Si chiama «Steps and Stars
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Si chiama «Steps and Stars
Venerdì 6 ottobre 2006 ROMA eventi L’appuntamento è per il 21 ottobre quando il celebre attore americano verrà insignito del riconoscimento per il suo lavoro con il Tribeca Festival Piazza di Spagna premia Robert De Niro Si chiama «Steps and Stars» uno degli eventi più attesi nel ricco carnet della prima Festa internazionale del cinema di Roma 왘 WEEK END AL CINEMA DALLA PRIMA (...) una delle più importanti manifestazioni cinematografiche internazionali, il Tribeca Film Festival, fondato da Robert De Niro, Jane Rosenthal, Craig Hatkof. Sarà De Niro stesso a ritirare il premio, l’attore americano sbarcherà nella capitale per essere ospite d’onore della Festa, in cui presenterà in anteprima assoluta un montaggio di venti minuti del suo film The good Sheperd con Matt Damon e Angiolina Jolie. Ma quella tra il Tribeca Film Festival e la Festa internazionale è molto più di una semplice sinergia. Il festival newyorkese è nato all’indomani dell’11 settembre come reazione all’attacco terroristico che ha devastato il cuore di Manhattan. Tribeca è infatti il quartiere che ha visto da vicino crollare le Torri gemelle, ci sono volute intere settimane per spazzare via la cenere, molto di più per riprendere una vita normale. Il Tribeca Film Festival di De Niro, nato nel 2002, è stata la risposta all’imperativo etico di non cedere alla violenza terroristica, ed ha dato un forte impulso morale ed economico al quartiere. In questi anni il festival ne ha fatta di strada, si è imposto nel panorama delle manifestazioni cinematografiche internazionali come spaccato della realtà cinematografica contemporanea americana, come festival trasversale che offre sezioni dedicate ad un pubblico diversificato. È questo che ha destato l’interesse della Festa internazionale di Roma per il Tribeca Film Festival (che potrebbe diventare la porta d’ingresso del cinema italiano negli Stati Uniti), ed è da qui che prende le mosse un gemellaggio che promette di durare negli anni, sancito dalla stretta di mano tra il sindaco di New York Michael Bloomberg e Walter Veltroni lo scorso 28 settembre del corso della trasferta newyorkese del nostro primo cittadino. Saranno sei le pellicole, selezionate da una commissione mista, presentate all’ultima edizione del festival newyorkese ad attraversare l’oceano e a sbarcare alla Festa di Roma. Saranno altrettanti i film della prima edizione della Festa che nel 2007 prenderanno la via di New York, per essere presentate al Tribeca Film Festival. Il gemellaggio oltre a stabilire un importante scambio culturale, punta al mercato cinematografico internazionale: gli organizzatori dell’iniziativa sono infat- Il thriller di Chabrol sfida l’ironia di Woody Allen Alessandra Miccinesi Qui a fianco il sindaco di New York Michael Bloomberg insieme con Robert De Niro. L’attore e regista ha fondato nel 2002 il festival di Tribeca, negli stessi luoghi di New York dove svettavano le Torri Gemelle. Sopra il sindaco di Roma Walter Veltroni ti fiduciosi che da questo tandem formato dalle due capitali del cinema, possano nascere nuove coproduzioni e nuove strategie di distribuzione. Perché no, dopotutto tra New York e Roma c’è feeling. Mentre la Festa guarda al Tribeca Film Festival con ammirazione e interesse, il festival della Grande mela fa tappa In occasione della festa verrà proiettato in anteprima uno spezzone del nuovo film con Matt Damon e Angelina Jolie intitolato «The good sheperd» LE NUOVE TECNOLOGIE DEL CINEMA IN UNA MOSTRA Tutti invitati al Digital Party per vedere i «cloni» in azione 쎲 Chi entrerà nei 2300 metri quadrati del Digital Party, lo spazio che la Festa di Roma dedicherà alle nuove tecnologie applicate al cinema potrà essere clonato, ovviamente in digitale. È una delle tante offerte che lo Spazio Espositivo Uno offrirà agli amanti del cinema digitale dove verranno rivelati molti dei segreti degli effetti