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IAB ITALIA
Rassegna Stampa del 01/12/2014
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INDICE
IAB ITALIA
01/12/2014 Pubblicita Today
Spadini: "Prodotto, persone e cultura gli asset su cui lavorare"
16
01/12/2014 Pubblicita Today
Le voci del merca to
17
01/12/2014 Corriere del Mezzogiorno Economia
Saviano va sul web con i video-editoriali
18
28/11/2014 360com
Webranking sempre un passo avanti: una nuova formula di digital agency
19
28/11/2014 360com
PubMatic è pronta per l'Italia. Ma attende la rivoluzione degli editori
22
28/11/2014 ADV Express
IAB Forum. Marzan (zanox): nel 2014 60 nuovi clienti e business in crescita. Nel 2015
focus su Programmatic e Mobile
23
28/11/2014 Engage.it
Kijiji.it e ebay Annunci, il 10 dicembre lo shift. Lanciato il primo dei nuovi formati adv
24
28/11/2014 Engage.it
L'Infografica della settimana - 10 anni di Storytelling e l'evoluzione delle PR
25
26/11/2014 MyMarketing.Net
IAB Forum 2014: come cambia l'audience online
26
ADVERTISING ONLINE
29/11/2014 Il Sole 24 Ore
La vera posta è la nuova rete nazionale
28
30/11/2014 Il Sole 24 Ore
L'azienda si apre al social
30
30/11/2014 Il Sole 24 Ore
Nel digitale il peso del benessere del consumatore
31
29/11/2014 La Repubblica - Nazionale
Caso Google, ora gli Usa temono l'Europa
33
29/11/2014 La Repubblica - Torino
Torino già nel futuro altrove è l'anno zero così ritardi e password frenano il web per
tutti
34
29/11/2014 Il Messaggero - Nazionale
Ue spaccata sullo spezzatino Google
36
01/12/2014 Il Messaggero - Nazionale
Semplificare per spingere avanti il Paese
37
29/11/2014 Il Giornale - Nazionale
Un giro d'affari da centinaia di migliaia di euro ogni anno
39
29/11/2014 Il Fatto Quotidiano
SOLDI ALLA CHIESA SOTTO ACCUSA
40
30/11/2014 Il Fatto Quotidiano
La tv è cambiata, l'Auditel no
42
29/11/2014 ItaliaOggi
L'azienda corre online coi video
44
29/11/2014 ItaliaOggi
Mail Online cresce del 41% e compensa il calo del cartaceo
45
29/11/2014 ItaliaOggi
Buzzfeed, oltre 100 mln di ricavi
46
01/12/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Apple-Google, il derby dello streaming musicale
47
01/12/2014 Corriere Economia
Eni, Snam e Telecom I migliori siti online
49
01/12/2014 Corriere Economia
Mobili, attacco agli Usa (via web)
51
01/12/2014 Corriere Economia
2 miliardi di pubblicità online
52
01/12/2014 Brand News Today
Il processo d'acquisto dell'auto inizia online. E il test drive si digitalizza
53
01/12/2014 Brand News Today
Il digitale al centro della 14a edizione del Forum Retail 2014
54
01/12/2014 DailyMedia
Milano Fashion Media: raccolta a +15% e nel 2015 si aggiunge Riders; crescono web
ed eventi
55
01/12/2014 DailyNet
Il mobile commerce al centro del terzo evento di Netcommconnect
57
01/12/2014 Pubblicita Today
dELoIttE: wIdEsPACE AL 1° Posto PEr tAsso dI CrEsCItA dEL 2014 PEr LA
CAtEGorIA softwArE
59
29/11/2014 Pagina99
confessioni di un acchiappa-click *
60
28/11/2014 ADV Express
Tutta la personalità di Adam Rocks racchiusa nel claim 'Carini, mai' nella campagna
di Scholz & Friends
62
28/11/2014 ADV Express
Kijiji ingloba eBay Annunci. Alla guida della potenziata struttura nominato general
manager Luke Miller
63
28/11/2014 Engage.it
Deloitte premia Widespace: è al 1° posto della classifica delle società a più alto tasso
di crescita del 2014 per la categoria "software"
64
28/11/2014 Engage.it
Consodata e Hic Mobile portano "Tutti in campo", con la nuova app dedicata agli
appassionati di calcio
65
28/11/2014 Engage.it
Twitter monitora le applicazioni presenti sugli smartphone, per erogare pubblicità
più mirata
66
28/11/2014 Engage.it
Filippo Vizzotto, Mobvious: «Giro d'affari quasi raddoppiato nel 2014 con Shazam for
tv» (VIDEO)
67
28/11/2014 Pubblicitaitalia.it 11:49
eBay Annunci diventa Kijiji
68
28/11/2014 Pubblicitaitalia.it 11:46
Bayer racconta l'innovazione con Microsoft Advertising e Msn.it
69
28/11/2014 Pubblicitaitalia.it 11:41
TLC Marketing firma la campagna Ferrero K People
70
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO
29/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
«Niente nomi di partito»
72
29/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
«Renzi guarda al passato La Terza Via non serve più»
74
29/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Italia a crescita zero Nuovo record dei senza lavoro
76
29/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Carta bianca ai cinque fedelissimi: ambasciatori anche con il Pd
78
29/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
La predicatrice di Istanbul: «Non c'è nulla in comune fra l'Isis e noi musulmani»
80
29/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Fischer e Letta: «L'Europa fallirà se non fermiamo i neo-nazionalismi»
81
29/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Ferrari si prepara a Wall Street Spunta l'ipotesi voto multiplo
82
29/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Edison in campo per le centrali e i clienti di E.On Italia
84
30/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
la trappola nascosta nel jobs act
85
30/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Padoan: crescita, la Ue ci ascolta Le tasse scenderanno ancora
86
30/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Fondi pensione e Tfr, così si cambia
89
30/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Il no di Renzi all'idea del Cavaliere: irricevibile, sulle riforme si va avanti
91
30/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
«Troppe cicatrici dopo il caso Prodi Ora saremo uniti»
93
30/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Barbanti: «Avanti così e ci frantumiamo altro che scissione»
94
30/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Unghie spezzate e ambulanti ostili Moretti: le mie primarie con amore
95
30/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Una stella a destra È Marion, la nipote
97
30/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
«Ancora troppa finanza nelle banche Basta prodotti complessi alle famiglie»
99
30/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Imu e Tasi così i calcoli e le scadenze di fine anno
102
01/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Il Papa: i leader islamici condannino il terrorismo
103
01/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Un «Pensionato day», la mossa del leader azzurro
105
01/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Fiducia in calo per il premier, sale Salvini
106
01/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale
«Referendum sul Jobs act tra la base? Non ha più senso»
108
01/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Pensione a 57 anni per le donne
109
01/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale
I «viaggi impossibili» sognati da Francesco
110
01/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Una moneta parallela da affiancare all'euro La proposta che unisce Berlusconi e
«Micromega»
111
01/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale
I fasciocomunisti sono tornati tra noi
112
29/11/2014 Il Sole 24 Ore
Disoccupazione al 13,2% a ottobre persi 55mila posti
113
29/11/2014 Il Sole 24 Ore
L'Europa non ha tempo per il gioco delle parti
115
29/11/2014 Il Sole 24 Ore
L'Italia bloccata dallo squilibrio responsabilità-poteri
117
29/11/2014 Il Sole 24 Ore
«Troppe lobby negli appalti Commissarieremo ancora»
119
30/11/2014 Il Sole 24 Ore
Borse, chi vince sul mini-greggio
121
30/11/2014 Il Sole 24 Ore
Il Giappone di Abe fa la cosa giusta
123
30/11/2014 Il Sole 24 Ore
La depressione degli italiani e il rischio Paese*
124
30/11/2014 Il Sole 24 Ore
Come sostenere le riforme
126
30/11/2014 Il Sole 24 Ore
Il bonus europeo da non sprecare*
128
30/11/2014 Il Sole 24 Ore
Salvi i saldi (per la Ue), ora sprint sulle riforme
130
29/11/2014 La Repubblica - Nazionale
E per il Quirinale Renzi tratta con Fitto
131
29/11/2014 La Repubblica - Nazionale
L'ARMA DEL PETROLIO
133
29/11/2014 La Repubblica - Nazionale
La paura della contestazione, gli insulti con Artini: così Beppe ha deciso di dire
basta
135
29/11/2014 La Repubblica - Nazionale
"Nomi imposti dall'alto chiediamo trasparenza vogliono solo fedeltà"
137
29/11/2014 La Repubblica - Nazionale
"I debiti di Roma colpa di Alemanno Ora cambio tutto"
138
29/11/2014 La Repubblica - Nazionale
"Preferenze nel Consultellum subito, poi l'Italicum"
140
29/11/2014 La Repubblica - Nazionale
"Troppa offerta di greggio e non c'è il coraggio di tagliare la produzione"
141
29/11/2014 La Repubblica - Nazionale
"Pronti a chiedere i danni a Novartis il governo faccia verifiche a tappeto"
143
29/11/2014 La Repubblica - Nazionale
"Basta allarmismi antidoto necessario l'influenza causa migliaia di decessi"
144
29/11/2014 La Repubblica - Nazionale
Berlusconi-Doris fanno lo sgambetto a Mediobanca e si astengono sugli ultimi conti
145
30/11/2014 La Repubblica - Nazionale
Piergiorgio Bellocchio: mi godo il privilegio di non contare niente
146
30/11/2014 La Repubblica - Nazionale
IL MACIGNO DEL DEBITO ITALIANO E IL BUCO NERO DELLA GRECIA
150
30/11/2014 La Repubblica - Nazionale
Renzi avverte Berlusconi "Non tratto ora sul Colle prima si vota l'Italicum"
153
30/11/2014 La Repubblica - Nazionale
Grillo, pronte altre espulsioni
157
30/11/2014 La Repubblica - Nazionale
"Era un sogno, sta diventando un incubo"
159
30/11/2014 La Repubblica - Nazionale
Manovra, sì alla fiducia ma dubbi sull'effetto Pil
160
30/11/2014 La Repubblica - Nazionale
"Sarkozy invertebrato Hollande un birillo L'Europa è morta contano le nazioni"
162
30/11/2014 La Repubblica - Nazionale
Taglio al canone Il ricorso della Rai andrà al Quirinale Ma verdetto finale con il nuovo
cda
164
30/11/2014 La Repubblica - Nazionale
Un altro attacco dei tedeschi a Draghi il rappresentante in Bce: no a maxi-acquisti
165
01/12/2014 La Repubblica - Nazionale
Ilva allo Stato ecco il piano del salvataggio
166
01/12/2014 La Repubblica - Nazionale
Ma l'ex Cavaliere scommette: l'addio di Napolitano frenerà l'Italicum
168
01/12/2014 La Repubblica - Nazionale
"Al Colle un nome autonomo qui non vale il Patto del Nazareno"
170
01/12/2014 La Repubblica - Nazionale
"Il mio appello ai leader islamici ora condannate il terrorismo"
171
01/12/2014 La Repubblica - Nazionale
DOVE L'ENERGIA È PIÙ CARA CHE ALTROVE
173
29/11/2014 La Stampa - Nazionale
L'esperto: "Nessuna paura, il nesso è solo temporale e il farmaco è incolpevole"
175
29/11/2014 La Stampa - Nazionale
Lo sfogo con gli onorevoli "Voi non vi fidate più di me"
176
29/11/2014 La Stampa - Nazionale
"L'Ue doveva aprirsi anche verso Sud Ora subisce le crisi"
177
29/11/2014 La Stampa - Nazionale
Padoan sollevato: "Riconosciuto il nostro sforzo"
179
30/11/2014 La Stampa - Nazionale
Disoccupazione mai così alta
180
30/11/2014 La Stampa - Nazionale
"Ora l'Europa studia la clausola di flessibilità per i Paesi in crisi"
183
30/11/2014 La Stampa - Nazionale
"Resto autonomista Ma le emergenze ora sono altre"
185
30/11/2014 La Stampa - Nazionale
"L'energia di Matteo mi manda in estasi Renzi è come Sarkò"
186
30/11/2014 La Stampa - Nazionale
Molinari: "Così diventiamo un partito Tradita la nostra anima movimentista"
187
30/11/2014 La Stampa - Nazionale
Guerini: "Il Pd non ha un nome ma un metodo: il massimo consenso"
188
30/11/2014 La Stampa - Nazionale
"La dittatura è tornata ma unirsi agli islamisti sarebbe ancora peggio"
189
30/11/2014 La Stampa - Nazionale
"Il Medio Oriente diventi una comunità di acqua e energia"
190
01/12/2014 La Stampa - Nazionale
BRINDATE AL PETROLIO MENO CARO
192
01/12/2014 La Stampa - Nazionale
LA SFIDA DEL JOBS ACT
194
01/12/2014 La Stampa - Nazionale
"Ma sui contratti atipici il governo si è impegnato"
196
01/12/2014 La Stampa - Nazionale
"Le regole non bastano Per la svolta serve innovazione e ricerca"
197
01/12/2014 La Stampa - Nazionale
"Assumiamo in Italia, anche se manca una politica industriale"
198
01/12/2014 La Stampa - Nazionale
"Usa--Europa con l'accordo milioni di posti di lavoro"
199
29/11/2014 Il Messaggero - Nazionale
Colle, sul successore di Napolitano Renzi vuole patto su nome blindato
200
29/11/2014 Il Messaggero - Nazionale
Dosi potenziate o allergie, le piste degli esperti
202
29/11/2014 Il Messaggero - Nazionale
Svolta di Grillo: in 5 al comando Basta diarchia, nasce il direttorio
203
30/11/2014 Il Messaggero - Nazionale
Renzi: Colle, no a nomi bocciati
205
30/11/2014 Il Messaggero - Nazionale
E Casaleggio prepara simbolo e blog senza il nome di Grillo
207
01/12/2014 Il Messaggero - Nazionale
M5S apre al «modello Consulta»: sentiamo il web poi via al confronto
209
29/11/2014 Il Giornale - Nazionale
Quando il nonno scappa con la boliviana
210
29/11/2014 Il Giornale - Nazionale
Il pugile Silvio manda ko il clan dei suonati
211
29/11/2014 Il Giornale - Nazionale
L'Europa «nonna» di Francesco ha molti nipotini inaffidabili
212
30/11/2014 Il Giornale - Nazionale
Marine Le Pen: «Ora posso scalare l'Eliseo»
213
30/11/2014 Il Giornale - Nazionale
Quella italiana non è un buon esempio di repubblica parlamentare
215
30/11/2014 Il Giornale - Nazionale
Ma le primarie convengono a Forza Italia?
216
29/11/2014 Avvenire - Nazionale
Campanella: «Resta il padrone E il blog è come la Pravda»
217
30/11/2014 Avvenire - Nazionale
«Può essere l'inizio di una nuova era»
218
29/11/2014 Libero - Nazionale
Gli svolazzi del Rondolino innamorato del potere
219
30/11/2014 Libero - Nazionale
«Ignazio, un marziano che terrorizza i romani»
221
29/11/2014 Il Foglio
PICCOLA POSTA
224
29/11/2014 Il Foglio
L'IRROTTAMABILE VESPA
225
29/11/2014 ItaliaOggi
La grillina Bechis non vuole farsi imbavagliare da Grillo
230
29/11/2014 ItaliaOggi
Grillo rappresenta la rabbia popolare I parlamentari sono carne da macello
232
29/11/2014 ItaliaOggi
Attenti, il paese sta per scoppiare
233
29/11/2014 ItaliaOggi
Mediolanum si rivela un ottimo investimento
235
29/11/2014 ItaliaOggi
L'assicurazione contro le catastrofi conviene
236
29/11/2014 Financial Times
Draghi needs support on QE in the eurozone
237
01/12/2014 Financial Times
French cable group Altice in €7.4bn Brazilian deal for Portugal Telecom unit
238
01/12/2014 Financial Times
Europe's boards become more international
239
29/11/2014 International New York Times
Eurozone inflation dips toward zero
240
29/11/2014 International New York Times
3 European countries given budget reprieve
242
29/11/2014 International New York Times
The Cinque Terre on a budget
243
29/11/2014 The Guardian
EU delays action against France and Italy for breaching currency rules
245
28/11/2014 The Times
Case study
246
28/11/2014 The Times
Motorway gunmen fail in £4m heist
247
29/11/2014 The Times
Falling inflation increases pressure for eurozone QE
248
29/11/2014 Le Figaro
Les autres mauvais élèves de la zone euro pointés du doigt
249
29/11/2014 Le Figaro
Réformes : il manque « l'effet waouh»
250
29/11/2014 Le Figaro
La BCE s'installe dans sa nouvelle tour à 1,2 milliard d'euros
251
29/11/2014 Le Figaro
L'INFLATION INQUIÈTE ENCORE PLUS
252
29/11/2014 Le Figaro
SNCM : course contre la montre pour trouver un repreneur
253
29/11/2014 Le Figaro
Club Med, en perte à cause des fermetures de villages, compte sortir du rouge après
l'OPA
254
01/12/2014 Le Figaro
Dix-huit mois d'une drôle de guerre
255
01/12/2014 Le Figaro
Bras de fer à haut risque pour le Club Med
257
29/11/2014 Le Monde
SNCM : quatre repreneurs étudieraient le dossier
258
29/11/2014 Le Monde
Club Med : cinquième perte en huit ans
259
29/11/2014 Le Monde
Le " come-back " en politique est une exception française
260
29/11/2014 Le Monde
Matteo Salvini, le « cousin italien » de Marine Le Pen
262
30/11/2014 Le Monde
La zone euro toujours plus proche de la déflation
264
01/12/2014 Les Echos
13 % / De chômeurs en Italie
265
01/12/2014 Les Echos
Rome prêt à nationaliser l'aciérie d' Ilva
266
01/12/2014 Les Echos
Club Med : Fosun doit relancer la bataille
267
29/11/2014 Liberation
Andrea Bonomi, le fort européen
268
29/11/2014 Liberation
Bataille pour le Club Méditérranée
269
01/12/2014 La Repubblica - Affari Finanza
LE ARMI DELL'EUROPA E IL POTERE DI GOOGLE
270
01/12/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Più reddito disponibile per spingere i consumi
271
01/12/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Piano Juncker, l'assalto ai fondi
273
01/12/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Tv locali, l'ultimo far west troppe antenne, spot in crollo
276
01/12/2014 La Repubblica - Affari Finanza
"Tassi bassi e prezzi energetici potrebbero spingere le imprese"
279
01/12/2014 Corriere Economia
Cardani: ma i privati ora ci mettano i soldi
281
01/12/2014 Corriere Economia
Web veloce Il piano Renzi divide Telecom e Vodafone
283
01/12/2014 Corriere Economia
Quattro motivi per essere ottimisti (nonostante tutto)
285
01/12/2014 Corriere Economia
«Risorse umane, queste sconosciute»
286
01/12/2014 Corriere Economia
Imposte locali Tasi e Imu: il doppio colpo dei Comuni
287
01/12/2014 Corriere Economia
Infrastrutture Lo stop ci costa 800 miliardi
289
29/11/2014 Milano Finanza
ORSI&TORI
291
29/11/2014 Milano Finanza
il tagliadebito si puo e si deve fare Ma ci vuole una cabina di regia con poteri forti.
294
29/11/2014 Milano Finanza
Lo shale oil è invincibile
298
29/11/2014 Milano Finanza
Draghi raccolga la sfida subito, è il momento della verità
300
29/11/2014 Milano Finanza
Altomonte: i soldi di Juncker andranno prima al Nord Europa, l'Italia metta mano ai
fondi strutturali
302
29/11/2014 Milano Finanza
Solo l'Europa fa paura
304
29/11/2014 Milano Finanza
Polizza anticatastrofi sulle case
306
29/11/2014 Milano Finanza
Meno fisco, più rilancio
307
30/11/2014 The Observer
Stimulating discussions as eurozone stays flat
309
30/11/2014 The Sunday Times
Putin's anti-gay tirade ends pas de deux with Merkel
310
IAB ITALIA
9 articoli
01/12/2014
Pubblicita Today
Pag. 1
Spadini: "Prodotto, persone e cultura gli asset su cui lavorare"
Serena Poerio
L'obiettivo che il manager si pone di realizzare insieme a Isabelle Harvie-Watt, ceo di Havas Media Group [
pagina 15 ] Si soerma sul concetto di fiducia Stefano Spadini , nuovo ceo di Havas Media Italia intervistato da
Today Pubblicità Italia in occasione dello IAB Forum 2014 . "Viviamo in un settore che ama parlarsi addosso ha dichiarato il manager - esiste invece come industry un innegabile problema di fiducia e come Havas Media
abbiamo una grande opportunità: guadagnare la fiducia dei nuovi clienti e conservare quella dei clienti attuali,
grazie alla competenza che continueremo a dimostrare ogni giorno". È pronto ad accogliere la sfida Spadini,
entrato in Havas Media Group da pochi giorni ( vedi notizia ) per supportare e accelerare la crescita della
struttura. Tra i suoi propositi, il manager punta a "un'agenzia che sia sempre più vicina al cliente ed in grado
di anticipare i suoi bisogni". Prodotto, persone e cultura sono i tre asset su cui lavorare per essere in partita.
Spadini si pone l'obiettivo di realizzare insieme al board del Gruppo "un'agenzia che sia in grado di muoversi
in maniera sempre più rapida, che sia in grado di guidare con semplicità i clienti a sfruttare le opportunità
oerte dall'evoluzione del mercato, capace di guidare l'integrazione tra dati e contenuti, caratteristiche che
sono più facili da realizzare in un'agenzia dinamica e integrata come Havas Media". Quale ruolo gioca la
tecnologia in tal senso? "È un'opportunità per le agenzie perché dà la possibilità di liberare risorse da allocare
a attività a valore aggiunto dai clienti. La tecnologia non è mai l'inizio né la fine di un processo, ma è un
mezzo che dobbiamo mettere a servizio dei nostri clienti". Havas Media Group riceverà martedì 2 dicembre in
occasione dell' International Events & Relational Strategies GrandPrix , premio di TVN Media Group dedicato
alle tecniche più innovative ed ecaci del connected marketing, il riconoscimento Agency of The Year ( vedi
notizia ). Il Gruppo in Italia, sotto la guida del ceo Isabelle Harvie Watt , è infatti cresciuto negli ultimi due anni
sia in termini di fatturato - nel 2014 chiude con un +43% di billing sul 2013 - sia in termini di risorse - l'hub
italiano conta 118 dipendenti, in aumento negli ultimi due anni del 40% circa. Clicca sul frame per vedere il
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IAB ITALIA - Rassegna Stampa 01/12/2014
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parla il nuovo Ceo di havas media italia
01/12/2014
Pubblicita Today
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Le voci del merca to
Le interviste ai protagonisti del settore incontrati durante la manifestazione: il native advertising di Outbrain,
l'espansione internazionale di PublicIdeas, le strategie di search marketing per i mercati esteri di Mamadigital,
la nuova partnership di 24Media
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IAB ITALIA - Rassegna Stampa 01/12/2014
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IAB FORUM 2014
01/12/2014
Corriere del Mezzogiorno Economia
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Saviano va sul web con i video-editoriali
PAOLO CUOZZO
Una sorta di «Vieni via con me» ma solo in rete: così Roberto Saviano (foto) - ospite, in collegamento video,
allo Iab Forum 2014 in svolgimento al MiCo - ha descritto la collaborazione avviata con Yahoo per una serie
di video-editoriali.
Il digitale «è libertà, il contatto sul web - ha detto lo scrittore - mi nutre: con i nuovi media si può costruire una
comunità di 2 milioni di persone, come la mia pagina Facebook, appassionate a temi che per altri non
sarebbero interessanti». Il web però è solo una parte di una rete più grande, che va dalla tv al teatro ai social
network: «e al centro - ha sottolineato - c'è la parola». Ma internet ha anche responsabilità: «Online si deve
investire sul racconto della realtà - ha notato Saviano - oggi Tg e i quotidiani sono velocissimi, è difficile
capire e prendere posizione, il rischio è che l'utente/cittadino diventi un tifoso».
Per lo scrittore il web è stato anche uno strumento di ricerca: «l'80% del mio lavoro è possibile grazie alla
rete: le informazioni sono tutte disponibili, internet ti consente di trovarle e di testarne l'affidabilità. Senza il
web - ha concluso - i miei nemici avrebbero vinto». Prima di Saviano Josh Partridge, EMEA & Canada
Director a Shazam, e Dan Wright, Director di Amazon Media Group Europe, hanno detto la loro su come
l'innovazione digitale possa cambiare il mondo: il primo illustrando l'opportunità per band e cantanti di
organizzare tour in base ai dati della celebre app di riconoscimento musicale; il secondo rivelando
l'importanza del confronto fra utenti per un acquisto consapevole (l'84% degli utenti Amazon, infatti, legge
almeno 11 commenti prima di comprare un prodotto).
Attesa per le Winx al Palapartenope
Per festeggiare i loro primi 10 anni, Bloom, Flora, Stella, Aisha, Musa e Tecna voleranno sui palchi di tutta
Italia nel musical «Winx club musical show» che debutterà il 6 dicembre al Teatro Palapartenope di Napoli.
«Per la prima volta - racconta il creatore delle fatine Iginio Straffi - abbiamo creato uno spettacolo con delle
coreografie stile Cirque du soleil , con le fate che volano in aria e nuove tecnologie che rendono lo show
intrigante per tutta la famiglia». Dopo il terzo film d'animazione, «Winx Club: Il Mistero degli Abissi», le eroine
della dimensione magica dovrebbero poi tornare al cinema nel 2017 con un nuovo lungometraggio. «La
mitologia alla base delle Winx è così ricca che ci ha dato spunto per tantissime storie, una delle quali vedrà
protagoniste le loro antagoniste, le Trix: la loro vicenda potrebbe venire spalmata in una nuova stagione
televisiva o in un lungometraggio che - anticipa Straffi - potrebbe uscire nel 2019».
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Tv e dintorni
28/11/2014
360com
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Webranking sempre un passo avanti: una nuova formula di digital agency
Da sempre la company coltiva la sinergia fra competenze Di marketing e tecnologiche. una Doppia iDentità
che, a Dispetto Della crisi, le ha consentito Di mettere a segno nel 2014 una crescita Di fatturato Del 20%. e
che le permette Di essere già pronta per integrare con successo un approccio programmatico alla pubblicità
online con iDee e soluzioni innovative
Rappresenta l'unione virtuosa di esperienze acquisite nella consulenza di marketing digitale e nella
tecnologia al servizio di marketing e comunicazione. Webranking è infatti la dimostrazione tangibile che la
coesistenza tra marketing e information technology non è impossibile bensì decisiva nell'internet odierna.
Produce risultati eccellenti, dal momento che permette di convertire le idee in soluzioni concrete e mette
l'informazione e i dati a disposizione delle scelte, in primis quelle di pianificazione. Webranking si distingue
per questa capacità di adeguarsi ecacemente a un mondo che richiede soluzioni nuove da comprendere e
integrare. Nei suoi sedici anni di vita - è nata nel 1998, proprio quando Google installava il primo server in un
garage - questo approccio l'ha portata a essere premiata con riscontri tangibili. La company è infatti diventata
una delle agenzie mondiali più certificate da Google nell'utilizzo dei suoi strumenti di advertising, analisi e
miglioramento delle performance dei siti. Ma la società non ha guardato solo ad ovest: è l'unica italiana
certificata da Yandex, il più diuso motore di ricerca russo, per la pianificazione di campagne adv in questo
importantissimo mercato, e ha una partnership attiva con l'unico centro media cinese attraverso il quale è
possibile pianificare su Baidu. In Italia, poi, Webranking continua a recitare un ruolo di riferimento nel mercato
nella consulenza di web e search marketing e nella pianificazione pubblicitaria online sui motori di ricerca e i
social network, tanto da aver fatto parte del Consiglio Direttivo di Iab per ben sei anni. C'è insomma di che
essere soddisfatti. Ma il suo co-fondatore nonché presidente, Nereo Sciutto, guarda già avanti, per arontare
le sfide imposte da un mercato che non dorme mai. Forte però di una solidissima base di partenza. «Oggi ci
troviamo nel mezzo di una rivoluzione che porta a un profondo cambiamento nell'approccio alla pubblicità
online: finora è stato prevalente l'acquisto di spazi per canale o per strumento; oggi si sta facendo
prepotentemente strada il bisogno di elaborare strategie e pianificazioni più vicine alle persone, che seguano
la loro customer journey... e non solo online. C'è una svolta non di poco conto resa possibile dagli analytics e
dai dati. E qui entra in gioco la nostra competenza tecnica. In questo contesto, è evidente che possedere la
capacità di progettare soluzioni e allo stesso tempo padroneggiare in modo ecace i dati sia diventato un asset
indispensabile. E noi abbiamo avuto la fortuna di presidiare queste sinergie fin dall'inizio, perché sono il
nostro elemento dierenziante, non limitandoci alla sola competenza di marketing, che rimane centrale ma che
non basta più. Integrando le competenze di programmatic buying ai servizi core della nostra agenzia - sì,
anche alla Seo - pensiamo di aver creato un nuovo tipo approccio, che va nella direzione di un centro media
digitale, che però allo stesso tempo ne estende il funzionamento: qualcosa di più completo e attento alle
performance che riusciamo a misurare e che vogliamo ricercare. Credo che i tempi siano maturi. Webranking
potrà quindi capitalizzare il suo know-how, frutto di un ecace mix di creatività, competenze tecniche e
analitiche in grado di assicurare ai propri clienti una rilevante ottimizzazione degli investimenti. E' un tema,
quest'ultimo, sul quale pensiamo sia possibile dare di più agli investitori pubblicitari, rispetto alla visione dei
player che operano oggi sul mercato italiano. In Usa e Uk questo tipo di realtà già esistono. Noi vogliamo
esserlo in Italia». A proposito di It, proprio grazie alla sue competenze tecniche Webranking ha dato vita a
Greenbox. Di che cosa si tratta? In una parola, la potrei definire la migliore tecnologia a servizio del business.
Si tratta di una piattaforma di Cms e eCommerce ottimizzata per il marketing, ad esempio è al 100% Seo
compliant, integrata con analytics e strumenti di conversion rate optimization. A prima vista potrebbe
sembrare curioso che un'agenzia dia vita a una piattaforma. In realtà, la questione è meno complessa di
quanto sembri: anni fa notammo che molti clienti erano frenati dal mettere in atto i nostri progetti di
comunicazione da piattaforme che non li supportavano in termini operativi. Da qui, dunque, la decisione di
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Da seDici anni una realtà italiana Di prim'orDine che si Distingue per la capacità Di aDeguarsi efficacemente
a un monDo che richieDe soluzioni cariche Di novità Da comprenDere e inglobare
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360com
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sfruttare la nostra anima tech adando agli ingegneri la progettazione di una soluzione come Greenbox, che va detto - rappresenta soltanto un tassello all'interno della più ampia strategia di marketing proposta da
Webranking. Oltre la tecnica, però, c'è molto di più... Certo. Per noi è centrale il fattore umano, sotto tutti i
punti di vista. D'altronde sono le persone a fare anche la tecnologia. La nostra mission, la vision e i valori che
abbiamo scelto sono incentrati sulle persone, perché pensiamo che siano il primo grande veicolo per fare
grandi cose, fuori e dentro la nostra organizzazione. Facciamo il nostro lavoro con passione, impegno ed
entusiasmo, costruendo relazioni, raggiungendo risultati e potenziando le competenze delle persone.
Viviamo, insomma, il business con trasparenza: diciamo al cliente ciò che è giusto per lui, prima che per noi.
E non è una frase fatta: per costruire rapporti di fiducia che abbiano l'ambizione di durare, è importante
guardare a cosa davvero può funzionare, non a cosa interessa a noi nel breve periodo. Per questo,
costruiamo ogni giorno relazioni basate sulla fiducia e sul reale supporto alle esigenze delle imprese. Più
volte i nostri clienti ci hanno detto di non percepirci come fornitori, ma come un gruppo di colleghi che
condividono gli stessi obiettivi con passione e competenza. In buona sostanza, quindi, vogliamo essere il
punto di riferimento delle migliori aziende italiane. E questo non solo nel progettare e gestire ecaci strategie di
marketing digitale. La massima qualità per noi è infatti un mix virtuoso fra l'imprescindibile alto livello del
servizio fornito e un rapporto costruito con le persone con le quali ci troviamo a lavorare presso le aziende
nostre clienti. E il bello, al di là delle parole, è che funziona. Che bilancio potete tracciare per questo 2014, un
anno complicato sotto il profilo dell'economia globale? E quali le previsioni si possono fare per il 2015? Il
2014 è stato un'ottima stagione per Webranking: l'anno si chiuderà con un fatturato in crescita del 20%
rispetto al 2013. Un risultato raggiunto grazie a una nutrita squadra di professionisti - siamo più di 50 - che
segue circa 40 clienti, tutti brand ambiziosi e di grande dimensione organizzativa, tra cui Prada, Allianz,
Vodafone, Benetton, Alpitour, Peugeot, Smeg, Intimissimi, Piaggio, Johnson&Johnson ed eBay. Quello che si
sta concludendo è tuttavia solo il primo dei tre anni sui quali abbiamo costruito il nostro piano di sviluppo, un
piano che dovrà portare Webranking a varcare i confini nazionali. Lo stiamo facendo internazionalizzando il
team interno perché solo così ci si prepara a uscire ecacemente verso l'estero. Nel 2015, quindi, contiamo di
mettere a segno un ulteriore, forte incremento. Le aziende disposte a investire sul web, del resto, non
mancano e le agenzie digital che riescono a mantenere un posizionamento alto sono in realtà sempre meno.
Lo spazio per proseguire la nostra crescita c'è e lo stiamo sfruttando. A patto, però, di essere essibili rispetto
alle esigenze del mercato e di mantenere la barra a dritta sull'innovazione. Due caratteristiche di cui
Webranking, certamente, non difetta».
una seDe costruita per il benessere organizzativo «L'ambiente parla della nostra cultura aziendale e delle
persone che lo abitano». E' da questo assunto che ha preso corpo l'idea di costruire dalle fondamenta una
nuova sede di Webranking. Una sede pensata e realizzata su misura per le esigenza della company, che è
stata ufficialmente presentata alla stampa lo scorso 19 novembre. L'edificio, che rappresenta per l'azienda la
voce di investimento più ingente insieme al personale, ha un'anima green, in linea con una sensibilità
tipicamente 2.0 aperta alle tecnologie all'avanguardia: la costruzione è infatti stata creata in legno, cemento e
vetro, ed è completamente antisismica. All'interno, gli spazi sono concepiti per facilitare il lavoro di squadra:
sono infatti stati realizzati uffici operativi open space, cui però si affiancano anche salette di isolamento per
singoli o per piccoli gruppi di lavoro, e sale riunioni di diversa dimensione per gli incontri ufficiali. Un forte
focus è stato dato alle aree comuni; una grande cucina attrezzata proprio al centro del bulding e le zone
relax. 4.000 metri quadrati di parco, una grande piscina e la palestra. A breve termineremo uno spazio library
per lo studio in un ambiente silenzioso. I nuovi uffici si trovano, come i precedenti, a Correggio, al centro
dell'Emilia Romagna, in provincia di Reggio Emilia. Una location che a prima vista potrebbe non
rappresentare una scelta strategica per una realtà di respiro internazionale come Webranking. «Non è così spiega il suo co-fondatore e presidente, Nereo Sciutto -. A Correggio abbiamo coltivato giorno dopo un giorno
un nostro valore imprescindibile: il benessere organizzativo. Per questo motivo abbiamo scelto di costruire la
nostra nuova sede in provincia. Qui siamo riusciti a realizzare un ambiente di lavoro estremamente produttivo
28/11/2014
360com
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IAB ITALIA - Rassegna Stampa 01/12/2014
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anche grazie all'alta qualità della vita che questa terra può darci e alla bellezze dal poter lavorane nel verde.
L'edificio è pensato e costruito per essere uno spazio vivace, favorire le relazioni e lo scambio di esperienza
anche al di là del lavoro. Non è un caso che oltre all'ampio parco che circonda la sede, siano presenti anche
una piscina e una palestra, entrambe a disposizione del team Webranking nelle ore extra lavorative. Da qui,
grazie all'alta velocità, raggiungiamo Milano in 45 minuti e Roma in poco più di due ore... E con la rete i
mercati di tutto il mondo per i nostri clienti».
la case history allianz Allianz ha scelto Webranking per il passaggio a Google Analytics Premium. La
qualifica Authorized Reseller, infatti, abilita Webranking alla vendita e alla consulenza sulla versione Premium
di Google Analytics e garantisce un supporto costante e personalizzato declinato in base alle esigenze di
business di ogni brand. Grazie all'account Premium, Webranking fornisce ad Allianz un'analisi del traffico dati
molto precisa, basata su dati non campionati e grazie a features di altissimo livello. Tra le più importanti, la
possibilità di effettuare un'analisi dell'utente anche in fase di pre-acquisizione e l'opportunità di scoprire da
subito quali sono le reali sorgenti di traffico che incidono maggiormente sulla conversione.
chi sono i soci Di Webranking
Nereo Sciutto E' co-fondatore e presidente dell'azienda nonché esempio vivente di come un ingegnere
informatico possa essere anche un visionario e sognatore. Ha una cattedra alla Business School
dell'Università di Bologna. Stefano Caagni Co-fondatore di Webranking dove è responsabile della
produzione, cioè del gruppo di consulenti che ogni giorno aiutano i clienti a raggiungere i loro obiettivi di
business. Andrea Storchi Co-fondatore di Webranking, è responsabile dell'area amministrazione, finanza e
controllo e si è assunto il compito di "gettare le fondamenta" della nuova sede.
i numeri Del 2014
10
54
40
10
6% nuove assunzioni fra dipendenti e collaboratori del personale è donna del tempo lavorativo viene dedicato
alla formazione interna dei costi complessivi del personale sono investiti in formazione esterna
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360com
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PubMatic è pronta per l'Italia. Ma attende la rivoluzione degli editori
un Dialogo approfonDito mostra il rapporto tra programmatic e mercato italiano seconDo la piattaforma
leaDer Di settore per premium publisher
programmatic: il private marktplace, che è stato il filo conduttore di tutto questo anno, consistendo in accordi
a cpm fisso che i publisher possono fare direttamente con il centro media. Accordi molto vantaggiosi,
secondo il parere di Campana, per i centri media che di fatto hanno la possibilità di aggiudicarsi
un'impression attraverso la piattaforma, riducendo considerevolmente il workow e potendo scegliere se quella
particolare impression sono veramente intenzionati ad acquistarla o meno. Con la seconda componente si è
entrati nel vivo delle innovazioni interessanti che sono apparse nel mercato quest'anno: «La novità del 2014,
a livello internazionale, è l'automated guaranteed, che sta fortemente contribuendo alla crescita di tutto il
programmatic advertising, che in Italia è passato da 50 a 110 milioni - ha spiegato il manager -. Con tale
soluzione le transazioni vengono svolte su piattaforma, ma la modalità commerciale rimane quella
tradizionale». In che senso? «Il centro media si impegna a comprare una data impression e l'editore si
impegna a distribuire la campagna. Realizzando, così, una vera propria automazione dei metodi consueti di
vendita, apportando tutti i benefici storici correlati a essa, ma migliorati e semplificati dalla tecnologia».
