Il lavoro sullo schermo
Transcript
Il lavoro sullo schermo
Il lavoro sullo schermo: dai fratelli Lumière a Ken Loach, fino al nuovo sguardo delle fiction televisive e al “Film” pubblicitario Barilla Milano, 12 febbraio 2002 - Dimenticatevi dei professionisti rampanti, delle galleriste d'arte e dei finti pubblicitari che hanno popolato i film dell'ultimo decennio. Il cinema torna a occuparsi di lavoro, quello vero. E non solo con i film del regista inglese Ken Loach, alfiere di operai, disoccupati e muratori da Piovono pietre a Bread and Roses. Assieme ai ferrovieri dell'ultimo Paul, Mick e gli altri, sulla scia di Ken il rosso negli scorsi mesi sono arrivati sugli schermi lavoratori veri: protagonisti che faticano, lottano, soffrono, esultano. Sono i pescatori di Tornando a casa di Vincenzo Marra, un cult movie premiato all'ultima Mostra di Venezia, alle prese con le uscite in mare, lo smistamento del pesce, le trattative per la vendita. E' la venditrice di surgelati di Luce dei miei occhi di Giuseppe Piccioni, con le mani rovinate dal freddo, i clienti da servire al bancone, la paura di non riuscire a pagare i fornitori. E' il barbiere di L'uomo che non c'era dei fratelli Coen, che descrive minuziosamente i diversi tipi di taglio e racconta la noia delle chiacchiere dei clienti. La novità non è rappresentata solo dalle insolite professioni sul grande schermo, ma da uno sguardo nuovo della macchina da presa, che mostra i protagonisti al lavoro. Una novità approdata anche in televisione: i professori di Compagni di scuola - cosa incredibile nella storia della fiction italiana - tengono lezioni, forse un po’ pittoresche, ma pur sempre lezioni. Mentre la miniserie di Rai Uno Le ragioni del cuore si occupa delle nuove professioni, precarie, a tempo parziale, tra vecchi mestieri e nuove tecnologie. Del resto, il lavoro è da sempre un tema forte al cinema. Sin dalla nascita del cinematografo. La prima immagine dei fratelli Lumière è proprio quella della loro fabbrica di Lione, dalla quale escono operai e ragazze, mentre sulla strada passano cani e automobili. Da La sortie des usines Lumière, primo film di tutti i tempi, il lavoro è protagonista: alienante in Tempi moderni di Charlie Chaplin, contestato in Sciopero di Ejzenstejn, inseguito e impossibile in Ladri di biciclette di De Sica. Con Sciuscià e Riso amaro, il neorealismo inaugura un rapporto privilegiato tra lavoro e cinema italiano. Tra disoccupazione e lotte sindacali, orari e realizzazione di sé, ne parlano Mario Monicelli (Romanzo popolare), Elio Petri (La classe operaia va in paradiso), Francesco Rosi (Tre fratelli). E in tempi più recenti, Paolo Virzì c o n La bella vita e Baci e abbracci. Non a caso, una manifestazione italiana, il Torino Film Festival, ha istituito da qualche anno il premio Cipputi, intitolato all'operaio protagonista delle vignette di Altan e dedicato al miglior film sul mondo del lavoro. E l'ultima edizione di Filmmaker, rassegna milanese di documentari e video, ha avuto come tema l'occupazione. Mentre l'argomento sta tornando di moda nel cinema europeo (dal belga Rosetta al francese Risorse umane), il valore del lavoro diventa centrale anche nel film Barilla, sceneggiato da Alessandro Baricco e diretto da Wim Wenders. "Il lavoro - spiega Guido Barilla - è il significato più importante nella storia della società. L'azienda ha vissuto di a l voro per 125 anni: un lavoro continuo, eroico, giornaliero, su temi fondamentali. Credo che l'eticità del lavoro sia uno dei valori più importanti che ha caratterizzato Barilla fino a oggi. "Perché – dice sempre Barilla - una delle fortune degli uomini è la capacità di rideclinarsi quotidianamente, giorno dopo giorno, nel lavoro che si fa". Per ulteriori informazioni rivolgersi a: Edelman Public Relations Worldwide Via Varese, 11 – 20121 Milano Giovanna Quattro - Tel.: 02.631162 e-mail: [email protected] Caterina Tonini – Tel.: 02.63116237 e-mail: [email protected] Barilla Alimentare Spa Via Mantova, 166 – 43100 Parma Armando Marchi Responsabile Relazioni Esterne Tel.: 0521.262217 e-mail: [email protected]