La Rassegna d`Ischia

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La Rassegna d`Ischia
Rassegna
LIBRI
Prove d’amore e di poesia
di Pasquale Balestriere
Gabrieli Editore, Roma. Copertina di G. Loengrin, 2007
di Giovanni Castagna
«Prove d’amore e di poesia», la terza opera poetica, almeno a nostra conoscenza, pubblicata da Pasquale Balestriere, ormai abituato ai primi po­sti nei
concorsi di poesia, pone, già nel titolo,
un problema d’interpretazione. Prova,
nel senso di esperimento o in quello di
verifica?
Per quanto mi concerne, lo studio
di questa plaquette mi ha spinto a ri­
percorrere il suo iter poetico dalle precedenti opere: E il dolore con noi, 1979;
Effemeridi pitecusane, 1994, rilevando,
fra l’altro, una ripresa e un approfondimento di temi e motivi.
Nelle liriche dell’opera «E il dolore
con noi», di cui alcune, credo, risalgono
agli anni giovanili e di tirocinio, quello
che mi colpì ed an­cora mi colpisce è la
visione tragica della vita, la presenza,
quasi osses­sionante, della morte. Uno
spoglio delle parole autosemantiche
(verbi, so­stantivi, qua­lificativi e avverbi) fa risaltare gli occorrimenti di vita,
morte, morire, dolore; la clas­sica opposizione vita/morte, che in Balestriere,
il quale rivendica a gran voce la sua
«umanità» («Io sono / solamente / un
uomo»), trova la sua giu­stificazione,
dato che anche la vita è quasi sempre
caratterizzata in nega­tivo («perché
troppo spesso nella biblioteca della
vita / ho sfogliato i volumi del dolore»).
D’altra parte, in un confronto con le altre opere, si rileva che alcuni di questi
lessemi sono quasi assenti nelle altre:
morte, dolore, uomo.
Sembra quasi un abbandonarsi, quando esclama: «Ec­cola, nel palmo della
mano, la vita / che ho vissuto / segnata
dalle linee del dolore / e della morte,
con un piccolo / tratto di felicità», ma
all’improvviso il poeta sembra che trovi l’àncora di salvezza: «Risorgerò…/
Mi tufferò nelle acque della vita / nuo­
terò verso le sorgenti del canto / dove
lieta ride la vite / e il loto».
Il loto per l’oblio. La vite, invece,
spinge, sulle orme del padre, «que­sto /
architetto malato di parole», a diventare
«faber e poietès»: «Di queste vigne mi
pasco / brevis dominus / ne mieto dol­
cezze fugaci / nell’orizzonte circo­lare
della vita / che s’apre al tramonto».
Nasce così «il poeta conta­dino»,
come egli stesso si definisce, «il mio
cuore contadino», «cuore pul­sante
d’agreste vigore», donde la rivendica­
zione «Appartengo alla nazione con­
tadina / che riposa all’abbeveratoio /
dove la mucca trangugia / follie di stel­
le e scherzi della luna» e l’amara con­
statazione: «Nelle ore del sole / bambi­
ni non picchiano più sulle zappe / per
fugare uccelli dal grano».
Queste ultime sono citazioni da
«Effemeridi pithecusane», opera in tre
sezioni: «Di momento in momento»,
«Georgica», «Frammenti per il padre».
Il padre, «Ulisse contadino», ricordato in due liriche nella prima opera,
di­venterà sempre più presente nelle
altre, soprattutto quando il poeta si de­
dica ai lavori della campagna: «Dopo il
tuo addio, nel cellaio, solo, / lavoro di
vendemmia. La tristezza / per un sono­
ro chioccolio s’attenua: / s’effondono
i profumi, il mosto cola,/ s’addensano
presenze. E tu sei lì, / padre, col tuo
sorriso soddisfatto, / che conteggi ed
assaggi e poi concludi:/ È tutto esat­
to».
In «Prove d’amore e di poesia»,
l’ungarettiano uomo di pena, nella sua
«autunnale maturità», guarda or­mai con
sguardo e cuore pacato l’irreparabile
tempo che fugge. Affiorano, sì è vero,
rimpianti come in «Amor ch’a nullo
amato amar perdona» in cui un verso
«L’avresti detto eterno quest’amore»,
con il futuro del passato che sembra ne
allontani il ricordo, ma il dimostrativo
«questo» lo rende pre­sente, forse ancora bruciante, come mettono in risalto i
due versi finali: «mi prendo gioco del
cuore all’odore / di mosti fervidi, ebbro
di basilico».