Riguardo all'Italia, secondo il manager, la crescita del programmatic nel 2014 è stata guidata dai centri media,
parte più avanzata del nostro panorama digital e fattore fondamentale che ha convinto PubMatic ad entrare in
maniera diretta nel mercato italiano. Ma, per il 2015, sarà fondamentale il ruolo degli editori, «che dovranno
rimboccarsi le maniche e capire che ora spetta a loro decidere "cosa fare" del programmatic, adeguando così
le proprie strategie di vendita e adottare delle piattaforme tecnologiche, che, naturalmente, dovranno poi
essere in grado di utilizzare. E per fare questo avranno la necessità di trovare partner tecnologici adeguati:
motivo per cui PubMatic, piattaforma che è sempre rimasta dalla parte dei publisher, si immette ora nel
mercato italiano». Campana ha poi sottolineato l'importante scelta dell'azienda di lavorare in maniera diretta
in Italia, un Paese che a livello internazionale, soprattutto nell'area anglosassone, viene spesso associato alla
Spagna. Ma il manager ha specificato che tale correlazione è sviante, poiché «la Spagna ha un mercato
pubblicitario che è dimezzato rispetto a quello italiano. E anche a causa dell'idea diusa, soprattutto negli Usa,
che sia possibile far rientrare la Spagna nell'area Latam, si è formato una sorta di preconcetto sul mercato
italiano, che è invece il terzo per importanza della zona euro e, per le caratteristiche del market, è anche più
interessante della Germania, dove il ruolo di protagonisti è svolto da attori locali». < Progammatic
protagonista non solo di questo 2014, ma anche di Iab Forum Milano. E' questo quanto è emerso nella due
giorni meneghina dedicata alla comunicazione digitale in Italia, un trend confermato dalla prima
partecipazione all'evento della piattaforma leader nel programmatic adv per premium publisher, PubMatic.
L'azienda ha oerto al pubblico, nella prima giornata di Iab Forum, un workshop dal significativo titolo
"Programmatic: the new normal", con speaker Livia Busseni, product specialist, e Andrea Campana, da poco
nominato country manager Italia e al quale abbiamo chiesto le sue impressioni sull'evento di quest'anno e sul
mercato digitale italiano. «Il nostro intervento a Iab è stato fortemente preparato e sono soddisfatto
dell'interesse e della partecipazione al nostro workshop ha aermato il manager -, e per l'anno prossimo
vorremmo lavorare ulteriormente su questo format, magari proponendo una soluzione di maggiore dialogo
come una tavola rotonda». In particolare, con il suo intervento, PubMatic ha mirato a descrivere più nel
dettaglio le metodologie e le dinamiche della tecnologia programmatica, partendo dallo spiegarne il suo punto
di partenza, cioè l'esigenza degli editori di gestire l'invenduto. Da questa necessità si innestano, infatti, le due
componenti base del
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l'azienDa ha partecipato a iab forum 2014 con un Workshop Dal titolo "programmatic the neW normal"
28/11/2014
ADV Express
Sito Web
Guarda su ADVexpressTV l'intervista a Michele Marzan, Regional Director Southern Europe della
società, che spiega due dei focus della propria offerta, Conversion Booster e Programmatic Adv, al centro
anche di un workshop tenuto il 25 novembre allo IAB Forum, e anticipa i focus per il 2015. zanox, il network
specializzato in Europa nel performance marketing, anche quest'anno ha partecipato allo Iab Forum con uno
stand nel quale è stato possibile conoscere tutte le novità proposte dall'azienda, ma anche con un workshop
di approfondimento dal titolo "Conversion booster in the marketing funnel"realizzato con i partner Fanplayr e
Remintrex in programma martedì 25 novembre. Allo IAB abbiamo intervistato Michele Marzan, Regional
Director Southern Europe della società, che ha spiegato ad ADVexpressTV come la struttura sia cresciuta
quest'anno in linea con il mercato ed ora in Italia conta oltre 300 clienti attivi di cui 66 new entry solo nel 2014
(il 63% dei quali appartengono al settore shopping e retail). Più di 30 sono clienti, inoltre, riguardano il
Programmatic. Tra i new business ci sono brand quali Braccialini, Boohoo, Diffusione Tessile, Disbey Store,
Eataly, Emozione3, Kiehls, Lovli, SmartBox, TIM, Tripadvisor, Trivago. Allo IAB Forum zanox ha puntato
l'attenzione su due aspetti in modo particolare. Il primo è il Conversion Booster, un nuovo prodotto in grado
di incrementare i risultati in termini di vendita. E' uno strumento che opera attraverso la visualizzazione agli
utenti, che visitano il sito del cliente, di un'offerta perfettamente integrata nel sito stesso e finalizzata ad
aumentare non solo il conversion rate ma anche il valore medio del carrello. Grazie all'integrazione con il
Mastertag zanox , il Conversion Booster è di facile implementazione ed è in grado di offrire uno sconto
variabile proprio su quei prodotti che, nonostante fossero stati visionati, non sono stati inseriti nel carrello.
Grande attenzione è stata rivolta anche al programmatic adv, linea di business nella quale zanox conta già 25
clienti dopo due anni di attività. Proprio sul programmatic la società ha dettato dieci regole per spingere
vendite addizionali. Tra queste Marzan cita, ad esempio, una corretta definizione degli obiettivi, la
realizzazione di campagne personalizzate, impiegando formati di grande impatto che assicurino la giusta
visibilità e il coinvolgimento del proprio target. Un invito, quello di zanox ,ad sare al massimo la conoscenza
dei propri clienti facendo tesoro di tutti i dati disponibili; un mix che richiede di effettuare costantemente dei
test e di analizzare con molta attenzione i risultati ottenuti, da valutare in correlazione agli obiettivi definiti in
fase iniziale. Infine, riguardo al 2015, Marzan anticipa che la società continuerà a spingere l'acceleratore sul
programmatic e soprattutto sul mobile, da cui già deriva il 15% delle transazioni. Proprio il mobile, sottolinea
Marzan, è un importante driver di crescita dell'adv online come emerso dallo IAB Forum, complice l'utilizzo
crescente dei dispositivi mobili da parte delle persone e la crescita degli investimenti che su questo mezzo
hanno raggiunto i 290 mln (+50%).
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IAB Forum . Marzan (zanox): nel 2014 60 nuovi clienti e business in
crescita. Nel 2015 focus su Programmatic e Mobile
28/11/2014
Engage.it
Sito Web
Kijiji.it e ebay Annunci, il 10 dicembre lo shift. Lanciato il primo dei nuovi
formati adv
Si tratta della Regional Home Page customizzabile. Mobile e native le strade perdeguite per un ulteriore
sviluppo del sito. Intanto la raccolta cresce del 26% e il 50% degli spazi pubblicitari del sito sono gestiti in
programmatic. Su Userfarm al via un contest per la realizzazione di un video virale
Come già anticipato da Engage.it e mailing inviate agli utenti negli scorsi mesi, a dicembre, precisamente il
10, eBay Annunci convergerà con Kijiji per costituire l'unico sito di annunci online del gruppo eBay in Italia.La
decisione è stata presa da una parte per sgomberare il campo da possibili confusioni con il marketplace
storico di eBay e dall'altra per poter concentrare gli sforzi di sviluppo, aumentando la potenza di fuoco del
brand.Presente in Italia dal 2005, Kijiji - che in lingua swahili vuol dire villaggio - è stato il precursore del
mercato degli annunci online. Quarto sito nel comparto eCommerce a livello nazionale, con 36 milioni di visite
al mese ed un aumento della raccolta pubblicitaria del 26% negli ultimi 6 mesi, Kijiji.it integra l'eredità in
termini di utenza ed esperienza maturata da eBay Annunci dal 2009 ad oggi e si proietta in avanti con un
focus sull'innovazione, i cui risultati si vedranno soprattutto il prossimo anno.«Mobile e inediti formati per gli
inserzionisti: questi sono i due fronti su cui ci stiamo concentrando maggiormente in vista dello shift definitivo
di eBay Annunci sotto il cappello Kijiji e sui quali abbiamo focalizzato la nostra partecipazione a IAB Forum»,
dichiara Chiara Bonifazi, PR & Customer Satisfaction Manager Kijiji a margine della due giorni che ha visto la
maggior parte della industry impegnata al MiCo di Milano.E proprio a proposito dell'evento che ha visto Kijiji
protagonista con uno stand e con un workshop intitolato "Classifieds e Mobile: la Nuova Era dell'Advertising",
Bonifazi dichiara in aggiunta: «E' stato un momento davvero importante per noi. Abbiamo registrato circa
1.300 presenze al nostro stand di aziende e investitori interessati alla nostra proposta, oltre che un Sold Out
al nostro workshop».«Inoltre la presenza di Luke Miller, general manager di Kijiji.it, e di Alessandro Coppo,
vice president e general manager di eBay Classifieds Group - quest'ultimo in particolare protagonista anche
del workshop insieme a Francesca Di Nora, business development manager B2C Kijiji Italia, e Samuele De
Luca, head of sales di Kijiji Italia -, ha attirato ancora di più l'attenzione sia di investitori quanto di partecipanti
curiosi di capire di più dell'operazione di convergenza tra i due brand», aggiunge la manager.Sotto l'aspetto
media, Kijiji.it proprio a IAB Forum ha presentato una delle primissime novità per gli spender pubblicitari
interessati a questo tipo di "vetrina": «Si tratta delle Regional Home Page customizzabili. Una possibilità
unica per quelle aziende che intendono localizzare i propri annunci e spingere la propria presenza su
determinati territori. Presentato al nostro stand come promo, il formato ha suscitato molto interesse e ha già
registrato adesioni», precisa ancora Bonifazi.Ma non finisce qui. Altri formati sono stati annunciati in partenza
nei primi mesi del 2015, quando prenderanno il via anche i progetti di native advertising e iniziative speciali. Il
tutto ottimizzato anche per il mobile «che di fatto è diventato il primo device utilizzato dagli utenti».Per quanto
riguarda la vendita degli spazi su Kijiji.it, è affidata a ebay Classified Advertising, «ma ci appoggiamo anche a
una piattaforma self service, Dotadv, con cui gli spender possono pianificare la propria campagna in piena
autonomia», aggiunge la manager. E sul fronte Programmatic? «Il programmatic cuba al momento il 50% del
nostro totale spazi adv», dichiara.Tornando all'unione tra ebay e Kijiji, la celebrazione passa anche per un
contest lanciato con Userfarm per la realizzazione di un video virale - dal titolo Piacere, Kijiji - che valorizzi il
brand e le sue potenzialità per i consumatori, e i cui vincitori verranno annunciati alla fine di gennaio 2015:
«Chiuderemo la raccolta di proposte dopo la pausa natalizia. Ad oggi abbiamo registrato oltre 300
adesioni».Allo studio inoltre anche una campagna online e offline per posizionare il brand. La pianificazione
dovrebbe prendere il via entro i primi tre mesi del 2015 e sarà curata dallo stesso gruppo.
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Tecnologia
28/11/2014
Engage.it
Sito Web
L'Infografica della settimana - 10 anni di Storytelling e l'evoluzione delle
PR
Scopriamo come si sono evolute le Public Relations in questi anni: dal trend dei blog, all'introduzione dei
social media fino alla diffusione delle PR online, alla trasformazione del contenuto in conversazioni e
all'introduzione del visual content
Questa settimana l'infografica scelta per voi è dedicata a uno dei temi più caldi dell'ultima edizione dello Iab
Forum: parliamo di Storytelling e Digital PR e della loro crescente popolarità dimostrata anche dal lancio della
piattaforma UpStory proprio durante lo Iab.Per scoprire come si sono evolute le PR in questi anni quindi, vi
proponiamo l'infografica 10 Years of Storytelling, realizzata dall'agenzia di comunicazione statunitense
Carabiner in occasione della celebrazione dei 10 anni di attività dell'azienda.L'infografica ripercorre dal 2004
ad oggi la roadtrip del content marketing in Rete.Un viaggio indietro nel tempo con le milestone rappresentate
negli anni in cui si sono verificati i cambiamenti più significativi: dal trend dei blog, all'introduzione dei social
media fino alla diffusione delle PR online, alla trasformazione del contenuto in conversazioni e all'introduzione
del visual content.Il contenuto oggi è ovunque e come dimostra l'infografica con i suoi dati quello che è
cambiato negli anni non è il messaggio in sé, ma il modo in cui viene veicolato attraverso nuovi strumenti e
tecniche di comunicazione online, cambiando il modo in cui i brand e gli utenti raccontano storie
online.Nell'infografica l'ultima tappa disegnata sulla strada che va verso il futuro è nel 2016: scopriamo allora
cosa ci riserveranno a breve il Content Marketing e le Digital PR.
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Tecnologia
26/11/2014
MyMarketing.Net
Sito Web
IAB Forum 2014: come cambia l'audience online
Nella cornice dello IAB Forum 2014 - ieri e oggi al Mico di Milano - Audiweb ha presentato I dati di scenario
sull'audience online in Italia, analizzando anche i trend degli ultimi anni, con un focus sulle abitudini di
consumo degli utenti online e sul crescente valore dei device mobili. In base ai nuovi dati sulla diffusione
dell'online in Italia, Audiweb Trends, emerge che la diffusione dell'online nel nostro Paese è ormai capillare.
Sono, infatti, 40 milioni gli italiani che possono accedere a internet da qualsiasi luogo e strumento (l'84,4%
degli 11-74 anni), con un trend di crescita del 6,8% negli ultimi due anni. I device mobili, smartphone e tablet
trainano trasversalmente ogni fascia d'età: gli smartphone connessi sono disponibili per il 56% della
popolazione (26,5 milioni, + 69,5% in due anni) e i tablet per il 20% (9,5 milioni+ 310%). IL SORPASSO DEI
MOBILE SURFER Nel 2014 si rileva il primato del mobile nella fruizione quotidiana di internet, un fenomeno
già previsto negli anni scorsi - registrato a partire dall'estensione del sistema di rilevazione Audiweb anche ai
dati mobile - e in controtendenza con il calo dell'audience da PC nel corso del 2013 (- 3,4% nella fruizione
mensile e -7,8 nella fruizione quotidiana)... Leggi l'articolo completo su Advertiser.it!
IAB ITALIA - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Media
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32 articoli
29/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 23
(diffusione:334076, tiratura:405061)
La vera posta è la nuova rete nazionale
Antonella Olivieri
Metroweb è solo un'«esca» alla quale Telecom ha deciso volontariamente di abboccare. Ma la posta in gioco
è molto più ampia e riguarda la costruzione di una rete nazionale di telecomunicazioni in fibra ottica in tempi
molto più rapidi di quanto lo stesso incumbent avesse preventivato: un'esigenza di ammodernamento delle
infrastrutture del Paese che sta diventando sempre più urgente. La Telecom privatizzata, proprietaria della
rete in rame "storica", aveva provato a difendere il valore del suo asset che è la vera garanzia "fisica" del suo
ingente debito. Ma alla lunga la resistenza non paga. Tra 15-20 anni l'incumbent sarebbe fuori mercato se
proponesse solo servizi basati sul rame.
u Continua da pagina 23
Pur con l'evoluzione tecnologica che consente in continuazione di migliorarne le potenzialità, niente in
prospettiva può reggere il confronto con le prestazioni della fibra che saranno necessarie per reggere le
nuove applicazioni, anche quelle richieste dalla telefonia mobile di quinta generazione che si prevede entri in
commercializzazione dal 2020. L'incumbent se ne è fatta una ragione e ha iniziato a muoversi sul terreno di
una trasformazione non più evitabile. Il piano triennale avviato quest'anno prevede di arrivare coprire il 50%
delle linee fisse entro il 2016 con l'FTTC, la fibra fino al "cabinet" che è la formula adottata, nei rispettivi
Paesi, da altri incumbent come Deutsche Telekom e British Telecom. Significa raggiungere con la fibra da qui
a due anni all'incirca la metà dei 150mila cabinet sparsi per il territorio nazionale. A oggi Telecom Italia è
arrivata quasi a 25mila in 101 città, e negli ultimi tempi sta accelerando al ritmo di 1000-1500 cabinet alla
settimana. Ma dal cabinet agli edifici, e poi a proseguire alle abitazioni, c'è ancora il vecchio rame, che può
essere potenziato con la tecnologia Vula che, sulla carta consente velocità di navigazione elevate (100-200
mega), ma nella pratica è soggetta al rischio di congestione: se tutti gli utenti si allacciano simultaneamente la
potenza cala. Poco male, finchè la domanda è scarsa perchè le applicazioni sono limitate, ma si porrà un
problema di anticipata obsolescenza se, come tutto lascia presupporre, le applicazioni che richiedono velocità
elevata e costante arriveranno in tempi più rapidi di quanto era possibile immaginare.
Ora, l'offerta per rilevare il 53,8% di Metroweb che fa capo a F2i è in realtà l'offerta a condividere un progetto
di ulteriore evoluzione della rete con la Cdp, che, tramite il Fondo strategico, ha la restante quota della
società che è il monopolista dell'infrastruttura in fibra a Milano. Telecom, quando Metroweb era stata messa
in vendita e F2i se l'era aggiudicata, si era ritirata a fronte delle elevate valutazioni economiche raggiunte:
450 milioni di enterprise value, pari a 9 volte l'attuale Ebitda della società. Strategicamente la scelta non ha
pagato, perchè l'incumbent nel capoluogo lombardo ha perso la leadership, diventando il secondo operatore
fisso e con un peso non molto differente da quello degli altri suoi concorrenti. Oggi torna alla carica con
un'offerta di cui non si conosce il valore, ma che senz'altro dovrà essere superiore ai 450 milioni riconosciuti
tre anni fa da chi dovrebbe essere indotto a rivendere anzitempo. Alcune stime parlano di 300 milioni per il
53,8% di F2i. Il valore economico è d'affezione, ma per comprendere il perchè di questa mossa si dovrebbe
alzare lo sguardo alla valenza strategica. L'ad di Metroweb, Alberto Trondoli, ha stimato proprio un paio di
giorni fa che per centrare gli ambiziosi obiettivi governativi al 2020 sullo sviluppo della banda ultralarga in
Italia (un'asticella ben più alta di quella posta dall'Agenda digitale Ue) occorreranno 12 miliardi di investimenti.
Investimenti che comunque potranno avere un ritorno economico solo nel medio-lungo periodo e che
abbisognano perciò di un contesto favorevole che li incentivi. Rilevando la quota di maggioranza di
Metroweb, la Telecom privata si ritroverebbe in partnership con la Cdp pubblica, il cui presidente Franco
Bassanini ha sempre sostenuto che occorra accelerare con la fibra to the home (FTTH). Con Metroweb come
veicolo di sviluppo della rete in fibra, gli investimenti sarebbero però condivisi e per Telecom vorrebbe dire,
sostanzialmente, raddoppiare il Capex sulla fibra a 1,2 miliardi l'anno. F2i ha intenzione di chiarire quali sono i
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L'ANALISI
29/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 23
(diffusione:334076, tiratura:405061)
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piani dei potenziali acquirenti prima di decidere cosa fare della sua quota ed è lì che gli impegni
diventerebbero vincolanti. Che la rete in fibra sia un monopolio naturale è un dato di fatto (sarebbe come
pensare di fare due autostrade del Sole), tant'è che Telecom a Milano è cliente di Metroweb e non ha invece
sviluppato un'infrastruttura parallela. Se ne rilevasse la maggioranza, le tariffe di Metroweb che non sono
regolate lo diventerebbero. E il "conflitto d'interesse" intestino con la rete in rame potrebbe essere risolto
d'autorità con l'imposizione dello switch, col passaggio delle utenze dal rame alla fibra, entro un arco
temporale ragionevole.
Se poi i problemi di antitrust dovessero rilevarsi insormontabili (ma sarebbe sostanzialmente la stessa cosa
se subentrasse un altro operatore di tlc), nulla impedisce che Telecom continui ad affittare la rete Metroweb a
Milano e sviluppi il progetto nel resto d'Italia con un altro veicolo, magari ancora con la Cdp. La concorrenza
infrastrutturale resterebbe un'utopia e del resto, come avviene anche altrove, è solo l'incumbent che ha le
competenze, il personale e le disponibilità economiche per promuovere gli investimenti sul suo core business.
Per il Paese si tratta solo di decidere se aspettare i tempi dettati dalle logiche aziendali, oppure se spingere
perchè quel che comunque andrà fatto sia fatto prima.
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30/11/2014
Il Sole 24 Ore - Nova24
Pag. 14
(diffusione:334076, tiratura:405061)
L'azienda si apre al social
Troppe mail e produttività scarsa? L'impresa punta sulla collaborazione interna tra i dipendenti E ora arriva
Facebook
Gianni Rusconi
a Siamo nell'era dei social network, agli albori di quella che viene definita "social organization", e cioè un
nuovo modo di fare impresa in cui tutte le funzioni (dall'R&D al marketing) lavorano collettivamente in una
logica di community, eppure, dentro le aziende, è spesso la "vecchia" intranet la soluzione di collaborazione
più utilizzata, e con essa gli strumenti di calendaring da condividere online. Il tema è aperto. Ci sono grandi
organizzazioni che hanno già capito i vantaggi di impiegare i social media anche al proprio interno (adottando
strategie mirate, modificando processi e integrando nuove competenze) e altre che invece sono ancora in
cerca della soluzione giusta.
Facebook at Work, il sistema cui Mark Zuckerberg starebbe lavorando per andare alla conquista degli uffici a
partire dal 2015, può essere la soluzione? Il fine di questo servizio è in sintesi quello di poter far chattare in
tempo reale colleghi a distanza, mettere in contatto professionisti diversi e favorire la condivisione dei
documenti. Il tutto condito dalla possibilità di tenere separato il proprio profilo personale da quello
professionale. Quello che, per certi versi, fa già LinkedIn per i suoi oltre 330 milioni di utenti.
Mettiamoci poi una funzione di archiviazione cloud, mail e chat (servizi che Google offre da tempo), un
personal information manager e applicazioni di produttività integrate ed ecco, sulla carta, lo strumento
perfetto per entrare, senza limitazioni di sorta, nel mondo del social networking per il business. Ma la nuova
creatura di Zuckerberg può essere considerata una reale alternativa alle piattaforme di social collaboration
per le imprese (un esempio è quello di Microsoft Yammer, integrato nella suite Office) già disponibili sul
mercato?
Il gruppo Atos può essere considerato un testimonial di rilievo in materia perché BlueKiwi, la sua piattaforma
social aziendale, è utilizzata oggi da più di 76mila dipendenti a livello globale per condividere informazioni,
template e documenti, fissare riunioni, gestire conference call allargate (fino a 400 persone
contemporaneamente), chat, post, exit pool e sistemi di training. Uno strumento che, sotto forma di app,
permette a ogni utente di collegarsi al network da smartphone e tablet in ogni momento e da qualsiasi luogo.
Chiamato a commentare l'annuncio di Facebook at Work, il Ceo della filiale italiana di Atos Giuseppe Di
Franco sottolinea una ricamatura dettata proprio dall'esperienza interna di BlueKiwi: «Crediamo che la
rimozione delle email in azienda possa aumentare la produttività fino al 20%, collegando le persone sui
contenuti rilevanti, consentendo loro di accedere più facilmente alle informazioni e riducendo il costo della
gestione dei dati".
Benefici tangibili, dunque, che forse però non bastano a giustificare un investimento in un sistema di social
collaboration. Se però la soluzione, rigorosamente cloud based, è anche (come nel caso di BlueKiwi)
progettata e realizzata sulle effettive esigenze dell'azienda cliente - «Determinati parametri come lo spazio di
archiviazione - spiega Di Franco - sono definiti sulle reali necessità e non stabiliti in base a parametri
standard" - il discorso può cambiare. Il manager di Atos è altresì dell'idea che «il social network in ottica
business è destinato ad avere un notevole sviluppo perché gli strumenti tradizionali a disposizione delle
imprese evidenziano diverse lacune e possono essere ottimizzati ricorrendo a piattaforme di social
collaboration». Da dove cominciare? L'email è una possibilità. «Se ne ricevono troppe - chiosa Di Franco - e
spesso ci sono difficoltà nel condividere allegati pesanti». Chissà se la pensa così anche il Ceo di Facebook.
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Foto: Il nuovo fronte di Zuckerberg. Non c'è ancora nessuna conferma, ma le indiscrezioni indicano che
Facebook starebbe progettando di entrare negli uffici e nel mondo professionale con una nuova piattaforma
separata ad hoc. Che vada oltre Linkedin
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30/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 19
(diffusione:334076, tiratura:405061)
IL PASSO DA COMPIERE
Serve che infrastrutture, piattaforme e software garantiscano sempre
la possibilità di spostare i dati da una nuvola all'altra
Se le sfide dell'Agenda digitale sono numerose, utilizzare come bussola il «benessere» del consumatore
consente di orientare lo sviluppo dell'ecosistema digitale in senso filo-concorrenziale.
È questo il senso della consultazione avviata la scorsa settimana a livello comunitario in tema di standard e
brevetti essenziali.
Tale consultazione si interroga su come favorire lo sviluppo dei mercati dell'innovazione e mantenerli aperti,
su come migliorare le regole e renderle più efficaci, su come contemperare gli interessi di chi contribuisce al
progresso tecnologico con quelli del mercato e della concorrenza.
In questa stessa linea si spiegano le recenti linee guida adottate dalla Commissione europea sulle condizioni
contrattuali e sugli ambiti di standardizzazione che gli operatori di servizi cloud si sono impegnati a rispettare
in Europa.
È noto, infatti, che con il passaggio al cloud, diventa indispensabile non solo collegarsi ad Internet ma anche
disporre di una connessione soddisfacente per raggiungere e utilizzare ogni applicazione, e persino per
accedere ai propri contenuti digitali.
D'altra parte, affinché network, servizi e applicazioni siano effettivamente messi a disposizione del mercato, i
fornitori che operano ai tre diversi livelli della catena - quello del software, delle piattaforme e delle
infrastrutture - devono interagire in via continuativa.
È evidente che per consentire alla nuova architettura di realizzare il bene dei consumatori non è sufficiente
una connessione adeguata.
Occorre piuttosto che la cooperazione tra gli operatori - oltre ad essere costante e reciproca -, sia
funzionalmente orientata e cioè costantemente rivolta a preservare nel tempo la portabilità dei dati per i
consumatori.
In altri termini, è necessario che infrastrutture, piattaforme e software garantiscano sempre ai
consumatori/utenti la possibilità di spostare i dati da una nuvola all'altra, all'occorrenza di cambiare cloud
provider oppure di utilizzare le medesime applicazioni su più cloud, oppure di utilizzare più applicazioni sul
medesimo cloud.
Ora, perché il principio della portabilità si affermi e i consumatori siano effettivamente liberi da vincoli o rischi
di lock-in e cattura, quegli stessi dati devono poter essere letti, ospitati e resi accessibili anche attraverso altri
sistemi: diversi ma interoperabili e compatibili proprio nella prospettiva del consumatore/utente.
In questa specifica ottica, l'interoperabilità tra sistemi e la compatibilità tra servizi contribuiscono al
raggiungimento dell'obiettivo finale: la difesa della portabilità dei dati.
L'interoperabilità, infatti, permettendo, in via orizzontale, il dialogo tra software e, in via verticale, l'accesso
agli stessi da parte degli operatori per realizzare nuove funzionalità, salvaguarda la contendibilità del
mercato.
Così facendo salvaguarda anche la libertà dei consumatori di scegliere gli operatori attraverso cui accedere
ai propri dati e contenuti digitali.
Tuttavia, lo scambio di informazioni tra software non garantisce in sè gli interessi dei consumatori, perchè
l'interoperabilità tecnica non assicura che i servizi offerti siano utilizzabili dal consumatore che abbia deciso di
cambiare fornitore.
Insomma, l'interoperabilità tra software a monte si completa con la compatibilità dei servizi a valle, che a loro
volta vanno perseguite nella prospettiva del benessere dei consumatori.
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Nel digitale il peso del benessere del consumatore
30/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 19
(diffusione:334076, tiratura:405061)
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Se è questo è l'obiettivo finale, per tutelare l'ecosistema digitale va evitato che si creino sistemi isolati, i quali,
non dialogando tra loro, ostacolino o addirittura impediscano la mobilità dei consumatore, costringendoli a
rinunciare a possibili alternative.
Per raggiungere questo fine, si tratta di individuare rapidamente (innanzitutto a livello europeo) un sistema di
regole certe, trasparenti e uniformi che identifichino i termini e i presidi a garanzia della portabilità dei dati in
Internet, entro questi limiti lasciando poi all'autoregolazione e all'autonomia privata la possibilità di esprimere
le proprie potenzialità più virtuose.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Valeria Falce
29/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 33
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Caso Google, ora gli Usa temono l'Europa
Il "Wall Street Journal" dà voce ai timori della Silicon Valley: l'Antitrust Ue vuol colpire le aziende digitali
americane L'offensiva dell'Europarlamento e dell'asse franco-tedesco punta il dito contro l'elusione e le
pratiche monopolistiche Coinvolti anche gli altri tre Padroni della Rete: Amazon, Facebook e Apple. I viaggi
diplomatici di Page a Bruxelles
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE FEDERICO RAMPINI
NEW YORK. Sarà la vecchia Europa a mettere seriamente in difficoltà i Padroni della Rete? Le offensive più
temibili contro i nuovi monopolisti dell'economia digitale arrivano dal Vecchio continente. Anche perché
l'Europa non ha campioni nazionali da difendere in questo settore,e quindi i suoi governi e le sue istituzioni
federali sono più sensibili agli interessi del consumatore. Il Wall Street Journal dà voce alle preoccupazioni
della Silicon Valley, con un titolo in prima pagina: «L'Europa prende di mira le aziende digitali americane».
I terreni di questa offensiva sono molteplici, si va dalle accuse di elusione fiscale alle iniziative per la tutela
della privacy ("diritto all'oblìo") per finire con le procedure antitrust. Su quest'ultimo terreno l'Europa ha dei
precedenti illustri. Fu la Commissione Ue ad assestare un colpo al semi-monopolio di Microsoft quando il
responsabile della concorrenza era Mario Monti. Anche a quell'epoca, gli americani videro in quell'offensiva
una sorta di complotto anti-Usa: sta di fatto che l'Antitrust di Washington era stato fin troppo timido nei
confronti del colosso di Bill Gates. Oggi una procedura analoga dell'Antitrust europea potrebbe colpire il
potere semimonopolistico di Google e forse smantellarlo: se passasse il principio della "neutralità delle
piattaforme", caro soprattutto alla Francia, Google sarebbe costretta a facilitare l'uso di motori di ricerca
diversi dal suo. In generale quello che il Wall Street Journal mette in risalto è una convergenza di iniziative tra
i due maggiori Stati membri dell'Unione, Germania e Francia, insieme con le azioni promosse
dall'Europarlamento: quest'ultimo ha preso in esame una risoluzione che "scioglierebbe" i motori di ricerca
dagli altri servizi offerti dai padroni della Rete (o come vengono chiamatia Parigi "les Gafas", plurale
dell'acronimo che sta per Google Apple Facebook Amazon).
La questione dell'elusione fiscale è emblematica delle differenze tra Usa e Ue. In realtà fu il Congresso di
Washington ad aprire per primo una indagine sul comportamento fiscale di questi colossi. Memorabile fu
l'audizione di Tim Cook, chief executive di Apple, nel corso della quale i parlamentari divulgarono dati
scandalosi: l'azienda fondata da Steve Jobs sfrutta ogni possibile cavillo delle legislazioni fiscali per spostare i
suoi profitti da un paese all'altro. Alla fine la massima parte dei profitti viene fatta "figurare", in modo del tutto
artificioso, a capo delle filiali irlandesi, con fisco più generoso. La pressione fiscale effettiva che Apple subisce
sui propri profitti è dello 0,2% secondo le conclusioni di quell'indagine parlamentare. Le sedute del Congresso
Usa ebbero grande pubblicità e risonanza. Poi però non se ne fece nulla. Perché?I Padroni della Rete qui a
casa loro sono quasi inattaccabili. La destra, che ha la maggioranza al Congresso, è per principio contraria
ad ogni aumento di pressione fiscale sulle imprese. I democratici a loro volta sono i beneficiari delle generose
donazioni elettorali della Silicon Valley, da sempre "liberal" e progressista su temi come l'ambiente e i
matrimoni gay. Ecco perché alla fine è più probabile che la lotta all'elusione fiscale dei monopolisti digitali
faccia qualche passo avanti nella Ue, dove il loro potere di condizionamento è meno forte. Se ne sono resi
conto i vertici di Google: il presidente Eric Schmidt e il chief executive Larry Page di recente hanno
moltiplicato i loro viaggi "diplomatici"a Bruxelles, Berlinoe Parigi, per intensificare un attività di lobbying fin qui
non abbastanza efficace.
PER SAPERNE DI PIÙ www.europarl.it www.google.com
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Lo scontro
29/11/2014
La Repubblica - Torino
Pag. 11
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Torino già nel futuro altrove è l'anno zero così ritardi e password frenano il
web per tutti
In certe zone del Vercellese e di Pinerolese, Astigiano, Alessandrino gli accessi sono "a numero chiuso"
CARLOTTA ROCCI
HA LE potenzialità ma non si applica. Se il Piemonte fosse uno studente e il wi-fi libero una materia di scuola,
sarebbe questo il giudizio che i suoi genitori troverebbero scritto in fondo alla pagella.
La tecnologia c'è, le leggi pure e c'è anche una vasta area coperta dalla banda larga e larghissima. Torino è
il miglior biglietto da visita del Piemonte in fatto di connessioni veloci e libere. Dall'altra parte, però, ci sono
anche zone distribuite a macchia di leopardo che sono rimaste al medioevo digitale. È la condizione dei
Comuni sulle montagne del Vercellese, di alcune aree del Pinerolese, dell'Astigiano e dell'Alessandrino
meridionale.
Soprattutto nelle zone montane e meno raggiungibili l'Adsl, anche quella a pagamento, è arrivata solo per
modo di dire perché gli accessi sono limitati: per accettare un nuovo utente è necessario che uno vecchio
disdica l'abbonamento. In altre aree l'unica connessione possibile è la vecchia "56k". I piccoli comuni soffrono
di più il cosiddetto "digital divide", ma ci sono anche interi quartieri di Vercelli che navigano a velocità da
lumaca. A Torino il progresso non è ancora arrivato in via Stradella e via Valdellatorre, nel quartiere Borgo
Vittoria. «Quando la linea abbandona la fibra e passa ai cavi di rame basta una deficienza strutturale e l'Adsl
non arriva» spiega Daniele Trinchero, professore del Politecnico, il primo ad aver portato la banda larga nel
suo paese, Verrua Savoia, diventando lui stesso gestore di rete. Nessuna delle grandi compagnie telefoniche
era interessata a portare la connessione veloce nel piccolo Comune del Torinese.
L'esperimento ha dimostrato che le tecnologie per rendere il paese digitale al 100 per cento ci sono, ma
anche che la regione procede ancora a due velocità. La parte digitalizzata, però, si connette e funziona, tanto
da piazzare il Piemonte tra le regioni migliori d'Italia e poco sotto gli standard europei. Per completare la rete
e dare attuazione al "piano nazionale banda larga", previsto dal ministero dello Sviluppo economico, la
Regione ha ottenuto nel febbraio 2013 finanziamenti per 45 milioni di euro e altrettanti conta di recuperarne
dai fondi europei.
Il wi-fi libero, quello che garantisce l'accesso a tutti nei luoghi pubblici, in Piemonte è arrivato prima che
altrove.
La Regione, infatti, è stata una delle prime a dotarsi di una legge che nel 2011 garantì almeno 130 hotspot,
punti di accesso in altrettante sedi regionali. Quella legge ha permesso che oggi chi arriva con smartphone o
tablet in piazza Castello possa navigare utilizzando la rete istituzionale piemontese. Anche in questo caso,
però, la fotografia non è omogenea. Gli accessi liberi in tutta la regione, calcolati dalla rete FreePiemonte
Wifi, sono oltre 300 ma solo una piccola parte sono davvero liberi: dai 14 punti wi-fi di TorinoFacile alla rete
wireless dell'Università di Torino, infatti, tutti richiedono una password o almeno una prima registrazione. «Il
wifi davvero libero è quello che si trova in America - dice Trinchero - Al massimo è sponsorizzato, ma non
richiede comunque credenziali di accesso».
Proprio il wi-fi sponsorizzato è il progetto di Avip Italia, una società con sede a Borgaro Torinese che offre
connessione gratuita, senza costi per gli utenti o le amministrazioni. «Il servizio si paga con la pubblicità»
spiega il consigliere del presidente di Avip, Pierre Lasisz. La società ha stipulato un accordo con il Comune di
Torino ed entro il 2015 attiverà in città fino a cento nuovi punti di connessione in corrispondenza di paline dei
bus, musei, parchi, ospedali.
«Sarà una distribuzione capillare su tutta la città. Oggi i punti attivi sono cinque, in futuro pensiamo di poter
installare il wi-fi anche sui bus».
