Cefalea post-puntura durale accidentale in ostetricia
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Cefalea post-puntura durale accidentale in ostetricia
SCUOLA EUROPEA DI ANESTESIA OSTETRICA Master biennale di alto perfezionamento in ANALGESIA, ANESTESIA E RIANIMAZIONE OSTETRICA Direttore: Prof. Giorgio Capogna ANNO ACCADEMICO 2015-2016 Cefalea post-puntura durale accidentale in ostetricia TESI FINALE DI: Dott. Mario Boy – A.O.U. Careggi, Firenze Roma, 21 ottobre 2016 1 Introduzione La puntura durale accidentale (PDA o ADP) è la più comune di tutte le complicanze serie dell’analgesia e nanestesia peridurale e la cefalea post-puntura durale ne è la più frequente conseguenza. Dopo gli studi di fine ‘800 di Wynter, Quinke e Corning, Karl August Bier effettuò forse la prima anestesia spinale nel 1898 ed ebbe la prima esperienza di cefalea post-puntura durale. Già allora venne sospettata come causa della cefalea l’eccessiva perdita di liquido cerebrospinale. Negli ultimi 50 anni l’introduzione di aghi spinali di calibro ridotto e con punta non tagliente ha portato a una significativa riduzione di incidenza della cefalea post-anestesia spinale (Turnbull DK – Shepherd DB, 2003). Si può affermare che quando la puntura durale è intenzionale, e quindi praticata con tecniche e materiali concepiti per l’anestesia spinale, l’incidenza di cefalea è trascurabile. Il rischio è invece molto alto, intorno al 50% dei casi, quando la puntura durale è accidentale e si verifica nel tentativo di identificare lo spazio peridurale per iniettavi direttamente una miscela anestetica e/o per introdurvi un catetere a permanenza per anestesia o analgesia peridurale continua, come nella tecnica più frequentemente adottata di analgesia per il parto. Incidenza e fattori di rischio Occorre distinguere tra rischio di puntura durale, correlato all’abilità manuale dell’anestesista, alla tecnica adottata e alle condizioni operative, e rischio di cefalea post-puntura durale (PDPH) ned eventuale necessità di blood patch, che dipende principalmente dal calibro dello strumento che la determina. ). Si calcola che negli Stati Uniti su 4 milioni di parti nel 2012 circa la metà sia avvenuta in analgesia peridurale; con l’incidenza comunemente accettata dell’1% sul totale risultano 20000 casi all’anno di PDA. La scelta di un ago di Tuohy 16G comporta un rischio maggiore rispetto a un 18G (Russell F, 2012). Nel 2016 Michaan N e coll. in 17977 peridurali in travaglio hanno identificato 49 procedure di blood patch (0,27%); non sono state trovate differenze tra casi e controlli riguardanti indice di massa corporea, stadio del travaglio al momento dell’epidurale, lunghezza del secondo stadio, spazio intervertebrale prescelto, esperienza dell’anestesista o momento in cui è stata avviata la procedura; nei casi di ADP risultano iniettate dosi significativamente più basse di anestetico locale e vengono riportati più tentativi di identificazione dello spazio peridurale, più movimenti della paziente durante la procedura, più casi di sospetto di ADP e di aspirazione di sangue o liquor attraverso l’ago o il catetere. Quindi più la paziente avverte dolore e si muove, più numerosi sono mediamente i tentativi di identificazione dello spazio peridurale e maggiore è il rischio di PDA. 2 Prevenzione della PDA Anche se lo studio precedentemente citato di Michaan e coll. sembrerebbe smentirlo, si ritiene comunemente che il buon fine della procedura peridurale sia in gran parte legato all’esperienza e all’abilità manuale dell’anestesista. Molti dispositivi sono stati ideati negli ultimi decenni per supportare questa manualità pur senza sostituirla del tutto. Tra questi è da notare il Compuflo, introdotto recentemente nel nostro strumentario soprattutto per affrontare i casi più difficili, in cui i primi due tentativi di accesso peridurale siano falliti (Ghelberg O et al., 2008; Gebhard RE et al., 2016). Si tratta di una pompa elettronica a basso flusso con un sistema di rilevazione continua della pressione. L’operatore ha entrambe le mani libere per il controllo dell’avanzamento dell’ago e il raggiungimento dello spazio peridurale è