Ancora una volta la consolazione,
come un tempo l’apertura verso l’evasione da una «vita che giorno per giorno mi fa bere la morte», è la vite nel
«tumido prodigio / di bocci foglie co­
rimbi / racemi fughe di tralci grappi, /
inclita forza, / che la mano dell’uomo /
accarezza amorosa promessa.»
Conscio che tutti «navighiamo / in
quella che crediamo vita / con ap­prodi
fissi / e qualche strambata», conclude:
«Meglio lasciare somme e libri mastri,
/ avvicinarsi al fuoco e bere vino, / dar­
si alla mensa, all’amicizia, al canto,/
avere mente e cuore di bambino».
Ho annotato soltanto pochi spunti,
riservandomi per uno studio più approfondito della poetica di Pasquale Balestriere. Altri, d’altronde, ne hanno già
messo in evidenza la fattura classica, il
nitore delle immagini, la sua squisita
sensibilità e la perizia notevole.
Voglio soltanto concludere mettendo
in risalto quella ripresa di temi e motivi
dalla prima opera, alla quale ho accennato, facendo ricorso, per adesso, ad un
esempio che può sembrare ba­nale, ma
fa rilevare una struttura ad anello delle tre opere, che trova riscontro in altre
corrispon­denze.
Nella prima opera, una «nera bi­scia»
«disanima / lentissimamente / la lucer­
tola» (Urla del silenzio), nell’ultima
lirica di «Prove d’amore e di poe­sie»
il poeta scrive: «Osservo. Non serbo /
la lucertola alla vita / che il gatto nero
finisce, / dopo averci tes­suto / intorno
tele d’inganni[…] Dorme nel mio cor­
po il gesto / d’ogni possi­bile salvezza».
Allora, le urla del silenzio ingigantivano impietosamente in lui, ora sem­bra
che resti quasi insensibile, «ossequente» «all’imperiosa norma dell’essere
che» gli «svela il nero felino occhiverdi». In un prossimo inter­vento cercheremo di scoprire dai suoi versi le ragioni di questo mutamento.
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La Rassegna d’Ischia 1/2008
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Il coraggio di essere
se stessi
Tre storie ischitane
di Luciano Di Meglio
Museo del Mare Edizioni, 2007
di Nicola Luongo
Luciano Di Meglio, “ischitano verace”, scrittore e fondatore del Museo del
mare, situato nel settecentesco palazzo
dell’Orologio di Ischia Ponte che, tra
l’altro, accoglie cimeli e oggetti marinareschi della millenaria cultura locale,
già noto per altre opere, tra cui Sogno
infranto di un marinaio ischitano e Pe­
scatori di un’isola del Sud, ha recentemente pubblicato un testo di agevole e
proficua lettura, corredato di illustrazioni e copertine di giornali d’epoca, dal
titolo significativo: Il coraggio di essere
se stessi, tre storie ischitane.
L’autore si immedesima nel narratore
che, “catturato dal vortice della memoria”, rievoca le condizioni socio-economiche della nostra isola prima dell’avvento del turismo e mette in risalto in
particolare le ingiustizie e il degrado
di quella società, «dove la ricchezza e
il potere appartenevano solo a poche
persone» che si comportavano da veri e
propri feudatari. D’altronde gli abitanti
dell’isola, in quello stato di arretratezza e di povertà assoluta, spesso erano
inconsapevoli dei loro diritti e dei loro
requisiti di essere pensanti, quindi meritevoli di dignità e di rispetto.
Le vicende vengono esposte con senso di oggettività e impersonalità con-
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trollata di stile, pervasa da una sentita
partecipazione al destino dei personaggi
più sfortunati e da una tacita condanna a
quelli più prevaricatori ed arroganti.
Soprattutto nel primo, lungo racconto, La colomba insanguinata, il comportamento del personaggio principale, il
Barone, un vero e proprio Don Rodrigo
di manzoniana memoria, conferma l’indifferenza e disprezzo di certi individui
del passato e del presente nei confronti
di valori morali e sociali in conformità
dell’assunto hobbesiano dell’homo ho­
mini lupus. Il Barone, ricco latifondista
ed erotomane da strapazzo, non disdegna di circuire e sedurre la sua procace
domestica che, a seguito della relazione,
mette al mondo quello che sarà il protagonista del racconto, di cui non è detto
il nome e che sarà oggetto di scherno e
di umiliazioni da parte dell’ambiente bigotto circostante. Perciò egli nutre odio
e rancore verso il genitore che anzi non
ha mai accettato ed amato.