speciali più spettacolari. Si potrà così assistere alla clonazione di un volto attraverso un processo di scannerizzazione tridimensionale o seguire le evoluzioni di ballerini o esperti di arti marziali i cui movimenti vengono catturati in tempo reale e applicati ai modelli virtuali con la tecnica del motion capture. Nello spazio denominato Digital Arena, teatro virtuale da 150 posti con schermi ad alta risoluzione e stereoscopici, «ROMICS» Candy Candy festeggia i suoi primi trent’anni 쎲Candy Candy, la famosa serie di animazione giapponese, prodotta da Toei Doga nel 1976, che ha accompagnato l’infanzia di un paio di generazioni di bambine e bambini italiani, compie trenta anni. Una simile ricorrenza non poteva certo sfuggire ai responsabili di Romics, il festival del fumetto e dell’animazione, giunto alla sesta edizione, che si è aperto ieri negli spazi della vecchia Fiera di Roma sulla Cristoforo Colombo. Questo importante traguardo viene festeggiato con un evento tutto dedicato al personaggio e alla sua indimenticabile storia. Il Candy Candy Day si terrà questo pomeriggio alle 17.30. Per l’occasione sono previsti gli interventi, tra gli altri, di Douglas Meakin, Mike Fraser e Lucio Macchiarella (rispettivamente interprete e autori della prima sigla televisiva). Inoltre sarà proiettato uno spezzone del film di montaggio Candy Candy. Le celebrazioni avranno una coda anche domani con l’omaggio, inserito nel Gala del doppiaggio, ai doppiatori che ventisei anni fa diedero voce ai personaggi del cartone animato quando arrivò in Italia. verranno poi presentati i più recenti film italiani che hanno fatto uso di effetti digitali alla presenza degli stessi registi coinvolti. Tra i molti eventi del Digital Party (a ingresso totalmente gratuito), anche Interactivegroup Book, ovvero un libro interattivo, completamente bianco, che se sfogliato consente al lettore di vedere e sentire immagini. Ma anche dei veri e propri incontrilezioni con i maestri degli effetti speciali italiani e stranieri (da Anthony LaMolinara a Kenneth Lammers, da Filippo Costanzo a Peter Greenstone). Dietro questa impresa tecnologico-dimostrativa ci sono Adriano Levantesi, Fabrizio e Roberto Funto, ideatori della rassegna e Renato Nicolini, in qualità di ideatore degli allestimenti degli spazi di Digital Party. per la prima volta all’estero ed investe nella prima edizione della kermesse capitolina, un vero e proprio atto di fiducia come se si trattasse già di un successo assicurato. Per arrivare a questa sintonia non è stato difficile. Prima del «sì» di De Niro le basi erano già buone. La scelta di Roma non è estranea alle sue origini italiane, rivelano gli organizzatori dell’iniziativa. Sembra infatti che l’attore-regista senta molto il legame familiare con l’Italia. Inoltre De Niro è un grande appassionato di storia romana e nel suo prossimo soggiorno italiano gradirebbe molto una gita a Paestum. Forse è stato proprio in virtù di questo profondo legame che l’attore, notoriamente restio a parlare alle grandi platee, ha deciso di concedersi al pubblico romano della Festa dopo la proiezione dei venti minuti della sua regia, The good Sheperd. Intanto, oltre ai film selezionati dal Tribeca Film Festival, nel corso della serata di gala in cui De Niro ritirerà il premio il 21 ottobre, saranno proiettati sui maxischermi di piazza di Spagna spezzoni delle pellicole di oltreoceano, poi una vera e propria chicca: il montaggio delle scene dei film indimenticabili girate nella stessa cornice di Trinità dei Monti. Ariela Piattelli 쎲 Registi di culto e film indipendenti mettono le ali al cinema. In un weekend gonfio di titoli preziosi (da Water parabola finale della trilogia «rosa» di Deepa Mehta, a La commedia del potere thriller politico del maestro Claude Chabrol), a brillare sono soprattutto i nomi di Woody Allen e Michael Mann. Senza uscire troppo dal seminato (Misterioso omicidio a Manhattan), l’autore del noir Match point fa ancora centro con Scoop. Un giallo