Deterioramento: cause e prevenzione
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Deterioramento: cause e prevenzione
Deterioramento: cause e prevenzione Il deterioramento e altri cambiamenti nei materiali organici risultano sia da reazioni di radicali liberi che da reazioni ioniche. Il primo tipo include la maggior parte delle reazioni di autoossidazione, generalmente iniziate da un imput energetico termico o foto chimico, e più raramente reazioni portate avanti per radiazione ionizzante da sola, senza intervento di ossigeno. Le reazioni ioniche sono prevalentemente di natura idrolitica, mediata da acidi o altri catalizzatori. Un terzo tipo di deterioramento, che si colloca ampiamente fuori dallo scopo di questo libro, è quello di deterioramento per muffe, batteri e anche forme di vita più evolute, spesso il risultato di azione enzimatica o altri processi biochimici. Il deterioramento può essere prevenuto solamente se le reazioni chimiche coinvolte sono conosciute in maniera tale che possano essere ideati modi per interrompere o meglio per prevenirele nel loro svolgimento. Questo è più facile a dire che a fare perché la maggior parte sono complesse e comprese solo a grandi linee. Comunque, con questi substrati complicati come i materiali naturali, diversi processi differenti generalmente avvengono contemporaneamente ed è spesso impossibile distinguerli. Reazioni radicaliche Le reazioni radicaliche coinvolte nella rottura dei materiali organici sono in relazione con quelle già discusse in connessione con l'essiccamento degli oli siccativi (3.4.1) o la polimerizzazione di altri monomeri (9.2). L'energia per iniziare tali reazioni può avvenire semplicemente dal calore circostante (per esempio l'energia traslazionale delle molecole, trasferite mediante collisioni), o può venire dall'assorbimento di luce o altra energia radiante. Reazioni termiche e foto chimiche non sono sempre di tipo differente; molto spesso la sola differenza consiste nel modo in cui i radicali sono inizialmente prodotti, le reazioni quindi seguono percorsi simili. D'altro lato, alcune reazioni fotochimiche possono produrre prodotti che sono poi suscettibili di differenti reazioni termiche, e viceversa. La maggior parte delle reazioni degradative sono quelle di autossidazione, ma c'è una caratteristica iniziale che sconcerta per quanto riguarda queste, vale a dire la lentezza della normale ossidazione dei materiali organici. Per capire questo è necessario spiegare l'energia di attivazione . 1 Energia di attivazione, l'equazione di Arrhenius La maggior parte dei materiali organici può reagire vigorosamente con l'ossigeno per essere convertito in ossido di carbonio e acqua, per esempio essi bruciano. L'ossidazione è quindi una reazione esotermica. Perché essa non avviene spontaneamente? Sappiamo che in pratica essa avviene solo quando l'energia del materiale cresce localmente per riscaldamento, dopodichè essa procede autonomamente. Ossidazioni meno complete, come quelle che convertono un gruppo ossidrilico ad aldeide o che formano un idroperossido in posizione allilica, possono essere anch'esse esotermiche anche se ugualmente necessitano di una iniziale spinta di imput energetico. La situazione è riassunta dalla figura 11.1 che indica come lo stadio iniziale della reazione chimica coinvolge un aumento nel contenuto di energia dei reagenti. Nel caso di alcune reazioni questo iniziale assorbimento di energia può rappresentare l'energia necessaria per rompere un legame in uno dei reagenti per formare radicali (vedi la prossima sezione), mentre in una reazione bimolecolare tra due composti, essa corrisponde all'energia necessaria per arrivare ad uno stato a metà strada della reazione, con i vecchi legami mezzi rotti, e i nuovi mezzo formati. Questa curva di energia è conosciuta come energia di attivazione della reazione. 