Il ragazzo riesce a superare con la
forza di volontà ostacoli di ogni genere,
ma è sempre perseguitato dal padre, che
un giorno addirittura aggredisce il figlio
che, per difendersi, provoca una frattura allo stesso padre. Il giovane subisce
un processo-farsa e, per sfuggire alla
detenzione, accetta l’invito di recarsi
in Spagna come volontario nella guerra civile spagnola. È in quest’occasione
che trapela il messaggio dell’inutilità
di tutte le guerre e del valore assoluto
della pace, del dovere morale dell’uomo di non scendere a compromessi con
la propria coscienza. E, fedele a questi
principi, il giovane, avendo conosciuto
una ricca armatrice, vera e propria ape
regina che vorrebbe legarlo a sé con le
sue ricchezze, preferisce il coraggio di
essere se stesso alle lusinghe di una relazione priva di amore. Anche quando
parte avventurosamente per l’America che aveva tanto mitizzato, si accorge che l’umanità è la stessa ovunque,
più disposta al male che al bene. Solo
l’amore di una donna olandese, Helen,
diventa il suo punto di riferimento e la
luce della sua tormentata esistenza. E, in
nome di questo amore del senso di altruismo maturato dopo tante peripezie,
tradimenti, dolori, il giovane per soddisfare la sua inestinguibile sete di conoscenza e di nuove esperienze, emigra
nella Terrasanta dove, pur avendo perso
in un attentato dei palestinesi l’unico
amore della sua vita e pur animato in un
primo momento da un moto di vendetta,
compie un gesto che sorprende il lettore
e rivela il senso di realismo e l’acume
psicologico di Luciano Di Meglio che
preferisce evitare al racconto un più facile e scontato happy end che raramente
è incluso nella vita degli uomini.
Nel secondo racconto, I soldatini,
l’autore esprime una chiara condanna
della guerra in cui «si deve uccidere per
non essere uccisi», attraverso la triste
vicenda di un ragazzo di Campagnano
di nome Carmine. Questi nei tempi difficili della seconda guerra mondiale, in
cui erano imperanti la disoccupazione e
la povertà, si imbarcò con sollievo sul
piroscafo della Span, il Santa Lucia che
fu colpito proditoriamente nella rotta da
Ventotene a Ponza. Il giovane, invece
di pensare a mettersi in salvo, trovò la
morte nell’affondamento della nave nel
tentativo di salvare alcuni passeggeri
e la ragazza che amava in un supremo
atto di eroismo e di abnegazione, gettando nella disperazione la madre che lo
aspettava nel villaggio di Campagnano.
Nel terzo racconto, Giallo ischitano,
nel contesto di un’isola d’Ischia degli
anni ‘50-60, quando il turismo aveva assunto una valenza importante e moderna
come risposta ad un’esigenza di svago,
di mondanità e di cure termali, sentita
dagli ospiti provenienti da tutto il mondo, si snoda l’amara vicenda del protagonista, ipostasi del Casanova nostrano
ormai tramontato, sempre a caccia di
donne straniere disponibili, il quale,
dopo l’omicidio della sua amante, sposata a un ricco imprenditore milanese,
scopre col suo istinto di detective l’assassino della donna e decide di ucciderlo
senza pietà. Riesce nell’intento con un
cinismo e con una freddezza eccezionale, realizzando il classico delitto perfetto, del quale si compiace senza provare
alcun rimorso. Così viene confermato
l’assunto del libro che l’aspirazione al
perdono e alla pace è solo un sogno, una
utopia, mentre un qualsiasi codice morale che regola il comportamento sociale degli uomini non dovrebbe mai, sia a
livello individuale che statale, ammettere la vendetta come avviene purtroppo
ancora oggi, ma il male, le ingiustizie e
le prevaricazioni fanno e faranno parte
di ogni società, finché “il sole risplenderà sulle sciagure umane”.
***
Il Rinascimento allo specchio
Arte, amore, ricchezza e potere di nobildonne e cortigiane, streghe e
borghesi, donne indomite della Storia
di Gaia Servadio
Salani Editore, 2007. In copertina: Bottega di Giovanni Bellini, Nuda allo specchio
(particolare), 1515 circa, New York, collezione Stanley Mos.
