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ISSN 2283-5873
Scienze e Ricerche
SR
BIMENSILE
MENSILE -- N.
N. 11
8 -- GIUGNO
15 AGOSTO
2015
2015
8.
11.
Scienze SRe Ricerche
LA TUA RIVISTA DI
DIVULGAZIONE SCIENTIFICA
OGNI QUINDICI GIORNI A CASA TUA CON
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11. Sommario
5
5
16
CONTRIBUTI
DOMENICO IENNA
Riferimenti astronomici nella ‘Comedìa’ o ‘Poema Sacro’ per
localizzazioni e cronologia del ‘viaggio’ dantesco pag.
5
pag.
16
LUIGI COLAIANNI
39
La valutazione dell’efficacia dell’intervento sociale nell’ambito
della salute mentale. Il contributo della scienza dialogica
JACQUES COURSIL
La langue, lalangue
ALESSIA DE LUCA
Una biografia importante: quella di Ferdinand de Saussure
PAOLO PONZANO
L’iniziativa dei cittadini europei (ICE): teoria e pratica
pag. 29
pag. 36
pag. 39
GRAZIELLA TONFONI
Filologia della Scienza; lessico complicato, terminologie emotivamente
connotate, necessità di ripetute costanti delucidazioni
pag.
43
pag.
51
EMANUELE POLI
Brevi considerazioni sui problemi e sulla problematica della
didatica della Geografia
51
RICERCHE
LUCIA TALARICO
Financial loan covenants e indici di bilancio in una prospettiva
interdisciplinare
pag. 57
AGOSTINO GIORGIO
Elettrocardiografia digitale ad alta risoluzione con potenzialità
diagnostiche avanzate
n. 11, 15 agosto 2015
pag. 69
3
N. 11 - 15 AGOSTO 2015
ISSN 2283-5873
Scienze e Ricerche
Rivista bimensile
n. 11, 15 agosto 2015
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4
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SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | SCIENZE FILOLOGICHE E LETTERARIE
Riferimenti astronomici nella ‘Comedìa’
o ‘Poema Sacro’ per localizzazioni e
cronologia del ‘viaggio’ dantesco
1
2
DOMENICO IENNA
Sapienza Università di Roma
1 Inf. XVI, 128; Inf. XXI, 2.
2 Paradiso XXV, 2.
Il contributo intende pensare di nuovo - pur nella consapevolezza dei notevoli studi fino a oggi prodotti – la funzione
esercitata da alcuni dei riferimenti astronomici nella “Divina
Commedia”. Con l’utilizzo di specifici softwares di simulazione, l’analisi dei passi selezionati - riguardanti posizioni
e aspetti di astri e asterismi che appaiono direttamente “osservati” (o comunque “in corso”) durante il mistico viaggio
nell’Aldilà – cerca di definire i luoghi mitici/mitizzati e l’arco di tempo (anno/mese/giorni/ore) in cui Dante ha voluto
far svolgere la narrazione.
I
l presente contributo di cultura dantesca si trova
necessariamente costretto a supporre, nei lettori,
alcuni fondamentali conoscenze e strumenti d’approccio agli studi generali e astronomici sulla Divina Commedia in quanto non è possibile proporre in
questa sede il necessario corredo di testi e simulazioni della
ricerca.
* Riassume così ANGELITTI (1897, 24) l’argomento indagato e l’indispensabile ruolo in esso rivestito dagli studi del
cielo:
“Gli anni 1300 e 1301 sono i soli che, per la discussione
dei dati cronologici, possono entrare in esame; ma la ricerca astronomica può rendersi anche indipendente da questa indicazione, perché […] anche le ragioni scientifiche
escludono una lunga serie di anni anteriore al 1300 e una
lunga serie posteriore al 1301”;
“le indicazioni da lui fornite [pluralità di riferimenti cronologici, simbolici e rituali, anche esterni alla “Commedia”]
non possono attualmente valere che a stabilire diverse ipotesi, quasi tutte egualmente probabili. Tra queste
sarebbe impossibile decidere, se egli […] non ci avesse
prestata la maniera di superarle, lasciandoci anche […]
nella descrizione dei fenomeni celesti la testimonianza irrefutabile dell’epoca, nella quale ha voluto fingere il suo
viaggio allegorico” (ANGELITTI 1897, 44).
La data di composizione - come si evince in tutto il Poema
– è successiva a quella pensata per l’”evento”. Infatti
“Soltanto nel 1306 o 1307 […] allorchè interrompe la composizione del Convivio e del De Vulgari Eloquentia, Dante
3
, ricollegandosi al primo intento di dire di Beatrice ’quello
che mai non fue detto d’alcuna’, si dette alla composizione
del Poema” (GIZZI II, 40-41).
Mentre storicamente è stata privilegiata dalla maggioranza dei dantisti e commentatori una datazione d’’inizio
“viaggio” compresa tra il 14.3 a l’8.4.1300 (vedi Gizzi,
Della Valle, ecc.), il contributo si propone di riesaminare
invece un’interpretazione evidentemente minoritaria
(24/5.3.1301), forte però delle stringenti argomentazioni
astronomiche appunto di Filippo Angelitti4, ribadite più recentemente da Ideale Capasso.
Fu dunque il Poeta attendibile astrofilo osservatore o
mero elaboratore di scenari celesti tramite consultazione
di tavole, calendari, ecc.? Nella ricerca viene posta attenzione – tra le configurazioni ed eventi celesti descritti nella “Commedia” – soprattutto a quelli che
sembrano direttamente osservati (normalmente con buona precisione!) durante il tragitto dal Poeta, o comunque
riferiti da lui o da altri personaggi come inerenti ai momenti
specifici in cui vengono citati.
***********************************************
La “Selva Oscura”
Luna+(Marte)+(Saturno)
1. Riferimento narrativo
* Natura della “Selva” e località in cui è situata sono lasciate
nell’indeterminato, in linea col tema narrativo del non consapevole ingresso in essa:
3 Dante (Durante) Alighieri (Firenze 1265-Ravenna 1321).
4 1856 –1931; a Palermo, docente all’Università e direttore dell’Osservatorio astronomico.
5
SCIENZE FILOLOGICHE E LETTERARIE | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
“Nel mezzo del cammin di nostra vita/mi ritrovai per una
selva oscura/che la diritta via era smarrita” (Inf. I, 1-3);
“Io non so ben ridir com’io v’entrai,/tant’era pien di sonno
a quel punto/che la verace via abbandonai” (Inf. I, 10-12).
2. Ipotesi di datazione
* Notte tra Venerdì 24 e Sabato 25.3.1301, prologo “terreno” del viaggio nell’Aldilà [svoltosi quest’ultimo nella
nostra ricostruzione – dopo percorso di avvicinamento - dalla
sera di Sabato 25.3 (per noi secondo le coordinate di Firenze)
alla Mezzanotte di Venerdì 31.3.1301 (o Mezzogiorno dello
stesso giorno, secondo le coordinate del Purgatorio agli antipodi di Gerusalemme)].
3. Possibile localizzazione dell’episodio
* Pur con i vaghi elementi narrativi citati, è opportuno analizzare le possibili ambientazioni geografiche dell’episodio suggerite da considerazioni storiche e implicite impostazioni
del Poema - come essenziale contributo alla datazione del
“viaggio” dantesco. Di tali localizzazioni, alcune - in linea
con la supposta presenza di riferimenti astronomici “direttamente osservati” tra quelli che corredano la “Commedia”
- sono da individuare tra gli scenari frequentati dal Poeta durante la stesura dell’opera; altre - di cui è possibile supporre
solo l’adozione delle coordinate geografiche relative - per
riferimenti astronomici provenienti invece da consultazione
di cataloghi o calcoli specifici al riguardo.
voragine orrenda,/difesa dal lago nero e dall’ombra dei
boschi” (237-238).
Qui Enea e la Sibilla Cumana, guida nell’occasione, “Andavano oscuri in notte deserta, per l’ombra/ e per le case di
Dite, vuote, e gli impalpabili regni:”/così, quando è incerta
la luna, sotto luce maligna,/è un sentiero per selve” (268272).
* A supporto dell’ipotesi “Averno”, va ricordata anche la ricostruzione di dimensioni e distanze dell’Inferno dantesco
effettuata dal matematico e architetto fiorentino Antonio
Manetti (1423-1497); suggestivo esercizio “di scuola” che
collocherebbe la Selva Oscura “a 1700 miglia da Gerusalemme. Tale distanza, scrive Ideale Capasso [1967, 21], ‘si
approssima alla distanza fra Gerusalemme e Napoli, quale
veniva stimata ai tempi di Dante e forse da Dante stesso, dal
quale […] ci viene indicato il valore di 45° per la differenza
di longitudine fra i due luoghi. Vicino a Napoli è Cuma, ove
già Virgilio aveva fatto entrare Enea nell’Averno’” (GIZZI
1974 II, 65).
* Comunque “Nel Poema non vengono indicate l’estensione
della base del cono, le distanze che intercorrono tra i vari cerchi e le grandezze di questi, a parte l’accenno alla lunghezza
delle circonferenze della nona [22 miglia; Inf. XXIX, 9] e
della decima bolgia, la più interna [lunghezza circonferenza 11 miglia, larghezza mezzo miglio; Inf. XXX, 86-87]”
(GIZZI 1974 II, 64).
***
3.1 Luogo “reale mitizzato/simbolico”, con riferimenti
astronomici “calcolati”?
* Visto il riferimento a Enea come a uno degli antichi protagonisti di mitici viaggi nell’Oltretomba - nel momento d’ambascia di Dante di fronte alla prospettiva d’un viaggio così
impegnativo e straordinario
“Ma io, perché venirvi? o chi ’l concede?/Io non Enëa, io
non Paulo sono;/me degno a ciò né io né altri ’l crede” (Inf.
II, 31-33) nonché il fatto che l’impresa dell’eroe troiano sia stata narrata proprio da Virgilio 5 (Eneide, VI) guida carismatica
all’Inferno e al Purgatorio nella “Commedia”, da considerare come possibile ambientazione osservativa dell’episodio
della “Selva Oscura” è il Lago d’Averno 6, località già presentata dal poeta latino come spaventoso ingresso appunto al
regno degli Inferi.
* Queste le caratteristiche ambientali/geografiche - coerenti
con quelle riportate della “Commedia” - evidenziate al riguardo nell’opera virgiliana:
“qui si dice la porta/del re d’Averno [inferni ianua regis],
l’oscura palude dell’Acheronte che stagna” (Eneide VI, vv.
106-109); “Nel mezzo tutto è boscaglia” (131); “le gole del
fetido Averno” (201); “sotto l’aereo monte, ch’è detto ancora Miseno” (234-235); “una grotta profonda, per vasta
5 Publio Virgilio Marone (Andes 70-Brindisi 19 a. C.).
6 Nel comune di Pozzuoli tra le frazioni di Lucrino e Cuma (Napoli).
Lat. 40° 50’ 20.4” N, long. 14° 04’ 33.6” E.
6
* Riguardo all’altra, notevole localizzazione simbolica possibile, sostiene ANGELITTI (1897, 61) che è “quistione […]
sottile, […] se il poeta nell’indicare la notte del plenilunio,
adotti il tempo di Gerusalemme, come fa in tutto il poema
nella designazione delle ore, o si riferisca al tempo del luogo,
dove si era smarrito, e donde osservò la luna tonda”.
Quelli che sono comunque “Per noi i due emisferi […] il boreale e l’australe, separati dall’Equatore […] nella concezione dantesca rappresentano quello delle terre emerse e quello delle acque i cui rispettivi centri sono Gerusalemme e
il Purgatorio (GIZZI II, 110-111); dunque “Gerusalemme
occupa il centro dell’ecumene, mentre a 90° est, a 180° sud e
a 90° ovest, sono posti rispettivamente Gange, il Purgatorio e
Cadice […] ognuna delle […] località dista dalla successiva
90° e quindi 6 ore” (GIZZI 1974 I, 195).
L’asse che unisce il Monte del Purgatorio a Gerusalemme passando per il centro della Terra – viene a costituire dunque
anche l’asse dell’Inferno.
3.2 Luogo “reale” con riferimenti astronomici “osservati”?
* Opzione osservativa possibile è quella di Firenze,
nell’arco temporale precedente ovviamente l’abbandono,
per esilio, della città da parte del Poeta. Riguardo alle indicate possibili date di riferimento del viaggio “mistico” – ristrette al 1300 e 1301 - queste dunque le presenze “in loco”
di Dante:
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | SCIENZE FILOLOGICHE E LETTERARIE
- Nel 1300 Dante è in città. Si reca a Roma per il Giubileo
(indetto il 22.2.1300 con effetto retroattivo dal 25.12.1299)
nella prima metà dell’anno (durante la Settimana Santa?) - e comunque prima della nomina a Firenze tra i Priori
(il 13.6, per il bimestre 15.6-15.8); oppure a Novembre, per
un’ambasceria presso Papa Bonifacio VIII.
- Nel 1301 similmente è a Firenze, e (ancora?) in ambasceria a Roma agli inizi di Ottobre. Secondo Dino Compagni
(Cronica II 4,11 e 25), il Pontefice avrebbe rimandato indietro gli altri ambasciatori trattenendo presso di sé soltanto il
Poeta (ma la notizia potrebbe riguardare invece l’incarico
dell’anno precedente). L’1.11 - con l’ingresso di Carlo di
Valois in Firenze – instaurata in città una politica più ligia al
potere della Chiesa, rispetto alle posizioni assunte da Dante.
Secondo Leonardo Bruni il mutamento colse il Poeta al rientro da Roma, presso Siena. Le conseguenti condanne a lui
comminate il 27.1 e 10.3.1302, e ribadite il 15.10.15, finirono per tenerlo lontano dalla città fino alla morte (1321).
* Per completezza d’indagine è comunque opportuno specificare i luoghi che ospitarono il Poeta durante l’esilio, al
fine di conoscere gli scenari astronomici a disposizione per
le osservazioni inserite nel Poema. Permanenze più o meno
lunghe, con documentazioni più o meno consistenti, riguardano diversi ambiti subregionali tutti compresi nell’Italia
centro-settentrionale (tra Genova e Pisa, Alta Valdarno,
Casentino, Lunigiana, Montefeltro, Mugello) sedi di Corti
ospitali e protettive (Arezzo, Bologna, Comacchio, Dovadola, Forlì, Gargonza, Lucca, Milano, Padova, Poppi, Ravenna,
Roma, Sarzana, S. Gimignano, S. Godenzo, Siena, Venezia,
Verona e Treviso), tranne una possibile trasferta a Parigi in
un periodo non ben definito (tra il 1308 e il 1310?).
Questi dunque gli estremi cardinali del territorio interessato alle peregrinazioni negli anni di riferimento e di stesura della “Commedia”: Parigi (o Treviso) a Nord, Venezia
a Est, Roma a Sud, Parigi (o Liguria) a Ovest.
4. Eventi astronomici descritti nell’episodio o riferibili a
esso
4.1. Riferimenti generali
(Osservazione del 24.3, menzionata il 25.3.1301)
“Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto,/là dove terminava
quella valle/che m’avea di paura il cor compunto,/guardai in
alto, e vidi le sue spalle/vestite già de’ raggi del pianeta/che
mena dritto altrui per ogni calle./Allor fu la paura un poco
queta/che nel lago del cor m’era durata/la notte ch’i’ passai
con tanta pièta” (Inf. I, 13-21).
4.2. Riferimenti astronomici specifici analizzati con
software Perseus 7
* Dei 3 possibili scenari dell’episodio sopra esaminati, per
esigenze editoriali di spazio riportiamo qui le visualizzazioni solo di uno di essi. La scelta è caduta su Firenze (e
non sul lago d’Averno o Gerusalemme) per il fatto che essa
costituisce il più probabile teatro osservativo utilizzato dal
Poeta (ammesso - come accennato nell’Introduzione - che i
riferimenti astronomici presenti nei passi della “Commedia”
da noi selezionati siano frutto d’osservazioni e non di consultazioni/calcoli, e che il periodo di riferimento sia ovviamente
precedente al definitivo distacco dantesco dell’esilio).
Nell’ambito della nostra indagine - tesa a ricavare dal sof7 “Perseus”, software di simulazione astronomica per Windows, ideato e realizzato da Luigi Fontana e Filippo Riccio. Copyright ELItalia
2001-2007, poi Filippo Riccio. Programma per realizzazione di carte
celesti nei mensili “Le Stelle” e “Nuovo Orione”. Livello e versione da
noi utilizzati: III, 1.12. Note esplicative dalle FAQ sul sito: “Il moto
dei pianeti è calcolato con l’approssimazione di alcune centesimi di
secondo sull’intervallo [temporale] -1000…+ 3000”, “La precessione
degli equinozi ha limiti simili”, “Per quanto riguarda il ΔT [differenza
tra Tempo Dinamico Terrestre-TDT e Tempo Universale CoordinatoUTC] […] nel passato vengono utilizzati dati stimati in base ai resoconti
delle eclissi antiche (con tutte le incertezze del caso)”; dalla Guida del
programma: “Perseus utilizza il calendario Gregoriano per le date dal
15 ottobre 1582 in poi, quello Giuliano per le date precedenti”.
7
SCIENZE FILOLOGICHE E LETTERARIE | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
Simulazione I - 1
tware dedicato informazioni riguardanti anno, mese, giorno relative all’episodio trattato - la simulazione proposta
si rivela comunque del tutto congrua e sufficiente al riguardo.
Simulazione I-1
[Domenica 26.3.1301 (2° g. di viaggio): osservazione
in corso+menzione d’osservazione riguardante il 2425.3.1301].
* Virgilio invita Dante a riprendere il viaggio all’alba del
2° g. nell’VIII Cerchio delle Malebolge, a conclusione della
visita a quella dei Maghi/Astrologi/ Indovini:
Data: Sabato 25.3.1301 (1° giorno di viaggio); sito: Firenze;
ora e direzione: 2.32h
verso Ovest per completezza d’osservazione; astri considerati: Luna (età 13.18g, tramonto 5.30h).
Simulazione II-2: Domenica 26.3.1301 (2° g. di viaggio), Firenze, NNO.
Luna (tram. 5.53), Sole (lev. 5.58)
Supporti diretti e indiretti alla posizione della Luna in
Simulazione I-1
->Luna-Inf. XX
“Ma vienne ormai; che già tiene ‘l confine/d’amendue li
emisferi, e tocca l’onda/sotto Sobilia Caino e le spine; e
già iernotte fu la luna tonda:/ben ten dee ricordar, chè non
Simulazione II- 2
8
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | SCIENZE FILOLOGICHE E LETTERARIE
Simulazione II - 1
ti nocque/alcuna volta per la selva fonda” (Inf. XX, 124-129)
[La Luna si trova ormai sulla linea d’orizzonte tra i due emisferi, cioè è al tramonto (sul mare) in quello boreale (come
indica la citazione “sotto la città di Siviglia”, considerata sul
limite occidentale dell’emisfero delle terre emerse, o di Gerusalemme); e già ieri notte fu Luna piena….].
* Due le connesse informazione astronomiche fondamentali,
in pieno accordo con i calcoli:
il 2° g. (26.3) – essendo la Luna al tramonto (5,53h) quasi
contemporaneamente alla levata del Sole (5,58h), è tempo
ormai di riprendere il viaggio. Il fenomeno descritto, notoriamente registrabile intorno alla fase di massima luminosità del nostro satellite, costituisce conferma retroattiva che
nella notte iniziata Venerdì 24 nella “Selva” la Luna poteva
apparire davvero ben “tonda”, in linea del resto col calcolo
del Plenilunio effettivo che risulta accaduto poche ore dopo,
alle ore 7.20 del 25.3 (PERSEUS).
***
* Che la fase della Luna venga ricordata proprio durante il 2°
g. di viaggio – facendo sì che l’espressione ‘iernotte’ (non
‘stanotte’!) venga a riferirsi opportunamente alle ore di
buio tra il 24 e il 25.3 – è avvalorato dalle seguenti, progressive tre indicazioni temporali fornite dal testo:
->osservazione dell’alba del 25.3 (1° g. dopo la notte nella
“Selva”), con la levata del Sole dietro il Colle
Simulazione I-2: Sabato 25.3.1301 (1° g. di viaggio),
Firenze, E. Sole-Pesci
“Temp’era dal principio del mattino,/e ’l sol montava ‘n sù
con quelle stelle/ch’eran con lui quando l’Amor divino/
mosse di prima quelle cose belle” (Inf. I, 37-40),
seguita dal propizio incontro di Dante con Virgilio (Inferno I,
61-87) mentre si trova alle prese con le 3 fiere.
->osservazione dell’imbrunire dello stesso giorno con inizio della discesa all’Inferno
“Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno/toglieva li animai
che sono in terra/dalle fatiche loro” (Inf. II, 1-3.)
->Comunicazione “in diretta” di Virgilio a Dante durante
la notte tra il 1° e il 2° g. (25-26.3): rispetto all’orizzonte
locale, posizioni delle costellazioni dei Pesci e dell’Orsa
Maggiore chiaramente riferibili alle ore che precedono
l’alba del 2° g.
Simulazione II-1: Domenica 26.3.1301 (2° g. di viaggio), Firenze. NW-Orsa Magg, E-Pesci
“Ma seguimi oramai, che il gir mi piace;/ché i Pesci guizzan
su per l‘orizzonta,/e ‘l carro tutto sovra ‘l Coro giace”
(Inf. XI, 112-114)
“Ma è ormai tempo che tu mi venga dietro, poiché mi piace andare; la costellazione dei Pesci, infatti, sale scintillando sopra l’orizzonte, e quella dell’Orsa Maggiore (Carro) si
trova nella direzione del Coro” “(in lat. Corus o Caurus), è
l’antico nome […] del vento di NW (Maestro)” (GIZZI 1974
II, 106-107).
***
–>Luna-Purg. XXIII (conferma di Luna-Inf. XX)
[Osservazione del 24-25.3.1301 menzionata Mercoledì
29.3 (5° g. di viaggio)]
* Riferimento fatto nel corso dell’incontro in Purgatorio con
Forese Donati nella VI Cornice dei Golosi:
“Di quella vita mi volse costui/che mi va innanzi, l’altr’ier,
quando tonda/vi si mostrò la suora di colui’/e ‘l sol mostrai” (Purg. XXIII, 118-121)
[Mi distolse da quella vita viziosa solo pochi giorni fa (l’altr’ier) costui che mi guida (Virgilio), quando si mostrava a
9
SCIENZE FILOLOGICHE E LETTERARIE | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
Simulazione IV - 1
voi piena la sorella del Sole (la Luna)].
* Opportuna la puntualizzazione sul termine “l’altr’ier” da
parte dei commentatori:
“L’altr’ier […] nell’uso arcaico […] ha valore di ‘alcuni
giorni or sono’. Il plenilunio, infatti, si verificò 5 giorni prima del colloquio con Forese, nella notte in cui Dante si smarrì nella selva oscura” [GIZZI 1974 II, 237];
“L’altr’ier: è detto in senso generico: ‘pochi giorni orsono’;
precisamente cinque” [SAPEGNO 1969, 260].
***
Computo lunazione: astronomico o ecclesiastico8?
* Secondo Angelitti, per il quale
“Coincidenza del cominciamento del viaggio con plenilunio è fuori dubbio: ma plenilunio astronomico o ecclesiastico? Osservazione diretta plenilunio vero o calcolato con
canoni della Chiesa? (ANGELITTI 1897, 54), tre sono gli
argomenti che sembrano spingere con forza verso l’utilizzo della data della versione astronomica, della fase cioè
osservata: quello linguistico [espressioni quali “luna tonda”
(Inf. XX, 127; Purg. XXIII, 119); “si mostrò” (Purg. XXIII,
120)], quello funzionale (posizionamento nella narrazione
di informazioni precise, chiaramente volte a fare cronologia
degli eventi), e infine quello indiretto, che rileva nel Poe8 Computo ecclesiastico della Lunazione: “Le norme per la celebrazione della Pasqua, decretate, come molti ritengono e anche il Clavio, dal
Concilio di Nicea [325] avevano stabilito che la Redenzione si dovesse
commemorare tra il 14° e il 21° g. della luna del primo mese, e che la 14a
dovesse o cadere nell’equinozio primaverile o immediatamente seguirlo”
(ANGELITTI 1897, 54-55). Viene di conseguenza a essere considerato
Novilunio “ecclesiastico” il primo apparire della falce crescente, 40 ore
almeno dopo la Luna Nuova astronomica, in congiunzione col Sole e dunque invisibile. “Nel 1300 il plenilunio ecclesiastico era di 3 o 4 giorni
posteriore al plenilunio astronomico “(ANGELITTI 1897, 55)
10
ta uso e piacere da astrofilo di considerare e descrivere il
Plenilunio nel momento esatto in cui si verifica (vedi Par.
XXIX, 1-9).
–>Luna-Pur. X
[Osservazione di Martedì 28.3.1301 (4° g. di viaggio)]
* Secondo Angelitti, il passo che decide comunque in favore
dell’utilizzo della data relativa al plenilunio astronomico
è quello dove in cui Dante e Virgilio - salendo lentamente
per un sentiero tortuoso verso il 1° girone del Purgatorio osservano il tramonto della Luna attraverso una pietra fessa:
“E questo fece i nostri passi scarsi,/tanto che pria lo scemo
della luna/rigiunse al letto suo per ricorcarsi,/che noi fossimo fuor di quella cruna:/ma quando fummo liberi e aperti/su
dove il monte in dietro si rauna” (Pur. X, 13-18.)
“Questo procedere rese i nostri passi brevi e lenti, tanto che
la Luna mancante era giunta di nuovo all’orizzonte per tramontare, prima che noi uscissimo fuori di quell’angusto sentiero” (GIZZI 1974 II, 213).
* Era il mattino […] più di 2h dopo sorto il sole [“e ‘l sole
er’alto già più che due ore” (Pur. IX, 44)] e prima di mezzodì [il passaggio di tale momento viene rilevato infatti in
Purg. XII, 80-81: “vedi che torna/dal servigio del dì l’ancella sesta” (sono già passate sei ore dal sorger del Sole, è
trascorso il mezzogiorno; ALIGHIERI 1969, 135 nota 80].
Or, quattro giorni dopo il plenilunio astronomico, la Luna
poteva tramontare prima del mezzodì; ma 7/8 giorni dopo,
doveva tramontare necessariamente dopo mezzodì, specie
nelle condizioni che l’osservatore si trovava nell’emisfero
australe e la declinazione della luna era anch’essa australe
(ANGELITTI 1897, 59).
* Delle seguenti due simulazioni, la IV-1 mostra dunque la
sintonia tra i passi selezionati e il calcolo astronomico di
lunazione, la VII-1 invece l’improponibilità tra tali riferimenti e il computo ecclesiastico relativo (posticipazione
della data di Plenilunio).
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | SCIENZE FILOLOGICHE E LETTERARIE
Simulazione VII - 1
Simulazione IV-1
notte e l’alba di Venerdì 31.3.1301 (7°/ultimo g. di viaggio)]
Martedì 28.3.1301 (4° g. di viaggio), Purgatorio (antipodi di
Gerusalemme); 9.05h verso SE;
Luna (età: ca 17.12g, tramonto 9.18h), Sole (levata 5.57h).
Simulazione VII-1
Venerdì 31.3.1301 (7° g. di viaggio); Purgatorio (antipodi
di Gerusalemme); 11, 55h verso NO;
Luna (età: ca 20,15g, tramonto 12.01h), Sole (levata
5.59h).
***
* Nella visualizzazione del cielo (I-1) relativo alla “Selva
Oscura” esaminiamo per comodità - oltre alla posizione
lunare - anche quelle di Marte e Saturno in quanto visibili comunque nelle ore interessate, benché Dante ne faccia
menzione solo in giorni successivi del viaggio. Essendo tali
pianeti “esterni” rispetto all’orbita terrestre, le loro posizioni
nell’arco di pochi giorni subiscono infatti variazioni piuttosto trascurabili ai fini della nostra ricerca.
Simulazione I-1
Sabato 25.3.1301 (1° g. di viaggio); Firenze; 2.32h verso
Ovest; Marte (tramonto 3.50h).
Supporti relativi a Marte per Simulazione I-1
* Anche se “Il poeta non indica chiaramente le posizioni
di Mercurio, Marte e Giove, né accenna di averli osservati durante il viaggio” (ANGELITTI 1897, 63), la posizione
di Marte può essere ricavata comunque dal passo seguente, che si pone come rilevazione d’una situazione celeste rilevante dal punto di vista simbolico:
->Marte- Par. XVI
[menzione dal V Cielo di Marte in Paradiso, fra mezza-
[il trisavolo Cacciaguida a Dante]
“dissemi: ’Da quel dì che fu detto Ave,/al parto in che mia
madre, ch’è or santa,/s’alleviò di me ond’era grave,/al suo
Leon cinquecento cinquanta/e trenta fiate venne questo
foco/a rinfiammarsi sotto la sua pianta” (Par. XVI, 31-39)
”Dall’epoca dell’incarnazione fino al tempo della mia nascita, Marte venne al suo Leone cinquecentottanta volte”. L’uso del verbo “venne” accenna chiaramente che Marte nel
tempo della visione era nel segno del Leone. Questa considerazione, che forse da sé sola non sarebbe sufficiente a
stabilire in modo sicuro la posizione di Marte, accordandosi
a capello con la posizione desunta dai calcoli, costituisce
una buona conferma in favore dell’ipotesi che il viaggio
cominciasse il 1301” 9 (ANGELITTI 1897, 96).
* Probabilmente l’espressione “sotto la sua pianta” - intesa
alla lettera dai commentatori “sotto le zampe” dell’animale
zodiacale [pur se il pianeta sembra posizionato non lontano da quelle anteriori del felino, immaginandole sollevate
e rampanti nel cielo] andrebbe intesa più in generale “sotto
l’influenza del segno”:
“Quando Marte è congiunto col Leone, è nel suo momento
migliore, perché può ‘rinfiammarsi’, può riprendere, cioè,
tutta la sua potenza di influsso. Nell’equinozio, poi, nel plenilunio e nella congiunzione Marte-Leone, si ha la più favorevole disposizione del cielo. In tale favorevole disposizione
nacque Cacciaguida” (GIZZI 1974 II, 353).
***
9 Questo passo ha aperto un ampio dibattito sull’anno di nascita di Cacciaguida, da calcolare sull’eventuale computo degli anni citati secondo lo
stile ‘ab incarnatione Domini’ (25 Marzo) e non ‘a Nativitate Domini’ (25
Dicembre). Ulteriore contributo alla questione è il tempo di rivoluzione di
Marte, probabilmente calcolato secondo l’opera tradotta in latino dell’astronomo arabo al-Farghani/Alfragano (prima metà IX sec.).
11
SCIENZE FILOLOGICHE E LETTERARIE | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
Simulazione I - 2
Simulazione I-1
Sabato 25.3.1301 (1° g. di viaggio); Firenze; 2.32h verso
Ovest; Saturno (tramonto 4.21h).
Supporti relativi a Saturno per Simulazione I-1
->Saturno-Par. XXI
[menzione dal VII cielo di Saturno in Paradiso, in tarda
mattina di Venerdì 31.3.1301 (7°/ultimo g. di viaggio)]
[Beatrice informa Dante di essere pervenuti appunto al cielo
relativo]
“Noi sem levati al settimo splendore/che sotto il petto del
Leone ardente/raggia mo misto giù dal suo valore”(Par.
XXI, 13-15).
“Nell’anno e nel periodo della visione dantesca, Saturno
si trovava in congiunzione con la costellazione del Leone; anzi, precisa il Poeta, col petto di tale costellazione, e
cioè con la stella Regolo, da Tolomeo chiamata ‘cor Leonis”
(GIZZI 1974 II, 364).
***********************************************
“Il Colle”
Sole+(Venere)
1. Riferimento narrativo
“Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto,/là dove terminava quella valle/che m’avea di paura il cor compunto”
(Inf. I, 13-15).
2. Ipotesi di datazione
* Mattina di Sabato 25.3.1301
3. Possibile localizzazione dell’episodio
* vedi “Selva Oscura”.
12
4. Eventi astronomici descritti nell’episodio o riferibili a
esso
4.1. Riferimenti generali
* (osservazione):
“guardai in alto, e vidi le sue spalle [del colle]/vestite già
de’ raggi del pianeta/che mena dritto altrui per ogni calle./Allor fu la paura un poco queta/che nel lago del cor m’era
durata/la notte ch’i’ passai con tanta pièta” (Inf. I, 16-21).
4.2. Riferimenti astronomici specifici analizzati con
software Perseus
Simulazione I-2
Sabato 25.3.1301 (1° g. di viaggio); Firenze; 6.30h verso
Est; Sole in Pesci.
Supporti diretti e indiretti alla posizione del Sole in Simulazione I-2
->Sole- Inf. I
[Sabato 25.3.1301 (1° g. di viaggio): osservazione]
“Temp’era dal principio del mattino,/e ’l sol montava ‘n
sù con quelle stelle/ch’eran con lui quando l’Amor divino/mosse di prima quelle cose belle” (Inf. I, 37-40).
[il Sole si levava in congiunzione con quelle stelle che ugualmente lo accompagnavano quando fu creato il mondo].
Si chiede in proposito l’Angelitti: “Ma erano le stelle della
medesima costellazione o [..] del medesimo segno? A prima vista parrebbe che dovessero essere […] della medesima
costellazione; ma si deve riconoscere che Dante fa un poco
di confusione tra costellazioni e segni […questi] parti dell’eclittica, ciascuna di 30 gradi, che cominciano dal primo punto d’Ariete: essi portano gli stessi nomi delle dodici costellazioni dello Zodiaco, con le quali dovevano originariamente
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | SCIENZE FILOLOGICHE E LETTERARIE
Simulazione III - 1
coincidere” (ANGELITTI 1897, 40-41) 10.
Pur ricordando lo stesso autore che “Al tempo dell’azione
del poema il sole si trovava nel segno d’Ariete: ciò risulta
senza alcun dubbio dai versi 37-45 del canto I del Paradiso,
dove è detto che il Sole era nelle vicinanze della foce, ossia
del punto, “che quattro cerchi giunge con tre croci”, cioè del
primo punto d’Ariete, dai versi 7-15 del X del Paradiso, dove
è detto che il Sole era congiunto con la parte dove lo zodiaco
si dirama dall’equatore, e dai versi 86-87 del canto XXVII
del Paradiso, nei quali il poeta riferisce che, dal segno dei
Gemelli, dov’era salito (Par. XXII, 110-11), vedeva il Sole
procedere sotto i suoi piedi un segno e più partito” (ANGELITTI 1897, 39-40),
in effetti l’unica diretta citazione dell’Ariete (segno o costellazione) nella Commedia è quella in Par. XXVIII, 117, a collegamento ovviamente con la Primavera.
* Eppure, secondo Gizzi, “Dante conosceva benissimo il fenomeno della precessione degli Equinozi [Convivio II V 16,
Pur. XI 108, Vita Nuova II], per effetto della quale ai suoi
tempi il Sole, all’equinozio di Primavera, non era più con
le stelle dell’Ariete, ma con quelle dei Pesci” (GIZZI II 81,
e nota 6).
Posizione questa dell’astro del giorno confermata sia nelle simulazioni qui proposte (PERSEUS), sia in GASPANI
(2015, 66): l’autore mostra appunto la presenza del Sole in
Pesci e (conseguentemente) della Luna in Vergine in pleniluni equinoziali di Pasqua tra loro lontani come quelli del
30.3.1268 e del 4.4.2015.
***
10 Così anche in DELLA VALLE (1870, 24-25): “Nei vari luoghi del
poema dove parla dei segni e delle costellazioni dello Zodiaco dello stesso nome, non distingue mai le une dagli altri”.
* La simulazione I-2 mostra anche Venere che - espressamente osservata/citata però nel Purgatorio – viene a essere
considerata allora nella III-1, caratterizzata appunto dalle
coordinate relative.
***********************************************
“Purgatorio”
Venere
1. Possibile localizzazione dell’episodio
* Purgatorio (antipodi di Gerusalemme)
La localizzazione di Gerusalemme è stata adottata nelle
simulazioni solo come base di calcolo per riferimenti astronomici che appaiono osservati durante la visita del Purgatorio (simulazioni III, IV e VII). E questo perché - ipotizzando il Poeta la montagna relativa proprio agli antipodi
della Città Santa – le coordinate di questa (lat. 31° 46’ 48”
Nord, long. 35° 13’ 12” Est; PERSEUS) fanno necessariamente da base al computo relativo. Partendo da dati certo più
precisi di quelli a disposizione di Dante, con elaborazione
possibilmente diversa da quella ottenuta dal Poeta) il Purgatorio viene a situarsi nell’Oceano Pacifico, a 31° 46’ 48”
di lat. Sud e 144° 46’ 12” di long. Ovest.
* Nei passi seguenti viene evidenziata la differenza di 12h
tra il primo mattino di Lunedì 27.3.1301 (3° g.di viaggio) ai
piedi del monte Purgatorio
(avvertimento di Catone)
“Lo sol vi mostrerà, che surge ormai” (Pur. I, 107);
“Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio” (Pur. III, 16),
e il contemporaneo finire del giorno nell’emisfero di Gerusalemme, nel luogo (Napoli, da Brindisi) dove è sepolto il
corpo di Virgilio (che appunto parla):
“Vespero è già colà dov’è sepolto/lo corpo dentro al quale
13
SCIENZE FILOLOGICHE E LETTERARIE | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
io facea ombra:/Napoli l’ha, e da Brandizio è tolto” (Pur. III,
25-27)
Simulazione III-1
Lunedì 27.3.1301 (3. g. di viaggio). Purgatorio, E. VenereAcquario
Supporti diretti e indiretti alla posizione di Venere in
Simulazione III-1
->Venere- Purg. I
[osservazione dal Purgatorio, all’alba di Lunedì 27 Marzo
1301 (3° g. di viaggio)]
“qualche tempo prima del sorgere del Sole, il poeta, uscito
a riveder le stelle sulla riva orientale dell’isoletta del Purgatorio” (ANGELITTI 1897, 62) afferma - in una poetica
descrizione osservativa – che “Lo bel pianeta che ad amar
conforta/faceva tutto rider l’oriente,/velando i Pesci, ch’erano in sua scorta” (Purg. I, 19-21)
* All’identificazione di tale astro con Venere da parte della maggioranza dei commentatori, s’oppone questa acuta
critica portata a fine XVI sec.11, da valutare bene in quanto
la posizione del pianeta costituisce fondamentale argomento
11 (ACCADEMIA DELLA CRUSCA 1595; capitolo introduttivo: Opinione intorno al tempo del viaggio di Dante, nota a Paradiso VIII, 11).
Citato da ANGELITTI (1897, 62).
14
per la definizione dell’anno della “viaggio” mistico:
“Nel 1 del Purgatorio quando il Poeta dice: Lo bel pianeta che ad amar conforta, ecc., intende il Sole e non Venere, quando essa […] non da ciglio ma da coppa lo vagheggiava […] i Pesci. Il qual segno ritrovandosi sull’orizzonte, è
scorta e guida al Sole, che sormonta dopo di lui”.
* Sostiene opportunamente Angelitti che in soccorso al riguardo interviene proprio il “modus narrandi” di Dante, in
quanto appunto
“i principali fatti astronomici egli non si contenta di accennarli una volta sola, ma li ripete in altri luoghi del
poema e con altre parole” (ANGELITTI 1897, 62).
->Venere-Pur. XXVII
[menzione dal Purgatorio, all’alba di Giovedì 30 Marzo
1301 (6° g. di viaggio)]
L’occasione per il riscontro opportuno è il sogno di Lia [prima moglie di Giacobbe] che Dante - preso dal sonno sulla
scala tra Purgatorio e Paradiso terrestre - riferisce d’aver fatto:
“Ne l’ora, credo, che de l’orïente,/prima raggiò nel monte
Citerea12,/che di foco d’amor par sempre ardente” (Pur.
XXVII, 94-96).
Descrivendo con precisione questo passo l’apparizione
12 Citerèa, alla greca Citèrea: appellativo d’Afrodite dall’isola di Citèra/
Cerigo.
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | SCIENZE FILOLOGICHE E LETTERARIE
mattutina di Citerea (Venere) – ribadita pure dal fatto visto
che di lì a poco “per gli splendori antelucani,/[…] le tenebre
fuggian da tutti i lati (Pur. XXVII, 109, 112) – la natura de
“Lo bel pianeta che ad amar conforta” osservato tre giorni
prima risulta del tutto chiarita.
***********************************************
Cometa di Halley
(non menzione nella “Commedia”: non in contrasto con
datazione del viaggio 25-31.3.1301)
* Passaggio 1301: Ottobre 25.58194, perielio (EDBERG
1985, 9),
25.3.1301: inizio viaggio di Dante (7 mesi prima del perielio).
“La cometa di Halley, stando ai calcoli di Hind13 apparve
nell’Autunno del 1301 (secondo altri del 1305)” (GIZZI
1974 I, 75).
Secondo questo dantista - sulla scorta d’un passo del Convivio - probabilmente il Poeta poté appunto osservarla nel
Novembre del 1301
“E però dice Albumasar [astronomo persiano, IX sec.] che
l’accendimento di questi vapori [di fuoco] significa morte di regi e trasmutamento di regni; però che sono effetti
de la segnoria di Marte […] in Fiorenza, nel principio de
la sua distruzione14, veduta fu ne l’aere, un figura d’una
croce, grande quantità di questi vapori” (Dante, Convivio II, XIII, 21)
potendosi così ispirare a essa nella Commedia
“quelle anime liete/si fero spere sopra fissi poli,/fiammando,
volte, a guisa di comete”(Par. XXIV, 10-12).
***********************************************
Bibliografia
sunta dai dati cronologici e confermata dalle osservazioni astronomiche riportate nella Commedia. Memoria letta
all’Accademia Pontaniana nelle tornate dell’11 aprile e del 6
giugno 1897. Tipografia della Regia Universita, Napoli. Estr.
da: Atti dell’Accademia Pontaniana, v. XXVII.
CAPASSO I. 1967, l’Astronomia nella Divina Commedia,
Domus Galilaeana, Pisa.
CAPASSO I. 1960, La data della visione dantesca discussa
secondo le indicazioni astronomiche e le notizie storico-cronologiche. Estratto dagli “Atti” dell’Accademia Pontaniana.
Nuova serie, volume IX. Osservatorio astronomico di Capodimonte, Napoli. Contributi scientifici-nuova serie 19. Giannini, Napoli.
DELLA VALLE G. 1870, Supplemento al libro ‘Il senso
geografico-astronomico ecc.’ ovvero aggiunte e nuove dichiarazioni sopra alcuni del luoghi della Divina Commedia
che in esso vengono interpretati del medesimo autore di detto
libro, Dalla Tipografia Novelli, Faenza.
DELLA VALLE G. 1869, Il senso geografico-astronomico
dei luoghi della Divina Commedia esaminato nelle note dei
commentatori fino ai nostri giorni e nuovamente esposto dal
prof. G. Della Valle ad uso delle scuole, Dalla Tipografia
Novelli, Faenza.
EDBERG, S. J. 1985, Manuale IHW. Guida allo studio della
cometa per astronomi non professionisti, A cura delle riviste
“L’astronomia” e “Coelum”, Febbraio 1985. Edizioni Media
Presse, Milano. International Halley Watch. Campagna osservativa internazionale della cometa di Halley.
GARGIULO L. 2013, Itinerari dell’esilio. I grandi temi della
Divina Commedia, Edilet - Edilazio Letteraria, Roma.
GASPANI A. 2015, La Pasqua cristiana romana secondo il
computus medioevale, “Le Stelle”, 141, pp. 61-67.
GIZZI C. 1974, L’astronomia nel poema sacro, II, Loffredo,
Napoli.
HIND I.R. 1850, On the past history of comet oh Halley,
“Montly Notices of Royal Astronomical Society, X.
ACCADEMIA DELLA CRUSCA 1595, La Divina Commedia di Dante Alighieri nobile fiorentino; ridotta a miglior
lezione dagli Accademici della Crusca, per D. Manzani, Firenze.