2 L'espressione che descrive la velocità della reazione in funzione della temperatura, e che include un termine corrispondente all'energia di attivazione, è conosciuta come equazione di Arrhenius (1889): Essa indica che la velocità del cambiamento del logaritmo naturale (per esempio il logaritmo in base e) della costante di velocità della reazione (k) con la temperatura è uguale all'energia di attivazione (Ea) diviso per il prodotto della costante dei gas (R) e il quadrato della temperatura assoluta (T). Se Ea è costante (non sempre questo è strettamente vero) l'espressione può essere integrata a: Dove C è una costante di integrazione. Questa a sua volta può essere convertita in espressione che usa logaritmi in base 10: Ciò significa che se i valori del log10 k vengono rappresentati sul diagramma in funzione di 1/T, si ottiene una retta con coefficiente angolare uguale a -Ea/2,303 R. La validità di questa espressione è stata confermata per molte reazioni chimiche ad uno stadio su un intervallo di temperatura limitato. Se l'equazione (1) viene integrata tra i limiti k1 e k2 (le costanti di velocità alle temperatureT1 e T2), una seconda espressione per la curva di Arrhenius può essere ottenuta, ovvero: Questa può essere riarrangiata di nuovo per log10, inserendo il valore per la costante dei gas R, per dare un'espressione per Ea che permette che essa venga calcolata da velocità di reazioni determinate sperimentalmente a due differenti temperature: 3 Una volta che l'energia di attivazione,Ea, è conosciuta allora le velocità di reazione possono essere calcolate per altre temperature. L'equazione di Arrhenius indica che ad ogni temperatura ci sarà sempre qualche reazione, sebbene essa possa essere incredibilmente lenta, se la temperatura è abbastanza bassa. Questo viene facilmente capito se si ricorda che in un gas o in un liquido c'è una distribuzione di energia cinetica molecolare su un livello principale. Esiste quindi sempre una certa probabilità, anche la più piccola a temperature basse, che alcune molecole di reagenti abbiano l'energia necessaria per la reazione. La figura 11.2 mostra la curva delle energie molecolari in funzione del numero di molecole a ciascun particolare livello energetico, a due differenti temperature T 1 e T2. Si può vedere che ci sono più molecole che hanno livelli energetici al di sopra di Ea (l'energia di attivazione) a temperatura più alta, T2 piuttosto che T1. Chiaramente l'equazione di Arrhenius non si applica necessariamente a reazioni fotochimiche poiché qui l'energia di iniziazione della reazione non è correlata alla temperatura del sistema. Ma comunque non si può dire che le reazioni fotochimiche sono necessariamente non correlate alla temperatura (vedi dopo). Molte di esse consistono in generale di una sequenza di reazioni, alcune delle quali saranno termiche (cosiddette scure). Se queste sono la parte più lenta della sequenza (per esempio esse sono quelle che determinano la velocità per l'intero processo) allora in questo caso l'equazione di Arrhenius può essere applicata. Sono stati compiuti studi per vedere se il degrado di materiali naturali (misurato o con il cambiamento o in alcune proprietà fisiche) è correlato alla temperatura in modo tale da corrispondere alle equazioni di Arrhenius. Questo è stato trovato solo occasionalmente (è forse fortuitamente) essere vero e alcune ragioni di ciò sono state messe in connessione più avanti con la carta: 4 Alcune reazioni possono avvenire simultaneamente; Singole reazioni possono non procedere indipendentemente da ciascun altra; Alcune reazioni possono non procedere indipendente da tutte le altre Reazioni addizionali possono avvenire come risultato di intermedi formatisi; Le energie di attivazione possono variare con la temperatura; Tutte le proprietà fisiche della carta non rispondono nello stesso modo ai cambiamenti chimici che avvengono all'interno della carta. Energie di dissociazione del legame Il fattore fondamentale che determina la stabilità di una molecola o (per conoscerlo dovrebbe essere sottoposta a pirolisi, fotolisi o rottura con specie reattive) il modo in cui essa si rompe, sono le differenti forze legami chimici che tengono i suoi atomi componenti insieme. Le differenti forze dei legami carbonio e idrogeno in differenti ambienti molecolari sono stati brevemente menzionati in connessione con la reattività di idrocarburi