segnalato da una rapida caduta di pressione. Un protocollo attualmente in fase di approvazione presso il Dipartimento di Anestesia e Rianimazione dell’AOUC Careggi di Firenze prevede per la partoanalgesia peridurale, almeno nei casi in cui non siano previste difficoltà rilevanti, l’intervento in prima battuta dello specializzando già esercitato al simulatore e che abbia praticato con successo alcuni cateterismi peridurali, inizialmente in ambito non ostetrico. Se il primo tentativo non va a buon fine interviene il tutor a ripetere personalmente la manovra. Per eventuali ulteriori tentativi è previsto il ricorso al Compuflo. Diagnosi di PDA Un fuoriuscita di liquido a fiotto all’atto di retrarre il mandrino dell’ago di Tuohy è segno inequivocabilmente sicuro di PDA; se invece il reflusso è lento o avviene solo alla prova di aspirazione occorre verificare se si tratta di liquor o di soluzione fisiologica o anestetico locale. Temperatura e Ph non sono dirimenti; assai più attendibile è il test del glucosio effettuato con un apparecchio per il controllo rapido della glicemia. La dose test deve essere idonea a determinare un blocco motorio in caso di positività, ma senza raggiungere un livello eccessivamente alto di anestesia per non compromettere l’ espletamento del parto e la stabilità cardiovascolare: la dose test ottimale di lidocaina in ostetricia è di 20mg (Camorcia M e Capogna G, 2004). In alcuni casi non si rileva alcun segno di PDA al momento della manovra o ai successivi test di verifica e la diagnosi viene fatta a posteriori, alla comparsa di cefalea tipica. Accertata PDA: come procedere? Una volta accertata l’avvenuta PDA occorre sempre: -informare la paziente, il responsabile del servizio e gli altri colleghi che seguiranno il caso; -annotare il fatto in cartella con tutti i dettagli tecnici e clinici, sia per motivi medico-legali sia a fini statistici e di ricerca; 3 -provvedere all’antibioticoprofilassi; -nel nostro protocollo inoltre è previsto iniettare subito un bolo di soluzione salina nello spazio sub aracnoideo (10mL di soluzione fisiologica). A questo punto occorre decidere se inserire il catetere nello spazio subaracnoideo attraverso la breccia durale oppure ripetere la manovra dall’inizio. In questo secondo caso c’è un ulteriore opzione: cambiare spazio intervertebrale o insistere nello stesso spazio. Il cateterismo subaracnoideo evita sicuramente il rischio di aggiungere danno al danno con una seconda puntura durale. La maggior parte degli anestesisti oggetto di un sondaggio nel Nord America (Curtis L et al., 2011) concorda sul fatto che il posizionamento del catetere nello spazio sub aracnoideo a seguito di puntura durale sia conveniente, soprattutto se l’accesso allo spazio peridurale risulti difficoltoso, e comporti inoltre i seguenti vantaggi: -si può garantire immediatamente l’analgesia; -si evita il rischio di una seconda puntura durale; -il rischio di PDPH potrebbe essere più basso; -l’eventuale PDPH sarebbe meno grave. Mentre le prime due considerazioni esprimono dati di fatto, gli ultimi due punti, che fanno riferimento a un benefico effetto infiammatorio che favorirebbe la chiusura della breccia durale (Ayad et coll., 2003), sono stati oggetto di revisioni della letteratura. Da uno studio prospettico randomizzato del 2012 (Russell IF), coinvolgente 34 ospedali e 97 donne, si arriva alla conclusione che la conversione in analgesia spinale non riduce l’incidenza di cefalea e nemmeno la necessità di blood patch, ma certamente comporta una più facile gestione dell’analgesia per il parto, considerando anche il 9% di rischio di una seconda puntura durale. Da una metanalisi del 2010 (Apfel et al.) non era risultata alcuna differenza significativa né nell’incidenza di PDPH né nella percentuale di patch ematici. In una metanalisi del 2013 (Heesen et al.) risultò significativamente più frequente il ricorso al patch ematico nei gruppi di controllo, confermando però la sostanziale parità nell’incidenza di PDPH. Ma per la maggior parte si tratta di studi non randomizzati di cui due anche - o solo - su tagli cesarei e la rimozione del catetere spinale avveniva in