Valeria Ferrero IL FANTASMA ORIGINARIO Il termine

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Valeria Ferrero IL FANTASMA ORIGINARIO Il termine
Valeria Ferrero
IL FANTASMA ORIGINARIO
Il termine fantasma originario appare negli scritti di Freud nel 1915: “Chiamo fantasmi originari
quelle formazioni fantasmatiche [che riguardano] – osservazione del rapporto sessuale tra i genitori,
seduzione, castrazione ecc.”.
Il termine si riferisce a quelle strutture implicite tipiche che si riferiscono perciò all’origine
dell’esistere, al sorgere della sessualità e alla differenza tra i due sessi che organizzano la
dimensione fantasmatica. Il mondo fantasmatico si configura nella psicoanalisi con una
consistenza, un’organizzazione e un’efficacia che sono ben espresse dal termine “realtà psichica”.
Il fantasma originario è per Laplanche e Pontalis come la risposta originaria del bambino alle
frustrazioni quando urta con il principio di realtà. Si potrebbe quindi considerare come risorsa a
cui accedere per le contraddizioni al piacere che il principio di realtà pone e rivincita narcisistica
rispetto a quell’urto.
Per esemplificare ciò Freud in “Precisazioni sui due principi dell’accadere psichico” (1911) porta
l’esempio di ciò che prova l’uomo civilizzato nei Parchi Naturali. L’uomo ritroverebbe in essi quel
modo “in cui fu”, in contrasto con i contrasti quotidiani del vivere comune. Come a ritrovarsi
ancora in quel lattante che urla e si dimena, allucinando per non sopperire alla frustrazione.
Il fantasma originario è fulcro di scenari immaginari che riguardano le risposte con cui il bambino
affronta la seduzione e l’angoscia e perciò quanto ha a che vedere con l’insorgere dell’inconscio
(rimozione e resistenza) e del non formulato consapevolmente e comunicabilmente (dissociazione).
Ne discende che il fantasma è luogo delle operazioni difensive legate indissolubilmente alla sua
funzione: la messinscena del desiderio, accanto al quale compare il divieto. Il fantasma originario
implica l’ineliminabilità del desiderio e la sua centralità nel costituirsi della realtà psichica e del
vissuto esperienziale di ciascuno.
Il termine fantasma originario è una delle varie modalità attraverso cui si compone il più generale
concetto di fantasma e con cui si definisce quello scenario immaginario che raffigura, in modo più
o meno deformato dai processi difensivi, l’appagamento di un desiderio in ultima analisi inconscio.
Le sue tracce sono nei sogni, anche diurni “ad occhi aperti”, e nei fantasmi sottostanti ad un
contenuto manifesto o sintomatico.
La caratteristica peculiare è la sua assenza o apparizione che fa piazza pulita del prima e del poi,
della causa e dell’effetto e quindi degli assetti logico dimostrativi.
Per familiarizzarci con la questione possiamo vedere come parte di questi aspetti vengano descritti
da Marcel Proust (“Dalla parte di Swann”) nel seguente famosissimo stralcio: “Una sera d’inverno,
appena rincasato, (…) sentendomi triste per la giornata cupa e la prospettiva di un domani doloroso,
portai macchinalmente alle labbra un cucchiaino del tè nel quale avevo lasciato inzuppare un pezzetto
della maddalena. Ma appena la sorsata mescolata alle briciole del pasticcino toccò il mio palato,
trasalii, attento al fenomeno straordinario che si svolgeva in me. Un delizioso piacere m’aveva invaso,
isolato, senza nozione di causa. E subito, m’aveva reso indifferenti le vicissitudini, inoffensivi i
rovesci, illusoria la brevità della vita … non mi sentivo più mediocre, contingente, mortale. Da dove
m’era potuta venire quella gioia violenta? Sentivo che era connessa col gusto del tè e della maddalena.
Ma lo superava infinitamente, non doveva essere della stessa natura. Da dove veniva? Che senso aveva?
Dove fermarla? Bevo una seconda sorsata, non ci trovo più nulla della prima, una terza che mi porta
ancor meno della seconda. E tempo di smettere, la virtù della bevanda sembra diminuire. È chiaro che
la verità che cerco non è in essa, ma in me. È stata lei a risvegliarla, ma non la conosce, e non può far
altro che ripetere indefinitivamente, con la forza sempre crescente, quella medesima testimonianza che
non so interpretare e che vorrei almeno essere in grado di richiederle e ritrovare intatta (…)”.
