Tortuosi Segreti
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Tortuosi Segreti
TORTUOSI SEGRETI “Oh no! Devo avere nuovamente sbagliato piano!”. Così dicendo la professoressa Zambeni si spostò con un gesto irritato i lunghi capelli ricci dalla fronte e incominciò a ridiscendere la scalinata. Era passato quasi un mese dal giorno in cui era giunta al collegio in qualità di insegnante di letteratura straniera e, in parte per colpa della sua scarsa capacità di orientamento, in parte a causa della mappa labirintica dell’edificio, quella mattina, per l’ennesima volta, si trovò in un’ala della scuola che non era quella dove avrebbe dovuto recarsi. Il collegio maschile di Rondani vantava una tradizione secolare e tutti i rampolli delle famiglie più in vista della città lo frequentavano. Sorgeva all’interno di un palazzo rinascimentale; le sale di rappresentanza erano riccamente decorate da affreschi policromi, mentre nelle parti meno nobili erano state ricavate le aule, i laboratori, le palestre e tutti gli spazi necessari alla didattica. Era una struttura imponente; come tutte le costruzioni che hanno attraversato i secoli, molte parti vennero aggiunte in epoche seguenti e non sempre gli architetti rispettarono il progetto originale; per raccordare queste nuove porzioni con quelle già esistenti spesso costruivano piani ammezzati, corridoi tortuosi, scale… Tutto ciò aveva creato un insieme confuso e intricato di spazi. La professoressa Zambeni stava in cuor suo benedicendo l’ordinatissimo palazzo nel quale viveva: piani ben definiti e numerati, ascensori… Era una donna sulla quarantina, magra, con piccoli occhi verdi dietro grandi occhiali; era precisa e puntuale in tutto: nel lavoro, nel vestire, nella gestione di spazi e materiali; la sua maniacale ossessione per l’ordine era spesso motivo di scherno da parte degli studenti (e di qualche collega!) che la reputavano un po’ “fissata” o addirittura paranoica. Smarrirsi e giungere con qualche minuto di ritardo alla lezione la infastidiva molto. Aveva completamente perso la bussola! Borbottando tra sé spalancò la porta che le si trovava di fronte nella speranza che al di là vi fosse un luogo conosciuto per potersi ri-orientare quando le apparve una scena del tutto inaspettata! Con orrore scorse il corpo di un uomo legato, imbavagliato ed esanime in una pozza di sangue. Il suo proverbiale self-control la abbandonò all’istante! Si mise a correre e ad urlare; scese la scalinata, ne risalì altre, attraversò corridoi, superò porte quando finalmente qualcosa di vagamente famigliare la arrestò: si trovava all’ingresso del convitto. Da quel punto, percorrendo il corridoio, sarebbe giunta alla sala professori; vi giunse irriconoscibile: trafelata, scarmigliata, pallida, con gli occhi pieni di terrore… I colleghi nel vederla rimasero attoniti. Il professor Nosetti, si precipitò verso di lei, la fece sedere, le porse un bicchiere d’acqua e solo a quel punto le chiese che cosa diavolo le fosse successo. Balbettando confusamente raccontò quanto accaduto: lo smarrimento della via che conduceva al laboratorio di inglese, la vista del cadavere, la folle corsa alla ricerca di qualcuno. Tutti la fissavano preoccupati: era forse impazzita? Un omicidio a scuola? Il preside venne allertato immediatamente; sospese le lezioni, la polizia e gli insegnanti iniziarono a controllare tutti gli ambienti. Dopo ore di ricerche non venne trovato nulla. La professoressa Zambeni non ricordava la strada percorsa per giungere alla famigerata porta e neanche quella fatta al ritorno di corsa, non aveva notato nessun particolare della stanza e neppure dell’uomo. Iniziarono a dubitare dell’esistenza del cadavere e dell’equilibrio psichico della testimone; assicurarono che le