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Il "digital divide" in Piemonte Troppe zone restano ancora fuori dalla rete a banda larga Eppure la regione è
tra le prime in Italia per innovazione Male i piccoli Comuni ma anche quartieri nei capoluoghi
29/11/2014
La Repubblica - Torino
Pag. 11
(diffusione:556325, tiratura:710716)
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I PUNTI 2LA LEGGE Il Piemonte è stato la prima Regione a dotarsi di una legge che nel 2011 garantì almeno
130 "hotspot", punti d'accesso in altrettante sedi 3L'ESPERIENZA A Verrua Savoia, dove i big delle
telecomunicazioni non investivano, è stato un prof del Politecnico a portare la banda larga LO SPONSOR
Avip Italia, azienda di Borgaro, ha siglato un accordo con Torino per 100 hotspot di wi-fi libero che si
pagheranno con la pubblicità
LA BARRIERA
Anche molti servizi free chiedono credenziali a differenza degli Usa PER SAPERNE DI PIÙ
www.freepiemontewifi.it/cp senzafilisenzaconfini.net
Foto: MACCHIA DI LEOPARDO In Piemonte la connessione veloce o superveloce esiste soprattutto nel
capoluogo A sinistra, il montaggio di un'antenna nel progetto "popolare" a Verrua Savoia
29/11/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 19
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Ue spaccata sullo spezzatino Google
Italia e Regno Unito non sono favorevoli allo smembramento PARIGI E BERLINO VORREBBERO INVECE
UNA LEGGE AD HOC CONTRO IL COLOSSO E PER REGOLARE TUTTO IL SETTORE
David Carretta
BRUXELLES Il voto era simbolico e non aveva valore vincolante, ma l'Unione europea è sempre più divisa
dopo che l'Europarlamento giovedì ha chiesto alla Commissione di accelerare l'inchiesta sul gigante del web
Google, ipotizzando uno smembramento per mettere fine alla sua posizione dominante come motore di
ricerca. Dentro l'esecutivo presieduto da Jean-Claude Juncker, alcuni commissari si stanno però attivando
per bloccare le pressioni politiche che vengono non solo dall'Aula di Strasburgo, ma anche da diverse
capitali. Francia e Germania hanno scritto alla Commissione per chiedere «un quadro regolamentare
appropriato a livello europeo» per quelle che vengono definite le «piattaforme indispensabili» di Internet.
Insomma, una legge ad hoc anti-Google, che limiterebbe i margini di manovra di altri colossi come Facebook,
Microsoft e Apple. Parigi e Berlino vogliono un «trattamento trasparente e non discriminatorio» per le ricerche
e più controlli sui dati personali degli utenti. «Questo quadro - recita la lettera svelata dal quotidiano francese
Les Echos - dovrebbe applicarsi a tutte le imprese che offrono beni e servizi ai cittadini dell'UE, che abbiano
sede in un paese europeo o altrove». La posta in gioco è enorme dal punto di vista economico ed ha
implicazione anche nelle trattative in corso tra UE e Stati Uniti sull'accordo di libero scambio transatlantico.
Non è un caso se, sollecitati dalla Commissione, altri governi si stiano mobilitando discretamente a favore di
Google. Non solo l'Irlanda, dove il gigante di Mountain View ha il suo quartier generale europeo: anche Italia
e Regno Unito sembrano pronti a difendere Google. Le ragioni politiche sono state spiegate dall' Economist:
«le mosse europee contro Google sono destinate a proteggere le imprese, non i consumatori». Dentro la
Commissione il fronte pro-Google è maggioritario ed è guidato dal vicepresidente responsabile per il Mercato
Unico Digitale, Andrus Ansip, che ha spiegato di «non essere pronto a dire che Google deve essere
smembrato». La responsabile della Concorrenza, Margrethe Vestager, che conduce l'indagine sul rischio di
abuso posizione dominante, sembra favorevole a una soluzione negoziata, come il suo predecessore
Joaquin Almunia. Il voto dell'Europarlamento, che ha chiesto di scindere il motore di ricerca dalle altre attività,
rafforza il fronte dei commissari anti-Google, capitanato dal tedesco Guenther Oettinger, che in passato si è
vantato di essere riuscito a bloccare il compromesso tra Almunia e Google. Diventato responsabile dell'
Economia Digitale, Oettinger ha auspicato lo smembramento del colosso e ora guarda con favore all'iniziativa
franco-tedesca contro i giganti di internet. «Non lavoriamo contro gli Stati membri. Le attese di questi due
paesi sono legittime», ha detto Oettinger. Dietro di lui si muovono grandi gruppi mediatici tedeschi del calibro
di Axel Springer e Hubert Burda Media. Gli stessi, che secondo la stampa in Germania, avrebbero convinto
Angela Merkel a sostenere la nomina di Juncker, in cambio della garanzia che su Google la Commissione
adotterà la linea dura.
Foto: La sede di Google
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LO SCONTRO
01/12/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Semplificare per spingere avanti il Paese
Francesco Grillo
È la quotidianità a raccontare - meglio di qualsiasi analisi quantitativa o confronto internazionale - quanto
questo Paese abbia un disperato bisogno di semplificarsi. Basta perdere un portafoglio per capire quanto sia
ancora grande la distanza tra le aspettative della Società dell'informazione e la vita reale, i cui tempi sono
spesso dettati da uno Stato che fatica a trovare un'identità diversa da quella che gli diede nel diciottesimo
secolo Napoleone Bonaparte. Forse, l'agenda digitale che il governo sta per presentare può rappresentare un
punto di svolta in una battaglia che tanti illustri professori-ministri hanno perso. Perdere una patente significa
fare una denuncia al più vicino commissariato di polizia, operazione che nel 2014 dovrebbe essere possibile
(almeno per eventi di gravità minore) in via telematica: ciò consentirebbe non solo di risparmiare tempo, ma
di alimentare direttamente con un maggior numero di informazioni un database centrale che moltiplicherebbe
la capacità investigativa delle forze dell'ordine. La patente nuova dovrebbe essere, poi, immediatamente
inviata a casa dopo un controllo in tempo reale. Continua a pag. 22 segue dalla prima pagina Invece, se per
qualche oscuro motivo essa non è "duplicabile", bisogna rifare foto e documenti e fare un'altra coda al più
vicino ufficio della motorizzazione civile o dell'Aci e il pagamento va effettuato attraverso un modulo che si
trova solo presso gli uffici postali. Ma ancora più a monte ciò che non si capisce è a cosa serve la patente in
quanto tale: visto che, quando i vigili fermano un automobilista, devono accedere ad una banca dati (che
evidentemente esiste) per controllare le informazioni aggiornate che non possono essere su un inerte
tesserino plastificato. L'episodio banale della patente, moltiplicato virtualmente all'infinito per tutti i certificati,
costa, secondo calcoli di qualche anno fa della Commissione Europea, circa 70 miliardi di euro all'anno: una
cifra sufficiente per scongelare un'economia che si avvia al quattordicesimo trimestre senza crescita.
Soprattutto, è un caso che può far ripensare - più di tanti libri - alla storia paradossale dell'amministrazione
pubblica italiana negli ultimi venti anni. Com'è possibile che il Paese che ha fatto, secondo l'Oecd, il maggior
numero di riforme dell'amministrazione pubblica, è il Paese dove meno è cambiato negli ultimi decenni?
Come è possibile che dopo aver sancito con la legge l'introduzione del domicilio elettronico e aver speso
centinaia di milioni di euro per dotare le imprese di una posta certificata (che in altri Paesi non c'è), non è
ancora previsto che un cittadino o un'azienda possa chiedere che tutte le comunicazioni che lo riguardano
arrivino sulla sua casella elettronica? Una norma di questo genere avrebbe l'effetto immediato di tagliare,
secondo alcuni magistrati, un terzo del tempo consumato da processi la cui lentezza è uno dei fattori che
maggiormente scoraggia chi voglia investire in Italia? Come si spiega che gli indicatori dell'agenda digitale
europea dicono che l'Italia è - pochi lo sanno al secondo posto per offerta di servizi digitali da parte delle
amministrazioni (dopo la Svezia), ma al ventiquattresimo per utilizzazione di tali servizi da parte dei cittadini?
Come è possibile che si comincia sempre dall'alto e che le montagne dalle nostre parti partoriscono così
spesso ridicoli topolini? Il ministro Madia sembra, in effetti, avere la consapevolezza delle persone normali
alle quali capita di smarrire i documenti, di sentire il fastidio di tanto rumore per nulla e l'urgenza assoluta di
provare un approccio diverso. L'accordo tra Governo, Regioni e Comuni che è il preludio dell'Agenda per la
Semplificazione, sembra preventivamente assicurare un accordo di tutti gli enti interessati, per aggredire un
problema nella parte più debole: quella dell'implementazione di norme che già ci sono. In materia fiscale,
edilizia, welfare e salute, imprese. Attorno ad un concetto che adesso va riempito di contenuti: quello della
cittadinanza digitale. Cominciando da chi è pronto per il salto (i più giovani), ma con l'obiettivo - attraverso un
investimento in competenze e logistica mobile - di raggiungere tutti gli altri (persone anziane, quelli che
abitano in località remote). Inoltre, è interessante l'idea di impegnarsi - collettivamente su un
cronoprogramma con tempi e responsabilità precise. Il metodo che il governo propone è interessante, ma ne
vanno consolidate cinque caratteristiche. In primo luogo, va abbandonata l'idea della riforma palingenetica e
va sostituita con un processo di cambiamento continuo, fatto di miglioramenti anche piccoli suggeriti dagli
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Pa e tempi lunghi
01/12/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:210842, tiratura:295190)
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stessi cittadini. Cittadini che devono superare la fase della lamentela senza sbocchi e diventare parte attiva
della trasformazione. Il coinvolgimento delle persone (che vale più del loro voto) è vitale per superare la
resistenza di chi vive di certe inefficienze e per incentivare enti come le Camere di Commercio, ad esempio, a
dare valore ai servizi che vorranno proporre a contribuenti finalmente liberi. Va bene il processo di
consultazione dei cittadini attraverso il sito della funzione pubblica: esso va però orientato alla proposta
puntuale, attraverso format di discussione sperimentati in altri Paesi. In secondo luogo, è indispensabile
accettare che cambiare significa gestire l'incertezza: la strategia per la crescita dei servizi digitali deve
diventare un quadro di riferimento vivo. Un insieme di sperimentazioni che si propongono di risolvere specifici
problemi, accettando il fallimento come parte di un processo di apprendimento, valutando i risultati, in
maniera che essi siano - davvero - riutilizzati. Fa inoltre bene il governo a usare gli strumenti più rapidi
possibili per cambiare - atti amministrativi, decreti legge di semplificazione ogni sei mesi. La legge la dovremo
usare, ma solo per ridurre drasticamente le leggi. Paradossalmente il bicameralismo perfetto non ha impedito
che il nostro parlamento ne continui a produrre - secondo i dati della Camera dei deputati - tre volte di più
degli inglesi. Così oggi esse sono talmente tante da creare l'incertezza, quello spazio che viene occupato dai
burocrati, dagli avvocati e dalle agenzie delle entrate che nessuno ha mai eletto. Spesso sarà molto più utile
saltare avanti agli altri, abrogare, ad esempio, gli adempimenti inutili - come la patente - piuttosto che perdere
tempo a informatizzare ciò che non ha più senso (anche perché ciò ne renderà poi più difficile l'eliminazione).
Utile, infine, è cominciare a pensare di usare come leva la competizione tra Enti e non solo la cooperazione
aspettando che facciano "sistema" (mai parola fu così abusata dal diventare incomprensibile). Uno degli
errori capitali è stato aspettare di essere tutti d'accordo per andare avanti. La novità sarebbe sostituire la
pretesa di grandi integrazioni di interessi, con l'adesione volontaria a applicazioni nuove (come il login
proposto dalla strategia digitale) lasciando agli elettori il compito di premiare chi ha innovato e non chi,
invece, per mancanza di coraggio o perché non ha utilizzato bene le proprie risorse, è rimasto indietro.
Semplificare significa, per definizione, farlo con un metodo flessibile. L'errore di certi professori è stato
pensare di poterlo fare come se questa potesse essere l'ultima battaglia di Napoleone. Invece, è una guerra
che dovrà sfruttare l'informazione che la tecnologia ha diffuso ovunque. Una questione molto più politica,
molto meno tecnica di quanto abbiamo ritenuto per venti lunghissimi anni di stagnazione e convegni paludati.
29/11/2014
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 2
(diffusione:192677, tiratura:292798)
Un giro d'affari da centinaia di migliaia di euro ogni anno
Di fronte alle proteste dei militanti fa spallucce: l'importante è la salute del blog. E del suo portafoglio
Clarissa Gigante
Quanto vale un partito? Vale i voti che riesce a prendere alle urne. Ma anche il numero delle tessere dà
un'idea della base. Nell'era della digitalizzazione però qualcosa è cambiato: contano anche gli iscritti alla
pagina Facebook , quanti « likano », commentano o condividono un post, il numero dei « retweet ». Contano i
clic. Lo sanno bene le concessionarie di pubblicità. Lo sanno bene i blog e i siti web che ospitano tra le
proprie pagine banner e inserzioni. Lo sa bene anche la Casaleggio Associati srl, che gestisce uno dei portali
più visitati in Italia, quello di Beppe Grillo. Un tema, quello dell'importanza dei clic, tornato alla ribalta con
l'ennesima crisi interna al Movimento 5 Stelle. «Beppe Grillo ci ha detto che il Movimento va bene così,
portando come prova i contatti avuti sul sito», rivela oggi il deputato grillino Samuele Segoni, aggiungendo
che secondo il suo leader «è un modo per contare quanto seguito abbiamo, perché giornali e tv sono morti».
Insomma, Grillo fa un passo indietro, ma il blog non si tocca. Del resto è la sua fonte principale di guadagni.
Ogni giorno dal sito passano infatti almeno 500mila persone (parola dello stesso Grillo tempo fa). Stando a
un test effettuato qualche mese fa da Repubblica , in poche ore uno spot sul portale ha raccolto oltre 125mila
clic. Fare i conti è facile: quell'annuncio è stato pagato da Google circa 64 cent ogni mille clic. La società di
Mountain View sostiene poi di piazzare tra i 50 e i 100 milioni di inserzioni al mese sul blog di Grillo. Questo
significa che ogni anno il portale frutta almeno 384mila euro (ma probabilmente molto di più), anche se sia il
comico genovese che Gianroberto Casaleggio hanno sempre smentito qualsiasi cifra ipotizzata in questi anni.
Quel che è certo è che tra l'altro nemmeno la Casaleggio Associati rinuncia ai «trucchetti» (perfettamente
legali) per far sì che arrivino sui propri siti - che, ricordiamo, sono anche una serie di portali satellite, come
Tzetze.it e Lafucina.it - il maggior numero di persone. Va da sé, infatti, che aumentando le visite si alzino
anche le probabilità che qualcuno clicchi i banner presenti. Uno dei più famosi è il cosiddetto « clic baiting »:
sui social e nei rimandi sugli altri siti della «galassia» gestita da Casaleggio vengono spesso pubblicate le
notizie con frasi che dicono tutto e nulla, ambigue o volutamente criptiche per stimolare la curiosità di chi le
legge e invogliarlo così a cliccare sul link . Un altro metodo, di cui avevamo parlato qualche anno fa sul sito
de ilGiornale.it , è quello di tirare il lettore dentro un dedalo di link : si parte ad esempio da un tweet in cui si
annuncia una notizia clamorosa, cliccando si finisce su una pagina (ovviamente piena di banner ) in cui c'è
solo una foto, un breve sommario e un altro link che rimanda ad un altro sito (con altre inserzioni
pubblicitarie) dove finalmente si trova la notizia clamorosa (che spesso così clamorosa non è). Lo ripetiamo:
nulla di illegale o di originale. Ma che sicuramente lascia qualche dubbio sulla reale importanza per Grillo dei
clic. Altro che sapere cosa vuole la base o quanto seguito abbia il movimento: in ballo ci sono migliaia di euro
all'anno che finiscono nelle tasche degli ideologi pentastellati.
Foto: BEPPE GUMP L'immagine postata da Beppe Grillo sul suo blog che lo ritrae come Forrest Gump dopo
mesi di corsa nel celebre film interpretato da Tom Hanks A un certo punto si ferma e dice: «Sono un po'
stanchino»
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l'analisi/ 13 Un giro d'affari da centinaia di migliaia di euro ogni anno
29/11/2014
Il Fatto Quotidiano
Pag. 4
(tiratura:100000)
LA CORTE DEI CONTI PER LA PRIMA VOLTA CONTRO LE DONAZIONI DALLE DICHIARAZIONI DEI
REDDITI IL DOCUMENTO " Lo Stato mostra disinteresse per la quota di propria competenza, cosa che ha
determinato la drastica riduzione dei contribuenti a suo favore "
Marco Lillo
La Corte dei conti per la prima volta mette in stato di accusa il sistema dell ' 8 per mille. Le 109 pagine della
relazione depositata il 19 novembre dovrebbero essere pubblicate sul sito del governo e diffuse in tv quando
si fa la dichiarazione dei redditi. Probabilmente se fossero conosciute, cambierebbero le scelte di molti
italiani. La delibera è scritta da Antonio Mezzera, un magistrato che già nel 2009 si era segnalato per una
relazione coraggiosa, non a caso bloccata per mesi dai suoi capi, sul Mose di Venezia, ed è firmata dal
dirigente del settore, Luciana Troccoli, e dal presidente aggiunto Giorgio Clemente. Cosa scrivono i giudici
contabili I soldi concessi, mediante il meccanismo dell ' 8 per mille alla Chiesa cattolica e alle altre religioni
sono troppi. " L ' onere finanziario " , spara in apertura la Corte, " si comprende dalla comparazione con
quanto assegnato al ministero dei Beni culturali e del Turismo, che, per il 2013 non ha raggiunto il miliardo e
700 milioni. Ciò significa che, negli ultimi anni la contribuzione alle confessioni religiose ha superato i due
terzi delle risorse destinate per la conservazione del patrimonio artistico del Paese " . La Corte mette sul
banco degli imputati il sistema perché avvantaggia le confessioni religiose attribuendo loro anche la
percentuale di gettito di chi non opta per nessuno (né Stato, né Chiesa né altre confessioni) in dichiarazione.
" Grazie al meccanismo di attribuzione (previsto da una legge del 1985, ai tempi di Bettino Craxi, ndr ) delle
risorse dell ' 8 per mille " scrive la Corte, " i beneficiari ricevono più dalla quota non espressa che da quella
optata godendo di un notevole fattore moltiplicativo " . Per esempio, nel 2011 la Chiesa cattolica ha
beneficiato dell ' 82,28 per cento nonostante solo il 37,93 dei contribuenti abbiano optato in suo favore. La
somma totale a disposizione per il 2014 è davvero impressionante: un miliardo 278 milioni dei quali l ' 82,45
per cento va alla Chiesa cattolica: un miliardo e 54 milioni. Solo 170 milioni allo Stato, per le finalità speciali
previste ma in gran parte disattese e le altre confessioni si devono accontentare (si fa per dire) di poco più di
52 milioni dei quali la fetta più grande (40,8 milioni) va alla Chiesa evangelica valdese. L ' impegno dello
Stato a ridurre le erogazioni Lo Stato si era impegnato a ridurre questo enorme fiume di denaro 18 anni fa. "
Già nel 1996, la Parte governativa della Commissione paritetica Italia-Conferenza Episcopale Italiana
incaricata delle verifiche triennali dichiarava che (...) ' la quota dell ' 8 per mille si sta avvicinando a valori,
superati i quali, potrebbe rendersi opportuna una proposta di revisione (...) dell ' aliquota " . Nel 1996 la
Chiesa percepiva ' solo ' 491 milioni di euro. Meno della metà di oggi. " Tuttavia - scrive la Corte dei conti negli anni seguenti, il tema non è stato più riproposto dalla parte governativa " . L ' Italia ha semplicemente
rinunciato. Non a caso, nota la Corte dei conti, tutto viene fatto in gran segreto: " Manca trasparenza sulle
erogazioni: sul sito web della Presidenza del Consiglio dei ministri, infatti, nella sezione dedicata, non
vengono riportate le attribuzioni annuali alle confessioni, né la destinazione (...) Al contrario, la rilevanza degli
importi e il diretto coinvolgimento dei cittadini imporrebbero un ' ampia pubblicità e la messa a disposizione
dell'archivio completo " . Renzi è avvertito: oggi stesso dovrebbe pubblicare il link al documento pdf (come
faremo su i l fa t to q u o t i d i a n o. i t ) sulla home page del sito di Palazzo Chigi. Soprattutto visto il
momento di crisi: " In un contesto di generalizzata riduzione delle spese sociali a causa della congiuntura
economica - scrivono i giudici - le contribuzioni a favore delle confessioni continuano, in controtendenza, a
incrementarsi avendo, da tempo, ampiamente superato il miliardo di euro " . Il modello spagnolo spiegato dai
magistrati La Corte spiega cosa accadrebbe se fosse eliminato il meccanismo della suddivisione della parte
non optata dell ' 8 per mille, come in Spagna: " L ' applicazione della normativa spagnola all ' Italia
comporterebbe per la fiscalità generale un risparmio annuo di 600 milioni di euro " . Ovviamente non bisogna
dimenticare il ruolo sociale svolto nei fatti - anche grazie ai soldi dell ' 8 per mille - dalla Chiesa cattolica e
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SOLDI ALLA CHIESA SOTTO ACCUSA
29/11/2014
Il Fatto Quotidiano
Pag. 4
(tiratura:100000)
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dalle altre confessioni. Per esempio le Assemblee di Dio dichiarano di destinare più del 99 per cento a
interventi caritativi. La Corte ricorda che solo il 23,22 per cento dei fondi dell ' otto per mille della Chiesa
cattolica sono andati nel 2012 verso interventi caritativi; il 33,15 per cento al sostentamento dei ministri del
culto, scopo iniziale della legge, mentre il 43,62 per cento delle somme sono destinate alle misteriose '
esigenze di culto e pastorale ' . La Corte riporta un passo della relazione del 2005 della Commissione
paritetica Cei-Italia che, da parte italiana, ribadisce che la crescita della quota degli interventi caritativi " non
appare ancora proporzionata all ' aumento del flusso finanziario " . Poi la Corte bacchetta lo Stato Le somme
attribuite dai contribuenti che decidono di devolvere all ' Italia la loro quota di 8 per mille dovrebbero essere
destinate a finalità come la lotta alla fame nel mondo, l ' assistenza ai rifugiati, le calamità naturali e la
conservazione dei beni culturali. Per la Corte però: " la quota destinata allo Stato è stata drasticamente ridotta
e dirottata su finalità antitetiche rispetto alla volontà dei contribuenti, violando l ' affidamento derivante dalla
sottoscrizione sull ' utilizzo della stessa " . Secondo la Corte " le distrazioni rappresentano oltre i due terzi
delle somme assegnate " , In pratica lo Stato ha dirottato finora 1,8 miliardi in 24 anni. Nel 2011 e nel 2012 la
quota di intervento dello Stato è stata addirittura azzerata e nel 2013 portata alla ridicola somma di 404 mila
euro destinati a 4 progetti per la lotta alla fame in Africa che non si sa se facciano più sorridere o piangere. I
contribuenti che optano per lo Stato (invece che per la Chiesa) non sanno che spesso i loro soldi sono usati
per risanare le chiese. " Non appare coerente con la ratio dell ' istituto - scrive la Corte dei conti - l '
accentuata propensione al finanziamento di opere di restauro di edifici di culto o di proprietà di confessioni " .
Nel 2010, per esempio, il 48,8 per cento dei fondi dello Stato paria a ben 53 milioni sono andati al
risanamento di beni culturali della Chiesa cattolica. Gli edifici dello Stato invece hanno attinto a questo
capitolo di spesa solo per 51,8 milioni. La Corte dei conti denuncia poi, anche per la parte dello Stato, " la
ancora non soddisfacente quantità di risorse destinate agli interventi caritativi " . Più in generale " lo Stato secondo la Corte dei conti - mostra disinteresse per la quota di propria competenza, cosa che ha
determinato, nel corso del tempo, la drastica riduzione dei contribuenti a suo favore " . Come correggere il
sistema Secondo i giudici " a ciò ha contribuito la totale assenza (negli oltre 20 anni di vigenza dell ' istituto) di
promozione delle iniziative, risultando lo Stato l ' unico competitore che non sensibilizza l ' opinione pubblica
sulle proprie attività con campagne pubblicitarie " . Alla fine la Corte dei conti non si limita a presentare l '
elenco delle doglianze ma propone anzi dispone i correttivi: " al fine di garantire la piena esecuzione della
volontà di tutti, la decurtazione della quota dell ' 8 per mille di competenza statale va eliminata: è, infatti,
contrario ai principi di lealtà e di buona fede che il patto con i contribuenti venga violato. Peraltro, sono
penalizzati solo coloro che scelgono lo Stato e non gli optanti per le confessioni, le cui determinazioni, al
contrario, non sono toccate, cosa incompatibile con il principio di uguaglianza " .
Foto: DA30ANNI
Foto: L ' 8xMille è una quota d ' imposta ricavata dall'Irpef, introdotta per legge nel 1985, in attuazione del
Concordato del 1984
30/11/2014
Il Fatto Quotidiano
Pag. 19
(tiratura:100000)
SKY ATLANTIC, CHE TRASMETTE LE SERIE DI CUI TUTTI PARLANO HA UNO SHARE MEDIO DELLO
0,03%, DATO IRREALE IL PANIERE Se considerassimo il " my time " (pc, tablet, smartphone) invece del "
prime time " , i più visti sarebbero " X Factor " e " Masterchef Italia "
Loris Mazzetti
Il genere tv di cui tutti parlano è la serie. Frank Underwood, il politico americano disonesto e senza scrupoli,
protagonista di House of Cards , gli intrighi del potere, è diventato un simbolo della mala politica. I paragoni
con quello che è accaduto in Italia nell ' ultimo ventennio si sprecano, i riferimenti non sono solo a Berlusconi,
ma anche a Renzi con la sua insensibilità nei confronti dei lavoratori e degli alluvionati o con il cinico " due a
zero " , dopo le regionali, con cui ha liquidato l ' astensione dal voto. Il successo tra il pubblico e i media delle
serie in onda sulla tv di Murdoch è talmente forte che le generaliste fanno a gara per comprare i diritti in
chiaro, cominciando da Gom o r ra (venduta in cinquanta paesi), per arrivare alle produzioni americane come
True detective , Breaking bad , Homeland , oltre al citato House of C a rd s , nonostante non vi sia
corrispondenza nel dato d ' ascolto. Illustri massmediologi liquidano l ' attenzione mediatica frutto di
gigantesche operazioni di marketing per lanciare il marchio on line Netflix (50 milioni di abbonati, leader in
Francia, Germania e Gran Bretagna) che sbarcherà in Italia nel 2015. Sky Atlantic, il canale che trasmette le
serie dal mezzogiorno alle tre di notte, ha un dato Auditel irrilevante: lo share medio è di 0,03 con tremila
spettatori, in prima serata gli affezionati arrivano a novemila. È legittimo mettere in dubbio l ' attendibilità dell '
Auditel, il totem inviolabile divenuto simbolo dell ' equilibrio tra Rai, Mediaset e pubblicitari. Il primo ad
attentare all ' Auditel è il governo Renzi con la proposta (per combattere l ' evasione di circa 600 milioni di
euro), di unire alla bolletta dell ' energia elettrica l ' imposta sul possesso della tv. Il giorno stesso che il
sottosegretario Gacomelli l ' ha data per certa l ' esecutivo ha scoperto che probabilmente non ci sono i tempi
tecnici per applicarla da primo gennaio 2015, potrebbe slittare al 2016. Cambiano i tempi ma non le novità:
chi non vorrà pagare l ' imposta dovrà dimostrare di non possedere un televisore e, udite udite, un computer,
un tablet o uno smartphone. Con l ' avvento del digitale la tecnologia ha rivoluzionato, non soltanto i sistemi di
comunicazione, ma la fruizione della programmazione tv. Il palinsesto è superato dall ' agenda personalizzata
in cui non solo vengono decisi i contenuti ma come e quando vederli. Ha scritto il massmediologo Francesco
Siliato: " Il prime time è stato sostituito dal my time , coinvolgendo un italiano su tre " . L ' Auditel non tiene
conto del così detto " spettatore evoluto " e il panel di 5.600 famiglie non è più ritenuto sufficiente neanche
dalle Autorità garanti che lo accusano di " lentezza nel recepire i fenomeni che avvengono nei mercati tv " .
Con il my time i programmi più seguiti risulterebbero X Factor e Master Chef Italia . Auditel sta correndo al
riparo allargando il panel a 15.600 famiglie, ma non lo fa perché stimolato dalla crisi del sistema, ma perché
Sky (4.750.000 abbonamenti, la prima tv in Italia per ricavi: nel 2013 ha portato in cassa 2,6 miliardi di euro,
seconda la Rai, terza Mediaset), ha perfezionato, a sua volta, un metodo di rilevamento dell ' ascolto sui
propri abbonati, analizzando i loro comportamenti, tenendo conto che la programmazione tv è fruita anche
attraverso: Sky Go (usato regolarmente da 2.000.000 di abbonati), Sky Online, On Demand (nei primi 10
mesi di vita i download sono stati 25.000.000) e la multivisione. Durante il fine settimana vi sono circa
600.000 persone che seguono sui tablet la Formula Uno e il Calcio; l ' ultimo tipo di decoder: il My Sky che
consente la registrazione programmata e la visione integrale di un programma anche dopo l ' inizio, è
posseduto da 2.500.000 di abbonati, oltre il 50%. LO SMART PANEL, che valuta un campione di 10.000
famiglie, non vuole essere alternativo all ' Auditel ma integrativo. A proposito di House of Cards , il dato
Auditel mostra un calo di ascolto tra la prima e la seconda puntata e il crollo nella terza, con lo Smart Panel,
invece, l ' ascolto è nettamente superiore ma soprattutto non vi è dispersione di pubblico tra la prima e la
terza puntata. Lo Smart Panel viene liquidato da Auditel come " un legittimo strumento di indagine interna " .
Mettere in discussione l ' Auditel significa inevitabilmente intervenire sul mercato della pubblicità. In uno degli
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La tv è cambiata, l'Auditel no
30/11/2014
Il Fatto Quotidiano
Pag. 19
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ultimi contratti di servizio, stipulato dallo Stato con la Rai, vi era l ' obbligo di realizzare il Qualitel: sistema di
rilevamento della qualità dei programmi. I dati avrebbero dimostrato che la qualità di un programma non è
direttamente proporzionale al numero di telespettatori, siccome il Qualitel avrebbe potuto condizionare i flussi
pubblicitari non è mai stato reso pubblico. La legge (249/1997) affida all ' Agcom, nel momento in cui il
sistema (Auditel) non risponda più " a criteri universalistici del campionamento rispetto alla popolazione o ai
mezzi interessati " , la funzione di curare " la rilevazione degli indici di ascolto e di diffusione dei diversi mezzi
di comunicazione " . La legge precisa che sulla rilevazione " obbligatoriamente va previsto il coinvolgimento e
una rappresentanza di tutti gli editori del mercato " . Il rischio dell ' operazione è dato dalle inevitabili ricadute
sul fronte pubblicitario, un settore la cui torta in questi anni si è sempre più rimpicciolita (per la Rai dal 2007
quasi dimezzata, oggi di poco superiore ai 600.000.000 di euro con un trend nell ' ultimi mesi in leggero
aumento, per Mediaset meno 30%) potrebbe ulteriormente ridursi a favore della tv via satellite. A prescindere
dal cambiamento o meno dell ' Auditel lo Smart Panel porterà sicuramente la tv di Murdoch (il cui pubblico è
formato prevalentemente dalle categorie che determinano gli acquisti) a offrire agli inserzionisti dati sempre
più precisi per decidere su quale tv e canale pubblicizzare il prodotto.
Foto: House of Cards, Gomorra e, in basso, X Factor La Pre ss e
29/11/2014
ItaliaOggi
Pag. 2
(diffusione:88538, tiratura:156000)
L'azienda corre online coi video
Spingono le vendite e stimolano la lealtà verso i marchi
DI FRANCESCA SOTTILARO
La sfida delle aziende che vogliono crescere online corre sui video, il mezzo che più di ogni altro secondo
Brightcove, colosso americano di servizi cloud per video, è responsabile di aumentare una risposta dell'utente
sui siti, stimolare la lealtà verso un marchio e la condivisione dei contenuti. L'azienda di Boston quotata al
Nasdaq (31,5 milioni di dollari i ricavi del terzo trimestre), sta svolgendo un roadshow in Italia tra le realtà di
piccole e grandi dimensioni e ha presentato l'altroieri a Milano il Video Marketing Suite firmato Brightcove per
aumentare online la visibilità di un marchio. Un mezzo servito a tanti marchi big, da Puma a Toyota, Macy's,
Johnson& Johnson, Samsung, Oracle e Intel fra gli altri, per veicolare contenuti al di là del solito YouTube. E
che potrebbe essere utile soprattutto alle pmi per mostrare all'estero il made in Italy. «L'Italia è al terzo posto,
dopo Corea del Sud e Spagna, fra i paesi che preferiscono e seguono contenuti video online su qualsiasi
dispositivo», spiega Tracy Hutchinson, senior director Emea e Latam di Brightcove, «ma le aziende non sono
state altrettanto veloci a raccogliere la sfi da benché ora siano pronte a investire. Il mercato potenziale è
immenso se si considera poi che i video compaiono 53 volte in più nei risultati di ricerca rispetto alle pagine di
testo e la possib i l i t à d i tramutare la visita di un sito in acquisto è del 4,8% in presenza di video contro il
2,9% per chi non usa questo tipo di contenuti». Per le marche che investono nei video i clienti intervistati si
sono dimostrati (al 39%) più disponibili a sondare il marchio, più interessati a parlarne con gli amici (36%) e
più disponibili a essere fidelizzati (30%). Altro plus, la forza del brand made in Italy, «stimato secondo un
rapporto Kpmg come terzo al mondo per notorietà dopo Coca Cola e Visa », aggiunge Hutchinson. La
piattaforma consente attraverso parametri analitici di massimizzare il numero di potenziali clienti raggiunti e il
ritorno sugli investimenti (Roi) delle loro campagne video in un'unica soluzione. In pratica i clienti vengono
accompagnati nel processo di pubblicazione dei video «in un circuito di comunicazione tridimensionale»,
sottolinea la manager. Usando l'esempio per un cliente come Hugo Boss, Brightcove ha seguito la messa in
rete del video live della sfi lata del marchio svoltasi in Cina considerando il video al centro di una campagna
marketing veicolata anche su stampa, social e nelle vetrine dei negozi. Risultato? «73 mila visitatori sul sito il
giorno dell'evento e +320% di traffi co». Tra i tanti consigli per chi fa video: «Non buttare nella rete qualcosa
senza avere una mossa numero due in mente», dice Hutchinson, «perché il video, sia che serva per un uso
interno all'azienda, per fare comunicazione, sia che faccia parte di un piano marketing, diventa contenuto
editoriale a tutti gli effetti e come tale necessita di una strategia continuativa». Altro aspetto è la qualità. «I
video devono coinvolgere, considerato anche che la soglia di attenzione del cliente in rete che nel 2002 era di
12 secondi è scesa oggi a 7 secondi, inferiore addirittura a quella di un pesce rosso che è di 9 secondi».
Dettaglio non da poco i costi. «I video sono a carico del cliente ma si possono fare anche con un iPhone,
mentre il servizio può variare dai 499 dollari al mese alle migliaia di dollari, ma dipende dal portafoglio del
cliente», conclude il senior director Emea e Latam di Brightcove. © Riproduzione riservata
Foto: Tracy Hutchinson
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 01/12/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Arriva in Italia la piattaforma di Brightcove per catturare l'attenzione del cliente
29/11/2014
ItaliaOggi
Pag. 5
(diffusione:88538, tiratura:156000)
Il Mail Online, sito dell'inglese Daily Mail (e del Mail on Sunday, il domenicale), ha visto crescere i suoi ricavi
nel 2014 del 41% a 62 milioni di sterline, circa 78 milioni di euro. Un risultato che ha permesso al gruppo di
contrastare il calo nei ricavi delle relative testate cartacee, un andamento favorevole che dovrebbe continuare
anche prossimamente. I ricavi da inserzioni e diffusioni del Daily Mail e il Mail on Sunday sono calati del 5% a
536 milioni di sterline, 674 milioni di euro, il risultato di un calo del 5% nei proventi pubblicitari e del 4% nelle
vendite. A livello di gruppo si arriva così sostanzialmente a una compensazione: 598 milioni di sterline, giusto
un -1% su un anno prima. E se si guarda alla sola pubblicità il risultato è sorprendente: sul fronte cartaceo la
perdita è stata di 10 milioni di sterline, dal web ne sono arrivati 19 in più. Nessun dato sulla profi ttabilità del
solo web, secondo i manager, infatti, non ha senso parlare solo dell'online in questo caso, ma dell'intero
business. I margini, però, sarebbero in miglioramento dopo gli ingenti investimenti sull'online che ora stanno
ripagando.