comico spassoso e leggerissimo in cui fioriscono colpi di genio e battute da culto («sono di religione ebraica, ma crescendo mi sono convertito al narcisismo»). Ecco la trama: un giornalista defunto, che indagava sul caso del killer dei tarocchi, durante un gioco di magia trova il modo di «soffiare» la notizia a un’aspirante reporter. L’indagine volta a incastrare l’assassino si complica quando la fanciulla s’innamora del soggetto dell'inchiesta, cioè un aitante aristocratico londinese. Nel 36˚ film diretto da Allen, che tiene per sé il ruolo (sublime) del mago pasticcione, recitano Scarlett Johansson e Hugh Jackman (in 19 sale e in originale al Nuovo Olimpia). Una regia sontuosa (ritmo e tensione alle stelle) al servizio di una storia di ordinario narcotraffico. È Miami vice, film che fa tornare Michael Mann agli albori della carriera e a un classico della tivù di genere anni ’80. Nei panni dei poliziotti-detective «Sonny» Crockett e Ricardo Tubbs si sono calati i ruvidi (e rudi) Nelle sale romane Colin Farrell e Jamie Foxx. Mille chili di anche «Miami vice», droga da portare in Usa dalla Colombia, e ispirato alla nota false identità a prova di pirati informatici, serie televisiva, rappresentano l’esca che i supercop usano e «A est di Bucarest» per infiltrarsi come corrieri in un potente cartello cino-cubano. Tra un volo in aereo e una corsa in off-shore i due trovano il modo di entrare nelle grazie di Isabella (Gong Li), pericolosa manager del narcotraffico (in 23 sale e in originale al Warner Moderno). Un piccolo capolavoro, l’ha definito Marco Bellocchio consegnando all’autore di A est di Bucarest (film vincitore della Camera d’or a Cannes 2006) il Gobbo d’Oro. Promosso anche dal festival di Terra di Siena diretto da Carlo Verdone, il gioiello del regista Corneliu Porumbiou riverbera una storia di rivoluzione silente, vista dai margini e letta tramite gli sguardi nostalgici dei protagonisti. Sedici anni dopo la diretta tivù che il 22 dicembre ’89 sancì la caduta di Ceausescu, in una squallida città rumena il capo di una emittente locale invita in studio due protagonisti dello storico assalto al municipio: un pensionato che sbarca il lunario vestendosi da Santa Claus e un professore di storia incline alla vodka. Tema della trasmissione: c’è stata o no la rivoluzione?. Più che stillare revisionismo storico, il film sprizza poetica ironia grazie al plot cugino di Good bye, Lenin (Nuovo Sacher). Princesas di Fernando Leòn de Aranoa è, invece, una piccola storia di donne da marciapiede ambientata in una Madrid orfana di Almodovar, ma ricca di colore e calore. Caye (Candela Pena) e Zulema (Micaela Nevàrez), prostitute autogestite e amiche per necessità, sopravvivono al mercimonio dei loro corpi sperando in un futuro migliore (Alcazar, Ugc, Mignon). CHIUDERÀ IL 14 OTTOBRE LA PRIMA EDIZIONE DEL FESTIVAL «IL LAZIO TRA EUROPA E MEDITERRANEO» Laboratorio Lazio, tra arte e fotografia Ventidue artisti provenienti da altrettanti paesi chiamati a dialogare con alcuni dei luoghi più ricchi di storia della nostra regione Valeria Arnaldi 쎲 Tra fratture e convergenze, tra simbolismo e realtà, fino al 14 ottobre, il Mediterraneo è protagonista di mostre in numerosi palazzi storici della regione. Sono ventidue gli artisti selezionati, su proposta delle ambasciate dei paesi d'origine, per partecipare alla prima edizione del festival «Il Lazio tra Europa e Mediterraneo», organizzato dalla Regione Lazio, con i patrocini del Presidente della Repubblica e del ministero Affari esteri. L’intento è quello di far ideal- mente incontrare, dialogare e confrontare opere di personalità diverse tra loro per ispirazione, formazione, cultura e tecnica, accomunate, però, dalla condivisione dello stesso mare, e soprattutto, dal forte desiderio di conoscere e comunicare in vista di una convivenza pacifica, della quale proprio l’arte vorrebbe farsi strumento. «Si tratta di un progetto culturale vasto - spiega Claudio Strinati, sovrintendente al