Cefalea post-puntura durale accidentale in ostetricia

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Cefalea post-puntura durale accidentale in ostetricia
SCUOLA EUROPEA DI ANESTESIA OSTETRICA
Master biennale di alto perfezionamento in
ANALGESIA, ANESTESIA E RIANIMAZIONE OSTETRICA
Direttore: Prof. Giorgio Capogna
ANNO ACCADEMICO 2015-2016
Cefalea post-puntura durale
accidentale in ostetricia
TESI FINALE DI:
Dott. Mario Boy – A.O.U. Careggi, Firenze
Roma, 21 ottobre 2016
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Introduzione
La puntura durale accidentale (PDA o ADP) è la più comune di tutte le complicanze serie
dell’analgesia e nanestesia peridurale e la cefalea post-puntura durale ne è la più frequente
conseguenza.
Dopo gli studi di fine ‘800 di Wynter, Quinke e Corning, Karl August Bier effettuò forse la prima
anestesia spinale nel 1898 ed ebbe la prima esperienza di cefalea post-puntura durale. Già allora
venne sospettata come causa della cefalea l’eccessiva perdita di liquido cerebrospinale. Negli
ultimi 50 anni l’introduzione di aghi spinali di calibro ridotto e con punta non tagliente ha portato a
una significativa riduzione di incidenza della cefalea post-anestesia spinale (Turnbull DK –
Shepherd DB, 2003). Si può affermare che quando la puntura durale è intenzionale, e quindi
praticata con tecniche e materiali concepiti per l’anestesia spinale, l’incidenza di cefalea è
trascurabile. Il rischio è invece molto alto, intorno al 50% dei casi, quando la puntura durale è
accidentale e si verifica nel tentativo di identificare lo spazio peridurale per iniettavi direttamente
una miscela anestetica e/o per introdurvi un catetere a permanenza per anestesia o analgesia
peridurale continua, come nella tecnica più frequentemente adottata di analgesia per il parto.
Incidenza e fattori di rischio
Occorre distinguere tra rischio di puntura durale, correlato all’abilità manuale dell’anestesista, alla
tecnica adottata e alle condizioni operative, e rischio di cefalea post-puntura durale (PDPH) ned
eventuale necessità di blood patch, che dipende principalmente dal calibro dello strumento che la
determina. ). Si calcola che negli Stati Uniti su 4 milioni di parti nel 2012 circa la metà sia avvenuta
in analgesia peridurale; con l’incidenza comunemente accettata dell’1% sul totale risultano 20000
casi all’anno di PDA. La scelta di un ago di Tuohy 16G comporta un rischio maggiore rispetto a un
18G (Russell F, 2012). Nel 2016 Michaan N e coll. in 17977 peridurali in travaglio hanno
identificato 49 procedure di blood patch (0,27%); non sono state trovate differenze tra casi e
controlli riguardanti indice di massa corporea, stadio del travaglio al momento dell’epidurale,
lunghezza del secondo stadio, spazio intervertebrale prescelto, esperienza dell’anestesista o
momento in cui è stata avviata la procedura; nei casi di ADP risultano iniettate dosi
significativamente più basse di anestetico locale e vengono riportati più tentativi di identificazione
dello spazio peridurale, più movimenti della paziente durante la procedura, più casi di sospetto di
ADP e di aspirazione di sangue o liquor attraverso l’ago o il catetere. Quindi più la paziente avverte
dolore e si muove, più numerosi sono mediamente i tentativi di identificazione dello spazio
peridurale e maggiore è il rischio di PDA.
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Prevenzione della PDA
Anche se lo studio precedentemente citato di Michaan e coll. sembrerebbe smentirlo, si ritiene
comunemente che il buon fine della procedura peridurale sia in gran parte legato all’esperienza e
all’abilità manuale dell’anestesista. Molti dispositivi sono stati ideati negli ultimi decenni per
supportare questa manualità pur senza sostituirla del tutto. Tra questi è da notare il Compuflo,
introdotto recentemente nel nostro strumentario soprattutto per affrontare i casi più difficili, in
cui i primi due tentativi di accesso peridurale siano falliti (Ghelberg O et al., 2008; Gebhard RE et
al., 2016). Si tratta di una pompa elettronica a basso flusso con un sistema di rilevazione continua
della pressione. L’operatore ha entrambe le mani libere per il controllo dell’avanzamento dell’ago
e il raggiungimento dello spazio peridurale è segnalato da una rapida caduta di pressione.