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Mail Online cresce del 41% e compensa il calo del cartaceo
29/11/2014
ItaliaOggi
Pag. 5
(diffusione:88538, tiratura:156000)
Buzzfeed, oltre 100 mln di ricavi
Il ceo: Apple Watch a tutti i dipendenti alla prossima meta
DI ANDREA SECCHI
Quota 100 è arrivata, addirittura prima della chiusura dell'anno. Buzzfeed, uno dei siti di
informazioneintrattenimento a più veloce crescita di sempre nel numero degli utenti, ha superato i 100 milioni
di dollari di ricavi (circa 80 milioni di euro) come ha comunicato lo stesso ceo Jonah Peretti in una nota
interna rivolta ai dipendenti e pubblicata dal sito americano Capital New York. Ad agosto il fondo di venture
capital Andreessen Horowitz aveva scommesso proprio su questo traguardo, ricavi a tre cifre entro il 2014,
investendo su Buzzfeed altri 50 milioni di dollari e quindi valutando la società 850 milioni. Il motivo della email di Peretti ai dipendenti è stato però anche un altro: «ora noi siamo a distanza di strike da altri due grossi
numeri: 1) Buzzfeed è pronto a superare i 200 milioni di visitatori unici al mese; 2) Buzzfeed Motion Pictures
(la divisione video, ndr) è vicina a 750 milioni di visualizzazioni in un mese». Di qui la promessa del ceo: se
questi due traguardi arriveranno insieme nello stesso mese, tutti i dipendenti r i c e v e r a n n o in regalo un
Apple Watch. «Potrebbe accadere questo mese, potrebbero volerci pochi mesi, però se noi continueremo a
spingere duramente e a fare un grande lavoro non ci vorrà molto per arrivare a sincronizzare i nostri battiti
cardiaci», ha scritto ancora Peretti facendo riferimento a una delle funzioni dell'orologio della mela, che
permette di inviare il proprio battito cardiaco ai contatti.A condizioni avverate la società si troverebbe a
comprare 700 Apple Watch, tanti sono i dipendenti attuali, dai 300 di un anno fa. I dati sui navigatori
comunicati da comScore parlano di 74,6 milioni di utenti unici a ottobre. Ancora lontano dai 200 milioni voluti
dal fondatore (a meno che i suoi numeri interni siano migliori) ma comunque un ottimo risultato se si pensa
che la crescita rispetto all'anno precedente è stata del 76%. Nessun dato ancora sulla profittabilità del sito,
che vive principalmente attraverso il native advertising, la pubblicità sotto forma di articoli, di liste numerate
(10 posti da visitare...) o di gallerie di foto, inserita fra il contenuto editoriale (ma segnalata). © Riproduzione
riservata
Foto: Jonah Peretti
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Il sito Usa supera il traguardo prima della fi ne dell'anno. Sono 76 mln gli utenti mensili
01/12/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.40 - 1 dicembre 2014
Pag. 32
(diffusione:581000)
IL SETTORE ERA DOMINATO DALLA SVEDESE SPOTIFY E ITUNES SPADRONEGGIAVA NELL'ALTRO
SISTEMA, IL DOWNLOAD. ORA YOU TUBE SPARIGLIA LE CARTE CON UN NUOVO SERVIZIO E
SUBITO FIORISCONO I CONCORRENTI. LA CASA DELLA MELA COMPRA UN'AZIENDA
SPECIALIZZATA
Patrizia Feletig
Tutto quello che riesci ad ascoltare: la formula dell'abbuffata musicale immaginata dallo svedese Daniel Elk,
fondatore di Spotify, conquista anche YouTube e Apple. Segmento relativamente di nicchia fino a pochi anni,
dominato appunto da Spotify come il download è dominato da iTunes, è ora esploso: una trentina di servizi in
abbonamento (gratuiti o a pagamento) si sono resi disponibili in breve per l'ascolto legale di musica da pc e
dispositivi mobili. Deezer, WiMp, Rdio sono i marchi internazionali, altri hanno bacini di utenza territorialmente
più limitati: KKBOX presente in Asia, Pandora e Muve Box negli Usa; Music Me in Francia, Bugs in Corea,
Cubomusica in Italia. E ora arrivano i giganti: YouTube, controllata da Google, ha lanciato il suo servizio, e la
Apple ha effettuato ad hoc un'acquisizione da 3 miliardi di dollari, la Beats Music, che ora gestire in modo
separato e parallelo da iTunes. Modificando le modalità di consumo della musica, Internet ne ha anche
diversificato le fonti di introiti. I servizi in streaming sono l'area di massima crescita. Come con le piattaforme
di download (Apple in primis ma anche per esempio Amazon) il sistema di remunerazione prevede il
pagamento di ogni brano, i servizi in abbonamento corrispondono una royalty ogni volta che una canzone
viene riprodotta e ascoltata. Le royalties nello streaming sono irrisorie su scala unitaria ma le transazioni si
spalmano su un arco temporale molto più lungo. La concorrenza è sul prezzo: si calcola che un brano
dovrebbe essere ascoltato in streaming 150 volte per raggiungere l'equivalente valore del download di una
traccia da 0,99 dollari. L'attrattiva del modello economico si conferma nel numero di abbonati moltiplicatosi
per 3,5 volte dal 2010, raggiungendo 28 milioni di abbonati nel mondo nel 2013. I ricavi, sotto forma di
abbonamenti con pagamenti su base quotidiana, settimanale o mensile, oppure sotto forma di introiti
pubblicitari nel caso degli abbonamenti gratuiti, sono aumentati del 51,3% superando gli 1,1 miliardi di dollari
a livello globale. Rappresentano il 27% del business digitale delle case discografiche (14% nel 2011). Non
solo. Secondi i dati del Digital Music Report 2014 della federazione internazionale dell'industria discografica,
la diffusione dei servizi in streaming che appena 2-3 anni fa appariva come un esperimento o una
scommessa, si rivela un salvagente per la ripresa della domanda di musica digitale che vale
complessivamente oltre 6 miliardi di dollari. In Svezia la spesa pro capite in prodotti musicali è balzata del
15% tra il 2008 e 2012. In Italia, il fatturato dello streaming audio è schizzato da 2,5 milioni nel 2012 a 7 nel
2013. L'arrivo più flamboyant è quello della versione premium di You Tube Music Key, servizio di musica in
streaming senza pubblicità ma a pagamento. Rimane l'opzione di accedere ai contenuti musicali gratis
accettando i trailer pubblicitari iniziali e i banner sovraimpressi sui videoclip. La vocazione musicale di
YouTube è indiscussa: il 90% dei filmati più visti ha contenuti musicali, VeVO e Warner Music Sound, 2 dei
suoi 3 canali più seguiti, sono specializzati in video musicali. I suoi numeri, da capogiro, la rafforzano: un
miliardo di visitatori unici al mese. Come dire, un abitante del pianeta ogni sette accede al sito di video
sharing, facendolo risultare il miglior canale per scoprire la musica dopo le radio e il passaparola. La
classifica porta il "tubo" in prima posizione se è riferita al pubblico dei teenager e giovani adulti per i quali
YouTube figura al primo posto tra le fonti di ascolto. La controllata di Google intende monetizzare questa
fidelizzazione e il suo vasto catalogo ricorrendo a un modello di business alternativo a quello dell'advertising.
Rispetto ai concorrenti, YouTube si smarca perché oltre al file audio, ci aggiunge il contenuto visivo. Il
catalogo è un altro punto di forza: come se non bastassero gli accordi con le major Sony, Universal e Warner,
You Tube Music Key può anche contare sulla raccolta di 30 milioni di tracce del servizio di streaming della
casa madre, Google Play Music Unlimited lanciato nel 2013. Con il nuovo servizio di streaming a pagamento
Mountain View razionalizza il proprio ecosistema musicale: l'abbonamento all'uno offre automaticamente
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 01/12/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Apple-Google, il derby dello streaming musicale
01/12/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.40 - 1 dicembre 2014
Pag. 32
(diffusione:581000)
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l'accesso all'altro. [ LE PIATTAFORME ] Google Play Unlimited, app per scaricare musica, ora consente
l'accesso illimitato e privo di pubblicità a milioni di brani anche presso YouTube Key Music Per affrontare la
sfida dello streaming musicale, la Apple ha appena comprato Beats Music per 3 miliardi di dollari e ora la
gestirà separatamente da iTunes Spotify, servizio musicale di streaming on demand nato nel 2008 in Svezia,
opera con tutte le case discografiche ed etichette indipendenti da Sony a Emi
Foto: Gli One Direction , attualmente numeri uno su tutti i canali musicali digitali e fisici
01/12/2014
Corriere Economia - N.40 - 1 dicembre 2014
Pag. 1.16
Eni, Snam e Telecom I migliori siti online
massimo sideri
A pagina 16
Partiamo dal podio: Eni, Snam e Telecom Italia hanno conquistato rispettivamente l'oro, l'argento e il bronzo
dell'annuale classifica Webranking di Comprend (ex KW Digital), condotta in Italia per la tredicesima volta
dalla società specializzata Lundquist in collaborazione con il CorrierEconomia. Partendo dalle esigenze di
tutti coloro che hanno a che fare con le aziende, la ricerca Webranking misura i fondamentali della
comunicazione finanziaria online e la capacità delle società quotate di confrontarsi con i propri azionisti e
stakeholser, anche attraverso i social network. Pee questo motivo rappresenta uno stress test. È ormai
preistoria la richiesta di bilanci cartacei alla Borsa, pratica che per i piccoli soci era una sorta di via Crucis e
creava, di fatto, un'asimmetria informativa.
La Rete e la porta
Oggi la porta di accesso alle informazioni finanziarie, anche dall'estero, si apre da Internet. Da qui
l'importanza della qualità informativa sui canali digitali delle società.
Ed ecco i punteggi: Eni, Snam e Telecom Italia hanno vinto con rispettivamente 87, 86,3 e 83,3 punti.
Seguono Hera (82,4), Pirelli & C (65,8), Terna (63,6), Mondadori (62,8) e Generali (62,3). Lo stress test sulla
comunicazione viene considerato superato con almeno 50 punti, soglia raggiunta da sole 20 società su 69 (
guarda tabella sulla destra per tutti i risultati ).
I best improver , cioè le società che hanno fatto registrare il miglioramento più importante in termini assoluti,
sono Snam, Finmeccanica, Prysmian, StM e Rcs MediaGroup (casa editrice del Corriere della Sera).
Prendendo in considerazione l'intero campione, la media italiana sarebbe scesa di 1,7 punti a 40,5, ma se si
considerano solo le società che già nello scorso anno erano presenti nella classifica la media sale a 46,8.
In ogni caso, bella notizia, siamo sopra la media europea (39,2). Anche se siamo alla solita storia del pollo di
Trilussa: la posizione viene ottenuta grazie alla testa della classifica, comandata da società che hanno
investito da tempi non sospetti in questa nuova forma di comunicazione e che oggi possono mostrare risultati
degni delle migliori aziende a livello europeo.
Considerando le 20 maggiori società per capitalizzazione l'Italia ottiene difatti il quarto posto nella classifica
europea, dopo Finlandia, Svezia (dove la classifica è nata) e Germania. La trasparenza, quando c'è, corre
online. Più nello specifico i risultati, sempre confrontati con la media europea, appaiono soddisfacenti in
termini di reporting, investor relations, governance e nella presentazione dell'azienda (la sezione About us ,
parliamo di noi).
Lacune
C'è molto lavoro da fare invece sul fronte dei social media e della Csr, la Corporate social responsibility. La
cosa veramente incredibile, però, non è tanto il ritardo nell'utilizzo professionale di strumenti come Twitter e
Facebook. Quanto la scarsa attenzione che in generale le aziende danno all' employer branding , vale a dire
la cura della reputazione aziendale come datore di lavoro. Questa è una delle aree che ottiene il risultato più
basso nonostante sia la sezione che registra il maggior numero di visite all'interno dei siti istituzionali.
Disoccupazione
Considerando che abbiamo un tasso di disoccupazione spaventoso un surplus di attenzione su questi temi
avrebbe una rilevanza sociale notevole, mentre siamo a un deficit. Dallo scorso anno, poi, sono state escluse
dalla ricerca le società che non sono riuscite a totalizzare almeno 30 punti. Delle nuove quotate nel corso del
2014 (World Duty Free, Fincantieri, Moncler, Cerved ,Anima Holding e Fineco) solo la prima si è posizionata
poco sopra la soglia minima.
A livello di scenario, due sono i trend da seguire con attenzione per tutti: content is king . Ovvero: la qualità
dei contenuti torna centrale per chi cerca informazioni sui siti delle società. La grafica e un ambiente adatto
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Comunicazione- web
01/12/2014
Corriere Economia - N.40 - 1 dicembre 2014
Pag. 1.16
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dovrebbero ormai essere dati per scontati. Il secondo tema molto importante per essere al passo con le
esigenze dei fruitori è la tecnologia responsive che permette ai siti di adattarsi a seconda di quale sia il device
dal quale si cercano le informazioni.
La migrazione degli utenti dai vecchi desktop da ufficio a tablet e smartphone è ormai irreversibile e dalla
capacità di risposta dei siti dipende la soddisfazione finale. Per quanto riguarda la metodologia usata per
stilare la classifica è importante ricordare che ogni anno i criteri e i loro differenti pesi vengono modificati sulla
base dei questionari rivolti agli analisti finanziari, agli investitori, alle persone in cerca di lavoro e ai giornalisti
economici in tutta Europa. Un panel ormai rodato che permette di anticipare le trasformazioni in corso e
limitare il più possibile la soggettività nel giudizio finale.
massimosideri
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1° 4° 2° 3° 5° 6° 9° 8° 12° 10° 7° 18° 11° 13° 20° 23° 15° 19° 27° 25° 27° 21° 32° 17° 14° 38° 31° 24° 22°
New4 16° 43° 44° 35° 34° Eni1 Snam1 Telecom Italia1 Hera Pirelli & C.1 Terna1 Mondadori Generali1
Ansaldo STS Piaggio & C. UniCredit1 UBI Banca1 Erg Luxottica1 Igd3 Prysmian1 Autogrill Intesa Sanpaolo1
Finmeccanica1 Campari Indesit Safilo Group Banca Generali Fiat Chrysler Automobiles Enel1
STMicroelectronics1 CNH Industrial1 Saipem1 A2A Diasorin CIR Enel Green Power1 Rcs Mediagroup
Parmalat1 Mediobanca1 87,0 86,3 83,3 82,4 65,8 63,6 62,8 62,3 61,0 60,7 59,6 57,7 56,5 56,1 56,0 55,0
54,9 54,9 52,3 50,2 49,1 48,5 47,8 47,5 47,1 45,2 44,3 43,9 43,6 43,3 43,3 41,0 41,0 39,6 39,4 L'Oscar
dell'informazione societaria LE SOCIETÀ QUOTATE CHE COMUNICANO MEGLIO SUL WEB Il punteggio
massimo corrisponde a 100 punti 36° 37° 38° 39° 40° 41° 42° 43° 44° 45° 46° 47° 48° 49° 50° 51° 52° 53°
54° 55° 56° 57° 58° 59° 60° 61° 62° 63° 64° 65° 66° 67° 68° 69° 37° New4 30° 33° 25° 36° 40° 27° New4
New3 42° 53° 40° 51° New4 New4 57° 49° 54° New4 New3 New4 New3 New4 62° New4 New4 60° New4
New3 61° New3 New3 New3 G-Tech1 Salini Impregilo Mediolanum1 Banca Mps Italcementi Maire Tecnimont
Tenaris1 Unipol G. Finanziario1 Snai World Duty Free Atlantia1 Banca Ifis Amplifon Datalogic UnipolSai1
Banca Carige Exor1 Mediaset1 Yoox Acea Fincantieri Banco Popolare1 Moncler Sias Moleskine Astm Banca
Pop. di Milano Salvatore Ferragamo Azimut Holding Cerved Group Tod's Tamburi Investment P. Anima
Holding Fineco 38,5 38,2 37,2 37,0 36,2 35,5 35,0 34,8 34,6 31,9 31,3 30,9 30,8 27,3 26,9 25,0 24,3 23,9
23,5 23,0 22,3 20,3 20,0 19,8 19,4 18,6 16,7 16,1 15,6 15,0 14,8 13,9 13,1 10,5 2014 2013 Società Punti
2014 2013 Società Punti 1° 3° Fonte: Webranking by Comprend in collaborazione con Lundquist Imago
Economica S. Avaltroni 2° Claudio Descalzi, amministratore delegato Eni Marco Patuano, amministratore
delegato Telecom Italia Carlo Malacarne, amministratore delegato Snam IN ASCESA Le società che hanno
guadagnato più posizioni in classifica 1) Società incluse anche nella classifica Webranking by Comprend
Europe 500. 2) Immobiliare Grande Distribuzione. 3) Società nuove entranti. 4) Società escluse l'anno scorso
per un punteggio inferiore a 30 punti ma rientrate grazie ad un sito nuovo o perché incluse nuovamente nella
lista FT Europe 500 Snam Finmeccanica Prysmian STMicroelectronics Rcs Mediagroup +12,8 punti +11,1
punti +10,2 punti +9,5 punti +9,3 punti 1° 2° 3° 4° 5° 6° 7° 8° 9° 10° 11° 12° 13° 14° 15° 16° 17° 17° 19° 20°
21° 22° 23° 24° 25° 26° 27° 28° 29° 30° 31° 32° 33° 34° 35° Fonte: Webranking by Comprend in
collaborazione con Lundquist Imago Economica S. Avaltroni
01/12/2014
Corriere Economia - N.40 - 1 dicembre 2014
Pag. 22
Mobili, attacco agli Usa (via web )
Il portale IMaestri per proporre all'estero il meglio del design 768 Le esportazioni in milioni di dollari di mobili
italiani negli Stati Uniti su un mercato potenziale di 100 miliardi. Il portale IMaestri è nato per favorire l'export
delle Pmi dell'arredamento
PAOLA CARUSO
A gli americani piace l'arredamento made in Italy per design e qualità, ma l'export del settore verso gli Usa
non fattura quanto potrebbe. Il mercato statunitense di mobili e complementi vale oltre 100 miliardi di dollari,
ma il Belpaese, lo scorso anno, vi ha contribuito con appena 768 milioni di dollari.
Le chance ci sono, soprattutto nell'alto di gamma, senza mettersi in competizione con i cinesi. Un nuovo
modello di export è proposto da IMaestri, un portale per gli ordini online con servizi a 360 gradi, compreso il
montaggio, se è necessario. Spedizione, marketing e distribuzione fanno parte del suo lavoro. Il sito, che è
anche una startup di proprietà della società Exagoga (in latino vuol dire esportazioni), fa da tramite tra le
piccole e medie imprese italiane - che da sole non riescono a uscire dai confini nazionali - e i compratori
target: architetti, interior designer e addetti ai lavori nel mondo dell'edilizia.
I prodotti vanno dagli oggetti di arredamento classici alla componentistica per l'architettura, fino alla finitura
d'interni. «In un mercato estremamente competitivo non basta avere il prodotto di eccellenza - precisa Paolo
Timoni, amministratore delegato de IMaestri - devi curare il servizio clienti, fatturare in dollari e dare ai
compratori tutto ciò di cui hanno bisogno».
Gli ordini continuano a partire. Gli operatori americani iscritti al sito sono quasi un migliaio e si possono già
contare circa 10 mila visitatori al mese. «Le aziende in portafoglio sono 30, di cui 24 con contratto di
esclusiva, ma contiamo di arrivare a 70-100 imprese entro il 2015 - sottolinea Timoni - con l'obiettivo di
fatturare dai 100 ai 200 milioni di euro nei prossimi 5 anni. Il potenziale è enorme, l'interesse per le nostre
proposte in catalogo è alto, per cui stiamo dimostrando che il modello di business e di distribuzione non
tradizionale funziona».
Una buona fetta degli affari è formata dai prodotti «customizzati». Non solo quelli personalizzati nei dettagli,
magari con variazione di colori o aggiunta di dettagli, ma anche quelli realizzati ad hoc per i clienti, sulla base
dei disegni degli architetti. «L'ordine su misura» è un vero e proprio punto di forza del portale e delle Pmi che
ci sono dietro. «Il 30% del volume è rappresentato dai prodotti personalizzati - precisa il top manager -.
Questa percentuale potrebbe costituire il 40-50% del business nel breve periodo». I prossimi obiettivi?
«Entrare bene in altri mercati, come Canada e Messico. E poi, stiamo pensando di allargare l'iniziativa ad altri
settori merceologici in cui siamo riconosciuti per l'eccellenza: potrebbero essere il food o gli accessori in
pelle». I progetti nel cassetto non mancano.
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Foto: Ecommerce Paolo Timoni: con IMaestri servizi a 360 gradi per l'export di mobili
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 01/12/2014
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La storia/Arredamento
01/12/2014
Corriere Economia - N.40 - 1 dicembre 2014
Pag. 22
miliardi di pubblicità online 2 È il valore raggiunto da banner, spot, video pubblicitari sul web. Operatore
principale Google, che assorbe il 55% della pubblicità su Internet con un fatturato di circa 1,1 miliardi. Ancora
marginali nel mercato italiano i social network (in crescita però del 70% sul 2013) che fatturano 170 milioni. In
generale, secondo uno studio condotto da Nielsen e dal Politecnico di Milano, la pubblicità online è cresciuta
dell'11%
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 01/12/2014
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2 miliardi di pubblicità online
01/12/2014
Brand News Today
Pag. 1
Il processo d'acquisto dell'auto inizia online . E il test drive si digitalizza
Anche in Italia l'80% di chi compra un'auto inizia il percorso d'acquisto online. Lo rileva uno studio di
McKinsey, insieme a una insoddisfazione di fondo dei consumatori verso la preparazione dei rivenditori.
Anche per questo si moltiplicano i test drive virtuali A pag. 6 Anche in Italia l'80% chi acquista un auto inizia il
percorso d'acquisto online. Lo rileva uno studio di McKinsey, insieme a una insoddisfazione di fondo dei
consumatori verso la preparazione dei rivenditori. A fianco di questi dati, vediamo moltiplicarsi i test drive
virtuali, che non solo permettono di conoscere il prodotto nei dettagli ma permettono di ampliare la
conoscenza in contesti diversi L'80% di chi compra un'auto nuova inizia la propria ricerca online e sul web
prenota anche il test drive, mentre i passaggi in concessionaria si riducono drasticamente così come la
fedeltà alla marca, diminuita del 15% negli ultimi quattro anni. Anche perché ormai l'acquirente, abilitato da
internet, arriva in concessionaria con molte informazioni in più rispetto al passato. Sono queste alcune delle
evidenze emerse dalla ricerca di McKinsey & Company 'Innovating Automotive Retail' presenta nel corso
della sesta edizione di Internet Motors, appuntamento di digital marketing per il settore auto che si è tenuto
recentemente a Milano. La ricerca indica anche un livello di soddisfazione scarso da parte dei clienti nei
confronti del livello di conoscenza dei rivenditori, soprattutto a causa dell'incremento delle componenti
elettroniche e della complessità generata dalle nuove tecnologie a bordo. Secondo le conclusioni della
ricerca, l'organizzazione delle concessionarie deve essere revisionata radicalmente, con la creazione di un
reparto digitale interno per generare traffico e gestire i contatti con i clienti, monitorare la rete per intercettare
le conversazioni, interagire e coinvolgere gli utenti, utilizzare il canale mobile, sempre più frequentato dai
potenziali acquirenti, in una logica omnichannel. CHRYSLER - BENEATH THE SURFACE, VOLVO #VOLVOREALITY, VOLKSWAGEN E MERCEDES SOCIAL
L'esperienza Beneath the Surface permette di esplorare in prima persona con Oculus Rift DK2 i dettagli della
Chrysler 200 e i controlli di qualità e sicurezza a cui è stata sottoposta. Sviluppata dalla casa di produzione
Stopp e MPC Creative da un'idea di W+K Portland, permette una conoscenza dell'auto che altrimenti sarebbe
impossibile e di arricchire con uno strumento inaspettato la visita all'autosalone ed eventi sponsorizzati.
Versione low cost di Oculus Rift perché fatto di cartone e utilizzabile con diversi tipi di smartphone, il visore
Google Cardboard è stato utilizzato recentemente da Volvo per un test drive virtuale per la nuova XC90.
Basta scaricare le istruzione dal sito, armarsi di forbice e cartone, scaricare l'apposita app Volvo Reality, e
inserire lo smartphone nella fessura. E davanti agli occhi apparirà lo scenario di una strada di montagna,
pane per le ruote del suv.
Spesso l'interesse per una nuova auto si accende sui social media. Ogilvy Cape Town per pubblicizzare la
nuova Volkswagen Polo ha ideato il mobile game PoloTag da giocare su Twitter. Si suggerisce una meta, si
tagga l'auto e chi la 'guida' più a lungo la vince. Recentemente Mercedes ha sperimentato per la nuova GLA
anche un configuratore su Instagram all'account @GLA_Build_Your _Own ( Leggi la notizia su Brand News)
Foto: Clicca e scarica il report
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AUTOMOTIVE
01/12/2014
Brand News Today
Pag. 11
Il digitale al centro della 14a edizione del Forum Retail 2014
L'impatto del digitale sul mondo della distribuzione è stato al centro del Forum Retail 2014, organizzato da IIR
e giunto alla 14ma edizione con una crescita dell'80% dei visitatori e del 35% tra gli espositori, giunti a quota
1.400. Nel corso dei panel e delle due conferenze premium sono state discusse le molte opportunità che le
aziende retail possono cogliere nel digitale per migliorare la relazione con i consumatori e come gestire la
complessità generata dal continuo aumento dei touch point. Tra le altre tematiche, l'innovazione in ambito
fashion e luxury, la logistica collaborativa, l'ecommerce e il digital marketing, business intelligence e big data.
Ma a riscaldare la platea è stato soprattutto l'intervento di Oscar Farinetti, presidente e fondatore di Eataly, il
quale ha sottolineato l'importanza della narrazione del brand come leva competitiva.
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ITALIA EVENTI / RETAIL
01/12/2014
DailyMedia
Pag. 2.10.12
(diffusione:15000, tiratura:15000)
Vittorio Parazzoli
Il gruppo guidato da Diego Valisi chiude un anno positivo e guarda a una forte crescita nel prossimo grazie
all'offerta integrata delle testate in concessione e di proprietà. Fashion Illustrated diventa consumer e sbarca
in Cina; novità anche per Style Piccoli 10-12 pur avendo mantenuto lo stesso portafoglio dello scorso anno
(quando venne acquisita Fiera di Vicenza), il 2014 di Milano Fashion Media si chiuderà con una crescita del
15%. La concessionaria guidata da Diego Valisi, a.d. pure di La Mode Illustrée - che pubblica Riders, Urban
(acquisita quest'anno ma di cui veniva già curata la pubblicità), Fashion Illustrated e The Lifestyle Journal - e
della Biblioteca della Moda, che completa l'offerta del gruppo, chiuderà quindi questi 12 mesi con un fatturato
di oltre 5 milioni di euro. Cifra destinata a crescere sensibilmente nel 2015, sia per l'entrata a regime di nuove
acquisizioni, sia per l'allargamento in logica di sistema integrato delle testate che controlla o per le quali ne
segue la pubblicità e per l'allargamento delle aree di fornitura di altri servizi, come quella degli special jobs e
degli eventi, anche in-store, che rappresentano ormai più del 20% del giro di affari della concessionaria.
Sull'obiettivo di crescita inciderà notevolmente Riders, di cui il gruppo di Valisi si occupa in toto dall'ultimo
numero di quest'anno, attualmente in edicola, e per il quale è prevista una raccolta intorno a 1 milione di
euro, grazie anche a una serie di iniziative speciali già programmate, come il libro sulle giacche da moto
urbane che verrà finalizzato per il Pitti Uomo. «Ma, soprattutto - come spiega Valisi a DailyMedia - a marzo
lanceremo il sito della testata in logica e-commerce, dove proporremo delle capsule collection per i lettori, tra
cui 5.000 abbonati a fronte di 55.000 copie distribuite, e i 45.000 fan della testata già di Hearst Magazines
Italia su Facebook. Inoltre, potremmo cogliere delle opportunità legate ad eventuali licenze internazionali del
brand». Del resto, quest'ultimo è un campo in cui il Gruppo già opera, come mostra il fatto che, sempre l'anno
prossimo, Fashion Illustrated editerà una pubblicazione interamente in lingua cinese, Italy Illustrated, frutto di
una joint venture tra Leaking Ideas (società specializzata nella promozione dell'Italia in Cina) di Fausto
Tatarella e Biblioteca della Moda. Distribuito in Cina attraverso una rete di partner qualificati, per Expo Milano
2015 il trimestrale sarà protagonista di una doppia distribuzione nelle principali città italiane: Milano, Firenze,
Roma e Venezia. Il magazine è in formato tabloid e si rivolge a 1 milione di visitatori cinesi (funzionari
governativi, viaggiatori individuali e gruppi) che arrivano ogni anno in Italia. Ma anche lo stesso Fashion
Illustrated è destinato l'anno prossimo a cambiar pelle. Nuovi contenuti per raggiungere un pubblico più
ampio di lettori: la fashion community - operatori, imprenditori, creativi e consumatori pilota -. La testata (10
numeri all'anno) si lascia quindi alle spalle il posizionamento trade e scopre un nuovo modo di raccontare:
immagini passate e presenti a confronto per illustrare la storia delle tendenze, approfondimenti trattati in
chiave social per offrire un punto di vista più dinamico e un sistema multimediale che unisce la parte web, i
social network e la nuova versione per smartphone e tablet per informare e dare notizie in tempo reale.
Aumenterà anche la tiratura: la distribuzione, affidata a Intercontinental (che storicamente rappresenta solo
stampa estera nel nostro mercato), verrà allargata a negozi di alto livello. Con questo giornale, che avrà
anche la versione web, Valisi inizia così ad entrare nel mondo consumer dei femminili, dove ancora non è
presente. Inoltre, ci saranno sviluppi, sempre in logica multimediale, per le allegate guide The black book of
retail che, nate come selezione dei migliori negozi multibrand di abbigliamento e accessori italiani, dopo due
edizioni di grande successo dedicate al mercato del retail italiano si sono arricchite nel 2013 con la prima
guida allo shopping in Russia e sono state ora rinnovate con una nuova edizione dedicata alla Germania. E il
prossimo anno, tutte le edizioni saranno disponibili in formato e-book e acquistabili online. Per quanto
riguarda invece The Lifestyle Journal, bimestrale dedicato a storie e luoghi alla riscoperta di un vivere
autentico e consapevole, la novità è che il magazine realizzerà a maggio, a Venezia, con Expo Venice e
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Milano Fashion Media: raccolta a +15% e nel 2015 si aggiunge Riders;
crescono web ed eventi
01/12/2014
DailyMedia
Pag. 2.10.12
(diffusione:15000, tiratura:15000)
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Fiera Vicenza, la prima edizione di "Slow Living", manifestazione consumer dedicata a marchi e prodotti
green e sostenibili, che avrà una preview a Milano con un numero speciale del magazine interamente
dedicato alla manifestazione, che avrà anche un sito e un catalogo. Urban avrà in vece ogni mese per il
periodo di Expo 2015 un'edizione in inglese legata all'evento. Venendo a Style Piccoli, (semestrale che fa
parte di Sfera, il Gruppo di RCS leader nel settore infanzia) e che l'anno prossimo sarà lanciato anche in
Spagna, ci saranno novità sul web e sul fronte delle iniziative speciali. Ci sarà una digital edition inviata a
380.000 mamme con figli da 0 a 12 anni, con link a sezioni di approfondimento, siti e social network. L'app
Ios di Style Piccoli può inoltre ospitare video e fotogallery. Style Piccoli Channel (80.000 visitatori unici al
giorno, 175.000 iscritti, 9,5 milioni di views mensili) sarà integrato nel più importante family network di
YouTube. In palinsesto: video-sfilate, backstage, interviste ai protagonisti, dirette tv, eventi e look book
animati. Ci sarà inoltre il debutto su Facebook, Google+, Pinterest e Instagram, con una fan base iniziale di
oltre 400.000 mamme. Offerti anche un data-base di 2,4 milioni di anagrafiche profilate, e un eshop. Anche
VO+, la più importante realtà editoriale del settore gioielleria, cambia, trasformandosi in un canale informativo
di nuova concezione che racconta il segmento attraverso un'idea dinamica e veloce, allargando la visione
settoriale al mondo che vi ruota intorno. Per esplorare e testimoniare il crossover dei mondi fashion e
jewellery è nato un nuovo speciale VO+ formato tabloid, Fashion&Jewels, distribuito durante le sfilate di
Milano Moda Donna, del White e Super (by Pitti Immagine). Da febbraio sarà inoltre prodotto un mensile
interamente digitale, di uso alla imponente mailing list di operatori internazionali del gioiello negli anni
realizzata da Fiera di Vicenza. Altra novità è Design Tribune, una nuova piattaforma di comunicazione
interamente digitale e integrata rivolta al mondo del design e dell'architettura edita dall'appositamente
costituita Digital Media Publishing, co-partecipata da Biblioteca della Moda e Syncronia. In lingua inglese, si
rivolge a 458.000 professionisti a livello internazionale. Milano Fashion Media ha infine acquisito anche la
raccolta di Studio, rivista di taglio culturale, di 11, che è dedicata invece alla cultura del calcio ma con, in ogni
numero, un dossier dedicato a un'altra disciplina sportiva, e di Linus, la storica rivista pubblicata da
Baldini&Castoldi. La Biblioteca della Moda, inoltre, sarà l'InfoPoint di Expo 2015 per gli operatori della moda,
con relativo sito da inizio del prossimo anno.
Foto: Diego Valisi
01/12/2014
DailyNet
Pag. 27
(diffusione:15000, tiratura:15000)
Il mobile commerce al centro del terzo evento di Netcommconnect
Le ricerche esposte durante il ciclo di incontri organizzato dal consorzio con il supporto di
Showroomprive.com registrano nel 2014 un incremento del 100% nelle vendite attraverso gli smartphone
Al terzo appuntamento di NetcommConnect, il ciclo di incontri focalizzati su alcuni dei temi più rilevanti dell'
ecommerce organizzato dal Consorzio Netcomm con il supporto di Showroomprive. com, l'argomento cardine
è stato il mobile-commerce. Il successo degli acquisti da piattaforme mobili in Italia è confermato dagli ultimi
dati dell'Osservatiorio ecommerce b2c del Politecnico di Milano e Netcomm, secondo il quale le vendite via
smartphone registrano un incremento del 100% nel 2014, superando gli 1,2 miliardi di euro, pari al 9% dell'
ecommerce complessivo. Se si aggiungono quelle via tablet, l'incidenza delle vendite da dispositivi mobili
raggiunge il 20% del totale ecommerce. Tra i fattori che determinano la crescente diffusione del mobile
commerce gioca sicuramente un ruolo chiave l'alto livello di penetrazione degli smartphone nel nostro Paese.
«Gli acquirenti online in Italia nell'ultimo anno hanno superato i 16 milioni, di cui 10 milioni sono consumatori
abituali, cioè quelli che effettuano almeno un acquisto al mese, mentre 6 milioni sono acquirenti sporadici afferma Roberto Liscia, presidente di Netcomm . Durante gli ultimi 3 mesi il 18% di questi 16 milioni di
acquirenti online, ha fatto almeno un'esperienza d'acquisto utilizzando un'app su smartphone e l'11% almeno
un acquisto utilizzando un'app su tablet (il 6% su entrambi i dispositivi). La quota di acquirenti da app sul
totale degli acquirenti online è passata dal 20 al 23% in soli tre mesi. Si tratta di un segmento di consumatori
molto interessante, in quanto acquistano con importi medi più elevati (la spesa media annua degli acquirenti
online italiani è di 1.000 euro, per uno scontrino medio compreso tra 80 e 100 euro) e con frequenza
maggiore della media. Lo smartphone si presenta, quindi, come una cerniera di connessione tra i due mondi
ed è a tutti gli effetti il vero nuovo luogo di acquisto, indipendentemente dalla compresenza o meno di
acquirente e merchant». Durante l'evento si è discusso dell'impatto del mobile nel commercio elettronico
stimolando il dialogo e il confronto tra i partecipanti rispetto alle proprie esperienze dirette. Virginia
Hernandez, international pr manager e business development di Showroomprive.com ha commentato: «Lo
sviluppo del mobile è per noi molto importante. Per quanto riguarda il target femminile, a cui principalmente si
rivolge la nostra offerta, una nostra recente indagine ha messo in luce le caratteristiche della Digital Woman:
una donna che deve ottimizzare il tempo al massimo e cerca convenienza, velocità, sicurezza ed efficienza
quando acquista un bene o un servizio. Gli acquisti online e il mobile commerce soddisfano proprio queste
necessità. Dalla nostra indagine emerge che il 33,1% delle donne è sempre connessa a internet via
smartphone e lo consulta ogni volta che riceve una notifica, mentre Il 23,50% delle donne italiane usa telefoni
cellulari o tablet per fare acquisti e poter comprare ciò di cui ha bisogno da qualsiasi luogo, risparmiando
tempo». Dalla stessa indagine emerge inoltre che le italiane utilizzano i propri dispositivi mobili in
contemporanea ad altre attività: il 39,50% delle intervistate afferma di usare lo smartphone o il tablet mentre
guarda la televisione, il 32% mentre si trova su un mezzo di trasporto, l'8,5% mentre fa shopping in un
negozio fisico, l'8,2% mentre aspetta i figli all'uscita da scuola, il 7,2% al lavoro e il 4,5% in ascensore. «In
Italia la fruizione di Internet da mobile nel giorno medio supera quella da pc: 14,5 milioni contro 12,5 milioni di
utenti, secondo dati Audiweb commenta Daniele Albanese amministratore delegato, JustBit. Tra i fattori che
motivano all'acquisto online assume grande rilevanza la presenza di offerte e sconti, questo vale infatti per il
48% delle persone, il 35% è mosso, invece, da recensioni e feedback mentre un altro 31% dalla presenza di
una carta fedeltà (dati Global Web Index Q1 2014). Il mobile è diventato ormai una marcia in più nel
business, noi forniamo un supporto completo ai clienti nella creazione e realizzazione di applicazioni mobile.
Il nostro reparto R&D ha sviluppato una tecnologia di proximity marketing per punti vendita, inoltre la nostra
app MR. Spaghetti è stata top-App nella sezione lifestyele di Google ed è un esempio di App ludica che è in
grado di generare business».
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Appuntamenti
01/12/2014
DailyNet
Pag. 27
(diffusione:15000, tiratura:15000)
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Foto: virginia hernandez di showroomprive.com
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01/12/2014
Pubblicita Today
Pag. 28
dELoIttE: wIdEsPACE AL 1° Posto PEr tAsso dI CrEsCItA dEL 2014 PEr LA
CAtEGorIA softwArE
Dopo aver conquistato la prima posizione in svezia della classifica deloitte 'Sweden Technology Fast 50'
poche settimane fa, widespace , l'azienda leader europea specializzata esclusivamente in mobile advertising
si aggiudica il 1° posto nella categoria 'software' della classifica Deloitte Technology Fast 500 EMEA.
"Raggiungere una delle prime posizioni della classifica Technology Fast 500 EMEA di Deloitte è la
dimostrazione della corretta intuizione e della forza della nostra idea di business: pubblicità premium per
dispositivi mobili. La combinazione dei nostri asset - annunci che fanno vivere una ricca esperienza digitale, il
corretto posizionamento dell'advertising rispetto al contesto e al target di rifermento e la nostra tecnologia favorisce il positivo impatto di un brand sui consumatori. La nostra crescita è sostenuta da un costante
sviluppo di nuove soluzioni tecnologiche, un incessante focus sull'innovazione e dall'assunzione dei migliori
esperti di questo mercato" dichiara Patrik fagerlund , co-fondatore e ceo di Widespace. La classifica
Technology Fast 500 condotta da Deloitte fornisce una panoramica delle società dei settori tecnologia,
media, telecomunicazioni e 'green' con il più alto tasso di crescita, private o pubbliche, in Europa, Middle East
e Africa (EMEA). La rilevazione si basa su una percentuale di crescita del fatturato annuo fiscale riferito agli
ultimi cinque anni. Durante questo periodo, il tasso di Widespace è cresciuto del 27930% collocando in
questo modo l'azienda al 6° della classifica generale e al 1° nella sezione 'software'. Patrik Fagerlund e
Henric Ehrenblad hanno fondato Widespace nel 2007. Nel 2013 Widespace ha registrato un giro d'affari di
15,8 milioni di euro; oggi conta 215 dipendenti e una presenza in 9 Paesi. "Anche se siamo cresciuti
rapidamente durante i cinque anni di riferimento della classifica, riteniamo che il nostro viaggio sia appena
iniziato - dice Fagerlund -. Tra pochi anni, oltre il 50% del consumo dei media sarà da mobile: noi puntiamo
ad essere l'azienda che guiderà le prossime tendenze". Anche in Italia la filiale di Widespace guidata da
filippo Gramigna - Head of Partnerships - e nicolò Palestino - Head of Sales sta continuando a crescere
grazie a nuovi accordi con i più importanti publisher nazionali.