polo museale romano e direttore artistico della rassegna -. Non è possibile rintracciare un filo unitario tra le GIORN - EDIZIO-RM - 52 - 06/10/06- Plate NUOVA-GRAFICA - Autore: SIES Stampa: 05/10/06 opere, se questo è inteso come la costanza verso un tema fisso. Ciò che colpisce, però, è l’unitarietà delle ragioni che muovono gli artisti alla ricerca della verità, seppure nel rispetto di una dialettica delle differenze». Molti dei protagonisti hanno avuto contatti con l’Italia e, più precisamente con Roma, della quale presentano il loro particolare punto di vista. Moussa Abdayem, libanese, espone al Museo archeologico di Leonessa l’opera «Castelnuovo di Porto», rivisitazione fantastica della cittadina, dove la luce prende il soprav- 22.32 - Composite vento sugli edifici, fino a cancellarli. Dell’algerino Kadour Naimi, produttore, attore e regista, sono i documentari sulle periferie romane e sul quartiere Esquilino, «piazza del mondo», proiettati a Palazzo Boncompagni di Roccasecca. Contaminazioni capitoline anche nelle acqueforti su carta di riso di Fatih Mika, turco, - noto per aver illustrato all’inizio della sua carriera le poesie di Eugenio Montale - al Museo civico di Bracciano e per la greca Lila Iatruli - che proprio a Roma, dove risiede dal ’92, ha scoperto la passione per la pittura - le cui opere sono esposte a Villa Lante a Bagnaia. «Nella varietà delle proposte, ci sono spunti particolarmente significativi prosegue Strinati - Palazzo Doria Pamphilj a San Martino al Cimino apre le porte al fotografo albanese Roland Tasho e alla documentazione dei mestieri svolti dai suoi connazionali in Italia. Sono presenze oscure quelle del fotografo sloveno Damjan Kocjancic, che al Museo archeologico di Rieti, porta ritratti che sembrano strappati alle tenebre. Il palestinese Nasser Soumi al Chiostro di Sant’Oliva a Cori contamina strutture immaginarie con oggetti quotidiani, mentre alle Scuderie estensi a Tivoli il portoghese Henrique Dinis Da Gama svela una Lisbona segreta, semplicemente illuminandola». Esclusa dal circuito espositivo Roma, «per il desiderio - dice Alessandro Nicosia, organizzatore generale del festival - di unire la panoramica sull’arte internazionale a quella sulle bellezze, meno note, del territorio». http://ilmattino.caltanet.it/mattino/view.php?data=20061022&e...NALE&npag=31&file=APRE.xml&word=%20de%20niro%20&type=STANDARD 22/10/2006 Chiudi IL DIVO CHIUDE LA FESTA DI ROMA «Finalmente sono tornato a casa mia» L’attore ricevuto dal presidente Napolitano, che sfila a sorpresa sul tappeto rosso. La regia di «A Good Shepherd» Oscar Cosulich Roma. Per la chiusura della Festa di Roma brilla sull'Auditorium la stella più grande e luminosa di tutte, Robert De Niro. Il divo italoamericano si gode la sua giornata: in mattinata viene ricevuto dal Presidente Napolitano (che più tardi si concederà poi una sfilata non prevista sul tappeto rosso per andare al concerto di Pappano); nel pomeriggio incontra il pubblico nella sala Sinopoli e riceve dalle mani del sindaco Veltroni il passaporto italiano: «Per me è come chiudere un cerchio con la storia della mia famiglia, sono finalmente tornato a casa», commenta commosso. «Ne sono orgoglioso e sono convinto che di questo beneficeranno anche i miei figli». In serata, infine, riceve l’ennesimo premio della sua vita, una copia in plexigas della Barcaccia di Piazza di Spagna come fondatore del Tribeca Film Festival di New York. Ma se sul tappeto rosso DE NIRO sguscia via rapidamente, senza firmare autografi e fermarsi a salutare i fans, nell’Auditorium, dove presenta in anteprima otto minuti di «The Good Shepherd», suo nuovo film come regista e attore, al fianco di Matt Demon, William Hurt e Alec Baldwin, atteso nelle sale italiane a marzo, il divo è insolitamente disponibile e si concede al pubblico, tra chi gli regala una bottiglia di amaro Don Corleone a chi gli propone di baciare la moglie («lo sogna da 25 anni»). De Niro, la prima immagine che lei ha scelto