Un protocollo attualmente in fase di approvazione presso il Dipartimento di Anestesia e
Rianimazione dell’AOUC Careggi di Firenze prevede per la partoanalgesia peridurale, almeno nei
casi in cui non siano previste difficoltà rilevanti, l’intervento in prima battuta dello specializzando
già esercitato al simulatore e che abbia praticato con successo alcuni cateterismi peridurali,
inizialmente in ambito non ostetrico. Se il primo tentativo non va a buon fine interviene il tutor a
ripetere personalmente la manovra. Per eventuali ulteriori tentativi è previsto il ricorso al
Compuflo.
Diagnosi di PDA
Un fuoriuscita di liquido a fiotto all’atto di retrarre il mandrino dell’ago di Tuohy è segno
inequivocabilmente sicuro di PDA; se invece il reflusso è lento o avviene solo alla prova di
aspirazione occorre verificare se si tratta di liquor o di soluzione fisiologica o anestetico locale.
Temperatura e Ph non sono dirimenti; assai più attendibile è il test del glucosio effettuato con un
apparecchio per il controllo rapido della glicemia. La dose test deve essere idonea a determinare
un blocco motorio in caso di positività, ma senza raggiungere un livello eccessivamente alto di
anestesia per non compromettere l’ espletamento del parto e la stabilità cardiovascolare: la dose
test ottimale di lidocaina in ostetricia è di 20mg (Camorcia M e Capogna G, 2004). In alcuni casi
non si rileva alcun segno di PDA al momento della manovra o ai successivi test di verifica e la
diagnosi viene fatta a posteriori, alla comparsa di cefalea tipica.
Accertata PDA: come procedere?
Una volta accertata l’avvenuta PDA occorre sempre:
-informare la paziente, il responsabile del servizio e gli altri colleghi che seguiranno il caso;
-annotare il fatto in cartella con tutti i dettagli tecnici e clinici, sia per motivi medico-legali sia a fini
statistici e di ricerca;
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-provvedere all’antibioticoprofilassi;
-nel nostro protocollo inoltre è previsto iniettare subito un bolo di soluzione salina nello spazio sub
aracnoideo (10mL di soluzione fisiologica).
A questo punto occorre decidere se inserire il catetere nello spazio subaracnoideo attraverso la
breccia durale oppure ripetere la manovra dall’inizio. In questo secondo caso c’è un ulteriore
opzione: cambiare spazio intervertebrale o insistere nello stesso spazio.
Il cateterismo subaracnoideo evita sicuramente il rischio di aggiungere danno al danno con una
seconda puntura durale. La maggior parte degli anestesisti oggetto di un sondaggio nel Nord
America (Curtis L et al., 2011) concorda sul fatto che il posizionamento del catetere nello spazio
sub aracnoideo a seguito di puntura durale sia conveniente, soprattutto se l’accesso allo spazio
peridurale risulti difficoltoso, e comporti inoltre i seguenti vantaggi:
-si può garantire immediatamente l’analgesia;
-si evita il rischio di una seconda puntura durale;
-il rischio di PDPH potrebbe essere più basso;
-l’eventuale PDPH sarebbe meno grave.
Mentre le prime due considerazioni esprimono dati di fatto, gli ultimi due punti, che fanno
riferimento a un benefico effetto infiammatorio che favorirebbe la chiusura della breccia durale
(Ayad et coll., 2003), sono stati oggetto di revisioni della letteratura.
Da uno studio prospettico randomizzato del 2012 (Russell IF), coinvolgente 34 ospedali e 97
donne, si arriva alla conclusione che la conversione in analgesia spinale non riduce l’incidenza di
cefalea e nemmeno la necessità di blood patch, ma certamente comporta una più facile gestione
dell’analgesia per il parto, considerando anche il 9% di rischio di una seconda puntura durale.
Da una metanalisi del 2010 (Apfel et al.) non era risultata alcuna differenza significativa né
nell’incidenza di PDPH né nella percentuale di patch ematici. In una metanalisi del 2013 (Heesen
et al.) risultò significativamente più frequente il ricorso al patch ematico nei gruppi di controllo,
confermando però la sostanziale parità nell’incidenza di PDPH. Ma per la maggior parte si tratta di
studi non randomizzati di cui due anche - o solo - su tagli cesarei e la rimozione del catetere
spinale avveniva in tempi molto variabili: da un minimo di zero, vale a dire immediatamente dopo
il parto o il cesareo, a un massimo di 36 ore! Gli stessi Autori fanno notare questa disomogeneità
di dati.