tempi molto variabili: da un minimo di zero, vale a dire immediatamente dopo il parto o il cesareo, a un massimo di 36 ore! Gli stessi Autori fanno notare questa disomogeneità di dati. La procedura per effettuare l’analgesia subaracnoiodea in caso di PDA secondo il protocollo applicato nell’AOUC Careggi di Firenze è la seguente: - non rimuovere l’ago di Tuohy e occludere il cono per evitare deliquorazione; 4 - somministrare lentamente 10mL di soluzione fisiologica nello spazio sub aracnoideo attraverso lo stesso ago di Tuohy; - introdurre il cateterino peridurale (20G) in sede sub aracnoidea; - somministrare altri 10 mL di soluzione fisiologica nello spazio sub aracnoideo attraverso il cateterino; - prima del fissaggio confermare il corretto posizionamento con test di aspirazione; - fissare il cateterino con attenzione per evitarne la dislocazione; - eseguire antibioticoprofilassi. Quanto ai farmaci da somministrare per l’analgesia, sempre secondo il protocollo di Careggi, si inizia con ropivacaina 3mg + sufentanil 2,5mcg in soluzione fisiologica per un volume totale di 5mL; come dosi successive ropivacaina 3mg portati a 5mL di soluzione fisiologica. Nel caso che si dovesse procedere a taglio cesareo si somministra ropivacaina 10mg + sufentanil 3mcg + morfina 100mcg in un volume totale di 5 mL. Dato l’esiguo volume di soluzione iniettata, si suggerisce di effettuare un lavaggio di catetere e filtro con 1mL di soluzione fisiologica a seguito di ogni bolo subaracniodeo. La rimozione del catetere è prevista dopo 36 – 48 ore dal parto spontaneo o dalla procedura chirurgica, compatibilmente con l’eventuale profilassi antitrombotica. A 6, 12 e 24 ore va controllata l’eventuale presenza di cefalea posturale e/o sintomi associati (rigidità cervicale, fotofobia, nausea e vomito, tinnito, diplopia spesso associata a vertigini). Per prevenirne l’insorgenza si raccomanda il mantenimento di una buona idratazione con l’assunzione regolare di liquidi particolarmente ricchi di caffeina. Anche se non previsto dal suddetto protocollo, recentemente alcuni casi di PDA nella nostra struttura sono stati trattati a scopo profilattico con morfina subaracnoidea, al dosaggio di 0,1mg ogni 12 ore fino all’asportazione del catetere. Lasciare un catetere nello spazio subaracnoideo comporta però anche dei rischi, legati a possibili infezioni e a neurotossicità da anestetici locali. Non è da trascurare inoltre il rischio di errore che potrebbe portare a dosaggi peridurali attraverso il catetere spinale, con conseguente depressione respiratoria, ipotensione e shock (Sachs A e Smiley R, 2014). E’ importante perciò etichettare in maniera evidente il catetere subaracnoideo e informare tutto il personale. Probabilmente per questi motivi più del 70% degli anestesisti preferisce estrarre catetere e ago e ripetere la manovra (Harrington BE, Shmitt AM, 2009). Se si decide di rimuovere l’ago di Tuohy che ha penetrato la dura per ritentare la manovra dal principio, si pone un altro problema: stesso spazio intervertebrale o altro spazio? Degli anestesisti nordamericani la maggior parte (54%) preferisce cambiare spazio, il 5% insiste nello stesso mentre la scelta è indifferente per il rimanente 41% (Curtis L et al., 2011). In effetti non ci sono evidenze di vantaggi né di rischi per l’una o l’altra scelta. 5 L’opzione “peridurale post-PDA” permetterebbe di considerare l’opportunità di un blood patch profilattico, ma da uno studio randomizzato in doppio cieco questo non diminuisce l’incidenza di cefalea post-PDA e nemmeno la percentuale di soggetti da trattare con un blood patch terapeutico (Scavone BM et al. 2004). Queste conclusioni sono confermate da una metanalisi Cochrane del 2010 (Boonmak P, Boonmak S) che prende in considerazione nove studi su efficacia e sicurezza del blood patch dei quali solo uno rivolto alla profilassi. La profilassi della cefalea post-puntura durale in questa seconda opzione può basarsi anche su -morfina epidurale -ACTH Da una revisione del 2013 (Gaiser R. R.) nessuna di queste misure profilattiche risulta raccomandabile senza riserve. Riposo in posizione supina e iperidratazione vengono spesso