Nascita della cinepittura - Dipartimento di Arti e Scienze dello

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Nascita della cinepittura - Dipartimento di Arti e Scienze dello
Estratto da La decima musa, il cinema e le altre arti, a cura di Leonardo Quaresima
pp. 385-388
Mario Verdone, Università “La Sapienza” Roma
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Nascita della cinepittura
Nel 1912, il realizzatore del film Vita futurista (1916), il pittore Arnaldo Ginna (Arnaldo Ginanni
Corradini), si misurò con il cinema astratto insieme al fratello, lo scrittore Bruno Corra (Bruno
Ginanni Corradini). I brevi film realizzati si ispiravano all’idea della musica cromatica, o degli
accordi cromatici, venuta a Ginna nello studio dei mosaici bizantini ravennati. Nel 1907 aveva già
dipinto un quadro astratto, Nevrastenia, e nel 1908 Risveglio a finestra aperta.
Sulla pittura musicale, che presto diverrà anche cinepittura, è chiarificatore il saggio “Musica
cromatica”, che Bruno Corra pubblicò nel volume Il pastore, il gregge e la zampogna (1912), un
quaderno che raccoglieva vari scritti suoi e di Emilio Settimelli e il cui titolo era dato da un saggio
sull’opera di Enrico Thovez, qui recensita e discussa. “Musica cromatica” consta di venticinque
pagine (cioè da p. 156 a p. 182). Particolarmente notevole è quanto è detto da p. 170 in avanti, dove
si parla esplicitamente di “cinematografo”, col quale ottenere la vera “sinfonia cromatica”. Anche
qui si allude ai “motivi di accordo”, di cui Ginna parla nel suo testo teorico Arte dell’avvenire,
pubblicato nel 1910. “Musica cromatica” è un “accordo cromatico”, nel tempo e nello spazio, una
sinfonia di colori tradotta sulla pellicola. È la prima pittura su pellicola, del genere di quella che farà
poi il canadese Norman McLaren. Contemporanei sono gli esperimenti di film astratto di Léopold
Survage (1912): cartoni da riprendere col cinematografo, esperimento non condotto a termine
nonostante l’incoraggiamento di Apollinaire e di Blaise Cendrars. I Corradini fanno invece sulla
pellicola i loro esperimenti di musica cromatica, in veri e propri disegni animati. E viene presa per
spunto anche la musica: motivi di Chopin e di Mendelssohn.
Non è il caso di ripetere per esteso quanto pare indispensabile d’essere appreso dalla lettura diretta.
Basti dire che questi esperimenti, che alludono ad attività svolta prima del 1910, e che mirano,
quindi, al puro dramma cromatico, dramma di colori e non d’altro, ebbero per frutto “quattro
rotoletti di pellicola” dei quali uno soltanto supera i duecento metri di lunghezza. “Essi”, scriveva il
Corra, “sono qui, dentro il mio cassetto, chiusi nelle loro scatole, etichettati, pronti per il museo
futuro.” Contengono: lo svolgimento cromatico di un Accordo di colore tolto da un quadro di
Segantini (m. 180); uno Studio di effetti tra quattro colori a due a due complementari, rosso, verde,
azzurro e giallo; una traduzione del Canto di primavera di Mendelssohn intrecciato con un tema
preso da un valzer di Chopin; e la traduzione in colori di una poesia: Les Fleurs di Stéphane
Mallarmé. Corra parla anche di un progetto di film (“Gli abbozzi sono presso di me”) che preceda le
rappresentazioni pubbliche - e qui si doveva inserire la collaborazione del musicista di Lugo
(Ravenna) Francesco Balilla Pratella - e serva a far capire al pubblico (“in una proiezione di
quindici minuti circa”) la legittimità della musica cromatica. Infine Corra riferisce di altri due film
di duecento metri: L’arcobaleno e La danza; e preannuncia una musica dei colori a teatro: ché il
teatro, come si può vedere studiando il Teatro sintetico futurista, interesserà presto entrambi: Bruno
Corra e Arnaldo Ginna, anche se quest’ultimo cercherà di portarvi soltanto i suoi stati d’animo, qui
“sceneggiati”.