La procedura per effettuare l’analgesia subaracnoiodea in caso di PDA secondo il protocollo
applicato nell’AOUC Careggi di Firenze è la seguente:
- non rimuovere l’ago di Tuohy e occludere il cono per evitare deliquorazione;
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- somministrare lentamente 10mL di soluzione fisiologica nello spazio sub aracnoideo attraverso lo
stesso ago di Tuohy;
- introdurre il cateterino peridurale (20G) in sede sub aracnoidea;
- somministrare altri 10 mL di soluzione fisiologica nello spazio sub aracnoideo attraverso il
cateterino;
- prima del fissaggio confermare il corretto posizionamento con test di aspirazione;
- fissare il cateterino con attenzione per evitarne la dislocazione;
- eseguire antibioticoprofilassi.
Quanto ai farmaci da somministrare per l’analgesia, sempre secondo il protocollo di Careggi, si
inizia con ropivacaina 3mg + sufentanil 2,5mcg in soluzione fisiologica per un volume totale di
5mL; come dosi successive ropivacaina 3mg portati a 5mL di soluzione fisiologica.
Nel caso che si dovesse procedere a taglio cesareo si somministra ropivacaina 10mg + sufentanil
3mcg + morfina 100mcg in un volume totale di 5 mL.
Dato l’esiguo volume di soluzione iniettata, si suggerisce di effettuare un lavaggio di catetere e
filtro con 1mL di soluzione fisiologica a seguito di ogni bolo subaracniodeo.
La rimozione del catetere è prevista dopo 36 – 48 ore dal parto spontaneo o dalla procedura
chirurgica, compatibilmente con l’eventuale profilassi antitrombotica. A 6, 12 e 24 ore va
controllata l’eventuale presenza di cefalea posturale e/o sintomi associati (rigidità cervicale,
fotofobia, nausea e vomito, tinnito, diplopia spesso associata a vertigini). Per prevenirne
l’insorgenza si raccomanda il mantenimento di una buona idratazione con l’assunzione regolare di
liquidi particolarmente ricchi di caffeina. Anche se non previsto dal suddetto protocollo,
recentemente alcuni casi di PDA nella nostra struttura sono stati trattati a scopo profilattico con
morfina subaracnoidea, al dosaggio di 0,1mg ogni 12 ore fino all’asportazione del catetere.
Lasciare un catetere nello spazio subaracnoideo comporta però anche dei rischi, legati a possibili
infezioni e a neurotossicità da anestetici locali. Non è da trascurare inoltre il rischio di errore che
potrebbe portare a dosaggi peridurali attraverso il catetere spinale, con conseguente depressione
respiratoria, ipotensione e shock (Sachs A e Smiley R, 2014). E’ importante perciò etichettare in
maniera evidente il catetere subaracnoideo e informare tutto il personale. Probabilmente per
questi motivi più del 70% degli anestesisti preferisce estrarre catetere e ago e ripetere la manovra
(Harrington BE, Shmitt AM, 2009).
Se si decide di rimuovere l’ago di Tuohy che ha penetrato la dura per ritentare la manovra dal
principio, si pone un altro problema: stesso spazio intervertebrale o altro spazio?
Degli anestesisti nordamericani la maggior parte (54%) preferisce cambiare spazio, il 5% insiste
nello stesso mentre la scelta è indifferente per il rimanente 41% (Curtis L et al., 2011). In effetti
non ci sono evidenze di vantaggi né di rischi per l’una o l’altra scelta.
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L’opzione “peridurale post-PDA” permetterebbe di considerare l’opportunità di un blood patch
profilattico, ma da uno studio randomizzato in doppio cieco questo non diminuisce l’incidenza di
cefalea post-PDA e nemmeno la percentuale di soggetti da trattare con un blood patch
terapeutico (Scavone BM et al. 2004). Queste conclusioni sono confermate da una metanalisi
Cochrane del 2010 (Boonmak P, Boonmak S) che prende in considerazione nove studi su efficacia e
sicurezza del blood patch dei quali solo uno rivolto alla profilassi.