ricerche sarebbero proseguite ancora per un po’ ma era chiaro che nessuno credeva a quella storia. Nei giorni seguenti iniziarono a circolare pettegolezzi di ogni sorta: esaurimento da fissazione per l’ordine, manie di protagonismo, voglia di evasione dalla monotonia, isteria… Occhi scrutanti, dita puntate, sorrisetti maligni, risatine trattenute a stento, bisbiglii… La scuola era diventata un incubo per la professoressa Zambeni… Alla fine persino lei venne presa dal dubbio di aver immaginato tutto! Ma quando ripensò a quella scena orribile, così reale… Maledetto panico! Se avesse mantenuto la calma avrebbe potuto osservare meglio la scena del delitto, ricordare qualche dettaglio che aiutasse gli inquirenti come aveva visto fare tante volte ai protagonisti nelle serie televisive poliziesche che lei amava tanto… Ma ormai... Non poteva continuare a sopportare lo scherno… L’unico modo per far cessare tutto questo era dimostrare che ciò che aveva visto era realmente accaduto; pianificò quindi una serie ordinata di mosse. Prima di tutto si recò nella biblioteca dell’istituto alla ricerca di mappe dell’edificio e delle sua trasformazione nel tempo. Ne trovò alcune più recenti ma anche una molto antica e si mise a studiarle per capire dove e come si era persa quel fatidico mattino; magari nella stanza in questione erano rimaste tracce dell’omicidio… Contemporaneamente sfogliava febbrilmente ogni giorno i quotidiani locali alla ricerca di notizie di cronaca nera: cadaveri rinvenuti chissà dove, persone scomparse, qualcosa insomma che si potesse collegare all’uomo misterioso che, ne era certa, aveva scorto assassinato. Un pomeriggio, mentre completamente assorta nei suoi pensieri aveva nuovamente imboccato la scala sbagliata, un particolare la colpì e il ritmo cardiaco cominciò ad accelerare vertiginosamente: la carta da parati! Ricordò che quella mattina, tra gli sbuffi e le imprecazioni per il ritardo, quasi inconsciamente aveva registrato tra i ricordi quella decorazione sbiadita (e di pessimo gusto!) che si trovava sulla parete… Era sulla strada giusta! Respirò profondamente per recuperare calma e lucidità, percorse il corridoio e giunse ad una porta, certa che fosse quella che celava il corpo. La aprì con circospezione e… nulla. Non trovò nulla. Eppure ora ricordava qualche particolare in più; nonostante la stanza fosse piuttosto buia riconobbe il motivo della decorazione del pavimento a mosaico. Era la prima di tre stanze contigue che non venivano mai utilizzate in quanto necessitavano di un energico restauro. Esaminò minuziosamente per terra e sulle pareti ma non trovò nulla, né capelli, né sangue, né frammenti di stoffa impigliati da qualche parte come nei film gialli... Era molto delusa. Qualcosa però stonava in quel contesto… Ma certo! Le stanze adiacenti erano disordinate e coperte di polvere mentre quella del presunto delitto era stata, senza ombra di dubbio, pulita a fondo di recente! Animata da questa scoperta si lanciò a capofitto nella ricerca dell’identità dell’uomo ma non riusciva a venirne a capo. Ricordava troppo poco… Era sicuramente un giovane, dalla carnagione chiara, un viso che non aveva mai visto prima… Non apparteneva al mondo del collegio, nessuno mancava all’appello né tra gli insegnanti né tanto meno tra gli studenti. Passò giornate intere a cercare di focalizzare nei ricordi altri particolari, magari del volto, senza riuscirvi, quando una mattina, mentre sfogliava il giornale, come di consueto, vide una fotografia e trasalì. Le parve di riconoscere l’uomo ucciso. Lesse febbrilmente l’articolo corrispondente. “Giovane allievo dell’Accademia di Polizia trovato assassinato al porto con un colpo di pistola alla nuca”. “Un’esecuzione in piena regola. Forse aveva visto troppo?”