“Fin dal 1907”, mi diceva Ginna, in uno dei frequenti colloqui con lui avuti,
avevo capito le possibilità cinepittoriche del cinema, ma nel 1908-1909 non esisteva una macchina
per fare riprese a tempo, un fotogramma per volta […]. Pensai di dipingere direttamente sulla
pellicola. Feci venire pellicola vergine senza nitrato d’argento, sola celluloide e buchi, e dipingevo
direttamente sulla pellicola. Un ottico, Mangini mi faceva venire la pellicola da fuori. Ma le case
erano restie. “Di che se ne fa?”, si chiedevano.
Era la cinepittura che nasceva: quella che farà, attorno agli anni della seconda guerra mondiale,
Norman McLaren, riprendendo una tecnica dell’australiano Len Lye.
Contemporaneo all’esperienza della musica cromatica, è il rythme coloré (1912) di Léopold
Survage.
Nacque da un quadro cubista dallo stesso titolo, uno dei più noti fra quelli dipinti da Survage. Il
risultato poteva sembrare “astratto”, ma la sua concezione aveva preso avvio da qualcosa di assai
diverso. Me lo spiegò nel nostro primo incontro, avvenuto a Roma nel 1964:
Il ritmo colorato nasce dalla conoscenza dei colori e delle cose concrete: perché l’astratto è in
fondo assurdo. Se si vuole, niente è astratto. Tutta la nostra esistenza passa nel concreto. Il colore è
una cosa reale, positiva: una parte del raggio del sole. Una forza della natura che non è astratta, e
che può incendiare.’1
Parlando, Survage tracciava in un foglio di taccuino alcuni segni. Erano insieme un “occhio
simbolo” e la “forza irraggiante del sole”. “Tutta la vita organica che esiste è creata dal quid più
concreto: il raggio del sole”, continuava.
Senza questa forza non vi sarebbe che la luna, cioè il regno della notte. Cominciai dal colore rosso.
Prima avevo provato col verde. Il verde, mi ero detto, è radioattivo. È per questo che la terra è
verde. Lo consideravo un colore centrale, ma mi ero sbagliato. Il rosso ha maggiore sensibilità. Il
rosso è una forza centrale. È raccomandato dai radioestesisti come una forza irraggiante di due
metri di diametro. Deve stare nel mezzo, qualunque sia la sua quantità. Presi un foglio di carta
quadrato e cominciai dal rosso. Il verde, complementare, lo piazzai di fianco. Quindi vi aggiunsi,
per sentimento, il giallo e il blu, che sono colori fuggenti, che vanno in profondità. Il giallo torna
verso il rosso. Infine il violetto, colore autonomo, che viene dai colori puri, e non mischia affatto il
rosso e il bleu. Era una serie di trasformazioni per arrivare fino alla sfera. Intorno al Rythme
coloré, come una cornice, è il nero che fa il giro della terra... Erano, queste, ricerche eseguite al di
dentro della natura e delle forze della luce. Non avevano nulla di astratto. Ne ero così convinto che
avevo interessato alle mie ricerche, che avevano un fondamento scientifico, anche l’Académie des
Sciences! Ora avvenne che Apollinaire, che frequentavo fin dal 1912, vide il mio Rythme coloré e
mi esortò a continuare questa ricerca. Io immaginai dei colori in movimento e mi accorsi che
niente meglio del cinema poteva rendere questo divenire del colore. Così riempii centinaia di fogli
quadrati, tutti della stessa misura, con l’intento di rendere, in ogni film, un momento di sviluppo.2
Le sequenze, ciascuna diversa dall’altra - e se ne può comprendere il carattere nella accorta
impaginazione del volume Survage. Les années heroïques3 - erano di quindici-venti disegni
ciascuna. Oltre cinquanta di essi sono oggi conservati al Museum of Modem Art (MOMA) di New
York. Almeno dodici sono alla Cinémathèque Française di Parigi.
Un gruppo di questi “cartoni” - forse in tutti non più di duecento - fu portato nel luglio 1914 al
produttore Léon Gaumont, che si era mostrato sensibile agli esperimenti innovatori ed ascoltava
volentieri il parere di Apollinaire, anche lui soggettista cinematografico. Ma era scoppiata la guerra.