La profilassi della cefalea post-puntura durale in questa seconda opzione può basarsi anche su
-morfina epidurale
-ACTH
Da una revisione del 2013 (Gaiser R. R.) nessuna di queste misure profilattiche risulta
raccomandabile senza riserve.
Riposo in posizione supina e iperidratazione vengono spesso prescritti dopo PDA ma da una
revisione Cochrane del 2013 (Arevalo-Rodriguez e coll.) non risultano di alcuna utilità.
Follow up della PDA
Dato che la cefalea post-PDA insorge tipicamente entro 24-48 ore, la paziente si trova di solito
ancora ricoverata. In questo tempo è necessario informarla della possibilità di insorgenza della
complicanza e anche delle eventuali possibilità di trattamento. Devono essere inoltre forniti alla
puerpera i recapiti telefonici utili a ricontattare i medici che l’hanno presa in carico in caso di
insorgenza tardiva della cefalea. Questo è importante anche per prevenire contenziosi medicolegali (Sachs A, Smiley R, 2014).
Diagnosi di cefalea post-puntura durale (PDPH)
Non tutti i mal di testa dopo il parto sono da attribuire alla parto analgesia e alle sue eventuali
complicanze: la cefalea è piuttosto comune nel post-partum. Da uno studio retrospettivo del 2007
(Stella CL et al.) su 95 donne con cefalea a più di 24 ore dal parto, il 47% risultò avere una cefalea
di tipo tensivo o un’emicrania, rappresentando quindi la causa più comune; il 24% era invece da
attribuire a preeclampsia o eclampsia e il 16% era costituito da casi di cefalea spinale. Su 15
pazienti con sospetta cefalea spinale 12 furono sottoposte a blood patch. Una diagnostica per
immagini fu richiesta per 22 pazienti per deficit neurologici focali e/o mancata risposta alla terapia
iniziale. 15 di queste (68%) ebbero reperti normali; in 10 vennero diagnosticate patologie
importanti, come emorragie, trombosi o vasculopatie. Da considerare anche la meningite e la
sindrome da astinenza da caffeina (Hampl KF e coll., 1994).
La tipica PDPH si manifesta entro 5 giorni dalla PDA, è localizzata in sede fronto-occipitale, si
esacerba in ortostatismo, è accompagnata da almeno uno dei seguenti sintomi: rigidità nucale,
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tinnito, ipoacusia, fotofobia, nausea; si risolve spontaneamente entro una settimana oppure entro
48 ore in seguito a blood patch (International Headache Society Classification ICHD-II; Headache
Classification Committee of the International Headache Society, 2013).
Trattamento della cefalea post-puntura durale.
Può essere a seconda dei casi “conservativa” o “interventistica”.
La terapia conservativa non prevede manovre invasive e comprende:
-riposo a letto in posizione supina
-fluidoterapia
-analgesici: paracetamolo, FANS, oppioidi
-caffeina
-triptani
Da una Cochrane review del 2013 (Arvalo-Rodriguez et al.) postura e fluidi non sono risultati di
provata efficacia. Quanto a caffeina e triptani, di ipotizzata efficacia in quanto vasocostrittori
cerebrali, attualmente non ne è raccomandata la somministrazione ( si veda in proposito il già
citato lavoro di R. R. Gaiser). Gli analgesici in generale non risolvono la complicanza ma attenuano
l’intensità della cefalea, in attesa di risoluzione spontanea o di blood patch (Turnbull et al., 2003).
Nel 2016 Hanling SR e coll. hanno rivalutato l’efficacia dell’ACTH (Cosyntropin) come alternativa al
blood patch per il trattamento dei casi severi e refrattari, rilevando un’efficacia comparabile
immediatamente dopo il trattamento e al 3° e 7° giorno dopo il trattamento. Rimangono però da
valutare alcuni aspetti, quali il dosaggio ottimale, l’intervallo tra le dosi e la durata.