Un viaggio nel cuore del Rinascimento compiuto da una prospettiva
nuova e audace: quella ‘rinascita’ che
sfocerà nell’età moderna non ebbe
inizio con la scoperta dell’America,
ma con l’invenzione della stampa,
che rese accessibili anche alle donne
i libri e l’istruzione spianando loro la
strada verso la consapevolezza di sé.
Rinascimento, dunque, come epifania
di una nuova idea di femminilità e di
un nuovo ideale di donna: non più presenza silenziosa al fianco dell’uomo
ma protagonista della scena letteraria,
artistica, politica, coinvolta a pieno titolo nel dibattito sulla riforma religiosa
e nelle trasformazioni economiche che
porteranno all’avvento della borghesia.
Un ideale di donna che Gaia Servadio
Dieci
di Andrej Longo
Adelphi Edizioni, 2007
(Dalla bandella del testo) Vanessa
che «quando si mette le calze nere e la
gonna corta di pelle pare proprio ‘na
femmina»; il tredicenne che di fronte
alla sofferenza della madre è capace di
un gesto terribile: «perché qualcuno doveva farlo», perché «ci sta un limite a
tutto»; la ragazza che a una sola persona, un gatto di stoffa chiamato Monnezza, può raccon­tare che cosa significhi
subire sul proprio corpo la violenza di
un adulto; il piccolo malavitoso costretto ad abbassare gli oc­chi davanti a un
anziano pensionato pacatamente deciso
a non abbassare i propri; Reibàn, che nel
corso di una notte balor­da in compagnia
dei suoi amici Panzarotto e Rolèx ruba
la macchina sbagliata e do­vrà pagarla
cara: sono solo alcuni dei per­sonaggi
che il lettore incontrerà in questi dieci racconti - dieci come i dieci coman­
damenti - e che difficilmente riuscirà a
dimenticare. Perché ognuno viene fuori
dalla pagina di Andrej Longo con una
esattezza quasi dolorosa - con le sue
paure e i suoi rimorsi, le sue viltà e la sua
grazia -, in virtù di una scrittura asciutta
ed esigente, tutta costruita su dialoghi
rapidissimi, a volte brutali. Nei racconti
ci mostra incarnato da alcune grandi dame dell’epoca: la bella Imperia,
amante di aristocratici e ricchi borghesi, Vittoria Colonna, scrittrice e amica
di Michelangelo, Tullia d’Aragona,
cortigiana nobile e raffinata, Louise
Labe, che con lo stesso appassionato
ardimento impugnò le armi e compose
brucianti poesie d’amore. Leggendone
le lettere, i diari e i versi, seguendone
gli spostamenti cui furono costrette da
matrimoni, amori nuovi o perduti, lutti
o battaglie, percorriamo insieme a loro
le strade di un’Europa lacerata dalle
guerre di religione, entriamo alla corte
dei signori e grandi mecenati italiani,
di re e regine, ritroviamo la Roma dei
papi e la Venezia dei dogi. Con uno
stile chiaro e brillante, Il Rinascimento
allo specchio ricostruisce con grande
vivacità di particolari tutti gli aspetti storici, dinastici, culturali, di moda e di
costume - dei secoli che videro l’irresistibile ascesa della donna ad artefice
della Storia al pari dell’uomo. (Dalla
bandella del testo)
di Longo non c’è mai una parola superflua, ci sono tutte quelle che servono a
dar­ci di quell’universo metropolitano
che si chiama Napoli, un’immagine radicalmente nuova - e folgorante.
«A Giggino Mezzanotte lo portano in
pal­mo di mano come a un Dio, perché
una maniera o l’altra in tanti si abbuscano qualcosa per mezzo suo. Chi a spacciare, chi a nascondere la roba e chi le
armi, chi a vendere il falsificato, chi a
prendere una fatica in qualche cantiere
o dentro alle im­prese di pulizia. Io, se
posso, a Giggino Mezzanotte non ci voglio chiedere niente né ora né mai, perché una volta che sei entrato dentro al
sistema sei fottuto e non decidi più niente della vita tua. Decide lui al posto tuo,
ti dice quello che devi e non devi fare, e
se non vuoi stare alle regole lui sicuro ti
fa sparare in testa. Perché è così che qua
funziona».
Andrej Longo divide il suo tempo fra
Ischia, dove è nato, e Roma, dove vive e lavora per il cinema e il teatro. Dieci è il suo
quarto libro e il primo pubblicato da Adelphi.