saturi o insaturi (1.1). Una selezione di energie di dissociazione dei legami è mostrata nella tabella 11.1. Questi valori sono per legami di molecole indicate come particolarmente piccole. Esse non sono necessariamente le stesse per i legami nelle grandi molecole di polimeri, ma questi dati forniscono una guida anche per esse. La relazione tra l'energia di legame e la lunghezza d'onda della luce, che potrebbe raggiungere quest’energia ed essere adatta per romperle, è stato descritto in connessione con l'assorbimento della luce nella regione ultravioletta, per esempio lo spettro ultravioletto (2.2.2). La maggior parte dei legami in composti organici ordinari con legami C-H,C-C, C-O, etc non assorbono nella regione della vicino ultravioletto eppure in pratica è stato trovato che polimeri quali il polimetilmetacrilato, il polietilene etc., come anche i materiali naturali come la cellulosa, possono essere abbastanza severamente attaccati dalla luce di quelle lunghezze d'onda e le possibili ragioni saranno discusse ulteriormente in seguito. Può essere visto dalla tabella 11.1 che alcuni legami hanno energie di dissociazione marcatamente più basse di quelle appena menzionate. In generale i legami carboniocarbonio sono leggermente più deboli di quelli carbonio-idrogeno. 5 I legami carbonio-ossigeno negli alcoli sono forti, mentre i corrispondenti legami idrogeno-ossigeno sono anche più forti (sempre ricordando che stiamo parlando qui di omolisi a radicali e non di ionizzazione). I legami carbonio-alogeni formano una serie istruttiva. I legami carbonio-fluoro sono eccezionalmente stabili, carbonio-cloro e carbonio-bromo progressivamente meno, i legami carbonio-iodio piuttosto deboli e ciò si riflette nella frequente decomposizione spontanea degli alchilioduri a temperatura ambiente con liberazione di iodio libero. L’instabilità degli esteri di nitrato (come nel nitrato di cellulosa) è facilmente spiegabile con la bassa energia di dissociazione del legame RO-NO2. I legami RO-OR e RO-OH nei perossidi e idroperossidi possono essere visti come deboli e facilmente rompibili, a causa del loro ruolo nel fornire radicali alcossi che iniziano o propagano le reazioni radicaliche a catena. Le energie di dissociazione di legame molto basse di alcuni legami carbonio-carbonio negli stessi radicali alcossi è anche un fatto significativo, in quanto spiegano perché alcuni radicali comunemente rompono invece di estrarre idrogeno, determinando così la formazione di alcune piccole molecole nel corso delle reazioni radicaliche a catena come quelle degli oli siccativi. Reazione radicaliche e diffusione dell'ossigeno Lo schema generalmente dato per la reazione di alchil radicali con l'ossigeno è, nel corso delle reazioni di autoossidazione radicaliche a catena, il seguente: 6 La reazione dei radicali alchilici con l'ossigeno avviene molto facilmente e viene preferita rispetto ad altri percorsi, ma evidentemente lo schema presuppone che non ci sia scarsità di ossigeno. Sono stati fatti dei calcoli per vedere se questo rimane vero per differenti velocità di reazione nell'olio e in film di vernici di vario tipo, data la velocità di consumo dell'ossigeno nel film in un intervallo di possibili velocità di reazione; la permeabilità all'ossigeno dei film; e quindi la concentrazione dell'ossigeno ottenuta a particolari profondità (con l'assunzione della diffusione nel film in accordo con la legge di Fick). La “fame di ossigeno” di un dipinto in funzione della profondità della pellicola pittorica è stata definita come la profondità di film a cui la concentrazione di ossigeno viene ridotta al 10% di quella richiesta per mantenere la velocità di reazione in esame. Per un 1% al mese di velocità di ossidazione per un olio essiccato sul un film di pittura a olio (una velocità impossibilmente alta data la sopravvivenza dei dipinti ad olio) questa profondità è stata calcolata compresa tra 0,4 e 4 mm e conseguentemente la fame di ossigeno nel film non potrebbe essere il fattore limitante per l'ossidazione del legante pittorico. Anche per velocità più basse, in realtà 1% per anno e 1% per 100 