Epidural blood patch (EBP)
L’efficacia dell’epidural blood patch In caso di fallimento della terapia non invasiva (più dell’80%
dei casi) è ormai universalmente riconosciuta (Malhotra S e coll., 2014), mentre non è stata
dimostrata l’efficacia di patch di colloidi o soluzioni saline. Di conseguenza, se non sono subentrate
controindicazioni quali sepsi e/o discoagulopatie e salvo rifiuto della paziente e previa
rivalutazione neurologica, eventualmente supportata da diagnostica per immagini, l’EBP è in
questi casi la terapia di scelta (Bhuiyan MS e coll., 2008). La procedura consiste nell’iniettare nello
spazio peridurale sangue prelevato estemporaneamente dalla stessa paziente (autologo) in
codizioni di rigorosa sterilità e senza l’aggiunta di anticoagulanti, allo scopo di formare un
ematoma, e successivamente un coagulo, che comprima e occluda la breccia durale. Occorre
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naturalmente considerare il rischio di un’ulteriore PDA. Questo comporta l’intervento di un
anestesista esperto che introduca l’ago di Tuohy nello spazio peridurale con la paziente in
decubito laterale e di un secondo operatore che esegua il prelievo di sangue. Lo spazio
intervertebrale di scelta è lo stesso in cui è avvenuta la PDA e la quantità ottimale di sangue,
secondo un recente trial randomizzato, è 20mL, ma occorre comunque interrompere l’iniezione
quando la paziente comincia ad avvertire dolore (Paech MJ e coll., 2011). Si suggerisce di usare 4
siringhe sterili da 5mL e di riempirne una alla volta alla stessa velocità con cui l’anestesista inietta
attraverso l’ago di Tuohy, per evitare che il sangue ristagnando coaguli (Girard T e coll., 2015). La
paziente deve riposare in posizione supina per le successive 2 ore (Martin R e coll., 1994).
Per quanto riguarda il “timing” della procedura, una remissione della cefalea si può ottenere in
qualunque momento, ma il rischio di recidiva è maggiore se il trattamento avviene nelle prime 48
ore, quando la quantità di liquor nello spazio peridurale è tale da inibire la formazione del coagulo,
come è stato recentemente dimostrato in vitro (Armstrong S e coll., 2015). Perciò se la cefalea è
insopportabile, e/o si manifestano segni di sofferenza di nervi cranici, si può intervenire anche
immediatamente, ma con un maggior rischio di dover ripetere l’EBP, altrimenti conviene
attendere almeno 48 ore.
La percentuale di successo dell’EBP nei casi di puntura durale accidentale è inizialmente
comparabile a quella ottenuta nei casi di cefalea post-anestesia spinale, ma la recidiva è molto più
frequente (31% contro 5%) e solo nel 30% dei casi si ottiene remissione permanente dopo un
primo EBP e nell’85% dopo un secondo EBP.
Un comune effetto collaterale dell’EBP è il dolore lombare, in genere di breve durata e facilmente
trattabile. Sono state descritte anche alcune sequele neurologiche, tra cui più recentemente una
ischemia cerebrale determinante emianopsia omonima (Mercieri M e coll., 2003), una
encefalopatia posteriore reversibile (PRES) in preeclampsia (Servillo G e coll., 2008) e una
trombosi venosa cerebrale (Ghatge S e coll., 2008). Si tratta comunque di situazioni di incerta
correlazione con la PDA e col successivo EBP.
Caso clinico n. 1
Donna di 33 anni, statura 161cm, peso 48+12Kg, valutata per partoanalgesia il giorno precedente:
colonna in asse; spazi intervertebrali palpabili. Tecnica: ago 18G Tuohy, spazio L3-L4, mandrino
liquido. Lo spazio peridurale viene rilevato senza apparente difficoltà, ma il catetere peridurale si
blocca in corrispondenza dell’uscita dall’ago e procede di 3-4cm solo dopo qualche manovra di
retrazione e di avanzamento forzato. Alla prova di aspirazione refluisce liquido chiaro con una
concentrazione di glucosio di 50mg/dL rilevata con un sistema per la misurazione della glicemia. Il
catetere non viene rimosso ma viene utilizzato per analgesia in via subaracnoidea. Dose iniziale:
Ropivacaina 2mg + Sufentanil 2 mcg portati a 4 mL con soluzione fisiologica; dosi successive:
Ropivacaina 4mg + soluzione fisiologica q. b. a 4mL. Totale 4 dosi a intervalli di 1 ora. Analgesia
apprezzabile ma poco soddisfacente (VAS iniziale 10, successivi 8 subito prima del bolo e 4 a 5-10
8
minuti dal bolo). Catetere lasciato in sede anche dopo il parto e rifornito con Morfina 0,1mg in
4mL di soluzione fisiologica ogni 12 ore per la prevenzione della cefalea e rimosso dopo 48 ore
senza difficoltà. La paziente non ha mai riferito cefalea ed è stata regolarmente dimessa nei tempi
previsti.