ALIGHIERI D. 1968/1969/1971, La Divina Commedia. III,
A cura di Natalino Sapegno, La Nuova Italia, Firenze.
ANGELITTI F. 1899, Intorno ad “alcuni schiarimenti”
sull’anno della visione dantesca, Tipografia Matematica, Palermo.
ANGELITTI F. 1898, Sull’anno della visione dantesca.
Nuove considerazioni in replica a una critica di Demetrio
Marzi. Memoria letta all’Accademia pontaniana nella tornata 7 agosto 1898. Stab. tip. della Regia Università, Napoli.
ANGELITTI, F. 1897, Sulla data del viaggio dantesco, de13 (HIND 1850, 5).
14 “Il 1° novembre 1301, alla venuta di Carlo di Valois che segnò la rovina di Firenze [per la parte Guelfa bianca di Dante], fu vista una cometa
che assunse la forma di croce” (GIZZI 1974 II, 351 nota 9).
15
SCIENZE POLITICHE E SOCIALI | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
La valutazione dell’efficacia
dell’intervento sociale nell’ambito
della salute mentale. Il contributo della
scienza dialogica
LUIGI COLAIANNI
Dipartimento di Neuroscienze e Salute mentale – Fond. Policlinico di Milano. Laboratorio di Metodologia di Analisi dei Dati Informatizzati Testuali (MADIT) UNIPD
La metodologia innovativa generata dalla scienza dialogica e il modello dialogico-interattivo offrono una strategia
efficace che è appropriata all’oggetto di conoscenza, al fine
di valutare i risultati e il monitoraggio degli interventi sociali
con le persone con diagnosi psichiatrica in servizi ad alta integrazione socio-sanitaria, come ad esempio quelli di salute
mentale. A tal fine, si propone l’assessment e la valutazione
nell’osservazione del cambiamento biografico prodotto da
interventi sociali nel campo della salute mentale, ridefinendo
obiettivi e strategie; questo permette di produrre una misurazione del possibile scarto tra obiettivi posti e risultati.
L
a mozione per una risoluzione del Parlamento Europeo1 annessa al Libro Verde sulla
salute mentale2 si apre con la seguente enunciazione:
«Una persona su quattro in Europa sperimenta almeno un episodio significativo di disturbo mentale
nella propria vita (oltre 18 milioni di europei ogni anno soffrono di depressioni severe). Il costo economico delle malattie mentali è enorme, tra il 3 ed il 4 % del prodotto interno
lordo. Circa 58.000 cittadini dell’Unione si suicidano ogni
anno, più delle morti per incidenti e AIDS, e un numero di
circa 10 volte superiore tenta il suicidio. Ancora in alcuni
paesi europei fino all’85% dei finanziamenti per la salute
mentale sono assorbiti dal mantenimento di grandi istituzioni psichiatriche».
Il rilievo della “salute mentale” ai fini della promozione
della salute generale delle popolazioni è così ribadito e tuttavia il raggiungimento di tale obiettivo sconta forti criticità,
con grandi variazioni tra paese e paese. In particolare le strategie messe in campo non permettono di anticipare e gestire
1 http://europa.eu/legislation_summaries/public_health/health_determinants_lifestyle/c11570c_it.htm
2 Improving the mental health of the population. Towards a strategy on
mental health for the European Union, Brussels, 14.10.2005COM(2005)
484 final
16
tali criticità in quanto la valutazione degli esiti è pressoché
assente dalle routine dei servizi – territoriali o ospedalieri
– che si occupano di persone con diagnosi psichiatrica. A
tale proposito, la Relazione Conclusiva sui Servizi Italiani
per la Salute Mentale – redatta dalla apposita Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del
servizio sanitario nazionale (30 gennaio 2013) – rileva che
le strategie definite come cruciali, quali «gli interventi di
sostegno alle famiglie, nonché le azioni di difesa dei diritti
degli utenti, attraverso la valorizzazione delle competenze
della persona e lo sviluppo di idee positive di riorganizzazione del disegno di vita, della cultura dell’auto–mutuo–aiuto
e della guarigione», non sono al centro dell’architettura dei
servizi: prevalgono modalità di intervento quali quelle che
si possono osservare nei reparti ospedalieri che «risultano
quasi tutti “luoghi chiusi”, non solo per i ricoverati, ma anche dall’esterno all’interno, per le Associazioni di familiari e
utenti, per il volontariato formalizzato e informale». Ciò «a
scapito di un “sapere esperienziale” che viene perduto e di
una trasparenza dell’operato sanitario, di cui godono invece
tutti quei luoghi sanitari che sono aperti e liberamente frequentati»; si evidenzia che i Servizi Psichiatrici di Diagnosi
e Cura, quali «uniche strutture presenti dentro l’ospedale,
rimangono per la maggior parte luoghi chiusi e con ancora
largamente diffuse pratiche di contenzione (talora attuate illegittimamente come se fossero “terapie”), frequentemente
privi di possibilità di interventi riabilitativi e sociali»; che
le strutture riabilitative residenziali sono «molto onerose dal
punto di vista economico sul bilancio complessivo dei Dipartimenti di Salute Mentale e “non–efficienti” in termini di
esito, oltre che di processo». Esse presentano, per la maggior
parte, varie criticità, tra cui «un ridottissimo “turnover” dei
ricoveri, con situazioni di istituzionalizzazione sanitaria di II
generazione, spesso connotati da scarsa consistenza di interventi realmente socio–riabilitativi di reintegro del paziente
nel contesto territoriale di vita [...] A oggi, molte diventano
contenitori di emarginazione sociale della disabilità psichica,
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | SCIENZE POLITICHE E SOCIALI
contrariamente alle finalità dichiarate, con conseguenti fenomeni di “wandering” istituzionale tra luoghi di ricovero».
Appare pertanto non più procrastinabile che la valutazione
nelle sue varie forme – di processo e di esito – venga posta
come strategia per ridurre il gap di salute tra cittadini con
diagnosi psichiatrica e tra questi e il resto della popolazione,
in virtù anche dello stigma che già il ricevere una diagnosi
psichiatrica inizia a generare (devianza secondaria, Lemert
1981).
LA VALUTAZIONE DEGLI INTERVENTI SOCIO–
SANITARI COME STRATEGIA DI RIDUZIONE DELLE
DISUGUAGLIANZE DI SALUTE
In virtù di quanto descritto, al fine di valutare quanto
dell’obiettivo che l’intervento sociale in ambito di salute
mentale intende perseguire sia stato raggiunto, il testo che
si offre alla considerazione del lettore illustrerà l’impiego
della filiera della conoscenza generata in virtù della scienza
dialogica, con l’obiettivo di costruire indicatori dell’efficacia
dell’intervento sociale in ambito di salute mentale – coerenti
con l’oggetto osservativo e con la modalità conoscitiva in
cui esso si adagia – e il processo metodologico che rende
disponibili dati testuali che possano essere informatizzati
e permettano di disporre del rigore della misura. A tal fine
è necessario esaminare i costrutti fondamentali pertinenti
all’ambito operativo, affinché siano definiti in modo rigoroso
e si sia in grado di implementare processi organizzativi quali
quelli relativi alla valutazione dell’efficacia (evaluation) e
del monitoraggio.
L’efficacia di un intervento, in qualunque ambito si svolga, è definibile come lo scarto che si registra tra l’obiettivo
prefissato dall’intervento stesso e il risultato ottenuto (si dà
sempre un delta di scarto), per cui la prassi di valutazione
dell’efficacia si pone come momento elettivo per attestare
il raggiungimento degli obiettivi precedentemente definiti.
Poiché quanto viene attuato nel contesto di un intervento di
qualsivoglia genere è in relazione con tali obiettivi, la valutazione dell’efficacia consente di avere un feedback sulle
strategie messe in campo per il perseguimento degli obiettivi
stessi, in modo da consentire, nel caso, di ricalibrarle in direzione di un incremento di efficacia. Un progetto di intervento
che non contempli la valutazione dell’efficacia risulta fortemente critico nella misura in cui esso si struttura in modo
autoreferenziale a partire da assunzioni di principio rispetto
a cosa sia ritenuto maggiormente “utile” dal senso comune,
anziché in virtù di una prassi scientifica che consenta di attestare quali siano effettivamente i risultati raggiunti in virtù
degli obiettivi posti ed espone utenti e operatori alla pervasione del senso comune e delle “teorie” implicite che spesso
producono costrutti quali quelli del neo–internamento, della pericolosità sociale e della “inguaribilità” delle persone
diagnosticate, con il rafforzamento delle carriere “morali”
biografiche (Goffman 1983), anziché generare biografie dialogicamente aperte.
Obiettivi, strategie e strumenti della valutazione dell’efficacia
Il disegno di valutazione dell’efficacia di qualsiasi intervento, per potersi dire scientifico, deve soddisfare:
– un criterio di adeguatezza epistemologica, per cui obiettivo dell’intervento, obiettivo e metodo della valutazione
e oggetto d’indagine devono essere collocati al medesimo
livello epistemologico di riferimento (ovvero al medesimo
livello di realismo);
– un criterio di correttezza metodologica, per cui presupposti teorici, strategie di valutazione adottate, impiego degli
strumenti e metodo d’analisi devono essere rigorosi e tra loro
coerenti.
A fronte di quanto posto, la definizione di obiettivi epistemologicamente fondati è condizione necessaria affinché
il loro raggiungimento sia valutabile, ed è premessa affinché
la metodologia di valutazione dell’efficacia sia pertinente e
adeguata, non vincolata ad alcuna specifica teoria di riferimento (ovvero alle categorie conoscitive dell’osservatore).
Per esempio, in ambito medico – dove vige un paradigma
ontologico–monista – è possibile rilevare una prassi di valutazione dell’efficacia di un farmaco rigorosa e corretta; per
valutare se il farmaco abbia una efficacia circa gli obiettivi di
guarigione posti, si impiega il metodo del “doppio cieco”3,
mediante il quale l’efficacia della terapia farmacologica viene valutata operando il confronto tra i risultati ottenuti con
i pazienti trattati con uno specifico principio attivo e quelli
ottenuti con pazienti trattati con placebo. Se si rileva una differenza statisticamente significativa negli esiti tra i due tipi
di “trattamento” a favore del gruppo di pazienti che è stato
trattato con il farmaco è possibile asserire che quest’ultimo
ha una efficacia terapeutica. Attraverso la definizione e l’utilizzo di specifici protocolli, dunque, la medicina è in grado
di attestare il raggiungimento dell’obiettivo che persegue,
ovvero la guarigione (healing), salvo complicazioni.
Se la medicina si muove entro un piano epistemologico di
tipo ontologico (ovvero un livello di realismo definito monista – Salvini 1998), per cui si pone la possibilità di riferirsi
a enti e legami empirico–fattuali rilevabili e misurabili, in
ambito di intervento sociale il fondamento epistemologico si
pone nei processi conoscitivi che generano specifiche configurazioni di realtà e le loro ricadute pragmatiche quali la definizione della “situazione”4 e le azioni generate in tali contesti situazionali. Ci si colloca pertanto a un livello di realismo
concettuale, per il quale la realtà non va posta a un livello
ontologico, “data di per se stessa”; essa viene generata da un
processo di costruzione basato sulle modalità di conoscenza
utilizzate dalla comunità dei parlanti (Wittgenstein 1967): si
è dunque nel campo delle scienze “logos”, come lo sono la
sociologia, la psicologia e l’antropologia. La “realtà” viene
3 La dizione estesa è “Test clinico randomizzato controllato in
doppio cieco”.
4 «Se gli uomini definiscono reali certe situazioni, esse saranno reali nelle loro conseguenze» (W.A. Thomas 1968).
17
SCIENZE POLITICHE E SOCIALI | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
quindi a caratterizzarsi in quanto costruita dagli interagenti
nel contesto discorsivo entro cui essa si genera, tant’è che
il costrutto di riferimento è quello di “configurazione della realtà”. La collocazione nell’ambito delle scienze logos,
pertanto, non rappresenta un cambiamento di mero “contenuto”; essa comporta un “salto epistemologico”, ovvero un
cambiamento rispetto al fondamento della conoscenza, ossia
rispetto al supporto stesso per cui si conosce. Ecco perché si
rende necessaria la definizione di obiettivi degli interventi,
tali che siano adeguati al campo d’indagine, e la definizione
dei metodi per valutare il raggiungimento degli stessi.
Se il campo di pertinenza dell’intervento sociale è rappresentato dai processi discorsivi5 che generano la “realtà” – in
questo caso le realtà “utente”, “bisogno” e “richiesta” e tutti
i costrutti correlati – in ottemperanza al criterio di adeguatezza epistemologica, anche la valutazione dell’efficacia va
posta in termini di “processi conoscitivi”, inscrivibili in una
dimensione costruttiva della “realtà”. Coerentemente con
l’oggetto d’indagine così definito, dal punto di vista metodologico la valutazione dell’efficacia si muoverà indagando i
presupposti conoscitivi a partire dai quali si genera la “realtà” oggetto d’interesse, andando a rilevare i processi discorsivi praticati dagli interagenti coinvolti. Un intervento sociale che si rivolga all’oggetto di interesse testé descritto, entro
una dimensione diacronica, pone come obiettivo il cambiamento delle produzioni discorsive utilizzate dai parlanti in
uno specifico contesto, dove per “cambiamento” si intende
una trasformazione della matrice discorsiva che genera una
certa configurazione di realtà. Per il rispetto del rigore degli
assunti epistemologici e per correttezza metodologica, quindi, la valutazione dell’efficacia sarà volta a valutare quanto
tale trasformazione si sia generata in virtù dell’intervento
(a qualunque modello esso faccia riferimento), ottemperando
all’obiettivo della valutazione dell’efficacia, ovvero di rilevare il quantum di copertura degli obiettivi posti come goal
dell’intervento sia stato effettivamente raggiunto.
Non ponendosi la possibilità entro l’ambito dei “processi
di conoscenza” di misurare enti o di rilevare legami empirico–fattuali tra questi (relazione di causa–effetto), la valutazione dell’efficacia non assume l’esistenza di un legame causale tra “intervento” e “generazione del cambiamento”; essa
mira a rilevare quanto l’intervento sia stato in grado di generare processi conoscitivi precedentemente non contemplati,
offrendo elementi discorsivi sia “differenti” rispetto a quelli
disponibili prima dell’intervento, sia soprattutto in linea con
l’obiettivo delineato. A questo scopo, coerentemente con
quanto assunto, il disegno della valutazione dell’efficacia
prescrive il confronto tra pre–intervento e post–intervento.
5 Con “processi discorsivi” si intende tutto ciò che è organizzato da una
dimensione linguistico–simbolica intesa in termini ostensivi. Ossia il linguaggio assume la sua portata generativa in virtù dell’uso, che la comunità
dei parlanti ne fa, e non sul piano denotativo (si indica un oggetto attraverso un termine) o connotativo (si specifica un qualcosa a seconda del punto
di vista utilizzato, del contesto in cui è inserito il termine). Ne consegue
che la persona non è la fonte del racconto, ma è il racconto che costruisce
la “persona”.
18
Nell’ambito medico, questo è effettuato mettendo a confronto lo stato iniziale, pre–(vive) (t0) con quello finale, post–
(vive) (t1): tale confronto temporale è necessario, in quanto si
assume una concezione di tempo lineale, concatenazione di
cause ed effetti, e quindi irreversibile, per cui il cambiamento
di stato è da attribuire al trattamento intercorso tra t0 e t1.
Nella valutazione dell’efficacia d’interventi attuati rispetto
a processi di conoscenza, invece, le strategie di ricerca sono
due:
- la computazione test–retest;
- il confronto tra “produzioni discorsive in prospettiva attuale” e “produzioni discorsive in proiezione temporale”.
Tali strategie di valutazione prescrivono il confronto delle
produzioni discorsive che generano la configurazione di realtà oggetto d’indagine, tramite la raccolta di “testi” prodotti
dai parlanti entro il contesto d’interesse in differenti momenti
del processo conoscitivo in atto. Il confronto fra testi prodotti
in due tempi differenti è volto a evidenziare l’eventuale cambiamento delle modalità di conoscenza messe in atto dall’individuo (e/o dal gruppo) oggetto d’indagine a seguito dell’intervento e dunque delle differenti configurazioni della realtà
che si vengono a generare al tempo t0 e t1. Inoltre, attraverso
la raccolta di produzioni discorsive in “prospettiva attuale”
e in “proiezione temporale” il confronto avviene rispetto a
due momenti processuali differenti, non in senso strettamente cronologico, ma in termini di posizionamento discorsivo
del rispondente rispetto all’asse temporale. Diversamente dal
confronto temporale “effettivo” t0–t1, il confronto “prospettiva attuale/proiezione temporale” consente di descrivere un
cambiamento possibile delle modalità conoscitive messe in
atto “ora per allora” (ovvero “ora” rispetto alla descrizione di
una “realtà precedente” o “futura”) e risulta essere indicatore
della pervasività dell’eventuale cambiamento descrivibile,
rendendo conto di una maggiore/minore portata del cambiamento in atto in relazione alla misura in cui il cambiamento
stesso interessa anche le modalità di conoscenza che si utilizzano rispetto a momenti differenti da quello attuale.
Dal punto di vista metodologico, la strategia di valutazione
dell’efficacia prescrive la costruzione di un questionario a
domande aperte somministrato all’inizio dell’intervento – a
un tempo indicato come t0 – e al termine dell’intervento stesso o nel momento che si reputa utile testare – a un tempo
indicato come t1 –, volto a cogliere le modalità di conoscenza
utilizzate dai rispondenti per descrivere la “realtà” oggetto
d’indagine.
GLI INDICATORI DI PROCESSO
In aderenza alla metodologia, diviene necessario dotarsi di
opportuni indicatori di risultato, ovvero di ciò che consente
di individuare quanto della configurazione iniziale (t0) della
realtà si sia modificata, tanto da poter asserire che l’obiettivo
è stato perseguito attraverso gli interventi intrapresi e la configurazione che si attesta può essere indicata in risultato. Si
rende ancora necessario, pertanto, che la metodologia adottata per valutare l’efficacia di un intervento sociale sia inter-
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | SCIENZE POLITICHE E SOCIALI
namente coerente anche rispetto agli strumenti che utilizza,
cioè agli indicatori di risultato che definisce.
In riferimento al già citato criterio di adeguatezza epistemologica, la valutazione dell’efficacia di un intervento pone
l’attenzione ai processi di produzione della conoscenza,
ovvero alle modalità attraverso cui ciò che si conosce viene
ad assumere statuto di realtà (ciò che abbiamo chiamato la
“configurazione della realtà”). L’eventuale differenza rilevata mediante il confronto tra le produzioni discorsive prima e
dopo l’intervento, e in proiezione temporale, può presentarsi
quindi “contenutisticamente” (lessicalmente) irrilevante, ma
“processualmente” (testualmente) sostanziale: a fronte di
contenuti dissimili tra loro, è possibile registrare i medesimi processi di generazione della realtà. Pertanto, oggetto di
valutazione, non viene a essere il “cosa” si dice (il “detto”),
quanto le modalità conoscitive attivate nella produzione del
discorso, ovvero il “come” si genera la realtà di cui sta parlando (il “dire”). Parimenti, diviene possibile rilevare particolari contenuti utilizzati dai testi disponibili (arcipelaghi di
significato) quando questi vadano a specificare in maniera
differente la configurazione di realtà che si genera in relazione all’impiego delle medesime modalità di conoscenza.
A fronte degli aspetti fin qui descritti, si considera come
anche l’impiego che si fa dei risultati della valutazione
dell’efficacia richieda di collocarsi in maniera pertinente
e adeguata entro la cornice epistemologica delineata. Coerentemente con quanto sinora posto, la “lettura” dei risultati
consiste pertanto nella descrizione di un processo conoscitivo in atto al momento della valutazione (distogliendosi da
una prospettiva esplicativa6), a partire dalla quale deve divenire possibile, da un lato, valutare quanto l’obiettivo posto
sia stato raggiunto e, dall’altro, costruire nuove strategie di
intervento.
LA CORNICE CONTESTUALE
L’ambito operativo che si occupa di persone che ricevono una diagnosi psichiatrica è generalmente indicato, nelle
sue articolazioni organizzative, come Dipartimento di salute mentale; a ciascun Dipartimento afferiscono servizi territoriali socio–sanitari chiamati “Servizi di salute mentale”,
“Servizi di igiene mentale” e similari, e strutture residenziali
e semiresidenziali, dedicate sia all’acuzie, sia alla riabilitazione delle persone diagnosticate. Nella regione lombarda, in
particolare, regione in cui l’autore opera, i servizi territoriali
di salute mentale sono indicati come Centri Psico Sociali.
Per definire tutti gli aspetti cruciali argomentati in precedenza, perché si possa svolgere una valutazione scientificamente
fondata dell’efficacia degli interventi sociali svolti in ambito
di salute mentale è necessario raccogliere i costrutti discorsivi che la letteratura normativa e organizzativa mette a disposizione in virtù dello specifico assetto organizzativo; infatti
6 «Ogni spiegazione deve sparire [Erklärung] e soltanto la descrizione
[Berschreibung] deve subentrare al suo posto» (Wittgenstein 1967, sez.
109)
spesso avviene che la definizione degli obiettivi e la correlazione con le strategie efficaci per raggiungerli non siano
immediatamente disponibili e spesso queste ultime vengono
definite come “obiettivi”, producendo le premesse per errori
analitici e prasseologici.
Nello specifico che riguarda la nostra trattazione, il rilievo
dell’importanza attribuita alla valutazione è indicata nel testo
della delibera della Regione Lombardia 14049 del 8/8/2003,
che individua tra i compiti dei Dipartimenti di salute mentale
delle Aziende sanitarie quelli di:
– individuare gli indicatori utili per la valutazione e la verifica dell’appropriatezza e dell’efficacia delle prestazioni, anche al fine di verificare il livello di personalizzazione degli interventi e la promozione di
iniziative finalizzate all’umanizzazione della cura;
– valutare e verificare la qualità dell’assistenza fornita e delle prestazioni erogate.
Pertanto la valutazione è indicata dal legislatore come strategia elettiva sia per l’incremento della efficienza, sia dell’efficacia.
A tal fine si offre alla considerazione che la metodologia
di valutazione dell’efficacia degli interventi sociali – svolti
nell’ambito dei servizi di salute mentale – debba tenere conto che questi si configurano in virtù di tre elementi:
– della mission propria della professione di assistente sociale;
– degli obiettivi generali dello specifico ruolo;
– della matrice organizzativa che si genera nei singoli contesti organizzativi attraverso l’interazione tra differenti ruoli,
obiettivi e risorse.
I primi due elementi sono costanti; ciò che è variabile è la
matrice organizzativa, fortemente sensibile a come ciascun
ruolo si declina in virtù dell’obiettivo del servizio (declinazione spesso rispondente a teorie personali piuttosto che a
elementi “terzi”), per cui è utile in primis delineare le caratteristiche discorsive che i servizi psichiatrici – di “salute
mentale” – permettono di osservare. La collocazione della
psichiatria nella medicina biologica, insieme all’assunzione
del paradigma bio–psico–sociale – con le fallacie epistemologiche correlate (Turchi, Della Torre 2007; Colaianni 2009;
Di Paola 2000) – pongono il modello medico e quindi della
“malattia mentale” come riferimento euristico/teorico che
orienta discorsivamente le pratiche degli operatori sanitari
(psichiatri, infermieri, psicologi, educatori specializzati) e
spesso anche quelle degli operatori sociali (assistenti sociali). Ciò comporta che – come la ricerca ha evidenziato (Domedi, Laliscia, Barbanera e Quarato 2007) – all’interno del
contesto che si connota come terapeutico e a cui l’utente si
rivolge (o viene inviato) vengano generate nell’interazione
narrazioni da parte degli operatori che sono utilizzate anche
dagli utenti per descriversi, contribuendo a produrre identità
tipizzate – «Sono Fabio ex degente trasversale ben integrato
interista credente» come si definisce un protagonista del film
«Si può fare» [2008]. Ciò comporta che l’Identità, piuttosto che configurarsi come processo diacronico e dialogico e
quindi aperto alle possibilità di una biografia non anticipabi19
SCIENZE POLITICHE E SOCIALI | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
le, venga tipizzata secondo l’etichetta linguistica di “malato/
anormale” (con una vera e propria “predizione” prospettica
circa il futuro), prefigurando carriere biografiche coerenti
con tale etichetta, chiuse a ogni cambiamento, mantenute
tali dalla coerenza narrativa delle narrazioni (esperti) e dei
resoconti (utenti) spesso coincidenti. Quanto evidenziato è
generalmente indicato con il costrutto di “stigma” (Goffman
1963) in cui vengono compresi i processi di generazione della devianza secondaria che l’impiego della “etichetta linguistica” diagnostica comporta (Lemert 1981).
La narrazione dell’utente del servizio di salute mentale come “malato/diverso” da parte del polo dialogico degli
esperti (secondo il modello dell’identità dialogica, vedi oltre)
e quindi l’implicito porre come obiettivo la “guarigione” –
guarigione ancorché poco sostenibile in assenza di eziopatogenesi certa e di prognosi –, generano la “constatazione di
cronicità” e una costante pressione a far sì che l’utente abbia
“coscienza di malattia”, al fine di poter svolgere la pratica
psichiatrica senza impiegare strumenti di coattività. Tali elementi divengono così ostativi al fine di promuovere biografie
che si muovano nella prospettiva della “salute” come responsabilità personale e sociale e anzi orientano le produzioni discorsive nella direzione opposta, mantenendo e rafforzando
carriere biografiche centrate sulla “malattia”, fino a rendere
“lecito” e considerato come un “dato di fatto” l’impiego di
strumenti di coazione (Trattamento Sanitario Obbligatorio) e
di contenzione meccanica – ovvero legare le persone che tale
“coscienza di malattia” non evidenzino tramite una buona
compliance7 – fino alla definizione giuridica di “incapace di
intendere e volere”, sancita sulla scorta di perizie di psichiatria forense o criminologiche, che “attestano” la “pericolosità
sociale” della persona con diagnosi psichiatrica e che spesso
evidenziano fallacie argomentative e scientifiche inaccettabili in altri ambiti disciplinari8.
Ciò costituisce un aspetto contraddittorio rispetto all’obiettivo generale proprio del servizio sociale e alla prospettiva prasseologica che da quello viene elicitata, che mira a produrre processi avversativi dello stigma e generativi della trasformazione biografica, e che valuta sia metodologicamente,
sia deontologicamente l’indispensabilità della concordance
tra utente e operatore, anche in contesti prescrittivi. Quanto
asserito permette di evidenziare che la prassi e le strategie
operative correlate al raggiungimento degli obiettivi generali
dell’intervento di servizio sociale in ambito di salute mentale
devono tenere conto anche della declinazione di un obiettivo
7 Si veda circa lo scarso impiego del “consenso informato” in ambito
psichiatrico, Colaianni L. 2009, «Per incapacità di intendere e volere». Il
consenso informato della psichiatra, Roma: ARACNE.
8 Da uno stralcio di perizia psichiatrica circa la richiesta di “verificare” la pericolosità sociale di una persona sottoposta a misura di sicurezza:
«Sottoposto al test MMPI è risultato adeguato in tutti gli items […] Ma
si potrebbe supporre che ha risposto correttamente perché sa che questa
perizia è finalizzata al riesame della pericolosità sociale»: ciò che permette
al perito di “supporre” è il riferirsi al senso comune, evidenziando quindi
la fallacia di un test che dovrebbe rilevare “oggettivamente”, e quindi al di
là di intenzionalità finalistiche, relazioni necessarie e deterministiche tra
“oggetti” ritenuti esterni al processo conoscitivo e correlati da connessioni
di tipo causa–effetto.
20
secondario, sintetizzabile come “riduzione dello stigma” che
subisce la persona con diagnosi psichiatrica, al fine di contrastare l’effetto iatrogeno che l’intervento psichiatrico spesso genera con il suo portato di tipizzazione, disabilitazione
(Illich 2008) e cronicizzazione della persona nel suo ruolo
di “utente”.
Pertanto si pone la necessità di:
– esplicitare l’obiettivo generale del servizio sociale e i costrutti parafernali;
– definire le cornici epistemologica e teorica in virtù delle
quali verrà generata la strategia d’intervento e le azioni miranti al raggiungimento dell’obiettivo;
– definire gli indicatori di processo e di esito coerenti con
il modello impiegato.
Di seguito si offriranno alcune definizioni utili all’uopo.
DEFINIZIONI
Obiettivo:
definizione di uno scopo (astratto) che individua processi
organizzativi, condivisibile e misurabile.
Utente del servizio di salute mentale territoriale:
individuo che in virtù di una richiesta o di un invio riceve
una diagnosi psichiatrica e – se è il caso – un trattamento
medico/farmacologico e/o psicoterapico.
Obiettivo del servizio/struttura “salute mentale”:
la normativa vigente per l’ambito dei servizi sanitari e
socio–sanitari di salute mentale consente di specificare gli
obiettivi istituzionali come: prevenzione e cura dei disturbi
psichiatrici della popolazione e riabilitazione e reinserimento sociale delle persone affette da tali disturbi. Il Piano Regionale Salute Mentale della Lombardia indica la strategia
della “presa in carico” di individui che presentano «bisogni
complessi» («ovvero una diagnosi di disturbo psichico grave,
deficit nel funzionamento psico sociale e nella rete familiare e
sociale») quale «modello di buona pratica clinica» in quanto
la condizione psichica può compromettere una reale possibilità di
scelta, intesa come esercizio di critica e pienezza di progettualità esistenziale;
pertanto il testo pone l’obiettivo del
recupero di questa progettualità esistenziale nei modi e nei tempi consentiti dal rispetto dell’individuo e dalle sue difese. La metodologia
clinica della rilevazione dei bisogni specifici, dell’offerta d’interventi
differenziati e integrati e della garanzia della continuità terapeutica
rappresenta il modello di lavoro appropriato per la psichiatria di comunità.
L’obiettivo definito del servizio di salute mentale é rappresentato nel testo citato in virtù della configurazione discorsiva riportata (unico stralcio di testo del Piano Regionale
Salute Mentale da cui è possibile evincere una definizione di
“obiettivo”), per cui, attraverso l’analisi lessicale, si andrà a
esplicitare il costrutto di “reale possibilità di scelta”, correla-
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | SCIENZE POLITICHE E SOCIALI
to con l’“esercizio di critica” e con la “progettualità esistenziale”. Secondo il De Mauro, “reale” rimanda a «qualcosa
che è possibile verificare»; “possibilità” si riferisce all’eventualità che qualcosa «accada o si verifichi, a un’occasione
di fare»; “scelta” indica «la valutazione di ciò che può essere più conveniente o opportuno fra due o più alternative»
e un «momento dell’atto volitivo che consiste nel preferire
consapevolmente una decisione rispetto ad altre possibili»;
“esercizio di critica” indica la «messa in atto» della «facoltà intellettuale che permette di formulare giudizi obiettivi
e analitici su fatti e questioni»; “progettualità esistenziale”
indica la «tendenza a ideare, a realizzare e a programmare
attività o progetti» intesi come «idee, propositi, intenzioni
[...] relativi alla vita».
Come è evidente, se l’obiettivo dell’intervento in ambito
di salute mentale è posto come un costrutto meramente discorsivo (e non un concetto bio–medico) – orientato al futuro (“possibilità”, “scelta”, “progettualità”, “atto volitivo”),
che prevede la formulazione di “giudizi”, di “idee”, di “propositi” e di “intenzioni” e l’apporto diretto dell’individuo
­secondo i propri modi e tempi – ovvero è rappresentato dai
processi discorsivi che generano la “realtà” “progettualità
esistenziale”, anche la valutazione dell’efficacia deve essere posta in termini di “processi conoscitivi”, inscrivibili entro una dimensione costruttiva della “realtà” che si muova
verso l’implementazione di tali costrutti. Pertanto, non essendo in presenza di enti misurabili empiricamente, ma di
configurazioni discorsive di realtà, coerentemente con la natura dell’oggetto d’indagine come descritto, la valutazione
dell’efficacia si muoverà indagando i presupposti conoscitivi a partire dai quali si genera interattivamente la “realtà”
oggetto di interesse, andando a rilevare i processi discorsivi
prodotti dai soggetti interagenti.
Utente del servizio sociale (del servizio di salute mentale):
individuo che, in virtù dell’aver ricevuto una diagnosi psichiatrica, pone una richiesta al servizio sociale (la richiesta
può essere generata anche a seguito di segnalazione).
Obiettivo operativo dell’intervento sociale:
la generazione di identità dialogiche differenti da quella
di “utente” che permettano di elicitare competenze affinché
si dia «una reale possibilità di scelta, intesa come esercizio
di critica e pienezza di progettualità esistenziale» e quindi la
richiesta o l’invio posti al servizio possano essere gestiti in
modo adeguato (posizionamento in una modalità gestionale)
e possano così decadere. Operativamente si tratta di modificare la definizione di sé in quanto utente che attiva una richiesta (o che viene inviato) al servizio sociale (resoconto);
al contempo, di modificare la definizione che il servizio di
salute mentale e le strutture socio–sanitarie danno dell’individuo che attiva la richiesta (o che viene inviato – narrazione), intervenendo quindi sull’accoglimento di quest’ultima.
Competenze:
modalità conoscitive che permettono di anticipare scenari
possibili che non si sono ancora presentati e che si potrebbero presentare, correlati al posizionamento di uno specifico ruolo; sono configurazioni discorsive che elicitano effetti
pragmatici adeguati ed efficaci per la gestione di tali scenari
(saper essere: ovvero saper collocarsi nello specifico ruolo);
sono “organizzatori” di capacità, abilità, conoscenze e occasioni sociali9 (saper fare: competenze gestionali–interattive) . Promuovere le competenze di “sapere essere” implica
il distogliersi dalle proprie “personali” modalità d’agire e
quindi dalle proprie modalità di conoscere attraverso “teorie
personali sul mondo” (come decidiamo che il mondo sia),
per posizionarsi in modalità conoscitive pertinenti al piano
operativo correlato con gli obiettivi che l’utente si pone in
relazione allo scenario attuale/futuro possibile e alla propria
relativa collocazione di ruolo, ovvero all’efficacia dell’azione da implementare.
Intervento:
insieme di strategie pianificate e di azioni condivisibili
miranti a generare percorsi biografici “altri” dalla carriera
biografica di “utente”.
Obiettivo del progetto di valutazione dell’intervento sociale:
valutare l’implementazione delle competenze dell’individuo, in ambito personale e collettivo, che consentano di gestire la richiesta (o l’invio) in modo adeguato e quindi il suo
venir meno. Operativamente si tratta di valutare il grado di
generazione di percorsi biografici “altri” dalla carriera biografica di “utente”, sia nei resoconti, sia nelle narrazioni, che
consentano di anticipare il decadere della richiesta o dell’invio. Si mira a generare un quantum circa lo spostamento attuato dalla carriera biografica in direzione di una biografia.
Carriera biografica vs Biografia:
per “carriera biografica” si intende l’insieme delle produzioni discorsive poste in termini attuali, in termini di anticipazione (proiezione futura) o retrospettivi che caratterizzano il resoconto e la narrazione e che assumono rilievo
di previsioni e/o spiegazioni per il comportamento attuale/
passato. Il costrutto individua un processo biografico definibile come traccia che si genera e coincide con i passaggi
determinati assunti e sanciti a priori e assumono carattere
di previsione, ovvero configurazioni discorsive precisamente
definite nella loro definizione e nelle ricadute pragmatiche.
Secondo il modello proposto, la “carriera biografica” è definita come «trama di produzioni discorsive» poste al presente e al futuro, che contraddistinguono sia i resoconti, sia le
narrazioni, con carattere di spiegazione del comportamento
attuale e di previsione di quello futuro. Per esempio, è ciò
che il senso comune afferma che ci si possa aspettare da un
“tossicodipendente”, da un “delinquente”, da un “malato
mentale” in quanto tali;
per “biografia” si intende l’insieme delle produzioni discorsive che aprono a possibilità differenti da quelle elicitate
dall’identità tipizzata, nel caso di “malato/anormale” e quindi non anticipabili nel loro sviluppo.
9 Capabilities (Cfr. Sen A. (1997), La libertà individuale come impegno sociale, Bari: Laterza; Nussbaum M. (2001), Diventare Persone,
Bologna: il Mulino, e (2002) Giustizia Sociale e Dignità Umana, Bologna:
il Mulino).
21
SCIENZE POLITICHE E SOCIALI | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
METODOLOGIA DI VALUTAZIONE
Si delineeranno ora, in una prima parte, gli elementi teorici rispetto ai quali il metodo, all’interno del paradigma
narrativistico, procede per la generazione dei dati testuali relativi agli elementi precedentemente definiti; in una seconda
si offriranno le formalizzazioni operazionali che permetteranno di generare la misurazione, senza entrare nello specifico statistico che esula dalle finalità del saggio. Il processo
valutativo ha come oggetto osservativo le configurazioni
discorsive, intese come insieme dei processi di costruzione
della realtà “utente”, prodotte dalle voci narranti (Bachtin
1968) presenti nel sistema dei servizi socio–sanitari (utenti,
operatori). Pertanto il processo può essere inteso come la
misurazione dell’efficacia dell’insieme delle strategie che
contribuiscono a generare il cambiamento perseguito, tramite il cambiamento della coerenza della configurazione della
realtà “utente”. La metodologia di valutazione dell’intervento sociale in ambito di salute mentale è offerta dalla scienza
dialogica, in virtù della cornice epistemologica rappresentata dal paradigma narrativistico e del modello dell’Identità
dialogica adottato, in quanto coerente e adeguato al livello
paradigmatico in cui si adagia l’oggetto conoscitivo e il dato
osservativo, ovvero le produzioni discorsive delle varie voci
narranti. Il modello dell’identità dialogica definisce tale
costrutto come generato (continuamente) in virtù di cinque
dimensioni:
- delle produzioni discorsive rese in prima persona (resoconti, Personalis);
- delle produzioni discorsive rese in seconda e terza persona (narrazioni, Alter);
- all’interno della matrice discorsiva collettiva (insieme di
tutti i repertori possibili nel linguaggio);
- in una dimensione diacronica (t0, t1, tn)
- in cui si produce la coerenza narrativa, come proprietà
intrinseca dei discorsi.
Il modello può essere reso graficamente come segue:
A fronte di quanto posto (come la figura 1 mostra), si mira
a misurare quanto il processo discorsivo promosso dall’intervento abbia contribuito a modificare la configurazione
dell’identità correlata al costrutto di “utente del servizio
psichiatrico” (che produce potenzialmente stigma e tipizzazione) verso una identità “altra”, resa più “mobile” e quindi
dialogica. Tale processo discorsivo implica l’interazione dei
5 poli resi nel modello:
– la matrice di tutte le configurazioni discorsive possibili in un determinato contesto sociale e culturale (ovvero la
combinazione fra le entità teoriche presenti nella tavola periodica dei repertori discorsivi; vedi più avanti Fig. 2);
– la narrazione (ovvero nella fattispecie le produzioni discorsive generate dai ruoli operanti all’interno del sistema
dei servizi socio–sanitari);
– il resoconto (le produzioni discorsive offerte dalle persone che portano la richiesta o l’invio);
– il tempo;
– la coerenza narrativa (ovvero la qualità che consente
alle configurazioni che si generano di mantenersi narrativamente coerenti in quanto tali).
Oltre alle tre dimensioni dello spazio discorsivo, rappresentate iconograficamente dai tre vertici della tricuspide,
si può considerare come le polarità indicate possano porsi
in tempi discorsivi differenti rispetto alla costruzione della
medesima realtà in oggetto. È possibile dunque considerare
tale dimensione temporale, in virtù della quale le tre polarità possano modificarsi, come una quarta dimensione dello
spazio discorsivo, come accennato in precedenza. Inoltre,
nello spettro dei possibili processi che possono darsi e delle
possibili configurazioni implicate, la proprietà della coerenza narrativa fa sì che il prodotto del processo trasformativo
si mantenga allo stesso stato “biografico”. In altri termini, le
dimensioni delineatesi a partire dai processi conoscitivi, in
virtù della coerenza narrativa, vengono a piegarsi: è questa
la quinta dimensione dello spazio discorsivo che possiamo
Fig. 1 – Modello dell’Identità dialogica proiettato nelle cinque polarità
22
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | SCIENZE POLITICHE E SOCIALI
cogliere in virtù dei principi scientifici su cui si fondano il
metodo e la teoria nella scienza dialogica (Turchi 2009). Pertanto, nella misurazione non si può prescindere da alcuno di
questi poli, oggetto dunque di calcolo.
Come già citato a proposito dei poli, i repertori (o modalità discorsive) sono i costituenti delle configurazioni discorsive, e dunque le entità teoriche oggetto di misurazione. Essi si
suddividono rispetto al proprio effetto retorico e pragmatico
in tre classi principali:
– generativi (di configurazioni di realtà differenti);
– di mantenimento (delle attuali configurazioni di realtà);
– ibridi (ovvero che traggono la propria “direzione generativa” dal repertorio discorsivo a cui si congiungono).
Le classi così distinte, come sarà illustrato più avanti,
consentono al ricercatore, che opera per la misurazione del
quantum di efficacia, di poter attribuire un peso dialogico
alla configurazione di realtà in esame in virtù del suo potenziale di mantenimento/generazione. Ovvero la ponderazione
verterà sulla misurazione di quanto le produzioni raccolte
consentono di “mantenere uguale a se stessa” la configurazione discorsiva “utente”, rispetto alla possibilità di offrire
occasioni per la “generazione” di configurazioni “altre”, ovvero di produrre uno spostamento (nello spazio discorsivo a
disposizione) verso altre direzioni biografiche.
INDICATORI DI VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA
DELL’INTERVENTO
La metodologia coerente con il/e derivata dal modello dell’Identità dialogica, finalizzata a generare la misura
dell’efficacia dell’intervento sociale impiega meri strumenti
testuali quali:
– le narrazioni, ovvero il testo generato in terza persona
dallo psichiatra (che lo ha in cura) che riguarda l’utente in
quanto individuo che ha attivato una richiesta (o in quanto
soggetto di un invio); consiste nella risposta che l’operatore/
struttura (Alter) dà allo stratagemma posto per raccogliere
la configurazione discorsiva del ruolo “utente”, al t0 e al t1 e
impiegando la strategia dell’ “ora per ora”;
– il resoconto, ovvero il testo generato dall’individuo che
guarda sé stesso in quanto utente del servizio di salute mentale che attiva una richiesta (o porta un invio) al servizio sociale; consiste nelle risposte alle domande che vengono poste
all’utente (Personalis) al fine di raccogliere le configurazioni
discorsive “ora per ora” e “ora per allora”;
– la matrice collettiva, considerata come costante, ovvero
come media dei valori dei pesi dialogici dei repertori discorsivi possibili.
ELEMENTI DI MISURA DEL PROCESSO DIALOGICO
La scienza dialogica, come l’etimo del termine stesso indica, si pone come scienza –ica del logos; cioè è la scienza
che si occupa di trasformare il logos in un oggetto osservativo ‘attestabile’ e misurabile, ossia in un linguaggio formale.
Nell’alveo di tale scienza il suo oggetto non è emanazione di
una cornice di realismo ontologico (Ente); si tratta invece di
un oggetto ‘puramente’ teorico, di un prodotto della conoscenza. Ciò comporta che se non si fa riferimento al “principio” posto (il processo della conoscenza inteso discorsivamente), ‘scompare tutto’ (ovvero, togliendo il logos non si
dà più, per esempio, “la malattia mentale”, diversamente da
quanto avviene per fenomeni che si adagiano in paradigmi
“meccanicistici” per i quali “togliendo” la legge di gravità,
un oggetto continua a cadere verso il basso). La scienza dialogica, pertanto, si pone come scienza che formalizza l’“uso”
del linguaggio ordinario (Wittgenstein 1967), così come la
chimica–fisica è la scienza che formalizza i legami energetici
nell’unità teorica “atomo”, cioè un puro processo nell’alveo
di paradigmi interazionistici10.
