Edi Eusebi, L.A.B. Kliszewicz, Verso la liberazione di

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Edi Eusebi, L.A.B. Kliszewicz, Verso la liberazione di
VERSO LA LIBERAZIONE DI MONDOLFO: 11 AGOSTO 1944,
RICOGNIZIONE DI UN PLOTONE MECCANIZZATO POLACCO
Molti cittadini di Mondolfo, che vissero sulla propria pelle il passaggio del fronte di battaglia nella nostra area, ricordano molto bene
l’episodio del carro armato polacco colpito e distrutto dai tedeschi nei pressi
di San Sebastiano durante una missione di ricognizione su Mondolfo, era
l’11 agosto 1944.
Nel corso delle mie ricerche ho sentito raccontare molte versioni di
come si svolsero i fatti, chi le ricorda in un modo chi in un altro, chi dice
che i carri erano due, chi tre ecc ecc. Alcuni anni fa, con un incredibile
colpo di fortuna sono riuscito, tramite una associazione di veterani polacchi,
a rintracciare due dei protagonisti principali di quella azione, il comandante
del carro armato distrutto Albin Sokalski, e il comandante del carro armato
superstite L.A.B. Kliszewicz, i quali mi hanno gentilmente inviato alcune
fotografie e la cronaca dei fatti di quella missione su Mondolfo.
Nel carro, che s’incendiò, morirono carbonizzati due membri
dell’equipaggio: l’operatore radio Piotr Ozdoba ed il conducente Franciszek
Mazurkiewicz, entrambi saranno successivamente seppelliti nel cimitero di
guerra polacco di Loreto. Il comandante Sokalski, ferito gravemente,
insieme agli altri carristi fu subito avviato nelle retrovie. L’anno dopo tornò
a Mondolfo per visitare il luogo dell’incidente, qui scoprì che la carcassa del
suo carro non era ancora stata rimossa e scattò alcune fotografie dove è ben
visibile il foro d’entrata del proiettile tedesco. Kliszewicz sarà tra i
protagonisti anche il 18 agosto 1944, giorno della liberazione di Mondolfo,
quando lo troveremo al comando di uno dei carri armati che entrarono per
primi in paese, spingendosi fino alla piazza del comune.
Desidero ringraziare i veterani Kliszewicz e Sokalski, per l’importante
contributo alla ricostruzione della nostra storia e Roberta Apricena di
Milano per la traduzione dei testi.
Edi Eusebi
© 2006 Monte Offo – Morlacchi Editore
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Carro armato M4-Sherman
Albin Sokalski (a destra) con un suo compagno posano seduti sulla corazza del carro armato
Sherman colpito dai tedeschi. (Foto A. Sokalski, collezione E. Eusebi)
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Albin Sokalski osserva il foro del proiettile che colpì la torretta del suo Sherman.
(Foto A. Sokalski, collezione E. Eusebi)
Cimitero di guerra polacco a Loreto. Le tombe dei due carristi morti in missione a Mondolfo.
(Foto E. Eusebi)
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La cronaca.
Il 10 Agosto 1944, io ed Albin Sokalski, un amico delle scuole
superiori, fummo convocati davanti al comandante della compagnia, a quel
tempo eravamo entrambi cadetti ufficiali.
Il comandante ci informò che il 4° plotone, di cui avevo momentaneamente il comando, era stato assegnato ad una missione di
ricognizione prevista per il giorno seguente, l’ufficiale incaricato doveva
essere del 2° Battaglione, 1a Brigata, 3a Divisione dei Fucilieri di Carpazia.
La missione consisteva nell’esplorare Mondolfo, raccogliere informazioni
sul dispiegamento e la consistenza delle truppe tedesche. Al tempo stesso
fummo informati dal capo dello squadrone che Sokalski avrebbe avuto il
comando della missione e quindi sarebbe stato il capo plotone, mentre io il
suo secondo.
La mattina seguente, tenendoci lungo la riva destra del fiume Cesano,
se non sbaglio approssimativamente intorno alle sei del mattino, il nostro
distaccamento (tre carri armati Sherman più alcune pattuglie a piedi),
cominciò ad attraversare il fiume, già potevamo vedere ad alcuni chilometri
di distanza le case e le costruzioni di Mondolfo.
La nostra colonna si muoveva avanzando nel seguente ordine: davanti
andavano i genieri, dietro di loro la fanteria con gli artiglieri e per ultimi i
carri armati; il secondo capo era nel carro di testa, io nel secondo e Sokalski
nel terzo carro.