anni la profondità diviene 1,5-15 mm e 1,5-15 cm rispettivamente. Comunque, l'estrapolazione a questi limiti (rilevanti per oggetti fatti di materiali sintetici moderni) dovrebbe essere trattata con cautela. Sembrerebbe richiedere conferme sperimentali, date alcune osservazioni come la sopravvivenza di composti facilmente ossidabili in resine molto vecchie come l'ambra del Baltica, sotto una pellicola abbastanza sottile di materiale ossidato. Fotochimica La luce deve essere assorbita per essere fotochimicamente attiva. Quindi sembrerebbe che solo i materiali con appropriati spettri di assorbimento sarebbero soggetti a reazioni fotochimiche indotte. I polimeri come il polietilene e il polimetilmetacrilato non hanno, internamente, gruppi cromofori per assorbire la luce al 7 di sopra di circa 200 nm eppure, come stabilito nella precedente sezione, essi possono essere gravemente colpiti da questa luce. Infatti quest'ultimo materiale mostra in pratica un debole assorbimento a circa 254 nm come anche il polistirene. Tutti e tre questi materiali mostrano fotoluminescenza per irradiazione a questa lunghezza d'onda, e lo spettro di questo suggerisce che ciò deriva da un basso contenuto di gruppi carbonilici, forse alla fine delle catene. Potrebbe essere che le reazioni fotochimiche a questo punto inizino. I gruppi carbonilici subiscono tre tipi di reazione primaria di eccitazione da assorbimento di luce, di cui una, conosciuta come tipo I di Norrish, che produce radicali che possono quindi iniziare altre reazioni. Poiché l'assorbimento dei gruppi carbonilici è così debole, la luce di questa lunghezza d'onda penetrerà abbastanza profondamente nell'intero materiale prima che sia tutta assorbita, a profondità infatti alle quali può darsi non può penetrare l'ossigeno (tuttavia vedi sezione precedente). Questo può portare alla formazione di radicali liberi stabili (rilevabili mediante spettroscopia di risonanza di spin elettronico), o a radicali che semplicemente si ricombinano con perdita della loro energia, sotto forma di luce o calore. La luce di queste lunghezze d'onda non dovrebbe normalmente essere presente all'interno di edifici, poiché essa viene parzialmente assorbita dal vetro e potrebbe essere completamente rimossa con adatta i filtri ultravioletti. È stato notato che la temperatura alla quale i polimeri sono fotolizzati influenza grandemente il corso delle reazioni. Al di sopra del vetro, o in secondo ordine, la temperatura di transizione (Tg) del polimero o in soluzione, dove è possibile una maggiore mobilità delle specie radicaliche, la ricombinazione dei radicali è minore e la resa quantistica della reazione fotochimica aumenta. La resa quantistica è una misura empirica dell'estensione della reazione fotochimica divisa per la quantità di luce assorbita. Più precisamente questo può esser espresso come rapporto del numero di macro molecole che subiscono la scissione di catena diviso per il numero di quanti assorbiti dal sistema. Un’altra misura è la resa quantistica dell'evoluzione dei prodotti a basso peso molecolare, precisamente i gas (CO, CO2, H2). Alcuni valori che sono stati riportati per la resa quantistica della scissione della catena (a 253, 7 nm) sono: polimetilmetacrilato, 2-32; gomma naturale, 0,4; cellulosa, 0,7-1; cellulosa acetato, 0,2; cellulosa nitrato, 1020; tutto moltiplicato per 10- 3. 8 Il vicino ultravioletto (300-400 nanometri) non viene assorbito dai metacrilati, molti dei quali sono stabili ad esso, almeno per quel che concerne la scissione della catena. Di maggiore importanza dal punto di vista dei materiali delle vernici è la questione della insolubilizzazione dei legami trasversali, e la luce di queste lunghezze d'onda può indurre questo nei metacrilati con gruppi di idrogeni terziari reattivi. Apparentemente il rapporto di ramificazione rispetto alla scissione di catena è maggiore a temperatura più alte, piuttosto che a temperature più basse. Questo è un risultato che lascia perplessi poiché la decomposizione dei radicali (portando alla frammentazione) è generalmente più pronunciata alle alte temperature. La fotochimica