Foto: filippo gramigna
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PREMIO TEChNOLOGy FAST 500 EMEA
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Pagina99 - N.70 - 29 novembre 2014
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Online 177 clickbait è la tecnica di usare il titolo come un'esca. Nessuno è rimasto immune. Ma la promessa
non mantenuta si paga. Queste le regole di un gioco vicino al tramonto «Non immagini che casa vuole
comprare Posh Spice a Milano» divenne un modello di manipolazione
FERDIN ANDÒ COTUGNO
li Tra qualche anno, guarderemo a quest'epoca dell'informazione online con un po' di vergogna, ricordandola
come «gli anni del clickbait». Un modo di fare titoli che tutti abbiamo sperimentato aprendo articoli su diete
miracolose, scivoloni da red carpet o gattini accigliati. Ora, sia quelli che lo hanno codificato (per esempio
BuzzFeed) sia quelli che lo hanno propagato (Facebook) stanno andando oltre. Sicuramente, se oggi fate un
giro sul web questo tipo di titoli non è sparito, ma ci sono motivi per pensare che nei prossimi anni ne
troveremo sempre meno. Letteralmente, clickbait significa esca da click: un modo di aumentare i lettori di un
articolo usando il titolo come un amo. La meccanica è semplice e ripetibile all'infinito: smontare l'informazione
in due parti. Una la metto nel titolo, l'altra la lascio nell'articolo. Se ti ho incuriosito abbastanza, cliccherai e
avrai il resto. È l'equivalente delle due scarpe promesse in campagna elettorale dall'ex sindaco di Napoli
Achille Lauro: una prima del voto, l'altra dopo. Tutti ci hanno sguazzato: giornali seri, testate semi-serie, siti
spazzatura. In Italia ha avuto anche qualche forma peculiare, come il cosiddetto «boxino morboso» della
Repubblica, raccontato da Alessandro Gazoia nel suo II web e l'arte della manutenzione della notizia: «Da
noi c'era un terreno fertile, abbiamo sempre avuto titolisti fantasiosi, il clickbait si è imposto anche a causa del
paradosso di avere pochissimi lettori e 25 milioni di persone su Facebook. Così per esempio La Repubblica
ha preferito rischiare unpo'dellasua autorevolezza, pur di reggere economicamente la sua presenza sul web
». Al clickbait nessuno è stato immune (ogni tanto ci casca anche il New York Times), ma la febbre sta
passando. Perché è una pratica che alla lunga fa molto male alla reputazione di un marchio. Perché il
modello economico su cui si basa è obsoleto. E soprattutto perché il lettore, negli anni, ha sviluppato gli
anticorpi, si è smaliziato e ci casca sempre meno. L'ho sperimentato personalmente: per cinque anni ho
curato (con altri) rhome page italiana di uno dei più importanti aggregatoli di notizie al mondo, una pagina con
molto traffico casuale collegata a siti tematici di qualità molto variabile, con tanto gossip, tanto
intrattenimento, tanti video. L'ecosistema ideale per sfruttare il clickbait. E lo abbiamo sfruttato, quando
ancora non sapevamo che si chiamava così. Il parametro sul quale ho visto le esche agire come doping si
chiama "ctr", click through rate: il rapporto tra visitatori casuali e click sulle notizie offerte. Il ctr era alto solo in
due casi: una storia grossa e improvvisa (un pazzo tira una statuetta contro Berlusconi in Piazza Duomo) o
un clickbait ben fatto. Il primo che ho fatto era su Victoria Beckham che sognava di comprare casa a Milano:
in fondo al pezzo, a mo' di chiusa, una «fonte vicina alla star» le attribuiva il sogno di comprare il Castello
Sforzesco. In forma di clickbait era: «Non immagini che casa vuole comprare Posh Spice a Milano». Victoria
e il Castello Sforzesco divenne un modello per centinaia di titoli costruiti per manipolare il curiositi/gap. Etica
a parte, questo artigianato del titolo ha un problema: funziona solo nel breve termine. Le promesse non
mantenute si pagano. E infatti, in modo anche abbastanza improvviso, anche per noi i risultati cominciarono a
crollare. Dal 12,14% di ctr, al 2%. Per Ben Smith, Yeditor in chief di BuzzFeed, «non è più un segreto per
nessuno, il clickbait non funziona più». Per Smith, o Nilay Patel di The Verge, o Gazoia, la diagnosi è la
stessa: a furia di promesse non mantenute, sempre meno lettori hanno fiducia nel fatto che la curiosità
attivata verrà soddisfatta, e lasciano perdere. «Anche in Italia la tendenza si sta invertendo, e molti siti di
informazione si stanno convertendo a titoli piani, che guardano più ai motori di ricerca che all'impulso del
click», spiega Gazoia. Ma l'attacco a questo metodo arriva soprattutto dal suo principale terreno di coltura: i
social network. Facebook ha cambiato il suo algoritmo, con l'obiettivo di scoraggiarlo. Meno un utente resta
sulla pagina su cui ha cliccato (e se ci resta poco, secondo l'algoritmo, è perché il titolo era fuorviante, cioè
una forma di clickbait) e meno quel post apparirà nel flusso di notizie. Su Twitter non c'è niente del genere
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
confessioni di un acchiappa-click *
29/11/2014
Pagina99 - N.70 - 29 novembre 2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
(per ora), ma c'è un movimento dal basso per depotenziare le esche. Account come SavedYouAClick o
HuffPoSpoilers prendono i titoli e ne twittano il contenuto nascosto, proprio come se rivelassero il finale a
sorpresa di un film deludente. Al di là di queste battaglie, però, è proprio il processo di monetizzazione degli
articoli a essere cambiato. Un punto di vista interessante è quello di Bryan Goldberg, il fondatore del
(discusso) Bleacher Report: «Demograficamente, fondare un modello economico sui contenuti virali è come
avere di fronte una folla indistinta, impossibile da vendere ai pubblicitari». Insomma, andava bene per un web
fatto di banner, ora che la pubblicità diventa più occulta e meno evidente ("nativa"), il clickbaitnon serve più.
Ma c'è in realtà un posto dove questa tecnica sopravvive e prospera, in Italia: il blog di Beppe Grillo e gli
account sui social network della Lega. Per chiudere con le parole di Gazoia, «In qualche modo, l'indignazione
da tastiera e un certo modo di costruire titoli e notizie si stanno saldando. Oggi, se dovessi organizzare una
tavola rotonda sul clickbait, sicuramente non potrebbero mancare Casaleggio e Salvini». • Le dimissioni del
ministro americano alla Difesa, una gallery di Gif (formato per immagini digitali) sull'essere scelti per i controlli
di sicurezza in aeroporto (molto divertente) e un'altra serie di Gif su Taylor Swift agli American Music Awards.
Così si presenta in un giorno qualsiasi BuzzFeed, il sito da 150 milioni di utenti unici al mese, 50 milioni di
dollari in investimenti in venture capitai e 140 milioni di profitti attesi per il 2014. Secondo alcuni BuzzFeed è il
futuro dell'informazione web e secondo altri è la sua condanna. BuzzFeed è stata tirata nel dibattito sul
clickbait dal comico americano Jon Stewart, che ci è andato già pesante: «Siti come BuzzFeed o Vice mi
fanno sentire come se stessi camminando a Coney Island circondato da imbonitori che promettono di
mostrarmi l'uomo con tre gambe e poi mi fanno vedere un tizio con una stampella». Stewart ha torto e ha
ragione. È vero: BuzzFeed fa molte promesse con i suoi titoli, alcune anche bizzarre (nello stesso giorno di
cui sopra: 16 tabelle che spiegano i pub inglesi) ma tende a mantenerle tutte, e questo è il primo segreto del
suo successo sui social network (BuzzFeed ha più del doppio dei visitatori da Facebook che da Google). Un
altro aspetto importante è die BuzzFeed, a differenza dell'imbonitore di Coney Island, non monetizza ogni
singolo click, perché la sua pubblicità non si basa sui banner ma suli'advertising nativo, articoli sponsorizzati
dagli inserzionisti, come una gallery di regali di Natale «offerta» da un sito di e-commerce. Un tipo di
pubblicità che aumenta l'intenzionediacquistodell8% (secondo Sharethrough), e sul quale saranno investiti 5
miliardi di dollari entro il 2017. Questa è, secondo il fondatore Jonah Peretti, la missione di BuzzFeed, «la
media comparii/ al tempo dei social network»: 200 giornalisti, 400 articoli caricati al giorno, qualche pezzo
lungo e curato, tante gallery: un sito che sicuramente diverte più che informare, e che ha superato a destra il
problema del clickbait: «Sapevamo dal 2009 che non avrebbe più funzionato, ma non lo abbiamo rivelato per
non perdere il vantaggio strategico rispetto ai concorrenti» ha scritto Ben Smith. Ma se vuoi sapere come
sarà l'informazione tra dieci anni, cliccalì.
Foto: DADORUVIC/REUTERS/CONTRASTO
Foto: E-JOURNALISM Utenti con i loro device, sullo sfondo, proiezioni di codice binario
28/11/2014
ADV Express
Sito Web
Il claim, versione italiana di "Anything but Cute", evidenzia l'indole avventurosa, moderna e mascolina della
city car. Pianificazione di Carat in tv e sul web. In particolare, sui social, gestiti in Italia da Cohn & Wolfe,
saranno online sei brevi videoclip Bubblegum, Cardboard, Drift, Remote Control, Snatch e Cannonball, curati
dal videomaker Zach King. apri la gallery fotografica ADAM ROCKS dal 25 novembre 2014 esordisce in TV e
sul WEB con un supporto pubblicitario all'insegna della 'domination'. A evidenziare l'indole avventurosa,
moderna e mascolina di Adam Rocks il claim "Carini, mai", versione italiana di "Anything but Cute". La
campagna televisiv, incentrata sullo spot 'Curbstone', afferma la personalità decisa, fuori dall'ordinario,
sempre originale della nuova city car. Inoltre il cortometraggio "Frisbee", lanciato online su YouTube, mette
in evidenza il carattere indipendente, irriverente e audace delmini SUV , presentando in modo spettacolare il
suo tettino in stoffa apribile in soli 5secondi. Entrambi gli spot, girati a Barcellona, sono stati ideati dalla
Scholz & Friends OPC diAmburgo, che ne ha curato la strategia creativa, e sono stati diretti da Anders
Hallberg. Losviluppo italiano della campagna è di Scholz & Friends Roma, la pianificazione media, invece, è
stata affidata a Carat mentre la declinazione web a MRM. Inoltre, Adam Rocks debutterà anche sui social
media, gestiti in Italia da Cohn & Wolfe. Anche in questo caso una scelta improntata all'originalità
ingaggiando Zach King, video maker e "stella di Vine" - una piattaforma digitale che consente di scambiare
brevi videoclip, molto popolare negli Stati Uniti e in Canada - che ha interpretato le caratteristiche della nuova
e irriverente Opel con sei brevi videoclip all'insegna della creatività: Bubblegum, Cardboard, Drift, Remote
Control, Snatch e Cannonball. I risultati del lavoro del ventiquattrenne di Los Angeles, sono visibili sul Portale
Opel-Vine e sul canale Vine di Zach King. Inoltre gli spot, tra cui il making of video, sono disponibili sulle
pagine Opel di YouTube, Facebook, Twitter e sulblog di notizie Buzzfeed. "Dobbiamo raggiungere i nostri
clienti proprio in quei luoghi in cui passano la maggior partedel tempo, come i social media ad esempio. Per
questo stiamo intensificando le nostre attività proprio in questa direzione. La collaborazione con una delle più
spiccate personalità dei social media, come Zach King, è stata una scelta naturale." ha dichiarato Tina Müller,
Chief Marketing Officer Opel. EC
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 01/12/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Tutta la personalità di Adam Rocks racchiusa nel claim 'Carini, mai' nella
campagna di Scholz & Friends
28/11/2014
ADV Express
Sito Web
Il 10 dicembre i due brand del gruppo eBay Classifieds si riuniranno con il nome Kijiji. Una semplificazione
improntata da un lato alla diversificazione dal core business di eBay e dall'altro ad un focus più verticale
sull'innovazione. Presente in Italia dal 2005, Kijiji - che in lingua swahili vuol dire villaggio - è stato il
precursore del mercato degli annunci online. Quarto sito nel comparto eCommerce a livello nazionale con 36
milioni di visite al mese ed un aumento della raccolta pubblicitaria del +26% negli ultimi 6 mesi. A dicembre,
precisamente il 10, eBay Annunci convergerà con Kijiji per costituire l'unico sito di annunci online del gruppo
eBay in Italia. La decisione è stata presa da una parte per sgomberare il campo da possibili confusioni con il
marketplace storico di eBay e dall'altra per poter concentrare gli sforzi di sviluppo, aumentando la potenza di
fuoco del brand. Presente in Italia dal 2005, Kijiji - che in lingua swahili vuol dire villaggio - è stato il
precursore del mercato degli annunci online. Quarto sito nel comparto eCommerce a livello nazionale, con 36
milioni di visite al mese ed un aumento della raccolta pubblicitaria del +26% negli ultimi 6 mesi, Kijiji
.it integra l'eredità in termini di utenza ed esperienza maturata da eBay Annunci dal 2009 ad oggi e si proietta
in avanti con un focus sull'innovazione, i cui risultati si vedranno soprattutto il prossimo anno. Per celebrare
questa unione, Kijiji ha lanciato un contest con Userfarm per la realizzazione di un video virale - dal titolo
Piacere, Kijiji - che valorizzi il brand e le sue potenzialità per i consumatori, i cui vincitori verranno annunciati
alla fine di gennaio 2015. A guidare la nuova potenziata compagine di Kijiji in Italia è Luke Miller, veterano
del gruppo già in forza ad eBay Australia (suo Paese natale), Shopping.com, Marktplaats in Olanda e
precedente country manager di Gumtree Sud Africa. Queste sono solo alcune delle novità in programma nei
prossimi mesi che testimoniano la volontà di Kijiji .it e del Gruppo di puntare sull'innovazione a 360 gradi.
Luke Miller è stato nominato alla guida della potenziata struttura in qualità di nuovo General Manger di
Kijiji.it . Australiano di 35 anni, Luke approda a Kijiji Italia dopo aver maturato una esperienza internazionale
decennale all'interno del Gruppo eBay. Luke sbarca nel Belpaese per guidare la nuova potenziata compagine
di Kijiji.it che, dopo la fusione con eBay Annunci, comunicata nei mesi scorsi e operativa a partire dal 10
dicembre, diventa l'unico sito di classifieds di eBay per l'Italia. Prima dell'attuale incarico, Luke Miller ha
lavorato in 4 Paesi (Australia, Olanda, Stati Uniti e Italia) occupandosi di 3 diversi brand (eBay,
Shopping.com, ed eBay Classifieds precisamente in Marktplaats e Gumtree Sud Africa). Dopo essersi
laureato nel 2001 alla università del New South Wales , Luke comincia il suo percorso nel settore
telecomunicazioni ed informatica. Nel 2005 arriva in eBay e dopo un periodo iniziale di 3 anni nel quale si
occupa di Shopping.com (ora eBay Commerce Network), nel 2008 approda nella divisione Classifieds.
Durante i primi anni svolge attività di analisi e ricerca all'interno di un team internazionale, e assume nel corso
degli anni incarichi di sempre maggiore responsabilità sino a divenire nel 2013 General Manager di Gumtree
Sud Africa, prima della nuova esperienza nel Nostro Paese. La nomina di Luke sottolinea la volontà di eBay
Classifieds Group di focalizzare la propria attenzione sull'innovazione per incrementare le proprie potenzialità
a favore del consumatore. "I pilastri della nostra strategia sono lavorare per massimizzare la customer
satisfaction e fornire un'esperienza utente impeccabile su qualunque dispositivo". Come ogni australiano
che si rispetti, Luke ama il rugby, del quale è grande appassionato e giocatore nel tempo libero, e seppur
fresco di nomina e in Italia da poco più di un mese, ha da subito familiarizzato con la nostra cultura, della
quale apprezza in particolar modo la cucina tipica, il vino, il caffè e la lingua musicale, che sta studiando con
passione. MF
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Kijiji ingloba eBay Annunci. Alla guida della potenziata struttura nominato
general manager Luke Miller
28/11/2014
Engage.it
Sito Web
Deloitte premia Widespace: è al 1° posto della classifica delle società a più
alto tasso di crescita del 2014 per la categoria "software"
La rilevazione della società si basa su una percentuale di incremento del fatturato annuo fiscale riferito agli
ultimi 5 anni. Durante questo periodo, il tasso di Widespace è cresciuto del 27930% collocando peraltro
l'azienda al 6° della classifica generale
Dopo aver conquistato la prima posizione in Svezia della classifica Deloitte "Sweden Technology Fast 50"
poche settimane fa, Widespace, azienda specializzata in mobile advertising, si aggiudica il 1° posto nella
categoria "software" della classifica Technology Fast 500 condotta da Deloitte e il 6° posto nel ranking
generale.La classifica fornisce una panoramica delle società dei settori tecnologia, media, telecomunicazioni
e "green" con il più alto tasso di crescita, private o pubbliche, in Europa, Middle East e Africa (EMEA). La
rilevazione si basa su una percentuale di crescita del fatturato annuo fiscale riferito agli ultimi cinque anni.
Durante questo periodo, il tasso di Widespace è cresciuto del 27930% collocando in questo modo l'azienda al
6° della classifica generale e al 1° nella sezione "software".«Raggiungere una delle prime posizioni della
classifica Technology Fast 500 EMEA di Deloitte è la dimostrazione della corretta intuizione e della forza
della nostra idea di business: pubblicità premium per dispositivi mobili. La combinazione dei nostri asset,
annunci che fanno vivere una ricca esperienza digitale, il corretto posizionamento dell'advertising rispetto al
contesto e al target di rifermento e la nostra tecnologia, favorisce il positivo impatto di un brand sui
consumatori. La nostra crescita è sostenuta da un costante sviluppo di nuove soluzioni tecnologiche, un
incessante focus sull'innovazione e dall'assunzione dei migliori esperti di questo mercato», dichiara Patrik
Fagerlund, co-fondatore e ceo di Widespace. Nata nel 2007, lo scors anno Widespace ha registrato un giro
d'affari di 15,8 milioni di euro; oggi conta 215 dipendenti e una presenza in 9 Paesi.Anche in Italia la filiale di
Widespace guidata da Filippo Gramigna - head of Partnerships - e Nicolò Palestino - head of Sales - sta
continuando a crescere grazie a nuovi accordi con i più importanti publisher nazionali. Decisivo il ruolo dei
primi clienti premium che hanno scommesso sulle potenzialità di Widespace e sono stati ricompensati dalle
ottime metriche di interazione tra utenti e formati pubblicitari.
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Tecnologia
28/11/2014
Engage.it
Sito Web
Consodata e Hic Mobile portano "Tutti in campo", con la nuova app
dedicata agli appassionati di calcio
La società conferma la scelta strategica di integrare sempre più le proprie soluzioni di comunicazione tra il
mondo on e off line caratterizzandole da elevata segmentazione socio-demografica e/o territoriale
Dopo il lancio della app "Mondiali do Brasil", Consodata entra di nuovo nel settore mobile marketing e lo fa
rinnovando la partnership con Hic Mobile, start up italiana operante nel local mobile display advertising, già in
squadra nell'avventura brasiliana.La nuova applicazione Tutti in campo, appena uscita, si segnala subito
come un must have per tutti i tifosi di calcio. Infatti, basterà un dito per seguire lo sport, minuto per minuto:
Serie A, Serie B, Lega Pro, Serie D, Premier League, Bundesliga, Liga, Ligue 1, Champions League ed
Europa League. La app non offre solo i risultati e le statistiche in tempo reale, ma anche un punto di vista
privilegiato su tutto quello che accade in campo: ammonizioni, sostituzioni, classifiche, calendari, formazioni,
marcatori fino alle notizie e curiosità sugli stadi.Consodata conferma così la scelta strategica di integrare
sempre più le proprie soluzioni di comunicazione tra il mondo on e off line caratterizzandole da elevata
segmentazione socio-demografica e/o territoriale. Da qui la scelta dei partner Hic Mobile, che ha curato lo
sviluppo tecnologico dell'applicazione, l'edizione dei contenuti e l'implementazione dei servizi di local mobile
advertising. Grazie a questa attività, ogni utente visualizza solo i banner pubblicitari che riguardano le attività
commerciali della sua zona. Tale segmentazione personalizzata dei messaggi promozionali consente di
raggiungere il territorio di interesse in modo mirato, massimizzando l'efficacia di ogni campagna.A breve
saranno disponibili nuovi aggiornamenti e contenuti sempre più ricchi e coinvolgenti per i tifosi.Tutti in Campo
è disponibile gratuitamente negli store di Apple e Android.
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Tecnologia
28/11/2014
Engage.it
Sito Web
Twitter monitora le applicazioni presenti sugli smartphone, per erogare
pubblicità più mirata
La nuova versione dell'app, che sarà rilasciata nelle prossime ore su iOS e la prossima settimana su Android,
analizzerà tutti i software installati sul dispositivo. Gli utenti potranno comunque cambiare impostazioni per
evitare il monitoraggio
Twitter monitorerà le applicazioni presenti sugli smartphone delle persone che usano il suo social
network.L'azienda di San Francisco ha annunciato ufficialmente che la nuova versione della sua app per
smartphone, che sarà rilasciata nelle prossime ore su iOS e la prossima settimana su Android, analizzerà
tutte le app installate sul dispositivo per fornire all'utente un'esperienza ancora più personalizzata. Detto in
altre parole, offrire suggerimenti ad hoc sugli account da seguire, segnalazioni di tweet di utenti al di fuori
della propria cerchia, ma anche e soprattutto annunci pubblicitari più mirati.La funzione di chiama App Graph
e prevede, come Twitter bada a specificare, che ad essere analizzata sia solo la lista di app installate e non i
dati contenuti all'interno delle applicazioni. Gli utenti saranno comunque informati della novità, e potranno
cambiare impostazioni per evitare il monitoraggio, disabilitando la voce "Twitter personalizzato in base alle
mie app".Nonostante questo, in rete naturalmente non manca chi sta esprimendo preoccupazioni sulla
privacy rispetto all'adozione di questa nuova funzione.
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Tecnologia
28/11/2014
Engage.it
Sito Web
Filippo Vizzotto, Mobvious: «Giro d'affari quasi raddoppiato nel 2014 con
Shazam for tv» (VIDEO)
La soluzione pubblicitaria che sfrutta la popolare app di music discovery piace ai clienti: già 25 campagne
realizzate nel nostro Paese
«Quando stai ascoltando una canzone ma non ti ricordi il titolo puoi aprire Shazam, avvii l'ascolto e l'app ti
dice nome della traccia e dell'artista. Lo stesso accade con la tv: quando stai guardando uno spot e va in
onda una call to action che ti invita ad utilizzare Shazam, puoi aprire l'app, avviare l'ascolto e ottenere diversi
vantaggi come contenuti extra, maggiori informazioni o promozioni. Il meccanismo è sempre lo stesso e si
basa sul bisogno di maggiori informazioni, l'avvio di una interazione e la ricezione di una risposta».Così
Eyabo Macauley, head of sales di Shazam EMEA, spiega il concetto alla base di Shazam For Tv, la funzione
che ha reso l'app di music discovery più diffusa nel mondo (500 milioni di utenti), anche una potente
piattaforma per operazioni di comunicazione cross-screen.La soluzione ha avuto un buon riscontro anche in
Italia, con clienti importanti tra cui Wind, Banca Intesa e diversi altri, come conferma Filippo Vizzotto, country
manager di Mobvious, lo spin off di Gruppo Hi-Media dedicato al mobile advertising che commercializza la
soluzione in esclusiva nel nostro Paese.«Abbiamo lanciato in Shazam For TV a maggio 2013 e abbiamo fatto
25 campagne in Italia, con 18 clienti diversi», afferma il manager. «Shazam è un tech-enebler, che permette
l'estensione dell'esperienza dello spot tv all'interno dello smartphone». Grazie a questa importante soluzione,
e non solo, Mobvious si appresa a chiudere il 2014 con «un giro d'affari quasi raddoppiato sul 2013», afferma
Vizzotto
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Tecnologia
28/11/2014
11:49
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Sito Web
Tutte le News
Il 10 dicembre eBay Annunci convergerà con Kijiji per costituire l'unico sito di annunci online del gruppo eBay
in Italia. La decisione è stata presa da una parte per sgomberare il campo da possibili confusioni con il
marketplace storico di eBay e dall'altra per poter concentrare gli sforzi di sviluppo, aumentando la potenza di
fuoco del brand. Presente in Italia dal 2005, Kijiji - che in lingua swahili vuol dire villaggio - è stato il
precursore del mercato degli annunci online. Quarto sito nel comparto eCommerce a livello nazionale, con 36
milioni di visite al mese ed un aumento della raccolta pubblicitaria del 26% negli ultimi 6 mesi, Kijiji.it integra
l'eredità in termini di utenza ed esperienza maturata da eBay Annunci dal 2009 ad oggi e si proietta in avanti
con un focus sull'innovazione, i cui risultati si vedranno soprattutto il prossimo anno. Per celebrare questa
unione, Kijiji ha lanciato un contest con Userfarm per la realizzazione di un video virale - dal titolo Piacere,
Kijiji - che valorizzi il brand e le sue potenzialità per i consumatori, i cui vincitori verranno annunciati alla fine
di gennaio 2015. A guidare la nuova potenziata compagine di Kijiji in Italia è Luke Miller, veterano del gruppo
già in forza ad eBay Australia (suo Paese natale), Shopping.com, Marktplaats in Olanda e precedente
country manager di Gumtree Sud Africa. Condividi
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eBay Annunci diventa Kijiji
28/11/2014
11:46
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Sito Web
Tutte le News
Bayer ha scelto Microsoft Advertising e Msn.it per raccontare su web l'innovazione della Nuova Aspirina
Dolore e Infiammazione - approdata da poco anche in Italia - che, grazie alla tecnologia MicroActive, svolge
la propria attività analgesica in metà tempo rispetto a una compressa tradizionale da 500mg. L'azienda ha
scelto l'home page di Msn e il canale verticale Health & Fitness per rafforzare la brand awareness della
nuova Aspirina all'interno di un contesto qualitativo, in sintonia col posizionamento del proprio brand. La
campagna realizzata da Bayer ha offerto un'esperienza unificata, sia da browser che da app. In particolare,
l'azienda ha sponsorizzato la home page di Msn nella giornata del 27 ottobre con il formato 300×600 floating
ed è stata presente per una settimana sul vertical Health & Fitness - dal 27 ottobre al 2 novembre - con i
formati 728×90 e 300×250 below the fold. Grazie alla sua doppia anima - media digitale e strumento
multimediale per eccellenza - Msn.it si è configurato infatti come lo strumento perfetto per valorizzare le
novità targate Aspirina, veicolando contenuti creati ad hoc in grado di raggiungere nel modo più efficace un
segmento di consumatori specifico. "Siamo entusiasti che Bayer abbia scelto Microsoft Advertising per
comunicare sul web la nuova Aspirina Dolore e Infiammazione, scommettendo sulle potenzialità del nuovo
Msn e riconoscendo le opportunità di un approccio integrato e multi-screen. La nuova piattaforma costituisce
infatti il contesto ideale per raccontare al meglio la storia del brand Aspirina, una storia fatta d'innovazione e
progresso, che viene declinata attraverso i canali tematici verticali e l'home page, al fine di mettere in risalto i
valori del brand e gli obiettivi del nuovo prodotto", commenta Christina Lundari (nella foto), Country Manager
di Microsoft Advertising per l'Italia. Mediacom Italia è il centro media che ha contribuito alla realizzazione di
questo progetto. Condividi
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Bayer racconta l'innovazione con Microsoft Advertising e Msn.it
28/11/2014
11:41
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Sito Web
Tutte le News
La condivisione diventa hub emozionale sia nella realtà che nell'universo social con la campagna Ferrero K
People realizzata da TLC Marketing Worldwide (www.tlcmarketing.com). Scegliendo e acquistando le
confezioni multipack degli snack Kinder, dal 1 ottobre 2014 al 31 gennaio 2015, il consumatore potrà
scegliere il suo premio sicuro tra esperienze uniche da vivere anche insieme agli amici. Gli snack del marchio
diventano pass per accedere subito a serate al cinema o ingressi in parchi a tema, piuttosto che lezioni di
sport per una settimana sino a partite a bowling presso una delle centinaia di strutture aderenti all'iniziativa e
consultabili sul sito www.k-people.it. Inoltre, accumulando i punti attraverso l'acquisto multiplo, si possono
raggiungere più soglie che consentono di accedere a diverse tipologie di premio. Partecipando al gioco online
, che permette di creare il proprio K Club, ogni gruppo di 5 persone potrà richiedere un photoshooting con
fotografo professionista, e partecipare all'estrazione mensile di fantastiche esperienze da vivere insieme. La
campagna promozionale è stata ideata da TLC Marketing a partire dallo studio iniziale del concept, al
planning strategico, sino all'implementazione e recruitment delle strutture. La comunicazione della campagna
è veicolata inoltre su tv e radio nazionali, oltre che su materiali POS, sito dedicato e pagine social (Facebook,
Instagram, Youtube). Condividi
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TLC Marketing firma la campagna Ferrero K People
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO
150 articoli
29/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
«Niente nomi di partito»
Francesco Verderami
«S
ono partigiano» sorride Berlusconi, nel senso che è di parte: «E partigianamente penso che prima venga
l'elezione del presidente della Repubblica e poi vengano le riforme». Renzi è servito, è proprio quello che non
voleva sentirsi dire .
Ma visto che il premier sulla legge elettorale aveva «modificato il patto in corso d'opera», il Cavaliere ha
deciso di prendersi la rivincita, e approfittando dell'imminente corsa per il Colle chiede ora di cambiare il
timing: intanto si stringa l'accordo sul prossimo inquilino del Quirinale, dopo si chiuderà l'intesa sull'Italicum e
le riforme costituzionali. È chiaro che non è più la stessa cosa.
Il leader di Forza Italia dà la sua spiegazione «partigiana» in un ritaglio di tempo tra la rituale visita
settimanale al Milan e un appuntamento «dove sto arrivando in ritardo». E il quadro che delinea, a suo
giudizio, impone il cambio di programma: «Il Paese vive una situazione preoccupante che non so quanto
venga percepita fino in fondo. Siamo in un sistema politico che non è democratico, siamo in presenza di una
crisi economica strutturale. E nel bel mezzo di questo contesto cade l'elezione del nuovo capo dello Stato.
Perciò credo che si debba mettere subito in sicurezza la massima carica dello Stato».
E va fatto «insieme», ripete Berlusconi: «D'altronde, con le Camere per metà delegittimate da una sentenza
della Corte costituzionale e per l'altra metà non rappresentative del reale peso delle forze politiche, credo non
si possa prescindere da una scelta condivisa sul presidente della Repubblica, così da garantire un minimo di
equilibrio e - mi permetto di aggiungere - di credibilità istituzionale». Traduzione: se il prossimo capo dello
Stato non fosse il frutto di una scelta condivisa, sarebbe per il Cavaliere una figura delegittimata.
Sui motivi che hanno spinto Napolitano ad annunciare il suo addio non vuol parlare, «su certe cose al
momento non sono nelle condizioni di parlare. Un giorno forse...». Piuttosto è interessato a delineare il profilo
della personalità che vorrebbe vedere al soglio laico della Repubblica: «Una persona che non sia di parte,
che non venga da una parte sola. Questo è il mio auspicio». Pochi giorni fa ha pubblicamente espresso la
sua contrarietà a figure «di partito». Un veto che è sembrato abbattersi su esponenti del Pd come Veltroni e
Fassino. «In effetti è così», risponde Berlusconi dopo aver ascoltato quei nomi. «Ma i nomi non voglio farli
io». Non ce n'è bisogno. «Io spero che ci venga proposto qualcuno che possa essere votato anche da noi».
Dunque non ha senso una domanda su Prodi... «Beh, se non mi viene fatta...». Perché se gliela facessero...
«Se me la facessero risponderei che Prodi già mi vuole tanto male, e quindi vorrei evitare di dire cose che
potrebbero peggiorare ancor di più i nostri rapporti. Se penso al caso De Gregorio...». Il nome evoca la storia
della transumanza del senatore dipietrista, che dal centrosinistra sarebbe passato al centrodestra in cambio
di denaro. Di Berlusconi. «Una storia solo politica che per attaccare me è stata trasformata in un processo».
No, non è su Prodi che può combaciare l'identikit per il Quirinale del Cavaliere. Mentre su Amato... «Amato
invece rientra in quel profilo». Per il giurista c'è sempre una nomination di Berlusconi ogni qualvolta parte la
corsa per il Colle.
Stavolta, però, il Palazzo si prepara a una competizione senza rete, il Parlamento sembra la Jugoslavia del
dopo Tito, e il rischio è che - di votazione in votazione - si incendi il Parlamento, condannando la politica alle
fiamme della delegittimazione. «Proprio per evitare un simile scenario - secondo l'ex premier - sarà
indispensabile trovare un candidato al Quirinale che per storia, prestigio, personalità ed equilibrio, attiri il voto
convinto dei grandi elettori. Serve un presidente della Repubblica che rappresenti il popolo italiano. Serve un
presidente della Repubblica di tutti gli italiani».
L'enfasi oratoria del Cavaliere è un peso che sembra gettato sulle spalle di Renzi, a cui tocca l'onere di
proporre un metodo che smini il sentiero dalle vendette trasversali consumate all'ombra del voto segreto. Non
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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SETTEGIORNI
29/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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è così, perché Berlusconi si riconosce nel ragionamento del premier, secondo cui «un fallimento sarebbe il
fallimento di tutti»: «Renzi deve dare garanzie sul percorso. E ritengo che lo farà. Poi però servirà la
responsabilità di tutti». La mano tesa verso il leader del Pd richiama al Patto del Nazareno, all'accordo «che
noi di Forza Italia abbiamo stipulato sulle riforme, in modo da modernizzare il Paese, da dargli un assetto
bipolare, con istituzioni capaci di funzionare, con un sistema elettorale che consenta a un governo di durare
per la legislatura. In fondo, è un patto con noi stessi, visto che queste riforme il centrodestra le varò ma
vennero abrogate dalla sinistra con un referendum».
Quanto sia rimasto del Patto originario stretto da Renzi e Berlusconi non è dato sapere. Ma se in politica
esiste la categoria della fiducia, il Cavaliere dice «ancora» di riporla verso il leader del Pd: «Io parto sempre
da un atteggiamento di fiducia nei confronti dei miei interlocutori. E non ho motivo di non applicare questo
atteggiamento verso il presidente del Consiglio». Ora però attende di conoscere la sua mossa. Ed è
fortunato, visto che i Cinquestelle si sono spaccati e il Pd non potrà trovare per il Colle sponde nei grillini.
«Abbiamo tutti dei problemi in casa», sospira: «Leggo anche oggi sulle agenzie di stampa dichiarazioni da
vecchia politica. Politica democristiana». La rasoiata a Fitto, mentre parla di Quirinale, non la vuole
risparmiare.
Ma evocando le divisioni in casa propria, Berlusconi ripropone il problema dei numeri necessari a formare
una maggioranza per il Colle. E se la politica non ci riuscisse, sarebbe Draghi l'ultima risorsa? Perché
l'identikit tracciato dal Cavaliere sembra un indizio che porta fino a Francoforte. «Mi risulta che il presidente
della Bce abbia fatto sapere di non essere disponibile». Anche Napolitano, disse di non voler fare il bis, prima
che il Palazzo lo richiamasse a gran voce: «Al momento per Draghi la situazione è questa».
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Le tappe
A ottobre Renzi chiede di modificare la legge elettorale nata dal patto del Nazareno siglato con Berlusconi Il
leader di FI incontra Renzi il 12 novembre: per Berlusconi il patto regge ma non accetta le modifiche
all'Italicum su sbarramento e premio di lista L'intesa con Renzi non piace a tutti in FI. Ma il leader ribadisce:
restiamo in partita sulle riforme, anche in vista del voto per il Colle
Foto: A febbraio
Silvio Berlusconi nella Loggia d'onore del Quirinale dopo le consultazioni con il presidente Napolitano
lo scorso 15 febbraio
29/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
«Renzi guarda al passato La Terza Via non serve più»
Paolo Valentino
«Fu positiva, anche per l'Italia. Ma 15 anni fa: oggi non ha nessun significato». Massimo D'Alema boccia il
ritorno alla Terza Via di cui nel 1999 fu protagonista con Clinton e Blair. Lo «sforzo di far incontrare i principi
del socialismo con una visione di tipo liberale» oggi non serve. «Trovo incredibile che - dice l'ex premier - per
offrire un retroterra teorico nobile al governo Renzi si faccia un'operazione anacronistica».
a pagina 9
ROMA Presidente D'Alema, siamo in piena rievocazione della Terza Via. Lei ne è stato uno degli iniziatori,
nel 1999, con il vertice di Firenze. Quale è il suo significato attuale?