La dimensione discorsiva a cui fa riferimento la scienza
dialogica può essere rappresentata dall’etichetta di “spazio
discorsivo”, ossia quanto si genera dagli universi di possibili
configurazioni11 che il processo discorsivo stesso costruisce:
i “parlanti” stessi sono considerati testi, mere “configurazioni discorsive”. In tal modo si entra a pieno titolo in paradigmi
interazionistici (realismo concettuale): la “materialità” non è
più il fondamento della conoscenza scientifica. Lo “spazio
discorsivo” è generato dalle aggregazioni delle unità simboliche secondo i legami retorico-argomentativi, e contemporaneamente dall’uso che contraddistingue tali aggregazioni,
dato dalla coerenza narrativa12. Si genera in questo modo una
partizione nello spazio discorsivo, partizione che è contraddistinta da quella particolare forma d’uso.
Le regole formali sono state formalizzate dal Paradigma
narrativistico nella definizione di “repertorio discorsivo”.
Le diverse forme d’uso, così codificate, risultano finite nelle
10 La scienza non pone un’opzione sul modo di conoscere; è, infatti, caratteristica intrinseca del pensiero scientifico e del senso scientifico porre
l’alternanza di modi di conoscere. Le rivoluzioni scientifiche prospettano
l’alternanza di paradigmi. I paradigmi interazionistici pongono in essere la
demarcazione massima tra percetto e osservato: in essi non c’è percetto,
non c’è causa (né explicans, né explicandum), né speculazione teorica, ma
troviamo il “principio”, ovvero l’osservato è definito come interazione che
implica l’osservatore; prescindendo dall’osservatore non vi è alcun osservato. La conoscenza così posta procede per “principi” e da ciò consegue
che cambiando il “principio” cambia il ‘conosciuto’, ovvero cambiando
l’osservatore e le sue modalità conoscitive cambia l’osservato. Ciò è coerente con quanto posto dall’introduzione del principio di indeterminatezza, per cui lo scienziato è in grado o di tracciare la particella subatomica,
oppure di misurarne la traccia, ovvero la scelta del “modo” – del principio
– individua “cosa” si conosce (Heisenberg 1955).
11 Le “province finite di senso” di Schütz (1979).
12 Turchi 2009, Dati senza numeri, per la definizione. Interessante a questo proposito quanto con Gargani si pone rispetto ai problemi filosofici.
Wittgenstein infatti sosteneva che questi nascono e vengono mantenuti da
un fraintendimento delle categorie d’uso del nostro linguaggio. Per dirla
con Turchi, i problemi cosiddetti filosofici sono generati da un uso differente ma completo delle unità simboliche, che combinate fra loro generano
una coerenza narrativa che potremmo definire “impropria” rispetto alla destinazione d’uso delle unità medesime. Pertanto le regole d’uso fra le unità
simboliche (ovvero i legami retorico argomentativi e la coerenza narrativa
che li sussume e li circoscrive) genererebbero configurazioni discorsive la
cui coerenza è “semplicemente” non appropriata rispetto alle modalità con
cui con maggiore possibilità si articolano i processi discorsivi impiegati
per generare la configurazione stessa.
23
SCIENZE POLITICHE E SOCIALI | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
Fig. 2 – Tavola periodica dei repertori discorsivi
loro specificità13, per quanto infinite possano essere le configurazioni discorsive14 che si generano interagendo fra loro;
le interazioni fra repertori costruiscono dunque lo spazio discorsivo che risulta così costantemente in espansione e contrazione, in virtù delle configurazioni discorsive che si generano dalle interazioni dei repertori. Secondo l’adozione del
Paradigma narrativistico, nel cui alveo si adagia la scienza
dialogica, lo spazio discorsivo si genera e si dipana in virtù di
“repertori discorsivi”, dove le possibilità di interazione fra le
forme d’uso risultano infinite, nonostante le forme che queste assumono siano finite.
Data la definizione di “repertorio discorsivo”, risulta evidente che la formalizzazione del linguaggio ordinario (di
senso comune) posta dalla scienza dialogica attraverso il riferimento del paradigma narrativistico si pone su un livello
di processo (la regola d’uso) e non solo di contenuto (l’unità
simbolica). Assurge a focus di interesse quindi la “configurazione discorsiva” generata dal testo (ovvero i “repertori discorsivi” che la generano), e non una realtà considerata data
in quanto “detta” (la realtà empirico-fattuale), per cui, sul
piano dell’intervento, modificando i “repertori discorsivi”
(il processo, la regola d’uso), si modifica ciò che per senso
comune viene denominato ‘realtà’. Dunque, collocarsi su un
piano di processo implica distogliersi da un livello di analisi
riferito ai contenuti e quindi di tipo meramente ermeneutico. Presi per validi questi, si considera l’architettura retorico
argomentativa del testo nel suo complesso (Culla Mariotti e
Turchi 2005), per descrivere i passaggi discorsivi che la ren13 Attualmente la ricerca si è posta l’obiettivo di definire i processi discorsivi che si combinano per generarne di ulteriori e costituiscono i differenti repertori discorsivi; per cui si è nel pieno della fase germinativa
della ricerca.
14 Ovvero l’uso delle unità simboliche che compongono il linguaggio
ordinario.
24
dono peculiare e tipica grazie alla coerenza narrativa che li
lega, denominando pertanto le “forme d’uso” su cui si genera
il testo oggetto dell’indagine. In tal modo porzioni di risposta
che in prima lettura possono sembrare identiche in virtù del
contenuto che portano, non lo sono rispetto al processo discorsivo (“repertorio discorsivo”, la regola d’uso) che contribuiscono a descrivere e alla configurazione che concorrono
a generare. Viceversa si rileva che “produzioni discorsive”
che sono caratterizzate da differenti elementi di contenuto
(arcipelaghi di significato15), possono essere caratterizzate da
una stessa denominazione di “repertorio discorsivo” e quindi
appartiene al medesimo processo discorsivo.
Le proprietà processuali di ogni repertorio discorsivo sono
proposizioni che descrivono ed esauriscono le regole d’uso
del linguaggio ordinario. Ciò implica che, nel corso dell’analisi della produzione discorsiva, uno stralcio di testo considerato come modalità finita di costruzione della realtà possa
essere denominato attraverso la rispondenza a tutte le proprietà processuali descritte nella tavola periodica dei repertori discorsivi (Fig. 2). Le proprietà processuali si attestano
a livello della valenza ostensiva del linguaggio, risultando
pertanto aderenti alle regole di applicazione proprie del linguaggio ordinario. I repertori discorsivi possono essere suddivisi in quattro gruppi: generativi, di mantenimento, ibridi
e artificiali. Ogni repertorio discorsivo appartiene a uno di
questi quattro gruppi a seconda della capacità della regola
d’uso di innescare un impatto trasformativo rispetto alle configurazioni discorsive in corso di generazione nel processo
discorsivo.
15 Si intendono tipologie di contenuto a se stanti che contribuiscono alla
costituzione del repertorio discorsivo e sulle quali il repertorio è organizzato, strutturato e si dipana in termini narrativi in virtù della coerenza narrativa (Turchi 2009).
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | SCIENZE POLITICHE E SOCIALI
Il gruppo dei repertori discorsivi generativi
evidenzia regole di applicazione del linguaggio
ordinario che consentono di produrre uno spostamento verso configurazioni discorsive “altre”16 da
quelle che si sono già rese disponibili nel processo
dialogico discorsivo.
Il gruppo dei repertori discorsivi di mantenimento evidenzia regole di applicazione del linguaggio ordinario che non consentono di produrre
uno spostamento verso configurazioni discorsive
“altre” da quelle che si sono già rese disponibili
nel processo discorsivo, bensì mantengono “uguale a se stessa” la configurazione discorsiva rispetto alle proprietà processuali; questi repertori discorsivi si caratterizzano per apportare stabilità al
processo discorsivo in corso di generazione, tale
per cui quanto viene prodotto non può risultare
generativo di configurazioni altre da quelle in uso,
che pertanto vengono rafforzate e cristallizzate
nella produzione narrativa dei parlanti.
Il gruppo dei repertori discorsivi ibridi evidenzia regole di applicazione del linguaggio ordinario
che possono assumere sia una valenza di mantenimento, sia
generativa in quanto le proprietà processuali di tali repertori, non apportando né la possibilità della generazione di
configurazioni “altre” (variabilità del processo discorsivo),
né la possibilità del mantenimento di quanto si sta configurando (stabilità del processo discorsivo), traggono valenza
di generazione o di mantenimento a seconda della classe di
appartenenza dei repertori con cui gli stessi interagiscono
nella configurazione(rafforzando l’impatto trasformativo
di questi), quindi a seconda della configurazione discorsiva
complessiva.
Il gruppo dei repertori discorsivi artificiali evidenzia regole di applicazione del linguaggio ordinario che generano/
mantengono/costruiscono la realtà per affermazione (senso
comune) o per asserzione (senso scientifico).
LE PROPRIETÀ PROCESSUALI PRIMORDIALI
Posto che le “proprietà processuali” rappresentano la
declinazione del repertorio discorsivo nelle sue proprietà,
definendone i vari modi contemporanei con cui il singolo
repertorio discorsivo configura la realtà, si definiscono “proprietà processuali primordiali” quelle proprietà della valenza
ostensiva che danno vita a tutte le regole d’uso del linguaggio ordinario e che si riscontrano nella prima forma di tale
linguaggio: il disegno.
Nella sua forma più semplice il disegno è dato da una serie
di segni volti a rappresentare qualcosa di percepito mediante
l’organo di senso; si tratta pertanto di una rappresentazio16 “altre” non connota una differenza sul piano contenutistico o numerico o identitario, ma relativamente alle proprietà processuali che possono
manifestarsi in parte o del tutto differenti da quelle che hanno generato la
configurazione in oggetto.
ne che mostra una staticità del percetto: le cose percepite e
la relazione spaziale che intercorre tra queste. Nell’atto del
disegno il parlante, raffigurando un oggetto, stabilisce l’esistenza dell’oggetto stesso: in questo modo, il linguaggio
è impiegato per configurare realtà in modo assoluto, certo,
ovvero si stabilisce l’esistenza dell’oggetto mediante la sua
raffigurazione. Si tratta della proprietà processuale che fa riferimento alla regola d’uso del sancire la realtà17. La prima
forma del disegno si caratterizza anche per la possibilità di
rappresentare due o più oggetti del mondo percepito, ripetendo così la regola d’uso del sancire la realtà, anche se, per
rappresentare in un disegno due o più cose, il parlante deve
rispettare una regola che faccia riferimento alla relazione che
gli oggetti del mondo materiale hanno nello spazio fisico.
Rappresentando due o più cose, il parlante usa necessariamente la regola del “come stanno in relazione gli oggetti sul
piano percettivo”, ovvero: “come sceglie la disposizione degli oggetti nel disegno?”, seguendo la relazione spaziale che
gli oggetti mostrano nella percezione contemporanea degli
stessi. Si tratta di una proprietà processuale che fa riferimento al repertorio della descrizione18. Nell’atto di rappresentare
due o più oggetti mediante il disegno nasce pertanto la categoria conoscitiva dello spazio fisico.
Questa seconda caratteristica del disegno rientra in una
proprietà processuale afferente a un repertorio generativo
17 Modalità discorsiva che configura realtà in modo assoluto, certo,
dunque non modificabile, offre uno statuto di verità all’arcipelago che vi
contribuisce e non consente alcuna possibilità di scenari di trasformazione
della realtà stessa a partire da una posizione propria ed esclusiva della voce
narrante. Non offre possibilità di condivisione di quanto posto.
18 Modalità discorsiva che configura la realtà come patrimonio comune,
che non appartiene ad alcuna delle voci narranti esclusivamente, ma che
necessita del concorso di tutti per essere mantenuta. Configura una realtà
discorsiva attuale o passata che risponde alla domanda “come” e non alla
domanda “perché”.
25
SCIENZE POLITICHE E SOCIALI | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
in quanto risponde alla proprietà della condivisione tra più
parlanti (un patrimonio comune); infatti, i parlanti che osservano il disegno trovano direttamente un terreno comune
sul modo con cui gli oggetti del disegno prendono una determinata relazione spaziale tra loro; ovvero, la relazione
spaziale che prende forma nel disegno è condivisibile perché
percettivamente tutti i parlanti che fruiscono del disegno possono attestare la corrispondenza della relazione spaziale che
intercorre tra le cose sul piano percettivo; ovviamente tale
attestazione condivisa si realizza solo se i parlanti accettano
l’esistenza degli oggetti stabiliti come esistenti dal disegno
(non si può condividere la relazione spaziale se non si dà statuto di esistenza ai singoli oggetti rappresentati nel disegno).
L’unità processuale della descrizione è dunque un’unità che
ha a che fare, in generale, con una relazione tra oggetti che
risulta condivisibile; nello specifico della prima forma del disegno, tale relazione è di tipo spaziale e si fonda sul percetto.
Nel primo livello della tavola periodica dei repertori discorsivi vi sono dunque due proprietà processuali in interazione contemporanea; tale stato di equilibrio rappresenta la
condizione che consente al linguaggio di generare realtà, e
dunque senza questa doppia compartecipazione non si può
dare il processo dialogico. In linea con questo assioma, ogni
regola d’uso appartenente alla tavola è sempre generativa
(in termini di generazione di realtà, sebbene appartenente al
gruppo di mantenimento). A fronte di quanto descritto l’unità di misura è unica per tutti i repertori discorsivi e consente
il calcolo del peso dialogico, ovvero la valenza trasformativa
del testo.
Gli artifici retorici formulati, finalizzati alla generazione del
resoconto (utente) sono esposti nella sinossi seguente:
Polarità
Personalis
In virtù di quanto esplicitato si rende possibile generare
una metodologia appropriata ed efficace, che impiega gli
strumenti statistici e informatici come meri mezzi di calcolo al fine della generazione del numero della misurazione;
la metodologia non è ancillare alla statistica e costituisce la
parte cruciale in tale processo, in quanto permette all’operatore di guadagnare coerenza e validità di quanto si andrà a
rilevare. La metodologia individua almeno due tempi distinti
per la generazione e la raccolta del resoconto:
t0 > coincidente con l’inizio dell’intervento;
per rilevare il quantum di efficacia dell’intervento sociale che si andrà a svolgere, coerentemente con quanto posto
nell’obiettivo operativo definito – “la modifica della definizione di sé in quanto individuo che ha ricevuto una diagnosi
psichiatrica che attiva una richiesta al servizio sociale” – è
necessario raccogliere tale definizione sia ex ante (t0), sia ex
post (t1), ovvero al termine dell’intervento svolto (quando si
reputi utile il monitoring):
t1 > tempo in cui si ritiene utile accertare/valutare se e
quanto si sia generata la trasformazione discorsiva, in quanto
utente che attiva una richiesta; pertanto può essere variabile.
26
t1
Ratio
A. Come
descriverebbe
una persona
che si rivolge
all’assistente
sociale del CPS?
La domanda
permette di
raccogliere la
configurazione di
realtà dell’individuo
rispetto al suo
posizionamento
nel ruolo attuale di
“utente”.
D. Come
descriverebbe
una persona che
ha terminato la
consulenza con
l’assistente sociale
del CPS?
La domanda
permette di
raccogliere la
configurazione di
realtà dell’individuo
rispetto alla
proiezione temporale
relativa al suo
posizionamento
biografico.
B. Come
descriverebbe
una persona che
ha terminato
la consulenza
con l’assistente
sociale del CPS?
La domanda
permette di
raccogliere la
configurazione di
realtà dell’individuo
relativa al suo
posizionamento
biografico attuale.
C. Come
descriverebbe
una persona che
si rivolge per
la prima volta
all’assistente
sociale del CPS?
La domanda
permette di
raccogliere la
configurazione di
realtà dell’individuo
rispetto al suo
posizionamento nel
ruolo di “utente”
in proiezione
retrospettiva.
Gli artifici retorici formulati finalizzati alla generazione della
narrazione (psichiatra):
Polarità
t0
Alter
E. Immagini di
trovare un foglio su
cui viene descritto
il sig./la sig.ra…
Dopo avere letto
tale descrizione
afferma: «Questa
è sicuramente una
descrizione che
riguarda l’utente
oggi». Quali sono
le frasi che trova
scritte su quel
foglio per poter
affermare ciò?
LO STRATAGEMMA RETORICO: MODALITÀ DI
SOMMINISTRAZIONE
t0
t1
Ratio
La domanda
permette di
raccogliere la
configurazione di
realtà concernente
l’individuo da parte
dello psichiatra
in un tempo
che coincide
con l’avvio
dell’intervento
sociale.
F. Immagini di
trovare un foglio su
cui viene descritto
il sig./la sig.ra …
Dopo avere letto
tale descrizione
afferma: «Questa
è sicuramente
la descrizione
dell’utente oggi».
Quali sono le frasi
che trova scritte
su quel foglio per
poter affermare ciò?
La domanda
permette di
raccogliere la
configurazione di
realtà concernente
l’individuo da parte
dello psichiatra
in un tempo che
coincide con la
fine dell’intervento
sociale.
Si anticipa che si
potranno verificare
cambiamenti
tra il t0 e il t1, o
meno. In caso
di persistenza
della originaria
configurazione,
il valore verrà
trattato come
costante rispetto
al peso dialogico
complessivo.
Tab. 1 – Stratagemmi retorici finalizzati alla valutazione dell’intervento
sociale al t0 e al t1
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | SCIENZE POLITICHE E SOCIALI
Alla raccolta del testo in risposta alle domande per ciascuna polarità e al t0 e al t1, consegue la denominazione dei
repertori che il testo presenta; ciascun repertorio è contraddistinto da un peso dialogico che contribuisce al peso dialogico complessivo e quindi alla generazione della misurazione
dell’efficacia.
L’impianto metodologico per la valutazione dell’efficacia
dell’intervento sociale si struttura, pertanto, attraverso le seguenti operazioni:
1. definizione della formula per il calcolo del peso dialogico della configurazione discorsiva per ogni singola domanda;
2. calcolo della configurazione discorsiva relativa alla polarità alter volta a rilevare sia t0, sia t1;
3. calcolo della configurazione discorsiva relativa alla polarità personalis volta a rilevare sia t0, sia t1;
4. calcolo della polarità matrice collettiva per ciascun tempo specifico di collocazione (prima dell’intervento e dopo
l’intervento);
5. calcolo dell’identità dialogica;
6. calcolo del valore di efficacia.
CONCLUSIONI
La finalità del presente testo è – coerentemente con quanto
enunciato in apertura – quella della descrizione di una metodologia per la valutazione, fondata sulla scienza dialogica,
adeguata alla natura dell’oggetto osservativo che si intende
valutare e quindi dei costrutti che costituiscono gli obiettivi
degli interventi sociali in ambito di salute mentale. Pertanto, per permetterne al lettore una migliore fruizione, non si
procederà con l’illustrazione del calcolo del peso dialogico
e delle operazioni che la statistica, con il rigore matematico,
permette di generare. Sinteticamente, il valore del peso dialogico delle singole stringhe di testo e quindi, nel complesso,
del testo generato in virtù degli stratagemmi retorici descritti,
sarà espresso da una misura positiva (unidirezionale), spendibile sia per i repertori generativi, sia per quelli di mantenimento; essa fa riferimento al grado di dialogicità (capacità
di trasformare configurazioni discorsive) della regola d’uso
del linguaggio comune considerata. In questo modo è possibile esprimere nella misura il fatto che ogni repertorio, nel
momento in cui si manifesta in una configurazione discorsiva, offre una certa portata di dialogicità, che sarà bassa per
i repertori di mantenimento, e alta per i repertori generativi.
In conclusione, si intende sottolineare come, grazie alla
metodologia illustrata:
1. sia possibile addivenire a una definizione condivisa dei
costrutti che fondano gli obiettivi degli interventi sociali in
ambito di salute mentale (definizione che, come si è scritto, è
poco frequente sia nella letteratura, sia nei testi che gli operatori dei vari ruoli sono in grado di offrire);
2. sia possibile valutare gli esiti a prescindere dai modelli
e dalle teorie a cui si riferiscano le pratiche operative (prassi)
dei vari ruoli implicati;
27
SCIENZE POLITICHE E SOCIALI | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
3. sia possibile assumere una prospettiva meramente descrittiva e non esplicativa, e quindi come la valutazione illustrata sia indipendente dalle categorie conoscitive dei soggetti agenti;
4. la valutazione impieghi il linguaggio comune e quindi
risulti fruibile sia degli operatori, sia dagli utenti, sia da ruoli
terzi;
5. il riferimento alla scienza dialogica permetta la generazione non solo della misurazione, ma anche del calcolo e
quindi dell’entità numerica;
6. tutto ciò permetta di confrontare in termini di efficacia
modelli di intervento differenti rispetto a obiettivi operativi
definiti; ciò con una interessante ricaduta anche in termini
di efficacia (cosa è veramente efficace? I risultati raggiunti
giustificano la allocazione di risorse su specifiche attività?
Cosa è utile mantenere in virtù del senso scientifico, cosa è
riferibile al mero senso comune?);
7. la valutazione fondata sulla scienza dialogica permette
di considerare la possibilità di riconfigurare l’architettura dei
servizi socio–sanitari – più in generale del welfare – che si
attestano su pratiche discorsivo–interattive, grazie alla definizione condivisa dei costrutti “retorici”, come descritto, indipendenti dalle teorie di riferimento dei differenti operatori;
8. è possibile correlare l’efficienza all’efficacia, trasferire e
trasmettere prassi scientificamente fondate e quindi liberare
risorse per investirle su metodologie di trasformazione biografica che mirino a non generare e a ridurre lo stigma delle
persone con diagnosi psichiatrica e delle loro famiglie.
Infine corre l’obbligo di ricordare che quanto esposto descrive lo stato dell’arte di un processo di ricerca che è in fase
germinativa e quindi di grande apertura a ripensamenti, riconsiderazioni, riformulazioni e riconfigurazioni del modello; ciò sia in virtù della ricerca “pura” che si va svolgendo
(Laboratorio MADIT– UNIPD)19, sia delle “confutazioni”
che provengono dai vari ambiti in cui la scienza dialogica
si offre come fertile: dalla mediazione (civile, commerciale,
penale) alla consulenza biografica, dalla valutazione del danno esistenziale alla implementazione dei processi partecipativi e di democrazia deliberativa nei vari ambiti territoriali,
dalla consulenza sociale a quella psicologica e ultima, ma
non ultima, alla valutazione applicata alla soddisfazione del
cliente e dell’efficacia e dell’efficienza aziendale.
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Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e
19 Il Laboratorio di Metodologia di Analisi dei Dati Informatizzati
Testuali (MADIT) opera presso il Dipartimento di Filosofia, Sociologia,
Pedagogia E Psicologia Applicata FISSPA dell’Università di Padova con
la direzione di Gian Piero Turchi.
28
l’efficienza del servizio sanitario nazionale, 2013, Inchiesta
su alcuni aspetti della medicina territoriale, con particolare
riguardo al funzionamento dei Servizi pubblici per le tossicodipendenze e dei Dipartimenti di salute mentale, http://
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SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | LINGUISTICA
La langue, lalangue
1
JACQUES COURSIL
1 Traduzione di Maria Giuzio.
l’analyse, cette technique
Lacan
C’est évidemment que j’avais mis à jour
le terme de Saussure de la langue que
j’écrirai en un seul mot lalangue
Lacan
L
1. LA LANGUE E LALANGUE
a psicoanalisi lacaniana insiste in molte occasioni sul proprio statuto di ‘tecnica’, opponendosi in questo modo alla linguistica
che invece, dal canto suo, insiste sul proprio
statuto di scienza empirica.
Con la sua dichiarazione non-scientista, la psicoanalisi
lacaniana sottolinea la propria indipendenza rispetto alle
discipline fondamentali (linguistica, logica simbolica, topologia, ecc.) dalle quali prende talvolta in prestito elementi
e certamente concetti, ma raramente metodi e ancor meno
tematiche e così gli elementi e i concetti presi in prestito assumono il proprio statuto e la propria definizione all’interno
dell’analisi e da lì non sono più recuperabili dalle scienze
d’origine.
Del resto, gli analisti li definiscono, tra le altre denominazioni, linguisticherie, topologerie, ed è chiaro che non hanno
alcuna necessità di giustificarsene poiché i loro criteri sono
interni alla disciplina e sono metodologicamente fuori portata delle scienze connesse in questione. Nell’uso che ne fa
la psicoanalisi dunque, né la linguistica né le discipline matematiche coinvolte riescono a trovare facilmente elementi
che possano usare razionalmente. Certamente i prestiti senza
ritorno conferiscono autonomia alla psicoanalisi ma, d’altro
canto, ne limitano il discorso.
Per quel che riguarda la linguistica saussuriana, i prestiti della psicoanalisi si rivelano necessari e per questo implicano qualche restrizione. In quel che segue si tratterà di
due espressioni ugualmente insolite: la langue (linguistica,
Saussure) et lalangue (psicoanalisi, Lacan), entrambe opposte a un concetto classico di «linguaggio» che altro non sarebbe se non una «elucubrazione di sapere su la langue o lalangue» (Lacan 1972). In quanto linguista, in questo articolo
mi preoccuperò soprattutto di sottolineare alcuni punti costitutivi del paradigma saussuriano de la langue, unico mezzo
pertinente per stabilire un paragone tra le due espressioni.
Nelle scienze del linguaggio, per tutto un secolo, l’espressione saussuriana la langue è restata problematica. L’unicità
del determinante (la) ne ha costituito la stranezza. Ci sono
delle lingue, e su questo siamo tutti d’accordo, ma allora
perché ‘la’ langue, soprattutto quando si ha già il linguaggio
come termine di generalizzazione e i linguaggi come termine di specificazione?
Nei paradigmi linguistici del XX secolo (linguistica strutturale - Jakobson; grammatica generativa - Chomsky), il termine saussuriano la langue ha perso poco a poco la propria
definizione, fino a diventare un semplice modo di dire buono
a tutti gli usi.
Quanto a Lacan, del quale va lodata la solitaria lucidità,
per quel che ha letto, visto o intuito de la langue all’interno
del corpus di Saussure, non poteva evitare in nessun modo di
forgiare il suo neologismo lalangue. Se infatti avesse utilizzato la langue come Saussure, tutti i linguisti della sua epoca, e non solo, avrebbero tradotto l’espressione a contrario
con le lingue o con il linguaggio. E così, sotto un’interpretazione strutturale anche la specificità della lalangue sparisce
e il dominio saussuriano della lingua è occultato ancora una
volta.
La recente pubblicazione di nuovi manoscritti di Ferdinand de Saussure2 costituisce l’occasione che dà il via a un
importante rinnovamento critico degli studi saussuriani nel
mondo. Tuttavia, nella maggior parte degli interpreti e dei
lavori pubblicati fino a oggi, il corpus saussuriano di lin2 Cfr. Saussure ELG.
29
LINGUISTICA | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
E’ evidente che solo una
guistica generale, anche
lettura sistemica del corpus
ampliato, si rivela non più
può evidenziare progressidi un progetto scientifico
vamente l’architettura del
di cui bisognerebbe mettere
programma al contrario di
alla prova la legittimità programmatica.
quanto invece possa fare
Secondo questa nuova
una lettura isolata e tematizzata degli appunti. In al‘vulgata’, il corpus saussuriano altro non sarebbe che
tre parole, senza un simile
una raccolta di riflessioni
rovesciamento di lettura,
profonde la cui portata euril’architettura che Saussure
stica si è d’altronde rivelata
elabora non può mostrarsi,
attraverso un intero secolo.
allo stesso modo in cui non
A fronte di ciò, è però oppuò mostrarsi se si classifiportuno sostenere fermacano gli appunti entro una
mente che Saussure non lanomenclatura di idee, con
tutti i rischi e i pericoli devorava come un libero pengli inevitabili controsensi,
satore che ha lasciato dietro
poiché il loro valore non ridi sé un corpus di appunti
generali sul linguaggio, ma
guarda tanto il senso quanto
come un vero e proprio fonla loro pertinenza relativa
datore di scienza e sopratnell’effettività di un sistema. In definitiva, se il motutto che la scienza della
dello di lettura adottato è
quale Saussure ha delineato
l’architettura, vale a dire la
interpretativo, vale a dire se
gli appunti sono studiati in
scienza de «la langue, siFerdinand de Saussure
stema di valori puri», anche
modo separato, il lavoro di
dopo cent’anni di ricerche
Saussure si presenta sotto
linguistiche feconde e brillanti è rimasta oggetto di diffiden- forma di una teoria generale inconclusa ed è questa l’opinioza riguardo a ciò che bisogna intendere per «la langue», per ne più diffusa; se invece il modello di lettura che si adotta è
«sistema», per «valori» e per «puri». La confusione e i ma- quello che cerca la sintesi degli appunti il lavoro si Saussure
lintesi, le paternità dichiarate e quelle indotte, costituiscono si presenta con grande evidenza come un paradigma scientiuna temibile matassa concettuale da sbrogliare, tanto che nel fico nuovo e aperto.
momento in cui ci si dedica ad approfondire la questione,
si constata che non poche iniziative, più o meno ricondu- IL PROGRAMMA DI SAUSSURE
cibili al nome di Saussure, comprese quelle attuali, sono in
Ciò che è nuovo nel rinnovamento degli studi saussuriani
palese contraddizione con le più semplici clausole del suo
è l’aggiornamento di un programma ‘chiuso’ che verte su la
programma.
Ora, la proposta secondo cui ci sarebbe un programma langue. Argomento arcinoto si dirà. Non proprio: argomento
all’interno dei testi del corpus saussuriano di linguistica ge- nuovo. Per quanto strano possa apparire, ‘la’ langue è una
nerale non è un’ipotesi e nemmeno un augurio ma è il pre- sconosciuta. Dopo cent’anni di studi saussuriani, cos’altro si
ciso risultato (ancorché fortuito) di una revisione dei metodi può ancora scoprire in questo corpus che non sia stato sotdi lettura. Il testo saussuriano non è mai facile come si sa, tolineato e criticato da Troubetzoky, Jakobson, Hjelmslev o
ma non è mai oscuro e il programma che persegue si riesce a Benveniste, senza menzionare il loro immenso apporto percoglierlo attraverso serie di frammenti operatori che è bene sonale? Eppure, sebbene abbia subìto numerosi innesti, il
disporre in blocchi di sintesi. Secondo una lettura costrutti- programma de la langue, così scavato dal corpus, non è mai
vista di questo tipo, il valore di un appunto, frammentario stato riconosciuto come tale e la sua messa alla prova non
per definizione, risiede nella sua ‘pertinenza’, vale a dire è mai stata realizzata e neanche tentata. Così, facendo leva
nella sua necessità effettiva all’interno di un gioco di appun- sul corpus rinnovato, è possibile mostrare alcuni elementi di
ti solidali. Raramente semplici, certamente molto tecnici, un’architettura di grammatica curiosamente insolita e rimagli appunti non sono dei pensieri da interpretare in maniera sta nascosta, di una teoria il cui strano destino è di non essere
isolata, bensì ‘serrati argomenti’ portati in vista di un siste- mai nata. Gli storici delle scienze del linguaggio dovranno
ma da edificare. Questa lettura per «solidarietà» evidenzia, spiegare il perché di un secolo di adorazione di Saussure e di
come in un puzzle, delle costruzioni sistemiche, ottenute op- rimozione del suo programma de la langue; ma oggi, sotto
ponendo gli appunti sparsi nel cantiere archeologico (Utaker un termine comunissimo (diverso da linguaggio, linguaggi o
2003) del corpus, secondo la pertinenza del loro rapporto. lingue) il dominio empirico de la langue, nascosto per cento
30
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | LINGUISTICA
anni, si presenta come una nuova regione del reale, perché il
dominio de la langue è, di fatto, sconosciuto, secondo Saussure è «senza analogo», è ancora assente dalla linguistica,
dalla semiotica e dalla filosofia del linguaggio e il programma che lo riguarda richiede che se ne mostri l’empiricità, la
novità e la legittimità scientifica.
Nel programma saussuriano, la parola linguaggio è da intendersi come un’abbreviazione dell’espressione completa
attività di linguaggio. Saussure scrive: «…il linguaggio non
offre, sotto alcuna delle sue manifestazioni, una sostanza,
ma soltanto delle azioni»3. La questione prima della linguistica, quella del linguaggio, si trova sin dall’inizio posta da
Saussure sotto la forma di un rifiuto: il linguaggio non è un
oggetto né una struttura, ma un «sistema».
In uno dei testi di Lacan, che ha certamente letto Saussure, si legge: «Se dico che il linguaggio è ciò secondo cui
l’inconscio è strutturato, è perché il linguaggio anzitutto non
esiste. Il linguaggio è ciò che cerchiamo di sapere concernente la funzione di lalangue»4.
Saussure avverte che l’insieme dell’attività di linguaggio
è «non-omogenea». Egli scrive: «il tutto globale del linguaggio è inconoscibile»5. Per lui, l’attività di linguaggio, considerata sotto le vesti dell’Uno, non è un possibile oggetto di
scienza; non è altro che un «ammasso confuso di cose eteroclite senza legame tra esse»6. In conclusione, il dilemma
di questo linguaggio ‘inconoscibile’ è risolto da Saussure attraverso una partizione del dominio. Per far sì che possa essere studiato, il caos semiotico del tutto del linguaggio deve
essere ripartito in due sfere distinte, la langue e la parole.
Nel suo insegnamento, Saussure propone la dualità langue/parole e la sua definizione sotto forma di una sottrazione. Egli scrive: «la langue è il linguaggio meno la parole»7.
Egli la ripete nei tre corsi: «Sottraendo la parole al linguaggio, il resto è la langue»8.
A questa definizione sottrattiva de la langue si pone una
domanda banale: cosa resta dell’attività di linguaggio quando si sottrae la parole? Secondo la concezione classica e per
il senso comune, la langue è una struttura e la parole (con la
scrittura) riassume l’intera attività del linguaggio, in modo
che la sottrazione saussuriana equivale a un’obliterazione
del dominio.
Esiste un altro luogo, un’altra istanza di effettività saussuriana che non sia la parole? La risposta scaturisce per
complementarità: quando, in un dialogo, uno dei due partecipanti parla, l’altro o gli altri che ne fanno parte restano
ad ascoltare senza parlare. Colui o colei (o coloro) che non
3 «…le langage n’offre sous aucune de ses manifestations une substance,
mais seulement des actions» Saussure, ELG : 127.
4 «Si je dis que le langage est ce comme quoi l’inconscient est structuré,
c’est bien parce que le langage d’abord, ça n’existe pas. Le langage est ce
qu’on essaye de savoir concernant la fonction de lalangue» (Lacan 1972).
5 «Le tout global du langage est inconnaissable» Saussure, CLG/E: 57.
6 «amas confus de choses hétéroclites sans lien entre elles» Saussure,
CLG: 24.
7 «la langue est le langage moins la parole» Saussure, CLG: 38.
8 «En enlevant du langage la parole, le reste est la langue» Saussure,
CLG/E: 171.
parlano non per questo abbandonano la sfera del linguaggio
e, allo stesso modo, il parlante nel momento in cui parla resta un ascoltatore. È questa intesa silenziosa che costituisce
l’attività de la langue. Le dualità langue|parole e soggetto
che ascolta|soggetto parlante sono sovrapponibili. Per sostituzione dei rispettivi termini, colui che ascolta corrisponde
alla lingua realizzata in qualità di soggetto. Questa dualità
si enuncia come segue: è attraverso la langue che si intende
la parole. Saussure scrive letteralmente: «essa (la langue)
serve a comprendere e a farsi comprendere»9, ripetendo due
volte la parola che designa la sua funzione. «L’ascoltatore è
dalla parte de la langue; è grazie all’aiuto de la langue che
egli interpreta la parole»10. In altri termini, la parole che è
del linguaggio è ascoltata dal linguaggio, la langue. Riassumendo questo argomento che abbraccia il pensiero di Humboldt del linguaggio come energeia, attività in divenire,
piuttosto che come ergon, cosa fatta, si dirà, per contrasto,
che l’attività di parole è una funzione sonora in praesentia,
mentre quella de la langue, architettura psichica d’intesa in
absentia, è la funzione muta del linguaggio (Coursil 2000).
La dualità langue|parole opera un rovesciamento del punto di vista e un cambio di impostazione. La langue, che si
concepisce generalmente come un insieme di parole o di frasi da descrivere, diventa un sistema significante autonomo,
un interpretante semiotico (Peirce) integrato in ogni ascoltatore. Saussure definisce «esterna» una linguistica il cui oggetto è la descrizione di paroles rappresentate e «interna»
un’altra linguistica il cui oggetto è l’attività psichica d’intesa. Così, ponendo questa dualità, Saussure sposta la langue,
fino a quel momento considerata come un oggetto «esterno»
osservabile, in un sistema «interno» che opera la comprensione; essa rientra nella sfera psicologica, ma la suddetta,
egli sottolinea, è una «grammatica» effettiva. Egli scrive:
Il linguista che sia solo linguista si trova a mio avviso nell’impossibilità di trovare il modo che permetta soltanto di classificare i fatti.
Poco a poco, la psicologia si prenderà praticamente carico della nostra scienza, in quanto si renderà conto che la lingua non è una delle
sue branche, ma l’ABC della sua attività11.
La comprensione (funzione de la langue) e l’espressione (funzione della parole) sono due attività mutevolmente
necessarie ma sistematicamente autonome, poiché la parole non è prodotta allo stesso modo nel quale è ricevuta. La
langue (nuovo impiego) designa, da allora, ciò che appare
quando si distingue ciò che prima di Saussure si era sempre confuso, vale a dire l’attività di parlare e quella di linguaggio. La sottrazione saussuriana rievoca la parole solo
per mostrare che quest’ultima non rappresenta l’intera at9 «Elle (la langue) sert à comprendre et se faire comprendre», Saussure,
CLG: 112.
10 «L’entendeur est du côté de la langue; c’est à l’aide de la langue qu’il
interprète la parole» Bally, 1916: 102.
11 «Le linguiste qui n’est que linguiste est dans l’impossibilité à ce que
je crois de trouver la voie permettant seulement de classer les faits. Peu à
peu, la psychologie prendra pratiquement la charge de notre science, parce
qu’elle s’apercevra que la langue est non pas une de ses branches, mais
l’ABC de sa propre activité» Saussure, ELG: 109.
31
LINGUISTICA | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
tività di linguaggio, il resto (la parte residuale attiva) è la
langue» scrive Saussure. Questo spostamento dalle importanti conseguenze apre una nuova regione del linguaggio
costituita dall’attività linguistica d’intesa. Introducendo la
langue, Saussure revoca la trascendenza del metaconcetto
di linguaggio, così come il primato della parole, per adottare
radicalmente il punto di vista unico della langue: «Bisogna
posizionarsi sul terreno de la langue e considerarla come
norma di tutte le manifestazioni del linguaggio»12 (corsivo
nostro). Ormai, è dal punto di vista de la langue che si possono cogliere la parole, il linguaggio, il discorso, le lingue
e la lingua stessa. Saussure insiste continuamente su questo
punto, è la langue (e non il linguaggio) l’oggetto integrale e
completo della linguistica generale
Una conseguenza radicale della dualità L|P nella sua realtà psichica è che la parole è, da allora, intesa da la langue.
Questa tesi endomorfa, di grande portata teorica, dichiara
che la comprensione del linguaggio è di competenza del linguaggio e non dello spirito, dell’intelletto, della coscienza,
del pensiero puro o dell’anima. Che cosa può dire e mostrare la linguistica a proposito di questo fenomeno nascosto
che capisce la parole, stabilisce le sue significazioni e che,
a presente, non parla? In cosa quest’attività «psichica» di
comprensione è regolata da una «grammatica» piuttosto che
dipendere dalla filosofia o dalla psicologia dello spirito?
La langue, «grammatica virtuale» (Saussure) dell’intesa
(virtuale nel senso di un sistema la cui effettività è iscritta in
quella di un altro, le funzioni memoria del cervello) sposta il
concetto usuale di grammatica. I termini impiegati da Saussure per situare e mostrare questa funzionalità muta sono
espliciti. Così, scrive: «Tutto è psichico ne la langue»13,
comprese le sue manifestazioni materiali.
SEMIOTICA, MEMORIA, PARASEMIA
La dualità L|P porta la linguistica nel campo della semiotica (semiologia). Scrive Saussure: «Per noi il problema
linguistico è prima di tutto semiologico, e ogni nostro sviluppo prende significato da questo fatto importante»14. Così,
nell’ambito della parole, le forme linguistiche sono delle
strutture, ma in quello della langue, le forme semiotiche interne sono delle «entità negative» connesse.
Tutto è negativo ne la langue, e riposa unicamente su un’opposizione
complicata ma unica, senza alcun intervento necessario di nessun tipo
di dato positivo. Ignorare ciò, accanirsi in cerca delle quantità positive è, credo, condannarsi da un punto all’altro dello studio linguistico,
accanto al fatto vero e al fatto decisivo15.
12 «Il faut se placer sur le terrain de la langue et la prendre pour norme de
toutes les manifestations du langage» Saussure, CLG: 25.
13 «Tout est psychique dans la langue » Saussure, CLG: 21-32.
14 «Pour nous le problème linguistique est avant tout sémiologique, et
tous nos développements empruntent leur signification à ce fait important»
Saussure, CLG: 34.
15 «Tout est négatif dans la langue, et repose uniquement sur une
opposition compliquée mais une, sans intervention nécessaire d’aucune
espèce de donnée positive. Méconnaître cela, s’acharner après des
quantités positives, c’est je crois se condamner d’un bout à l’autre de
32
Nel paradigma saussuriano de la langue, che può essere
fuorviante tanto si distingue dall’interpretazione strutturale,
il soggetto parlante non è un essere-che-parla. Sia perché lo
è anche quando non parla, sia perché come ascoltatore è precisamente la langue in atto. La langue, divisa ovunque, non
può che dar forma a un soggetto diviso. L’«essere», avatar
razionalista, non s’impone alla teoria de la langue come primitiva. Nel sistema langue la divisione, l’«essenza doppia
del linguaggio» (Saussure) è l’empirìa; altrimenti detto, la
divisione è l’unico materiale del significante.
Ora, come sistema differenziale, la langue è la grammatica
della memoria. Altrimenti detto, le funzioni memoria del
cervello hanno bisogno di una grammatica che le strutturi, le regoli e le mantenga in equilibrio omeostatico. Questa
langue memoria, governata da regole distintive, oppositive e relazionali, è un’attività costante che funziona da sola
(per definizione, autonoma e incosciente). La caratteristica
di questa memoria è di creare delle forme a partire da altre
forme, create a loro volta a partire da altre forme ancora,
e così via, fino alla chiusura formale dello spazio che esse
costituiscono. Nella grammatica, ogni forma è memoria di
almeno un’altra forma. La memoria-langue non è tuttavia
quella degli psicologi. Non si tratta cioè di un deposito di
dati nel quale il soggetto andrebbe ad attingere, ma di un
interpretante semico che funziona secondo la propria grammatica e al quale non si ha accesso.
La dualità storia/racconto ne fornisce un esempio. La storia di Cenerentola mi è nota: l’ho letta e ascoltata cento volte. Fatta eccezione per qualche adattamento, si tratta ogni
volta della stessa storia sotto un’infinità di forme testuali
differenti (narrazioni, racconti).
Il racconto è variabile e sonoro; la memoria narrativa è
stabile e muta. Così, in memoria, senza testo né discorso,
Cenerentola corrisponde a uno spazio unico di valori differenziali, la cui funzione non è affatto quella di raccontare;
come spazio di valori differenziali Cenerentola è un sapere.
Il sistema langue è intrinsecamente complesso. I suoi elementi primi sono complessi. La loro combinazione per gradi
genera delle nuove forme che a loro volta ne generano di
nuove. Così, ogni forma memoria è memoria (parziale) di
altre forme memoria. L’insieme delle conseguenze possibili
di un enunciato è calcolato in questa memoria che per ramificazione genera in absentia tutte le supposizioni, le presupposizioni, gli elementi pertinenti e noti che per questo è
inutile esprimere nel dialogo. Se dico La giraffa è scappata
dalla gabbia ho un racconto, ma se dico la giraffa è scappata dalla gabbia dove viveva in libertà ho, di tutta evidenza,
un racconto inconsistente e il calcolo d’inconsistenza si effettua in absentia nella grammatica memoria.