prescritti dopo PDA ma da una revisione Cochrane del 2013 (Arevalo-Rodriguez e coll.) non risultano di alcuna utilità. Follow up della PDA Dato che la cefalea post-PDA insorge tipicamente entro 24-48 ore, la paziente si trova di solito ancora ricoverata. In questo tempo è necessario informarla della possibilità di insorgenza della complicanza e anche delle eventuali possibilità di trattamento. Devono essere inoltre forniti alla puerpera i recapiti telefonici utili a ricontattare i medici che l’hanno presa in carico in caso di insorgenza tardiva della cefalea. Questo è importante anche per prevenire contenziosi medicolegali (Sachs A, Smiley R, 2014). Diagnosi di cefalea post-puntura durale (PDPH) Non tutti i mal di testa dopo il parto sono da attribuire alla parto analgesia e alle sue eventuali complicanze: la cefalea è piuttosto comune nel post-partum. Da uno studio retrospettivo del 2007 (Stella CL et al.) su 95 donne con cefalea a più di 24 ore dal parto, il 47% risultò avere una cefalea di tipo tensivo o un’emicrania, rappresentando quindi la causa più comune; il 24% era invece da attribuire a preeclampsia o eclampsia e il 16% era costituito da casi di cefalea spinale. Su 15 pazienti con sospetta cefalea spinale 12 furono sottoposte a blood patch. Una diagnostica per immagini fu richiesta per 22 pazienti per deficit neurologici focali e/o mancata risposta alla terapia iniziale. 15 di queste (68%) ebbero reperti normali; in 10 vennero diagnosticate patologie importanti, come emorragie, trombosi o vasculopatie. Da considerare anche la meningite e la sindrome da astinenza da caffeina (Hampl KF e coll., 1994). La tipica PDPH si manifesta entro 5 giorni dalla PDA, è localizzata in sede fronto-occipitale, si esacerba in ortostatismo, è accompagnata da almeno uno dei seguenti sintomi: rigidità nucale, 6 tinnito, ipoacusia, fotofobia, nausea; si risolve spontaneamente entro una settimana oppure entro 48 ore in seguito a blood patch (International Headache Society Classification ICHD-II; Headache Classification Committee of the International Headache Society, 2013). Trattamento della cefalea post-puntura durale. Può essere a seconda dei casi “conservativa” o “interventistica”. La terapia conservativa non prevede manovre invasive e comprende: -riposo a letto in posizione supina -fluidoterapia -analgesici: paracetamolo, FANS, oppioidi -caffeina -triptani Da una Cochrane review del 2013 (Arvalo-Rodriguez et al.) postura e fluidi non sono risultati di provata efficacia. Quanto a caffeina e triptani, di ipotizzata efficacia in quanto vasocostrittori cerebrali, attualmente non ne è raccomandata la somministrazione ( si veda in proposito il già citato lavoro di R. R. Gaiser). Gli analgesici in generale non risolvono la complicanza ma attenuano l’intensità della cefalea, in attesa di risoluzione spontanea o di blood patch (Turnbull et al., 2003). Nel 2016 Hanling SR e coll. hanno rivalutato l’efficacia dell’ACTH (Cosyntropin) come alternativa al blood patch per il trattamento dei casi severi e refrattari, rilevando un’efficacia comparabile immediatamente dopo il trattamento e al 3° e 7° giorno dopo il trattamento. Rimangono però da valutare alcuni aspetti, quali il dosaggio ottimale, l’intervallo tra le dosi e la durata. Epidural blood patch (EBP) L’efficacia dell’epidural blood patch In caso di fallimento della terapia non invasiva (più dell’80% dei casi) è ormai universalmente riconosciuta (Malhotra S e coll., 2014), mentre non è stata dimostrata l’efficacia di patch di colloidi o soluzioni saline. Di conseguenza, se non sono subentrate controindicazioni quali sepsi e/o discoagulopatie e salvo rifiuto della paziente e previa rivalutazione neurologica, eventualmente supportata da diagnostica per immagini, l’EBP è in questi casi la terapia di scelta (Bhuiyan MS e coll., 2008). La procedura consiste nell’iniettare nello spazio peridurale sangue prelevato estemporaneamente dalla stessa paziente (autologo) in codizioni di rigorosa sterilità e senza l’aggiunta di anticoagulanti, allo scopo di formare un ematoma, e successivamente un coagulo, che comprima e occluda la breccia durale. Occorre 7 