«Nessuno. In tempi recenti sono state avanzate critiche anche aspre di quella esperienza: troppo liberismo,
troppe concessioni alla deregulation. Ma cosa fu la Terza Via? All'indomani della caduta del muro di Berlino,
quindi in un clima di grande mutazione, fu lo sforzo di far incontrare i principi del socialismo con una visione di
tipo liberale. Penso ancora oggi che abbia avuto un impatto positivo, sia pure con effetti contraddittori che
non possono essere nascosti. Ma è un'esperienza di 15 anni fa. Allora diede i suoi frutti, anche nel nostro
Paese. Fu la sinistra al governo che, sulla base di quella visione, ridusse drasticamente la presenza statale
nell'economia, avviò le grandi privatizzazioni, lanciò le liberalizzazioni poi continuate nel lavoro di Bersani,
riformò le pensioni. Pose fine a una politica di deficit spending, tanto che noi portammo il debito pubblico dal
127 al 102% del Pil, realizzando sistematicamente un avanzo primario del 3% e liberalizzò il mercato del
lavoro, per certi aspetti perfino troppo, visto che si produssero forme contrattuali che poi sfociarono in una
eccessiva precarizzazione. Quindici anni dopo, i problemi sono completamente diversi. Bill Clinton, non un
pericoloso estremista, ha scritto tre anni fa un libro, Back to work , sostenendo che il principale limite di quella
esperienza fu di aver sottovalutato il ruolo dello Stato. La Terza Via fu pensata in una prospettiva ottimistica
della globalizzazione, che si è rivelata fallace. L'eccesso di liberalizzazione ha portato a enormi
diseguaglianze sociali, a grave instabilità economica e, in ultima analisi, alla crisi del 2008».
La Terza Via corresponsabile della crisi del 2008?
«Guardi che la deregulation finanziaria, il "liberi tutti" per banche e speculatori, in America, la fece Clinton, lui
stesso lo ha riconosciuto. Quello che io trovo incredibile è che, nel tentativo di offrire un retroterra teorico
nobile al governo Renzi, oggi si faccia un'operazione anacronistica. Chi ci spiega che la velocità del mondo,
le nuove tecnologie impongono il cambiamento poi ci propone una piattaforma ideologica della fine del secolo
scorso come la Grande Novità di oggi. Sul piano culturale è sconcertante. Primo, la riduzione del ruolo dello
Stato era il tema di vent'anni fa. Secondo lo abbiamo fatto. In qualche caso forse troppo. Terzo, alcuni dei
protagonisti riflettono criticamente su quell'esercizio. Oggi tutto il pensiero economico ruota intorno ad altri
tempi. Ci sono Stiglitz, Piketty, Krugman. Il Financial Times ha dedicato una pagina intera al libro della
Mazzuccato sulla necessità di riscoprire il ruolo dello Stato come forza propulsiva dello sviluppo. Quelli che
invocano la Terza Via sembra abbiano saltato le letture degli ultimi 10 anni, ammesso che avessero fatto
quelle precedenti».
E qual è invece il dibattito giusto?
«La crisi di oggi ha radici nella debolezza della politica e dell'azione pubblica, sia a livello europeo sia
nazionale. E non si può uscirne senza politiche in grado di promuovere gli investimenti, anche pubblici. Altro
che meno Stato. La crisi ha evidenziato i limiti dell'approccio liberista e ha messo la politica di fronte alla
responsabilità di promuovere gli investimenti e ridurre le diseguaglianze. La crisi europea si caratterizza
soprattutto come crollo della domanda interna. Oggi l'Europa è esportatore netto, malgrado l'euro. Ma il
problema è il crollo dei consumi europei che deriva da un impoverimento delle classi medie e del mondo del
lavoro».
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Intervista con D'Alema
29/11/2014
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Lei sta contestando la necessità delle riforme strutturali, che ci chiedono la Commissione, la Banca centrale
di Mario Draghi, a cominciare da quella in corso del mercato del lavoro, per dargli più flessibilità?
«Secondo i dati Ocse, non miei, il mercato del lavoro è più flessibile in Italia che in Germania e in Francia. In
ogni caso, trovo stravagante e incomprensibile che oggi, con i dati economici peggiori dell'eurozona, sia la
riforma elettorale la priorità di un governo che dice di voler rimanere in carica fino al 2018. Non credo che
l'Europa ci chieda questo. Detto ciò, la riforma del mercato del lavoro contiene molti aspetti positivi, io sono
favorevole al contratto unico a tutele crescenti perché riduce la precarietà del lavoro. Ma contesto il fatto che
la nuova generazione di occupati non possa accedere alla tutela dell'articolo 18, che invece rimane per i
lavoratori già assunti. A partire dai principi stessi enunciati dal governo, il meccanismo proposto introduce
quindi un elemento che li contraddice, fra l'altro stabilendo una diseguaglianza dei cittadini di fronte alla
legge, dubbia sotto il profilo costituzionale. Inoltre non credo che, approvato il Jobs act, arriveranno
investimenti a pioggia o cresceranno tumultuosamente i posti di lavoro».
Quali dovrebbero essere le priorità di un governo di sinistra?
«La riforma dello Stato, delle amministrazioni, compreso il funzionamento della giustizia, la sicurezza. A
livello europeo, la prima riforma dovrebbe essere quella dei mercati finanziari. Cominciamo, per esempio, a
stabilire che all'interno dell'eurozona non sia possibile la concorrenza fiscale. Non possiamo scoprire solo ora
che il Lussemburgo è un paradiso fiscale, magari per indebolire Juncker e con lui la nuova Commissione».
E come la mettiamo con i nostri obblighi, quelli che ci impongono i Trattati?
«Sono convinto che l'austerità come premessa della crescita sia una ricetta sbagliata».
Ma su questo c'è accordo. Il governo Renzi si è battuto per cambiare i termini dell'equazione, privilegiando la
crescita.
«C'è accordo a parole. Nella sostanza siamo di fronte solo ad annunci. Dei 300 miliardi del piano di
investimenti di Juncker pare ce ne siano solo 21. I segnali di cambiamento sono estremamente timidi.
Siccome non c'è più flessibilità nella moneta, si continua a premere su misure di contenimento dei salari. Il
punto vero è questo. Ma questa politica è all'origine del crollo del mercato interno europeo. Tanto è vero che
oggi perfino in Germania si apre un dibattito: gli industriali tedeschi mettono in guardia da un eccessivo
contenimento dei salari. All'ultimo G20 lo snodo centrale è stata la polemica tra Obama e la Merkel sulla
politica dell'austerità: è Obama che ha detto alla cancelliera che l'Europa deve spendere più nella crescita. È
questo il vero ostacolo alla ripresa, non l'articolo 18».
Siamo alla fine della presidenza semestrale italiana dell'Unione Europea. Che bilancio ne fa?
«Devo dire che, anche per ragioni oggettive, le vicende della Commissione, la battaglia sulle nomine, non mi
pare abbia lasciato un segno così indelebile nella storia dell'Unione Europea».
Paolo Valentino
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La storia
La Terza Via fu il tentativo, portato avanti dai capi di Stato e di governo progressisti che alla fine degli anni 90
si trovarono a guidare alcune tra le maggiori democrazie occidentali (da Clinton negli Stati Uniti a Blair in
Gran Bretagna, Schröder in Germania e D'Alema in Italia), di conciliare il capitalismo liberale, con la sua fede
nei meriti del libero mercato, e il socialismo democratico, sostenitore dell'intervento dello Stato nella società e
nell'economia
Foto: Da sinistra, l'allora premier francese Lionel Jospin, quello italiano Massimo D'Alema, il presidente Usa
Bill Clinton, il premier britannico Tony Blair e (di spalle) il presidente brasiliano Henrique Cardoso e il
presidente della Commissione Ue Romano Prodi alla cena di gala per il meeting tra capi di Stato e di governo
progressisti a Firenze (Olycom) Il presidente del Consiglio Matteo Renzi (di spalle) a cena mercoledì scorso a
Palazzo Chigi con Tony Blair. A destra dell'ex premier britannico, il ministro per la Pubblica amministrazione e
la Semplificazione Marianna Madia e, alla sua sinistra, il ministro per le Riforme e i Rapporti con il Parlamento
Maria Elena Boschi ( Epa )
29/11/2014
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Italia a crescita zero Nuovo record dei senza lavoro
Frischia
I disoccupati sono 3,4 milioni, pari al 13,2%: il peggior dato dal 1977, quando sono iniziate le serie Istat. A
sorpresa, però, crescono gli occupati: più 122 mila dall'ottobre 2013. E per il governo sono 400 mila i nuovi
posti fissi nell'ultimo trimestre. Nello stesso periodo l'Istat indica però stagnazione con crescita attesa pari a
«zero». a pagina 11
ROMA Sono 3,4 milioni i cittadini senza un lavoro, 90 mila in più rispetto a settembre. L'Istat rivela una
disoccupazione ai massimi storici dal 1977, pari al 13,2% a ottobre. Tra i giovani in 700 mila under 25
cercano lavoro (il tasso sale al 43,3%). A sorpresa, però, c'è una sostanziale e progressiva crescita degli
occupati: più 122 mila tra ottobre 2013 e lo stesso mese di quest'anno. Se si paragonano i dati della
disoccupazione nazionale a quelli dell'eurozona, l'Italia ha il peggior valore dopo Spagna e Cipro (e tra i
giovani solo in Spagna hanno un dato più negativo del nostro). L'economia, inoltre, è ancora ferma: l'Istat
indica stagnazione nell'ultimo trimestre del 2014 con crescita attesa pari a «zero», con un intervallo di
confidenza compreso tra più 0,2 e meno 0,2%. L'anno si dovrebbe chiudere con un calo dello 0,3%. E se la
stima della crescita «zero» dovesse trascinarsi per tutto il prossimo anno, il Pil nel 2015 avrà un segno
negativo (meno 0,1% rispetto al 2014).
Ma dal governo arrivano segnali positivi: sono 400 mila i nuovi posti fissi (più 7,1% nel terzo trimestre
dell'anno rispetto allo stesso periodo del 2013) soprattutto nell'industria e nell'agricoltura, secondo
un'anticipazione del ministero del Lavoro. Come possono aumentare sia i disoccupati che gli occupati?
L'apparente contraddizione è spiegata dal fatto che l'incremento del tasso di disoccupazione va messo in
relazione alla crescita di chi cerca lavoro: infatti gli inattivi calano di 377 mila unità, per l'Istat, perché più
cittadini provano a non rimanere con le braccia incrociate.
Continua pure la deflazione: i prezzi sono scesi dello 0,2% a novembre rispetto a ottobre mentre sono saliti
dello 0,2% nei confronti di novembre 2013. Il carrello della spesa (beni più acquistati) ha subito un rincaro
dello 0,5% su base annua e dello 0,1 rispetto a ottobre. Ancora giù (come succede dall'inizio del 2013) i
prezzi alla produzione dei prodotti industriali che scendono a ottobre dello 0,4% se paragonati con quelli di
settembre e dell'1,2% su base annua. Intanto i ministeri del Lavoro e dell'Economia varano un decreto che
stanzia altri 503 milioni per il finanziamento della cassa integrazione e della mobilità in deroga fino a fine
anno. Dall'Irpinia il premier Matteo Renzi prova a vedere il bicchiere mezzo pieno: «Il tasso di disoccupazione
ci preoccupa, ma guardando i numeri il dato di occupati sta crescendo. Da quando ci siamo noi ci sono più di
100 mila posti di lavoro in più». Poi aggiunge: «La disoccupazione è un problema che non ci fa dormire la
notte: chi la nega è da ricoverare». Critiche roventi invece da Renato Brunetta (FI): «L'Istat certifica il disastro
lavoro, che, dopo 9 mesi di governo, può ben dirsi il disastro Renzi». Serena Sorrentino (Cgil) rincara la dose:
«Se non riparte il lavoro, il Paese non cresce: serve un piano del lavoro». Più duro Fabio Rampelli (Fdi-An):
«Dopo questo nuovo fallimento, Renzi si dimetta». Se il presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi, dice
di non essere sorpreso dai dati della disoccupazione perché «basta guardarsi in giro», Maurizio Sacconi
(Ncd) ammette: «Siamo preoccupati: servono più liquidità e flessibilità». Taglia corto il sottosegretario
Graziano Delrio: «Le chiacchiere stanno a zero: i posti di lavoro aumentano». Da parte sua, il ministro del
Welfare, Giuliano Poletti, sottolinea: «L'andamento del mercato segue quello altalenante di un'economia dove
i segnali di ripresa debbono ancora fare i conti con una lunga crisi». E Filippo Taddei (Pd): «La riforma del
Jobs act ha questo tra i principali obiettivi: favorire l'ingresso nel lavoro stabile».
Francesco Di Frischia
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I dati
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Pil, rallenta il calo. 400 mila posti fissi in Più
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L'Istat
ha reso noti
ieri i dati sull'andamento della disoccupazione che si è attestata al 13,2 per cento anche se nell'ultimo
trimestre sono stati creati
400 mila
posti di lavoro Recessione, nel 2015 l'Istat stima una crescita negativa per
lo 0,1 per cento anche per il prossimo anno
43,3 per cento
è il tasso di disoccupazione dei giovani secondo l'Istat
122 mila
la crescita degli occupati tra ottobre 2013 e ottobre 2014
377 mila il calo
degli inattivi, cioè quelli che non hanno
un lavoro e
non lo cercano
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Carta bianca ai cinque fedelissimi: ambasciatori anche con il Pd
Il piano in cantiere da mesi: l'obiettivo di dare al movimento una struttura «più politica»
Emanuele Buzzi
MILANO Una svolta improvvisa, sì, ma maturata da tempo. Fin dallo scorso marzo, con i primi apprezzamenti
pubblici a Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista. L'idea del «direttorio» a Cinque Stelle nasce in primavera, in
un momento difficile per il Movimento - la campagna elettorale per le Europee alle porte e i problemi di salute
di Gianroberto Casaleggio, oltre a uno scenario politico mutato con il governo Renzi - e prosegue, si sviluppa
nei mesi. A Roma da tempo si parla della «necessità di una struttura organizzativa», come la definisce uno
dei fedelissimi. Un domino ramificato - questo il quadro che viene esposto da fonti vicine al Movimento - che
non dovrebbe fermarsi al solo direttorio.
La «fase 2.0» dei Cinque Stelle è e vuole essere «più politica» sin dalla forma. «Più snelli, più coesi», recita
un ortodosso. E nei fatti questo si traduce anche con una struttura gerarchica più rigida, più simile ai modelli
dei partiti, tanto odiati dal popolo pentastellato. Ecco allora i «Cinque vice» (un triumvirato campano e un duo
del Lazio, come a voler spostare anche gli assetti geografici del Movimento), ma non solo. In questi giorni a
Milano, negli uffici della Casaleggio associati,ci sono stati contatti e sono transitati alcuni parlamentari ed
esponenti locali (in primis Nicola Morra e Massimo Bugani), ma anche - appunto - gli stessi Di Maio e Fico. E
nei prossimi giorni sono attesi altri pentastellati. Filo conduttore: le Regionali, sia quelle appena trascorse sia
quelle in programma nel 2015.
I fondatori puntano sul rilancio. Ecco allora i parlamentari come «referenti per il territorio» - dice una fonte -:
un modo anche per placare l'emorragia di liti tra i meet-up locali e creare un «filo diretto con quello che
accade a Roma». Oltre all'organizzazione, rispunta l'agenda dei temi. Sono allo studio nuove strategie per
contrastare il ritorno prepotente della Lega al Nord, senza però snaturare il Movimento. Ma non solo, sarà
rivendicato un «maggior pragmatismo» in vista delle prossime elezioni, forse già nella selezione dei candidati.
E proprio in questo contesto entra il nuovo direttorio: i cinque vice saranno, di fatto, gli ambasciatori dei
pentastellati, i mediatori per i problemi interni (sia della base sia dei parlamentari) e, in seconda battuta (dopo
i passaggi del caso sulla Rete) per eventuali trattative con «metodo 5 Stelle» con altri partiti, Pd in primis.
Saranno, insomma, un cuscinetto nelle scelte e nelle noie che affliggono i leader. «I ruoli e le strutture di
Camera e Senato non cambieranno», assicurano nel Movimento, spiegando che «quello del direttorio è un
organismo indipendente». Grillo e Casaleggio - viene ribadito - «sono e restano patrimonio dei Cinque Stelle,
loro continueranno a gestire l'attività». Non è stata ancora rivelata la durata del mandato, che «potrebbe
anche non avere limiti temporali». Ma i programmi del direttorio passeranno per forza dal confronto-scontro
con i dissidenti.
Ieri sera la riunione fiume dell'ala critica - anche qui una trentina i presenti - si è conclusa con un nulla di
fatto. Intanto all'orizzonte c'è l'assemblea che dovrebbe ratificare le ultime espulsioni. Lì, probabilmente, ci
sarà la resa dei conti. Quello che è certo è che un possibile strappo porterebbe a un distacco di una parte
significativa della base in alcune regioni. E anche i meet-up si stanno dividendo: alla kermesse organizzata
da Federico Pizzarotti a Parma il prossimo 7 dicembre sono attesi rappresentanti degli attivisti dei principali
capoluoghi, Genova compresa, e in alcune regioni si stanno organizzando pullman per partecipare
all'incontro .
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91,7 la percentuale dei voti favorevoli, ieri sul blog di Grillo, al nuovo direttivo del M5S: 34.050
i sì, su 37.127 votanti in totale
I profili
Ecco chi sono i cinque incaricati
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Il retroscena
29/11/2014
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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da Grillo come coordinatori del Movimento, decisione
poi ratificata dalla Rete 1) Alessandro
Di Battista, 36 anni, romano, deputato, già collaboratore del blog di Grillo, è stato cooperatore
in Centro
e Sudamerica 2) Luigi Di Maio, 28 anni, di Avellino, è vicepresidente della Camera. Quando ha concluso la
kermesse del Circo Massimo, a ottobre, si è parlato di lui come leader del M5S 3) Roberto Fico, 40 anni,
napoletano, deputato,
è presidente della commissione parlamentare di Vigilanza Rai da giugno 2013 4) Carla Ruocco, 41 anni, di
Napoli, deputata, è stata revisore contabile per Ernst & Young. Alla Camera è vicepresidente della
commissione Finanze 5) Carlo Sibilia, 28 anni, di Avellino, deputato. È segretario della commissione Esteri.
Coinvolto
in polemiche per alcune affermazioni: tra cui l'aver negato che lo sbarco sulla Luna fosse mai avvenuto
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La predicatrice di Istanbul: «Non c'è nulla in comune fra l'Isis e noi
musulmani»
Farian Sabahi
ISTANBUL «L'Isis non ha niente a che vedere con l'Islam: terrorismo e religione non possono condividere
nulla. I sufi non prenderebbero a calci nemmeno un pezzo di legno, per noi è inconcepibile fare violenza ad
altri esseri umani!».
Sessantatré anni, Cemalnur Sargut è un'asceta. Magrissima, vestita di bianco, accoglie i discepoli al piano
terra di una palazzina nel quartiere asiatico di Kadiköy. Allieva del maestro sufi Ken'an Rifai che negli anni
Venti predicava l'umiltà, è sunnita ma preferisce non soffermarsi sulle differenze settarie. Attrae folle
numerose di turchi più o meno giovani, interviene a dibattiti internazionali facendosi portavoce di un Islam al
tempo stesso tradizionale e aperto alla modernità.
Lei è spesso in televisione, comunica tramite Facebook e Twitter: quanto sono importanti i social network?
«Sono gli strumenti che Dio mi ha dato».
Lei accoglie le discepole senza pretendere una conversione radicale. Non impone il velo, che lei stessa
indossa solo per pregare...
«Il Corano invita le donne a coprire le parti belle senza precisare quali siano. Per me è il seno, dopotutto
pregando congiungiamo le mani sul petto. Ma non critico la donna che copre i capelli con il foulard pensando
che quella sia la strada verso Dio».
Che cosa pensa dei diritti delle donne nell'Islam?
«Di fronte a Dio siamo tutti uguali».
E nel mondo terreno?
«Uomo e donna sono come un paio di scarpe: diverse e complementari, hanno necessità l'una dell'altra. Ma
non possono essere uguali».
La poligamia?
«È una scelta sbagliata. Nel Corano è circostanziata alle guerre, ed è comunque sconsigliata».
Quale può essere il contributo del sufismo ai problemi di oggi?
«È la soluzione ai mali del mondo laddove oggi tanti musulmani si limitano ad applicare la sharia (legge
islamica) senza capire e senza amare Dio».
Quale ruolo ha la sharia per i sufi?
«Abbiamo bisogno di disciplina, per svegliarci e pregare, ma non dobbiamo pregare come animali. In fin dei
conti Dio non ha bisogno delle nostre preghiere, deve essere un modo per controllare il nostro ego. Questa è
la nostra jihad».
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Foto: Asceta
Cemalnur Sargut, 63 anni, predicatrice sufi,
è allieva del maestro Ken'an Rifai
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Il colloquio
29/11/2014
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Fischer e Letta: «L'Europa fallirà se non fermiamo i neo-nazionalismi»
Sara Gandolfi
MILANO «L'Europa ha una terra promessa da raggiungere. Non è lontana, la vediamo. Ma ora che ci
troviamo davanti al Giordano gli elettori stanno guardando indietro. Verso il deserto, verso i nazionalismi.
Bisogna tornare a parlar loro di quella promessa». Attinge nientemeno che alla Bibbia Joschka Fischer,
«padre» dei Grünen ed ex ministro degli Esteri della Germania, per raccontare la sfida che attende la politica
filo-europeista, «finora colpevole di silenzio», ed evitare il peggio.
«L'Europa fallirà?». E' partito da questa domanda, diretta e provocatoria, l'incontro organizzato ieri dalla
Fondazione del Corriere , introdotto dal presidente Piergaetano Marchetti e moderato dall'inviato Paolo
Valentino, che ha messo a confronto Fischer e l'ex presidente del Consiglio italiano Enrico Letta.
«Il lato oscuro di tutti noi è il nazionalismo. Una minaccia pericolosa, che Berlino non ha capito: l'austerità sta
spingendo la crisi dal piano economico a quello politico», sostiene Fischer, che sul tema ha da poco dato alle
stampe il saggio Scheitert Europa? (L'Europa fallisce?). E' una denuncia delle politiche imposte da Frau
Merkel agli alleati - «un errore fatale» - che però non assolve gli altri: l'Italia, anche, «che è stata a lungo
assente dall'Europa», e tutti i partiti europeisti, che «nelle varie elezioni nazionali sono rimasti in silenzio sui
temi europei, lasciando parlare i nazionalisti».
E' una tesi condivisa da Letta che, dopo aver elogiato il «coraggio da leone» di Mario Draghi in un'Eurocrazia
dove «comanda la Germania», ha sottolineato come «dai prossimi cinque anni dipende il futuro dell'Europa,
che può oggettivamente fallire se non si cambia il mood negativo», e cioé si riconquista quel 25% di elettori
che in Francia come in Italia guarda al nazionalismo. La risposta passa dunque sicuramente dalla Germania
che, riconosce Fischer, ha «un grosso problema ad accettare un ruolo di leadership in Europa», ma anche
dall'Italia che, ribatte Letta, «ha un ruolo potentissimo e deve giocarlo».
L'approdo finale dell'Europa, per il tedesco, non può che essere l'integrazione politica, o meglio una
Federazione sul modello svizzero in cui, almeno nella prima fase, il ruolo di governo non spetterà alla
Commissione - «chi la conosce?», dice provocatorio - ma al Consiglio europeo dei capi di stato e di governo.
Resta da vedere a chi toccherà il ruolo di Giosuè.
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Foto: Il «padre» dei Grünen Joschka Fischer
Foto: L'ex premier Enrico Letta
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Incontro al Corriere
29/11/2014
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Elkann: diverse opzioni sul tavolo. L'amministratore delegato Felisa resta Della Valle «Il presidente di Fca non
ha incarichi operativi in Rcs per parlare di gestione» Il presidente Fca «In Rcs Mediagroup Jovane sta
lavorando bene, non c'è ragione di cambiare chi lavora bene»
Raffaella Polato
MILANO «A oggi ci sono tante diverse ipotesi. Questa è una delle tante». Minimizza, John Elkann: «È tutto
ancora prematuro». Conferma però che sì, sul tavolo dello scorporo e successiva quotazione Ferrari c'è
anche la loyalty share : quell'«azione fedeltà», già introdotta in Fiat Chrysler Automobiles con il trasferimento
della sede legale ad Amsterdam, che premia i soci fedeli nel tempo con il meccanismo del voto multiplo.
Il presidente Fca è a Milano, a presentare il portale Eduscopio lanciato dalla Fondazione Agnelli (di cui è
vicepresidente) per offrire servizi agli studenti delle scuole medie. Le domande sui temi aziendali più caldi
sono però prevedibili. E se vanno da Exor a Rcs, con lo spazio per un omaggio al presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano («Ha dato grandissima stabilità al nostro Paese in questi anni complicati, mi
auguro che chi gli succederà sia all'altezza»), altrettanto prevedibilmente a tener banco è il futuro di
Maranello. Si comincia dall'ennesima rassicurazione sui vertici societari: con Sergio Marchionne presidente e
Amedeo Felisa amministratore delegato «il vertice è molto chiaro, non c'è in programma un cambio del ceo».
Si continua con il bond che Ferrari dovrebbe emettere per finanziare, in parte, il maxiassegno da 2,25 miliardi
destinato a Fca: poiché tutte le operazioni legate allo sbarco della «Rossa» a Wall Street sono in calendario
per il 2015, anche in questo caso qualsiasi ipotesi «è prematura». Si arriva, infine, alla questione clou. Una
delle ragioni - forse la più importante - per cui era stata scelta Amsterdam come sede legale di Fiat Chrysler è
il particolare meccanismo di voto multiplo. Vale per tutti gli «azionisti fedeli», naturalmente, ma a Exor
consente di blindare il controllo portando al 46% il peso assembleare del proprio 30%. Ovvio chiedersi se,
dopo lo scorporo con distribuzione gratuita di titoli Ferrari ai soci Fca e quotazione del 10%, lo stesso schema
non sia in agenda per Maranello. In teoria anche lì la maggioranza relativa è robusta. Ma non è blindata. La
holding di casa Agnelli avrà circa il 24%. Con il 10% dell'alleato Piero Ferrari arriva al 34%. E non è
sufficiente a mettere al riparo il «gioiello rosso» da possibili scalate. La loyalty share sarebbe l'evidente
soluzione. Però: spostare in Olanda anche la sede dell'italianissimo Cavallino rampante, simbolo per
eccellenza del nostro made in ? Molto, molto più complicato. E infatti: «È solo una delle tante ipotesi» ripete il
presidente di Fiat Chrysler e di Exor, escludendo tra l'altro che la holding intenda costruire attorno a
Maranello un polo del lusso. «Il nostro piano - aggiunge - è dare alla Ferrari ulteriori possibilità di svilupparsi
al meglio».
Altrettanto netto, Elkann lo è sul tema Rcs Mediagroup, editore del «Corriere della Sera» di cui Fca è il primo
azionista con il 16,7%. Punto primo, la ribadita fiducia all'amministratore delegato Pietro Scott Jovane: «Sta
lavorando bene e non c'è ragione di cambiare chi lavora bene. Rispetto a una società che era fallita, dai dati
del terzo trimestre si vedono un progresso notevole e una società con un futuro davanti». Punto secondo, le
scelte per la direzione dopo l'accordo sull'uscita di Ferruccio de Bortoli con l'assemblea di aprile. Sono
possibili variazioni? gli chiedono. Rinvio al comunicato che annunciò l'intesa: «Era molto chiaro e ha
determinato sia i tempi sia il processo». Frasi alle quali ha replicato poco dopo con una nota l'imprenditore
della Tod's Diego Della Valle, secondo socio di Rcs con il 7,3%: «Non capisco a che titolo parli Elkann, non
avendo lui incarichi operativi nella gestione di Rcs. Qualcuno dovrebbe ricordargli che Rcs è una società
quotata, ha un consiglio che la gestisce e che deve rispondere al mercato e a moltissimi azionisti, alcuni dei
quali rilevanti, che non mi risulta tra l'altro abbiano mai delegato Elkann a parlare per loro conto».
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La vicenda
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Ferrari si prepara a Wall Street Spunta l'ipotesi voto multiplo
29/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Fiat Chrysler Automobiles scorporerà
la Ferrari e distribuirà gratis i relativi titoli ai propri azionisti, portando in parallelo il 10% a Wall Street La casa
di Maranello dovrebbe trasferire alle casse della holding un assegno di circa 2,25 miliardi di euro
L'operazione di scorporo e
la quotazione del Cavallino sono in agenda
per il 2015,
nel periodo compreso tra
il secondo e il terzo trimestre dell'anno Sul tavolo c'è anche l'ipotesi di introdurre
la cosiddetta loyalty share , che premia i soci «fedeli» nel tempo con il meccanismo del voto multiplo
29/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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Edison in campo per le centrali e i clienti di E.On Italia
Francesca Basso
Edison ha presentato un'offerta non vincolante per tutti gli asset di E.on Italia ad eccezione del comparto
rinnovabili: impianti idroelettrici, termoelettrici, circa 900 mila clienti elettricità e gas oltre alle partecipazioni
nel Gnl offshore di Olt e nel gasdotto Tap. Il dossier «Chicago», come era stato battezzato dal gruppo
tedesco, entra nel vivo. Il gruppo di Foro Buonaparte non commenta ma è da mesi che è noto l'interesse dei
francesi di Edf per il ramo italiano del gruppo tedesco, che garantisce 2 miliardi di ricavi. Lunedì era scaduto il
termine per la presentazione delle offerte vincolanti per i singoli asset e non era stata un successo. L'Enel
non ha partecipato, A2A non ha mostrato interesse «vincolante» per idroelettrico e clientela, alla quale invece
punta Hera. Il fondo F2i si è fatto avanti per solare ed eolico. Difficile raggiungere con lo «spezzatino» i 3
miliardi di euro come nelle intenzioni del colosso tedesco. Nel frattempo a Parigi c'è stato il cambio al vertice,
Jean-Bernard Lévy ha preso il posto di Henri Proglio. Il tempo dell'avvicendamento ed Edf è tornata alla
carica: un'offerta mista cash-azioni per gli asset italiani di E.on escluse le rinnovabili, quindi fusione con
Edison e quotazione. I tedeschi riuscirebbero così a sbarazzarsi anche degli asset meno appetibili come le
centrali a carbone e a gas, Edison saprebbe come bruciare il gas dei contratti take or pay, in questo momento
di calo generale della domanda.
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La Lente
30/11/2014
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la trappola nascosta nel jobs act
Francesco Giavazzi
La riforma del mercato del lavoro arriva questa settimana al Senato per l'approvazione definitiva. Il dibattito si
concentrerà ancora una volta sulle modifiche all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, cioè sulle norme che
consentono ai giudici di imporre la riassunzione di un lavoratore licenziato. Ma non è più questo il problema
centrale. Ciò di cui si dovrebbe discutere - e che invece è stato messo in sordina - è il fatto che la riforma si
applicherà solo ai nuovi assunti.
P er i lavoratori che mantengono un contratto a tempo indeterminato continuerà a valere il vecchio articolo
18. Questo rischia di generare una nuova divisione del mercato del lavoro, con effetti che potrebbero
cancellare i benefici della riforma.
La legge delega approvata dalla Camera stabilisce che i decreti delegati (che Matteo Renzi ha già pronti)
delimitino chiaramente le possibilità di reintegro nel caso di licenziamenti per motivi disciplinari, l'aspetto più
controverso della legge. Nella sostanza, tranne in casi estremi, i licenziamenti per motivi disciplinari non
saranno appellabili, così come quelli adottati per motivi economici. D'ora in avanti, cioè per i nuovi contratti,
l'articolo 18 viene in sostanza abolito.
Il fatto che l'abolizione riguardi solo i nuovi contratti crea due problemi. Innanzitutto, come si comporteranno i
giudici di fronte a licenziamenti decisi da un datore di lavoro che vuole semplicemente sostituire un
dipendente coperto dall'articolo 18 con un nuovo contratto privo di quella protezione?
Ma il rischio maggiore è il blocco della mobilità. Come ha osservato Marco Leonardi, uno degli studiosi più
attenti del nostro mercato del lavoro, è improbabile che un lavoratore oggi tutelato dall'articolo 18 decida di
spostarsi, firmando un nuovo contratto che invece non lo prevede. Alcuni lo faranno perché non temono il
licenziamento, ma altrettanti non ne vorranno sapere.
In Italia ci sono 1,5 milioni di cambi di contratto volontari all'anno su un totale di 14,5 milioni di contratti a
tempo indeterminato. Ciò significa che ogni anno un lavoratore su 10 lascia volontariamente il posto di lavoro
per spostarsi in un'altra azienda. Anche considerando che i lavoratori di aziende con più di 15 dipendenti (ai
quali si applica l'articolo 18) sono meno di un terzo del totale, con questa legge si rischia di frenare il turnover
. E il turnover volontario dei lavoratori da un posto all'altro è l'olio dell'economia italiana dove il licenziamento
individuale è relativamente raro e gran parte della riallocazione si fa volontariamente.
Il problema è tanto più grave oggi poiché la nostra possibilità di riguadagnare la competitività perduta (circa il
30% rispetto alla Germania negli ultimi 15 anni) passa non tanto da una riduzione dei salari, bensì dalla
riallocazione della produzione da aziende scarsamente produttive (tipicamente imprese di servizi protette
dalla concorrenza) verso imprese più efficienti, tipicamente quelle esposte alla concorrenza internazionale. Il
danno di una norma che renderebbe questa riallocazione più difficile è gravissimo.
Il Senato ha ancora la possibilità di correggere questo errore. Nel testo originale proposto dal governo le
nuove regole si applicavano a tutti, non solo ai nuovo assunti. Poi Renzi ha ceduto alle pressioni interne del
suo partito. Se il Senato cambiasse questo comma della legge si renderebbe necessario un nuovo voto alla
Camera, e tempi un po' più lunghi. Un piccolo prezzo rispetto al danno che l'attuale formulazione
comporterebbe. Un'alternativa consisterebbe nell'usare la leva fiscale per favorire la mobilità volontaria dai
vecchi ai nuovi contratti. Ma sarebbe una soluzione imperfetta e di dubbia efficacia. Insomma, pensiamoci
bene prima di approvare, per la smania di fare in fretta, regole che potrebbero addirittura peggiorare il nostro
mercato del lavoro.
Francesco Giavazzi
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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IL COMMENTO
30/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Padoan: crescita, la Ue ci ascolta Le tasse scenderanno ancora
Daniele Manca
«L' Europa, rinviando il giudizio sulle nostre finanze, non ci ha dato una mano, ma ha compreso che non
basta verificare, come fossimo computer, i saldi contabili per stabilire la giustezza di una politica di bilancio.
Se ne deve analizzare anche la qualità». In un'intervista al Corriere il ministro dell'Economia Pier Carlo
Padoan si dice sicuro di una «svolta» per la crescita e anticipa che il governo «continuerà a tagliare le tasse»
. a pagina 3
I numeri che raccontano di un'Italia in una situazione di mancata crescita, di un'Europa come «l'area
dell'economia globale che cresce meno», non sembrano spaventare Pier Carlo Padoan. Il ministro
dell'Economia in queste ore sta seguendo con soddisfazione l'iter apparentemente tranquillo della legge di
Stabilità italiana. Semmai a preoccuparlo di più, nel ruolo che gli spetta nella presidenza di turno europea, è
riuscire a far arrivare in porto il bilancio dell'Unione che significa mettere d'accordo 28 Paesi. Anche se,
essendo uno dei pochi ministri a essere invitato a parlare al G20, gli altri devono chiedere la parola, a
Bruxelles contano sulla sua abilità.
Davvero non la preoccupa ministro la crescita zero del nostro Paese?
«La crescita scarsa e la bassa inflazione mi preoccupano eccome, ma il dato dell'ultimo trimestre indica un
punto di svolta»
Brindare per una crescita zero non è facile. E' innegabile che i cittadini, le imprese, i giovani, siano un po'
guardinghi, non passa giorno senza una brutta notizia, ieri è stata la volta della disoccupazione...
«Capisco, ma il governo deve lavorare anche sulle aspettative, che sono importantissime.
Ed è quello che stiamo facendo anche con la legge di Stabilità. Perché vede, si ha la tendenza a dividersi sul
singolo provvedimento, ma quello che sta facendo il governo è innescare un processo, comporre un quadro
di misure che si inseriscono tutte in una strategia tesa a favorire la crescita, rilanciare gli investimenti,
l'occupazione. Non esiste un solo provvedimento in grado magicamente di risolvere anni di mancato
sviluppo».
D'accordo ma serve anche concretezza...
«Più concretezza dei 18 miliardi di taglio delle tasse contenuto nella legge di Stabilità, come ha ricordato oggi
(ieri per chi legge ndr) Matteo Renzi? Abbiamo messo sul piatto risorse. Con il Jobs act e il taglio delle tasse
sul lavoro incentiveremo le assunzioni... »
Potrà avere anche ragione, ma i cittadini vengono da anni nei quali si dava con una mano e si toglieva con
un'altra. A momentanei sollievi come sull'Imu seguivano e seguono Imu, Tasi e Tari .
«Per quanto ci riguarda fa testo la legge di Stabilità: la direzione che abbiamo intrapreso è quella di un taglio
delle tasse finanziato da un taglio delle spese. E la direzione significa dire che, mantenendo i vincoli di
bilancio, continueremo a tagliare le tasse».
Ma intanto ci sono le clausole di salvaguardia che nel caso la situazione volga al peggio significheranno tra
l'altro un aumento dell'Iva.
«A testimonianza delle nostre intenzioni va detto che abbiamo impiegato 3 miliardi proprio per evitare che
scattasse una clausola prevista nelle leggi varate da governi precedenti. Va aggiunto però che le clausole di
salvaguardia ci devono essere in ogni bilancio, l'abilità dei governi è fare in modo che non scattino. Noi
l'abbiamo già fatto e non siamo in una situazione così facile: l'Europa è l'area globale che cresce meno».
Questa volta non ci si può lamentare dell'Europa, ci ha dato una mano rinviando il giudizio sulle finanze del
nostro Paese a marzo 2015.
«Quanto deciso dall'Europa non va sottovalutato. Non ci ha dato una mano, responsabilmente Bruxelles ha
compreso che non si poteva continuare a strisciare sul fondo della crescita. Che non basta verificare, come
fossimo computer, i saldi contabili per stabilire la giustezza o meno di una politica di bilancio. Si deve
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INTERVISTA
30/11/2014
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analizzare anche la qualità del bilancio, e cioè la composizione di entrate e spese, dove si mettono le risorse
e quale sia il programma di riforme strutturali. E questo è merito anche della presidenza di turno italiana».
Un rilievo polemico nei confronti di chi dice che il semestre si sta concludendo senza un nulla di fatto?