In questo caso la puntura durale evidentemente è stata conseguenza non della penetrazione
dell’ago (nessun reflusso di liquor dall’ago di Tuohy) ma della progressione anomala del catetere.
A maggior ragione in tale situazione si può ritenere che evitando di rimuovere il catetere si possa
prevenire una perdita di liquor in quanto la breccia durale rimane tappata dallo stesso strumento
che l’ha aperta, non da uno di calibro inferiore. La prevenzione della cefalea in questo caso infatti
è stata efficace. E’ però discutibile la scelta di forzare la progressione del catetere attraverso l’ago
di Tuohy anziché ripetere la manovra dall’inizio, specialmente in un caso come questo, in cui il
reperimento dello spazio peridurale non è stato affatto difficoltoso.
Caso clinico n. 2
In questo caso, a seguito di un primo tentativo risultato in sospetta PDA, fu inserito il catetere
peridurale nello spazio superiore. La paziente partorì spontaneamente ma manifestò cefalea PPD,
trattata con analgesici, riposo e fluidoterapia e con una prima dose di morfina peridurale non
seguita da altre a causa di un’accidentale rimozione del catetere. La terapia conservativa risultò
efficace e la paziente venne dimessa. Dopo 12 giorni fu ricoverata nuovamente per diplopia.
La diplopia è conseguenza dello stiramento del 6° nervo cranico, generalmente monolaterale,
determinato a sua volta dall’ipotensione liquorale da perdita di liquor. Si verifica nello 0,25% dei
casi di puntura durale, come riportato da Sudhakar et al. (2013), che descrivono 6 casi di diplopia
post-puntura durale, manifestatasi da 5 a 14 giorni dopo la puntura durale. Uno di questi casi
riguardava una paziente ostetrica: parto spontaneo in analgesia peridurale complicato in prima
giornata da emorragia subdurale con cefalea, convulsioni e obnubilamento del sensorio, trattata
con una craniotomia di emergenza. La diplopia, determinata da sofferenza del 6° nervo cranico di
sinistra, comparve dopo alcune settimane e si risolse gradualmente a seguito di patch ematico.
Quanto agli altri casi, tutti non ostetrici, in alcuni è stata riscontrata cefalea e in altri no. Possiamo
quindi osservare che diplopia e cefalea possono essere associate o no, pur essendo entrambi
sintomi correlati all’ipotensione liquorale. Gli autori di questo lavoro inoltre sottolineano
l’importanza della diagnosi differenziale tra la diplopia post-puntura durale e la diplopia da
pachimeningite, dato che alla RM in entrambe le situazioni si riscontra inspessimento meningeale
e congestione vascolare. Come esempio di situazione da distinguere da una meningite si può
citare anche il caso descritto da Kanazi G e coll. (2010) che presentava cefalea, rigidità nucale e
fotofobia dopo un blood patch. La diplopia da ipotensione liquorale si risolve generalmente entro
tre mesi dal trattamento; oltre gli otto mesi la persistenza di essa è da considerarsi irreversibile
(Nishio et al., 2004).
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La nostra paziente fu trattata il giorno successivo al secondo ricovero con blood patch effettuato
con tecnica Compuflo, con remissione completa.
Conclusioni
Sulla puntura lombare accidentale e sulla cefalea che ne consegue in circa la metà dei casi esiste
una ricca letteratura a fronte di una casistica relativamente scarsa e disomogenea.
Per quanto riguarda la prevenzione della PDA, al momento attuale sono in fase di valutazione
nuovi sistemi di assistenza alla peridurale che prometterebbero di rendere questa tecnica più
facile e sicura. Quanto alla profilassi e al trattamento non invasivo sussistono ancora molte
incertezze e varie convinzioni risalenti a un recente passato sono state messe in dubbio o
smentite. Viene invece confermata la validità del trattamento “interventistico”, costituito dall’EBP,
per il quale recenti studi hanno fornito utili indicazioni riguardo a tecnica e tempistica, ponendo
l’indicazione a ricorrervi in tutti i casi (e sono la maggior parte) che non rispondono al trattamento
conservativo.
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