La Rassegna d’Ischia 1/2008
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Premio Cypraea
L’Associazione Culturale Cypraea con il Comune di
Sorrento - Assessorato alla Pubblica Istruzione, alla Pace
e ai Diritti Umani, il Museo Correale di Terranova, con il
patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della Regione Campania Assessorato all’Istruzione e
delle Ambasciate di Francia e di Grecia in Italia hanno
presentato a Sorrento nella Sala degli Specchi del Museo
Correale il XXI Premio Cypraea per la letteratura, il giornalismo, la scienza e l’arte.
La manifestazione si è aperta con l’inaugurazione della Mostra “Colori del Mito – Omaggio a Maria Callas“
dipinti dell’artista Giovanni Truncellito, pittore, scenografo, musicista. che collabora con Enti teatrali italiani
ed esteri, ultimo il Teatro dell’Opera di Roma. Cecilia
Coppola, presidente della Cypraea, spiega: «Abbiamo
sempre considerato il linguaggio della musica e del can­
to un solido ponte di comunicazione fra i giovani al di là
di ogni discriminazione razzistica e culturale, per questo
motivo rendiamo omaggio alla memoria di una donna, la
cui “voce” ha riempito i palcoscenici di tutto il mondo,
suscitando ammirazione, entusiasmo e reverente adora­
zione».
Erano presenti a rappresentare la Giuria dei giovani della Cypraea Francesca Di Nola dell’Università Federico II
di Napoli Facoltà di giurisprudenza, Federico Iaccarino
scultore, Francesco Palmieri dell’Istituto Nautico “ Nino
Bixio” di Piano, Annaluisa Sagristano dell’Accademia
Nazionale di Danza di Roma, Selvaggia Senatore violinista, Cristina Biancone dell’Università di Foggia Facoltà di Medicina, Alaa Amoudi della Jamal Abdel Nasser
Liceo femminile di Nablus Palestina, delegati a leggere
le motivazioni e porre domande ai personaggi ai quali è
andato il Premio Cypraea:
- per la scienza medica il professor cardiochirurgo Carlo Vosa «in quanto della Sua professione ne ha fatto una
vera missione volta al mondo indifeso dell’infanzia, spes­
so sottoposto nell’immediatezza complessa di situazioni
di guerra, spingendoci a riflettere sul prezioso patrimo­
nio della pace che ognuno ha il dovere di promuovere
nella collaborazione dei popoli, nel coraggio dei singoli
individui, nel progetto di una comune giustizia per cam­
biare il mondo nel segno di essa».
- per il giornalismo Marco Merola (Venerdì di Repub­
blica): «i suoi articoli comunicano la gioia di viaggiare,
conoscere, sperimentare per recuperare memorie e rac­
contarne la preziosa eredità come avviene con Tebtunys,
definita città della Pace, che riemerge dal deserto con la
sua storia costruita grazie a settemila papiri, forse per
ammonire quanto sia necessaria la serena convivenza fra
i popoli».
- per la narrativa Lia Di Renzo «per il libro I ragazzi
delle Carine in quanto immerge nelle storie di vita di
adolescenti in formazione e del loro viaggio nel mondo
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(Da sinistra) Carlo Vosa, Mariano Russo,
Cecilia Coppola, Rosario Fiorentino
La mostra “Colori del mito - Omaggio a Maria Callas”
Annaluisa Sagristano
dell’Accademia Nazionale di Danza di Roma
della scuola e del suo tessuto sociale, con una immedia­
tezza di linguaggio sorprendente che spinge a conside­
rare l’impatto con la vita come una pienezza di rapporti
che ripropongono i valori dell’amicizia. E’ evidente nello
svolgersi del racconto che l’Autrice ha diretto una comu­
nità scolastica non facile, l’ ha vissuta e condivisa in tutti
i momenti di profondo significato e ha dato ai ragazzi del­
le Carine una conoscenza umana, nutrita delle proprie
esperienze e da quelle altrui».
- il Teatro San Carlo «una delle più prestigiose istitu­
zioni liriche nel mondo, un vero patrimonio storico, arti­
stico e culturale dell’umanità, una preziosa eredità per la
città di Napoli. La musica e il canto sono il linguaggio
più emozionale della Pace specie se indirizzato verso i
giovani alla ricerca di valori e di ideali».