In questo senso il fantasma “appare”, ma occorre che non si fissi, che operi. Occorre che operi
affinché le funzioni del dire possano aprire alle funzioni di un altrove. Quando vogliamo fissare il
fantasma abbiamo un intento di padronanza (fantasma materno) dove pregiudichiamo il dire in
virtù del detto. Non c’è apparire, non c’è assenza, ma rigidità e fissità. Quando, invece, il fantasma
opera, le funzioni del dire aprendosi alla libertà narrativa e alla parola si aprono al pragma.
L’atto di parola, è accompagnato dal fantasma in tutte le espressioni verbali autentiche. Con esso
tutte le cronologie sono tagliate, si inaugura il tempo (il cui etimo è taglio), la funzione temporale.
Appaiono metafore che come “ponti” dal presente ci rimandano a concezioni del passato
perpetuando e modificando la percezione. Attraverso mimesi e differenza, un ricordo è metafora
di qualche aspetto del presente. Da un punto di vista più filosofico, questo processo che molto
spesso avviene al di fuori della completa consapevolezza, è stato esplorato da Hannah Arendt in
“La vita della mente”. L’autrice scrive che: “analogie, metafore e emblemi sono i fili con cui la mente
si tiene stretta al mondo anche quando, per distrazione, abbia perduto il contatto diretto con esso, e
assicurano l’unità dell’esperienza dell’uomo” (Arendt, 1987).
Lo psicoanalista Donnel B. Stern scrive che: “Il passato presta qualcosa al presente; e il presente
essendo collegato al passato, tiene in vita la continua, inconscia crescita e lo sviluppo delle nostre
biografie” (Stern, 2012). Proprio quelle biografie originatesi dei primi contatti con il mondo che
tanto interessano la psicoanalisi.
Riconsiderando Freud (1899, 1901), si può dire che le somiglianze fluendo attraverso passaggi
metaforici, arricchiscono sia il passato che il presente. Questo flusso vitale è permesso se i
significati accedono alla temporalità non lineare, definita come kairos, fondamentale per
congiungere, nel fluire del tempo, esperienze “sensibili” in cui mente, corpo e pensiero sono
all’unisono. È proprio l’esperienza di abitare un tempo non ciclico e non oggettivato, che può
permettere di stabilire una traccia tra un prima e un dopo. Regolandosi solo sul tempo
dell’orologio (chronos) si perderebbe l’esperienza atemporale, che è quella che permette di creare
nuovi significati e al fantasma originario di mettersi, ancora e diversamente, in gioco. Quando,
invece, la memoria fluisce è come se si avesse la possibilità di stare fuori dal tempo lineare,
lasciando che, “da sé”, le immagini e le parole si succedano e si incontrino. La compenetrazione
dei tempi, potenzialmente presente in ciascun passo della vita quotidiana, si mostra solo se la
memoria è una presenza viva, solo così essa può essere “ritrascritta” come effetto del
congiungimento tra esperienze presenti a memorie passate, e dona a queste ultime nuovi
significati. In altri termini, le situazioni del passato assumono nuovi significati mai formulati
proprio perché hanno contribuito a formare le esperienze in atto. Solo quando non c’è racconto
ma trauma, ovvero immagine fissata, ciò non può avvenire. In quest’ultimo caso, la ricezione
della vecchia esperienza attraverso il tempo (Kairos) è impedita, quindi le nuove circostanze non
hanno connessioni con le categorie emotive e le metafore, che eventualmente potrebbero stimolare
quei significati dissociati.
La possibilità di avere un interlocutore – testimone, in ascolto fluttuante, può permettere il crearsi
di metafore quali giunture tra passato, presente e futuro. Consente un nuovo modo di raccontare,
anzi nel caso delle rigidità narrative, apre al racconto. Il tempo come atto è l’intervallo, necessario
alla parola, all’apertura, all’intravedersi della differenza e della sessualità. Metafora del respiro
che non può essere solo inspirazione, del ritmo musicale nel suo battere e nel suo sottrarsi, rimedio
alla simbiosi “materna” che ingloba e non permette la distrazione, l’attenzione fluttuante, il
fantasma operativo appunto. Il fantasma nel registro pragmatico è desiderio e racconto, mentre
è materno quando c’è l’idea del possibile dominio sull’oggetto, quando c’è convinzione ideologica,
quando ognuno rappresentandosi come bisognoso non si accorge della necessità di agire (Lodari,
2007).
Il tema del fantasma riguarda ciascuno e non riguarda solo come le persone si muovono o si
difendono ma cosa fa muovere le persone. Ed è attraverso l‘improvvisazione delle libere
associazioni, con cui si può consentire al racconto di defluire, che la ragione che si accompagna
alla parola “sentita” e al pensiero è stimolata, e la memoria è riaccesa non verso un ricordo
originario ma verso l’avvenire.
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