per questa carrellata sulla sua carriera è tratta dal celeberrimo monologo di «Taxi Driver» del 1976 in cui, davanti allo specchio, esclama «Dici a me?». Ci racconta la genesi di quella scena? «In realtà è successo tanto tempo fa, non sono sicuro di ricordare correttamente. Ho improvvisato buona parte della sequenza. Mi sento sempre a disagio nel rivedermi, specialmente in quella scena». In «Toro scatenato» lei è stato capace di modellare il suo corpo prima da pugile, poi gonfiandosi a dismisura. È davvero così importante per l’identificazione totale con il personaggio? «Quando Martin Scorsese mi ha fatto leggere il libro su Jake La Motta io ero in Italia, sul set di ”Novecento” di Bertolucci. Non era un gran libro, ma mi stimolava l’idea di un pugile che, letteralmente, arriva fino a cascare a pezzi, tra l’altro ho anche incontrato Jake quando si esibiva in un locale a New York. Per me quello sforzo fisico era indispensabile, certo, in altre situazioni, simili stress si possono evitare». Ci racconta il suo rapporto con Sergio Leone per «C’era una volta in America»? Come passava le sue giornate a Roma durante le riprese? «Non è che in quell’anno di lavoro avessi molto tempo libero. Solo qualche fine settimana: ricordo che una volta andai a Mosca, altre volte provavo a http://ilmattino.caltanet.it/mattino/view.php?data=...31&file=APRE.xml&word=%20de%20niro%20&type=STANDARD (1 di 2)27/10/2006 9.51.09 Pagina 1 di 2 STAMPA ARTICOLO ASCOLTA LA NOTIZIA FESTA DEL CINEMA ROMA 'Daje Robert': Roma abbraccia l'idolo De Niro Veltroni gli consegna il passaporto italiano: 'Posso dire di essere tornato a casa'. Poi l'incontro con pubblico Roma, 21 ottobre 2006. - Battimani e richiami, un applauso che non finisce mai. L'arrivo alla Festa del Cinema del 'divo dei divi' Robert De Niro accende il pubblico stipato nella sala mediana dell'Auditorium. La Festa sta per finire, ma che finale, con il protagonista di oltre un quarto di secolo di storie americane e non solo. In platea semplice pubblico e non pochi vip: si notano, fra gli altri, Stefania Sandrelli (che corre a salutare De Niro, suo partner in 'Novecento') con il marito Giovanni Soldati, Isabella Ferrari, Alessio Boni, Ela Weber, Vinicio Capossela e Gianni Minà. Sul palco lui, De Niro, fra Mario Sesti, uno degli 'autori' di questa Festa del cinema e Vincenzo Mollica. Sullo schermo, alle spalle dei tre, scorrono le immagini scelte da De Niro, tratte da 'Taxi Driver' e 'Toro scatenato' di Scorsese e 'Terapia e pallottole' di Harold Rams, una delle non molte commedie da lui girate. Dalla platea sale un grido isolato, 'daje Robert!', romanesco puro che trascina l'applauso sempre più forte guardando quel monologo davanti allo specchio che è l'icona di 'Taxi driver' e ha influenzato decine di lungometraggi successivi. 'È passato così tanto tempo che non mi ricordo quanto c'è di mia improvvisazione e quanto di sceneggiatura scritta. Non ricordo ciò che ho improvvisato. È sempre imbarazzante rivedermi... almeno in quella scena'. Le immagini di 'Toro scatenato' ripropongono una domanda inevitabile: fino a che punto è fondamentale l'identificazione totale dell'attore con il personaggio? 'Non penso che sia necessaria sempre e non sempre con la stessa intensità, ma penso che il principio valga ancorà, è la risposta. Di 'Toro Scatenato' ha ricordi precisi: 'lessi il libro e chiamai Scorsese subito. Mi sembrò che ci fosse un grande cuore in quella storia. Mi affascinava l'idea di interpretare un pugile fisicamente a pezzi, fuori forma totalmente e con tanto peso addosso'. Di 'C'era una volta in America' girato a Roma sotto la direzione di Sergio Leone ha molti ricordi. Ma non certo delle serate romane: 'lavoravo solamente e non mi rimaneva certo il tempo di uscire. Il fine settimana qualche volta tornavo a casa, una volta andai a Mosca. Ero presente a Roma con molti intervalli'. Le immagini di 'Terapia e pallottole' strappano applausi e risate, ma lui non sa se davvero sia più difficile far ridere. 