delle resine naturali, ben conosciuta per esperienza essere molto meno stabile rispetto ai polimeri ad alto peso molecolare, è importante per coloro che desiderano continuare a utilizzarle come vernici da pittura e trovare così modalità tali da stabilizzarle. Un attento studio sull'invecchiamento accellerato della dammar, sia fotochimicamente che tecnicamente, è stato portato avanti e sono emersi interessanti risultati. Il progredire dell'invecchiamento è stato studiato attraverso la spettrometria nel ultravioletto/visibile e infrarosso, attraverso la cromatografia a gel permeazione, e attraverso le modificazione della solubilità con solventi. Si è notato che durante l'invecchiamento, l'assorbimento nell'intervallo dell'ultravioletto è aumentato e ciò è avvenuto all'aumentare delle lunghezze d'onda maggiori, infine spostandosi nella regione del visibile e manifestandosi con l'ingiallimento dei film. Due misure quantitative del cambiamento sono state ottenute dagli spettri risultanti: il cambiamento nella assorbanza a 300 nm per 10 m di spessore del film, e un fattore di ingiallimento basato sulla assorbanza a 420 nm. Le correzioni per lo spessore del film oltre 10 m sono stati trovati essere non necessari per i campioni invecchiati con fadeometri (sebbene essi fossero campioni per invecchiamento con calore) indicando che la degradazione i prodotti venivano formati solo sui primi 8 m superficiali circa del film. Questo risulta come il fallimento della radiazione ultravioletta di penetrare nei film significativamente al di sotto di questa profondità (a causa dell'aumento del forte assorbimento nella regione del vicino ultravioletto), piuttosto che come deprivazione di ossigeno. Entrambe le misure di degrado erano maggiori per film invecchiati con calore (100 °C) piuttosto che per film invecchiati con fadeometro (considerando lo stesso periodo di invecchiamento), ma erano ampiamente maggiori ancora per i film invecchiati con fadeometro e successivamente soggetti a breve invecchiamento con calore. Tali film significativamente ingialliti potevano essere risbiancati ancora mediante esposizione alla luce visibile. Questo suggerisce la formazione fotochimica di prodotti di ossidazione metastabili, che quindi si combinano con un altro, durante la fase di invecchiamento per calore, per dare prodotti colorati. Questi stessi sono capaci di essere poi ancora una volta fotolizzati a composti incolori. 9 La spettrometria infrarossa ha indicato, come ci si aspettava, un aumento della quantità di gruppi funzionali tipici nei prodotti delle reazioni di autossidazione, come acidi carbossilici, e questo è stato confermato dalla determinazione dell’acidità. La cromatografia su gel permeazione ha mostrato cambiamenti nella distribuzione del peso molecolare. Sotto esposizione alla luce, il picco a peso molecolare circa 465, che rappresenta i triterpeni originari della resina, di fatto scompariva (sopravviveva di più quello invecchiato per calore) ed era rimpiazzato da un picco a 555 probabilmente che rappresentava triterpeni altamente ossidati. La coda di materiale di ancora maggiore peso molecolare era massimo a circa 900, e probabilmente rappresentava dimeri triterpenici. Questi risultati erano paralleli con gli studi di solubilità che indicavano un aumento dei materiali più polari ossidati, che richiedono solventi più polari per essere sciolti, ma non polimero veramente insolubile (con legami incrociati). In generale questo studio ha confermato le ipotesi fatte dai primi studiosi, che le reazioni fotochimiche (causate specialmente dagli ultravioletti) sono la principale causa di degradazione dei film di vernice dammar e hanno gettato le basi di riferimento per esplorare i modi di quantificarle come discusso sopra. Reazioni fotochimiche sensibilizzare: ossigeno singoletto Come è stato già spiegato, i polimeri sono comunemente attaccati dalla luce di lunghezza d'onda considerevolmente più lunga di quella che può essere assorbita dal materiale in questione, e la presenza di occasionali cromofori attaccati al polimero può essere una ragione di tutto ciò. Una altra ragione