naturalmente considerare il rischio di un’ulteriore PDA. Questo comporta l’intervento di un anestesista esperto che introduca l’ago di Tuohy nello spazio peridurale con la paziente in decubito laterale e di un secondo operatore che esegua il prelievo di sangue. Lo spazio intervertebrale di scelta è lo stesso in cui è avvenuta la PDA e la quantità ottimale di sangue, secondo un recente trial randomizzato, è 20mL, ma occorre comunque interrompere l’iniezione quando la paziente comincia ad avvertire dolore (Paech MJ e coll., 2011). Si suggerisce di usare 4 siringhe sterili da 5mL e di riempirne una alla volta alla stessa velocità con cui l’anestesista inietta attraverso l’ago di Tuohy, per evitare che il sangue ristagnando coaguli (Girard T e coll., 2015). La paziente deve riposare in posizione supina per le successive 2 ore (Martin R e coll., 1994). Per quanto riguarda il “timing” della procedura, una remissione della cefalea si può ottenere in qualunque momento, ma il rischio di recidiva è maggiore se il trattamento avviene nelle prime 48 ore, quando la quantità di liquor nello spazio peridurale è tale da inibire la formazione del coagulo, come è stato recentemente dimostrato in vitro (Armstrong S e coll., 2015). Perciò se la cefalea è insopportabile, e/o si manifestano segni di sofferenza di nervi cranici, si può intervenire anche immediatamente, ma con un maggior rischio di dover ripetere l’EBP, altrimenti conviene attendere almeno 48 ore. La percentuale di successo dell’EBP nei casi di puntura durale accidentale è inizialmente comparabile a quella ottenuta nei casi di cefalea post-anestesia spinale, ma la recidiva è molto più frequente (31% contro 5%) e solo nel 30% dei casi si ottiene remissione permanente dopo un primo EBP e nell’85% dopo un secondo EBP. Un comune effetto collaterale dell’EBP è il dolore lombare, in genere di breve durata e facilmente trattabile. Sono state descritte anche alcune sequele neurologiche, tra cui più recentemente una ischemia cerebrale determinante emianopsia omonima (Mercieri M e coll., 2003), una encefalopatia posteriore reversibile (PRES) in preeclampsia (Servillo G e coll., 2008) e una trombosi venosa cerebrale (Ghatge S e coll., 2008). Si tratta comunque di situazioni di incerta correlazione con la PDA e col successivo EBP. Caso clinico n. 1 Donna di 33 anni, statura 161cm, peso 48+12Kg, valutata per partoanalgesia il giorno precedente: colonna in asse; spazi intervertebrali palpabili. Tecnica: ago 18G Tuohy, spazio L3-L4, mandrino liquido. Lo spazio peridurale viene rilevato senza apparente difficoltà, ma il catetere peridurale si blocca in corrispondenza dell’uscita dall’ago e procede di 3-4cm solo dopo qualche manovra di retrazione e di avanzamento forzato. Alla prova di aspirazione refluisce liquido chiaro con una concentrazione di glucosio di 50mg/dL rilevata con un sistema per la misurazione della glicemia. Il catetere non viene rimosso ma viene utilizzato per analgesia in via subaracnoidea. Dose iniziale: Ropivacaina 2mg + Sufentanil 2 mcg portati a 4 mL con soluzione fisiologica; dosi successive: Ropivacaina 4mg + soluzione fisiologica q. b. a 4mL. Totale 4 dosi a intervalli di 1 ora. Analgesia apprezzabile ma poco soddisfacente (VAS iniziale 10, successivi 8 subito prima del bolo e 4 a 5-10 8 minuti dal bolo). Catetere lasciato in sede anche dopo il parto e rifornito con Morfina 0,1mg in 4mL di soluzione fisiologica ogni 12 ore per la prevenzione della cefalea e rimosso dopo 48 ore senza difficoltà. La paziente non ha mai riferito cefalea ed è stata regolarmente dimessa nei tempi previsti. In questo caso la puntura durale evidentemente è stata conseguenza non della penetrazione dell’ago (nessun reflusso di liquor dall’ago di Tuohy) ma della progressione anomala del catetere. A maggior ragione in tale situazione si può ritenere che evitando di rimuovere il catetere si possa prevenire una perdita di liquor in quanto la breccia durale rimane tappata dallo stesso strumento che l’ha aperta, non da uno di calibro inferiore. La prevenzione della cefalea in questo caso infatti è stata efficace. E’ però discutibile la scelta di forzare la