'So soltanto che mi diverto molto a fare personaggi caricaturali. Penso che tocchi di umorismo ci siano anche nei film di Scorsese, ma certo, gli italiani nella commedia sono insuperabili'. Poi si torna a contenuti più drammatici, con dieci minuti di proiezione del suo secondo film da regista: si intitola 'The good Shepherd' e uscirà negli Stati Uniti a dicembre e in Italia a primavera. De Niro nel film racconta la storia della nascita della Cia, dal 1947 fino alla Guerra fredda. 'Il progetto mi interessava da tempo, ma ero sempre impeganto a fre altro. Mi interessa anche lo sviluppo dei servizi segreti in epoche successive, dalla crisi di Cuba alla caduta del muro di Berlinò. E non dispera di farlo, anche se il mestiere del regista, confessa, 'è davvero impegnativo. Devo ringraziare gli attori che hanno dato il meglio di sè a fronte di scarsi guadagni'. E poi ricorda quando Elia Kazan, al quale aveva sottoposto un'idea, gli disse 'fallo http://qn.quotidiano.net/2006/10/21/pages/artI5442102.html 27/10/2006 Pagina 2 di 2 adesso, subito finchè ne hai la forza. È vero, fare il regista non ti dà respiro, stento a credere di avere finito questo film'. Poi il pubblico si scatena: dalla platea arriva l'omaggio di una bottiglia di 'amaro don Corleone', in memoria della sua celebre interpretazione di don Vito nel numero due de 'Il padrino', con una dedica speciale ('te la mandano gli amici di Corleone') e una autocandidatura come soggetto-interprete del prossimo film. Robert prosegue su un argomento chiave: il suo rapporto con Martin Scorsese. 'È stato straordinario. Sono stato particolarmente fortunato. Vorrei fare altri film con lui prima che diventiamo troppo vecchi tutti e due e non ci reggiamo più in piedi. Abbiamo intrapreso tanti viaggi della mente, non sempre chiari, ma sempre appassionanti. Lui è stato straordinario con tutti gli attori con cui ha lavorato'. Degli attori, da regista ma anche da attore, dice che 'vanno lasciati liberi di sperimentare. Poi però bisogna inquadrare l'interpretazione nel contesto più ampio del film. Io ho dedicato molto tempo alla ricerca degli attori giusti, per me il casting è un momento molto importante e delicato. Devo dire che sono stato fortunato, spesso avevo in mente un'idea precisa dell'attore che volevo e ho potuto vederla realizzata. Essendo io un attore, spesso riesco a raggiungere alti gradi di complicità con gli interpreti'. E si chiude con una battuta sull'incontro pomeridiano con il sindaco Veltroni che gli ha consegnato il suo passaporto italiano: 'è un cerchio che si chiude. Si compie il destino di famiglia, tornare alle origini, e io posso dire di essere tornato a casa. Non vedo l'ora di mostrare il passaporto ai mei figlì. http://qn.quotidiano.net/2006/10/21/pages/artI5442102.html 27/10/2006 La Stampa «Voglio fare ancora un film con Scorsese prima di diventare entrambi troppo vecchi per reggerci in piedi» ROMA Sarà perché era l’ultimo giorno della Festa del cinema, perché c’era il concerto d’apertura di santa Cecilia e allo stadio Flaminio era in corsa una partita non lontano, oppure, semplicemente, perché Robert De Niro è Robert De Niro, certo in questi dieci giorni, non s’era mai vista una folla così alll’Auditorium. Tutti avrebbero voluto un biglietto per entrare e vedere sia pure da lontano, sia pure piccolo piccolo, il divo che in trent’anni ha interpretato molti tra i migliori film americani, e non solo. La Sala Sinopoli, con i suoi 1200 posti, era quasi al completo. Il divo è arrivato con il ritardo di rigore. Del resto la sua giornata romana è stata densa. Il presidente Napolitano, da attore mancato ma appassionato di spettacolo, l’ha voluto al Quirinale e gli ha regalato un libro. Walter Veltroni l’ha chiuso in una saletta e gli ha regalato il passaporto italiano. E poi c’era da affrontare la serata. Il premio «Stars and Stripes» assegnato al suo festival, il «Tribeca» di New York, ormai gemellato con questa Festa. («Grazie Roma», poi ha