è la possibile presenza di piccole quantità di composti che possono agire come sensibilizzanti, per esempio che sono capaci di assorbire la luce, avendo raggiunto uno stato attivato, e quindi trasferendo questa energia ad altre molecole, esse stesse ritornando così allo stato iniziale. La maggior parte di questi fotosensibilizzatori sono chetoni, generalmente chetone aromatici come l'acetofenone (C6H5COCH3) ed il benzofenone (C6H5COC6H5). Questi composti possono avere un'influenza fortemente incentivante sulla fotossidazione di una varietà di substrati sebbene l'entità con cui questi effetti possono avvenire naturalmente è stata poco studiata. Una altra, forse più significativa, forma di fotosensibilizzazione è quando il composto attivato trasferisce la sua energia all'ossigeno per produrre uno stato di questo attivato, conosciuto come singoletto dell'ossigeno, che può quindi subire reazioni con un substrato organico. Particolarmente efficiente nella produzione del singoletto dell'ossigeno, e quindi nelle ossidazioni per fotosensibilizzazione con esso, sono un certo numero di tinture come la fluoresceina, la Rosa Bengala, blu di metilene, eosina etc. Le irradiazione di soluzioni di differenti composti in presenza di uno di questi e dell'ossigeno, può portare a diversi tipi di composti. Composti con singoli doppi legami che producono idroperossidi allilici: 10 Dieni coniugati possono addizionare ossigeno: Si pensa che avvengono alcune ossidazioni di idrocarburi saturi. Gli idroperossidi visti sopra e i perossidi ciclici possono quindi decomporre e gli alcossi radicali risultanti reagiscono, come nelle usuali reazioni di ossidazione di radicali liberi. Sfortunatamente la maggior parte delle investigazioni e dei lavori scritti su questo soggetto negano la questione per cui le lunghezze d'onda della luce sono efficaci in queste reazioni e non è chiaro se luce visibile o forse il vicino ultravioletto ne è responsabile. L'entità con cui questi effetti giocano una parte nella fotossidazione di materiali naturali è stato scarsamente studiato, ma il loro ruolo nel degrado per effetto della luce di tessuti tinti (osservabili per riduzione della forza tensile), ben conosciuto con il nome di phototendering è stato riconosciuto almeno dal 1948. Il cotone è la fibra che viene maggiormente attaccata, mentre sulle tinture gialle e arancio di antrachinone hanno un effetto particolarmente serio. Non è stata trovata nessuna chiara correlazione, comunque, tra struttura della tintura ed effetto deleterio. Effetti degli ioni metallici Gli ossidi metallici e altri sali possono avere anche un forte effetto sull’ossidazione dei substrati organici. Questo è stato già dimostrato in connessione con l'essiccamento della pittura a olio (3.4.2) e anche in altri esempi che possono essere dati. Sia l'ossido di zinco, che l’ossido di titanio (forma atanasio) promuovono una reazione indotta dalla luce, che porta alla formazione di perossido di idrogeno, e quindi a radicali ossidrilici. Si ritiene che ciò sia correlato alla formazione intermedia di uno ione radicale ossigeno: La sequenza simile di reazioni per il diossido di titanio è stato dedotto in un certo dettaglio. La soglia limite delle lunghezze d'onda per la reazione era tra 375 e 395 nm, per esempio almeno nella regione del visibile. L'acqua è naturalmente necessaria per la sequenza della reazione e la permeabilità della maggior parte dei film organici al vapore acqueo facilmente lo permette. Queste reazioni e i loro prodotti, portano alla rottura del legante e al risultante spolvero della pittura esterna che ha usato alcuni pigmenti. 