intervento trascrivendo (per poi commentare) le introduzioni
jacobbiane e pubblicando tre fotogrammi (uno per filmato). I preamboli durano dai tre ai cinque
minuti circa ciascuno (mentre i tre video integrali, comprese le anzidette premesse, raggiungono le
quattro ore), per un totale di tredici minuti a voler esagerare. Mia intenzione sarebbe stata quindi
utilizzare una percentuale irrisoria di materiale. Fatta richiesta alla Rai, mi son sentito rispondere
che i diritti in questione contemplano la sola messa in onda. Viene da chiedersi allora perché
documenti così interessanti, anziché essere riproposti, valorizzati e difesi, vengano fatti riposare
senza pace nel cestino multimediale mal catalogati e dimenticati.
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