La semiotica della lingua abbandona il segno per il sema
(tardo Saussure). Attraverso questo spostamento, Saussure
evita nozioni come «significato» o «contenuto del segno»,
oppure segno che contiene un senso. Nella lingua, un sil’étude linguistique à côté du fait vrai et du fait décisif» Saussure, ELG:
70.
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | LINGUISTICA
gnificante è il significante di un altro significante (almeno).
La metafora fisicalista del contenente/contenuto non spiega
nulla in un sistema privo di spazio a tre dimensioni; il cosiddetto contenuto di un significante si rivela essere un gioco di
significanti opposto, definito parasemia da Saussure.
La Parasemica (rapporti dei semi) sostituisce il contenuto
dei segni attraverso dei giochi di trasferimento operati da
rotture integrate, basate su una e una soltanto differenza categorica (± 1 di). Così, in fonologia, non c’è legame tra i fonemi perché tra due fonemi: «la dualità è insormontabile»16
sottolinea Saussure. Il transfert non si realizza per mezzo di
una relazione, ma attraverso una trasformazione (transfert
di valori); il fonema b di boule diventa m di moule , modulo
una differenza categorica, poiché (b = m ± 1 di). Al di là di
questa differenza unaria tipica, b e m hanno una stessa descrizione e sono identici. Nel proprio spazio di definizione,
un fonema è la trasformazione di un altro, almeno; il fonema
b è la trasformazione di p, d, m (± 1 di) come mostrano gli
esempi seguenti:
(1) un rince-bouche / un rince-douche [b = d ± 1 di (bilabiale/apicale)]
(2) le pirate ne pensait qu’au butin / le pirate ne pensait
qu’aux mutins [b = m ± 1 di (non-nasale/nasale)]
(3) le pirate ne pensait qu’au butin / le pirate ne pensait
qu’aux putains [b = p ± 1 di (sonoro/non-sonoro)]
La fonologia, come ogni altro livello dell’architettura della lingua, è uno spazio memoria, chiuso e compatto, gestito da regole. Questo calcolo costante a maglia è costitutivo
della sfera psichica. I fonemi non hanno altra realtà se non
quella di essere differenziali: sono dei discriminanti semici.
Non sono delle scritture, altrimenti detto, sono tutto tranne
che «piccole lettere» (Lacan) o «phonés» (Derrida). Nella
memoria-langue, i fonemi sono differenziatori primi.
DIFFERENZIALE / SIMBOLICO
Rappresentiamo la parole attraverso catene di segni. Ne
la langue, all’opposto, la catena significante, gioco «di entità negative », è una complessa architettura di dualità. Così,
nella parole, ci sono termini, segni, certamente frasi; dall’altro lato, il significante non può essere interpretato se non da
altri significanti. In altri termini, il significante è un gioco
serrato di dualità integrate, rotture materialmente vuote, buchi senza bordi né contorni, vuoti riempiti di vuoti, forme in
abisso in una Monade (Leibniz, Deleuze), in breve, una strana topologia differenziale, poiché a ogni istanza la langue è
immersa in ognuna delle sue rotture costitutive, comprese le
più sottili.
La parole simboleggia. Il vocabolario tiene in considerazione la sfera del simbolico ed è orientato verso
l’espressione; altrimenti detto, il simbolo tende verso l’Uno;
è un segno in un linguaggio. D’altro canto, il lessico diavoleggia; è un interpretante differenziale polimorfo, irraggia
instabilità significante. Saussure insiste: ne la langue, «ogni
16 «la dualité est infranchissable » Saussure, CLG/E: 27.
unità è immaginaria»; non bisogna mettere dell’uno simbolico al posto di un nodo di negazioni. In altri termini, il
significante è un gioco di scissione. Così, il lessico (la langue) è polisemico, il vocabolario (la parole), imposto dalle
pratiche, si rivela univoco per ragioni di carattere pratico. La
dualità lessico/vocabolario non è una questione diacro-sincronica (linguistica), ma etno-storica (scienze sociali). I due
domini non appartengono alla stessa scala temporale e non
potrebbero essere amalgamati in una teoria del linguaggio;
il tempo de la langue è un sistema endomorfo che si trasforma, il tempo della parole non è un sistema, ma una storia, il
che è tutt’altra cosa. Così, contrariamente alla parole (segni,
simboli, linguaggi, codici), la langue, sistema differenziale,
è senza simboli.
La simbolizzazione linguistica è un cerchio che corrisponde alla formazione del vocabolario nel lessico di una lingua
e alla sua reintroduzione ne la langue attraverso la parole. Questa formazione/reiscrizione dei vocabolari di pratiche nel sistema del lessico trasforma i lessemi (langue) le
cui variazioni combinatorie sono aleatorie, in parole d’uso
univoche, vale a dire, in simboli. Nello schema di Lacan,
(Istanza della Lettera nell’Incosciente), il percorso che va
da la langue alla parole, vale a dire qui dal lessico (langue)
ai vocabolari (parole) è destrogiro. Questa relazione è linguisticamente arbitraria; non è governata da regole, poiché
non è la lingua che simboleggia, ma le pratiche sociali della parole. All’inverso, in ritorno, il percorso che riscrive il
simbolo (vocabolario) nel lessico de la langue è levogiro:
è una procedura algoritmica (Lacan), vale a dire autonoma
e regolata dalla grammatica. Lacan sottolinea l’istanza del
simbolico (della lettera) in uno spazio significante che è costituito da sole dualità effettive. Così il capace plurivoco delle forme lessicali si trova simboleggiato (fissato) in qualcuna
delle sue disposizioni possibili. E’ solo dal punto di vista
dell’effettività memoriale che si può parlare di «istanza»
cioè di rimanenze di forme simboliche, positive e perenni,
nella combinatoria negativa della langue.
Il rapporto (simbolico) tra un vocabolo e una cosa è suggellato dal fatto che non è la langue che il bambino apprende
quando impara a parlare: ciò che apprende è il contesto umano, contesto nel quale la cosa non si dà senza segno (Benveniste). L’ambiente umano, nella sua diversità, è ovunque
semiotizzato. Lo spazio dei segni (parole) è pubblico e comune; quello dei semi (langue) è intimo e inaccessibile.
Saussure si chiede: «Dov’è il segno?». E risponde: «è là,
dietro la nostra fronte». Così, contrariamente a una concezione positivista molto diffusa, la catena di segni non si diffonde come un messaggio nell’aria del dialogo, ma si forma
nella comprensione, vale a dire nella sua presa in carica da
una grammatica interna (la langue). In altri termini, all’opposto di una teoria dell’enunciazione (ex nutiare, proiettare
al di fuori), il soggetto di linguaggio non è colui che parla, è
l’altro, l’ascoltatore (ricordiamo che il parlante è un ascoltatore che parla). Ciò a cui Saussure (e Wittgenstein) mirano
con il nome di «comprensione» si riduce alla presa in carica
della parole come parole da la langue, poiché la parole non
33
LINGUISTICA | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
esiste che capìta. È l’ascoltatore (la langue in atto in absenNell’analisi saussuriana delle geminate (appa), la prima p
tia) che trasforma i suoni della voce in parole e la parole in è chiusa (sonante) e la seconda p aperta (consonante); non
significante. Altrimenti detto, la parole si forma nell’intesa, c’è dunque ripetizione. Successivamente, a livello lessicale,
vale a dire nell’altro.
nell’appello messieurs, messieurs, noto esempio di SaussuLa langue accede al reale dividendolo. Al contrario il sim- re, la seconda sillaba della prima occorrenza è accentata,
bolico coglie il reale rappresentandolo e dichiarandolo. I lin- nella seconda è la prima, il che annulla la ripetizione.
Sullo stesso piano, la restrizione dei falsi doppioni franguaggi parlano; la langue si parla. Così, i simboli non irraggiano in una pluralità di spazi di senso come fanno i valori cesi papa, tonton è evidente: le sillabe (visivamente identinegativi del significante. Nella formulazione RSI di Lacan, che) sono dei valori fonemici distinti. Possiamo testare queil significante (la langue) non sta sotto S (simbolico), ma in sta restrizione di non-ridondanza fino alle balbuzie. Più in
absentia radicalmente sotto R
alto nell’architettura, la regola
si applica al livello semico dei
(reale). Si noti che il simbolico
sintagmi. Così, un enfant est un
comincia al livello del vocabolario. Il livello soggiacente, il
enfant, è noto, non è affatto una
sillabario (fonemi e sillabe), è
ripetizione: la prima occorrenza è un concetto, la seconda
un calcolo differenziale munito
un giudizio di valore; stesso
di un principio di chiusura.
discorso per une femme est une
La mamma non ciangotta nè
femme che può essere preso
lalla e non saprebbe come fare.
per un’ingiuria sessista. Infine,
Nella lallazione, allitterazione
l’esempio canonico si trova
di consonanti liquide, si dice
nel verso di Racine un père est
che il bambino non parli ancora. Tuttavia, la lallazione non
toujours père, Madame, en puè, come sembra, un’emanazionissant.
ne fonetica proto-linguistica,
Per la langue, ciò che è pertinente, vale a dire significante,
ma una sillabazione completa
(consonante e sonante) fornita
nelle ripetizioni, sono le differenze che esse enumerano. In
di una prosodia, poiché nella
altri termini, la reduplicazione
lallazione nulla si ripete. La
non è monotona. All’interno di
lallazione riguarda la langue e
una stessa catena significante,
perdura, senza modifiche, nella
la ridondanza, sotto tutte le sue
pratica adulta: in francese ho!
forme, è un tropo differenziale,
la la la!, in italiano, lallallero
poiché precisamente la catena è
lallallà. Ogni lingua possiede
significante di ciò che essa è didelle liquide, tratti fonologici
Una delle prime edizioni del Cours de linguistique générale di
scontinua e aritmica. Così, non
che non sono differenti in nul- Ferdinand de Saussure
la rispetto a ciò che osserviasi deve confondere a est a che
è una forma non-monotona de
mo nella lallazione. Quando il
bambino lalla è certo che sia entrato nel linguaggio, senza langue, con la forma logica a = a, identità simbolica che
ormai poterne uscire ; dunque, parla (parlare vuol dire parla- necessita una scrittura.
re, non necessariamente dire qualcosa)17.
Per avvalorare questa regola generale, riprendo una nota
analisi di Tullio De Mauro riguardante un esempio di SausREDUPLICAZIONE
sure in merito: la guerre, je vous dis, la guerre! «Spontaneamente noi constatiamo -sottolinea De Mauro - che l’oratoNe la langue, sul piano teorico, il significante non si ri- re ha ripetuto due volte la stessa parola, ha detto due volte
pete all’interno di una stessa catena, poiché la sintagmatica guerre. Ciò è vero, ma è vero soltanto in un certo senso»18.
(concatenamento degli elementi) è una logica senza identità. E ancora: «Saussure intende dire (…) che se si ripete due
Gli esempi di questa restrizione molto generale abbondano a volte la stessa parola, si comunicheranno due cose diverse la
ogni livello dell’architettura, a cominciare dalla sillaba.
prima e la seconda volta (…) e non meno differente sarà da
una volta all’altra la concreta pronunzia»19. La conseguenza
di questo fatto è importantissima: «Per dir ciò, è chiaro che
17 La lallazione è un’attività di manipolazione epi-linguistica? Saussure
dobbiamo avere un ubi consistam, un punto fermo che non
risponde: «La question serait-elle plus simple si l’on considérait le phénomène linguistique dans ses origines, si par exemple on commençait par
varii, che sia lo stesso e che ci consenta di dire che qualcosa
étudier le langage des enfants? Non car c’est une idée très fausse de croire
qu’en matière de langage le problème des origines diffère de celui des
conditions permanentes; on ne sort donc pas du cercle.» Saussure, CLG:
24.
34
18 De Mauro, 2014: ix-x.
19 De Mauro, 2014: x.
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | LINGUISTICA
varia ed è diverso»20.
Per identificare questo punto fermo, a partire dal quale si
effettua la variazione, non si può trovare appiglio né sul suono né sul senso, poiché sono variabili. De Mauro assume il
punto di vista de la langue (nel senso stretto di Saussure) e
osserva: «Il punto di vista che consente l’identificazione non
è quello dell’esecuzione. Esso va cercato non in quello che i
parlanti “fanno”, ma in quello che i parlanti sanno, all’interno, cioè, del loro sapere»21.
Così, «i parlanti sanno che le due, anzi le innumeri repliche di guerre sono, al di là d’ogni variazione di senso e
fonia, repliche di una stessa entità»22. Questo sapere de la
langue - che non è una parole perduta in uno spirito - proviene dalla memoria, memoria semiotica della quale la langue è
l’architettura e la grammatica.
CONCLUSIONE
È chiaro che se il linguaggio (dei linguisti strutturalisti)
non è altro se non un’elucubrazione su la langue o su lalangue, bisogna ugualmente ammettere che lalangue, allo
stato attuale del suo sviluppo in psicoanalisi, non è altro di
più che, essa stessa, un’elucubrazione a sua volta. La langue (Saussure) precede lalangue (Lacan); non è necessario
andare oltre donando a quest’ultima uno statuto eterotopico
che non può essere che immaginario. Ogni volta che crediamo di prenderci una libertà con la langue, intraprendiamo
il cammino di una regola. È strano lasciar intendere che la
soggettività sia assente dalla linguistica, dal momento che
da Saussure a Benveniste (certamente mascherata dallo
strutturalismo) è il suo scopo esposto e argomentato di volta
in volta. I pochi elementi commentati qui hanno come scopo
quello di attirare l’attenzione su questo discorso ‘in sofferenza’ nascosto sotto altre dominanti per un intero secolo.
Terminiamo con la filiazione. Nel 1916, qualche anno
dopo la morte di Saussure, il suo allievo Charles Bally
scrive nel linguaggio dell’epoca: «un linguista che s’ispira alle idee saussuriane deve ricondurre tutto alla coscienza
interiore che abbiamo de la langue. Il nostro metodo sarà
psicologico o non sarà». In effetti, «la langue, l’ABC della
psicologia» come Saussure sottolineva a suo tempo, si rivela
essere quello della psicoanalisi. È infatti noto che uno degli
aspetti più fecondi del lavoro di Lacan è stato quello di stabilire la scoperta di Freud, l’inconscio, in quella di Saussure,
la langue.
Freud (la parole) et Saussure (la langue), sebbene contemporanei, non si conoscevano. Eppure, il figlio di Ferdinand de Saussure, Raymond de Saussure, era psicoanalista
e aveva fatto la sua analisi con Freud. Sembrerebbe che non
gli abbia mai parlato dei lavori di suo padre (cosa ch’egli
doveva totalmente ignorare, come tutti i buon figli di dotti).
La filiazione, in scienza, segue altre vie.
BIBLIOGRAFIA
Arrivé (1987) Arrivé, Michel, Linguistique et psychanalyse Freud, Saussure, Hjelmslev, Lacan et les autres, Paris,
Klincksieck.
Bally (1916) Bally, Charles, Le langage et la vie, Genève,
Droz.
Benveniste (1966) (PLG) Benveniste, Emile, Problèmes
de linguistique générale, Paris, Gallimard, vol 1; trad. it.
Problemi di linguistica generale, Milano, Il Saggiatore,
1971.
Coursil (1996) Coursil, Jacques, La topique du dialogue,
comment assigner au Sujet son lieu, Paris, «Le Discours
Psychanalytique», 16.
Coursil (2000) Coursil, Jacques, La fonction muette du
langage, Pointe à Pitre, Ibis Rouge.
Coursil (2015) Coursil Jacques, Valeurs pures, le programme systémique de F. de Saussure, Limoges, Lambert-Lucas (in c.d.s).
De Mauro (2014) De Mauro, Tullio, Introduzione a Saussure (1922), pp. v-xxxix.
Lacan (1966) Lacan, Jacques, Ecrits I, Paris, Seuil.
Lacan (1972) Lacan, Jacques, Le Savoir du Psychanalyste, 1972 (ed. non-officielle).
Lacan (1978) Lacan, Jacques, Le Séminaire, livre II, ed.
Miller, Le Moi dans la théorie de Freud et dans la technique
de la psychanalyse, Paris, Seuil.
Leibniz (1978) Leibniz, Gottfried Wilhelm, La monadoligie, Paris, Delagrave.
Peirce (1958) Peirce, Charles Sanders, Collected papers,
ed. C. Hartshorme, P. Weiss, Cambridge, Harvard University Press.
Saussure (1922) (CLG) Saussure, Ferdinand de, Cours de
linguistique générale, Genève, Payot 1922; trad. it. Corso
di linguistica generale, introduzione, traduzione e note di T.
De Mauro, Roma-Bari, Laterza, 201426.
Saussure (1967) (CLG/E) Saussure, Ferdinand de, Cours
de linguistique générale, ed. crit. R. Engler, 4 voll., Wiesbaden, Harrassowitz.
Saussure (2002) (ELG) Saussure, Ferdinand de, Ecrits
de linguistique générale, ed. S. Bouquet, R. Engler, Paris,
Gallimard; trad. it. Scritti inediti di linguistica generale,
commento, note e traduzione di T. De Mauro, Roma-Bari,
Laterza, 2005.
Utaker (2003) Utaker, Arild, La philosophie du langage,
une archéologie saussurienne, Paris, PUF.
Wittgenstein (1953) Wittgenstein, Ludwig, Philosophical
investigations, ed. G. E. M. Anscombe, Prentice Hall.
Wittgenstein (1974) Wittgenstein, Ludwig, Philosophical
grammar, ed. Rhees, Kenny, Oxford, Basic Blackwell.
20 Cfr. ibidem.
21 De Mauro, 2014: xi.
22 Cfr. ibidem.
35
LINGUISTICA | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
Una biografia
importante: quella
di Ferdinand de
Saussure
ALESSIA DE LUCA
P
er capire quanto possa essere interessante e
utile la biografia di Saussure scritta da John E.
Joseph per la Oxford University Press1 basta
leggere le prime tre pagine delle Notizie biografiche e critiche su F. de Saussure scritte da
Tullio De Mauro nel 1968 nella sua nota edizione del CLG.
Basta questo per essere proiettati al centro dell’Europa della fine del 1400 e arrivare fino a oggi, sulla nostra scrivania
e nelle nostre menti, in compagnia di una folla di persone
e di eventi storici di portata epocale, come se leggessimo il
miglior riassunto possibile del kubrickiano Barry Lyndon.
Avendo poi notato che il lavoro di Joseph occupa quasi 800
pagine, capiamo anche, e lo ammiriamo per questo, che il
nostro autore è stato, e finora resta, l’unico professore di linguistica che abbia avuto il coraggio di cedere al fascino di
quelle tre pagine demauriane e percorrere fino in fondo tutte
le tantissime strade indicate allora da quel testo.
Il lavoro di Joseph, durato anni, si presenta diviso nelle
cinque grandi parti in cui solitamente viene ordinata la vita
di Saussure: The World into which He was Born (articolato in tre capitoli); Early Years to the Mémoire (articolato in
quattro); Doctorate and Paris Years (quattro capitoli); Return
to Geneva (cinque capitoli); Final Flourish (ancora quattro
capitoli). Corredano il testo ben 88 pagine di note, nove di
bibliografia su Saussure, due di testi da lui stesso pubblicati,
una di titoli coevi in cui viene citato, due di testi saussuriani
pubblicati postumi e 25 pagine di indice di nomi e nozioni
notevoli. Il tutto in una edizione solida e elegante.
L’apparato di note e bibliografico di Joseph, come del resto
tutto il lavoro, è pensato per una wider audience, dunque è
snello e essenziale, fatto in modo cioè da facilitare al massimo il contatto dei non specialisti con i testi sacri e meno sacri
della esegesi saussuriana. La scelta è intelligente e condivisibile, ma rischiosa per il lettore comune che nella brevità
non può cogliere dettagli importanti. Nelle opere pubblicate
postume, per fare un esempio tra i molti possibili, e tra questi
Wackernagel che manca tra chi lo cita, il lettore viene edotto
che al Corso di linguistica generale hanno lavorato Charles
Bally, Albert Sechehaye, Albert Riedlinger, nonché Rudolf
1 John E. Joseph, Saussure, Oxford University Press, Oxford, 2012, pp.
xii, 780.
36
Engler, Wade Baskin, Roy Harris. Ma, a parte la sorprendente mancanza dell’edizione demauriana (che Joseph conosce a
menadito e che è di fatto la più affidabile sul mercato internazionale), la esapla di Engler è molto di più che una semplice
‘critical edition’ del CLG di Bally e Sechehaye, così come
non si può dire che i lavori di Baskin o di Harris vadano molto al di là del merito di fornire del CLG una versione per
il pubblico inglese. Del resto, sempre a proposito del piano
strettamente tecnico, lo sguardo di Joseph non spazia a 360°
come invece fa sui fatti della vita di Saussure. La visuale in
questo caso è, per così dire, english-oriented e come tale fornisce ottimo materiale per chi, in un futuro lavoro genuinamente world-oriented, si occuperà della fortuna di Saussure.
Nel costruire la sua biografia Joseph ha attentamente calibrato il peso dei due aspetti fondamentali che stanno alla
base di questo tipo di lavoro: le vicende familiari e private di
Saussure e il percorso delle sue analisi, riflessioni, scoperte
occupano infatti più o meno lo stesso spazio. L’acribia e l’estensione con cui rende conto delle prime è pari alla minuzia
e attenzione con cui rende conto delle seconde, sicché il lettore si trova di fatto messo a diretto contatto con familiari,
amici, colleghi, estimatori e detrattori di Saussure allo stesso
modo in cui viene coinvolto negli arditi ragionamenti su punti complessi di linguistica ricostruttiva, di opzioni epistemologiche o di filiazioni storico-teoriche, presentati sempre con
il non mai abbastanza lodato e imitato stile chiaro e fattuale
della prosa scientifica di scuola anglosassone.
Per le vicende familiari Joseph prende le mosse dalla Lorena, dal comune di Saulxures-les-Nancy, e mette bene in mostra sin dalle prime battute come e perché la famiglia Saussure sia una delle più importanti famiglie europee. Si tratti di
Francia, di Svizzera o di Prussia, i Saussure, per via del loro
fitto intreccio con le migliori famiglie europee (de Clémery, de Veillet de Scrimgeour, Diodati, Burlamacchi, Lullin,
Mallet, de la Rive, Pictet, Boissier, Necker, Fabri, Crud, de
Pourtalès, Faesch...), sono sempre stati stretti collaboratori
dei massimi livelli della dirigenza politica e economica europea. Quel che più conta, tuttavia, è che si tratta di una famiglia caratterizzata dalla vocazione, mai disattesa, a svolgere
un ruolo attivo in campo civile, religioso, economico e ancor
più decisamente scientifico (sia sul piano della ricerca: voci
per l’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert, esplorazione e
scalata del Monte Bianco, indagini e scoperte su fenomeni
elettrici, della fotosintesi, di mineralogia, grandi biografie,
studi sull’ontogenesi linguistica, viaggi scientifici di rilievo;
nonché su quello dell’impegno istituzionale: responsabilità
rettorali al Collegio di Ginevra, docenze universitarie importanti, avvio e sviluppo di società scientifiche, il tutto in
una fittissima rete di relazioni intellettuali internazionali, De
Staël, Locke...).
E’ facile capire che ognuno di questi aspetti della biografia
dei Saussure porti con sé innegabili elementi di fascinazione
storica e narrativa e va ascritto a Joseph il merito di averli resi
disponibili ai lettori non specialisti. Il suo però non è solo un
merito di natura letteraria. Il reticolo e la varietà delle relazioni private della famiglia Saussure e di Ferdinand in particola-
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | LINGUISTICA
re hanno anche una notevole valenza scientifica. Per quanto rientra a Ginevra da Lipsia nell’ultima settimana di settembre
vasta infatti fosse la biblioteca di Saussure, già studiata da De dopo aver speso le vacanze estive nella redazione del MémoiMauro e sulla quale è tornato di recente Daniele Gambarara, re (I am very anxious to see Ferdinand arrive, and to become
non sembra che la sua analisi sia sempre sufficiente a dare acquainted with his study, an enormous work for his age!
risposte filologicamente sicure e definitive sulle fonti dei pen- But I am much tormented over his healt [...] Ferdinand really
sieri saussuriani più innovativi. Il fatto è che nella società di needs a cure of cold water and hunting exercise, but how
metà Ottocento inizi Novecento, la circolazione del sapere can I take him, now that he has only five weeks of holiday).
scientifico di frontiera usava un canale oggi certamente molto In merito, subito dopo, Joseph ci tranquillizza riferendo che
meno diffuso, vale a dire il canale della conoscenza diretta, ‘The holyday was enough to refresh Ferdinand, and in due
o comunque molto prossima,
course he and his father broached the subject of a doctoral
tra gli studiosi delle varie discipline. Ciò significa che chi
Tre testi importanti per introdursi alle idee di Ferdinand thesis’ (si noti: Ferdinand e il
indaga sulla genesi delle idee de Saussure sulle lingue e sul linguaggio e orientarsi nella padre; la tesi, come si sa, portava sul genitivo assoluto in
del nostro ‘distinto linguista notevole e importante bibliografia interpretativa sono:
ginevrino’ come si usava un
F. de Saussure, Corso di linguistica generale, traduzione, sanscrito, Henri, entomologo,
tempo dire in Italia, deve ne- introduzione, commento e note di Tullio De Mauro, Laterza, fondatore della Società Gecessariamente
considerare, Roma-Bari, 201426.
ografica di Ginevra, esperto
F. de Saussure, Cours de linguistique générale, édition del Museo di Storia Naturale
e attentamente, il quadro più
dettagliato possibile delle re- critique par Rudolf Engler, Otto Harrassowitz, Wiesbaden, di Ginevra, membro onorario
lazioni potremmo dire ‘quo- 1989-902.
della Società Entomologica di
Robert Godel, Les sources manuscrites du Cours de lingui- Londra, si occupava di vespe
tidiane’, ‘amicali’, di fatto,
con Saussure, genuinamente stique générale de F. de S., Librairie Droz, Ginevra, 19692. solitarie e altri imenotteri e
Inoltre, la Librairie Droz pubblica l’importante «Cahiers ortotteri...). In breve, è inu‘familiari’. In questo modo
non si ottengono prove filo- Ferdinand de Saussure» e gran parte degli autografi saussu- tile dire che identica densità
documentale e partecipazione
logicamente certe è vero, ma riani sono conservati dalla Biblioteca di Ginevra.
emotiva si ritrova in ogni paproprio questa circostanza va
gina del testo e per ogni testo
a conferma del genio di Saussure: quale delle grandi scoperte del tornante cognitivo tra saussuriano, il che significa lettura interessante e informazioOtto e Novecento (inconscio, relatività, quanti, teorema di ni dettagliate nel corso di tutte le ottocento pagine del lavoro.
incompletezza, teorema di indeterminazione, cubismo, doIn conclusione, un paio di inviti e un ringraziamento. Gli
decafonia e quant’altro ancora) si lascia ricostruire in modo inviti. Sappiamo tutti che il progresso scientifico si giova
filologicamente ineccepibile? Nessuna. E non ci sono dubbi molto della passione che una disciplina riesce a far nascere
che la mente di Ferdinand de Saussure partecipi, al massimo nelle menti dei ragazzi attraverso opere divulgative ben fatte.
livello e da linguista puro, alle rivoluzioni scientifiche che gli Da questo punto di vista il Saussure di Joseph è una ottima
sono coeve.
base di partenza per chi, produttore, regista, attore, volesse
Discorso analogo occorre fare per il corpus del lavoro aggiungere ai già noti e efficaci bio movie di scienziati (Soscientifico di Saussure. Joseph ricostruisce per ogni anche crate, Galileo, Wittgenstein, Turing, ecc.) anche quello su
minimo lavoro saussuriano (dai primissimi lavoretti studen- Ferdinand de Saussure e sulla linguistica. Ancor più vivateschi alle ultime lezioni ginevrine) sia gli elementi interni (il mente consigliato questo Saussure è poi, ovviamente, a tutti
contesto che portava Saussure a trattare un certo argomento, gli autori di testi scolastici e a tutti gli insegnanti, di ogni
i dati documentali su cui lavorava, le linee argomentative che ‘materia’ e di ogni ordine e grado, dalla materna ai collegi di
proponeva, i materiali linguistici relativi ai vari lavori) che gli dottorato e oltre. E’ leggendo opere come questa che si trova
elementi esterni di natura pubblica (documentazione minu- la via giusta per presentare i propri contenuti disciplinari in
ziosa su lavori e autori correlati, su colleghi e amici coinvolti, modo vivo e vero, in connessione con i bisogni di conoscenza
sulle reazioni suscitate nell’ambiente scientifico) e privata concreti e nel gioco incessante dei rapporti dialogici.
(dalle reazioni parentali a quelle personalissime di Ferdinand
Il ringraziamento. E’ per Joseph, e viene da chi si occupa
nelle varie occasioni). La scelta strategica di Joseph, corag- di linguistica teorica e formale. Non è a una biografia che
giosa e in definitiva vincente, è stata quella di sciogliere ogni occorre rivolgersi per questo livello di questioni, ma ai testi
tipo di tecnicismo descrittivo, teorico o storiografico nel flus- autografi. Il grazie a Joseph è però dovuto perché, con grande
so di una narrazione pacata, molto english diciamo noi in ita- correttezza, evita con cura di imporci una sua ‘ortodossia’
liano, che non rinuncia tuttavia a quel pizzico di partecipazio- saussuriana. Con genuino atteggiamento saussuriano Joseph
ne drammatica alle vicende. Si veda, tra i mille, il caso, a cui sa che non c’è oggetto che non sia radicalmente costituito
Joseph tiene molto, del rapporto di Ferdinand con il fratello da un punto di vista e in tutto il lavoro il suo punto di vista è
René a proposito della nozione portante nel pensiero saussu- stato quello, mantenuto costante, del biografo documentato,
riano di «differenza» o ancora, su un piano più privato, l’an- attento e rispettoso del pensiero e dell’opera del biografato.
sia e il tormento del padre Henri per la salute del figlio che
37
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | PREMI
L’edizione 2015 del Premio Nazionale
di Divulgazione Scientifica
dell’Associazione Italiana del Libro
L
’Associazione Italiana del Libro, con il patrocinio del CNR e dell’AIRI-Associazione
Italiana per la Ricerca Industriale, bandisce
l’edizione 2015 del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica (III edizione)
Presidente del Comitato Scientifico: Umberto Guidoni.
Media partner: Almanacco della Scienza e CNR Web Tv.
Le finalità del Premio:
• affermare la centralità della ricerca e dell’informazione
scientifica per il progresso
della società,
• valorizzare il capitale di
conoscenze scientifiche che
l’Italia possiede,
• dare visibilità al talento
di docenti, scienziati, ricercatori e professionisti della
comunicazione e dell’informazione nel campo della divulgazione scientifica,
• ampliare il dialogo del
mondo della ricerca e
dell’Università con la società, contribuendo a creare
una cultura diffusa dell’innovazione e del sapere,
• favorire nei giovani l’interesse per la cultura scientifica.
Possono partecipare al
Premio ricercatori, docenti, giornalisti e autori italiani con
libri e articoli di divulgazione scientifica pubblicati nel 2014
o nel 2015.
La partecipazione è gratuita.
Verranno premiati gli autori di libri a articoli che si sono
meglio contraddistinti per il carattere innovativo degli argomenti affrontati, l’efficacia e la chiarezza dell’esposizione
e la capacità complessiva di comunicazione al pubblico dei
temi trattati.
Gli interessati possono presentare le proprie opere a concorso entro il 2 agosto 2015. Nel caso di opere scritte da più
autori la presentazione da parte di uno degli autori è sufficiente ad ammettere l’opera al Premio. Per le opere collettive
la presentazione può essere effettuata dal curatore o da uno
dei curatori. Anche gli editori possono presentare le opere
dei propri autori.
Verranno assegnati 9 premi così distribuiti:
- nella Sezione Libri:
• Un premio al 1° classificato in assoluto;
• Un premio al miglior libro in ciascuna delle 5 aree
scientifiche previste;
• Un premio al 1° classificato in assoluto tra gli autori
under 35 anni di età.
- nella Sezione Articoli:
• Un premio al 1° classificato in assoluto;
• Un premio al 1° classificato in assoluto tra gli autori
under 35 anni di età.
La premiazione si svolgerà a Roma giovedì 17
dicembre 2015 nell’Aula
Convegni del CNR.
Il Comitato Scientifico e la Giuria del Premio sono costituiti da esponenti del mondo accademico, della ricerca, della cultura, del giornalismo e della comunicazione, chiamati
dall’Associazione Italiana del Libro ad esprimere, a titolo
gratuito, il loro giudizio sulle opere presentate, in armonia
con le finalità del Premio.
Informazioni: [email protected]
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | UNIONE EUROPEA
L’iniziativa dei cittadini europei (ICE):
teoria e pratica
PAOLO PONZANO
Senior Fellow: Istituto Universitario Europeo. Firenze
L’
1. PREMESSA
iniziativa dei cittadini europei introdotta dal Trattato di Lisbona costituisce un’innovazione importante da
parte dell’Unione europea - anche se
presenta i limiti descritti più avanti
- in quanto solo in tredici dei ventotto Stati membri dell’Unione europea esiste a livello nazionale il diritto, per un numero significativo di cittadini, di sottoporre una proposta di
legge all’attenzione del Parlamento nazionale. Si potrebbe
quindi dedurre che l’Unione europea sia più ambiziosa dei
suoi Stati membri in materia di partecipazione diretta dei cittadini al processo legislativo. Esiste tuttavia una differenza
importante tra il “diritto d’iniziativa” legislativa riconosciuto
dall’Unione europea ai cittadini europei e quello in vigore
a livello nazionale nei suddetti tredici Stati membri. Nella
maggior parte di essi, il diritto di iniziativa legislativa dei
cittadini permette a questi ultimi di sottoporre direttamente
una proposta di legge al legislatore, vale a dire al Parlamento
nazionale.
Nel caso dell’Unione europea, i cittadini possono solo
chiedere alla Commissione europea - che dispone in base
ai Trattati del diritto quasi esclusivo di iniziativa legislativa
- di presentare una proposta di legge, ma non hanno la garanzia che la Commissione dia una risposta favorevole alla
loro richiesta e che quindi il legislatore europeo (vale a dire
il Parlamento europeo e/o il Consiglio dei Ministri europeo)
sia effettivamente chiamato a discutere una proposta di legge
europea richiesta dai cittadini.
La ragione di tale differenza risiede nella particolarità del
sistema istituzionale dell’Unione europea. Mentre negli Stati
membri sia l’organo legislativo (il Parlamento) che l’organo
esecutivo (il governo) hanno il potere di presentare proposte
di legge, nell’Unione europea solo la Commissione europea
dispone del diritto di presentare proposte di legge (le sole
eccezioni a tale principio riguardano la politica estera e di
sicurezza - dove tuttavia si tratta quasi esclusivamente di atti
esecutivi e non legislativi - e gli affari giudiziari e interni
- dove la Commissione condivide il diritto di iniziativa legislativa con un quarto degli Stati membri).
2. IL DIRITTO DI INIZIATIVA LEGISLATIVA DELLA
COMMISSIONE EUROPEA: UN MONOPOLIO DI
DIRITTO MA NON DI FATTO
La ragione principale per cui la Commissione europea dispone di un sostanziale monopolio dell’iniziativa legislativa
deriva dalla doppia natura dell’Unione europea come unione
di Stati membri e di cittadini. Mentre in uno Stato nazionale
le proposte di legge non devono tener conto degli interessi
delle singole regioni o altre entità sub-statali (per esempio in
Italia una proposta di legge che emanasse dal governo o dal
Parlamento non deve necessariamente tener conto degli interessi della Sicilia o del Trentino), in seno all’Unione europea
la Commissione europea deve tener conto degli interessi di
tutti gli Stati membri - grandi o piccoli - nell’elaborazione
delle sue proposte di legge1. Per questa ragione sarebbe difficile per il Parlamento europeo tener conto degli interessi di
tutti gli Stati membri nell’adottare una proposta di legge data
la scarsa rappresentanza di cui dispongono i paesi meno popolati (Lussemburgo, Malta o Cipro dispongono di sei parlamentari contro i 96 della Germania).
Inoltre la Commissione europea, prima di elaborare una
proposta di legge, deve procedere ad un’analisi delle 28 legislazioni nazionali al fine di verificare se una di esse dispone
di una legislazione adatta ad essere presa come modello per la
legislazione europea o se occorre procedere ad un’armonizzazione delle legislazioni esistenti. Infine la stessa Commis1 Nella sua sentenza del 30 Giugno 2009 sul Trattato di Lisbona (par.
227), la Corte Costituzionale tedesca riconosce che il diritto europeo può
comportare deroghe ai principi della democrazia nazionale poiché l’Unione europea è basata sul principio dell’uguaglianza degli Stati.
39
UNIONE EUROPEA | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
sione deve procedere ad un’analisi dell’impatto economico,
sociale e ambientale di una proposta, verificare il rispetto del
principio di sussidiarietà (in breve il valore aggiunto di una
legge europea) e consultare le parti interessate dal progetto
di legge. Tutti questi adempimenti potrebbero difficilmente
essere realizzati dal Parlamento europeo (salvo se quest’ultimo disponesse a sua volta, come la Commissione europea, di
un’amministrazione plurinazionale adeguata). Benché, come
già rilevato, la Commissione disponga del quasi-monopolio
in diritto dell’iniziativa legislativa (il Parlamento europeo e il
Consiglio possono solo chiedere alla Commissione di presentare una proposta, ma la Commissione non è giuridicamente
tenuta a dare una risposta favorevole), quando esaminiamo
la prassi europea dobbiamo sottolineare che la Commissione
dà nella stragrande maggioranza dei casi una risposta positiva alle richieste legislative che le sono indirizzate dagli attori
esterni (Consiglio europeo, Parlamento europeo, Consiglio
dei Ministri europeo, singoli Stati membri e gruppi di pressione). Le statistiche sull’esercizio del diritto di iniziativa
da parte della Commissione dimostrano che nel 20-25% dei
casi, la Commissione agisce su richiesta di uno degli attori
suddetti. Poiché esistono oggi circa 13.000 leggi europee, ne
consegue che circa 2500 proposte della Commissione hanno
dato seguito a richieste legislative esterne. D’altra parte, le
statistiche menzionate dallo stesso Parlamento europeo2 indicano che nei casi in cui il PE ha votato richieste legislative
alla Commissione a norma degli artt. 192 TUE e 225 TFUE,
la Commissione europea non ha dato seguito alle richieste
del PE in meno di dieci casi3. Se aggiungiamo anche i casi di
rifiuto di richieste legislative da parte degli altri attori esterni,
il totale dei rifiuti di legiferare da parte della Commissione
non superano in totale i 20-25 casi (vale a dire l’1% circa del
totale delle richieste legislative). Pertanto, si può legittimamente concludere che il monopolio di diritto di cui dispone
la Commissione non corrisponde ad un monopolio di fatto
ma si traduce in pratica in una responsabilità legislativa largamente condivisa con le altre Istituzioni europee, i singoli
Stati membri ed i gruppi di pressione4.
3. LE INIZIATIVE DEI CITTADINI EUROPEI
Dalla data di entrata in vigore del regolamento europeo
che disciplina l’esercizio dell’iniziativa dei cittadini europei
(Aprile 2012), la Commissione europea ha ricevuto 51 domande di registrazione di una proposta d’iniziativa dei citta2 The European Parliament / Richard Corbett, Francis Jacobs, Michael
Shackleton. - London : John Harper, 2011.
3 Nel suo intervento al Convegno sull’iniziativa cittadini del 18 Marzo
scorso all’Università “Federico II”, il Prof. Mastroianni ha citato quattro
casi recenti di risoluzioni del PE ai sensi dell’art. 225 TFUE alle quali la
Commissione europea non avrebbe dato seguito ( principio di parità di
retribuzione tra lavoratori di sesso diverso; informazione e consultazione
dei lavoratori; diritto dell’UE in materia di procedimenti amministrativi;
lotta alla violenza contro le donne).
4 Nello stesso senso il mio: Le droit d’initiative législative de la Commission européenne : Théorie et pratique, in “Revue des Affaires Européennes”, n. 1/2010.
40
dini europei. 31 iniziative (circa il 60%) sono state giudicate
ammissibili e quindi registrate dalla Commissione, mentre
20 iniziative (circa il 40%) sono state giudicate manifestamente al di fuori delle competenze della Commissione, allo
scopo di presentare una proposta di atto giuridico ai fini
dell’applicazione dei Trattati5. 18 iniziative sono arrivate al
termine del periodo di dodici mesi richiesto per la raccolta
delle firme, mentre 10 iniziative sono state ritirate dai promotori prima della fine del suddetto periodo. Tra le 18 iniziative che hanno completato la raccolta delle firme, solo tre
iniziative hanno raggiunto e superato la soglia di un milione
di firme. Si tratta dell’ICE “L’acqua è un bene pubblico, non
una merce”, dell’ICE “Uno di noi” sulla protezione dell’embrione umano e dell’ICE “Stop vivisection” sul divieto della
vivisezione degli animali. Tuttavia, in nessuno di questi casi,
la Commissione europea ha presentato finora delle proposte
di atti legislativi volti a dare seguito alle richieste dei cittadini europei6. Nel caso dell’ICE sull’acqua pubblica, la Commissione, pur accogliendo con favore il contenuto dell’iniziativa, si è impegnata soltanto a rafforzare l’attuazione della
legislazione europea esistente, a lanciare una consultazione
pubblica, a stimolare un dialogo con gli Stati membri e gli
operatori del settore ed altre misure di cooperazione, senza
prevedere alcuna nuova proposta legislativa. Nel caso dell’ICE sulla protezione dell’embrione umano, la Commissione
ritiene che la legislazione europea esistente risponda già a un
certo numero di richieste dei promotori dell’iniziativa, mentre indica di non poter soddisfare la richiesta che l’Unione
europea non finanzi la ricerca volta alla creazione di cellule
staminali in quanto la sua proposta, adottata dal legislatore
europeo, teneva già conto delle considerazioni etiche e dei
benefici potenziali per la salute umana. Per quanto riguarda
il divieto di vivisezione animale, la Commissione ha rifiutato di abrogare la legge europea in vigore e di presentare
una nuova proposta. Una prima conclusione da trarre è che
il campione di iniziative dei cittadini che hanno raggiunto la
soglia richiesta di firme è ancora troppo limitato per dedurre
fin d’ora che la Commissione non prende in considerazione le richieste dei cittadini europei (contrariamente alla sua
prassi costante nei riguardi delle richieste delle Istituzioni
europee e dei gruppi di pressione). Inoltre le tre iniziative
che hanno raggiunto il milione di firme riguardano materie e
contengono richieste legislative non facilmente praticabili da
parte della Commissione, poiché un trattamento legislativo
privilegiato per l’acqua pubblica rischia di entrare in conflitto con l’uguaglianza delle condizioni di concorrenza sancita
dai Trattati europei, mentre la richiesta di non finanziare la
ricerca sulle cellule staminali implica una scelta etica che
5 Come previsto dall’art. 4 par. 2, lettera b) del regolamento attuativo
dell’ICE.
6 Paradossalmente, l’unica proposta legislativa della Commissione che
ha fatto seguito ad un’iniziativa cittadini è stata il piano Juncker per lo
sviluppo economico che riprende a suo modo uno degli obiettivi dell’ICE
“New Deal for Europe” (anche se questa ICE è stata ritirata dai promotori
nel Gennaio 2015 dopo la presentazione della proposta legislativa della
Commissione).
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | UNIONE EUROPEA
potrebbe apparire in conflitto con l’articolo 13 della Carta
europea dei Diritti fondamentali, che stipula la libertà della
ricerca scientifica. Anche la messa al bando della ricerca animale metterebbe fuori gioco la ricerca biomedica europea.