11 Gli effetti correlati sono stati notati nelle pitture di artisti che hanno usato questi pigmenti, mentre sono stati anche studiati i loro effetti sulla progressiva insolubilizzazione delle pitture di poli-n-butilmetacrilato che ugualmente li conteneva . Inizialmente sia il bianco di titanio atanasio che l'ossido di zinco davano luogo a legami incrociati, presumibilmente in relazione al loro assorbimento ultravioletto. Quindi si verificava un sostanziale perdita di peso, dovuto a tali reazioni di degradazione, ma la progressiva insolubilizzazione dovuta a legami incrociati era pure l'effetto a lungo termine predominante. Alcuni pigmenti, come l'ossido ferroso (Fe2O) e il carbone nero possono avere una forte influenza protettiva sul substrato, probabilmente principalmente perché essi semplicemente prevengono la penetrazione della luce. I pigmenti di carbone mostrano anche un preciso effetto antiossidante come risultato di strutture fenoliche e chinonoidi che, grazie alla incompleta carbonizzazione, molti di essi mantengono ancora in qualche misura. Oppositori all'ossidazione Antiossidanti Gli effetti di alcuni composti organici sul corso o sulla velocità di essiccamento degli oli sono stati già discussi (3.4.3). Nel periodo a partire dalla prima edizione di questo libro alcuni importanti articoli sono apparsi sulla possibilità di usare inibitori all'ossidazione per stabilizzare le vernici per dipinti e così ridurre la frequenza della loro rimozione e della nuova applicazione. A causa della loro importanza industriale una vasta gamma di antiossidanti è disponibile in commercio. Molte riviste sono state pubblicate, le più interessanti per noi sono quelle scritte tenendo presente le vernici da pittura. I principali tipi di composti che sono stati ritenuti utili sono eseguenti. I fenoli impediti sono fenoli con uno o più gruppi ingombranti come i butili terziari in una posizione orto al gruppo ossidrilico fenolico. Un materiale molto usato è l’idrossi toluene butilato (BHT) ma materiali più sostituiti, a più alto peso molecolare, sono anche i comuni. Questi composti agiscono come catturatori di radicali, e quindi fermano la catena, essendo essi stessi ossidati nel processo con modalità molto simili a quelle utilizzate per l'ossidazione del fenolo per formarela lignina (6.8.1). Essi vengono infine utilizzati e 12 cessano di giocare il loro ruolo. Essi funzionano meglio come stabilizzanti contro le reazioni termiche autossidative, ma funzionano poco in presenza di luce. Comunque essi possono dar luogo a prodotti colorati e possono dunque essere considerati inutili per stabilizzare materiali chiari incolori. Quindi il BHT può produrre il metiluro di chinone, che è giallo: Le ammine aromatiche si comportano in maniera molto simile ai fenoli ostacolati e hanno svantaggi simili, per esempio essi sono consumati e hanno una bassa stabilità fotochimica. Molti sono derivati della difenilammina: Ammine impedite stabilizzanti alla luce (HALS, hindered amine light stabilizer) sono una nuova classe di antiossidanti, come indica il loro nome, effettivamente contro il degrado fotochimico. La loro modalità di azione complicata e compresa solamente in modo incompleto, ma apparentemente essi si innestano parzialmente in sui substrati della resina per formare eteri di idrossilammina,>N-O-R, che continua ad agire come stabilizzante reagendo con ulteriori perossi radicali. L’antiossidante di conseguenza non è consumato, il che le rende i più efficaci stabilizzatori alla luce attualmente disponibili. Molti HALS sono derivati dalla 2, 2, 6, 6 tetrametilpiperidina: Altri tipi strutturali, che non è necessario considerare ulteriormente qui, sono i solfuri organici (R-S-R1, che possono ridurre gli idroperossidi mediante una reazione ionica) e fosfiti (P(OR)3), che reagiscono similmente. Alcuni agenti aumentano l'effetto di altri (sinergismo) e questo ha fornito vantaggi in molti prodotti usando miscele o incorporando i differenti gruppi funzionali all'interno della stessa molecola. 