. L’articolo proseguiva mettendo in risalto il fatto che il porto è un luogo caratterizzato spesso da traffici poco puliti e che forse il ragazzo, per dimostrare il suo valore, si era buttato ad indagare su una storia molto pericolosa. La professoressa Zambeni era molto confusa. Ucciso al porto? Ma lei era certa di averlo visto senza vita a scuola quella mattina! Ricordava i rivoli di sangue… Doveva essere accaduto da poco in quanto non si era ancora rappreso… Lesse e rilesse tutti i quotidiani cittadini a caccia di particolari che confermassero la sua tesi e li trovò: era stato ucciso alcuni giorni prima e successivamente trasportato lì in quanto sul luogo del ritrovamento non c’erano tracce di sangue fatta eccezione per quelle sul cadavere! Tombola! Ora era riuscita a ricostruire “dove” era accaduto il fatto e “chi” era stato assassinato. Mancavano però ancora il movente e soprattutto l’assassino. Qualcuno all’interno della scuola? Sicuramente. Era molto difficile per degli estranei introdursi nel collegio di nascosto, trovare quelle stanze in disuso, utilizzarle per compiere il delitto e avere poi il tempo di far sparire il cadavere e ripulire tutto prima dell’arrivo della polizia. L’idea di lavorare gomito a gomito con uno spietato assassino la terrorizzava; iniziò a diffidare di tutti i colleghi, persino del preside! Tutti parevano avere sguardi furtivi, atteggiamenti ambigui… Lei si sforzava di essere la donna di sempre e fingeva anche di prestarsi al sarcasmo di chi ancora la prendeva in giro per il “finto” allarme. Ma lei conosceva una parte della verità. L’altra era del tutto intenzionata a scoprirla. Riuscì a farsi assumere per un breve ciclo di conferenze sull’importanza della conoscenza delle lingue straniere per le forze dell’ordine proprio all’interno dell’Accademia di Polizia. Nelle pause cercò di buttare lì casualmente l’argomento del delitto e raccolse altre informazioni. Il ragazzo ucciso si chiamava Giorgio e, a detta dei compagni, si vantava di avere per le mani delle informazioni che avrebbero dato vita ad un gigantesco scandalo. Le indagini della polizia si erano concentrate sulle attività criminali del porto ma lo “scandalo” di solito non riguarda i criminali incalliti ma le persone “perbene”… Doveva approfondire quindi il passato “perbene” di Giorgio ma, arrivata a questo punto, non poteva più proseguire da sola; raccolse tutti gli elementi come in un elaborato gioco di pazienza e si recò al commissariato di polizia. La maggior parte degli agenti si ricordava di lei: l’isterica che per un giorno intero aveva preteso che tutti loro rivoltassero un rinomato collegio alla ricerca di un’allucinazione! Nessuno voleva darle retta e passarono l’incombenza ad un giovanissimo agente alla sua prima settimana di lavoro, l’ispettore Binetti. Il ragazzo si mostrò invece molto interessato e serio. I due insieme fecero delle ricerche sull’infanzia e adolescenza di Giorgio scoprendo con sorpresa che aveva frequentato il Collegio Rondani. Il filo di collegamento esisteva davvero! Ora bisognava indagare sul personale della scuola senza però allarmare l’assassino; era necessario che continuasse a credere di essere riuscito a farla franca. La maggior parte degli insegnanti si trovava lì da decenni ed erano professionisti molto apprezzati; a volte però si sa, l’apparenza inganna… Scavarono nel passato di ciascuno di loro senza scovare nulla di rilevante; ripensò a ciascuno nelle vesti dell’assassino: il professor Bianchi, insegnante di filosofia, sessantenne ipocondriaco? Il professor Risi, docente di matematica e fisica, dallo sguardo sempre perso tra le nuvole? La professoressa Ronin, cattedra di letteratura italiana e storia, dall’aspetto bonario? Il professor Freschetti, latino e