A coronare questo evento si è svolto il Concerto “ Arie
d’Opera” dal repertorio di Maria Callas, affidato alla voce
del celebre e straordinario soprano Lucia Lui accompagnata al piano da Hiroko Sato e al Coro Tertium Millenium diretto dal M° Roberto Altieri, soprano Anna Maria
Gargiulo, pianista Mariano Oliva.
Il poeta ischitano
Francesco Mattera
tra i vincitori
del Premio Rabelais 2007
Sì, è proprio lui, il dottor Francesco Mattera, agronomo in Ischia (come si diceva un
tempo), riservato e sincero cultore di poesia, uno dei vincitori ex aequo del Premio
Rabelais 2007.
Questo successo premia la passione, ignota ai più, di Franco per la poesia; passione
che si esprime con delicatezza, quasi con
pudore; che è volta a carpire, dell’aspetto
fenomenico della natura, quei segni, o semplicemente gli accenni, rivelatori di quella
realtà eterna, seria e vera che chiamiamo
vita e che si manifesta in una polisemia di
aspetti, figurazioni, trasformazioni, suoni.
Questo mondo, magmatico e accattivante,
oltre ad offrire spunto e occasione alla voglia di canto del Nostro, ne soffonde i versi
di un tono meditabondo e di una sensibilità
malinconica, controbilanciata spesso da una
visione serena e positiva della vita. Come
accade anche nella poesia qui riportata, in
cui il linguaggio disteso e “naturale”, l’adozione in più punti di costrutti inversi e il taglio affabulatorio danno al componimento
una dimensione singolare.
Pasquale Balestriere
Il sindaco di Sorrento Marco Fiorentino ha espresso il suo
compiacimento in quanto l’evento crea un legame ideale
tra la regina del bel canto e la stessa Sorrento. Il vice sindaco Mariano Russo ha puntualizzato come avvenimenti
quali il Premio Cypraea arricchiscono l’immagine turistica e culturale di Sorrento. L’assessore alla Pubblica Istruzione, alla Pace e ai Diritti Umani Rosario Fiorentino ha
evidenziato che il Premio Cypraea in venti anni tra i vari
personaggi premiati, da Piero Angela ad Antonino Zichichi, da Carlo Sgorlon a Michel Quoist, da Philipe Leroy
a Lina Wertumller, da Giovanni Bollea a Roberto De Simone, ha sempre tenuto conto del linguaggio universale
della Pace. Il Presidente del Museo Correale di Terranova
Giuliano Buccino Grimaldi e il Direttore Filippo Merola
hanno accolto la manifestazione per far coniugare ancora
una volta l’Arte in ogni sua forma alla Musica ispiratrice di pittura in un comune denominatore. La Mostra che
resterà aperta sino a fine dicembre è stata presentata da
Cesare Nissirio, Direttore del Museo Parigino a Roma e
dell’Associazione Athena Parthenos.
***
La perfetta compagnia
Mi giunse lontana la chiamata
Lungamente squillante dall’uscio della tua cantina:
Giua’, vieni a bere , vieni a farti un bicchiere!
La mente rivolta altrove, a dolenti pensieri
Che torcono dalla gola fin nei visceri profondi
E tregua non lasciano. Difetto di circuito,
Brevità di raziocinii al momento non sostenibili.
Non io giunsi a te, ma la maschera di un automa
Con ingranaggi poco oleati.
E tu, amico discreto, hai intravisto l’agitazione
Della navicella preda della tempesta,
L’hai pesata senza aggiungere inutili tare.
Con sorriso largo e schietto mi hai offerto il balsamo
Della tua parola, calda, scevra da scrutamenti.
Vedi Giua’, non si sta bene in due, la perfetta compagnia
E’ data dal tre, mi dicesti, e con la mano sulla spalla
M’avviasti al fondo più fresco della cantina,
Alla botticella tenuta in serbo per la Vita.
Ne traesti una magia in bicchieri traboccanti effimere spume,
Effluvii dolcissimi in tranquille spire avvolgenti.
C’eravamo uniti al terzo compagno, il più gioioso,
L’anello che tiene i vertici, storna i pesi, libera la lingua.
Qual fluido benefico - sussurrasti – più di questo vino dispone
L’animo al sereno?
E dunque beviamo di questo nostro rosso amico sincero
che nulla chiede e la mente non ottunde
Sol che noi si tenga il conto e non si profitti del suo umore.
Che di poi avvenisse, spalla a spalla della casa la strada
Troveremo alfine!
Francesco Mattera
La Rassegna d’Ischia 1/2008
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