13 Vernici stabilizzate Alcuni studi sull'invecchiamento per calore delle vernice a resina di dammar hanno indicato che il deterioramento, riscontrabile per ingiallimento ce insolubilizzazione, poteva essere significativamente rallentato mediante incorporazione dell’antiossidante Irganox 565, una molecola che incorpora fenoli ingombrati, ammine e solfuri: Un successivo articolo, comunque, mentre confermava il potente effetto sull'invecchiamento per riscaldamento, mostrava che questo antiossidante non era efficace nella prevenzione dell'invecchiamento fotochimica, poiché esso veniva rapidamente rotto nel fadeometro. Inoltre i suoi prodotti di rottura potevano causare un aumento dell'ingiallimento. Le due misure di deterioramento menzionate nella sezione 11.1.4 (cambiamento dell'assorbimento a 300-400 nm) come anche il cambiamento nella solubilità, sono stati usati come indicatori. La perdita dell'antiossidante fu seguita mediante HPLC. Fu trovato che era molto più lento durante l’invecchiamento fadeometrico con un filtro ultravioletto e in vista di questo, ma i risultati sono da discutere, esso sarebbe stato ben più efficace in queste condizioni, ma ciò non fu determinato in dettaglio. Ulteriori studi furono fatti per vedere se era possibile un’effettiva stabilizzazione usando HALS. Questo si trovò che era impossibile in presenza dell'ultravioletto, essendo tipici stabilizzatori virtualmente senza effetto anche ad alta concentrazione (6%). Dunque, quando il filtri ultravioletti erano usati nel fadeometro, un miglioramento marcato nella stabilità fu registrato in presenza, per esempio, di Tinuvin 292. Gli effetti dell'addizione di un secondo stabilizzatore del tipo benzotriazolo (Tinuvin 328) furono anche studiati. Questi generalmente sono stati concepiti come assorbenti di ultravioletti, ma sono conosciuti anche per avere effetto sinergico. Infatti un ulteriore miglioramento fu di fatto ottenuto anche in assenza di ultravioletti. Tali film stabilizzati hanno mostrato piccoli cambiamenti sia nei loro spettri infrarossi che nei cromatogramma di gel permeazione dopo prolungato invecchiamentofadeometrico Indicatori anche più sorprendenti di stabilizzazione furono i test di solubilità e e l’esame mediante GLC-MS. I film rimanevano completamente solubili in cicloesano e tutti i componenti triterpenici originali del dammar erano stati trovati ancora presenti in proporzioni scarsamente alterate. 14 L'effettiva stabilizzazione era dipendente dal filtro ultravioletto utilizzato. Per migliori risultati un filtro con la possibilità di tagliare lunghezze d'onda di non meno di 400 nm viene richiesta, per esempio uno con un tono giallino molto sbiadito. L'incorporazione di assorbenti ultravioletti in film di vernici ha portato alcuni inconvenienti e così ulteriori studi sono stati fatti per vedere se usando concentrazioni maggiori di HALS non era efficace. Questi provarono che era così. Un film di resina mastice può anche essere significativamente stabilizzato in questo modo, ma non come il dammar. Con una concentrazione del 3% di Tinuvin 292 era possibile stimare che la vernice dammar poteva avere una vita utile maggiore di 100 anni in ambiente privo di ultravioletti. Altri agenti di deterioramento Altri agenti atmosferici di deterioramento includono l’ozono, il cui meccanismo di attacco sulla gomma è stato descritto (8.5.1). Esso attacca altri composti insaturi in modo simile. Mentre è comunemente presente nell'aria inquinata, particolarmente nelle città, la sua concentrazione all'interno degli edifici è generalmente molto bassa perché viene rapidamente distrutto dal contatto con materiali organici in essi, sebbene ciò possa naturalmente includere gli stessi manufatti artistici. Non di meno in un recente studio in California è stato trovato che i livelli di ozono dentro una galleria potrebbero essere metà di quelli presenti all'esterno. Come riportato più dettagliatamente nella sezione 10.4 l’ozono è stato trovato essere un danno per molte tinture naturali e pigmenti, particolarmente i rossi basati sulla alizarina e gialli naturali. Tra gli ossidi di azoto, il diossido di azoto (NO2, N2O4) è il più pericoloso. Sciolto in acqua esso dà luogo agli acidi nitroso e nitrico, che sono naturalmente corrosivi come anche agenti ossidanti. Come acidi questi avranno simili effetti idrolitici a quelli risultanti dal diossido di zolfo, la principale sorgente di contaminazione acida. L'idrolisi della cellulosa e la conseguente riduzione del peso molecolare medio, il possibile simile effetto sui materiali proteici, è il principale tipo di danno che bisogna aspettarsi dagli acidi. Questo, insieme con l’effetto sui materiali inorganici, è stato studiato da Thomson. 15