progressione del catetere attraverso l’ago di Tuohy anziché ripetere la manovra dall’inizio, specialmente in un caso come questo, in cui il reperimento dello spazio peridurale non è stato affatto difficoltoso. Caso clinico n. 2 In questo caso, a seguito di un primo tentativo risultato in sospetta PDA, fu inserito il catetere peridurale nello spazio superiore. La paziente partorì spontaneamente ma manifestò cefalea PPD, trattata con analgesici, riposo e fluidoterapia e con una prima dose di morfina peridurale non seguita da altre a causa di un’accidentale rimozione del catetere. La terapia conservativa risultò efficace e la paziente venne dimessa. Dopo 12 giorni fu ricoverata nuovamente per diplopia. La diplopia è conseguenza dello stiramento del 6° nervo cranico, generalmente monolaterale, determinato a sua volta dall’ipotensione liquorale da perdita di liquor. Si verifica nello 0,25% dei casi di puntura durale, come riportato da Sudhakar et al. (2013), che descrivono 6 casi di diplopia post-puntura durale, manifestatasi da 5 a 14 giorni dopo la puntura durale. Uno di questi casi riguardava una paziente ostetrica: parto spontaneo in analgesia peridurale complicato in prima giornata da emorragia subdurale con cefalea, convulsioni e obnubilamento del sensorio, trattata con una craniotomia di emergenza. La diplopia, determinata da sofferenza del 6° nervo cranico di sinistra, comparve dopo alcune settimane e si risolse gradualmente a seguito di patch ematico. Quanto agli altri casi, tutti non ostetrici, in alcuni è stata riscontrata cefalea e in altri no. Possiamo quindi osservare che diplopia e cefalea possono essere associate o no, pur essendo entrambi sintomi correlati all’ipotensione liquorale. Gli autori di questo lavoro inoltre sottolineano l’importanza della diagnosi differenziale tra la diplopia post-puntura durale e la diplopia da pachimeningite, dato che alla RM in entrambe le situazioni si riscontra inspessimento meningeale e congestione vascolare. Come esempio di situazione da distinguere da una meningite si può citare anche il caso descritto da Kanazi G e coll. (2010) che presentava cefalea, rigidità nucale e fotofobia dopo un blood patch. La diplopia da ipotensione liquorale si risolve generalmente entro tre mesi dal trattamento; oltre gli otto mesi la persistenza di essa è da considerarsi irreversibile (Nishio et al., 2004). 9 La nostra paziente fu trattata il giorno successivo al secondo ricovero con blood patch effettuato con tecnica Compuflo, con remissione completa. Conclusioni Sulla puntura lombare accidentale e sulla cefalea che ne consegue in circa la metà dei casi esiste una ricca letteratura a fronte di una casistica relativamente scarsa e disomogenea. Per quanto riguarda la prevenzione della PDA, al momento attuale sono in fase di valutazione nuovi sistemi di assistenza alla peridurale che prometterebbero di rendere questa tecnica più facile e sicura. Quanto alla profilassi e al trattamento non invasivo sussistono ancora molte incertezze e varie convinzioni risalenti a un recente passato sono state messe in dubbio o smentite. Viene invece confermata la validità del trattamento “interventistico”, costituito dall’EBP, per il quale recenti studi hanno fornito utili indicazioni riguardo a tecnica e tempistica, ponendo l’indicazione a ricorrervi in tutti i casi (e sono la maggior parte) che non rispondono al trattamento conservativo. Bibliografia Curtis L. Baysinger, Jason E. Pope et al. The management of accidental dural puncture and postdural puncture headache: a North American survey. Journal of Clinical Anesthesia (2011) 23, 349-360. Russell IF (2012) A prospective controlled study of continuous spinal analgesia versus repeat epidural analgesia after accidental dural puncture in labour. Int J Obstet Anesth Jan;21(1):7-16 Michaan N et al. (2016) Risk factors for accidental dural puncture during epidural anesthesia for laboring women. J Matern Fetal Neonatal Med 2016 Sep;29(17):2845-7 Ghelberg O et al. (2008) Identification of the epidural space using pressure measurement with the Compuflo injection pump. 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