Pertanto, occorre disporre di un campione più rappresentativo di iniziative dei cittadini europei prima di trarre conclusioni valide sull’atteggiamento della Commissione europea nei confronti di questo nuovo strumento di democrazia
partecipativa. È indubbio tuttavia che se la Commissione
europea continuasse a non presentare proposte legislative in
altre materie meno controverse in risposta alle iniziative dei
cittadini europei, l’efficacia di tale strumento per stimolare la
partecipazione popolare al processo legislativo europeo potrebbe essere messa in discussione.
4. DIFFICOLTÀ DI APPLICAZIONE DELL’INIZIATIVA
DEI CITTADINI EUROPEI
I promotori delle 51 iniziative dei cittadini europei hanno sottolineato una serie di difficoltà strutturali nell’applicazione del regolamento europeo relativo alle iniziative dei
cittadini europei che rischiano di rendere poco attrattivo il
ricorso a questo nuovo strumento. In effetti, il numero delle
iniziative presentate, che aveva raggiunto la punta massima
di 16 iniziative nel 2012, si è ridotto a 9 nel 2013 ed è sceso
ulteriormente a 5 iniziative nel 2014. Mentre nel 2013 sono
state raccolte cinque milioni e quattrocento mila firme, il numero è sceso a 450.000 nel primo semestre del 2014 ed a
170.000 nel secondo semestre.
Questa disaffezione crescente dei cittadini europei verso
l’utilizzo dello strumento dell’ICE si spiega con le numerose
difficoltà incontrate nell’applicazione dello strumento:
a) Il test di ammissibilità giuridica ha impedito la registrazione di 20 iniziative.
È indubbio che la maggior parte delle iniziative non registrate dalla Commissione erano manifestamente al di fuori
delle competenze legislative della Commissione stessa oppure avevano per obiettivo la modifica dei Trattati europei e
non l’applicazione degli stessi (introduzione di referendum
sulle competenze dell’Unione, riconoscimento di secessioni, ecc.…). Altre iniziative erano manifestamente contrarie
ai Trattati (abolizione delle centrali nucleari, traduzione
dell’inno europeo in esperanto o soppressione del mandato
negoziale per l’accordo transatlantico). Tuttavia, alcune iniziative in materia di protezione degli animali, di servizi sanitari o di lotta alla povertà erano più controverse. Del resto,
i promotori hanno inoltrato sei ricorsi alla Corte europea di
giustizia, le cui sentenze permetteranno di chiarire l’eventuale illegittimità delle decisioni di rifiuto della Commissione. In ogni caso, la Commissione dovrebbe fornire maggiori
chiarimenti ai promotori nella fase di presentazione delle
iniziative e motivare meglio le sue decisioni di rifiuto della
registrazione.
b) Riduzione dei dati personali richiesti dalla maggior
parte degli Stati.
Diciotto Stati membri richiedono la fornitura dei dati personali dei firmatari dell’ICE (numero della carta d’identità,
autorità di rilascio del documento, ecc..), mentre gli altri dieci paesi non li ritengono necessari. Questa esigenza è stata
considerata inutile e sproporzionata da parte di migliaia di
cittadini, soprattutto perché si tratta sostanzialmente di firmare una “petizione” alla Commissione europea affinché
prenda un’iniziativa legislativa. Nel caso di altre petizioni
(per esempio quelle indirizzate al Parlamento europeo), i dati
personali richiesti sono molto più limitati (nome e cognome,
nazionalità e data di nascita). La Commissione europea dovrebbe richiedere all’insieme degli Stati membri di ridurre i
dati personali richiesti, che possono essere modificati tramite
un decreto legislativo della Commissione stessa. In particolare, il regolamento di attuazione dell’ICE dovrebbe garantire ad ogni cittadino europeo il diritto di firmare un’iniziativa
cittadini indipendentemente dal paese in cui risiede.
41
UNIONE EUROPEA | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
c) Semplificazione del sistema di raccolta online delle firme.
La quasi totalità delle iniziative cittadini hanno utilizzato il software di raccolta online delle firme messo gratuitamente a disposizione dei promotori da parte dei servizi della
Commissione. Tuttavia il software della Commissione si è
rivelato molto difficile da utilizzare ed ha causato la rinuncia
a firmare da parte di numerosi cittadini, la perdita di firme ed il ricorso a sistemi alternativi per la raccolta online.
La maggior parte dei promotori di ICE hanno chiesto che la
Commissione europea metta a disposizione dei firmatari di
un’ICE una nuova piattaforma informatica più accessibile e
“amichevole”, per poter essere utilizzata anche dai cittadini
meno esperti nelle nuove tecnologie informatiche.
d) Modifica della durata di raccolta delle firme.
L’esperienza delle iniziative cittadini ha dimostrato che il
periodo di dodici mesi è troppo corto per raccogliere un milione di firme in almeno sette paesi europei. Inoltre, l’obbligo per i promotori di iniziare la raccolta firme appena effettuata la registrazione da parte della Commissione (anche se
la certificazione del sistema di raccolta online non è ancora
intervenuta e se i promotori non sono ancora in grado di cominciare la raccolta firme) riduce di circa due mesi la durata
reale della detta raccolta. Sarebbe quindi necessario prolungare a diciotto mesi la durata della raccolta firme oppure, in
alternativa, lasciare alla discrezione dei promotori la scelta
della data di inizio reale della raccolta.
e) Fornire un’assistenza giuridica e/o finanziaria ai promotori di ICE.
L’esperienza delle tre ICE che hanno raccolto un milione
di firme dimostra che solo le iniziative dei cittadini europei
che hanno beneficiato di finanziamenti significativi (le ICE
sull’acqua pubblica e sulla protezione dell’embrione disponevano di oltre 150.000 Euro) e/o che sono state promosse
da organizzazioni rappresentative e ben strutturate a livello europeo (i sindacati della funzione pubblica per l’acqua,
le organizzazioni della chiesa cattolica per la protezione
dell’embrione e le organizzazioni ambientaliste e animaliste
per la vivisezione) sono state in grado di raccogliere un numero importante di firme in molti paesi europei.
Se l’ICE deve consentire ai cittadini europei e non solo
alle grandi organizzazioni e gruppi di pressione di partecipare al processo legislativo nell’Unione europea, occorre che la
Commissione europea contribuisca a facilitare l’utilizzazione di questo strumento fornendo ai promotori un’assistenza
giuridica per evitare i numerosi rifiuti di registrazione, aiutando i promotori nella traduzione e diffusione delle proposte
di ICE nei vari paesi europei e, se necessario, mettendo a
disposizione dei Comitati ICE che non dispongono di finanziamenti, un’assistenza finanziaria minima, che consenta a
questi ultimi di procedere alla raccolta delle firme con una
chance reale di stimolare la partecipazione dei cittadini europei.
f) Rafforzare l’efficacia delle audizioni presso il Parlamento europeo.
Lo strumento delle audizioni organizzate presso il PE per
le iniziative cittadini che hanno raggiunto la soglia di firme
42
richiesta era stato previsto per dare la possibilità ai promotori di spiegare le ragioni della loro iniziativa e per esercitare indirettamente una pressione politica sulla Commissione
europea prima che quest’ultima decidesse se presentare una
proposta legislativa. A tal fine occorrerebbe che le audizioni
fossero strutturate in modo tale da consentire ai promotori
dell’ICE di instaurare un dialogo con i membri del Parlamento europeo, che potrebbe preludere, nei casi appropriati,
al voto da parte del PE di una risoluzione ai sensi dell’art.
225 TFUE, combinando così la richiesta legislativa dei cittadini con quella dello stesso Parlamento europeo.
5. CONCLUSIONI
Il riesame del regolamento attuativo dell’iniziativa cittadini, previsto nel 2015, ha dato luogo ad una serie di documenti largamente concordanti da parte delle organizzazioni
promotrici di ICE, di studi elaborati dai servizi del Parlamento europeo e di un’inchiesta del Mediatore europeo. Tutti
gli attori precitati hanno constatato le numerose difficoltà
incontrate dai promotori delle ICE e dai cittadini europei che
intendono utilizzare questo nuovo strumento di democrazia
partecipativa e hanno formulato proposte largamente condivise per il miglioramento dei meccanismi attuativi previsti
dal regolamento europeo.
In particolare si è richiesto alla Commissione europea di
fornire una maggiore assistenza, anche finanziaria, ai promotori delle iniziative cittadini, di semplificare il sistema di raccolta online delle firme, di ridurre i dati personali richiesti
dagli Stati membri, di allungare il periodo di raccolta delle
firme e di migliorare la conoscenza dello strumento dell’ICE
da parte dei cittadini europei.
La Commissione europea ha pubblicato la sua relazione
nella quale riconosce le difficoltà incontrate dai cittadini
europei nell’utilizzo dello strumento dell’ICE e si dichiara
consapevole dei miglioramenti da apportare ai meccanismi
attuativi. Tuttavia la Commissione non ha presentato finora
nessuna proposta concreta per modificare le disposizioni del
regolamento europeo, in attesa della risoluzione del Parlamento europeo, dei contatti informali con gli Stati membri
e dei risultati di uno studio commissionato sugli aspetti informatici. Quanto detto in precedenza sottolinea la necessità
politica di semplificare i meccanismi attuativi dell’iniziativa
cittadini se le Istituzioni europee intendono realmente migliorare la partecipazione dei cittadini europei al processo
legislativo dell’Unione. In particolare, se la Commissione
europea non dovesse dare una risposta legislativa positiva
alle prossime iniziative cittadini che raccogliessero il milione di firme, contrariamente alla sua prassi costante nei confronti degli altri attori istituzionali e dei gruppi di pressione,
l’efficacia del nuovo strumento di democrazia partecipativa
e di maggiore legittimità democratica dell’Unione europea
sarebbe messa in causa e lo strumento dell’ICE perderebbe
la sua credibilità.
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | FILOLOGIA
Filologia della Scienza: lessico
complicato, terminologie emotivamente
connotate, necessità di ripetute costanti
delucidazioni
GRAZIELLA TONFONI
Dipartimento di Storia Culture e Civiltà, Alma Mater Studiorum Università di Bologna
Q
PREMESSA
1. ABILITAZIONI LESSICALI IN CORSO D’OPERA
uesto articolo rappresenta il risultato e
compendio di una ricerca interdisciplinare, svolta intensivamente nel periodo
gennaio-giugno dell’anno 2015, dalla ricercatrice, che ha progressivamente calcolato, analiticamente esaminandole, le conseguenze che
dipendono dalla re-interpretazione emotiva di termini di uso
comune, successivamente allargata a vocabolari tecnici, conteggiandone le valenze espressive nei discorsi pubblici, politici, religiosi, culturali. Ne analizza le ripercussioni a breve,
medio, lungo termine, sull’ immaginario collettivo italiano.
Tali fenomeni di deriva semantica derivano spesso dalla collettiva mancanza di tempo per effettuare un controllo lessicale accurato; ne emerge il sottoutilizzo di dizionari, nello
spreco di risorse documentali accademiche, che contengono
informazioni storiche e geografiche aggiornate. Si riscontra
una dispersione di sommari, appendici, apparati critici, compendi, che contengano precisazioni di natura socio- politica, di effettiva rilevanza. Si dimostra, facendo riferimento
ad una ridotta, ma significativa campionatura, come interi
patrimoni di acquisizioni scientifiche recenti, già considerati
obsoleti, possano essere recuperati, mediante sinottiche rappresentazioni. Possono essere riproposti, mediante il ricorso
alle radici lessicali autentiche, nella attenta disamina delle
connotazioni, denotazioni, forme espressive, individuando le
mutuazioni, rilanciando le mutazioni, registrate nelle espansioni enciclopediche, che alcune aggettivazioni incorporano.
Si può così meglio comprendere la deriva semiotica di certe
risonanze, rilevando cause e origini di alcune stratificazioni,
che si sono solidificate nel tempo. In particolare, si considerano alcune parole-chiave e aggettivi, che hanno assunto
progressivamente una connotazione estrema, in positivo o in
negativo, nell’immaginario collettivo.
Fra i termini, che oggi hanno acquisito una connotazione estrema e positiva c’è quello di “riforma”, cui automaticamente, viene allegato un senso prevalentemente, perfino
esclusivamente apprezzativo, pur non essendo ad ogni cambiamento attribuibile affatto una valenza necessariamente
migliorativa. Una modifica, di qualunque tipo essa sia, innescherebbe fenomeni auspicabili, dati per scontati.
Nella maggioranza assoluta delle frasi esaminate, nella
loro dimensione orale e scritta, una riforma, indipendentemente da come sia pensata e realizzata, oggi viene immediatamente abilitata ad acquisire una valenza migliorativa.
Non necessariamente “riformare lo stile”, inteso come
capovolgere capitoli, modificandone perfino i capoversi,
che seppur con qualche parola tecnica, in piroetta retorica,
di comprensibilità sbrecciata, che necessita sicuramente di
qualche nota di appendice, glossa da aggiungere, dimostrano
una loro funzionalità interna, significa costruire un apparato
ideale.
Esiste una validità intrinseca nella manutenzione dei concetti, per anni condivisi, nel riaffermare con chiarezza certi
titoli, nel soffermarsi in silenzio su espressioni particolarmente importanti, nello scorrere e rileggere paragrafi esplicativi indispensabili, senza necessariamente doverne modificare la struttura, dato che si è consolidata ormai una costante
recensione, interpretabile secondo alcuni principi di base,
più o meno condivisibili, che, una volta rimessi in discussione, aprirebbero scenari sperimentali di critica filologica
azzardata, mettendo sotto sforzo inutilmente i lettori affannati, esponendo al rischio di costante incertezza interpretativa,
l’intera compagine degli studiosi.
Dalla campionatura esaminata si evince che è meglio, semplicemente, in alcuni casi ad alta complessità ecdotica, riformattare lievemente, ritoccando qua e là ove sia necessario,
alcune spaziature, facendo tesoro delle concettualizzazioni,
già esposte, che costituiscono tutte insieme complessiva43
FILOLOGIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
mente, un repertorio didattico accertato. Meglio fare defluire
periodicamente, uno per uno gli eventuali refusi, che a volte
possono comparire, sapendo che poi, se emendati con precisione, non torneranno ad apparire. Essenziale notare e fare
notare smottamenti interpretativi, sconfinamenti semantici,
prestiti lessicali, diventati debiti filologicamente insolvibili,
dato che le trasformazioni aggettivanti, su fronti ideologicamente connotati, diventano automatismi di ragionamento
induttivo, propagati su piano globale, data la pervasività mediatica e la capillarità interconnettiva delle reti comunicative,
in particolare dei social network.
Necessario evitare che ripetizioni accidentali, che avevano
prodotto lievi cali di tono, dando luogo a imbizzarrimenti di
intonazione, blocchino il corso della regolare rilettura, che
seppur migliorativa, da parte di chi intenda apprendere, deve
essere rispettosa della sequenza intesa delle perifrasi, per
procedere poi a eventuali sequenze di parafrasi.
La formattazione rispettosa può procedere agevolmente,
senza necessariamente costringere le redazioni a dovere riscartabellare, riaggiornando costantemente un intero plico
virtuale, che, in completa autonomia, presenta la conformazione di breve prontuario, manualetto esile, seppur ancora
punteggiato di alcuni imprecisi intervalli fra paragrafi. Il silenzio fra interstizi, ovvero lo spazio per compulsare frasi,
che possano essere interpretate in modi fra loro del tutto opposti e discordanti, costituisce il valore aggiunto, si presenta
come diga efficace, che resiste alla valanga inerziale delle
cervellotiche elucubrazioni.
Non si può trasformare una sala di lettura in un eserciziario permanente, in palestra di ipotesi filologiche incessanti.
Neppure sarebbe corretto proporre continuamente, linee ambigue di possibile riaggiustamento semantico, che esigano
una rilettura costante fra glossari, in un andirivieni svogliato,
interrotto da vaghe ipotesi, da accertare con faticosa consultazione, oppure da accettare, meccanicamente, senza ridiscuterne il senso e la progressione semiotica, nell’ indiscussa
autorevolezza della fonte. Lo sperimentalismo bibliografico
e didattico, non è consigliabile, suscita apprensione, non
promuove apprendimento, soprattutto, consolida un senso di
perenne insicurezza di referenti, nella approssimazione dei
riferimenti, che si trasforma, inesorabilmente, in totale disimpegno a chiarire le implicazioni e disinteresse nel precisarne i dettagli per evitare aberrazioni illogiche.
Meglio una condizione statica, precedente, con lievi spostamenti negli accapo, che può prevedere periodici momenti
di riflessione, soste cadenzate, controllo delle subordinate,
monitoraggio delle coordinate, che una situazione completamente diversa, che si spinge su piste ignote, non previste,
non preventivate.
Una piattaforma scientifica ondeggiante, perché estremamente innovativa, se sbilanciata concettualmente, risulta
ovviamente altrettanto instabile. Destinata pare a diventare
terreno di dialogo astruso, che si racchiude in falde di precisazioni, fra esperti e specialisti, raggrumandosi in faldoni
di sterile diatriba, fra accademici in cerca di casi speciali da
documentare, su cui potere riferire, da illustrare.
44
Fermare, rallentare significativamente una riforma documentale pervasiva, rischiosa per i molteplici, inestricabili
sensi, sapersi limitare al punto da non pensare che agire sulla struttura profonda del testo, sia la soluzione, indugiare al
momento opportuno, nell’inserire subordinate allusive, può
semplicemente rappresentare, nell’ omessa conclusione, la
migliore soluzione ad un problema artificioso, artificialmente creato.
Si transiterebbe, se tutto davvero si modificasse, sulla passarella stretta del non detto, ma pensato, attivando una serie di sperimentalità diffuse, basate su calcoli proiettivi, con
estimi del tutto approssimativi, che creano entropie inutili,
che si prolungano in strascicamenti illogici, di deduzioni dai
risvolti equivoci, perfino talvolta dannosi, nei confronti di
chi attenda chiarezza e linearità.
Riaffermare, piuttosto, la centralità assoluta dell’interpretazione precisa, della frase esplicita, per proteggere il valore
del tempo necessario all’accurata comprensione, per valorizzare l’investimento di energie dei lettori del passato e di
quelli del presente affluente di dati e quindi dissestato, che
devono essere rassicurati, guidati attraverso fasi di progressiva incentivazione a pensare in modo complessivo, attraverso un itinerario certo e armonico, che li conduce a tratte
di leggibilità plausibili e sostenibili, non vuole dire abdicare
a un improbabile ruolo nella innovazione improvvisata, ma
piuttosto significa evitare di emanare letture di improvvida
rassicurazione, in un non senso evidente, che diventa sedimentazione di stati emozionali del tutto irrazionalmente
attivati.
I lettori attuali devono essere consapevoli del fatto che la
vera innovazione, oggi, nel fluire del tutto costante, può risiedere nel mancato intervento, nello stabilizzarsi di quanto
tuttora ondeggia, nel progettato ma non realizzato cambiamento, se non ci siano le situazioni ideali per compierla,
questa svolta, in modo efficace, soddisfacente, rispettoso dei
lettori italofoni.
Migliorare unicamente la formattazione di un antico testo,
lasciandolo inalterato nella sostanza, strutturato come si presenta, con semplicità, senza volerlo scardinare, privandolo
dei suoi presupposti, risulta la prassi critica ottimale, nella
liquidità valutativa della realtà oggi, diventata inutilmente
complicata. Non è opportuno pretendere di ripensare una intera sequenza di capitoli, per riorganizzarne il senso ex-novo,
in nome di una realtà filologica discordante, di una ideologia unilaterale, in prosa spesso controversa, per dovere poi
dimostrare, concretamente, se sia oppure no, effettivamente
più valida della precedente. Percorrendo la traiettoria assai
rischiosa della invettiva costante, storicamente retroattiva,
qualora non si realizzino le circostanze idealmente progettate, non si raggiungono conclusioni convincenti.
Un’ antecedente versione stabile sarebbe semplicemente emendata, controllata nei suoi minuti dettagli, per certe
spaziature, diventate troppo larghe, per incerte punteggiature, ritiratesi fino a diventare fitte interiezioni, che possono
condurre a un evidente calo di intonazione, semplicemente
echeggiando dinamiche dialoganti, che riflettono polemi-
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | FILOLOGIA
che su questioni ormai risolte. Siano le coordinate lasciate
lasche, a fianco di subordinate strette, ad essere ritoccate con
cura, premura, precisione.
In una nuova configurazione editoriale, distratta e disattenta, non rispettosa delle versioni precedenti, le predicibilità
assolute, le relative proiezioni di leggibilità, ottimale, accettabile, insufficiente, frase per frase, paragrafo per paragrafo,
resterebbero una incognita per molti scienziati oggi, che dovrebbero poi assicurare un apparato critico confacente, senza
poterne abborracciare tratte filologiche che necessitano di
molteplici, interdisciplinari ed effettive competenze.
Si troverebbero, eventuali approssimativi innovatori, a dovere poi consegnare la loro versione, rielaborata in lingua
italiana, in una pseudo riforma del senso tecnico, paradossalmente iperbolica, complicata dalla componente emotiva,
in uno stato talmente provvisorio, da diventare oggetto di
ricostruzione dislocata, distribuita nelle sedi limitrofe, cui
venga frettolosamente consegnata una bozza dal significato
mutevole, cangiante, perennemente ridiscutibile negli assunti, mai chiariti, di base. Si tratterebbe di convocare commissioni a loro volta instabili, riluttanti, sottoposte a spinte
che ne mettono a repentaglio il già precario equilibrio, data
la assai confusa immissione di fluidità ideologica, emersa in
numerose aree geopolitiche.
Meglio confidare nell’antico stabile, seppur a volte paia
rudere documentale, pregiato.
Consigliabile ricorrere a immagini evocative pacate, in
un “ruinismo” fantastico dell’attualità, ove spesso il ragionamento di buon senso, appare in via di estinzione, travolto
da astruse analiticità. Preferibile affidarsi completamente al
classicismo, ricorrendo alla più lenta, saggia prassi di critica
del documento, attivando la semiotica, includendovi la filologia classica. Mai trascurando la matrice greca e quella latina, di tale percorso critico attivato, filologicamente a norma,
di poesia conforme.
Essenziale è accogliere solo e soltanto l’elaborato testo,
perché dell’immagine della realtà descritta a tinte oniriche,
nella virtualità assoluta, siano solo i lettori a farsi carico, con
il loro fantastico ricostruire tasselli, di un profilo fantasioso
tanto complesso, da risultare asimmetrico, tridimensionale,
decisamente complicato.
Chi abbia appena ripianato un debito lessicale, in una
banca dati, per aprire un altro fronte di spese semantiche,
non può essere finanziato in imprese pragmatiche, del tutto precarie, assecondato nelle spese illogiche di accezioni arbitrarie e spurie di termini, che non abbiano alcun
senso comune condiviso. Questa disincentivazione alla
arbitrarietà diventa salvaguardia del proprio interesse,
perfino tutela di chi non saprebbe gestire le conseguenze metaforiche di un parlato al limite dell’indecifrabile.
Quindi le innumerevoli ristrutturazioni di significato, che innescano tormento irragionevole, cantieri interni nelle raccolte lessicali, affiancati ad appendici periferiche, a glosse esterne, con note mascherate da evidenti tentativi di rivalutazione
di frasi immobili, in riproposte poetiche del tutto ridondanti,
celano progetti di sconfinamento disciplinare. Trasferimenti
di connotazione e denotazione, che tracimano in zone semiotiche ben diverse, soprattutto laddove si svolgano in ambiti,
che derivano il proprio valore storico nel non essere continuamente rimessi in discussione, tormentati da interpretazioni spurie, devono prevedere ispezioni precise di accademie
dedicate alla permanenza della correttezza linguistica.
Operazioni su fondi lessicali accertabili, in prose estese, devono essere analizzate minuziosamente per essere ricondotte
a progetti, espressi ed inespressi, di ribaltamento del senso
tecnico per decenni in vigore. Ognuna delle nuove piattaforme
polisemiche instabili deve essere catalogata al fine di evidenziarne, uno per uno, i criteri che si materializzano nelle rela45
FILOLOGIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
tive spendibilità pragmatiche. Soprattutto se si tratti di iniziative estemporanee, non condivise neppure dai rappresentanti
dei singoli settori disciplinari interessati. Si tratta di tentativi,
imposti da parte di chi abbia già sperimentato alcune evidenti
difficoltà nella spiegazione dei propri approcci teorici altrove.
Spostare debiti lessicali da una area scientifica a un’altra, è
proprio di chi sa di avere fondi lessicali vasti, cui potere accedere, o fare accedere, ogni momento. Si tratta di un atto
di totale irrispettosità, nei confronti di comunità scientifiche, che per anni si sono avvicendate nella ratifica di lemmi
controllati con grande premura. Si tratta di ostilità palesi nei
confronti del senso comune, lesive di ogni minima regola di
condotta logica, cui devono corrispondere controlli precisi
nei confronti di comunità di studiosi, che si sentano insicuri,
quindi ove sia particolarmente facile aprire fronti di ridefinizione costante, che possono se non ben monitorati, minare
profondamente la compagine delle poche certezze teoriche
appena verificate, praticamente acquisite.
2. RIABILITAZIONI LESSICALI IN CORSO D’OPERA
Fra i termini che hanno acquisito connotazione automaticamente negativa ne annoveriamo qui alcuni esemplari, da
assai più ampia ricerca di vocabolario che riflette una indagine precisa, con collezione di evidenze, effettuata su campo
dalla ricercatrice.
La preziosa proprietà del linguaggio naturale, intesa come
possibilità del linguaggio di spiegare se stesso con se stesso,
cioè l “autoreferenzialità”, è spesso confusa e praticata insieme a termini assai diversi come quello di autocelebrazione,
inutilità, inanità e come tale illustrata ai lettori, che sono a
loro volta parlanti e che come tali la faranno risuonare.
Una titolazione complessiva come quella proposta dalla
stessa autrice (cfr. Tonfoni Graziella, Per un progetto editoriale antologico unico dal titolo “Elogio dell’ Autoreferenzialità” in: “Leggere: tutti” online, gennaio-dicembre 2014,
con postfazione e prefazione dell’autrice, gennaio 2015,
Agra Editrice, Roma) permette di rendere antologica una
collezione di capitoli auto-esplicativi, evitando la dissipazione e dispersione di intere monografie, di saggi, di epistolari,
di dialoghi e di conversazioni. Si evita inoltre di produrre un
ammanco di interpretazione corretta, mediante il ricorso ad
altro termine, spesso negativamente connotato, ovvero quello di “inerzia”. Si procede rilanciandone le relative valenze
positive, conteggiabili a posteriori, soprattutto in alcuni settori disciplinari. Si ribadisce come una conservazione accurata, basata su accorta disamina delle testimonianze lessicali,
possa adeguatamente determinare la comprensione esatta,
delle origini di problemi bibliografici, mediante il ripristino
di apparati critici rimasti sospesi, resi capitolo unico, narrativamente divulgativo. Si indica come alcune parole scientificamente neutre, se ricondotte alla loro precisa definizione
possano essere utilizzate in modalità positiva, rispettosa dei
propri lettori, nel contesto storico e sociale attuale.
La diversa dimensione dei vari capitoli esplicativi può in
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vari casi essere riconducibile al fenomeno dell’inerzia interpretativa, mutuando il termine dalla sua definizione nell’ambito della Fisica. Parafrasando quindi la descrizione fornita
dai vocabolari e in particolare dall’ Enciclopedia Treccani,
al termine “inerzia” possiamo concordare che se appunto l’inerzia è quella tendenza della materia a non modificare il
suo stato di quiete o di moto, allora ecco che tali capitoli procedono proprio per assicurare che quel moto interpretativo
uniforme garantito dall’ autoreferenzialità dell’ autrice, non
sia interrotto dall’intervento di elementi esterni non previsti,
fino a mutare quello stato di equilibrio semiotico raggiunto
come la somma di innumerevoli attività di spiegazione.
Se esiste una certa staticità concettuale, la si consideri non
come limite, ma come risultato ottenuto dopo tanta movimentazione, evitando giudizi spesso decisamente fuorvianti
nell’ attribuzione di senso e di significato al fluire delle prose.
Si consideri ora un termine oggi frequentemente praticato,
che sta mutando di spessore semiotico in modo rapido e visibilmente accelerato.
Il termine “migrante” come da Enciclopedia Treccani, che
indica chi si sposta verso nuove sedi è oggi ampiamente praticato, mentre quello di “emigrante” che indica chi si sposta
a scopo di lavoro appare assai raramente nella campionatura
testuale esaminata.
Si nota visibilmente come il termine “migrante” oggi venga solidificato semanticamente, irrigidito in una complessiva
ridefinizione, sia generica, che genericamente usata, che non
lascia spazio alle distinzioni interne, alle variegazioni implicite, non contiene né prevede le varie categorie, che caratterizzano le confuse masse movimentate, dai singoli flussi,
differenziandole da una innumerevole serie di altri disomogenei spostamenti.
Parole emotivamente caricate, allusive, di fatto si stabilizzano, aggregandosi pesantemente, in un inconscio collettivo
italiano, estremamente confuso, collegandosi a campi semantici, in un automatismo logico spesso non verificabile,
ma decisamente connotato nei suoi presupposti ideologici,
geografici, storici, sociologici. Il migrante, prescindendo
dallo studio e dalla storia delle varie, fra loro diversissime
migrazioni avvenute nei secoli, diventa in assoluto, un individuo perennemente ed inequivocabilmente bisognoso di
aiuto.
Si scollega la matrice lessicale dalla passata interpretazione di persona che si sposta alla ricerca di un lavoro, innescandone la matrice colpevolizzante nei confronti di coloro
che si astengano dal procacciare un non ben definito concetto
di aiuto e di soccorso, di cui non si stabilisce neppure la
scadenza temporale.
Il concetto di migrante diventa una definizione assistenziale attiva e stabile su piano esistenziale.
Si nota un deragliamento delle connotazioni, una verticalizzazione della denotazioni, in una prassi lessicologica, che
passa attraverso una ideologizzazione politica pesantemente
connotata, con il gergo estratto dalla cosiddetta compagine
umanitaria, attraverso un vocabolario unico, le cui risonanze
mediatiche sono spesso tese fare vibrare corde emozionali,
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | FILOLOGIA
quindi ad incentivare, facilitandoli, movimenti irrazionali
nella percezione, inconsulti smottamenti di significato.
La potente valenza umanitaria assegnata ad alcuni termini evocativi come quello di “accoglienza” cancella tutte le
terminologie limitrofe, previste dal campo semantico, come
quella di valutazione di accoglibilità potenziale, capienza di
accoglimento realizzabile, portata di impatto fisiologicamente sostenibile, sostituita meccanicamente con la espressione
“portata epocale” intesa come fatto ineluttabile, immodificabile realtà, irreversibile percorso evolutivo dell’umanità.
Tali slittamenti lessicali pervengono alla vaga ed indistinta asserzione che porta a dimenticare gli aspetti delle movimentazioni inutili, del “collassamento” di economie ritenute
forti, oggi fragilissime, spostando l’asse pragmatico e rotandone completamente l’ interpretazione, data la coordinazione
e la subordinazione di una prassi sintattica ormai accettata,
assegnata a tali termini nei discorsi pubblici, politici, culturali, religiosi.
Un ulteriore termine oggi deragliato è quello di “sicurezza”: al concetto di “sorveglianza” inteso come preziosa tutela della incolumità, legittimo presidio per garantire la giusta
rilevazione dei fatti reali, in fasi di incertezza interpretativa
viene fatta subentrare l’accezione paradossale, al negativo,
attraverso una riproposta del termine in contesti, che evochino piuttosto il senso di costrizione delle libertà del singolo.
Cancellando completamente ogni riferimento alle garanzie
per anni derivate e ai disastri epocali epicamente sventati.
Si tratta di fenomeni lessicali di deriva culturale, che operano a fondo nell’inconscio collettivo, basandosi su richiami
deittici, accostamenti pragmatici subliminali, avverbi, che
fanno slittare interi campi semantici, con moti, che profondamente influenzano i sistemi cognitivi dei lettori.
Assistiamo oggi ad un persistente smottamento sintattico e
morfologico. Si passa facilmente dall’iperbole semantica al
parossismo comunicativo, in un grottesco, che non è recepito
in quanto tale, ma che si appiattisce diventando espressione
referenziale.
L’esempio più vistoso è quello dell’uso paradossale del
termine “contaminazione”, spostato dalla sua dimensione
medica, fisico-chimica, che trasmetterebbe ovviamente il
segnale del pericolo, come deve infatti rappresentare. Si è
passati invisibilmente, ad una pratica lessicale collettiva del
tutto funambolica, per cui si ammettono frasi, si annettono
espressioni del tutto inconsulte come, per esempio, passione
per la contaminazione, intesa come fusione musicale e straordinaria mescolanza di generi testuali. Si crea quindi una
confusione terminologica che riflette il caos interpretativo di
base.
Tali fenomeni paradossali sembrano, in alcuni casi essere
risultato di derive ideologiche, che portano ad usi imprecisi,
a pratiche paradossali, che si trasformano in asserzioni improbabili, in affermazioni referenziali.
Si dimostra, andandone faticosamente a ricercare le origini pragmatiche sulla base di diffuse tracce semiotiche, come
alcune derive lessicali, espressioni concepite per stupire e
per sorprendere, momentaneamente, ovvero pronunciate in
occasioni pubbliche, siano state rapidamente riassorbite nella
prassi di scrittura. Normalizzate al punto da essere accettate
perfino dai nuovi dizionari, quando erano invece state originate come vero e proprio escamotage retorico, stratagemma
stilistico, esorbitante espressione, in pubbliche manifestazioni.
Alcuni relatori, per fare emergere la propria voce su quella
di tanti altri, colleghi e colleghe, in sincronica competizione,
impegnati a farsi ascoltare, sullo stesso pulpito o su limitrofi
palchi, ammettono di avere intenzionalmente amplificato le
connotazioni stesse di alcuni termini, proprio al fine di captare la attenzione degli spettatori, per stupire, per fare parlare
di sé, per mantenere un indice di ascolto alto e costante. Tali
accezioni estreme trasmesse da più media e stampa sono poi
state linearizzate nelle loro iperboliche affabulazioni, rese
parte di un uso accomunante del tutto spropositato, di un
vocabolario deregolato in un comportamento comunicativo
spregiudicato, decisamente fuori luogo.
All’eccesso di stimoli culturali, di eventi in sovrapposizione, di occasioni di ritrovo, per conversazioni intersecantisi al
punto da produrre rumore semiotico di fondo, si deve proporre come solido antidoto la lettura silenziosa delle sale di
biblioteca. Perché siano i momenti qualificanti di attenzione
al testo scritto, quelli che producono apprendimento e non
frastornamento.
Il fragore mediatico tende ad innescare costanti transumanze, a promuovere filiere di eventi di cui nulla resta in
memoria dato l’eccesso di sincronia, la rapidità, la mobilità
assoluta fra eccessive opportunità offerte tutte insieme.
Ne deriva una ansia da manifestazione culturale, che distrae dai momenti di effettiva meditazione sulle pagine, che
rafforza le sindromi di ipercinetismo fra costanti necessità di
pronunciare giudizi su eventi di cui non si riesce a captare
l’essenza. Continuamente presenti significa cognitivamente
assenti perché non è umanamente possibile partecipare con
l’attenzione dovuta a tale massa di presentazioni, dibattiti,
panel, manifestazioni in cui tutto scorre nelle menti sovraesposte, iper-stimolate, cognitivamente stremate.
3. LE REALTÀ INTERPRETATIVE ATTUALI
Al fine di contenere il fenomeno della costante ricerca
di visibilità mediatica, ecco che è proposta dall’autrice una
prassi contraria di cui si riporta un esempio silenzioso di
esternazione unicamente scritta ad uso di lettori e studiosi,
in biblioteca perché riflettano, come pubblicata in: Leggere:
tutti online, 15 gennaio 2105.
“Postfazione dell’autrice Graziella Tonfoni come premessa e prefazione agli articoli di Tonfoni Graziella
A conclusione e completamento della sequenza di undici articoli di
Graziella Tonfoni pubblicati su “Leggere: tutti” online, nel corso
dell’anno solare 2014, l’autrice propone una postfazione, che potrebbe essere, nello stesso tempo, considerata premessa, prefazione, per
una raccolta antologica, di spessore cartaceo, indicando l’intenzione,
le motivazioni di tanto continuo suo comporre per ricompattare.
Ecco una postfazione, senza raffiche critiche, non raffazzonata, non
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FILOLOGIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
faziosa. Si presenta come meditata conclusione, mediata introspezione dell’autrice, che condivide alcune considerazioni illustrandole, discutendone ad alta voce con se stessa, distribuendone il senso dedotto,
ad una più vasta assemblea di lettori, assiepatisi tutti intorno a queste
sue cadenzate pagine.
Esordisce con una soddisfacente affermazione. Conferma che si considera soddisfatta di un bilancio filologico positivo, in un solo anno
solare diventato per lei unico, essenziale. Può infatti “autocertificare” che ogni debito filologico, sebbene non contratto da lei, ma da lei
comunque rilevato, sia nel passato remoto, che in quello prossimo, è
stato completamente saldato. Non ci sono pendenze nei confronti di
una compagine critica nazionale, sempre in attesa di sue nozionali
ridefinizioni a cui attingere, da cui mutuare.
Si tratta di prosa ormai attempata, questa sua, con metafora lineare, con allegoria leggermente tardiva, dato che nella sua gioventù
trattò già estesamente i temi della comunicazione possibile e della
traduzione reale. Oggi di fronte alle difficoltà estreme, causate dalla
pervasività di ogni sistema di diffusione di ogni tipo di informazione
che, cozzando tumultuosamente contro le problematiche di scogliosa
euro-zona, provoca continui disallineamenti di rotta, lei enumera rigorosamente, i cambiamenti radicali verificatisi nel secondo decennio
del terzo millennio.
Non solo si occupa di problemi contingenti, operando esclusivamente
in area europeistica, con retorica e stilistica a norma, ma addirittura capovolge le premesse. Sceglie stili, espressioni, punti di vista,
prassi esplicative, con realizzazioni del tutto opposte, rispetto ad ogni
antecedente opera. Parte dal concetto di intraducibilità di fatto, di
incomunicabilità evidente.
Semplifica leggermente i fraseggi, allinea i paragrafi. Sempre complicato, complesso, avanti sui tempi di effettiva comprensione, in comunitaria accettabilità, risulta il suo modo di procedere componendo,
nella risposta continua, che dà a se stessa, per tutte le obiezioni possibili, perfino per le esitazioni immaginarie, plausibili.
Questa post-fazione è allo stesso tempo prefazione filologica, premessa didascalica, alla sequenza degli undici articoli di Tonfoni Graziella, concepiti, scritti, pubblicati nel 2014, basati sulle sue più recenti
ricerche autoctone, acquisizioni rigorosamente verificate, per una
promozione della divulgazione scientifica, che sia attenta ai problemi
ecologici.
Impegnata personalmente nell’analisi delle numerose discrasie, evidenti contraddizioni, che emergono dagli attuali criteri selettivi e
valutativi, questa letterata avanza speditamente nella realizzazione
di nuovi parametri, che consentano una selezione rispettosa delle necessità del territorio.
Intende evitare lo spreco di risorse, inteso come perdita di riferimenti
bibliografici, a lavori di ricerca importanti, che possono facilmente
andare perduti, se non se ne compendia l’essenza, manutenendone
anche il formato.
Come scienziata che ha dedicato costantemente la sua vita alla scienza, definibile correttamente “ricercatrice a vita” ha stabilizzato nel
corso dell’anno solare 2014 alcuni assiomi, autentici algoritmi, derivandoli dalla sua attuale attività esplorativa, esprimendoli in modalità letteraria, per garantirne una leggibilità diffusa, una stabilità
divulgativa.
La sua autocertificazione scientifica è resa possibile da un autenticato sdoppiamento letterario, che permette il consolidamento critico
esatto.
Pare, la sua, una reazione estrema ad ogni deriva di fraintendimento
possibile. Evita solo così ogni danno collaterale, che possa determinarsi, a scapito della sua stessa immagine di studiosa, innescandosi
nelle sue pagine, a seguito della mancata o solo parziale interpretazione di tante frasi scientifiche, basata su equivoci circolati in merito
alla sue narrazioni poetiche.
Risulta estinto ogni prevedibile ammanco di ecdotica esplicitazione.
Non destinata a riaprirsi alcuna fessura ipotetica, perché il solido patrimonio di ricerche storicamente connotate, è diventato già da tempo
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‘Letteratura Computazionale’ (Tonfoni G., 1979-2011), shareware
equamente condiviso, solidale documentazione storica, didatticamente a norma. Archivio destinato agli studiosi di una intera epoca ed
epica completata, compiuta.
Le successive, distinte ricerche nel settore dell’Economia Saggistica
italo-europea, protrattesi per un intero decennio, si sono a loro volta
concluse. Appaiono accessibili, compattate, disponibili online, pagine aperte di pubblica consultazione (Tonfoni G., 2012-2013).
A chi obietta che -tale eventuale area interdisciplinare, basata su
ricerche recenti, a partire dalla definizione di una euro-coniazione
unica, analizzabili concretamente solo a partire dall’anno 2003, documentate dimostrate, relazionate, rendicontate, in rapida successione di monografie, dalla stessa autrice e ricercatrice, nel corso di un
biennio 2012-2013 in assai intensa composizione, pur se di notevole
spessore letterario, di indubbio interesse accademico, parrebbe rivolta a fare emergere, definire problemi reali, sui quali si potrebbe
perfino essere d’accordo oggi, resterebbe comunque una discettazione priva di suggerimenti e di alternative concrete- l’autrice qui, di
seguito, risponde puntualmente.
Indica come, prima ancora di presentare soluzioni efficaci, in un
quadro di indagini sull’andamento culturale nelle varie realtà di
una euro-zona, continuativamente instabile, si debba avere pazienza, dimostrare coraggio, ammettere che si sta tutti vivendo in una
era definibile come “epoca della confusione globale e dell’ingorgo
informativo locale.” Per permettere una sopravvivenza letteraria, ritiene indispensabile promulgare una legge di leggibilità massimale.
Si tratterebbe di applicare una regola precisa, che richiede a tutti
gli scrittori di selezionare accuratamente quelle sole, uniche opere,
che, non solo siano autentiche, significative, ma che sia ogni singolo
autore o autrice a volere indicare, dopo averle accuratamente scelte
nell’ambito della propria più vasta produzione.
Si tratta di una scelta indispensabile, intesa garantire che siano
proprio gli stessi autori a decidere quali, fra le loro realizzazioni,
possano essere considerate valide, valutabili nell’attuale quadro
storico, sociologico, sociale, politico. Per evitare una casualità di
giudizio, una valutazione arbitraria, di critici casualmente designati,
che potrebbero confondere prove interrotte, semplici esercizi lasciati in sospeso, dichiarandoli, frettolosamente, avventatamente, come
capolavori.
Pagine, che ad altri recensori paiono episodi di grafomania, potrebbero essere considerate geografie narrative disseminate di picchi
letterari, acquisendo valori non più sostenibili, che alzano le quote
necessarie, provocando una inesorabile inflazione narrativa, un parallela deflazione filologica.
La selezione deve avvenire spontaneamente, da parte di ciascuno
scrittore, cui può essere richiesto di scegliere quali siano le opere
sue, che vorrebbe rendere stabili nel tempo, in euro-zona, affinché
siano antologizzate, come effettivamente rappresentative, dell’area
culturale e linguistica, cui appartengono o intendono aderire.
Quando siano state effettuate le opportune selezioni, non su base
quantitativa, ma qualitativa, parametrizzandole accuratamente rispetto alle fasi storiche, che appaiono le più rilevanti da segnalare,
in una prospettiva europeistica, si potrà procedere ad una ulteriore
richiesta di successiva selezione. Si tratterà di una scelta, che solo gli
autori o le autrici, che pubblicano in euro-zona, sono in grado di effettuare sulle proprie opere. Sarà offerta a ciascuno, la possibilità di
segnalare un sottoinsieme di articoli, capitoli, estratti, riassunti, compendi, da destinare a eventuale traduzione, in altre lingue di eurolandia, onde potere costituire quel patrimonio minimale di contributi del
secondo decennio del terzo millennio, in base a ai quali siano derivabili, scelte enciclopediche, di letteratura comparata e contrastiva, da
trasmettere consensualmente, alle future generazioni. Evitando così il
caos delle casualità assolute, nelle eventuali classifiche.