«Niente polemiche. Ma vorrei ricordare che quando a luglio entrammo in carica e mettemmo l'accento sulla
nostra azione dicendo che in Europa si doveva iniziare a parlare di crescita, di occupazione e quindi di
investimenti, integrazione dei mercati e riforme strutturali, ci fu chi sorrise. Grazie all'Italia quei temi oggi sono
dell'Europa intera e non solo: si è avviato lo scambio automatico di informazioni per evitare l'evasione, il
contrasto all'elusione fiscale... Ma soprattutto oggi si parla finalmente di investimenti con il piano Juncker da
300 miliardi».
Tutti privati però...
«In massima parte sono privati ma del resto è nel mercato che c'è la liquidità. Gli stati devono agevolare gli
investimenti, non sostituirsi ai privati».
Ma non è che così è prevalsa l'ossessione contabile tedesca?
«Se continuiamo a ragionare e a dividerci tra chi in Germania dice che gli stati del Sud sono spendaccioni e
in Italia che i tedeschi sono ossessionati dai bilanci non andiamo da nessuna parte. Lo sforzo è trovare una
visione e direzione comune. E se alcuni Paesi esprimono maggiori sforzi sulle riforme strutturali, come noi,
altri, come la Germania, che hanno più margini di manovra devono sostenere questi sforzi aumentando
investimenti e stimolando la domanda interna».
Ha ragione quindi Mario Draghi secondo il quale serve una cessione di sovranità da parte degli Stati membri
e una maggiore Unione politica?
«Condivido pienamente il pensiero del presidente della Bce che sin da questa estate a Jackson Hole ha detto
che servono tutti gli strumenti di bilancio, strutturali, monetari e finanziari per uscire da questa fase difficile».
Ma allora perché non fare come la Francia che non rispetta il tetto del deficit al 3%, favorendo gli
investimenti?
«Sfondare il 3% sarebbe un errore gravissimo, implicherebbe una inversione di 180 gradi della politica del
governo, una totale perdita di credibilità. Avere un bilancio solido, invece, permette di reagire a situazioni
difficili e di essere più flessibili nell'uso delle risorse. Un sentiero credibile di aggiustamento dei conti
garantisce la fiducia dei mercati finanziari che per un Paese con un alto debito come il nostro è fondamentale,
pena l'innalzamento della spesa per interessi».
E proprio per abbattere il debito non sarebbe meglio accelerare piuttosto che frenare sulle privatizzazioni?
«Premesso che la via maestra per abbattere il debito è la crescita, le privatizzazioni continuano: abbiamo
quotato Fincantieri, Rai Way e non abbiamo frenato, ma semplicemente vogliamo valorizzare di più i nostri
asset, collocare sul mercato quote senza alterare il controllo pubblico e farlo in momenti di mercato più
favorevoli, vedi Enel».
Addio privatizzazioni di Ferrovie e Poste?
«Al contrario, stiamo facendo progressi, ci siamo resi conto che avevamo bisogno di più tempo per
valorizzare le aziende per non svendere quote».
Ma quanto tempo?
«Nel 2014 abbiamo realizzato un po' meno del previsto, ma credo che nel 2015 potremo recuperare».
Nel frattempo si potrebbe tagliare un po' di spesa pubblica...
«Il taglio delle tasse è coperto in buona parte da tagli alla spesa pubblica».
C'è chi dice che l'addio di Cottarelli sia solo l'inizio e che altri manager siano in uscita dal Tesoro.
«Come dicono le mie figlie qualcuno si sta facendo dei film inesistenti. In uscita c'è solo Lorenzo Codogno,
che ringrazio per il lavoro eccezionale fatto, e che ha deciso di tornare a Londra dove vive la sua famiglia. Il
resto sono solo fantasie».
Fantasie per fantasie, i pensionati si aspettavano gli 80 euro...
30/11/2014
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«Abbiamo fatto quanto consentito dalle risorse, cominciando dalla pressione fiscale sul lavoro per favorire più
occupazione, che significa anche più crescita e quindi più risorse che potranno poi essere redistribuite».
Ultima domanda: con Renzi la chimica funziona?
«Direi di sì!».
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Fonte: Mef Agenzia delle Entrate Corriere della Sera Le entrate dello Stato Altre entrate IRPEF IRES IVA
Imposte sulle transazioni Lotto, lotterie ed altre attività di gioco Imposte di fabbricazione sugli oli minerali e
consumo sul gas metano e su oli lubrificanti e bitumi di petrolio 39,1% 8,6% 27,2% 2,701 0,835 1,886 3
12,6% 7,1% 3% 2,4% gennaio agosto 2014 ADESSO DAL 1°GENNAIO 2015 Il Fisco L'impatto delle misure
della legge di Stabilità sul cuneo fiscale Dipendente con un reddito annuo di 20 mila euro lordi, single e senza
figli Assunto nel 2013 Assunto nel 2015 Vecchio assunto INCIDENZA MEDIA AL MESE Con Tfr in busta
paga Senza Tfr in busta paga Con Tfr in busta paga Senza Tfr in busta paga 46,1% 271 euro 957 euro 337
euro 810 euro 831 euro 17,6% 21,9% 39% 40,9% Il taglio delle tasse 2015 disposto dalla legge di Stabilità
(mld euro) Deduzione del costo del lavoro da imponibile Irap Regime fiscale agevolato per autonomi Sgravi
contributivi per assunzioni a tempo indeterminato Superamento clausola di salvaguardia legge di Stabilità
2014 Conferma a regime 80 euro Totale 17,925 9,503
Chi è
Pier Carlo Padoan, romano, 64 anno, è ministro dell'Economia dal febbraio 2014 È stato vicesegretario
generale dell'Ocse, carica alla quale ha affiancato quella di capo economista È stato consigliere economico
del presidente del Consiglio con Massimo D'Alema e Giuliano Amato Ha svolto consulenze per la Banca
mondiale, la Commissione europea e la Bce Ha ricoperto varie posizioni accademiche presso università
italiane ed estere, tra cui il Collegio di Europa (Bruges e Varsavia), l'Università Libre de Bruxelles, l'Università
di Urbino, l'Università de La Plata e l'Università di Tokyo. È stato direttore della Fondazione Italianieuropei
30/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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Fondi pensione e Tfr, così si cambia
Evasione fiscale Confermata l'anagrafe dei conti correnti bancari come contrasto all'evasione
Lorenzo Salvia
Il disegno di legge di Stabilità sta per concludere l'esame alla Camera. Tra ieri sera e ieri notte i tre voti di
fiducia, uno ciascuno sui tre provvedimenti in cui è stato diviso il testo per garantire un minimo di omogeneità.
Il primo è passato con 349 sì, il secondo con 351, il terzo con 346 sì. Forse stasera il voto finale. Tutto
dipenderà da quanto tempo porteranno via i 306 ordini del giorno. Subito dopo è previsto il Consiglio dei
ministri, poi riprenderà l'Aula. Una volta finito alla Camera bisognerà passare al Senato, con nuove modifiche.
Questo costringerà a un terzo passaggio alla Camera, veloce e blindatissimo, prima di fine anno. Di nuovi voti
di fiducia ancora non si parla, ma visti i tempi non ci sarà scampo. Sulla «rivoluzione copernicana» come la
chiama il governo dei 730 precompilati dal 2015 è arrivato intanto l'altolà della Consulta dei Caf: «Manca il
decreto e siamo già in fortissimo ritardo»
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ROMA Mano ferma con le Regioni: i tagli resteranno di 4 miliardi ma in cambio arriverà la ricontrattazione dei
mutui, mossa già sperimentata con i Comuni. Pronti a correggere la mira sui fondi pensione: le tasse
aumenteranno ma un po' meno di quanto previsto finora, per evitare il colpo di grazia alla previdenza
integrativa. Vicino al via libera della Camera, il disegno di legge di Stabilità si prepara ad altre modifiche al
Senato, dove sarà discusso nei prossimi giorni.
Fondi pensione
L'emendamento in arrivo al Senato riguarderà due punti. Il primo è il prelievo sui rendimenti degli investimenti
fatti dalle Casse di previdenza dei professionisti: verrebbe cancellato il previsto aumento dal 20 al 26%. Il
secondo punto riguarda il prelievo sui rendimenti dei fondi pensione e sulla rivalutazione del Tfr, che secondo
la manovra dovrebbe salire in entrambi i casi al 20%. Quello sui fondi aumenterebbe «solo» al 14% e quello
sul Tfr al 17%, contro l'11% di adesso. Al Senato potrebbe arrivare anche la revisione degli organi di vertice
dell'Inps, con l'introduzione di un consiglio di tre persone, presidente compreso. Finirebbe così il
commissariamento.
Local Tax
Il progetto è ancora in bilico. L'idea resta quella di mettere insieme la Tasi - la tassa sui servizi indivisibili
come l'illuminazione pubblica, che si paga anche sull'abitazione principale - con la vecchia Imu, che invece
riguarda le seconde case. Mentre è più difficile che vengano subito assorbiti altri tributi minori, come quello
sulla pubblicità o l'occupazione di suolo pubblico. Questa settimana il governo deciderà se procedere con
l'emendamento alla Stabilità, con un nuovo provvedimento ad hoc, o rimandare tutto all'anno successivo. Per
il canone Rai in bolletta non sembrano esserci speranze dopo la frenata di Palazzo Chigi arrivata nei giorni
scorsi. Mai dire mai, però.
Irap e piccole imprese
È forse la partita più difficile da giocare e anche quella più tecnica. Il governo si è impegnato ad aumentare le
franchigie sull'Irap, l'imposta sulle attività produttive, per dare una mano alle piccole e medie imprese. E, con
lo stesso obiettivo, anche a cancellare o almeno ridurre la cosiddetta «patrimoniale sui macchinari», una
tassa secca che grava sugli impianti industriali. C'è poi da rivedere il sistema dei minimi per i professionisti, il
regime fiscale agevolato che si applica al di sotto di un certo livello di fatturato. Anche queste modifiche
dovranno aiutare i contribuenti più piccoli.
Regioni e Province
I saldi non si toccano e i 4 miliardi di taglio dovrebbero restare tali. Oltre alla possibilità di ricontrattare i mutui,
il governo è intenzionato a limitare i danni che potrebbero arrivare alle Regioni dal trasferimento di una parte
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La Camera vota la fiducia, la manovra verso Palazzo Madama Sarà meno pesante l'aumento delle imposte
su liquidazioni e previdenza
30/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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del personale delle Province. I dipendenti da spostare, non solo alle Regioni ma anche ai Comuni, sono oltre
20 mila. Ma per almeno 5 mila di loro si aprono le porte del prepensionamento. L'emendamento allo studio
del governo rinvia per loro di tre anni, fino alla fine del 2018, la possibilità già prevista fino al 2015 di lasciare
il lavoro con le vecchie regole, quelle valide prima della riforma Fornero.
Modifiche confermate
Non dovrebbero cambiare, invece, le norme introdotte negli ultimi giorni alla Camera, come il tetto per le
pensioni più alte erogate dal prossimo gennaio o la cancellazione del taglio per chi lasciava il lavoro prima dei
62 anni pur avendo raggiunto l'anzianità contributiva. Confermato anche il rafforzamento dell'anagrafe dei
conti correnti bancari: non si concentrerà solo sulle liste di sospetti ma potrà lavorare ad ampio raggio contro
l'evasione fiscale.
@lorenzosalvia
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L'iter
La Camera ha votato la fiducia al governo sulla legge di Stabilità: tre articoli in cui il testo è stato
spacchettato. Questa mattina Montecitorio dovrà dare il via libera al testo in sé Dalla prossima settimana il
testo sarà al Senato dove sono ancora molti i nodi da sciogliere. L'approvazione definitiva deve avvenire
entro il 31 dicembre 4,5 miliardi L'ulteriore riduzione del deficit richiesto dall'Unione Europea accolto dal
governo nella legge di Stabilità 2015. Tra le altre misure, per gli assegni previdenziali di medici, professori
universitari, magistrati e grand commis, anche quelli già liquidati ma dal 2015
I principali capitoli
Casa 1L'ipotesi è fondere in un'imposta unica
la Tasi, che si paga anche sull'abitazione principale e riguarda i servizi urbani come l'illuminazione pubblica,
con la vecchia Imu, che invece riguarda le seconde case. Più difficile che vengano assorbiti anche altri tributi
minori, come quello sull'occupazione di suolo pubblico. Il governo non ha ancora deciso se procedere con un
emendamento alla Stabilità o rinviare
Pensioni 2Viene introdotto un tetto per le pensioni più alte che saranno erogate a partire dal prossimo
gennaio. Non potranno superare i livelli previsti prima della riforma Fornero, anche per chi ha
superato i vecchi limiti contributivi. Cancellate le penalizzazioni sull'assegno previdenziale per chi
anticipa il pensionamento anche se non ha 62 anni ma a patto che abbia 42 anni ci contributi. Questa
regola, però, sarà valida solo a partire dal 2017
Imprese 3Il governo si è impegnato a modifiche delle franchigie sull'Irap, l'imposta sulle attività
produttive, per dare un mano alle piccole e medie imprese. Dovrebbe essere cancellata la cosiddetta
patrimoniale sui macchinari. Mentre sarà rivisto il sistema dei minimi per i professionisti, il regime
fiscale agevolato che si applica al di sotto di una certa soglia di fatturato. Anche qui l'obiettivo è dare
un mano ai piccoli contribuenti
30/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 9
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Il no di Renzi all'idea del Cavaliere: irricevibile, sulle riforme si va avanti
Bocciata la richiesta di Berlusconi di votare prima per il Quirinale: sono due piani distinti Irritazione Da
Palazzo Chigi trapela irritazione per «l'ennesima uscita ondivaga»
Marco Galluzzo
ROMA Su una cosa, almeno una, è perfettamente d'accordo con Berlusconi, e cioè che serve un presidente
della Repubblica «che rappresenti tutti gli italiani», nella cui scelta possano sentirsi rappresentate «il più alto
numero di forze politiche presenti in Parlamento». Ma sino a qui, in fondo, siamo nel recinto delle
constatazioni di buon senso, fondamenta di diritto costituzionale che nessuno metterebbe in dubbio,
figuriamoci lui, che dice di puntare ad arrivare al 2018 senza elezioni e di portare avanti una legislatura di
svolta per il Paese.
Su tutto il resto però il presidente del Consiglio boccia il ragionamento fatto ieri dall'ex premier con il Corriere :
in primo luogo perché non c'è alcuna certezza sulla data di dimissioni di Napolitano e di conseguenza su
quella dell'elezione del successore, in secondo luogo perché la scelta del futuro inquilino del Colle non deve
e non può rallentare l'iter delle riforme, a cominciare da quella elettorale, «sono due piani distinti e distinti
devono restare», è la linea di Renzi. E invece la proposta del Cavaliere rischia di avere il sapore del ricatto
istituzionale e dunque è sostanzialmente «irricevibile».
Ma oltre ad un no secco alla proposta dell'ex premier, dopo aver letto attentamente quello che ha dichiarato
Berlusconi, trapela anche una punta di insofferenza del presidente del Consiglio, e delle persone che
lavorano con lui, seguendo passo dopo passo proprio l'iter delle riforme: «Siamo di fronte a un canovaccio
che francamente sta diventando ripetitivo, incomprensibile, l'ennesima uscita ondivaga. Solo pochi giorni fa
Berlusconi ha firmato un comunicato che accettava di stare dentro i tempi stabiliti», ricordano a Palazzo
Chigi.
Del resto la riforma elettorale andrà in Aula, a Palazzo Madama, il 16 dicembre, dunque un voto è previsto
poco prima o poco dopo la fine dell'anno e Renzi non ha intenzione di congelare alcunché, Berlusconi deve
solo decidere «se essere della partita e avere un ruolo costituente, o se tirarsene fuori, le condizioni
unilaterali sono irricevibili». Il resto del ragionamento appartiene ad un copione che Renzi non ha mai
abbandonato, da quando ha stretto il patto del Nazareno, e lo confermano ai piani alti del Pd: «Siamo pronti
anche ad andare avanti da soli».
Insomma è corretta la sintesi che ieri faceva Angelino Alfano, rilevando come il tema dell'elezione del nuovo
presidente della Repubblica «non va messo nel mezzo di una polemica su legge elettorale e riforme
costituzionali», a meno di non correre quantomeno due rischi: invadere ruolo e prerogative di Napolitano, che
è attualmente in carica e nel pieno dei suoi poteri, e contemporaneamente esporre il futuro candidato a un
negoziato in corso che con la sua elezione non c'entra per nulla.
Per il premier, come per il ministro dell'Interno, i piani devono restare distinti anche perché viceversa si rischia
di pregiudicare la scelta futura che le forze politiche dovranno compiere.
E qui si arriva al secondo dei nodi, il nome del successore del capo dello Stato: se domani, nel corso della
direzione, forse Renzi darà una risposta al Cavaliere, in ogni caso ha già deciso di tenere per sé, e al
massimo per un numero strettissimo di collaboratori, un'eventuale rosa di cui discuterà con gli altri leader
soltanto dopo, e non prima, le dimissioni di Giorgio Napolitano. Il contrario sarebbe non solo irrispettoso verso
chi è ancora in carica, ma controproducente per una trattativa che si annuncia molto difficile, in cui i veri
candidati potrebbero emergere soltanto in Parlamento e solo dopo un certo numero di votazioni. Sino ad
allora le reali preferenze del presidente del Consiglio resteranno coperte.
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282 giorni
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
91
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Il retroscena
30/11/2014
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La durata
del governo guidato da Matteo Renzi, in carica
dallo scorso
22 febbraio
Foto: Il premier Matteo Renzi, 39 anni, nel messaggio video inviato al nuovo leader dei socialisti portoghesi,
António Costa, per il Congresso del partito
30/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 9
(diffusione:619980, tiratura:779916)
«Troppe cicatrici dopo il caso Prodi Ora saremo uniti»
Forza Italia non pensi di avere l'ultima parola, la maggioranza ha i numeri in Aula
Alessandro Trocino
ROMA «Ognuno di noi ha sulla pelle le cicatrici del passaggio di un anno e mezzo fa e siamo consapevoli
che non possiamo permetterci di ripetere quell'esperienza». Roberto Speranza, capogruppo del Pd alla
Camera, allude alla vicenda dei 101 franchi tiratori che portarono all'impallinamento di Romano Prodi al Colle.
Ora si torna a parlare del Quirinale, anche dopo l'intervista di Silvio Berlusconi, ieri sul Corriere della Sera .
Berlusconi dice: prima il Colle, poi le riforme. In sostanza: mettiamoci d'accordo sul successore di Giorgio
Napolitano, altrimenti il patto del Nazareno rischia.
«Penso che sia un errore molto grave mettere in collegamento due questioni così diverse. Credo che né
Berlusconi né altri possano avere poteri di veto rispetto a un percorso ineludibile, quello delle riforme che
deve andare avanti».
E se venisse meno l'apporto di Forza Italia?
«Noi abbiamo provato a costruire convergenze con tutte le forze politiche. Resta un peccato e un'occasione
perduta che i 5 Stelle abbiano deciso di non stare nel merito della discussione. Il mio auspicio è che Forza
Italia porti a termine gli impegni assunti. Ma è un auspicio che non può tradursi in poteri di ricatto. La
maggioranza ha i numeri in Parlamento: noi pensiamo che sia più corretto coinvolgere tutti nella riscrittura di
riforme parlamentari ma sia chiaro che Forza Italia non ha l'ultima parola e non ha il diritto di bloccare le
riforme».
Sul Quirinale Berlusconi dice no a candidati «di partito» e sì a Giuliano Amato.
«La discussione mi sembra prematura, molto sbagliata nei tempi. Il presidente della Repubblica è la prima
carica dello Stato e quando, io spero il più tardi possibile, ci troveremo di fronte alla necessità di un nuovo
presidente, apriremo la discussione».
Il Pd sarà compatto o teme nuovi agguati?
«Sono convinto che lavoreremo tutti per costruire il massimo di condivisione interna».
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93
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INTERVISTA Speranza, capo dei deputati dem
30/11/2014
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Barbanti: «Avanti così e ci frantumiamo altro che scissione»
Ormai da noi la trasparenza pare essere diventato argomento tabù Il direttorio non doveva certo essere una
sorpresa da far ratificare
E. Bu.
MILANO «La doppia richiesta di espulsione nei miei confronti? Non abbiamo ancora l'ordine del giorno
dell'assemblea congiunta...». Sebastiano Barbanti dribbla le domande, poi ammette: «È possibile che
vengano affrontate questioni critiche oltre alle rendicontazioni».
Come mai è stata avanzata una doppia accusa nei suoi confronti?
«Le motivazioni mi sa che le scopriremo solo vivendo...Il nostro codice della Camera prevede che
l'espulsione debba essere richiesta da un quinto dei membri del gruppo...».
E sulle rendicontazioni invece?
«È falso che non abbiamo rendicontato. Potete trovare tutto sui nostri siti, con dettagli superiori a quelli del
portale».
Quindi?
«È evidente che si tratta di un pretesto. Se devono dire qualcosa, dicano che non usiamo quel portale e ci
spieghino che differenza fa».
Ma sanerete la vostra posizione prima dell'assemblea?
«Abbiamo chiesto di pubblicare quello che c'è sui nostri siti sul portale, Cecconi ci ha detto di chiedere
all'assistenza di tirendiconto.it , ma finora non ci hanno ancora dato risposta. Anche "trasparenza" pare
essere un argomento tabù».
Se non sarete regolarizzati?
«Allora il pretesto sarà chiaro a tutti».
Cosa pensa del direttorio?
«È un passo in avanti che doveva essere fatto. Portavoce, rappresentanti o coordinatori li sceglie
un'assemblea di cittadini, non una "sorpresa" da far ratificare a una rete che ci sta inondando di critiche».
Alcuni attivisti contestano la provenienza territoriale, concentrata in due Regioni...
(Ride) «Questa è la nostra risposta alla Lega».
La scissione è davvero a un passo?
«È un'ipotesi dati i molti mal di pancia. Continuando con l'ostracismo non parlerei di scissione, ma di
frantumazione del gruppo».
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INTERVISTA Il deputato in bilico
30/11/2014
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Unghie spezzate e ambulanti ostili Moretti: le mie primarie con amore
«Se perdo con Zaia resto in Regione». Oggi la scelta tra lei, Rubinato e Pipitone
Fabrizio Roncone
BATTAGLIA TERME (Padova) Cielo colore del piombo, pioggia sottile. Alessandra Moretti è in ritardo.
Raffica di sms. Siamo appena partiti. Sto sulla strada. Aspettate. Ancora cinque minuti e sono lì.
Campane a morto. Gli anziani militanti del Pd decidono di andare al funerale di una loro cara amica.
Nervosismo sotto al gazebo. «Per essere credibile, devi essere puntuale. I compagni vanno rispettati. Queste
primarie per trovare il candidato presidente della Regione rischiano d'essere un disastro...». Disaffezione e
disinteresse. Quello che il partito s'è già portato addosso in Emilia-Romagna e in Calabria. Ma forse qui in
Veneto c'è anche altro. Alla Moretti bisognerà chiedere se non prova imbarazzo a voler diventare
governatrice, dopo essere stata eletta, appena sei mesi fa, al Parlamento europeo.
Il gazebo è al centro di un mercatino. Ambulanti in buona parte ostili. C'è la crisi, ti dicono, e a Roma, dove
c'è il governo di Renzi, si sono dimenticati di noi. Nemmeno al sabato mattina si fanno più affari. Una felpa, 5
euro. Tre paia di calzini, 3 euro. Eppure la gente chiede lo sconto. Poi certi si voltano e chiedono quando
arriverà la Moretti.
Mezz'ora. Un'ora.
Quando Alessandra Moretti finalmente compare in fondo al vialetto, il funerale è finito da un pezzo, ma i
compagni con i capelli bianchi hanno preferito fermarsi al bar, per un giro di scopone.
Lei fresca, positiva, sicura, con questo sorriso che ricorda quello di Carole Bouquet ma francamente forse
anche più bello, magnetico; viene avanti incurante di quelli che la osservano muti, scuotendo la testa.
«Cos'è? Facciamo un'intervista camminando?».
Tanto le domande sono poche: alle scorse Europee lei fu la più votata del Nord-Est, 230 mila preferenze, un
trionfo. Come glielo spiega, adesso, che ha cambiato idea e vuol diventare presidente del Veneto?
«Guardi, non ho cambiato idea io, ma il partito. Anzi, ha cambiato idea lui: Matteo Renzi. Dove mi dice, vado.
È il capo, no?».
L'idea di Renzi è che con una dote di 230 mila voti, lei è l'unica in grado di fare una partita con Luca Zaia, il
governatore uscente che, però, si ricandida...
«Esatto. Allora io ho detto: credi che con me si possa vincere in Veneto? Okay, arrivo».
Renzi adora le persone fedeli.
«Lasci stare. Pensi piuttosto che questa è pure la mia terra. Le dicono qualcosa le parole amore, radici,
riconoscenza?» (intanto ci vengono incontro tre bambine tutte inchini e sorrisini, con un omaggio floreale tipo
visita della regina)
«Uh... che carine... grazie bambine, grazie...».
Faccia gli scongiuri: ma se Zaia dovesse batterla?
«Ho già deciso: lascerei comunque il Parlamento europeo e resterei qui, come consigliera regionale».
Ora posso chiederle di mostrarmi le mani?
«Le mani?».
Già, le mani...
«Ah! Ma certo! Ho capito!... Ecco qui: guardi pure, controlli... unghie spezzate, nemmeno l'ombra di smalto...
Sa quant'è che non vado dall'estetista?».
In un'intervista a Corriere.it aveva detto di andarci una volta alla settimana. «Dobbiamo e vogliamo essere
belle, brave, intelligenti ed eleganti». Parlava di stile «LadyLike» in politica. Una critica diretta a Rosy Bindi,
donna di stile «più austero», che mortifica la bellezza. Seguirono numerosi commenti. Tra i più pacati, quello
di Massimo Cacciari: «Ma che caz... dice la Moretti? Poverina, non conosce la storia di questo Paese!».
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Il racconto
30/11/2014
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Ha 41 anni, ha due figli, è avvocato, è stata vicesindaco di Vicenza, poi portavoce di Bersani dicendo che da
giovane «era bello come Cary Grant», nemica di Renzi dicendo che «è una primadonna, egocentrico e
maschilista», quindi cuperliana dicendo che «Gianni intende la sinistra come piace a me». Quando infine
concluse la capriola atterrando tra i renziani e cambiando ufficialmente idea su Matteo, «vero fuoriclasse
della politica», l'Espresso sentenziò: «È la candidata perenne».
Oggi prova a vincere queste primarie. I suoi avversari sono due: Antonino Pipitone (52 anni, medico,
padovano d'adozione, consigliere regionale dell'Idv) e Simonetta Rubinato (50 anni, avvocato, ex senatrice
della Margherita, ex sindaco di Roncade, nel Trevigiano, deputata del Pd). La Rubinato ha il ruolo della
guastafeste: quando sembrava automatico che contro Zaia il partito schierasse la Moretti, ha chiesto e
preteso che si procedesse con le primarie, schierandosi con decisione (venerdì sera, a Padova, poco prima
che iniziasse il confronto pubblico a tre organizzato in un albergo, diceva: «C'è un sondaggio riservato
commissionato dal partito, che io non ho visto, ma se è vero quello che mi è stato riferito... Beh: la Moretti,
contro Zaia, sarebbe dietro di almeno 11 punti»).
Affettuosità. Delicatezze. Anche la Moretti, comunque, non è stata lieve. L'altro giorno, a Quinto, ha detto che
la Rubinato è una che «s'è sempre occupata solo di suore e preti». Risposta feroce del settimanale
diocesano di Treviso: «La Moretti non ha peli sulla lingua, del resto lì l'estetista non arriva...». E lei, la Moretti,
al forum organizzato da Il Mattino : «Io, veramente, sarei anche pronipote del vescovo di Treviso».
Luca Zaia, con un miscuglio di distacco e di disprezzo: «Secondo voi dovrei preoccuparmi?».
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Foto: Nel Trevigiano Alessandra Moretti in visita a un'azienda (Toniolo/Errebi)
30/11/2014
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Pag. 16
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Una stella a destra È Marion, la nipote
Stefano Montefiori
LIONE A 24 anni, Marion Maréchal-Le Pen arriva in testa al voto per la direzione del Front National. Supera
Louis Aliot, compagno della presidente Marine Le Pen, che è sua zia. Il presidente onorario Jean-Marie Le
Pen è suo nonno. Il Front National è sempre di più un affare di famiglia? «Sono stata votata dall'80 per cento
degli aderenti, che sono 83 mila: non mi pare si possa parlare di una cooptazione. Ma per evitare questo tipo
di obiezioni preferisco rinunciare alla vicepresidenza esecutiva». Marion rifiuta la carica ufficiale, tanto sa di
non averne bisogno. È la più giovane e la più schiva della famiglia. Nei media francesi, oltre alla zia e al
nonno, si vede sempre Florian Philippot, più moderato ed ex allievo dell'Ena, l'odiata scuola delle élite
francesi. Marion, Le Pen numero 3, lo ha sconfitto nettamente: segno che gli iscritti al FN guardano poco la
tv, o che la tradizione famigliare vince su tutto. Dietro le quinte del Congresso di Lione, la deputata più
giovane del Parlamento francese spiega perché, secondo lei, il Front National ha un'autostrada davanti verso
le prossime presidenziali.
A che cosa attribuisce il suo successo? Quanto conta la dinastia Le Pen?
«Il nome Le Pen è importante. C'è un rapporto affettivo speciale della base con la mia famiglia, c'è una storia.
Basti vedere l'entusiasmo con il quale è stato accolto qui a Lione mio nonno, che ha fondato il partito nel
1972. In più, io sono una giovane donna, e questo evoca un rinnovamento che piace. Ma c'è soprattutto il mio
lavoro sul campo, nelle federazioni. La vittoria di oggi mi dà una vera legittimità».
Perché allora rinuncia alla vicepresidenza?
«Ho già molto lavoro da fare come deputata all'Assemblea nazionale, e non vorrei che a mia zia Marine Le
Pen venisse comunque rimproverata una gestione troppo famigliare».
Lei ha sconfitto il compagno di Marine e anche Florian Philippot, finora numero due. Quest'ultimo si richiama
a De Gaulle, ha un'immagine quasi centrista, mentre lei incarna l'ala conservatrice, cattolica, contraria alle
nozze gay, del Front National. Con lei vince la «tradizione»?
«Tra me e Philippot ci sono differenze di sfumature, di percorso politico. Ma al Front National non esistono
correnti. Siamo tutti per la Francia, la patria, la lotta all'immigrazione. Idee che non spaventano più, che sono
condivise da tanti francesi».
Come va la collaborazione con la Lega di Salvini? Voi siete nazionalisti francesi, loro federalisti padani.
«Abbiamo bisogno di alleati per rinegoziare i Trattati europei in senso nazionale o uscirne. La presenza di
Salvini qui a Lione è il simbolo dell'alternativa europea che stiamo costruendo con tutti i movimenti patriottici».
Salvini ha detto di invidiarvi il prestito della banca russa. Ma non è un problema per voi prendere soldi
dall'estero? Un tempo l'«oro di Mosca» andava ai comunisti.
«Come tutti i partiti fuori dal sistema abbiamo difficoltà a finanziare le nostre attività. Abbiamo accettato con
gioia il prestito della banca russa, anche perché nessun istituto francese o europeo ce lo aveva concesso. Ma
è solo un prestito bancario, non un finanziamento né un condizionamento del Cremlino».
Oggi è anche il giorno della vittoria di Nicolas Sarkozy come presidente dell'Ump. Su patria e immigrazione le
sue posizioni sembrano sempre più vicine alle vostre. Vi prenderà voti a destra?
«Sarkozy non ha convinzioni, è solo un comunicatore. Quando Sarkozy è stato all'Eliseo c'erano 200 mila
immigrati legali all'anno, le sue sono solo parole vuote. Ora dice di voler uscire da Schengen, con anni di
ritardo e senza crederci. Noi lo faremo davvero».
Secondo i sondaggi Marine Le Pen arriverà al secondo turno alle elezioni per l'Eliseo del 2017, e potrebbe
giocarsi la vittoria finale. Non rischia di bruciarsi prima?
«Se i nostri avversari dell'Umps (spregiativo per Ps e Ump, ndr ) continuano così non ci saranno problemi, ci
ritroveremo con la metà del lavoro già fatto. La realtà dei francesi, la loro vita quotidiana, lavorano per noi».
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intervista Maréchal-Le Pen
30/11/2014
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@Stef_Montefiori
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Foto: La numero 3 del Fronte Nazionale al Congresso di Lione: in questa foto, quasi un ritratto di famiglia, la
deputata e stella nascente Marion Maréchal-Le Pen, 24 anni, è seduta accanto alla zia Marine, presidente del
partito di ultradestra. Marion ha rinunciato alla vicepresidenza esecutiva
30/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 32
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«Ancora troppa finanza nelle banche Basta prodotti complessi alle
famiglie»
Il «papello» Ligresti? Vedremo cosa fare quando arriveranno le carte Sul caso delle assunzioni in Consob
chiariremo tutto con i magistrati La nomina dei commissari è una questione di competenza del governo
Nicola Saldutti
«Alla fine il mercato dovrebbe servire a far crescere l'economia reale. Offrire alle imprese il maggior numero
di strumenti possibile e consentire loro la scelta. La questione centrale in questo momento resta l'inaridimento
del canale dei prestiti bancari: è necessario sviluppare un canale diretto tra risparmiatori e mercato».
Dottor Vegas, è quello che si dice ogni volta. Più società quotate, più mercato...
«Non rientra ancora nella cultura del Paese. Ci sono società grandi che stanno cambiando e società con
assetti antichi. Mancano delle vere e public company. E le piccole e medie imprese sono ancora molto
titubanti verso la quotazione. Ma qualcosa sta cambiando...».
Con il voto multiplo che consentirà ai soci di lunga data, o più semplicemente ai azionisti-fondatori, di avere
azioni con voto doppio?
«Le azioni a voto plurimo sono un tentativo di conciliare apertura al mercato e stabilità degli assetti
proprietari. Un modo per consentire una transizione. Molte aziende preferiscono l'indebitamento piuttosto che
aprirsi alla compartecipazione al capitale. Con il voto maggiorato questo potrebbe gradualmente cambiare.
Poter ottenere capitali freschi senza che gli imprenditori si spoglino della gestione».
Sarà decisivo vedere cosa voteranno le assemblee...
«Certo, bisognerà vedere come verranno modificati gli statuti per introdurre il voto multiplo, naturalmente non
è un obbligo, è una possibilità. Speriamo che venga colta»
Sarà, ma molte imprese lamentano troppe regole per la Borsa.
«Certo non ha molto senso che la Consob debba sanzionare anche le bagattelle, soprattutto se non hanno
effetti sul mercato. Si può ancora semplificare, come abbiamo già iniziato a fare due anni fa»
Sì, ma si producono ancora troppi regolamenti .
«Effettivamente la risposta alla crisi è stata una produzione normativa elevata. Una maggiore semplificazione
avvicinerebbe anche più investitori dall'estero».
Forse sarebbe utile anche una tregua fiscale per quanto riguarda le tasse sul risparmio. Sta per aumentare la
tassa sui fondi pensione...
«Farlo può essere controproducente, nel '95 i fondi pensione erano stati introdotti come un pilastro
fondamentale. Sono uno strumento che potrebbe evitare lo scontro generazionale tra giovani e anziani sotto il
profilo previdenziale. E' un errore penalizzarli come si rischia di fare».
Provo a elencare alcuni dossier, vecchi e nuovi: Parmalat, Mps, Unipol-Fonsai. Non sempre la Consob è
arrivata in tempo, anzi spesso si è svegliata tardi.
«Qualche volta può essere vero, ma noi non possiamo arrivare con i fucili come immagina qualcuno.
Abbiamo molto rafforzato la vigilanza, per renderla più efficace e più tempestiva. Molto più che in passato
facciamo ricorso allo strumento delle ispezioni. Ma questa attività resta sotto traccia. Non diventa pubblica. Le
reazioni del mercato potrebbero essere eccessive».
Cautela eccessiva, forse...
«Le nostre richieste di chiarimento al mercato sono in media una paio al giorno. Non mi pare poco».
Sul «papello» Ligresti la Procura ha chiuso le indagini.
«Ancora non abbiamo ricevuto le carte. Quando arriveranno vedremo cosa fare».
Gli stress test delle banche hanno creato molta agitazione...
«Mi pare che alla fine siano andati bene. L' asset quality review è stata superata bene mentre per gli stress
test nove istituti sono stati trovati inadempienti. Ma alla fine soltanto due sono stati bocciati (Mps e Carige,
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INTERVISTA Giuseppe Vegas Il presidente della Consob: il risparmio va tutelato, cautela anche con il Fisco
30/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 32
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ndr). Forse la Bce poteva gestire meglio alcuni aspetti della comunicazione, visto che i dati della prima
scrematura si riferivano al 31 dicembre 2013».
Sono solide, eppure le banche prestano poco denaro...
«Il sistema bancario è ancora troppo orientato alla finanza, l'obiettivo è quello di far quadrare i conti. Del resto
vivere in una situazione di tassi bassi come questa è difficile. Anche per i correntisti: avere un conto che
rende il 4% con l'inflazione al 4% induce a spendere, avere un conto che rende lo 0% con l'inflazione
negativa, no. Ci si sente più poveri».
Andare in Borsa costa troppo, presidente.
«Si potrebbe pensare a una tariffa fissa, che non aumenta anche se il percorso di quotazione dura uno o due
anni».
Con prospetti informativi di centinaia di pagine, che nessuno legge.
«Certo si può semplificare ancora ma il vero punto è arrivare ad una vigilanza unica, ad un mercato unico.
Ora la legislazione si sta armonizzando, ma l'applicazione varia da Paese a Paese. Si dovrebbe percorrere
una strada simile a quella della Vigilanza bancaria unica della Bce».
Difficile.
«Se non si va in quella direzione i risparmiatori penseranno che le banche hanno il bollino blu della Bce e il
resto del sistema finanziario no. Il risparmiatore finirà con il pensare che il mercato finanziario sia meno
sicuro».
Spesso la trasparenza per gli investimenti delle famiglie è complicata?
«Nei prossimi giorni uscirà una raccomandazione di Consob sulla distribuzione dei prodotti finanziari
complessi presso la clientela retail, per esempio le cartolarizzazioni. Se un prodotto finanziario è complesso,
gli intermediari non possono distribuirlo a tutti. La Consob sconsiglia di collocare quei prodotti. E' la prima
volta che si fa una cosa del genere».