Il punto d’attraversamento del fiume era già stato delimitato dai
genieri, uno dei quali ci informò che il guado era stato sgombrato dalle mine
e che quindi il passaggio era libero.
Ci muovemmo, e quando il primo carro armato raggiunse il centro del
fiume ci fu un’esplosione provocata da una piccola mina antiuomo che
fortunatamente non provocò niente di serio.
Il carro armato di testa proseguì verso il sentiero dall’altro lato del
fiume, improvvisamente ci fu di nuovo una violenta esplosione, questa volta
il mezzo finì sopra una mina anticarro. Lo Sherman rimase seriamente
danneggiato dall’esplosione e non poté proseguire, per fortuna nessuno
dell’equipaggio rimase ferito. Con gli altri due carri passammo allora
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sull’altra riva e ci dirigemmo verso una piccola radura adiacente alla sponda
del fiume.
Un carro armato tedesco bruciato stava lì vicino e accanto ad esso
c’erano i resti carbonizzati di due soldati, questo momentaneamente fermò
la marcia della nostra colonna. Approfittammo di questa sosta per mangiare
qualcosa.
Arrivarono nuovi ordini; era ora di muoversi. Sulla parte destra della
strada c’erano alcune case, entrammo in un campo aperto, un sentiero
conduceva verso l’area sud-ovest di Mondolfo.
Predominava un silenzio mortale, i miei pensieri e quelli dei miei
uomini erano oscurati da una forte ansia e da una tensione bruciante: il
nemico, a Mondolfo, c’era o no? Il silenzio cominciava a risvegliare la
paura, ci avvicinammo ad una strada che intersecava i campi, il distaccamento si fermò e mandò avanti una pattuglia in avanscoperta.
Dopo un po’ un geniere segnalò che la strada non era minata,
ripartimmo, ma improvvisamente fummo bersagliati da alcuni colpi
d’artiglieria. La paura di colpo sparì e tutta la nostra energia fu impegnata in
una battaglia aperta, entrambi i carri armati cominciarono a far fuoco nella
direzione di Mondolfo.
L’artiglieria tedesca si fermò per un attimo e noi rapidamente ci
muovemmo in direzione del paese. Di colpo ricominciò a sparare, i nostri
carri armati risposero al fuoco nemico ed i tedeschi di nuovo sospesero i tiri,
questo terribile gioco di scambio di colpi durò per molto tempo.
Passammo una casa sulla destra e molti metri più in là una sulla
sinistra, davanti a noi si vedevano le prime case di Mondolfo. Ci fermammo,
chiesi all’operatore radio di dirmi quanti colpi erano rimasti, mi rispose
dicendomi che la nostra riserva di munizioni era in pratica esaurita.
“Dov’è la nostra fanteria?” chiesi via radio a Sokalski, “È di fianco a
noi” mi disse, “La fanteria non si può muovere sotto il fuoco
dell’artiglieria”, “E senza fanteria non possiamo entrare nel paese”. Informai
Sokalski: “Abbiamo solo una decina di colpi, dobbiamo ritirarci”, dopo
questo breve scambio, diedi l’ordine di invertire la marcia, ma la cosa non
fu affatto semplice giacché occorreva manovrare in una stretta strada di
campagna. Ordinai poi all’artigliere di sparare alcuni colpi in direzione del
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nemico, così da coprire la manovra, nel frattempo aiutai il conducente del
mio carro a manovrare, ci riuscimmo; eravamo sulla strada del ritorno.
Passammo davanti al carro armato di Sokalski e ci fermammo sulla
destra di una casa. Anche Sokalski cominciò a manovrare con il suo carro
armato, si girò e venne nella nostra direzione, la strada su entrambi i lati era
protetta da cespugli.
Mentre lo Sherman di Sokalski si avvicinava a noi, percorrendo un
tratto di strada forse più scoperto all’artiglieria nemica che non mancò di
fare fuoco, fu colpito da un proiettile che esplose sul lato della torretta del
carro; “Biniu!” gridai per radio, “Il tuo carro armato è stato colpito!”, mi
rispose: “Ci stiamo muovendo in avanti”, in quell’istante il carro armato si
fermò; “Biniu!” gridai di nuovo, “Lascia subito il carro!”, “Devo riportare
l’incidente all’ufficiale incaricato del Battaglione di fanteria” disse Sokalski,
“E poi ho l’ordine di rimanere nel carro armato e mantenere il fuoco sul
nemico”. Gli dissi allora che in quelle condizioni non poteva osservare gli
ordini: “Lascialo immediatamente!” gridai, “Lo lasceremo tra un momento”
rispose.