Per fare un esempio concreto, Graziella Tonfoni, richiede a se stessa
di selezionare lei stessa fra le sue tante opere letterarie, componimenti poetici, frugando fra capitoli di sue narrazioni e poesie, par-
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | FILOLOGIA
ticolarmente adatte, che consideri dovere essere le uniche da sottoporre ad un eventuale giudizio filologico euro-comparativo, perché
restino come sue pagine rappresentative della narrativa italiana contemporanea. Affinché alcuni paragrafi possano eventualmente essere
adattati in altre lingue di euro-zona, non si rivolge al passato, non
ripropone la sua produzione surreale fantastica, né quella epica, sia
narrativa, che poetica, neppure riprende stralci dalla sua intensissima attività epistolare. Seppur si tratti di un patrimonio di suoi testi
pubblicati, o inediti, assai vasto, di complessa tessitura di retorica
qualità, da lei intrecciato in frasi, con stili molteplici, allegorie eleganti, intenti pregiati.
Piuttosto propone di misurare il suo prodotto letterario italiano, in
affondo. Fotografandolo in un unico autoscatto bibliografico, considerando alcune sue opere concepite e composte nell’anno 2014 da
fare “Leggere a tutti”, ovvero esclusivamente queste.
Può apparire sorprendente tale sua operazione riduttiva, di autocertificazione, che si realizza come limitazione del suo operare, compresso
nell’unico presente, valutabile solo nel momento contingente.
Il suo stile attuale, effettivamente meno denso di connotazione, di denotazione, appare sintatticamente alleggerito, anche se tuttora presenta traiettorie immaginifiche. Sicuramente non è più epico, dato che
l’autrice attraversa una fase riflessiva, meditativa, dando luogo, nel
suo assiduo comporre, a periodi più semplici, che intendono essere
precisi, sulla base di scelte retoriche bilanciate, frasi mai estreme.
Assai affievolite risultano le sue allegorie, mediante toni consoni alla
realtà attuale difficile, inutilmente complicata, comunque ardua, con
asperità diverse, rispetto a tutte le difficoltà da lei affrontate in precedenza, nel suo passato, accademicamente risolto.
Come letterata, che seleziona con saggezza, propone questi suoi undici articoli, da lei appositamente concepiti e composti, mensilmente
apparsi su Leggere: tutti online, pubblicati a Roma, nel corso dell’anno solare 2014, indicandoli come gli unici, che vorrebbe vedere annoverati fra i contributi letterari italiani, davvero significativi. Tengono
conto delle turbolenze emerse nel secondo decennio del terzo millennio. Li rende così disponibili anche per eventuali parziali traduzioni,
adattamenti, compendi in altre lingue parlate correntemente in eurozona.
Ciò non significa affatto che queste pagine siano una evoluzione, una
sintesi derivata da tutti i suoi stili e contenuti precedenti, né che si
tratti di un compendio di sue annotazioni sparse. L’autrice non considera queste sue scritture del 2014 come le migliori in assoluto, né le
propone affinché siano giudicate di qualità superiore, rispetto a tutte
le sue precedenti. Le indica semplicemente come prose a sé, frasi del
tutto distaccate, distinte fasi, distanti capoversi.
La sua attuale retorica intende avvicinare questi suoi paragrafi allo
stile delle polizze assicurative, a garanzia del significato di ognuna
delle sue metafore, che sono tutte coperte da una allegata illustrazione, in modo da evitare quegli equivoci e fraintendimenti, che la
sua prosa analogica, didattica, didascalica, allegorica, sempre ricca
di allusioni culturali, fitta di quegli innumerevoli riferimenti bibliografici, filologici, che richiedono un approfondimento scientifico, di
notevole spessore, rischierebbe seppur involontariamente, ancora
una volta, di provocare nei lettori non più abituati alla prassi metaforica e iperbolica, nel terzo millennio caratterizzato dalla pervasiva,
invasiva interconnessione, che predilige ed impone uno stile piatto,
referenziale, globalizzato.
L’ espressività di questi interventi, diversamente profondi, profondamente diversi, da tutti quelli dall’autrice concepiti in precedenza,
mantiene alto il tasso di una prolissità, che può apparire a tratti perfino pedanteria, pesantezza sintattica. Procede ad una ricerca costante
di semplificazione, che passa attraverso una evidente rinuncia alla
eccessiva complessità. Meglio essere ridondanti e ripetitivi, che rischiare una interpretazione fuori luogo, una etichettatura errata.
Pare, questo, essere tuttora il motto dell’autrice, che per coerenza
con i propri principii non ha un suo blog, si rifiuta categoricamente
di comunicare in facebook, linkedin, twitter, ma è comunque quoti-
dianamente collegata in e-mail, strumento di interazione che ritiene
del tutto sufficiente, a coprire distanze reali. Numerosi suoi messaggi
di chiarimento, sono veri e propri “premi” da lei versati, al fine di
ottenere trasparenza concettuale, con cadenze periodiche, quando ne
sia davvero richiesta.
Come nel caso della documentazione assicurativa, avendo stabilito
undici contratti, in questa serie di articoli, con i propri lettori, rimane
a loro disposizione, per ulteriori spiegazioni a voce, per quanto riguarda i paragrafi a clausola eccessivamente erudita, che richiedano
addizionali precisazioni, in forma di intervento pubblico, se invitata
da loro a pronunciarsi.
Proprio come gli assicuratori si comportano con le polizze, illustrandone vari punti, se richiesti, ai singoli potenziali assicurati, evidenziando le frasi più importanti, rispondendo minuziosamente a domande, sia vaghe, che precise.
Preferibile è assicurare ogni frase, coprendola con una clausola semantica, in forma di coordinata esplicativa, di subordinata illustrativa, con rimando lessicale, in modo da essere in grado di auto-proteggersi dal danno di immaginazione. Ipotetiche dicerie, che ignari o
distratti lettori potrebbero provocare, su questa sua serie di pagine,
da stampare, inavvertitamente attribuendo loro nessi di causa effetto
non appropriati, mai dall’autrice intesi, capovolgendo loro, arbitrariamente, il contesto di ogni suo capoverso.
Se esiste una bellezza intrinseca in ogni uso del linguaggio, anche nei
più differenziati, come questo “burocratese” filologico, vero e proprio “assicuratese” semiotico, allora possiamo dire che gli undici articoli cadenzati, sono un autentico capolavoro di uso tecnico provvidenziale, in una prosa immaginifica, a fini strettamente previdenziali.
Sono undici polizze assicurative del buon senso ecdotico esplicitate in
“tonfonese” pragmatico semplificato.
Ben diverso dallo stile grondante di metaforiche allusioni, illusorie
allegorie, di un’autrice che per decenni si è espressa in stile tonfoniano iperbolico e complesso. Del tutto autonome, queste pagine,
indipendenti da qualsiasi contenuto, espresso dall’autrice negli anni
antecedenti. Ogni articolo “si auto-protegge” da eventuali obiezioni,
che risultino da mancata comprensione, rendendo l’autrice assicurata, preservata da ogni fraintendimento inteso o preterintenzionale
equivoco.
Si tratta di una operazione distinta, indipendente, riconducibile, complessivamente, ad una prassi ecologica, cadenzata in undici capitoli,
di diversa misura, usciti in successione, con i seguenti titoli:
Graziella Tonfoni, una autrice che ripropone i suoi titoli rendendoli
versi, che rende solido il valore lirico della rilettura costante, una
autrice scienziata, che trasforma le mappe narrative in agende letterarie.
Graziella Tonfoni, sintetizza Tonfoni Graziella in un curriculum compattato di compendio, un’autrice che dialoga telefonicamente con
le sue bibliografie, declamando i suoi titoli di-versi. Un’autrice che
rendiconta i suoi racconti con periodici riassunti e frequenti resoconti. Semplicemente autrice e diversamente accademica. Un’autrice
stabile, che rassicura chi si trova in uno stagno creativo e cura chi
si dibatte in uno stallo poetico, che propone assaggi della sua attuale narrativa pasticciata e riletture da sorseggiare in un corso di autentica degustazione filologica. Un’ autrice che prevede intonazioni
fantasiose e provvede poetiche integrazioni contemplando selezioni
efficaci per la sua narrativa italo-europea, che compatta in capoversi
interi capitoli didascalici della sua esistenza scientifica condensando
distinte fasi di ideazione in altrettanto distanti frasi letterarie.
Per evidenziare la rilevanza di questi articoli, valorizzandone finalmente, pienamente, sia il senso effettivo, che l’autentico significato
-conclude l’autrice, che da sempre si rivela essere la più severa critica di se stessa- si dovrebbe istituire un riconoscimento formale per
chi, scrivendo a se stessa su se stessa, protegge da vilipendio il concetto troppo spesso negativamente connotato, di autoreferenzialità,
nobile proprietà auto-esplicativa del linguaggio naturale.
Non si possono definire queste pagine, come facenti parte di una
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FILOLOGIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
narrativa collana, né come elementi di una allegorica discettazione.
Neppure sono più, le sue scelte lessicali, cariche di quella espressività
poetica al limite dell’espressionismo didascalico, dall’autrice assiduamente per decenni praticato, nel suo continuativo insegnamento,
sia frastico, che fra le righe. Lei stessa sceglie e dimostra di avervi
rinunciato, completamente, in nome di una semplificazione, che non
sia però, banalizzazione omologante.
Con questa antologica secessione, da una se stessa ridondante, che
poteva apparire di prosa ingombrante, ha promosso la nozione di
complessiva comprensibilità di massima, rendendo possibile quella
garanzia semiotica, che mai può essere data per scontata, nell’era
attuale, caratterizzata dal frastornante, costante, rumore, nel fragore
frastico, a raffiche critiche, assordanti di una filologia quasi assente.
Questa autrice è da sempre anche scienziata autoreferenziale. Per
non turbare mai nessuno, neppur minimamente alludendo, scrive
solo su se stessa, per non mutuare modelli e teorie altrui, realizza
teoremi esclusivamente suoi, autoctoni. Per non risultare imprecisa,
continuamente definisce l’uso di ogni termine, tecnicizzandolo, con
estrema precisione. Per non apparire invasiva, commenta da sé, borbottando, le proprie frasi, per non volere neppur minimamente apparire un’intrusa, non si interessa mai di paragrafi altrui.
Il titolo più consono, appropriato, per raccogliere questa antologica
discettazione si rivela essere il seguente: Elogio dell’autoreferenzialità.
Risulta essere proprio questa l’espressione più adatta, per definire
questa silloge, unica, per singolarità dell’autrice parlante, per caratteristiche intrinseche del suo stile compositivo decisamente parlato.
Il costante dialogo con se stessa, critica e filologa delle sue stessa
pagine, che illustra, traduce, per meglio divulgare correttamente le
sue linearità di prosa, mai escludendo i propri rocamboleschi contenuti, dimostra l’autentica passione della scienziata dell’informazione
per il potere esplicativo del linguaggio naturale, che può, sa chiarire
ogni dilemma.
Per un suo breve profilo in quarta di copertina, di una eventuale antologia, ha scelto questa configurazione decisamente astratta: Graziella
Tonfoni, scienziata internazionalmente accreditata, “ricercatrice italiana a vita”, è stata docente per numerosi anni, come attestano i suoi
innumerevoli manuali, articoli, volumi. Ha lasciato il suo impegno
didattico di aula, per dedicare, la sua vita accademica, alla prassi
frontale della correzione. Rileva come la frettolosità, imposta dalla
realtà interconnessa, estremizzata dalla pervasività tecnologica, accelerata, ha portato i lettori a dovere ruotare troppo spesso intorno
a prassi editoriali non consolidate, con passerelle interpretative scivolose, vuoti semantici, fra un capitolo ed un altro. Al ristabilimento
di criteri di qualità nella scrittura, di responsabilità nel rispettare le
sensibilità dei lettori, l’autrice dedica questa sua operazione letteraria, considerandola esempio di una selezione virtuosa. Sinottica
previsione, rappresentazione complessiva, concettualmente estratta,
riconducibile ad un progetto di libro potenziale, in forma concreta.
no trasmettere aggregati di nuove significazioni non previste,
se non chiaramente dichiarate.
Se ne deduce che Il valore semiotico si materializza soprattutto nelle sfumature, nelle asimmetrie, nelle relative
specificazioni; è strettamente collegato alle ricorrenze, alle
varianti sinonimiche, ai segni del vissuto interpretativo concreto, come accumulatisi nelle citazioni di testi tecnici e divulgativi validati.
Ridiscutere termini ormai presenti nell’uso didattico, in
certi ambienti scientifici, che paiono trascurati e dismessi,
ma che sono quelli che presentano all’oggi altissimo valore
storico, proprio per avere saputo trattenere i segnali essenziali del lessico, implica responsabilizzare chi immette nuove teorie, se invasive e contraddittorie rispetto all’habitat
culturale, all’ecosistema linguistico. Massimi valori semantici stanno nel mantenimento costante e nella salvaguardia di
ogni particolare specie espressiva esistente.
4. CONCLUSIONI
La ricerca in questo articolo sintetizzata è basata sul calcolo del “risultato interpretativo lordo” (ril) e del “risultato
interpretativo netto” (rin), effettuato dalla scienziata, tenendo conto del rischio di rumorosità semiotica, frastornante
confusione di implicito nelle comunicazioni a distanza, ritrasmesso dai nuovi sistemi di interconnessione costante.
Si dimostra che, se si vogliono avvicinare i redditi lessicali,
nelle scelte divulgative, colmando le forti disparità semantiche, fra articoli specialistici e presentazioni didattiche, allora deve prima essere assicurata una educazione precisa,
incrementale, a interpretare secondo criteri enciclopedici
saldi, le parti del sapere, da selezionare come massimamente valide e stabili. Corsi di economia lessicale di base
devono essere progettati, realizzati, diffusi, resi indispensabili sul territorio nazionale, in lingua italiana, per evitare
situazioni cognitivamente insostenibili, ove non esista una
formazione precisa alla gestione consapevole di tanta informazione sparsa ovunque e di conoscenza tutta ormai resa
accessibile, non sempre necessariamente comprensibile.
5. PER APPROFONDIMENTI
Raccolta stabile di numerabili pagine.”
La soluzione individuata dall’autrice, che osserva scientificamente i fenomeni di complicazione in corso, sta nella
affermazione della rilevanza strategica delle morfologie conservative, ovvero nelle scelte di termini, che non hanno subito
ristrutturazioni di significato recenti. In una area semantica
solida, con uno spazio lessicale, che attraverso subordinate
esplicative specifica le valenze introdotte, stabili e verificate,
senza sovrapporsi a termini propri del circondario limitrofo,
per non generare ambiguità, risulta necessaria una continua
riconsiderazione complessiva, che interessa non solo i vocabolari tecnici, ma anche gli aggiornamenti enciclopedici.
Il vero valore aggiunto sta nel manutenere semplicemente
l’esistente semantico, ovvero nel mantenere connotazione e
denotazione stabili, per evitare che traduzioni in corso possa50
Tonfoni G., 2015, Eterovalutazione vs autospiegazione:
nuove filologie per la divulgazione in aree scientifiche di
temi interdisciplinari, in: “Scienze e Ricerche”, n. 5 marzo
2015, pp. 52-55
Tonfoni G., 2015, Leggibilità solidale e trasparenza filologica per una divulgazione scientifica sostenibile, in:
“Scienze e Ricerche”, n. 7 maggio 2015, pp. 71-75
Tonfoni G., 2015, Una autrice equilibrata, in: Supplemento di “Scienze e Ricerche”, n. 8 giugno 2015, Le Monografie,
pp. 1-40
Tonfoni G., 2015, Filologia della Scienza: forme narrative e compendi paraletterari appositamente predisposti per
una cultura della divulgazione, in: “Scienze e Ricerche”, n.
9 luglio 2015, pp. 74-80
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | GEOGRAFIA
Brevi considerazioni sui problemi e
sulla problematica della didattica della
Geografia
EMANUELE POLI
Phd in Scienze della Terra e docente a contratto di Geografia presso il Dipartimento di Studi Umanistici delle Università di Pavia, Milano
e Venezia Cà Foscari
La disciplina Geografica sta vivendo un periodo di estrema
difficoltà, soprattutto a livello scolastico, sovente e sbrigativamente giudicata nozionistica e poco formativa, dove stenta
a incontrare il gradimento dei docenti ed è di conseguenza
poco apprezzata e conosciuta dai discenti, nonostante questi
ultimi siano immersi, magari senza rendersene conto, in un
mondo dominato dall’informazione geografica resa in formato digitale. A dispetto di una crisi conclamata della disciplina a livello scolastico ci troviamo, per contro, e quasi
paradossalmente, di fronte a una cultura sempre più basata
sull’informazione geografica. È opportuno, pertanto, pensare
di costruire una nuova “coscienza” per il futuro dei nostri
giovani partendo proprio dalla scuola. È qui che la geografia
deve cercare di superare quella visione di antica e “paranoica” erogatrice di dati difficili da ricordare o di vetuste modalità di descrivere regioni e stati, per altro oggi accessibili
in tempo reale, e fornire le giuste basi di una conoscenza
qualificata tenendo conto degli strumenti e sussidi di cui tutti possono disporre. Di fronte alla portata di questi cambiamenti, diventa sempre più indispensabile una nuova figura di
docente, che sappia ragionare sulle moderne tematiche e impostare le riflessioni didattiche servendosi delle potenzialità
offerte dalla tecnologia e che, grazie al bagaglio formativo di
cui potrà disporre se preparato per una buona e nuova attività
di insegnamento, ne sappia cogliere sapientemente le potenzialità e correttamente declinarle.
T
1. DIDATTICA E MENTALITÀ GEOGRAFICA
utti coloro che si sono occupati e si occupano di geografia hanno certamente avvertito
grande insoddisfazione per ciò che concerne
la situazione della didattica di questa disciplina che, indispensabile per il giusto equilibrio dell’adulto che voglia conoscere la realtà oggettiva del
mondo ed affascinante perché soddisfa le naturali curiosità
del ragazzo che si accinge ad affrontare la vita, ha sempre
trovato difficoltà nell’inserirsi nel discorso scientifico-culturale-informativo sviluppato nella scuola.
Molti studiosi in passato hanno scritto sulla didattica della Geografia1 migliorandone e ampliandone la problematica.
Potrebbe quindi apparire superfluo il voler aggiungere queste
brevi note che, difficilmente, potranno apportare un nuovo
definitivo contributo.
La vastità dei problemi che investono la didattica induce
tuttavia a ribadire qualche concetto nella speranza che questo
possa essere migliorativo della sovente precaria situazione in
cui la disciplina si dibatte nella scuola o , quanto meno, contribuisca, stimolando la meditazione di chi vorrà leggere la
presente nota, a concretizzare la metodologia di una didattica
più consona alle nuove realtà.
Si è accennato sino ad ora alla didattica, ma, in vero, il problema è ben più vasto in quanto, nella sua risoluzione, deve
tendere alla creazione di una “mentalità geografica” che, lo
si deve riconoscere, manca in Italia.
La prima necessità è quindi quella di sviluppare un insegnamento che, basandosi sui principi ed il metodo della geografia (Bernardi, Conzo, Poli, 2012), nonché su contenuti
diversi e, nello stesso tempo, integratesi l’uno nell’altro nelle
diverse classi e nei vari ordini di scuola (Poli, 2012), possa creare in quelli che saranno gli uomini del domani quella
“mentalità geografica” di cui si faceva cenno in precedenza.
Se otterremo ciò, la geografia non sarà più “la regione
depressa” (Gambi, 1962) tra le scienze, perché quegli uomini che nei vari settori economici, politici, amministrativi,
avranno raggiunto il potere decisionale avranno in sé lo spirito geografico e quindi, oltreché dotati di un loro proprio
maggiore equilibrio frutto di una più completa conoscenza
del mondo, sentiranno la necessità di collaborare con lo specialista geografo (Merlini, 1971).
1 In tutti i Congressi Geografici una sezione apposita ha sempre trattato
l’argomento; le Riviste geografiche, e non solo queste, sviluppano con
opportuni articoli la tematica della didattica.
51
GEOGRAFIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
Il soffermarsi sui concetti sopraccennati, seppur meritevoli di essere ricordati, ci allontanerebbe dal tema prefissoci;
prima di raggiungere infatti l’auspicata diffusa “mentalità
geografica” è indispensabile che questa, dopo essere divenuta sicuro ed uniforme patrimonio degli insegnanti, possa
diffondersi negli allievi.
I problemi di fondo della didattica di ogni disciplina sono:
a chi insegnare, cosa insegnare, come insegnare. Per la geografia, poi, si aggiungono quelli di creare una continuità
metodologica tra la disciplina insegnata nella scuola e quella
sviluppata nelle Università; di ottenere un armonico ampliamento delle conoscenze e delle problematiche geografiche
degli studenti dei vari corsi; di raggiungere, infine, la mentalità geografica quale matrice comune di tutti i cittadini, sia
gli specialisti della materia, sia coloro i quali operano nei più
diversi settori.
Se da un lato è sempre vera l’affermazione crociana che
“chi sa – sa ingannare” è pur vero che è bene il docente abbia
chiare le finalità e la metodologia del suo insegnamento.
La geografia non può infatti più essere semplice informazione in quanto, se così fosse, ben meglio dell’insegnante
già assolvono a tale compito, ad esempio, i documentari e le
inchieste televisive che, proprio perché l’insegnamento geografico non si è sufficiente,ente rinnovato, non fungono da
ausilio ma divengono veri antagonisti e, sovente, sostitutivi
della lezione poichè dicono più di quanto il docente sappia o
possa insegnare.
INSEGNARE
Per meglio sviluppare detto quesito (cosa insegnare!),
ovviamente, dovrebbe essere introdotto il discorso sui programmi, sui libri di testo e sui sussidi i quali, spero si convenga, sono sovente inadeguati nei contenuti, nella loro articolazione e, soprattutto, si ripete, nella metodologia della
stesura, che si discosta da quella dell’insegnamento universitario ove, da tempo, si afferma dovrebbe essere la costante
della ricerca e della didattica della geografia.
Quasi mai nei libri delle scuole medie e delle scuole superiori si fa alcun cenno alle partizioni della geografia, ci
si sofferma sulle “scienze ausiliarie”, si parla di paesaggio
geograficamente inteso, si dice e si dimostra che questo è
frutto di un rapporto spazio-temporale, si spiega che esso dipende da fatti e fenomeni variamente distribuiti e connessi
da rapporti di causalità e interdipendenza, si osserva che il
paesaggio può essere armonico o disarmonico per eccesso,
difetto o diversità di fenomeni in esso esistenti rispetto alle
sue reali possibilità (Ruocco, 1972).
È ormai provato che il giovane è oggi più informato di
quanto lo fosse, ai suoi tempi e a pari condizione d’età, il suo
insegnante; e, si ricordi, più informato e globalmente evolu-
2 La scuola dell’infanzia ha una durata di tre anni, e pur seguendo uno
specifico progetto educativo, è tutt’oggi frequentata da bambini con età
compresa dai 3 ai 5 anni; non ha l’obbligo di frequenza.
2. A CHI INSEGNARE, COSA INSEGNARE E COME
52
to, ma non più colto nelle singole materie.
Se ciò è vero, e, lo dimostra il fatto che, ad esempio, sono
in studio progetti di far iniziare la scuola dell’obbligo a 4
anni2, avendo il fanciullo a quell’età oggi raggiunto le capacità d’apprendimento che aveva un tempo il bambino di 6
anni; l’insegnate deve tener conto di ciò onde non annoiare
la scolaresca, tendendo, nel contempo, a far sì che il suo insegnamento, che ha il dovere di superare le notizie fornite dai
normali mezzi d’informazione, possa stimolare ed innescare
un costante processo di interpretazione critica dei fatti e fenomeni studiati.
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | GEOGRAFIA
Non ci si sofferma cioè mai sulle classiche (ma per chi?)
domande del “dove, come, quando, perché”?
ed il riferimento costante dell’insegnamento durante tutto il
corso dell’anno (Baldacci, 1964).
Riuscendo a far acquisire i concetti e la metodologia suaccennati, l’alunno, quanto meno, sarà in grado di comprendere, e ciò non è poco, che una realtà territoriale non sempre
è migliore di un’altra, ma sovente è solo diversa. Appresa
e completamente compenetrata la vera essenza della metodologia geografica, si evita automaticamente l’informazione
sterile, si supera il problema dei contenuti e, soprattutto, di
secondaria importanza diviene il “cosa insegnare”, in quanto l’allievo automaticamente sarà in grado di comprendere
quali parti del programma di geografia sono indispensabili
e la più logica successione cronologica nella quale queste
devono essere apprese.
Non è infatti vero che ogni parte del mondo debba essere
studiata o spiegata seguendo lo stesso ordine di apprendimento e di illustrazione dei fenomeni. Le regioni sono la sintesi di fatti storici, economici, sociali, fisici; per tali motivi
deve pertanto essere dapprima focalizzato quello che il Toschi (1960) definiva il “fattore dominante”, pur non trascurando quelli più reconditi, sovente non meno importanti per
la completa comprensione delle leggi geografiche che portano alla realizzazione di un dato paesaggio.
Solo acquisendo, grazie a corsi di laurea magistrali abilitanti, corsi di perfezionamento-specializzazione e scuole
Post-Universitarie (Ssis, Pas, Tfa, ecc.), opportunamente
strutturate, o, quanto meno, alla lettura di opere specifiche,
la padronanza della metodologia e della problematica geografica, l’insegnante di scuola secondaria di primo e secondo
grado sarà in grado di trasmettere ai discenti, seppur semplificato, il pensiero della “geografia universitaria” ufficiale e
di effettuare in ciascuna delle classi affidategli quelle prime
fondamentali lezioni metodologiche che diverranno la base
Non si ritiene possa esistere un metodo definitivo ed unico
d’insegnamento per nessuna delle scienze e, tanto meno, per
la geografia.
Esso risulta infatti strettamente legato alla preparazione e
specializzazione dell’insegnante, alla tipologia della classe,
alle varie parti della materia da trattare.
Il come insegnare, in definitiva, è strettamente dipendente
dalla più vasta problematica in precedenza accennata. Anche
su questo problema, in verità, molto si è scritto in passato, e
tra l’altro opere meritevoli di essere prese in considerazione3.
Non è certamente compito di questo breve contributo sviluppare e ribadire il concetto del valore educativo della geografia, ma si vuole quindi unicamente ricordare che gli insegnanti veramente preparati potranno assolvere il compito cui
sono preposti se concepiranno la geografia come una sintesi,
come lo studio delle relazioni spaziali dei fenomeni, come la
scienza della ricerca del più razionale impiego dei territori
(Bernardi, 1990).
Per ottenere tutto ciò, e nel contempo fornire agli alunni
le indispensabili informazioni e gli strumenti scientificometodologici necessari per una “giusta” interpretazione dei
paesaggi, i docenti dovranno nel loro insegnamento alternare
armonicamente l’osservazione diretta (lezioni itineranti in
aree caratterizzate da classi tipologiche di fenomeni rurali,
urbani, fisici, ecc.) con quella indiretta, nella quale la lezione, elemento base ed insostituibile dell’apprendimento, do3 Vale forse la pena ricordare i libri di Andrè Meynier, Guide de l’etudiant
en geographie, Parigi, Presses Universitaires de France, 107, Boulevard
Saint-Germain, 1971; Autori Vari, Source book for Geography Teaching,
Londra, Longmans/UNESCO, 1965.
53
GEOGRAFIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
vrà essere vivacizzata da schizzi chiarificatori, nonché dai
“sussidi” costituiti da carte, films, le immagini satellitari, le
reti internet, i GIS, i navigatori satellitari, i cellulari con GPS
integrato, ecc. (Ferro, 1972).
Ritenendo infine che per un armonico apprendimento sia
indispensabile procedere attraverso successivi e sempre più
profondi “momenti culturali”, l’insegnante, fornita l’informazione interpretativo-esplicativa ed indicate la metodologia e le finalità della disciplina, dovrà lasciare l’allievo il
tempo necessario alla personale meditazione che lo porterà
all’acquisizione dei propri convincimenti.
La verifica di questi avverrà durante le verifiche orali (interrogazioni) che, in tal modo, diverranno occasione di confronto e di ampliamento delle singole personali concezioni
e, nel contempo, favoriranno la partecipazione dell’intera
scolaresca.
3. RIFLESSIONI CONCLUSIVE
Come si evince da quanto esposto, nella presente breve
nota non ci si è voluti addentrare nelle questioni di contenuto
dell’insegnamento e di metodo della didattica. Si è cercato,
invece, di richiamare l’attenzione sul fatto che se la ricerca
scientifica in geografia sovente in Italia è dispersiva, frammentaria e stazionaria, lo si deve alla cattiva organizzazione
dell’insegnamento nei diversi tipi e ordini della scuola primaria e secondaria, dalla quale difficilmente usciranno diplomati desiderosi di proseguire i propri studi in questa disciplina, a loro, sino a quel momento, presentata come una materia
di scarsa importanza scientifica e applicativa.
È proprio dalla scuola quindi, non solo rinnovando i programmi, ma creando una base scientifica e metodologica unitaria, che inizierà il rinnovamento della geografia.
È opportuno, pertanto, pensare di costruire una nuova
“coscienza” per il futuro dei nostri giovani partendo proprio
dalla scuola. È qui che la geografia deve cercare di superare
quella visione di antica e “paranoica” erogatrice di dati difficili da ricordare o di vetuste modalità di descrivere regioni
e stati, per altro oggi accessibili in tempo reale, e fornire le
giuste basi di una conoscenza qualificata tenendo conto degli
strumenti di cui tutti possono disporre. Di fronte alla portata di questi cambiamenti, diventa sempre più indispensabile
una nuova figura di docente, che sappia ragionare sulle moderne tematiche e impostare le riflessioni didattiche servendosi delle potenzialità offerte dalla tecnologia e che, grazie al
bagaglio formativo di cui potrà disporre se preparato per una
buona e nuova attività di insegnamento, ne sappia cogliere
sapientemente le potenzialità e correttamente declinarle.
BIBLIOGRAFIA
O. Baldacci, Storia della Geografia, Un sessantennio di ricerca geografica italiana, Società Geografica Italiana, Roma,
1964.
R. Bernardi, P. Betta, Geografia didattica e didattica della
geografia, Casanova, Parma, 1974.
54
R. Bernardi, Dalla geografia nozionistica alla geografia
scientifica applicata, la scuola verso i problemi del territorio
e della società, Patron, Bologna, 1990.
R. Bernardi, Riflessioni per una didattica della geografia
nella scuola elementare, Università di Verona, Istituto di Geografia, Verona, 1993.
R. Bernardi, E. Poli, Equilibri dinamici di una realtà complessa, Cuec, Ed. Universitarie, Cagliari, 2011.
R. Bernardi, F. Conzo, E. Poli, Il Mondo come sistema
globale. Introduzione all’ecogeografia, Bologna, Archetipolibri (Clueb), 2012.
G. Ferro, Didattica della Geografia, Genova, 1972.
L. Gambi, Geografia regione depressa, Faenza, Fratelli
Lega, 1962.
L. Gambi, Problemi di contenuto scientifico e di vitalità
culturale, Faenza, Fratelli Lega, 1965.
G. Merlini, Alcune precisazioni concettuali di geografia
applicata, Notiziario di Geografia economica, Roma, 1971.
E. Migliorini, Geografia o geografie?, in “Geographica
Helvetica”, Berna, 1971.
E. Poli, Per un approccio didattico in geografia: il “progetto implicito” della carta, in “Bollettino dell’Associazione
Italiana di Cartografia - AIC”, 1, 2011.
E. Poli, Innovare in Geografia e nuovi approcci metodologici, 2011, in vol. “Atti del convegno della XV ed. delle
Giornate della Geografia”, Geotema, Patron, Bologna, 42,
2012.
E. Poli, Geografia e sviluppo mentale. Una scienza rivolta
al futuro, in “Cooperazione Educativa”, Edizioni Erickson,
vol. 61, 1, Febbraio, 2012.
E. Poli, Insegnare Geografia nella scuola dell’infanzia.
Alcuni spunti di riflessione, in “Cooperazione Educativa”,
Edizioni Erickson, vol. 61, 3, 2012.
E. Poli, La cartografia: dai Programmi della scuola elementare alle Indicazioni nazionali per il curricolo, in “Bollettino dell’Associazione Italiana di Cartografia - AIC”, 144145-146/2012.
E. Poli, Obiettivi, strumenti e metodi per una efficace didattica della Geografia nella scuola, Cuec, Ed. Universitarie,
Cagliari, 2012.
D. Ruocco, La Geografia e i suoi fattori, Napoli, Libreria
Scientifica editrice, 1972.
A.R. Toniolo, L’insegnamento della geografia come scienza del paesaggio, in “La Geografia didattica”, Firenze, 1917.
U. Toschi, La Geografia scienza di vita, in “La Geografia
nelle scuole”, Novara, 1960.
N. 11 - 15 AGOSTO 2015
RICERCHE
Le ricerche e gli
articoli scientifici sono
sottoposti prima della
pubblicazione alle
procedure di peer review
adottate dalla rivista,
che prevedono il giudizio
in forma anonima di
almeno due “blind
referees”.
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | ECONOMIA
Financial loan covenants
e indici di bilancio in una
prospettiva interdisciplinare
LUCIA TALARICO
Dipartimento di Economia e Management, Università di Pisa
L’
INTRODUZIONE
articolo affronta il tema dei financial
covenants, ossia di clausole inserite
in contratti di finanziamento che vedono l’azienda prenditrice di fondi.
Tali clausole impegnano l’azienda a
mantenere il valore di indicatori economico-finanziari predefiniti entro uno specifico range, superato il quale il portatore
di capitali acquisisce il diritto di ridefinire le condizioni del
prestito, sino a revocarlo. Nel lavoro si fa particolare riferimento ai loan covenant, in cui i terzi apportano capitale
di credito e hanno natura individuale. L’oggetto di ricerca,
così come definito, altro non è se non un sottoinsieme di una
fattispecie più ampia, a cui pare utile accennare, sia pure sinteticamente.
Il termine covenants denota clausole inserite in contratti di
finanziamento con le quali si riconosce al portatore di fondi, al verificarsi di specifici accadimenti contemplati dalle
clausole stesse, il diritto di modificare talune condizioni del
finanziamento, sino a revocare lo stesso. I covenant possono
assistere finanziamenti a titolo sia di capitale di credito sia di
capitale di rischio.
Come premesso, l’articolo si concentra esclusivamente sui
covenant inclusi in contratti di finanziamento a titolo di capitale di credito; pertanto, da qui in poi per covenant si può intendere una pattuizione accessoria a un contratto di finanziamento, generalmente a medio/lungo termine, che attribuisce
al soggetto prestatore di fondi il diritto alla rinegoziazione
di talune condizioni del prestito, se non addirittura alla revoca dello stesso, qualora l’impegno assunto nella pattuizione
stessa dal debitore venga disatteso1. Più in particolare, ancora, viene esaminata la fattispecie dei loan covenants in cui il
1 Per una puntuale definizione di covenant in diritto si vedano: Piepoli (2009, pp. 498-519); Patroni Griffi (2009, pp. 601-608); Santosuosso
(2009, pp. 639-646); Mozzarelli (2013).
prestatore di fondi ha natura individuale2.
Varie solo le tipologie di clausole a cui far ricorso e diverse
sono le tassonomie applicabili. Ai nostri fini pare utile discriminare sulla base della natura dell’obbligazione assunta dal
prenditore di fondi, sì da distinguere i covenant in finanziari,
informativi, restrittivi e clausole in caso di default3.
I covenant finanziari, o financial covenant, consentono al
prestatore di capitali di ridefinire le condizioni del prestito
qualora l’azienda debitrice non riesca ad adempiere all’impegno di mantenere il valore di taluni indicatori economicofinanziari entro un intervallo prefissato conforme al merito
creditizio riconosciuto all’azienda stessa. Proprio su tali
clausole si incentrerà il presente lavoro.
I covenant informativi vincolano al rispetto di obblighi di
comunicazione specifici e ulteriori rispetto a quanto già previsto da norme di legge o regolamenti. I restrittivi limitano la
facoltà del debitore di assumere talune iniziative, ad esempio
di effettuare alcuni investimenti, di concludere alcuni tipi di
operazioni con società collegate, di contrarre nuovi debiti o,
ancora, di procedere alla distribuzione dell’intero utile.
Le clausole di default, infine, assegnano al creditore la fa2 Dai loan covenant si distinguono i bond covenant, che assistono prestiti
obbligazionari. Dal confronto tra private debt e public debt si riscontrano
sensibili differenze, in primis in merito al grado di asimmetria informativa
e alla ripartizione di potere contrattuale tra prenditore e prestatore di fondi
– singolo obbligazionista o istituto di credito –, differenze queste che si
riflettono sulla numerosità dei covenants e sul loro carattere più o meno
stringente, nonché sulle condizioni della loro efficacia. Si pensi al diverso
costo delle attività di monitoraggio e di rinegoziazione, ove necessaria, che
si aggiunge, nell’ipotesi in cui il prestatore di fondi sia obbligazionista, ai
costi della preventiva fase di coordinamento, assenti quando il prestatore è
un istituto di credito. Tutto ciò ci ha indotto a tenere distinto il caso in cui i
covenants siano presenti in contratti di finanziamento bancario dal caso in
cui gli stessi siano previsti in contratti di prestito obbligazionario, optando
per la prima fattispecie.
3 Si fa riferimento alla suddivisione proposta da Bazzana (2007, p. 386),
che a sua volta riprende la classificazione da Bessis (2002). Qui, tuttavia,
si è preferito accorpare i covenant negativi con i covenant restrittivi, ossia
considerare i primi come l’estrema forma che possono assumere i secondi.
Si veda anche Bazzana (2008a, 2008b).
57
ECONOMIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
coltà di rinegoziare le condizioni del prestito, sino a esigere il rimborso anticipato dello stesso, al verificarsi di fatti
indicativi dello stato di default. Un esempio può essere la
presentazione di istanza di fallimento della società debitrice.
Il tema ammette una pluralità di prospettive di osservazione, come mostra la letteratura in materia. Fondamentalmente
l’approccio può essere di natura economica e giuridica. Nel
presente articolo l’analisi e l’interpretazione del fenomeno avvengono adottando una chiave di lettura economicoaziendale, per quanto si tenti un ponte con la prospettiva di
osservazione di altri settori disciplinari appartenenti al comune ambito economico. Il lavoro, infatti, pur iniziando con
la collocazione del tema nel framework offerto dalla teoria
dei contratti incompleti, intende rispondere a una domanda
di ricerca pertinente alla disciplina economico-aziendale: gli
indicatori di bilancio impiegati più di frequente per la determinazione dei financial covenant sono funzionali agli scopi
loro assegnati nel quadro teorico economico di riferimento?
Poiché lo scopo attribuito ai financial covenant deriva dal
framework economico di riferimento; poiché la coerenza
tra indici a cui i financial covenant rimandano e scopo dei
covenant può essere valutata in una prospettiva economicoaziendale analizzando la capacità segnaletica dei primi, si è
avvertita la necessità di definire una duplice cornice concettuale, a cui sono dedicati i successivi due paragrafi intitolati
ai framework economico e aziendalistico di riferimento. A
essi fa seguito l’esplicitazione del disegno della ricerca.
Nel paragrafo quinto e sesto, assunta la prospettiva di osservazione economico-aziendale, si passa alla ricognizione
e interpretazione delle tipologie di financial covenants più
diffuse nella prassi nazionale e internazionale per poter giungere, nelle conclusioni, a rispondere alla domanda di ricerca
valutando la coerenza tra gli indicatori economico-finanziari
in prevalenza adottati e la loro funzione economica.
IL FRAMEWORK ECONOMICO DI RIFERIMENTO
L’uso sempre più diffuso dei covenant e, in particolare, del
genere financial, interpella in merito alla funzione che essi
sono chiamati ad assolvere, ovvero alle ragioni che giustificano sul piano teorico un’interferenza, talora estremamente
significativa, da parte del creditore nella sfera decisionale del
debitore. In effetti i covenant, come vedremo, si collocano a
pieno diritto tra gli strumenti utili a consentire, in situazioni
predefinite, l’allocazione di decision rights4 a una particolare
categoria di soggetti investitori: i lender, o terzi finanziatori5.
La prospettiva di osservazione del fenomeno qui adottata
è di natura economica. Tale chiave di lettura porta a riformulare l’interrogativo nel modo seguente: l’interferenza del
creditore nella governance del debitore6, in determinate e circoscritte situazioni, può essere efficiente? Qualora la risposta
4 La locuzione anglosassone può tradursi in italiano con ‘poteri decisionali’. Per approfondimenti si rinvia a Tirole (2006, p. 387).
5 Si legga Tirole (2006, p. 85).
6 Nella letteratura anglosassone l’interferenza del creditore nella sfera
decisionale del debitore è nota come ‘lender governance’.
58
sia negativa, gli strumenti che tale interferenza consentono
sarebbero da sanzionare; viceversa, da promuovere.
In verità, la letteratura economica in merito presenta posizioni molto articolate e conclusioni opposte. Collocandosi,
ad esempio, nella prospettiva della nexus of contracts theory7, la risposta dovrebbe essere negativa: poiché i soci sono
gli unici portatori di residual claimants8, essi sono anche gli
unici incentivati a operare scelte efficienti, diversamente dai
creditori – fixed claimants –, indifferenti alla qualità delle
scelte di gestione poiché protetti comunque nei loro interessi
dai contratti a suo tempo stipulati con l’azienda.
Alla conclusione contraria si giunge postulando l’incompletezza dei contratti che disciplinano la relazione aziendainvestitori (Grossman, Hart, 1986; Hart, Holmstrom, 1987;
Milgrom, Roberts, 1990; Tirole, 1999)9. In tal caso, infatti,
gli accordi assunti sarebbero insufficienti a garantire l’efficienza delle transazioni in qualsivoglia circostanza e a tutelare gli interessi dei lender in ogni stato del mondo (Grossman,
Hart, 1986, p. 698; Maskin, Tirole, 1999).
Proprio il filone teorico che si incentra sulla natura incompleta dei contratti sta operando un interessante ripensamento
delle strutture tipiche di governance delle società e dei tipici conflitti di interesse che vi si manifestano. Dal momento
che il contratto è incapace di prefigurare tutte le condizioni
avverabili per vari motivi, tra cui, fondamentali, l’incapacità dei contraenti e l’eccessiva onerosità di una regolamentazione contrattuale particolarmente capillare (Tirole, 1999,
pp. 743-745), la tutela che il contratto assicura agli interessi
dei lender non può dirsi completa. In situazioni specifiche,
pertanto, tale tutela, ma prima ancora esigenze di efficienza,
possono richiedere l’attribuzione ai lender di decision rights
da esercitarsi ex post per colmare le lacune contrattuali. L’identità, o perfetta sovrapponibilità, tra residual claim e residual decision rights, inderogabile per la nexus of contracts
theory, qui si spezza.
La teoria dei diritti di proprietà (Grossman, Hart, 1986;
Hart, Moore, 1990; Hart, 1995) pone al centro del proprio
modello teorico proprio l’incompletezza dei contratti e dimostra che ai fini del raggiungimento di condizioni di efficienza le parti possono dover procedere alla rinegoziazione
del contratto. La fase ex post della negoziazione diventa, pertanto, fondamentale, tant’è che finisce con il retroagire anche
sulla fase ex ante. I diritti residuali di proprietà, infatti, vengono attribuiti ex post ma secondo modalità definite ex ante,
ossia al momento della negoziazione contrattuale. Ciò può
comportare l’assegnazione dei diritti residuali di controllo
7 In merito alla ricchissima letteratura che può ricomprendersi nel filone
di studi della nexus of contracts theory e sui contributi relativi ai correlati
problemi di agency cost si leggano, per tutti, Alchian, Demsetz (1972),
Jensen and Meckling (1976).