ricordato «l'incidente ferroviario avvenuto in questi giorni» e di come il «Tribeca» sia nato dopo l’11 settembre). La cerimonia in una Piazza di Spagna addobbata per l’occasione con le immagini di Vacanze romane. Una cena sotto un tendone montato davanti a Babington per una cinquantina di tavoli con un menu che lo chef Francesco Panella ha definito da Oscar: si cominciava con i maltagliati alla Goodfellas e si finiva con una tazza di tè verde vietnamita alla Il cacciatore. La passerella davanti ai fotografi e alla gente che da ore l’aspetta De Niro la fa veloce, al braccio della bella moglie Grace Hightower, senza fermarsi a firmare autografi. Camicia grigia e capelli ormai dello stesso colore, è accolto da una standing ovation con urla, battimani e scalpiccio dei piedi. A intervistarlo, sul palco, Mario Sesti e Vincenzo Mollica. Si abbandona sulla sedia come un sacco vuoto. Sembra una marionetta lasciata cadere distrattamente in un angolo. Icona perfetta dell’attore che si lascia riempire dal personaggio ed esiste solo davanti alla macchina da presa, risponde, come fa lui, con brevi frasi di assoluta banalità, oppure sorride lasciandosi andare a monosillabi smozzicati. La gente che tanto ha combattuto per esserci, alza la mano per farsi notare e parlargli. Uno chiede come si fa a diventare attore e lui risponde che si fa facendo ciò che si vuole ma mettendo in conto che si può restare senza una lira, anche se, qualche volta, qualcuno può perfino vivere di quel lavoro. Un altro vuol regalargli una bottiglia di amaro di Corleone in ricordo de Il padrino che da Corleone veniva. Un terzo gli confessa di aver vissuto vent’anni di matrimonio infernali perché sua moglie è sempre stata innamorata di lui. Per questo che è il primo incontro con il pubblico cui De Niro si sia mai sottoposto, sono state scelti da lui tre film, Taxi driver, Toro scatenato, Terapia e pallottole, di cui mostrare almeno una scena. Inoltre, come regalo a Roma, De Niro ha portato un lungo trailer, non i primi dieci minuti come annunciato, del nuovo film da lui diretto, The Good Shepherd, storia della Cia dall’ultima guerra alla caduta del Muro di Berlino, interpretato, oltre che da lui stesso, da Matt Damon e da Angelina Jolie. Un lavoro che gli è costato anni e fatica ma che ha voluto realizzare per seguire il consiglio di Elia Kazan: «Se una cosa ti piace falla, finché sei in tempo». Contento del passaporto italiano? «E’ un cerchio che si chiude: è come tornare a casa, lo voglio mostrare ai miei figli». Lei è arrivato a modificarsi fisicamente per meglio entrare nei panni dei suoi personaggi: è sempre necessario? «Sempre no. Spesso. Per Jake La Motta di Toro scatenato serviva: lo avevo incontrato in un locale, lo avevo osservato, non era tanto mal ridotto, ma era ingrassato». Farà ancora un film con Martin Scorsese? «Lo spero: prima di essere troppo vecchi per reggerci in piedi. E’ il regista con il quale ho lavorato di più, e meglio. Ha sempre voglia di andare nel profondo». Taxi Driver fece di lei una star: cosa ricorda? «E’ passato tanto tempo. Non ricordo neppure se improvvisammo qualche scena sul set oppure se tutto era già nella sceneggiatura. Forse Scorsese ed io improvvisammo». Con Leone ha girato C’era una volta in America: come passava le serate a Roma? «Non avevo tempo per andarmene in giro. E poi, appena libero, tornavo a casa a New York». Perché ha fatto così poche commedie? «E’ vero, far ridere mi piace ma Terapia e pallottole è una delle mie poche cose comiche, anche se tocchi di umorismo ci sono perfino nei film di Scorsese. Certo, però, nessuno è bravo come gli italiani a far commedie». Come regista è un padre-padrone? «No. Cerco la complicità dei miei attori. E la trovo forse perché sono attentissimo a sceglierli». Suo padre e sua madre erano artisti: l’hanno aiutata? «Sì, incoraggiandomi». Copyright ©2006 La Stampa http://www.lastampa.it/search/albicerca/ng_articolo.asp?IDarticolo=1354946&sezione=Spettacoli27/10/2006 10.04.59