greco, pieno di alterigia? Il professor Nosetti, di educazione fisica, dai modi decisi e risoluti? Il preside Gentiloni, affabile e amichevole? Se fosse dipeso dall’antipatia avrebbe sicuramente sospettato il prof. Freschetti, così pieno di sé! Cosa mai aveva scoperto Giorgio negli anni di permanenza al collegio di tale importanza da indurre qualcuno ad ucciderlo a quel modo? Cercò di immaginare dei possibili moventi: pedofilia? Ricatto? Relazioni amorose sconvenienti? Intrighi politici (il collegio formava gran parte della futura classe dirigente della città)? Valutazioni falsificate (a fronte di adeguato compenso)? Qualcuno aveva sicuramente un passato (o un presente) da nascondere e più ci pensava più la professoressa Zambeni non riusciva a raccapezzarsi. Nessuno dei sospettati sopra citati infatti poteva avere occultato il cadavere in quel breve lasso di tempo tra la scoperta e l’arrivo della polizia. Nessuno si era assentato senza motivo per più di cinque minuti e tutti avevano preso parte alle ricerche insieme agli agenti. Il luogo del delitto era stato sicuramente ispezionato, come tutte le stanze dell’edificio, neppure un’ora dopo aver dato l’allarme. Non riusciva a capire come una persona da sola avesse potuto portare l’uomo ormai privo di vita fuori dall’istituto senza essere visto da nessuno e contemporaneamente aver ripulito il tutto e fatto sparire l’arma del delitto… Era impossibilie a meno che… “L’assassino non fosse solo!” gridò l’ispettore Binetti che stava ascoltando la donna ragiornare ad alta voce. Piano piano prese corpo una nuova ipotesi… L’assassino poteva avere un complice… Iniziarono ad effettuare ricerche mirate: scovarono concomitanze di fatti troppo ripetitive per essere solo coincidenze… Transazioni sospette su conti esteri, gioielli che rubati ricomparivano spesso nei paesi mete delle gite d’istituto, contatti telefonici con individui legati al mondo della droga… Più scavavano a fondo più le scoperte parevano incredibili. Riuscirono a dimostrare che tutto il personale docente del collegio Rondani (compreso il preside!) formava una associazione a delinquere che si muoveva su più fronti: furti commissionati dopo aver carpito agli studenti informazioni sugli spostamenti delle famiglie, sui loro sistemi d’allarme, sulle loro abitudini di vita; spaccio di droga, dopo aver individuato i ragazzi emotivamente più fragili; contrabbando di gioielli rubati con l’estero, facendoli viaggiare nelle valigie degli studenti durate i frequenti viaggi d’istruzione; riciclaggio di denaro attraverso finte associazioni di beneficenza; insomma una rete ben organizzata ed efficiente, che non aveva esitato a togliere di mezzo un ragazzo sveglio che aveva compreso troppo, che aveva poi provveduto a tempo di record a togliere di mezzo un cadavere grazie alla partecipazione di tutti i professori che, come in una staffetta, assentandosi uno alla volta ogni cinque minuti, erano riusciti a compiere ciò che veniva ritenuto impossibile: far sparire un cadavere sotto gli occhi della polizia. “Perché non hanno chiuso definitivamente la bocca anche a me?” chiese la professoressa Zambeni a Binetti. “Perché sicuramente la polizia avrebbe indagato nella sua vita e nel suo lavoro; il collegamento era troppo evidente. Hanno ritenuto più semplice screditarla e farla passare per un’isterica. Quasi ci riuscivano! Se non fosse stato per la sua ostinazione…”. Il collegio, dopo un secolo di illustre storia chiuse miseramente i battenti. La professoressa Zambeni trovò una scuola meno famosa ma più normale nella quale insegnare e la sera, nella tranquillità del suo ordinato appartamento, ripensava spesso con orgoglio al suo film giallo preferito: quello che l’aveva vista apprezzatissima protagonista! Sibyl