8 Con la locuzione residual claimant si intende l’aspettativa di una remunerazione solo residuale, quindi eventuale e indeterminata, di cui è
normalmente portatore il socio, diversamente dal fixed claimant, ossia dal
diritto a una remunerazione fissa spettante al creditore sociale in base agli
impegni contrattuali assunti dall’azienda.
9 I fondamenti teorici riconducono a Williamson (1979) e, prima ancora,
a Coase (1937).
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | ECONOMIA
all’investitore anziché all’imprenditore10 (Aghion, Bolton,
1992, pp. 473-492). La flessibilità introdotta è la migliore
premessa per l’uso efficiente delle risorse.
I modelli teorici possono farsi ancora più articolati contemplando l’esistenza di due diverse classi di outsiders che
concorrono per l’assegnazione del controllo (Dewatripont,
Tirole, 1994): “tough investors e soft investors” (Tirole,
2006, p. 406). I primi sono i creditori, ossia investitori percettori di una remunerazione fissa per il loro investimento e i
cui interessi sono poco allineati con quelli dei manager. I soft
investors, invece, sono soci, quindi percettori del rendimento
residuale, i cui interessi sono meno dissonanti da quelli del
management rispetto ai tough investors. Il modello prevede
che, a fini di efficienza, il controllo venga temporaneamente assegnato alle due classi di investitori in funzione della
qualità delle performance dell’impresa (Dewatripont, Tirole, 1994, p. 1049). Più precisamente, si dimostra come, al
mutare delle performance aziendali, per aumentare il valore
dell’impresa11, il controllo dovrebbe essere ricollocato tra i
diversi investitori in relazione al grado di allineamento dei
loro interessi con quelli del management. Quando le performance sono deludenti, i diritti residuali di controllo dovrebbero essere assegnati ai tough investors, la cui iniziativa è
10 “Il modello di Aghion e Bolton coglie un aspetto essenziale del finanziamento tramite debito: il passaggio del controllo” (Hart, 1998, p. 130).
Il modello richiamato, tuttavia, è stato anche oggetto di non poche critiche. In merito ricordiamo, per brevità, le sole osservazioni di Tirole, per il
quale il modello non contempla la coesistenza di portatori di diritti di tipo
diverso (si pensi ai creditori e ai soci) con differenti poteri di controllo
(Tirole, 2006, p. 406), e di Hart, che rileva come gli autori non considerino
il passaggio del controllo in condizioni di mancato rimborso del prestito un
effetto necessario, ma solo stocastico (Hart, 1998, p. 131).
11 Il valore dell’impresa è qui da intendersi come somma dei valori
dell’equity e del debito.
avvertita dal management come un’intrusione ostile. Il creditore, poiché non beneficia dei miglioramenti di performance, è incline a una gestione aliena all’assunzione di elevati
rischi, diversamente da quanto necessario, in genere, per cogliere opportunità di sviluppo. È favorevole, invece, a politiche prudenziali e conservative, né è turbato dalla prospettiva
della liquidazione di asset e del ridimensionamento aziendale, strategie, queste, che certo contrastano con gli obiettivi
ambiziosi normalmente assegnati dalla proprietà al management (Damodaran, 2001, p. 298). Giacché quest’ultimo vede
dipendere dal raggiungimento di tali traguardi le condizioni
del proprio benessere individuale, non è difficile comprendere come l’interferenza del debitore nelle scelte di gestione
interna siano temute e sofferte dagli organi apicali aziendali.
Nella misura in cui l’intervento del creditore si traduce, infatti, in una revisione delle strategie aziendali, l’interferenza
è capace di compromettere gli incentivi monetari e i benefici
privati che i manager si attendono dalla ultimazione dei progetti avviati (Dewatripont, Tirole, 1994, p. 1032, p. 1049;
Tirole, 2006, p. 407). Siffatta iniziativa è perciò particolarmente dissuasiva nei confronti di comportamenti opportunistici del management quando le performance aziendali sono
negative. In tale circostanza i creditori sociali, preoccupati da
una redditività insufficiente – che potrebbe compromettere la
capacità dell’azienda di far fronte al servizio del debito – più
di quanto possano essere allettati da prospettive di sovrareddito – di cui non potranno mai appropriarsi –, sono incentivati più dei soci a ridimensionare gli obiettivi aziendali e la
rischiosità conseguente, ossia a interferire con il corso impresso alla gestione dal top management. L’individuazione
del soggetto titolare dei diritti di controllo non è, dunque,
indifferente per il management. La letteratura economica riconosce, quindi, ai covenant due principali finalità: la prima
59
ECONOMIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
è prevenire comportamenti opportunistici di manager e soci
capaci di sacrificare, in cambio di benefici personali, il valore
del debito e, quindi, dell’impresa. Se fosse possibile prevedere ogni stato del mondo, sarebbe possibile anticipare tali
comportamenti e scontarne gli effetti incorporandoli già nelle negoziazioni ex ante. Il valore del debito e dell’equity non
risulterebbero compromessi, pertanto i covenant sarebbero
inutili. È l’incompletezza dei contratti che rende necessario,
per finalità di efficienza, l’inserimento dei covenant nei contratti di finanziamento12.
Il secondo scopo della previsione dei covenant è definire in
quali circostanze sia più efficiente assegnare i residual decision rights ai creditori sociali anziché ai soci. Ciò dovrebbe
accadere quando l’effetto dissuasivo sui comportamenti opportunistici del management può essere esercitato più efficacemente dai creditori sociali che dai soci. E questo accade,
come già si è detto, in situazioni di performance aziendale
negativa, in cui la divergenza di interessi tra managers e portatori di capitale di credito è massima13. Questa è la finalità
sulla quale intendiamo concentrarci.
IL FRAMEWORK AZIENDALISTICO DI RIFERIMENTO
L’interpretazione dei financial covenant in prospettiva
aziendalistica rinvia al tema dell’analisi di bilancio, dei suoi
strumenti – indici e flussi – e della sua significatività. Indici
e flussi sono, infatti, i parametri a cui i financial covenant
fanno riferimento e che vengono con regolarità monitorati
per verificare il rispetto di valori soglia; qualora questi ultimi
risultino violati, si verificano le condizioni necessarie, anche
se non sufficienti, per attivare gli interventi sanzionatori e
cautelari del prestito.
La dottrina in materia è vastissima e si articola in due filoni
complementari: analisi per indici e analisi per flussi. Il primo attinge i suoi valori dallo stato patrimoniale e dal conto
economico opportunamente riclassificati, in modo da fornire
aggregati finanziari ed economici necessari al calcolo di indicatori utili, attraverso comparazioni temporali e spaziali, a
“diagnosticare «lo stato di salute» di un’impresa” (Caramiello, Di Lazzaro, Fiori, 2003, p. 10; Invernizzi, Molteni, 1990,
pp. 89 e ss; Lee, 249).
Benché sotto il profilo operativo la riclassificazione dei
prospetti contabili di stato patrimoniale e di conto economico
preceda il calcolo degli indici e la loro analisi, sotto il profilo
logico la sequenza delle fasi è inversa: è necessario definire
preliminarmente gli scopi conoscitivi assegnati all’analisi
(Giunta, 2005, p. 6), ossia formulare le domande a cui si intende dar risposta, per poter da essi desumere gli indicatori
a ciò idonei e, quindi, i valori necessari al loro calcolo. Tali
valori, in genere, non si traggono immediatamente dal bi12 “It’s only to the extent that managers and shareholders may have incentives to take actions that reduce total firm value that covenants have a
role” (Tirole, 2006, p. 84).
13 Dewatripont e Tirole, 1994, 1028 ss. È la teoria denominata dallo
stesso Tirole, che ne è autore con Dewatripont, “carrot-and-stick view”
(Tirole, 2006, p. 406).
60
lancio civilistico, ma debbono essere individuati attraverso
riclassificazioni apposite. Se infatti il bilancio civilistico è
predisposto per una generica comunicazione economicofinanziaria, l’analisi di bilancio vuole soddisfare specifiche
esigenze conoscitive, mosse da interessi particolari (Caramiello, Di Lazzaro, Fiori, 2003, pp. 131-226; Dallocchio, Salvi,
2011, pp. 35-36; Cattaneo, 1999, pp. 164-167; Silvi, 2006,
pp. XXVII).
In linea di massima, gli scopi assegnati dalla dottrina
all’analisi possono essere ricondotti all’esame dell’equilibrio finanziario e patrimoniale dell’azienda e dell’equilibrio
economico; ciò in chiave non solo storica, ma, nei limiti
delle possibilità offerte dal bilancio di esercizio, anche prospettica14 (Dallocchio, Salvi, 2011, p. 36;. Ferrero, Dezzani,
Pisoni, Puddu, 2006, pp. 5-10; Sòstero, Ferrarese, Mancin,
Mencon, 2014, p. 6; Montrone, 2005, pp. 9-13; Silvi, 2006,
pp. XXI-XXVIII; Belkaoui, p. 8).
Coerentemente con tali scopi, gli indici dovranno saper
segnalare l’attitudine dell’azienda a far fronte alle uscite
con le proprie entrate nei tempi dovuti e la capacità di remunerare gli stakeholder, siano essi portatori di un diritto
prestabilito contrattualmente, siano essi portatori della sola
aspettativa a una remunerazione residuale – titolari del capitale di rischio –.
Sotto il profilo finanziario e patrimoniale l’analisi prende avvio dalla riclassificazione dello Stato patrimoniale, che
può essere compiuta sulla base di due criteri: finanziario, che
discrimina investimenti e fonti sulla base della loro attitudine
a generare nel tempo entrate e uscite; economico, più noto
con la locuzione di pertinenza gestionale, che discrimina
fabbisogni e modalità di copertura sulla base delle aree di
gestione, ossia delle tipologie di operazioni il cui compimento genera gli uni e le altre. Da questi schemi si desumono
una serie di indicatori utili a valutare il profilo finanziario
e patrimoniale della gestione, in primis l’entità del ricorso
a finanziamenti di terzi più che a mezzi propri e il grado di
coerenza tra durata stimata del fabbisogno di finanziamento
e durata delle fonti di finanziamento utilizzate a copertura
(Cattaneo, 1999, pp. 172-178; Giunta, 2005, pp. 395-440;
Paganelli, 1991, 37 ss.; Montrone, 2005, pp. 63-90; Coda,
1995, pp. 20-31; Silvi, 2006; 117-47; Cescon, 2006, pp. 9097; Sòstero, Ferrarese, 2000, pp. 75-80; Lee, 2006, pp. 257265; Maynard, 2013, pp. 209-210; Brealey, Myers, Marcus,
2001, pp. 139-141; Ross, Westerfield, Jordan, 2003, pp. 6366.).
L’esame delle condizioni di economicità della gestione ri14 Quest’ultima affermazione impone una precisazione: l’analisi viene
normalmente condotta sul bilancio di esercizio, che ha contenuto prevalentemente storico – è l’ipotesi qui assunta – ma può essere effettuata anche
su budget e piani, purché redatti e accessibili. Nel primo caso l’analisi ha
un contenuto previsionale limitato alle durata delle operazioni in corso
al termine del periodo amministrativo e, perciò stesso, contemplate nei
documenti contabili. Ciò che è possibile fare è esclusivamente formulare
supposizioni su dinamiche future con orizzonte temporale coincidente con
la durata di quelle operazioni, tra le suddette, a cui gli specifici indici fanno
riferimento. La fondatezza delle supposizioni dipende dalla correttezza e
stabilità delle ipotesi confluite nel bilancio di esercizio.
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | ECONOMIA
chiede, invece, la lettura congiunta dello stato patrimoniale e
del conto economico. La prevalente dottrina sottolinea come
gli indicatori/quozienti calcolati a tal scopo abbiano significatività tanto maggiore quanto più omogenei sono i valori di
stato patrimoniale e di contro economico posti a confronto,
ove l’omogeneità è qui da intendersi come pertinenza alle
medesime aree di gestione (Sòstero, Ferrarese, Mancin,
Mencon, 2014, p. 36; Silvi, 2006, p. 73; Giunta, 2005, pp.
343-353). Ne consegue che sia lo stato patrimoniale sia il
conto economico dovranno essere riclassificati secondo il
criterio economico. Il criterio richiamato, applicato al conto
economico, determina la distinzione dei flussi di reddito in
funzione della tipologia di operazioni – aree di gestione – che
li ha generati –in primis operativa o finanziaria –. Si disporrà
in tal modo di flussi di reddito e stock di capitale che, poiché,
riferibili a medesime aree di gestione, risultano omogenei e
confrontabili, dando origine a indicatori di redditività razionali e significativi. Questi ultimi, poi, dovranno essere esaminati nella loro evoluzione temporale, nonché confrontati
con indicatori identici calcolati su bilanci di aziende comparabili o con dati medi di settore, sì da consentire di valutare
l’attitudine dell’azienda a generare nel tempo una redditività in linea con quella dei comparable o del settore (Giunta,
2005, pp. 317-353; Paganelli, 1991, pp. 37-72.; Montrone,
2005, pp. 157-176; Brunetti, 1995, p. 35-41; Coda, 1995, pp.
42-62; Silvi, 2006; pp. 72-79; Cescon, 2006, pp. 103-109;
Sòstero, Ferrarese, Mancin, Mencon, 2014, pp. 308-338;
Guerard, Schwartz, 2007, pp. 88-90; Revsine, Collins, 2011,
pp. 263-267; p. 274; Damodaran, 1996, pp. 95-99; Brealey,
Myers, Marcus, 2001, pp. 143-146; Ross, Westerfield., Jordan, 2003, pp. 70-71).
Gli indicatori descritti sono incapaci di ricostruire la dinamica dei flussi finanziari sviluppatasi nel corso del periodo
amministrativo di riferimento, poiché i valori finanziari sono
tratti dal prospetto di stato patrimoniale che, per quanto riclassificato, fa riferimento a valori stock, ossia all’entità dei
valori al termine del periodo amministrativo. Da esso può desumersi, per ogni voce, la variazione tra consistenza iniziale
e quella finale, ma non anche le particolari movimentazioni
di segno opposto dal cui saldo deriva la variazione sintetica. A tal fine è necessaria l’analisi dei flussi, in particolare
di liquidità, in genere condotta attraverso la redazione del
rendiconto finanziario (Teodori, 2002, pp. 3-6)15. La dottrina
propone varie configurazioni di flussi di liquidità (Giunta,
2005, pp. 254-267; Gibson, 2011, pp. 378-382; Masky &
Chen, 2014). Particolare attenzione viene dedicata al flusso
di liquidità netto della gestione corrente16 – cash flow operativo –, che esprime il saldo tra la liquidità generata e assorbita
dall’azienda durante il compimento delle operazioni tipiche
quotidiane (Walsh, 2005, pp. 89-95 Cescon, 2006, pp. 67-71;
15 Sempre più di frequente, o per obblighi di legge o per libera iniziativa,
le società redigono il rendiconto finanziario, che è il prospetto nel quale si
mostrano, in modo analitico, le variazioni che in un definito arco temporale hanno movimentato un aggregato di valori finanziari, in altre parole il
flusso di valori che ha movimentato un determinato fondo.
16 Sulla definizione di gestione corrente si legga: Brugger (1980, p. 13).
Sòstero, Ferrarese, Mancin, Mencom, 2014, pp. 108-113).
Da esso va tenuto distinto il flusso potenziale di liquidità,
ossia il flusso di liquidità che le medesime operazioni sarebbero state in grado di generare qualora non si fossero verificati movimenti nell’entità dei crediti operativi, dei debiti
operativi e del magazzino17, potremmo dire senza le interferenze prodotte sulla liquidità dalle politiche di magazzino
e dalle politiche di dilazione in entrata e in uscita (Pavarani,
2006, pp. 213-227; Sabatini, 2006, pp. 18-21; Giunta, 2005,
pp. 235-236). L’EBITDA (Earning Before Interest Taxes
Depreciation and Amortization) è l’indicatore più adatto a
monitorare tale flusso. La letteratura attribuisce utilità a fini
decisionali anche ai flussi di liquidità a servizio del debito
e a servizio dell’equity, che già dalla denominazione fanno
intendere la loro portata informativa. Il primo indica la liquidità destinabile al servizio del debito (rimborso dei debiti
e pagamento degli oneri finanziari); il secondo la liquidità
disponibile per la remunerazione di portatori di capitale di
rischio (Giunta, 2005, pp. 263-267). Benché i valori siano
desunti da rendiconti, e quindi abbiano contenuto consuntivo
più che preventivo, è indubbio che gli andamenti storici siano in grado di segnalare l’esistenza di tendenze in atto che
possono lasciare presagire future linee di evoluzione della
gestione18.
DISEGNO DELLA RICERCA
La domanda di ricerca che guida il lavoro è il risultato di
un processo argomentativo che trova il proprio fulcro concettuale nell’attribuzione ai financial covenant di una peculiare
funzione economica, limpidamente espressa nella concezione teorica di Dewatripont e Tirole19: consentire, in condizioni
di performance aziendali negative, l’assegnazione dei residual decision rights ai soggetti in grado di meglio esercitarli
per salvaguardare e accrescere il valore dell’impresa, ossia ai
prestatori di capitali. Tale enunciato richiede una condizione
necessaria che può essere così esplicitata: gli indicatori richiamati nei financial covenant debbono evidenziare tempestivamente la qualità delle performance aziendali. I financial
covenant, infatti, rinviano a particolari indicatori di bilancio;
affinché i primi consentano un’efficiente riallocazione del
controllo, i secondi debbono essere utili, ossia funzionali
allo scopo. Tali risultano se sono idonei a evidenziare e comunicare tempestivamente al prestatore di fondi il verificarsi
di una situazione in cui la riallocazione del controllo a suo
vantaggio è necessaria a fini di efficienza. Poiché, secondo
17 Ricordiamo che la somma algebrica delle variazioni dei crediti commerciali, dei debiti commerciali e del magazzino coincide con la variazione del capitale circolante netto operativo.
18 Tali indicatori, inoltre, in particolare se trattati con metodologie statistiche, possono aiutare l’analista a valutare la capacità dell’azienda di
rispondere a cambiamenti più o meno attesi, se non di anticiparli o addirittura stimolarli (Narayan, Westerlund, 2014; Barth, M. E.; Cram, Nelson,
2001; Cheng, Czernwski, 2010; Cheng, Hollie, 2008; Farshadfar, Monem,
2013; Pronobis, Zülch, 2011; Orpurt, Zang, 2009; Beaver, Correia, McNichols, 2012; Nunez, 2014; Lewellen, 2004).
19 Si veda il precedente § 2.
61
ECONOMIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
il modello economico di riferimento, la suddetta situazione
si verifica quando l’azienda produce performance negative,
ne consegue che gli indicatori, per essere utili allo scopo per
cui sono monitorati, debbono essere idonei a evidenziare e
comunicare tempestivamente al prestatore di fondi la performance dell’azienda.
La condizione necessaria soggiacente all’enunciato economico di partenza fornisce, quindi, la domanda di ricerca:
gli indicatori richiamati nei financial covenant sono idonei
a evidenziare tempestivamente la qualità delle performance aziendali, sì da consentire la realizzazione della funzione
loro attribuita nel framework teorico assunto a riferimento?
La risposta impone una valutazione – di pertinenza della
disciplina economico-aziendale – circa l’utilità degli indicatori a cui i financial covenant rinviano, utilità intesa come
capacità di segnalare tempestivamente lo “stato di salute”
dell’azienda (Brunetti, 1995, pp. 5-7). Tale giudizio, a sua
volta, richiede una fase preliminare di identificazione degli
indicatori in oggetto. A tal fine si è proceduto sia all’analisi
di ricerche già disponibili in letteratura sia a una ricognizione
empirica. Quest’ultima è stata condotta su quarantasei società non financial quotate presso la Borsa Italiana, società che
costituiscono il segmento FTSE ITALIA MID CAP20 secondo le rilevazioni datate 27 febbraio 201521. Di esse si è preso
in esame il bilancio consolidato chiuso al 31 dicembre 2013
e attraverso la sua lettura si è potuto verificare che trentatré
società del campione dichiarano di essere tenute al rispetto di
loan financial covenants e trentuno specificano la natura de20 FTSE MID CAP è un indice della Borsa Italiana che fa riferimento alle
società quotate a media capitalizzazione.
21 Esse rappresentano circa il 22% delle società non financial quotate
presso la Borsa Italiana.
62
gli indicatori a cui le clausole contrattuali fanno riferimento.
Gli indici più utilizzati nei contratti di finanziamento risultano essere: PFN/EBITDA22 con il 77% di riferimenti; PFN/
PN23 con il 65%; EBITDA/OF24 (lordi o netti) con il 39%,
seguiti da altri indicatori in percentuali assai minori 25. Le
rilevazioni convergono con le conclusioni desumibili dalla
letteratura in materia, che tra gli indici più utilizzati segnala
i tre richiamati26. Pertanto, per motivi di brevità, l’analisi seguente si è incentrata esclusivamente su di essi, dei quali si
discute, alla luce della letteratura aziendalistica in materia, la
capacità segnaletica e i doveri di comunicazione alle parti interessate, questi ultimi disciplinati dal legislatore e dai principi contabili nazionali e internazionali. È indubbio, infatti,
che l’idoneità degli indicatori allo scopo dipende, oltreché
dalla qualità, dalla disponibilità delle informazioni in tempi
utili all’assunzione delle decisioni conseguenti.
Il metodo utilizzato è un connubio tra momento deduttivo
e induttivo, come nella tradizione della disciplina economico-aziendale27.
L’articolo presenta prime risultanze di uno studio tutt’ora
in corso. In particolare la limitatezza della ricerca empirica
richiede cautela nelle conclusioni, in attesa che le rilevazioni
22 PFN è l’acronimo di Posizione Finanziaria Netta; EBITDA lo è di
Earning Before Interest Taxes Depreciation and Amortization.
23 PN è l’acronimo di Patrimonio Netto.
24 OF è l’acronimo di Oneri Finanziari.
25 Va segnalato che i financial covenant previsti in ogni contratto di
finanziamento sono in genere in numero di due/tre.
26 Con riferimento al contesto nazionale, utili indicazioni circa i covenant più utilizzati si leggono in: Brunetti, (2000, pag. 47 ss.); Unicredit
Banca mediocredito & Centrale dei Bilanci (2003, 2005). Una ricca rassegna di financial ratios normalmente presenti nei covenant adottati nel
contesto statunitense è fornita da Chava e Roberts (2008, p. 2091) e da
Demerjian e Ross (2007).
27 Canziani (2009, pp. 8-9).
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | ECONOMIA
vengano estese in senso diacronico e spaziale, sì da approntare una banca dati in materia di financial covenants allo
stato non ancora disponibile per le società quotate presso la
Borsa Italiana. Ciononostante, si ritiene che l’articolo possa
arrecare un contributo alla letteratura economico-aziendale,
in particolare domestica, sia per la natura dell’oggetto di
analisi, raramente e solo marginalmente trattato in campo
scientifico nazionale nella prospettiva aziendalistica, sia per
la lettura proposta dell’oggetto stesso, trasversale a discipline limitrofe.
LA QUALITÀ DELLA COMUNICAZIONE RESA AL
FINANZIATORE
Alla luce di quanto già richiamato, l’efficacia dei financial covenant risiede nella loro idoneità a consentire il trasferimento in capo ai lender dei diritti residuali di controllo
quando necessario a fini di efficienza28. A tal scopo è necessario che il creditore acquisti consapevolezza della perdita
di affidabilità economico-finanziaria del debitore in tempo
utile a esercitare le sue prerogative; pertanto, quale tipo di
comunicazione finanziaria dovrebbe essere resa dal secondo
al primo? La comunicazione dovrebbe essere significativa,
neutrale e tempestiva. L’informazione può dirsi significativa quando gli indici assunti nei financial covenant consentono di monitorare efficacemente la capacità dell’azienda
prenditrice di fondi di far fronte al servizio del debito, nel
breve come nel medio/lungo periodo. Debbono, quindi,
saper segnalare il presumibile grado di solvibilità e solidità dell’azienda ed essere il più possibile esenti da politiche
di bilancio, ossia da comportamenti del management, per lo
più di natura contabile, diretti esclusivamente a ingenerare
nel lettore del bilancio il convincimento che l’azienda goda
di condizioni economico-finanziarie migliori di quelle presentate in assenza di siffatte condotte opportunistiche29. Tale
requisito della comunicazione economico-finanziaria è noto
come neutralità (Dezzani, 1981).
La comunicazione resa al creditore deve anche essere tempestiva, per segnalare all’investitore l’accentuarsi del rischio
di insolvenza in tempo utile a consentirgli di esercitare i
propri poteri di controllo, attivando forme di interferenza di
intensità crescente di cui ha egli le prerogative, sino a giungere, se necessario, alla rinegoziazione di talune condizioni
contrattuali e alla revoca del finanziamento, nelle condizioni
estreme di violazione dei covenant30. In ordine a quest’ulti28 Sull’estensione del controllo trasferito in capo al creditore e sulla necessità di configurarne attentamente i confini per scongiurare il rischio di
eterogestione, con particolare riferimento all’ordinamento nazionale, si
vedano: Mozzarelli (2013, p. 99 e segg.); Pennisi (2009, pp. 627-638).
29 La letteratura sul tema delle politiche di bilancio è sconfinata. Ricordiamo per tutti: Cavalieri (1983); Dezzani (1986); Superti Furga (1986).
30 La ricognizione empirica mostra che, in verità, le conseguenze della violazione dei covenant raramente giungono alle estreme conseguenze
della revoca del finanziamento; per lo più si esprimono in rinegoziazioni
che toccano anche la politica degli investimenti seguita dal management.
Dichev e Skinner, al termine di una dettagliata analisi empirica sul contesto statunitense, concludono che “… private lenders use debt covenant
violations as a screening device, and frequently waive violations or reset
mo requisito, con riferimento al contesto italiano e alle società sottoposte alle disposizioni del Codice Civile in materia
di redazione del bilancio di esercizio, la Nota Integrativa e
la Relazione sulla gestione sono i documenti deputati a informare i terzi in merito all’esistenza di finanziamenti che
comportino il rispetto di covenants31. Ove, poi, si verifichi
la rottura di covenants, il rischio per la continuità aziendale
va debitamente evidenziato e motivato in Nota Integrativa.
Rilevano, in merito, le disposizioni dell’OIC 19, in base alle
quali i finanziamenti a medio/lungo periodo assistiti da covenants che risultino violati debbono essere riclassificati tra
le passività a breve termine, salvo che tra la data di chiusura
dell’esercizio e la data di redazione del bilancio non siano intervenuti nuovi accordi contrattuali con il prestatore di fondi.
Per le società tenute all’applicazione dei principi IAS/
IFRS merita richiamare la comunicazione della Consob n.
DEM/6064293 del 2006, con la quale si richiede che, in
occasione della rendicontazione periodica, vengano comunicati, tra gli altri, le negative pledges32 e i covenant da riferire alle posizioni debitorie, se significativi33, nonché “…
indicazioni riguardo agli effetti del mancato rispetto dei ‘covenants’ e agli eventuali scostamenti rispetto al valore dei
parametri considerati negli accordi contrattuali sottostanti”34.
Il Documento Banca d’Italia/Consob/Isvap n. 4 del 3 marzo 2010, dopo aver menzionato le disposizioni dell’IFRS 1,
IFRS 7 e la citata Comunicazione Consob, “richiama l’attenzione degli amministratori sull’opportunità di analizzare la
situazione di tali clausole in anticipo rispetto alla data di approvazione del bilancio, al fine di individuare quelle clausole
o condizioni che potrebbero risultare non rispettate”35. Qualora il rischio di violazione dei covenant sia rilevante, comunicazione del rischio dovrebbe essere resa al mercato già
“nella prima rendicontazione contabile utile”, stante quanto
stabilito dallo IAS 1, che impone alla società di fornire informazioni integrative quando il rispetto delle specifiche disposizioni degli IFRS non consente agli utilizzatori del bilancio
di ottenere un quadro fedele della situazione patrimonialefinanziaria e del risultato economico della società36. Anche
gli standard contabili statunitensi richiedono nella rendicontazione contabile specifica segnalazione dei debiti assistiti da
covenants without imposing serious consequences on borrowing firms”
(Dichev, Skinner, 2001, p. 30). Si veda anche Chava e Roberts (2008, p.
2091).
31 L’art. 2428 c.c. prescrive che la Relazione sulla gestione contenga una
sezione dedicata alla descrizione dei principali rischi e incertezze a cui la
società è esposta.
32 Si tratta della cosiddetta clausola di salvaguardia, che limita la possibilità per l’obbligato di offrire in garanzia i suoi beni, subordinandola
alla preventiva autorizzazione del creditore garantito dalla clausola contrattuale.
33 Nella Comunicazione in oggetto si specifica che «Il criterio di significatività dovrà essere considerato in relazione, tra l’altro, alla probabilità
del verificarsi di eventi di default».
34 Comunicazione Consob n. DEM/6064293 del 28/07/2006.
35 Si veda Documento Banca d’Italia/Consob/Isvap n. 4 del 3 marzo
2010 par. 3, intitolato: Principio IFRS 7 – Clausole contrattuali nei debiti
finanziari.
36 Peraltro, lo stesso documento lamenta una certa resistenza delle società a adeguarsi a una tale frequenza di informativa.
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ECONOMIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
covenants e stabiliscono che, ai fini della loro collocazione
tra le passività correnti o non correnti, si tenga conto del rispetto di dette clausole (ASC 470-10-45-1; ASC 470-10-552 sino a 6). Quando la violazione di un covenant attribuisce
al creditore il diritto a esigere il rimborso del finanziamento,
la violazione dovrebbe comportare l’iscrizione del debito tra
le passività correnti; tuttavia, il creditore potrebbe rinunciare
al diritto al rimborso per un periodo superiore a un anno, pur
conservando la facoltà di agire per violazioni di covenant che
si verifichino dopo il periodo di sospensione. In questo caso
il debito dovrebbe essere classificato come non corrente, salvo che la violazione dei covenant sia avvenuta già alla data
di chiusura del bilancio - o si sarebbe verificata se creditore e
debitore non si fossero accordati per modificare le condizioni
del prestito - e si ritenga che il debitore non sia in grado di
rispettare i covenant alle date di verifica previste entro i successivi dodici mesi37.
Nulla vieta, inoltre, che gli accordi tra le parti disciplinino anche specifici obblighi di informativa, sì da rendere al
creditore una comunicazione non solo più tempestiva ma
anche più analitica, riducendo di fatto le asimmetrie informative (Holmstrom, 1979). Ne può esser esempio la richiesta
di verifica dei covenant sulla base di documenti informativi
interni di natura prospettica, quali budgets e piani industriali.
Tali clausole, come già visto, sono denominate information
covenants.
LA COERENZA TRA FINANCIAL COVENANT E LORO
FUNZIONE ECONOMICA
Si è già segnalato come uno tra gli indici più ricorrenti,
tanto nel contesto domestico quanto internazionale, sia quello ottenuto dal rapporto tra PFN38 ed EBITDA. Esso coniuga
un dato stock – PFN – con un dato di flusso – EBITDA –, sì
da superare il limite degli indicatori che attingono i valori
esclusivamente dallo stato patrimoniale, ossia dal prospetto
contabile dedicato alla rappresentazione del capitale di funzionamento a una specifica data: la data di chiusura del periodo amministrativo, e, in forza di ciò, capace di fornire solo
una visione statica della situazione patrimoniale e finanziaria
dell’azienda.
Il numeratore della frazione – la PFN – esprime il ricorso
a finanziamenti di terzi negoziati sul mercato dei capitali, al
netto della liquidità e delle attività di natura finanziaria non
strategiche. Maggiore è l’esposizione nei confronti di terzi
37 Esistono poi situazioni particolari disciplinate sempre
dal richiamato principio ASC 470-10-55 nei paragrafi 2 sino
a 6.
38 Va ricordato che la posizione finanziaria netta può essere variamente
calcolata. Qui la si intende ottenuta sottraendo dai debiti di finanziamento
tutte le attività di uguale natura finanziaria (interest bearing) non strategiche. Altre volte viene calcolata ponendo come minuendo le attività di
natura finanziaria e come sottraendo le passività relative alla stessa area
di gestione. Ancora, può scaturire dal confronto tra le passività di finanziamento, correnti e non correnti, e le sole attività finanziarie correnti. Si
veda in merito anche il principio OIC 6 dedicato alla “Ristrutturazione
del debito e informativa di bilancio”. Per una rassegna delle posizioni in
letteratura e nella prassi contabile si rinvia a Pizzo (2010).
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più vulnerabile è l’azienda, sia sul versante finanziario che
economico. Riguardo al primo aspetto – quello finanziario
– i debiti di finanziamento introducono un elemento di rigidità nella gestione, giacché impongono flussi in uscita per il
loro rimborso nelle modalità convenute. Ne discende anche
la necessità di provvedere a reperire fonti di finanziamento
sostitutive, essenziali per conservare il medesimo livello di
investimenti39.
Riguardo al secondo aspetto – quello economico –, l’onerosità esplicita dei debiti di finanziamento introduce un ulteriore elemento di rigidità per la gestione40.
Se la PFN esprime un valore statico, il confronto con l’EBITDA consente di recuperare una prospettiva dinamica.
L’EBITDA, infatti, è somma algebrica di flussi di reddito
della gestione corrente; dai flussi trae la sua natura cinetica.
Esso, tuttavia, include solo alcuni dei flussi suscitati dalle
operazioni di gestione corrente: i costi e ricavi di natura monetaria41 e le variazioni di magazzino. Si tratta di quei flussi
reddituali che furono la contropartita contabile di variazioni
finanziarie connesse ad operazioni di acquisto di materie e
servizi e di vendita di prodotti condotte nel corso del periodo amministrativo, operazioni ricomprese, appunto, sotto
la denominazione di gestione corrente. L’applicazione del
metodo della partita doppia nelle rilevazioni contabili comporta, infatti, in caso di operazioni di acquisto di materie e
servizi, l’annotazione di variazioni finanziarie che misurano
la contestuale formazione di costi e ricavi. Tali variazioni
finanziarie possono assumere la forma di uscite e entrate di
denaro o, in sostituzione, di accensione di debiti e di crediti
operativi. I costi e i ricavi monetari rappresentano, quindi, il
riflesso sul piano economico di movimentazioni finanziarie
altrimenti non desumibili dal prospetto di stato patrimoniale,
che delle poste di natura finanziaria sintetizza la sola consistenze finale alla data di chiusura del bilancio42. Questo fa sì
che i flussi finanziari della gestione corrente possano desumersi solo dalle variazioni economiche che dai primi furono
misurate. Poiché i flussi di reddito utilizzati per il calcolo
dell’EBITDA sono segnaletici di flussi finanziari, l’indicatore possiede la capacità di raccordare l’aspetto reddituale
con l’aspetto finanziario della gestione. Nella prospettiva
finanziaria esso diventa espressivo della liquidità potenzial39 L’azienda può recuperare le risorse necessarie nei tempi previsti per
far fronte alle uscite attese ricorrendo ai seguenti interventi: distogliere
risorse prodotte dalla gestione operativa per dirottarle sulla finanziaria; ricorrere a prestiti sostitutivi; aumentare la dotazione di capitali di proprietà.
40 La presenza degli oneri finanziari, che si possono considerare un costo
tendenzialmente fisso, amplifica la variabilità del risultato netto al variare
del reddito operativo ed introduce un ulteriore fattore di rischio. Si legga,
in merito: Gonnella (2013, pp. 95-98).
41 Tra le varie definizioni di costo e ricavo monetario si adotta qui la
seguente: “si definiscono «monetari» i C e R che derivano da scambi monetari e che, quindi, presuppongono un correlato regolamento monetario
o immediato (per pronta cassa) o differito, con la temporanea creazione
di debiti e crediti di regolamento. Sono «non monetari», invece, i ricavi e
i costi sospesi che sorgono quali rettifiche per realizzare la correlazione”
(Mella, 1992, pp.423-424).
42 Tali valori derivano dalla somma algebrica della consistenza di inizio
anno con le variazioni di natura finanziaria suscitate da tutte le operazioni
di gestione, fra cui quelle di natura corrente, non scindibili dalle altre.
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | ECONOMIA
mente generata e assorbita dalla gestione corrente nel corso
del periodo amministrativo di cui si rendiconta. L’inclusione nel calcolo dell’EBITDA della variazione del magazzino
conferma tale interpretazione, giacché le rimanenze finali e
le esistenze iniziali, qualunque sia la natura merceologica di
beni in magazzino e lo stato di avanzamento della loro lavorazione, possono essere interpretate, in termini finanziari,
come una stima di mancate entrate, mancate uscite e rettifiche di quest’ultime, ossia come ulteriori flussi di liquidità
potenziale della gestione corrente43. Nella prospettiva reddituale, l’EBITDA è talora preferito all’EBIT – Earning Before Interest Taxes – come indicatore di performance per il suo
contenuto meno soggettivo, in quanto la gran parte dei valori
reddituali oggetto di stima da parte del redattore del bilancio
sono a valle dell’EBITDA, ma a monte dell’EBIT.
L’insieme solidale di PFN ed EBITDA dà origine a un indicatore segnaletico della capacità di far fronte all’indebitamento finanziario netto ricorrendo ai flussi finanziari della
gestione corrente44; più precisamente, consente di stimare
gli anni teoricamente necessari all’estinzione del debito supponendo una stabilizzata attitudine della gestione operativa
quotidiana alla generazione dei flussi rilevati, nell’ipotesi,
molto forte, di assenza di fabbisogni ulteriori e di costanza
del capitale circolante netto operativo45.
Ugualmente utilizzato è l’indice espresso dal rapporto
tra EBITDA e oneri finanziari, in genere netti. Con esso si
intende sorvegliare la capacità dell’azienda di far fronte al
pagamento degli oneri finanziari con i proventi finanziari e,
per l’eccedenza, ricorrendo alla liquidità potenzialmente generata dalla gestione corrente; pertanto esso può essere letto
anche come indicatore della capacità dell’azienda di sostenere un ulteriore indebitamento. Fornisce un’informazione di
estremo interesse per i prestatori di capitale che si attendono
la restituzione del capitale e un prestabilito compenso per il
fattore della produzione prestato.
Talora l’indice è calcolato ponendo al numeratore, anziché
43 Per liquidità potenziale della gestione corrente può intendersi il complesso dei flussi in entrata e in uscita che si sarebbero manifestati nell’arco
del periodo amministrativo se l’azienda avesse venduto l’intera produzione disponibile e sostenuto nel periodo stesso tutte e sole le spese inerenti
a tale produzione, regolando le operazioni esclusivamente in contanti (Talarico, 2010, pp. 43-44).
44 In merito alla ricostruzione del flusso di liquidità della gestione corrente a partire dai flussi di reddito di veda: Gonnella (2014, pp. 192-194).
45 Si è già rilevato che L’EBITDA costituisce un flusso di liquidità potenziale. Una parte di questi flussi si saranno convertiti in liquidità effettiva, l’altra parte no. L’indice differisce dalla liquidità reale per l’effetto
prodotto dalla variazione del capitale circolante netto operativo, intesa
come somma algebrica delle variazioni dei crediti operativi, dei debiti
operativi e del magazzino. Innanzitutto impedisce alla liquidità potenziale
di convertirsi completamente in liquidità effettiva la presenza di crediti e
debiti operativi iscritti in contabilità alla fine del periodo amministrativo: i
primi rappresentano infatti mancate entrate; i secondi mancate uscite. Ma
la liquidità potenziale differisce dalla liquidità reale anche per la presenza
di flussi di liquidità in entrata e in uscita generati dalla riscossione e dai
pagamenti dei crediti e debiti operativi già presenti in contabilità all’inizio
del periodo amministrativo e di cui l’EBITDA non tiene conto. Parimenti,
va neutralizzato l’effetto del magazzino, che rappresenta una liquidità rimasta, nel periodo amministrativo, allo stato potenziale. Sul punto, per un
maggior approfondimento, si fa rinvio a Talarico (2010, pp. 63-67).
l’EBITDA, il reddito operativo o EBIT; in tal caso esso indica la sostenibilità dell’indebitamento finanziario in termini
di capacità del reddito operativo di far fronte al costo dell’indebitamento.
Altro indicatore che si è già individuato come uno dei più
presenti nei financial covenant è il rapporto tra Posizione Finanziaria Netta e Patrimonio Netto. Esso esprime il leverage,
ossia il grado di dipendenza o, viceversa, di autonomia patrimoniale dell’azienda rispetto a terzi prestatori di fondi sul
mercato dei capitali (Gonnella, 2013, p. 97).
Se la PFN – lo si è appena sottolineato – segnala un elemento di rigidità della gestione, limitando l’autonomia decisionale del management sotto l’aspetto finanziario ed economico, diversamente accade per il Patrimonio netto. È ben
noto, infatti, come il capitale di proprietà risulti stabilmente
vincolato alla gestione aziendale, senza obblighi di rimborsi46. Sotto il profilo economico, poi, il capitale di proprietà è
portatore di sole aspettative a una remunerazione residuale
adeguata al profilo di rischio dell’investimento47. L’aspettativa può convertirsi in un diritto solo nella misura in cui la gestione produca utili, la cui distribuzione è comunque subordinata a una delibera in tal senso dell’assemblea ordinaria.
CONCLUSIONI
L’analisi degli indicatori a cui i financial covenants fanno
in genere riferimento consente di formulare una prima risposta alla domanda di ricerca posta inizialmente48.
In ordine alla qualità dell’informativa, gli indici più utilizzati dalla prassi possiedono un’indubbia capacità segnaletica
dell’attitudine dell’azienda a far fronte alle proprie obbligazioni in denaro nei tempi concordati, sia nel breve sia nel
medio/lungo periodo, pur nei limiti imposto dalla derivazione dei dati dal bilancio di esercizio49. D’altro canto, poiché
traggono i valori esclusivamente dai prospetti di stato patrimoniale, conto economico, ed eventualmente dal rendiconto
finanziario, tali indicatori sono preferiti ad altri più complessi e sofisticati, ma proprio per questo confutabili.
La natura prevalentemente finanziaria degli indici, inoltre,
46 Fanno eccezione, naturalmente, fattispecie straordinarie come, ad
esempio, lo scioglimento e la liquidazione della società.
47 È evidente che la capacità degli apportatori di capitale di “pazientare”
in attesa di un’adeguata remunerazione del capitale di rischio apportato è
qualità assai variabile in funzione delle prerogative degli apportatori stessi
e della governance dell’azienda. Si pensi, a titolo di esempio, alla diversa
intensità del vincolo che lega l’imprenditore all’impresa di famiglia rispetto alla caducità del legame tra azienda quotata e azionisti speculatori.
48 La cautela mostrata nel trarre le conclusioni deriva dalla limitata base
di osservazione empirica di cui si è disposto per il seguente lavoro e a cui
si è già fatto cenno nel § 4.
49 Sui limiti dell’informativa di bilancio in merito alla capacità di prospettare correttamente le condizioni di futuro equilibrio dell’azienda, sotto
il profilo finanziario ed economico, non si ritiene opportuno soffermarsi,
esulando l’argomento dalla nostra domanda di ricerca; pertanto si accenna
solamente al contenuto prevalentemente storico dell’informativa di bilancio, che, come rilevato in precedenza, può solo condurre il lettore a formulare delle aspettative fondate su andamenti pregressi, e alla ineludibile
presenza di valori stimati e congetturati a cui, tuttavia, un’attenta selezione
degli indicatori può almeno in parte ovviare.
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ECONOMIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
consente un immediato collegamento con il grado di solvibilità dell’azienda e ne favorisce la neutralità: minore è la
presenza di valori oggetto di stima, minore è la possibilità
di dar corso a comportamenti opportunistici da parte degli
amministratori50.
In conclusione, pare di poter affermare che gli indicatori
esaminati presentino un buon compromesso tra efficienza ed
efficacia, ossia tra semplicità di calcolo e affidabilità informativa51.
È evidente che tutti gli indicatori richiamati possono essere di solo ausilio alla prospettazione degli andamenti futuri,
giacché la gestione trascorsa, trasfusa nei dati contabili sulla
cui base gli indici sono calcolati, non sarà mai ripetibile e le
ipotesi soggiacenti alle valutazioni di fine esercizio potranno
essere verificate nella loro conformità alla realtà solo a posteriori e con esclusione dei valori congetturati52.