Apollinaire fu ferito. Non era tempo di esperimenti. E il film non venne realizzato. Gaumont
restituiva cortesemente il 31luglio i disegni a Survage, pregandolo di accettare le sue “civilités
impressées”.
1
In M. Verdone, “Il cinecolore”, Carte segrete, n. 6 (1968), p. 153.
Ibid., pp. 153-54.
3
Paris: Arcueil, 1993.
2
Apollinaire volle organizzare nel 1917 (chez Madame Bougard, rue de Punthièvre) - ed è dunque la
prima mostra di Survage - una esposizione dedicata alla pittura in movimento. Il Rythme coloré
venne conosciuto.
Survage si ispira - dice Apollinaire - “alla pirotecnia, alle fontane, alle insegne luminose che
abituano gli occhi a gioire dei cambiamenti caleidoscopici delle sfumature. Noi siamo qui fuori
della pittura statica”4. Col Rythme coloré Léopold Survage diventa in modo incontrovertibile uno
dei precursori del movimento cinetico.
La mia intenzione, in pittura - asseriva Survage - era di fondare un’arte ancora da venire: non di
imitazione, ma di spirito. Oggi quasi tutti copiano, con trasformazioni fantasiste. La mia intenzione
era di non copiare niente, ma creare ritmi. Non obbedire all’occhio ingannatore, che mente, che
copia.5
L’idea base del film non era la visione diretta, ma il ritmo. Era il ritmo che doveva determinare la
forma. La forma doveva cercare il ritmo.
Il film finiva verso la sfera o la sfera spariva per fare posto ad altre forme. La cadenza del film era
ora veloce, ora rallentata. Il film doveva durare da 3 a 5 minuti. Calcolavo che occorressero 16
disegni al secondo = 960 al minuto, 2.880 ogni tre minuti.
Il significato di Rythme coloré era trovare il cinema, trovare una cosa viva. Senza il movimento del
film non era viva: era morta.6
Il lavoro di Survage venne interpretato come traduzione della musica in segni visivi - né più né
meno quale era stata la ricerca dei futuristi italiani Ginna e Corra con i loro filmetti del 1912, andati
perduti. Ma l’interpretazione del Rythme coloré in questo senso è inesatta. Survage non credeva che
si potesse tradurre la musica in segni visivi: “C’è una analogia con tale ricerca, ma non è la stessa
cosa”.
Su questa esperienza, che nella storia del film astratto e della pittura cinetica ha valore
fondamentale, anche se il film Rythme coloré non arrivò sullo schermo, restano documenti di
estremo interesse firmati da Guillaume Apollinaire e Blaise Cendrars, e lo stesso testo pubblicato
dal pittore in Les Soirées de Paris, n. 26-27, luglio- agosto 1914.
Trascritte nel 1964, le dichiarazioni fattemi da Survage apparvero in una ampia sezione del n. 6 di
Carte segrete (Roma), dedicata al Rythme coloré, soltanto nella primavera 1968. Dopo la
pubblicazione Survage così mi scrisse, e ciò valga per la conferma della autenticità delle sue parole:
Versailles, 29 luglio 1968. Caro Signor Verdone, con Carte segrete il Rythme coloré rientra
definitivamente nella vita, dopo cinquant’anni. Di sonno e di oblio, che temevo talvolta definitivi.
Apollinaire, Blaise Cendrars, tutto è citato felicemente. Ancora i miei ringraziamenti per questo
dono dei miei ottantanove anni suonati dopodomani. Vostro Survage.
Anche Picasso ha pensato, fra il 1912 e il 1913, a una ricerca per un’arte mobile, capace di creare
sequenze di impressioni visive, e quindi alla possibilità di un film cubista; ma è probabile che l’idea
gli sia venuta dallo stesso creatore del Rythme coloré cui, per l’appunto, ha dedicato uno schizzo
(1913) nel quale si vede Survage disegnare un “ritmo colorato”.
4
G. Apollinaire, “Léopold Survage”, Carte segrete, cit., p. 160.
In M. Verdone, op. cit., p. 154.
6
lbid., pp. 154-55.
5