“Posso vedere il fumo uscire dal tuo carro… sta prendendo fuoco… il
tuo carro armato sta prendendo fuoco!”, gridai al microfono. In quel momento mi accorsi che il cannone del carro era puntato, fuori controllo, nella
nostra direzione e non sul nemico.
Tre membri dell’equipaggio feriti, fra cui Sokalski, saltarono fuori del
carro ormai in fiamme, il conducente e l’operatore radio purtroppo non
riuscirono a salvarsi e morirono carbonizzati al suo interno.
Con l’aiuto della fanteria portammo i feriti in una casa vicina dove
ricevettero le prime cure, poco dopo furono portati indietro fino alle nostre
unità.
Noi intanto eravamo sotto un costante fuoco nemico, e non c’era
possibilità di andare da nessuna parte, così un gruppo del distaccamento se
ne stava in una casa e il resto in un'altra. Dopo un po’ il tenente incaricato
dell’unità di ricognizione si avvicinò a me e disse che il comandante del
Battaglione, che era alcuni chilometri indietro, in un posto d’osservazione,
aveva ordinato via radio di completare la missione di ricognizione. Chiesi
allora se avrei avuto l’appoggio della fanteria; l’ufficiale rispose con un
secco: “No! La fanteria non può muoversi sotto il fuoco tedesco”.
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“Senza il supporto della fanteria, un carro armato non può permettersi
di entrare in territorio nemico”, replicai; il tenente se ne andò e tornò poco
dopo con un nuovo messaggio del comandante, il quale replicava
perentoriamente l’ordine intimandomi che se non avessi obbedito, avrei
affrontato la corte marziale.
“Per favore informa il tuo comandante che non eseguirò i suoi ordini”,
replicai; “Non sa di cosa sta parlando, un membro dell’equipaggio di un
carro armato non può permettersi di non ubbidire a un ordine”, disse
l’ufficiale lasciandomi di nuovo. Ritornò dopo un po’ dicendomi che
avrebbe allora inviato, dietro ordine del suo superiore, una pattuglia di
fanteria nel paese.
“Ma non lo può fare, moriranno!”, gli dissi; lui mi rispose: “Il
comandante ritiene che non ci sono più tedeschi a Mondolfo, devo obbedire
agli ordini”, e lo fece.
Cautamente, tre soldati iniziarono a muoversi verso il paese, ma
appena percorso qualche metro dalla casa in cui si trovavano, uno fu colpito
e gli altri due riuscirono fortunatamente a ritirarsi. Dopo questo incidente il
comandante si convinse finalmente della presenza nemica e autorizzò il
ritiro. In ogni caso, sotto l’incessante tiro dei tedeschi non era possibile
ripiegare subito fino alle nostre linee, aspettammo quindi fino al tramonto.
All’imbrunire decidemmo di muoverci, con gli uomini a piedi davanti e il
mio carro in copertura.
Dopo un po’ raggiungemmo il fiume, dove ci aspettava la nostra
fanteria, era già completamente buio. Il conducente del mio carro non
riusciva a vedere bene la strada e il risultato fu che finimmo dentro ad una
trincea dove il carro si ribaltò su di un fianco.
Uscimmo tutti illesi dal carro, io ero completamente distrutto,
fisicamente e mentalmente, così entrai nella prima casa che vidi; dentro
c’erano già degli uomini della fanteria, mi distesi sul pavimento e mi
addormentai. Quando mi svegliai e ritornai al carro, vidi che era già stato
messo su strada. Avevano informato il comando dell’incidente che aveva
mandato dalle retrovie una squadra di soccorso per recuperare il nostro
Sherman, che era stato sollevato e rimesso a posto. Ritornammo così alla
nostra base.
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Al mio arrivo, con grande angoscia, appresi che sarei stato accusato
davanti alla corte marziale di avere disubbidito all’ordine di proseguire la
missione su Mondolfo.
Non mi persi d’animo ed andai immediatamente a parlare con il
comandante del Reggimento, il quale dopo avermi ascoltato mi disse di
scrivere un dettagliato rapporto sull’azione del giorno precedente. Grazie al
buon senso di quest’ufficiale non subii nessun processo. Ebbi anzi la
soddisfazione, il giorno seguente, di sapere sollevato dall’incarico il
comandante del Battaglione di fanteria, accusato di non essere stato capace
di valutare la situazione e comprendere il ruolo di cooperazione attivo fra
reparti di fanteria e mezzi corazzati.
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