Con riferimento, poi, alla tempestività, se gli obblighi di
legge paiono troppo blandi in merito, nulla vieta che le parti
concordino verifiche più frequenti tali da consentire di allertare le parti appena segnali deboli di criticità comincino
a manifestarsi.
Esistono, in definitiva, gli strumenti affinché i financial covenant siano coerenti con le funzioni che autorevole dottrina
economica assegna loro, ossia il passaggio dei residual control rights in capo al lender quando performance aziendali
negative lo rendano necessario. Il passaggio non sarà in genere improvviso. La capacità degli indicatori di cogliere segnali ‘deboli’ di difficoltà, appena essi iniziano a manifestarsi, prima che risultino di tutta evidenza, permette di esercitare un’interferenza sugli organi amministrativi aziendali più
blanda di quella che si rende necessaria quando i covenant
sono ormai violati, ma particolarmente efficace per la sua
tempestività. Lo strumento, se ben concordato e utilizzato,
è idoneo a indirizzare il management verso comportamenti
orientati all’obiettivo di massimizzare il valore dell’impresa
(Damodaran, p. 230 ss.), facendo opportunamente leva sulla
forza dissuasiva che i portatori di capitale di credito possiedono verso atteggiamenti opportunistici manageriali.
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50 Tali comportamenti sono noti nel contesto internazionale con la locuzione earning management. In merito a tale requisito, è fondamentale che
le parti concordino le voci di bilancio da comprendere nel calcolo degli
indicatori, anche alla luce dei criteri di valutazione adottati e di eventuali
cambiamenti degli stessi.
51 Gli indicatori più utilizzati sono ottenibili da una semplice riclassificazione dello stato patrimoniale e del conto economico; alcuni di questi, poi,
sono comunque oggetto di calcolo e di comunicazione indipendentemente
dalla presenza di financial covenant, poiché sono in genere considerati tra
gli indicatori che l’art. 2428 c.c., II comma, prescrive figurino nella Relazione degli amministratori sulla gestione. È evidente il costo contenuto per
l’acquisizione delle informazioni e le elaborazioni necessarie al calcolo
degli indici.
52 Si pensi alle congetture formulate per la determinazione delle quote
di ammortamento.
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SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | INGEGNERIA ELETTRONICA
Elettrocardiografia digitale ad
alta risoluzione con potenzialità
diagnostiche avanzate
AGOSTINO GIORGIO
Dipartimento di Ingegneria Elettrica e dell’Informazione, Politecnico di Bari
1. INTRODUZIONE
L’elettrocardiogramma (ECG) è una tecnica non invasiva
che registra l’attività elettrica cardiaca.
I potenziali ventricolari ritardati (Ventricular Late Potentials, VLP) sono particolari anomalie del segnale elettrocardiografico che si presentano molto precocemente in soggetti
ad alto rischio di aritmia. Essi si manifestano come segnali
elettrici di piccolissima entità e fortemente localizzati sia nel
tempo che in frequenza, rendendo il loro rilevamento ottimale molto difficoltoso ed attualmente ancora oggetto di studi.
Il rilevamento dei VLP attualmente non rientra nella pratica clinica soprattutto per le caratteristiche degli elettrocardiografi commerciali non idonee al loro rilevamento che,
invece, consentirebbe una diagnosi precoce di aritmie talvolta letali soprattutto in soggetti con pregressa necrosi del
miocardio.
Per un efficace rilevamento dei VLP è necessario un hardware di acquisizione del segnale ECG ad alta risoluzione
ed a larga banda (rispetto a quella tipica del segnale ECG), e
l’implementazione di un efficace algoritmo di processing del
segnale acquisito.
Con le attuali potenzialità dei convertitori analogico digitali (ADC) e dei System on Chip (SoC) basati soprattutto su
dispositivi logici programmabili (PLD), in particolare sugli
FPGA (Field Programmable Gate Array) in grado di elaborare in tempo reale grandi volumi di dati, è possibile sviluppare
elettrocardiografi di nuova generazione con potenzialità diagnostiche avanzate, tra cui il rilevamento dei VLP.
In questo lavoro, pertanto, si descrive come ciò sia possibile soffermandosi in modo particolare sulla descrizione di
un metodo per il rilevamento di VLP a partire dal segnale
elettrocardiografico acquisito ad alta risoluzione ed opportunamente elaborato.
A tal fine, nel paragrafo 2 viene introdotta sinteticamente
l’anatomia e la fisiologia del cuore, soffermandosi principalmente sugli aspetti di interesse per lo studio dei VLP. Nel
paragrafo 3 si delinea lo stato dell’arte del rilevamento dei
VLP, con riferimento alle tecniche di processing più note ed
efficaci proposte in letteratura. In particolare ci si sofferma
sui metodi di filtraggio del rumore (denoising), per migliorare l’efficacia del rilevamento. Nel paragrafo 4 viene descritto
il nuovo algoritmo proposto e con relativi risultati (paragrafo
5) di rilevamento su un data base di segnali acquisiti, per poi
trarre importanti conclusioni ed indicazioni sugli sviluppi futuri di questo tipo di ricerca.
2. IL CUORE E IL SEGNALE
ELETTROCARDIOGRAFICO
2.1 Cenni di anatomia e fisiologia del cuore
Il cuore è una pompa a prevalente composizione muscolare. Esso fornisce al sangue la pressione necessaria per irrorare
ogni singola cellula dell’organismo mediante un complesso
circuito chiuso di vasi sanguigni, il sistema cardiovascolare.
La parte interna del cuore è suddivisa in quattro cavità, due
superiori chiamate atrii e due inferiori, i ventricoli. I ventricoli sono considerevolmente più grandi rispetto agli atrii in
quanto svolgono un lavoro di pompaggio maggiore.
La parte muscolare del cuore è denominata miocardio ed
è costituita da cellule contrattili. La mancanza di afflusso di
sangue (ischemia) porta alla morte delle cellule in brevissimo tempo. Anche le stesse cellule cardiache necessitano
quindi di un continuo afflusso di sangue; in particolare la
morte per ischemia delle cellule del miocardio è denominata
infarto miocardico.
Il cuore è dotato anche di un sistema di conduzione, costituito da quattro strutture: il nodo seno-atriale (nodo SA),
il nodo atrio-ventricolare (nodo AV), il fascio di His e le
fibre di Purkinje. Esse sono formate da cellule in grado di
generare e condurre un’onda elettrica (potenziale d’azione)
attraverso il cuore.
69
INGEGNERIA ELETTRONICA | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
2.2 Il ciclo cardiaco
Il ciclo cardiaco comprende tutti gli eventi che si verificano fra l’inizio di un battito cardiaco e l’inizio del successivo.
Esso è costituito da una fase di contrazione (sistole) e una
di rilassamento (diastole), sia dei ventricoli che degli atrii.
Questi fenomeni di tipo meccanico sono regolati da impulsi elettrici, che garantiscono il corretto susseguirsi dei cicli.
L’impulso ha origine nel nodo SA, il quale è costituito da
cellule auto-ritmiche. Esso fornisce quindi impulsi a intervalli regolari senza alcuna stimolazione da parte del sistema
nervoso, per questo è anche denominato pacemaker.
2.3 L’origine dell’attività elettrica
Le cellule del miocardio, in condizione di riposo (diastole
elettrica), presentano un potenziale di membrana negativo,
circa -90mV. Questo è dovuto ad una differente permeabilità della membrana cellulare nei confronti degli ioni presenti nel liquido intracellulare ed extracellulare. In particolare
la cellula miocardica è maggiormente permeabile allo ione
potassio (K+) rispetto allo ione sodio (Na+) entrambi abbondanti nel liquido extracellulare, quindi lo ione K+ si diffonde
facilmente all’interno della cellula. Al contrario lo ione Na+,
oltre ad avere una lenta velocità di diffusione, viene espulso mediante un’azione di pompaggio biochimico (pompa
sodio-potassio). Questa differenza di concentrazione ionica
fra interno ed esterno della cellula è la causa del potenziale
di riposo negativo.
Uno stimolo di tipo elettrico, come il potenziale d’azione generato dal nodo SA, agisce sulla cellula aumentandone rapidamente la permeabilità nei confronti degli ioni Na+.
L’effetto è quindi una rapida depolarizzazione (per questo
l’onda è anche chiamata “onda di depolarizzazione”) e, per
impulsi sufficientemente ampi e lunghi, anche un’inversione
di polarità (overshoot).
I potenziali d’azione si sviluppano dal nodo SA. Le particolari cellule che formano questo nodo, dette “cellule pacemaker”, sono caratterizzate dal non avere un vero e proprio potenziale di riposo. Ad ogni ciclo cardiaco partono da
un potenziale di membrana di -65mV (in modulo più basso
rispetto alle cellule miocardiche) e inizia la fase di depolarizzazione, come se dovessero raggiungere il normale potenziale di riposo. Quando però arrivano ad un potenziale di
-50mV (potenziale di soglia), esse generano spontaneamente
il successivo potenziale d’azione, facendo ripartire il ciclo.
Anche le cellule che compongono le altre strutture del sistema di conduzione sono auto-ritmiche, ma con una frequenza
inferiore rispetto al nodo SA. Quindi, se quest’ultimo non
dovesse più generare spontaneamente impulsi, essi partirebbero da un altro punto del cuore, non consentendo la corretta
propagazione dell’onda di depolarizzazione.
2.4 L’elettrocardiogramma (ECG)
L’elettrocardiogramma è la registrazione delle correnti di
azione del cuore (o correnti di conduzione). Esso si basa sul
fenomeno di diffusione del campo elettrico generato dai dipoli elettrici, mediante i quali vengono modellate le singole
70
fibre cardiache, attraverso il liquido interstiziale (soluzione
acquosa presente fra le cellule), che può quindi essere misurato mediante appositi elettrodi posti sulla cute.
Si definisce derivazione la congiungente tra due elettrodi,
e quindi il segnale misurato ai loro capi.
Ogni principale fase del ciclo cardiaco si manifesta sul segnale elettrocardiografico come un’onda. Einthoven, uno dei
primi studiosi ad analizzare approfonditamente un segnale
ECG, denominò queste onde P, Q, R, S, T (figura 1).
Di seguito si illustrano i punti caratteristici del segnale in
figura 1 (tracciato ECG), evidenziandone l’evento cardiaco
associato:
Fig. 1 – Segnale ECG tipico
INTERVALLO RR (600-1200 msec): tempo fra un’onda
R e la successiva.
ONDA P (80 msec): dovuta alla depolarizzazione atriale.
INTERVALLO PR (120-200 msec): tempo fra l’inizio
dell’onda P e l’inizio del successivo complesso QRS. Indica il tempo trascorso dalla generazione dell’impulso al suo
arrivo ai ventricoli.
COMPLESSO QRS (80-120 msec): comprende la veloce
depolarizzazione dei ventricoli. E’ formato da tre onde distinte: l’onda Q (negativa, corrisponde alla depolarizzazione del setto interventricolare, cioè la parete di separazione
fra i due ventricoli), l’onda R (caratterizzata da un picco
di notevole ampiezza e positiva, picco dovuto alla depolarizzazione dell’apice del ventricolo sinistro) e l’onda S
(negativa e piccola di ampiezza, corrisponde alla depolarizzazione basale del ventricolo). In questa fase avviene
anche la ripolarizzazione atriale, ma il segnale è coperto
da quello generato dalla depolarizzazione ventricolare per
cui non risulta visibile sul tracciato.
PUNTO J: Punto in cui termina il complesso QRS e inizia il tratto ST, utile come riferimento in molte analisi ed
elaborazioni del segnale ECG, inclusa quella finalizzata al
rilevamento dei VLP, come di seguito meglio specificato.
TRATTO ST (80-120 msec): tempo fra la fine del complesso QRS e l’inizio dell’onda T. In questa fase i ventricoli
sono depolarizzati.
ONDA T (160 msec): dovuta alla ripolarizzazione ventricolare.
INTERVALLO QT (300-430 msec): tempo fra l’inizio del
complesso QRS e il termine della successiva onda T.
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | INGEGNERIA ELETTRONICA
3. STATO DELL’ARTE
3.1 Caratteristiche generali dei VLP
I VLP, come già accennato, sono segnali di bassissima intensità e con componenti ad alta frequenza (in relazione alla
banda del segnale elettrocardiografico), presenti al termine
del complesso QRS e nella parte iniziale del tratto ST. A causa della loro ampiezza assai esigua, molto spesso i VLP sono
“sepolti” al di sotto del rumore generato dall’apparecchiatura e proveniente dai disturbi dovuti ad attività elettriche
non riconducibili al cuore. Per questo tali segnali non sono
rilevabili tramite un’analisi visiva dell’ECG.
La presenza di VLP nel segnale elettrocardiografico è tipica in individui con tessuti del miocardio ventricolare danneggiati, ad esempio da pregressa necrosi. La necrosi, infatti, o morte ischemica delle cellule miocardiche, provoca un
aumento significativo della resistività dei tessuti danneggiati
e di conseguenza un ritardo nella propagazione del potenziale d’azione cardiaco. Nei tessuti necrotici, che sono aree
ad elevata resistenza, la contrazione viene ritardata. Questo
fenomeno si ripercuote sul segnale elettrocardiografico, in
cui si rileva la presenza di attività elettrica, seppur di bassa
intensità, nel tratto ST, dove dovrebbe essere assente. Questa
attività elettrica atipica determina la presenza di onde di bassissima intensità nel tratto ST, i potenziali ritardati.
Un modello molto approssimato ma indicativo di tracciato
ECG senza e con presenza di VLP è schematizzato in figura
2 a e b rispettivamente.
Fig. 2 - Schema del segnale ECG senza VLP (a) e con VLP (b).
Tramite diversi studi di tipo statistico è stata osservata una
correlazione fra la presenza di VLP nel segnale elettrocardiografico e l’insorgenza di aritmie anche gravi con la possibilità di morte aritmica improvvisa. I soggetti con precedenti
eventi ischemici sono quelli più a rischio.
Rilevando, quindi, correttamente e tempestivamente eventuali VLP sul tracciato ECG di questi pazienti, è possibile
prevenire l’insorgere di aritmie maligne (2).
Il segnale elettrocardiografico ha ampiezza dell’ordine del
mV e contiene la maggior parte delle informazioni a frequenze inferiori ai 100 Hz. I VLP, se presenti, sono segnali non
stazionari e non gaussiani con ampiezza compresa fra 1 µV e
20 µV, e banda 40-300 Hz (3)
In Figura 3 sono riassunte tutte le principali caratteristiche
dei VLP.
Fig. 3 - Caratteristiche riassuntive dei VLP
L’ampiezza ridotta e l’elevata dispersione in frequenza
rendono il loro rilevamento molto difficoltoso, spesso il solo
rumore ha intensità maggiore. Vi è quindi la necessità innanzitutto di processare il segnale in modo da ridurre drasticamente il livello di rumore, prima di cercare i VLP.
3.2 Tecniche di rilevamento dei VLP
I primi studi sul rilevamento dei VLP per diagnostica preventiva risalgono, in letteratura, alla seconda metà degli anni
’80.
I metodi sviluppati erano basati su analisi effettuate sui
singoli battiti nel dominio del tempo, metodi tutt’ora validi
e perfezionati grazie all’impiego di algoritmi e strumenti di
calcolo sempre più accurati e veloci.
3.2.1 SAECG
Per ridurre la potenza del rumore uno dei primi metodi ad
essere sviluppato, molto efficace ed utilizzato preliminarmente in tutti gli algoritmi di rilevamento dei VLP, è il calcolo dell’SAECG (Signal Averaged ElectroCardiography).
Esso si basa sul principio secondo il quale mediando N realizzazioni di un processo stazionario a distribuzione gaussiana, se ne riduce la varianza di un fattore N.
I singoli battiti di un elettrocardiogramma possono essere
considerati realizzazioni di un processo avente una componente aleatoria da eliminare, il rumore, e una componente
deterministica, il segnale utile.
L’SAECG si ottiene quindi calcolando una media dei campioni su tutti i battiti acquisiti, per ottenere un battito caratteristico “medio” avente un livello di rumore talmente ridotto
da consentire il rilevamento di segnali di piccola intensità
come i VLP, che altrimenti sarebbero sommersi dal rumore
ovvero non rilevabili.
Evidentemente l’SAECG può essere calcolato solo dopo
aver acquisito un numero adeguato di battiti ovvero dopo
aver acquisito il segnale ECG per un tempo sufficientemente
lungo. Pertanto, non è uno strumento di denosing adatto ad
applicazioni in tempo reale.
Inoltre, per il calcolo dell’SAECG occorre garantire il corretto allineamento dei battiti, fondamentale per lasciare invariata la componente deterministica del segnale, che è quella
utile, su cui rilevare i VLP; anche un leggero sfasamento fra
i battiti nel calcolo dell’SAECG può rendere inefficace il me71
INGEGNERIA ELETTRONICA | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
todo.
Esistono diverse tecniche per effettuare questa operazione
di allineamento di cui la più accurata è basata sul filtraggio
adattato (4) e la cross-correlazione fra i battiti per individuare gli istanti di massima sovrapposizione ovvero di massimo
allineamento.
Il filtraggio adattato è un classico metodo per il rilevamento di un segnale noto s(t), in presenza di rumore additivo
gaussiano bianco.
Se si considera il segnale elettrocardiografico x(t) come
somma di un segnale deterministico s(t) e una componente
di rumore n(t), il filtraggio adattato risulta come in figura 4
caratteristici (5), che possono quindi essere utilizzati come
indicatori della presenza o meno dei potenziali ritardati. Tali
parametri, rappresentati in figura 6 insieme ad un tipico grafico di VM, sono così definiti:
QRSd – Durata del complesso QRS.
VRMS – Valore efficace della tensione presente negli ultimi
40 msec del complesso QRS.
LAS – Tempo in cui il complesso QRS ha un valore che
resta sotto i 40µV.
Fig. 4 - Filtro adattato
La risposta all’impulso s(-t) del filtro è riferita ad un battito
template di riferimento sT(t). Il segnale in uscita al filtro, y(t),
sarà costituito da picchi, facilmente localizzabili, corrispondenti agli istanti di perfetto allineamento tra i battiti.
3.2.2 Vector Magnitude
La fase di riduzione del rumore del segnale ECG per quanto essenziale ai fini del rilevamento dei VLP non ne comporta
ancora il rilevamento vero e proprio, per il quale è necessaria
una ulteriore elaborazione, finalizzata a verificare la presenza
di attività elettrica del cuore nella parte iniziale del tratto ST.
Per fare ciò si è introdotto un altro segnale calcolato direttamente dal tracciato ECG sottoposto a denoising (SAECG),
il Vector Magnitude (VM), il quale quantifica l’energia misurata dalle tre derivazioni bipolari, mostrate in figura 5 che
costituiscono il cosiddetto triangolo di Einthoven:
Fig. 5 – Derivazioni bipolari per l’acquisizione del segnale ECG e
triangolo di Einthoven
L’espressione analitica del VM è la seguente:
Dove: X(t), Y(t) e Z(t) sono gli SAECG relativi alle tre
derivazioni I, II, III rispettivamente.
Analizzando i VM di numerosi tracciati, si è notato che
la presenza di VLP influisce sul valore di alcuni parametri
72
Fig. 6 – Tipico grafico di Vector Magnitude in funzione del tempo con
indicazione dei parametri caratteristici sensibili alla presenza dei VLP
Su base statistica si è stabilito che il VM relativo ad un
soggetto sano deve rispettare le seguenti soglie di “normalità”:
QRSd > 114 msec
VRMS < 20 µV
LAS > 38 msec
Il problema principale degli algoritmi di rilevamento basati sul calcolo di questi parametri e del successivo confronto
con le soglie di “normalità” è nella corretta determinazione
del punto di riferimento per il calcolo di questi parametri,
detto punto J, che indica l’istante in cui ha termine il complesso QRS.
Utilizzare una tensione di soglia per determinare il punto
risulta efficace solo con SAECG ricavati da lunghissime registrazioni, anche di ore. Questo risulta evidentemente poco
pratico.
Col tempo sono stati introdotti altri metodi per la localizzazione del punto J, sempre più precisi. Si cita in particolare quello sviluppato da I.R. Legarreta, P.S. Addison,
N.R. Grubb, G.R. Clegg, C.E. Robertson e J.N. Watson (7).
L’idea di base è quella di considerare come riferimento per
il calcolo dei parametri caratteristici non più una soglia di
ampiezza ma una soglia di energia, impostata in relazione al
livello di rumore misurato all’interno dell’SAECG.
Un ulteriore incremento di accuratezza nel rilevamento
dei VLP si è avuto con l’introduzione delle rappresentazioni
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | INGEGNERIA ELETTRONICA
in tempo-frequenza (TFR, Time-Frequency Representation)
del segnale ECG, per via della forte localizzazione sia temporale che in frequenza dei potenziali ritardati.
Diversamente dai parametri QRSd, LAS e VRMS, non si
è ancora standardizzato un criterio riferito a questo nuovo
approccio (soglie di “normalità”), tutt’oggi ancora oggetto
di studi e test.
Utilizzando la TFR del segnale ECG è possibile calcolare
l’energia delle sole componenti di segnale di interesse. Un
ECG in cui vi sia presenza di attività elettrica nel tratto ST
possiede un’energia maggiore rispetto all’ECG di un individuo sano. Su questo principio si basa la tecnica sviluppata
da L.L. Orosco e E. Laciar (2), i quali inoltre confrontano
l’efficacia fra le tre TFR più diffuse, ovvero: la Short-Time
Fourier Transform (STFT), la Wigner-Ville Distribution e la
Choi-Williams Distribution,
I parametri caratteristici introdotti dagli autori sono riferiti
alle energie normalizzate misurate in un intorno del punto J
(EVLP), su tutto il complesso QRS (EQRS) e sull’intero segnale
(ETOT), limitate in frequenza alla banda dei VLP.
I corrispondenti parametri caratteristici normalizzati sono
definiti come:
V.P. Shanthiprabha (8), i quali non utilizzano però le rappresentazioni tempo-frequenza.
Si è ritenuto quindi fondamentale, in questo lavoro, adattare il nuovo metodo di rilevamento dei VLP anche ad analisi
in tempo reale per avere la possibilità di rilevare VLP anche
durante un’acquisizione continua.
Rispetto allo stato dell’arte, oltre a sfruttare i punti di forza
delle più efficaci tecniche disponibili, l’algoritmo sviluppato
e descritto in questo lavoro presenta i seguenti vantaggi:
Utilizzo di due tecniche di denoising: l’SAECG e il denoising wavelet. La loro applicazione contemporanea permette
un miglior risultato rispetto allo stato dell’arte per segnali di
lunga durata. L’impiego del solo denoising wavelet, inoltre,
consente di adattare l’algoritmo ad elaborazioni in tempo reale, dove l’SAECG non può essere utilizzato.
Maggiore accuratezza nel rilevamento rispetto allo stato
dell’arte grazie all’utilizzo di parametri sensibili alla presenza dei VLP il cui valore risulta indipendente dalla posizione
del punto J che risulta sempre di difficile determinazione a
discapito dell’affidabilità del rilevamento.
Adattamento del metodo per l’analisi in tempo reale con
acquisizione continua dell’ECG.
Utilizzo combinato di denoising wavelet e rappresentazioni tempo-frequenza con conseguente incremento dell’accuratezza per rilevamento in tempo reale.
4. NUOVO ALGORITMO DI RILEVAMENTO DEI VLP
Dai test effettuati (2) è emerso che la trasformata che fornisce i migliori risultati è quella di Wigner-Ville, al contrario
la meno affidabile è risultata la STFT.
Il più recente sviluppo per il rilevamento di VLP è avvenuto con l’utilizzo di tecniche di denoising alternative all’SAECG, basate sulla trasformata wavelet.
Il principale vantaggio è quello di poter ottenere un’efficacia elevata di denoising anche con registrazioni di breve
durata, dove l’SAECG di contro risulta poco efficace.
Risultati accettabili si sono ottenuti anche con l’impiego
della trasformata wavelet in applicazioni di denoising in tempo reale (8), quindi senza l’ausilio dell’SAECG che richiede
invece l’acquisizione di un elevato numero di battiti per ridurre il livello di rumore e quindi non è adatto ad applicazioni in tempo reale.
Per quanto concerne il denoising in tempo reale del segnale ECG con l’impiego della sola trasformata wavelet, in
letteratura sono presenti pochi riferimenti, come l’algoritmo
introdotto da R. Sivakumar, B. Muralikumar, B. Saranya e
4.1 Descrizione generale
Il lavoro svolto è mirato al rilevamento dei VLP in due
diverse condizioni operative: analisi dell’ECG successivamente alla sua acquisizione (elaborazione del segnale ECG
in differita) e analisi in tempo reale.
Il segnale ECG deve essere acquisito ad alta risoluzione:
16 bit o meglio ancora 24 bit, e ad una frequenza di campionamento di almeno 1Khz.
Il metodo proposto si divide in due principali fasi di elaborazione del segnale, denominate: “pre-elaborazione”, con
lo scopo di ridurre il livello di rumore presente nel segnale, e
“rilevamento”, che consiste nel calcolo dei parametri caratteristici precedentemente definiti, con conseguente confronto
con le soglie di “normalità” per produrre la diagnosi.
In figura 8 sono elencati tutti i passi di elaborazione effettuati dall’algoritmo, descritti in dettaglio in seguito.
73
INGEGNERIA ELETTRONICA | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
Fig. 9 - Effetto del filtro Butterworth sul segnale.
Fig. 8 - Diagramma di flusso generale dell’algoritmo di rilevamento
dei VLP.
Il passo successivo è il calcolo dell’SAECG, sfruttando
tutti i battiti a disposizione. Per questa operazione risulta
fondamentale il corretto allineamento fra i singoli battiti. A
tal fine si sfrutta il filtraggio adattato e la cross-correlazione
fra un battito template, scelto in un punto dell’ECG in cui il
soggetto è a riposo, e l’intero segnale, per stabilire gli istanti
di perfetto allineamento. Il risultato di questa operazione è
visibile in figura 10.
4.2 Pre-elaborazione
Per la verifica dell’algoritmo sono stati utilizzati segnali
elettrocardiografici reali (9), campionati ad alta risoluzione
ad una frequenza di 1kHz, con 0.5 µV/LSB e durata di circa
2 minuti. L’acquisizione è stata eseguita da 15 derivazioni: le
12 convenzionali e 3 le ortogonali.
La prima operazione consiste nel filtraggio del segnale
acquisito. Essa svolge contemporaneamente due funzioni:
la prima è quella di eliminare la componente continua e le
oscillazioni a bassa frequenza, dovute ad esempio alla respirazione, la seconda è quella di limitare la banda alle sole
componenti di interesse, per limitare il rumore.
Gli studi svolti da Raimon Jane, Pablo Laguna e Pere Caminal (10) hanno dimostrato la maggiore efficacia dei filtri a
fase non lineare per questa applicazione. In particolare il filtro con in quale si sono ottenuti i migliori risultati è un filtro
passabanda Butterworth del quarto ordine, con frequenze di
taglio a 25 Hz e 300 Hz. In figura 9 è visibile il suo effetto su
un segnale ECG.
Fig. 10 - Cross-correlazione fra battito template e segnale. Sono
indicati i picchi da considerare per l’allineamento.
I picchi della cross-correlazione, indicati in fig. 10, identificano la traslazione temporale che deve subire ogni battito
della sequenza acquisita (tracciato) per essere ottimamente
allineato al template.
Determinati gli istanti di allineamento, il calcolo dell’SAECG risulta immediato e si limita semplicemente ad
allineare i singoli battiti e a calcolarne la media istante per
istante, ripetendo l’operazione per ogni derivazione disponibile. In figura 11 è rappresentato un esempio di SAECG.
Fig. 11 - Esempio di SAECG
74
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | INGEGNERIA ELETTRONICA
Talvolta si riscontra nel tracciato la presenza di picchi in
frequenza, localizzati alla frequenza di 50 Hz e sue armoniche, dovuta ad uno scarso filtraggio della frequenza di rete in
fase di acquisizione del segnale ECG. E’ necessario eliminare queste componenti mediante dei filtri a spillo del secondo
ordine, con banda attenuata di 5 Hz intorno al picco rilevato.
In figura 12 è rappresentato lo spettro del segnale prima e
dopo l’applicazione del filtro a spillo.
Fig. 14 - VM classico (in alto) e VMTOT considerando tutte le
derivazioni (in basso).
Fig. 12 - Segnale e relativo spettro prima (in alto) e dopo il filtraggio a
spillo (in basso).
Per migliorare ulteriormente il denoising del segnale, soprattutto per tracciati di breve durata e per tracciati processati in tempo reale, in fase di pre-elaborazione viene eseguito
un’ulteriore filtraggio del rumore tramite la tecnica del denoising wavelet (famiglia Coiflet 5).
In figura 13 è evidente la notevole efficacia del denoising
wavelet su un SAECG, ovvero su un ECG già filtrato.
4.3 Rilevamento
Terminata la fase di pre-elaborazione con il calcolo del
VM, segnale direttamente proveniente dall’ECG ma a ridotto contenuto di rumore, si passa alla fase di rilevamento dei
VLP tramite una opportuna analisi del VM.
Per una corretta analisi è necessario ancora una volta stimare il livello di rumore residuo nel segnale. A questo scopo si è utilizzata una variante del metodo introdotto da I.R.
Legarreta, P.S. Addison, N.R. Grubb, G.R. Clegg, C.E. Robertson e J.N. Watson (7).
Il segnale, cioè, viene suddiviso in intervalli di 10 msec e
viene calcolata l’energia contenuta in ognuno di questi tratti. Considerando che almeno in uno di essi vi sia assenza di
attività elettrica cardiaca, si assume che la più bassa energia
misurata sia associata al solo rumore.
La localizzazione del punto J, che indica l’istante in cui
termina il complesso QRS in un ciclo cardiaco, va quindi
effettuata in relazione all’energia di rumore stimata.
In presenza di VLP il punto J risulta ritardato rispetto ad un
ECG sano, come si può notare in figura 15.
avelet su un SAECG, ovvero su un ECG già filtrato.
Fig. 13 - Esempio di SAECG prima (in alto) e dopo (in basso) il
denoising wavelet.
L’ultimo passo della pre-elaborazione consiste nel calcolo del VM a partire dall’SAECG filtrato wavelet. Il calcolo
viene esteso a tutte le derivazioni disponibili (VMTOT), per
una maggiore accuratezza nel rilevamento di eventuali VLP:
dove xn rappresenta l’SAECG della derivazione n-esima.
Il risultato finale della fase di pre-elaborazione è quindi il
VM la cui rappresentazione grafica tipica è in figura 14.
Fig. 15 - Localizzazione temporale del punto J in assenza (in alto) e in
presenza (in basso) di VLP.
Vengono, pertanto, impostate due soglie di energia, una
per la localizzazione del punto J, quindi molto prossima a
quella di rumore, ed una per la localizzazione del punto denominato QRSoff, il quale indica il termine del complesso
QRS in assenza di VLP ovvero prima che essi si presentino,
la cui utilità sarà di seguito meglio specificata.
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INGEGNERIA ELETTRONICA | SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015
Partendo dal picco dell’onda R, facilmente rilevabile grazie alla sua notevole ampiezza, si confronta punto per punto
l’energia misurata con quella delle soglie e, nel caso risulti
inferiore, il punto in esame viene identificato come punto J
altrimenti come punto QRSoff.
Conoscendo la posizione del punto J è possibile calcolare i parametri temporali precedentemente definiti, sensibili
alla presenza dei VLP, e denominati: QRSd, LAS40 (ovvero
LAS) e RMS40 (ovvero VRMS).
Il parametro QRSd fornisce una misura della durata
dell’intero complesso QRS, inclusa cioè la zona di tracciato
che registra attività elettrica dovuta ai VLP, se presenti.
Il picco dell’onda R viene utilizzato come punto di riferimento per la misura del QRSd che rappresenta, in definitiva,
la distanza temporale fra l’onda R e il punto J, come rappresentato in figura 16. In figura 17 e 18 sono rappresentati, su
un VM in cui sono presenti VLP, anche i parametri LAS40 e
RMS40, rispettivamente.
Determinati i parametri temporali indicatori della presenza
dei VLP, per una diagnosi più affidabile si procede con il
calcolo dei parametri tempo-frequenza sensibili alla presenza dei VLP.
Infatti, il passo successivo di elaborazione consiste nel calcolo della trasformata tempo-frequenza del VM tramite la
rappresentazione di Wigner-Ville.
Il risultato di questa operazione è una matrice a due dimensioni (TFR), con un numero di righe pari a N, corrispondenti
alle frequenze, e con un numero di colonne pari ai campioni
nel tempo del segnale in ingresso.
In figura 19 è visibile un esempio di distribuzione di Wigner-Ville, nel piano tempo-frequenza e in una rappresentazione a tre dimensioni.
Fig. 16 – Parametro temporale QRSd
Fig. 19 - Rappresentazione del segnale (in alto) e della sua
distribuzione di WV (in basso) nel piano tempo frequenza e in 3D.
Fig. 17 – Parametro temporale LAS40
76
0
La finestra evidenziata in rosso è la zona in cui vanno cercati i VLP, la sua localizzazione è essenziale per una corretta
diagnosi e viene determinata su base statistica.
L’energia calcolata all’interno di questa finestra è denominata EVLP:
Fig. 18 – Parametro temporale RMS40
Dove: k1 è un fattore di normalizzazione pari al prodotto fra
i campioni considerati nel tempo e quelli in frequenza.
La misura di energia necessita però di una normalizzazione, per rendere confrontabili i valori. Si è scelto di normaliz-
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | INGEGNERIA ELETTRONICA
zare rispetto all’energia del segnale dal picco dell’onda R al
termine del complesso:
Dove: k2 è un fattore analogo a k1.
Il parametro normalizzato risulta quindi:
L’accuratezza del rilevamento dei VLP viene ulteriormente migliorata definendo un altro parametro caratteristico in
frequenza, dipendente dal parametro temporale QRSoff a sua
volta determinabile con accuratezza ancora maggiore rispetto al punto J per via della sua maggiore ampiezza.
Misurando l’energia contenuta in un tratto immediatamente successivo all’istante QRSoff, è possibile rilevare la presenza di potenziali ritardati. Infatti, in un ECG sano (assenza
di VLP) l’energia dopo il complesso è molto bassa, idealmente nulla; in presenza di VLP, invece, risulta nettamente
maggiore di zero. Nell’algoritmo si considera l’energia negli 80 msec successivi al punto QRSoff, e la si normalizza
anch’essa rispetto all’energia del complesso QRS (EQRS).
Il secondo parametro in frequenza sensibile alla presenza
dei VLP risulta quindi:
In definitiva, i parametri di decisione, cioè quelli in base ai
quali bisogna confermare o meno la presenza di VLP, sono:
QRSd, LAS40 e RMS40 ricavati dalla rappresentazione nel
tempo del VM, EN ed ENend ricavati dalla rappresentazione
in tempo-frequenza del VM.
Per ognuno di questi parametri si impostano delle soglie
per distinguere ECG sani da ECG con VLP,
La determinazione delle soglie viene effettuata su base statistica analizzando i valori dei suddetti parametri di decisione
in un data base di segnali ECG sicuramente sani e sicuramente affetti da VLP, rispettivamente. Per avere la certezza che
un ECG vi sia la presenza di VLP un modo semplice è quello
di aggiungerli artificialmente ad un tracciato reale acquisito
ad alta risoluzione e digitalizzato.
I valori di soglia ottenuti nello studio descritto in questo
articolo, con la relativa efficacia nella separazione tra ECG
sani ed ECG con VLP, sono riassunti in Tabella I:
Tabella I
PARAMETRO
SOGLIA
EFFICACIA
QRSd
95
96.7 %
RMS40
63.5
91.7 %
LAS40
44.2
85 %
EN
0.125
95 %
ENend
0.023
95 %
La presenza di VLP viene diagnosticata calcolando separatamente i parametri temporali e quelli in tempo-frequenza
e confrontandoli con le soglie pre-impostate.
4.4 Adattamento dell’algoritmo di rilevamento dei VLP al
tempo reale
Il rilevamento di VLP in tempo reale, ovvero simultaneo
all’acquisizione del tracciato ECG, risulta un’opzione molto
importante soprattutto per pazienti particolarmente a rischio
e monitorati a distanza in maniera continua.
Analizzando registrazioni continue di pazienti soggetti ad
aritmie si è notato, infatti, che spesso questi gravi eventi sono
preceduti da battiti anomali, positivi ai VLP, già qualche minuto prima.
Non avendo a disposizione l’intero ECG, la ricerca di VLP
in tempo reale è chiaramente più difficoltosa. La difficoltà
principale risiede nell’impossibilità di utilizzare l’SAECG
come tecnica di denoising. Bisogna operare quindi con segnali più rumorosi, filtrati solo con il denoising wavelet, con
relativa riduzione dell’efficacia dell’algoritmo.
Un’ulteriore complicazione deriva dalla necessità di
estrarre le informazioni sui singoli battiti (durata e ampiezza) durante l’acquisizione stessa. Per fare questa operazione
si è utilizzato un buffer di 2 secondi (sufficiente a contenere interamente almeno un battito) e un rilevatore di picco.
I battiti vengono individuati grazie all’elevata ampiezza del
complesso QRS. Quando il segnale in ingresso supera il 70%
del picco rilevato, viene identificato il nuovo battito, come
mostrato in figura 20, mandando il battito precedente al blocco di elaborazione, per la diagnosi battito per battito.
Fig. 20 - Diagramma a blocchi del sistema di elaborazione in tempo
reale.
La presenza del buffer non permette di ottenere risultati
solo nei primi 2 secondi di acquisizione che è un intervallo
temporale assolutamente accettabile anche nel monitoraggio
di pazienti ad alto rischio perché non compromette affatto
la tempestività, l’accuratezza e l’affidabilità della diagnosi.
Successivamente ai primi due secondi di acquisizione l’al77
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goritmo è in grado di rilevare con buona efficacia la presenza
di VLP tramite un monitoraggio continuo ed in tempo reale.
La fase di elaborazione è analoga a quella relativa all’analisi post-acquisizione, escludendo solo il calcolo dell’SAECG,
inutile su un singolo battito.
RISULTATI
Per testare l’efficacia dell’algoritmo sono stati generati dei
segnali con un numero noto di VLP inseriti artificialmente
su tracciati acquisiti ad alta risoluzione, con varie ampiezze:
10 µV, 8 µV, 6 µV, 4 µV e 3 µV picco-picco. Il parametro
“Efficacia” indica il rapporto fra il numero di VLP rilevati
e il numero di quelli effettivamente inseriti artificialmente,
quindi noto. In figura 21 e 22 rispettivamente si riportano i
risultati ottenuti per VLP di ampiezza 10 µV e 3 µV.
Fig. 23 - Andamento dell’efficacia media al variare dell’ampiezza dei
VLP relativo ai parametri temporali (grafico superiore) e in tempofrequenza (grafico inferiore).
E’ evidente la maggiore efficacia nel rilevamento ottenuta
mediante i parametri tempo-frequenza.
L’algoritmo riesce a rilevare efficacemente VLP di ampiezza superiore a 6 µV picco-picco.
E’ inoltre interessante verificare come l’utilizzo congiunto
dell’SAECG e del denoising wavelet influisca sull’efficacia
dell’algoritmo. Per effettuare questo confronto si è ripetuta
la fase di test eliminando il blocco relativo al denoising wavelet. Si è quindi tracciato il grafico relativo all’efficacia in
funzione dell’ampiezza dei VLP introdotti, come mostrato
in figura 24
Fig. 21 - Valori di efficacia per ciascun segnale analizzato. Ampiezza
dei VLP = 10 µV. In alto sono riportati i risultati relativi ai parametri
tempo-frequenza, in basso a quelli temporali.
Fig. 24 - Confronto fra l’efficacia dell’algoritmo utilizzando il denoising
wavelet (superiore) e senza il denoising wavelet (grafico inferiore).
E’ evidente un notevole incremento di efficacia del rilevamento tramite l’impiego congiunto delle due tecniche di
denoising.
Fig. 22 - Valori di efficacia per ciascun segnale analizzato. Ampiezza
dei VLP = 3 µV. In alto sono riportati i risultati relativi ai parametri
tempo-frequenza, in basso a quelli temporali.
E’ evidente che l’efficacia si riduce notevolmente per VLP
di ampiezza minore. Considerando un valore medio si ottiene il grafico di efficacia del rilevamento in figura 23.
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CONCLUSIONI
Il lavoro presentato ha permesso di sviluppare un nuovo
algoritmo di rilevamento di VLP che coniuga le migliori
caratteristiche di quelli preesistenti, migliorandone l’accuratezza e le caratteristiche, che meglio si adattano ad hardware
di acquisizione ad alta risoluzione e alla diagnosi in tempo
reale.
In particolare, le novità introdotte riguardano l’utilizzo simultaneo di due tecniche di denoising, l’inserimento di un
parametro indipendente dalla posizione del punto J (la cui
errata localizzazione influenza notevolmente l’efficacia dei
metodi noti in letteratura).
Inoltre, una importante innovazione introdotta dal nuovo
metodo riguarda la possibilità di effettuare l’analisi, oltre che
ad acquisizione terminata, anche in tempo reale.
SCIENZE E RICERCHE • N. 11 • 15 AGOSTO 2015 | INGEGNERIA ELETTRONICA
I metodi citati in letteratura, infatti, sono per lo più dedicati all’analisi post-acquisizione. L’algoritmo sviluppato è,
invece, adatto per operare in due diverse condizioni: in differita, elaborando un segnale ECG acquisito integralmente per
qualche minuto, e in tempo reale fornendo i primi i risultati
dopo appena 2 secondi di acquisizione (1-2 battiti circa).
Nel primo caso, grazie alla possibilità di utilizzare
l’SAECG, si opera su segnali con un rapporto segnale/rumore maggiore, ottenendo un’efficacia di rilevamento più
elevata. Mediante questo approccio vengono però completamente perse le informazioni relative ai singoli battiti, con il
vantaggio di incrementare l’accuratezza dei risultati. Questa
analisi si presta molto bene a controlli elettrocardiografici
periodici, con registrazioni a lungo termine (ECG delle 24
ore secondo Holter, per esempio), soprattutto nei confronti di
pazienti con precedenti eventi ischemici, i quali potrebbero
presentare zone del miocardio ad elevata resistenza, compromettendo la corretta propagazione dell’impulso d’azione. In
questi casi, un risultato positivo ai VLP potrebbe essere un
segnale di allarme per incentivare il paziente ad esami più
approfonditi e frequenti ed a premunirsi contro l’improvvisa
insorgenza di aritmie.
Analisi statistiche sulle registrazioni elettrocardiografiche
di eventi aritmici evidenziano la presenza di VLP in periodi
di tempo molto prossimi (ore o anche minuti) all’evento aritmico stesso. Rilevare automaticamente i VLP, tipicamente
asintomatici, durante il monitoraggio continuo di un paziente potrebbe quindi risultare di vitale importanza. Per questo
motivo si è adattato l’algoritmo ad operare anche in questa
condizione, ottenendo buoni risultati nonostante l’impossibilità di utilizzare l’SAECG.
Tutti i test effettuati hanno riguardato sia l’analisi mediante dei criteri di diagnosi puramente temporali, ormai standardizzati, sia criteri più attuali riguardanti il dominio tempofrequenza. Effettuando questo confronto è stato possibile accertare la maggiore efficacia dell’analisi in tempo-frequenza,
a spese di un maggior peso computazionale, oggi comunque
sostenibile grazie ai DSP, agli FPGA ed ai microcomputer
in generale.
Uno sviluppo futuro del progetto potrebbe riguardare appunto l’implementazione dell’algoritmo in un system on chip
insieme a buona parte dell’hardware di acquisizione. Questo
consentirebbe di ottenere uno strumento diagnostico molto
potente miniaturizzato, con capacità di diagnosi in tempo
reale, di monitoraggio remoto ed eventualmente di invio di
segnalazioni di allarme tramite trasmettitore integrato.
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