Il risparmio italiano è una specie di mucca da mungere per il Fisco...
«Ricordo, con Einaudi, che si tratta di redditi già tassati, bisognerebbe essere più attenti. Giusto aumentare i
consumi ma senza risparmio non ci sono investimenti. Forse andrebbe incentivato, magari con una maggiore
stabilità della tassazione se non con aliquote più basse».
Con le privatizzazioni gli italiani sono diventati un popolo di azionisti, ora lo Stato non riesce a vendere più
nulla...
«Per Poste e Ferrovie credo che prima vadano risolti alcuni problemi di struttura, poi sarà possibile andare
sul mercato senza ambiguità».
A proposito di mercato, sulle assunzioni in Consob la Procura vuole vederci chiaro. Lei è indagato.
«Per legge Consob può assumere anche per chiamata diretta, il presidente propone, la Commissione vota.
Chiariremo tutto».
Ma mancano ormai da mesi due commissari. Praticamente la Consob non è al completo da anni.
«Si tratta di una questione di competenza del governo».
Il momento più complicato nel suo quadriennio?
«L'operazione Unipol. Forse, con l'imposizione a Groupama di un'opa su FonSai, è iniziata la disgregazione
del capitalismo di relazione. Da quel momento però è anche iniziato un processo di modernizzazione del
sistema».
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I risultati di Piazza Affari Fonte: Borsa Italiana d'Arco Performance a 6 mesi -6,49% Performance a 1 anno
+5,76% Performance a 2 anni +29,30% 2013 2014 feb mar apr mag giu lug ago set ott nov 18,50 19,50 20,50
21,50 (28 novembre) 20.014,82 punti 340* Le società quotate a Milano 471,9 miliardi* La capitalizzazione di
Borsa Italiana *al 31 ottobre 2014
Chi è
30/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 32
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Giuseppe Vegas, 63 anni, è il presidente della Consob dal 2010. Nel 1995 viene nominato sottosegretario
alle Finanze e, poi, al Tesoro nel governo Dini Nel 1996, è eletto senatore per Forza Italia. Nei governi
Berlusconi 2001-2006 è prima sottosegretario e poi viceministro dell'Economia (2005-2006), incarico
ricoperto anche nel quarto governo Berlusconi dal 2009 al 2010
30/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 32
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Imu e Tasi così i calcoli e le scadenze di fine anno
Stefano Poggi Longostrevi
Arriva il momento doloroso del saldo della Tasi, la neonata tassa sui servizi indivisibili, e dell'Imu, le due
imposte che stanno complicando la vita ai contribuenti. Entro il 16 dicembre i proprietari di immobili devono
passare alla cassa, solo 15 giorni dopo la scadenza del 1° dicembre per il secondo acconto Irpef e della
cedolare secca sugli affitti. «CorriereEconomia» è in edicola domani con un'ampia guida pratica sul percorso
di calcolo di Imu e Tasi. Per aiutare i lettori a calcolare gli importi a saldo, evitando errori e senza lasciare al
fisco nulla in più di quanto dovuto.
La scadenza riguarda tutti i proprietari di case, inclusa l'abitazione principale esente da Imu e soggetta da
quest'anno alla nuova Tasi con aliquote inferiori ma minori detrazioni.
La Tasi va versata in parte anche dall'inquilino, in misura variabile tra il 10 e il 30% . Ulteriore complicazione,
che impone conteggi e versamenti spesso di importo minimo ad alcuni milioni di inquilini. L'Imu interessa le
abitazioni a disposizione, case affittate o sfitte, uffici, negozi, laboratori e tutti gli immobili diversi dalla prima
casa. E in molti comuni, tra cui Milano e Roma, il medesimo immobile può essere soggetto a Imu ed anche a
Tasi. La guida di «CorrierEconomia» offre diversi esempi di calcolo per i casi più frequenti, con i codici tributo
da utilizzare per entrambe le imposte ed il facsimile di modello F24 bancario di pagamento.
Nella speranza che dal 2015 si arrivi davvero ad una semplificazione delle imposte sugli immobili, come più
volte promesso, e a fissare regole e scadenze certe, senza cambiamenti in corso d'opera come purtroppo
avvenuto anche quest'anno.
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«CorrierEconomia»
01/12/2014
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Il Papa: i leader islamici condannino il terrorismo
Gian Guido Vecchi
«n on si può dire che tutti gli islamici sono terroristi, ma sarebbe bello che tutti i leader islamici condannino
quegli atti. Gli islamici che hanno una identità dicano: noi non siamo questo, il Corano non è questo»: è
l'appello lanciato dal Papa a bordo dell'aereo che lo ha riportato a Roma al termine del viaggio in Turchia. a
pagina 11
DAL VOLO PAPALE Il volo AZ 4001 è decollato da una decina di minuti, quando il Papa raggiunge i media
sull'aereo che lo riporta a Roma. Sorridente e disteso, a dispetto dei tre giorni di viaggio in Turchia, saluta
tutti, uno per uno, prima di rispondere alle domande dei giornalisti. A Istanbul ha incontrato il gran rabbino di
Turchia, Isak Haleva, e un centinaio di giovani profughi da Siria, Iraq e Corno d'Africa. Ha condannato il
«disumano e insensato attentato» alla moschea di Kano, in Nigeria, «peccato gravissimo contro Dio». E
soprattutto ha firmato con Bartolomeo una «dichiarazione comune», rassicurando il Patriarca e tutti gli
ortodossi: ristabilire la «piena comunione» tra i cattolici e gli altri cristiani «non significa né sottomissione l'uno
all'altro né assorbimento». Ora spiega che l'«uniatismo è di un'altra epoca» e sorride: «Con l'ortodossia
siamo in cammino, loro accettano il primato di Pietro ma dobbiamo trovare la forma, ispirarci al primo secolo.
Arriverà il giorno in cui i teologi si metteranno d'accordo? Sono scettico. Ma non si può aspettare, dobbiamo
pregare insieme, c'è l'ecumenismo spirituale e quello del sangue: quando ammazzano i cristiani non
chiedono se sei cattolico o altro. Il sangue si mischia».
Santità, Erdogan ha parlato di islamofobia, lei di cristianofobia. Cosa si può fare di più?
«È vero che davanti a questi atti terroristici, in Medio Oriente e in Africa, c'è una reazione: "Se l'Islam è
questo, mi arrabbio". E tanti islamici, offesi, dicono: "Noi non siamo così, il Corano è un libro profetico di
pace, questo non è l'Islam". Io lo capisco, questo. E credo sinceramente che non si possa dire che tutti gli
islamici sono terroristi, come non si può dire che tutti i cristiani sono fondamentalisti, perché anche noi ne
abbiamo... Così io ho detto al presidente: sarebbe bello che tutti i leader islamici lo dicano chiaramente e
condannino quegli atti. Perché aiuterà la maggior parte del popolo islamico, ascoltarlo dalla bocca dei suoi
leader, religiosi, politici, accademici, intellettuali... Noi tutti abbiamo bisogno di una condanna mondiale. Gli
islamici che hanno una identità dicano: noi non siamo questo, il Corano non è questo».
E la cristianofobia?
«Io non voglio usare parole addolcite. A noi cristiani ci cacciano via dal Medio Oriente. Lo abbiamo visto in
Iraq, nella zona di Mosul, devono andarsene o pagare una tassa, e anche quello non serve. Altre volte ci
cacciano in guanti bianchi. Ma sempre come volessero che non rimanga più niente di cristiano... Vede, in
tema di fobie, dobbiamo sempre distinguere la proposta di una religione dall'uso concreto che di quella
proposta fa un governo concreto. Io sono islamico, ebreo, cristiano, ma tu conduci il tuo Paese non come
islamico, come ebreo, come cristiano. Tante volte si usa un nome ma la realtà è diversa».
Che significato aveva la sua preghiera nella Moschea blu?
«Io sono andato in Turchia come pellegrino, non da turista. Avevo un motivo religioso: condividere la festa di
Sant'Andrea con Bartolomeo. Quando sono andato in moschea non potevo dire "adesso sono un turista",
sono un religioso e ho visto quella meraviglia, il Mufti che mi spiegava le cose con tanta mitezza, dove nel
Corano di parlava di Maria e del Battista, e in quel momento ho sentito il bisogno di pregare: per la Turchia,
per il Mufti, per me che ne ho bisogno, soprattutto per la pace: Signore, finiamola con le guerre. È stato un
momento di preghiera sincera».
Si è inchinato davanti al Patriarca: come affronterà le critiche dei conservatori a questi gesti di apertura?
«Ci sono resistenze da parte ortodossa e nostra, in questi gruppi conservatori... Ma dobbiamo essere
rispettosi con loro e non stancarci di spiegare e dialogare, senza insultare o sparlare. Tu non vuoi annullare
una persona, è un figlio di Dio, se lui non vuole parlare io lo rispetto ma non sparlo: ci vuole mitezza e
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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INTERVISTA il viaggio «noi cristiani cacciati dal medio oriente»
01/12/2014
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dialogo».
Basta il dialogo interreligioso?
«Il presidente degli Affari religiosi e la sua équipe mi hanno detto una cosa molto bella: "Adesso sembra che il
dialogo interreligioso sia alla fine". Occorre un salto di qualità, un dialogo tra persone religiose di diverse
appartenenze: non si parla di teologia ma di esperienza religiosa».
L'anno prossimo sarà l'anniversario di Hiroshima, restano tante armi nucleari...
«L'umanità non ha imparato. È una mia opinione personale, ma sono convinto che noi stiamo vivendo una
terza guerra mondiale a pezzi. Dietro ci sono inimicizie, problemi politici ed economici, per salvare questo
sistema dove al centro è il dio denaro. E poi problemi commerciali, il traffico di armi è terribile. Penso a
quando l'anno scorso si diceva che la Siria avesse armi chimiche. Io credo che la Siria non fosse in grado di
farle, chi gliele ha vendute? Forse alcuni di quelli che la accusavano di averne? C'è tanto mistero... Dio ci ha
dato la creazione perché della incultura primordiale facessimo una cultura. L'energia nucleare può servire a
tante cose, ma l'uomo la usa per distruggere il creato e l'umanità: non voglio parlare di fine del mondo, di una
seconda forma di incultura "terminale". Poi bisognerà ricominciare da capo».
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Le tappe Venerdì il Papa ad Ankara ha reso omaggio al mausoleo di Ataturk ed è stato ricevuto da Erdogan
(primo in alto) nel palazzo presidenziale Sabato a Istanbul: prima alla Moschea blu con il Gran Mufti (in
mezzo); poi la messa nella cattedrale del Santo Spirito e la preghiera ecumenica nella chiesa patriarcale di
San Giorgio. Infine l'incontro con Bartolomeo I (sopra) Ieri la liturgia ortodossa per la festa di Sant'Andrea
Foto: In volo Francesco ieri sul volo di ritorno in Italia, si intrattiene con i giornalisti che lo hanno seguito nel
suo viaggio in Turchia. Al suo fianco, a destra, il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi (Reuters)
01/12/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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Un «Pensionato day», la mossa del leader azzurro
Evento entro l'anno. Sul Quirinale il timore che Fitto usi il voto per la conta nel partito
Tommaso Labate
ROMA «Mettiamoci al lavoro subito perché abbiamo poco tempo. E questa manifestazione la voglio fare
prima di Natale». Sarà l'atmosfera da campagna elettorale che lui stesso ha citato, sarà la voglia di
stemperare i toni del confronto con l'area di Raffaele Fitto, sarà la necessità di «coprire» le trattative per il
Quirinale. Sta di fatto che, dopo le iniziative sulla casa, Silvio Berlusconi s'è messo al lavoro su una «nuova
manifestazione». Il nome provvisorio è «Pensionato day», il luogo prescelto è Milano e il bacino a cui si
rivolge - ovviamente - è «a tutti quegli over 65 che Renzi sta dimenticando». Il «vero» bacino a cui Forza
Italia può affidare le speranze di risalita nei sondaggi.
Ma l'organizzazione del «Pensionato day», che verrà preceduta da proposte su flat tax e pensioni, non è
stato l'unico cruccio domenicale di Berlusconi. L'ex Cavaliere - che pure in anni non sospetti aveva brevettato
«kit del candidato» e «prontuari per i deputati che vanno in tv» - s'è attaccato a un mezzo tradizionale (il
telefono) per contattare alcuni esponenti azzurri che frequentano i talk show. «Metti in giro la voce dicendo
che ve l'ho chiesto io», ha detto a uno di loro. «Se in tv vi chiedono del patto del Nazareno, del Quirinale o
dell'Italicum, lasciate cadere l'argomento dicendo che non sono cose che interessano agli italiani. Parlate
della legge di Stabilità che fa schifo, dei pensionati sempre più poveri... Ed evitate il resto».
Non c'è soltanto la voglia di smarcare il suo partito dal politichese. Dietro i «consigli» di Berlusconi ai suoi c'è
anche la paura sulla piega che può prendere la partita per il Colle. È Forza Italia stessa a fare paura al suo
leader. Raffaele Fitto è pronto a innalzare il livello dello scontro. «Se non avremo le risposte che chiediamo
sul partito - ha sussurrato agli amici più stretti - «ci regoleremo di conseguenza anche sul Quirinale».
Questa posizione, che ha alimentato voci di un asse sotterraneo tra Fitto e Massimo D'Alema, avrebbe già
messo in allarme Denis Verdini. I 40 ribelli, in vista del risiko quirinalizio, pesano come un macigno.
Soprattutto se si conteranno su un loro candidato di bandiera. La diplomazia verdiniana si sta già muovendo.
Ignazio Abrignani, berlusconiano doc e capo dell'ufficio elettorale forzista, lancia un ramoscello d'ulivo. «Visto
che la leadership di Berlusconi non è in discussione, in vista dell'elezione del Colle dobbiamo ritrovare l'unità
con Raffaele Fitto. Sennò è tutto inutile». «È ancora tutto prematuro», dice sorridente Paolo Romani. Ma ad
Arcore il segnale d'allarme è già arrivato. Forte e chiaro.
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La linea
Nella fase della rottura con Angelino Alfano, Raffaele Fitto è stato ispiratore di un'area «lealista» verso
Berlusconi Dopo la divisione tra FI e Ncd, e con più forza dopo le Europee (con FI al 16,8%), Fitto è passato
a una dura critica
del leader
e del partito
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Il retroscena
01/12/2014
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Pag. 3
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Fiducia in calo per il premier, sale Salvini
Per la prima volta convince meno di metà degli elettori, persi cinque punti in un mese Nuovo balzo del
leghista: piace a un italiano su tre. Grillo (17%) ora è ultimo, dopo Vendola Stabilità Anche dopo le Regionali,
Berlusconi mantiene il proprio consenso (25%)
Nando Pagnoncelli
Il risultato elettorale di domenica scorsa sembra aver impresso un'accelerazione alle tendenze in atto
riguardanti il gradimento dei leader, con particolare riferimento a Renzi, Salvini e Grillo.
Il premier arretra di 5 punti rispetto ad ottobre, passando dal 54% al 49% e, sebbene prevalgano sia pure di
poco i giudizi positivi, è la prima volta che Renzi scende al di sotto della fatidica soglia del 50%. Al secondo
posto si conferma Salvini che aumenta il proprio consenso di 5 punti (da 28% a 33%) riducendo in misura
significativa la distanza da Renzi: a fine ottobre era di 26 punti mentre oggi è di 16. Al terzo posto si colloca
Giorgia Meloni, gradita dal 28% degli italiani, seguita da Berlusconi (25%) e Alfano (22%). Chiudono la
graduatoria Vendola, apprezzato dal 18% degli italiani (in aumento di 3 punti), e Grillo con il 17% di consenso
(in calo di 2 punti).
La flessione di Renzi, non dissimile da quella di tutti i premier italiani ed europei dopo sei mesi
dall'insediamento del governo, presenta alcune specificità. Renzi ha alimentato nei cittadini aspettative
estremamente elevate, tutte all'insegna del cambiamento, un cambiamento profondo e soprattutto rapido.
Alcuni provvedimenti sono andati a segno, altri faticano a vedere la luce. Ma le partite aperte sono ancora
molte, a partire dalla legge elettorale, e sullo sfondo la situazione economica continua a permanere negativa.
Il presidente del Consiglio perde consenso soprattutto presso i segmenti sociali più toccati dalle difficoltà
economiche (piccoli imprenditori, artigiani, commercianti e disoccupati) e in parte anche tra gli elettori del Pd
(come conseguenza del Jobs act) mentre si consolida il gradimento tra le persone meno giovani e i
pensionati. Ma la vera sfida, come sempre, è rappresentata dal ceto medio che in questa fase, dopo aver
ridotto le spese, modificato gli stili di consumo e fatto importanti sacrifici, si è adattato alla crisi, ha ridotto le
proprie aspettative e si accontenta della condizione attuale che si è assestata mentre, al contrario, è convinto
che il Paese sia in declino e paventa un ulteriore peggioramento della situazione. È questo il punto più critico:
il futuro dell'Italia, come dimostra l'andamento dell'indice di fiducia Istat che dal giugno scorso è in forte calo
(dopo un semestre di crescita), ma diminuisce solo nella componente riguardante il clima economico del
Paese, non quello personale che rimane pressoché stabile.
Il malumore viene intercettato soprattutto da Salvini che si rafforza e risulta complementare rispetto a Renzi,
aumentando il consenso proprio tra i segmenti che sono più delusi dal premier (lavoratori autonomi e
disoccupati), tra i pensionati e ceti più popolari, mentre fatica ad accreditarsi tra quelli più istruiti e nella classe
dirigente, a differenza di quanto avvenne con l'altro leader che più di altri è stato capace di raccogliere lo
scontento e rappresentare efficacemente il dissenso: Grillo. Quest'ultimo appare in difficoltà, sia per la
competizione di Salvini sul terreno della protesta sia a seguito delle dinamiche interne al movimento che in
questa settimana hanno portato all'espulsione di altri due esponenti. E il tema della democrazia interna al
M5S risulta un vero e proprio tallone d'Achille per il movimento.
Quanto agli altri leader considerati, Meloni ha alcuni tratti in comune con Salvini: viene apprezzata dai
lavoratori autonomi e dai pensionati (molto meno dai disoccupati) ma si distingue dal segretario della Lega
per un maggiore sostegno tra le donne. Berlusconi, nonostante il deludente risultato alle Regionali, mantiene
il proprio livello di consenso personale, a conferma del forte rapporto che lo lega allo «zoccolo duro» del suo
elettorato. Alfano si conferma sugli stessi livelli del mese scorso sia pure con qualche cambiamento all'interno
dell'elettorato: infatti perde consenso tra gli elettori del Pd e aumenta il sostegno tra quelli di Forza Italia.
Infine Vendola. Pur essendo stato meno presente sui media nelle ultime settimane, beneficia del calo di
consenso di Renzi e di Grillo nell'elettorato che si colloca più a sinistra.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Scenari
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In sintesi possiamo dire che Renzi sta affrontando un passaggio delicato: le critiche su provvedimenti di largo
impatto da un lato e le difficoltà dell'economia dall'altro stanno erodendo la sua popolarità, ma si tratta di
un'erosione che può rientrare. Se chiuderà da vincente i due percorsi principali (Jobs act e legge elettorale),
se come sembra la legge di Stabilità supererà la «tagliola» europea e, soprattutto, se si avvereranno le
previsioni di Confindustria, dopo tanto tempo diventata ottimista, e l'economia segnerà una sia pur piccola
ripresa fin dall'inizio del 2015, il ciclo negativo del premier potrebbe cambiare di segno.
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Il sondaggio Ecco i nomi dei principali leader politici italiani. Per ciascuno, è indicato il gradimento del suo
operato con un voto compreso fra 1 (se non lo gradisce per nulla) e 10 (se lo gradisce moltissimo) Corriere
della Sera Sondaggio realizzato da Ipsos PA per Corriere della Sera presso un campione casuale nazionale
rappresentativo della popolazione italiana maggiorenne secondo genere, età, livello di scolarità, area
geografica di residenza, dimensione del comune di residenza. Sono state realizzate 998 interviste (su 9.081
contatti), mediante sistema CATI, il 25 e 26 novembre 2014. Il documento informativo completo riguardante il
sondaggio sarà inviato ai sensi di legge, per la sua pubblicazione, al sito www.sondaggipoliticoelettorali.it. Il
confronto 54 61 49 Renzi 24 26 25 Berlusconi 22 25 22 Alfano 19 21 17 Grillo 28 28 33 Salvini 15 17 18
Vendola 29 28 28 Meloni set. ott. nov. (Dati in %) Positivi (voti 6-10) Non sa Negativi (voti 1-5) SILVIO
BERLUSCONI 25% 5% 70% TOT Pd Ncd-Centro FI M5S 81 19 11 89 26 3 71 13 87 NICHI VENDOLA 18%
7% 75% TOT Pd Ncd-Centro FI M5S 12 10 78 21 3 76 12 6 82 28 5 67 MATTEO SALVINI 33% 12% 55%
TOT Pd Ncd-Centro FI M5S 43 16 41 25 4 71 26 10 64 29 5 66 BEPPE GRILLO 17% 4% 79% TOT Pd NcdCentro FI M5S 7 93 8 92 12 3 85 62 2 36 MATTEO RENZI 49% 4% 47% TOT Pd Ncd-Centro FI M5S 82 4 14
62 2 36 44 55 26 1 73 1 ANGELINO ALFANO 22% 6% 72% TOT Pd Ncd-Centro FI M5S 25 7 68 73 2 25 29
5 66 9 91 40,8 la percentuale
ottenuta dal Partito democratico alle elezioni europee dello scorso maggio 21,2 la percentuale
ottenuta dal Movimento
5 Stelle alle elezioni europee dello scorso maggio 16,8 la percentuale
ottenuta
da Forza
Italia alle elezioni europee dello scorso maggio 6,1 la percentuale
ottenuta
dalla Lega
Nord alle elezioni europee dello scorso maggio
01/12/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 6
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«Referendum sul Jobs act tra la base? Non ha più senso»
Il bersaniano D'Attorre: ormai i buoi sono scappati. Ma i dirigenti del partito si confrontino con i militanti
L'errore Su piazze e astensione c'è una drammatica sottovalutazione da parte di Renzi
Daria Gorodisky
ROMA «Il referendum è senz'altro uno strumento da valorizzare in futuro per la vita democratica del Pd. Ma
sul Jobs act ormai i buoi sono scappati, e non ha più senso». Alfredo D'Attorre, componente bersaniano della
minoranza pd, oggi non chiederà alla direzione del suo partito di far partire una consultazione interna sul
provvedimento che non ha neppure votato, tanto dissente. Proporrà, invece, l'avvio di «una campagna di
ascolto vera su emergenza economico-sociale, lavoro, democrazia. I dirigenti nazionali vadano nei circoli, dai
militanti...».
Renzi sarà favorevole?
«Lo spero, non è una proposta ostile. Ed è importante, sarebbe il segnale che si raccoglie l'allarme suonato
dall'astensionismo dell'Emilia-Romagna».
Renzi non lo considera un grande problema.
«Mi preoccupa un modello di democrazia in cui non conta più la rappresentanza ma soltanto la vittoria, anche
con una base di partecipazione ristretta. E spero che superiamo i toni di supponenza delle ultime settimane».
Il vostro segretario-presidente del Consiglio auspica maggiore disciplina interna.
«Il partito non può diventare un luogo di anarchia. E saluto favorevolmente il fatto che Renzi abbia compiuto
un'evoluzione culturale: quando era segretario Bersani, irrideva un modello di partito in cui la direzione
centrale decide e tutti si adeguano».
Sì alla disciplina di partito?
«Servono delle regole, però su alcuni temi specifici è giusto lasciare ai parlamentari un margine di
valutazione in più. In particolare, su diritti, dignità del lavoro, regole democratiche. Oltre alle questioni
eticamente sensibili, ovviamente».
A sinistra pd e sindacati che lo criticano, Renzi risponde che fra il Pd e destra lepenista non esiste altro.
«Sull'idea di sinistra Renzi mostra un impianto contraddittorio. Afferma cose giuste, come l'apertura
all'intervento pubblico per salvare la siderurgia italiana; ma dà anche l'impressione di non avere una visione
complessiva, mescola istanze di destra e di sinistra».
Si riferisce alla sua indifferenza verso la «piazza»?
«Credo che su piazze e astensionismo commetta drammatiche sottovalutazioni. Se il Pd non parla più al
mondo del lavoro, non basterà certo fare conto su un po' di elettorato in uscita dal centrodestra: si rischia un
saldo negativo in termini di consenso e il totale snaturamento del partito».
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Chi è
Alfredo D'Attorre,
41 anni, è nato a Melfi in Basilicata. È stato eletto alla Camera nel 2013 nelle liste del Partito democratico
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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INTERVISTA
01/12/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 9
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Pensione a 57 anni per le donne
Svolta Inps: le lavoratrici potranno ritirarsi con 35 anni di contributi L'assegno subisce però un taglio fino al 20
per cento. Le ipotesi sul 2015
Enrico Marro
ROMA Le donne lavoratrici che hanno almeno 35 anni di contributi e 57 anni di età e che volessero andare in
pensione, ma con l'assegno calcolato interamente con il metodo contributivo, potranno continuare a
presentare la domanda all'Inps. In questo senso dovrebbe esprimersi una circolare dell'istituto di previdenza
che potrebbe essere firmata già oggi, riaprendo in sostanza i termini che altrimenti sarebbero scaduti ieri.
La questione è complessa, come spesso accade in materia pensionistica, ma vale la pena di raccontarla,
anche perché è indicativa di come si stiano moltiplicando le spinte a introdurre elementi di flessibilità sui
requisiti necessari per lasciare il lavoro. Alcune hanno già avuto successo, come per esempio l'emendamento
alla legge di Stabilità proposto da Marialuisa Gnecchi, la pasionaria delle pensioni del Pd, e approvato alla
Camera che ha cancellato le penalizzazioni previste dalla riforma Fornero per chi va in pensione anticipata
prima dei 62 anni di età pur avendo raggiunto il requisito dei contributi (42 anni e mezzo gli uomini, 41 anni e
mezzo le donne). Il taglio dell'assegno è stato cancellato per tutti coloro che matureranno i contributi entro il
31 dicembre 2017. Poi si vedrà. Riguarda poche persone, ma è un segnale appunto.
Come quello che dovrebbe essere dato oggi dall'Inps riaprendo i termini per la cosiddetta «opzione donna».
Possibilità introdotta nel 2004 (governo Berlusconi) e che prevede, in via sperimentale «fino al 31 dicembre
2015», la possibilità per le lavoratrici dipendenti con 35 anni di versamenti di ritirarsi a 57 anni (58 per le
lavoratrici autonome) ma con l'importo della pensione calcolato interamente col sistema contributivo (prendi
quanto hai versato in tutta la vita lavorativa) anziché col retributivo (pensione pari al 70% dello stipendio con
35 anni di contributi). Di regola la donna che sceglie questa possibilità prende almeno il 15-20% in meno. Nei
primi anni sono state poche centinaia le lavoratrici che hanno scelto l'opzione donna. Ma dopo la riforma
Fornero, che ha cancellato le pensioni di anzianità e aumentato bruscamente l'età per la pensione di
vecchiaia, il numero di domande all'Inps si è impennato, anche perché questa possibilità è spesso rimasta
l'unica per non finire esodati (senza lavoro e senza pensione). Così nel 2013 sono state 8.846 le richieste e
quest'anno, fino a settembre, ne sono già arrivate altre 8.652.
Secondo una precedente circolare dell'Inps, che aveva tenuto conto del fatto che sulla vecchia pensione di
anzianità si applicava la cosiddetta finestra mobile, passava cioè un anno dalla maturazione dei requisiti alla
decorrenza della pensione, il termine per le domande scadeva a fine 2014 (novembre, tenendo conto che
bisogna presentarla un mese prima) anziché il 31 dicembre 2015. Contro questa interpretazione è stata
promossa perfino una class action mentre in parlamento sono state approvate mozioni per vincolare l'Inps a
rispettare la lettera della legge. Cosa che dovrebbe avvenire appunto con la nuova circolare. Alcuni deputati
ci hanno già provato con un emendamento alla legge di Stabilità. Ma la Ragioneria generale ha subito fatto
osservare che serviva una copertura per la nuova spesa.
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Le «finestre» per la vecchiaia dal 1° gen. 2012 al 31 dic. 2012 *Requisito adeguato alla speranza di vita **Requisito da adeguare alla speranza di vita dal 1° gen. 2013 al 31 dic. 2013 dal 1° gen. 2014 al 31 dic.
2015 dal 1° gen. 2016 al 31 dic. 2017 dal 1° gen. 2018 al 31 dic. 2020 62 anni 62,3 anni* 63,9 anni* 65,3
anni** 66,3 anni** 63,6 anni 63,9 anni* 64,9 anni* 65,9 anni** 66,3 anni** 66 anni 66,3 anni* 66,3 anni**
lavoratrici dipendenti settore pubblico lavoratrici autonome e gestione separata lavoratrici dipendenti settore
privato
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Il caso
01/12/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 11
(diffusione:619980, tiratura:779916)
I «viaggi impossibili» sognati da Francesco
La Chiesa in uscita: Francesco non si ferma davanti agli ostacoli in apparenza impossibili. In aereo spiega:
«Io in Iraq voglio andare», anche se «per ora non si può perché creerei un problema di sicurezza serio alle
autorità». Lo stesso per Mosca e il patriarca Kirill: «Gli ho detto: se mi chiami vado. Lui ha la stessa voglia.
Ma con la guerra non era il momento...». (g.g.v.)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Il retroscena
01/12/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 28
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Una moneta parallela da affiancare all'euro La proposta che unisce
Berlusconi e «Micromega»
Massimo Rebotti
I mondi non potrebbero essere più distanti, Berlusconi e Micromega , ma le parole sull'euro ora sono le
stesse. Il Cavaliere, nel suo ritorno in piazza a Milano, ha parlato della necessità «di creare una seconda
moneta, recuperando parte della nostra sovranità monetaria»: per far respirare l'economia - ha sostenuto - e
liberarsi in patria dai vincoli europei. L'ipotesi avanzata dal leader di Forza Italia («anche noi - ha detto ai
militanti - abbiamo delle idee sull'euro») è analoga a quella che un gruppo di economisti di sinistra - da
Luciano Gallino a Stefano Sylos Labini - sta propugnando con appelli (sulla rivista Micromega ) e convegni:
«Per uscire dalla crisi e dalla trappola del debito - si legge - proponiamo di rilanciare la domanda grazie
all'emissione gratuita da parte dello Stato di Certificati di credito fiscale. In questo modo si creerebbe una
moneta nazionale complementare all'euro, e di conseguenza nuova capacità di spesa, senza però generare
debito».
Dopo il fronte che chiede l'uscita dall'euro tout court (Lega, Movimento Cinquestelle, Fratelli d'Italia) ecco
quindi una seconda opzione, più «morbida», ma sempre sintonizzata su quel vento anti euro che, secondo i
promotori, soffia in tutto il continente. Per Forza Italia l'idea risponde, oltre alle ragioni economiche che
l'avranno suggerita, anche a necessità politiche: la concorrenza di Matteo Salvini è incalzante e apparire
come difensori della moneta unica di questi tempi non conviene. Per la sinistra lo scetticismo è una novità.
Esclusiva fino a poco tempo fa di piccoli gruppi, il dubbio ha fatto strada se anche Stefano Fassina, che fu
viceministro all'Economia con Letta, ha parlato di «superamento» della moneta unica. Il presidente del suo
partito, Matteo Orfini, lo ha redarguito: «In Europa quella è la linea dell'estrema destra». Ma in politica i
confini sull'euro sono ormai sempre più mobili, se perfino Berlusconi e Micromega dicono cose simili.
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ANALISI COMMENTI Il corsivo del giorno
01/12/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 41
(diffusione:619980, tiratura:779916)
I fasciocomunisti sono tornati tra noi
Pierluigi Battista
E così, il (quasi) comunista Vladimir Putin piace tantissimo ai (quasi) fascisti dell'area antieuro (ma non
antirublo), tanto quanto i (quasi) fascisti fanno impazzire il (quasi) comunista Putin. Che ne è così infatuato,
da riempirli di rubli e non di euro, come ha fatto con il Front National di Marine Le Pen, peraltro accendendo
di invidia il putinista Matteo Salvini, ancora incerto tra CasaPound (fascista senza il quasi) e l'ultimo Gulag
(comunista senza il quasi) della Corea del Nord. Antonio Pennacchi potrebbe proporre un sequel del suo
profetico Il fasciocomunista , raffigurando i nostri Limonov da pianerottolo che combinano il saluto romano
con l'ammirazione per un leader che si è formato nel Kgb e che oggi a Mosca impone ai manuali scolastici la
piena e obbligatoria riabilitazione di Stalin.
Questo vigoroso fascio-comunismo, peraltro non inedito (ricordate l'aggressività rosso-bruna del nazionalcomunista Milosevic?) si fonda su una comune piattaforma di odio. L'ideologia è confusa e nebbiosa, e del
resto anche «fasciocomunismo» è definizione necessariamente imprecisa, non meno di «populismo»
distribuito indiscriminatamente però. Non è confuso l'odio. L'avversione istintiva per la democrazia
parlamentare e la fascinazione ipnotica per il leader autoritario dai modi spicci e sbrigativi. L'odio per il
liberalismo, con tutte le sue fisime formaliste, incomprensibili per i «popoli». La pulsione ostile per il libero
mercato, la mentalità capitalistica, la finanza, l'anomia delle grandi città. L'avversione per i ludi cartacei, per
l'arte moderna, per lo Stato di diritto, per le libertà individuali, per le pretese della cultura gay, per il disordine
delle famiglie, per la mescolanza culturale, per le élite urbane, per l'America, per tutto ciò che è lib-lib-lib,
liberale, libertario, liberista. La tentazione fasciocomunista è ribelle quando non è al potere, è invece
autoritaria, imperiale, intollerante, militarista quando è al potere come il nuovo zar Putin. Perciò si annusano e
sentono un'atmosfera comune, anche se i custodi delle rispettive purezze ideologiche vivono come un
affronto questa contaminazione. La fine della Guerra fredda ha spezzato le rigidità di un tempo e ha dato al
fasciocomunismo, alimentato dal fallimento di un'Europa senz'anima, una linfa insperata. Si diffonde anche
una vaga nostalgia per il muro di Berlino: purché sotto il tiro della Stasi ci siano sempre gli altri.
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Particelle elementari
29/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Disoccupazione al 13,2% a ottobre persi 55mila posti
Poletti: nel terzo trimestre 400mila nuovi impieghi fissi
Claudio Tucci
A ottobre il tasso di disoccupazione è salito al 13,2% (+0,3% su settembre): 55mila occupati in meno in un
mese. Ma il premier Renzi: con noi al governo 100mila occupati in più. Il ministro Poletti: la riforma funziona,
nel 3° trimestre 400mila nuovi contratti a tempo indeterminato. Istat: Pil piatto nel 4° trimestre.Servizi u pagina
3
ROMA
Segnali in chiaroscuro sul mercato del lavoro: dopo due mesi consecutivi (agosto, +20mila posti e settembre,
+51mila, sempre nel confronto congiunturale) il numero di occupati, sul mese, ad ottobre è tornato a
diminuire di 55mila unità. Si "azzera", così, l'incremento di 116mila posti registrato a settembre, rispetto ai 12
mesi prima: a ottobre, sull'anno, l'occupazione è tornata «sostanzialmente stabile», ha rilevato ieri l'Istat.
È schizzato in alto il numero dei senza lavoro che hanno raggiunto la soglia record di 3 milioni e 400mila
unità (la crescita è stata del 2,7% rispetto a settembre, pari a 90mila persone in più, e del 9,2% sull'anno,
+286mila unità). Anche il tasso di disoccupazione, ad ottobre, è tornato a salire, superando la soglia del 13%,
13,2% per la precisione, e rispetto al 12,3% dell'anno prima ha fatto registrare un significativo balzo in avanti:
«È stato il più elevato», assieme alla Finlandia, registrato da Eurostat tra i 18 paesi dell'Eurozona (qui il tasso
di disoccupazione è rimasto stabile all'11,5%). E l'Italia è in affanno anche sui giovani: da noi il tasso di
disoccupazione dei 15-24enni è salito al 43,3% (in aumento di 0,6 punti sul mese). Ci confermiano al
terz'ultimo posto nell'Eurozona: peggio di noi solo Spagna (53,8%) e Grecia 49,3% (dato di agosto). Alle
prime posizioni i soliti paesi virtuosi: Germania (7,7% di disoccupazione giovanile), Olanda (9,7%) e Austria
(10%).
I dati relativi al mese di ottobre hanno "gelato" i timidi segnali positivi registrati nel terzo trimestre 2014, dove,
nel tendenziale, l'occupazione è aumentata di 122mila posti; e sono cresciuti, soprattutto, i rapporti di lavoro
con contratto a tempo indeterminato, pari a oltre 400mila nuovi contratti, +7,1% rispetto a un anno prima,
secondo l'anticipazione delle comunicazioni obbligatorie fornita dal ministero del Lavoro. Certo, bisognerà
attendere il dato sulle cessazioni per capire l'effettivo peso dell'occupazione stabile. Sembra invece
funzionare il decreto Poletti che ha semplificato i contratti a termine ed è intervenuto parzialmente
sull'apprendistato: i rapporti a tempo, che continuano a rappresentare il 70% circa delle nuove attivazioni,
sono saliti dell'1,8% (nel confronto con il terzo trimestre 2013), mentre gli apprendisti sono aumentati del
3,8% (un risultato, tuttavia, ancora modesto se confrontato con il +16% del secondo trimestre 2014). Il
Governo ha guardato al "bicchiere mezzo pieno": «C'è ancora tanto lavoro da fare. Ma l'occupazione sta
aumentando, con più di 100mila occupati da febbraio». E se crescono i disoccupati, ha aggiunto il
sottosegretario, Graziano Delrio, «è per il calo delle persone inattive, diminuite di 377mila unità». «Anche i
numeri del ministero del Lavoro sono positivi - ha aggiunto il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei -.
Ma l'aumento dell'occupazione si concentra tra gli over50, mentre gli under35 faticano». Più cauto il ministro,
Giuliano Poletti, che ha parlato di «un mercato del lavoro altalenante che segue un'economia dove la ripresa
deve ancora fare i conti con la coda di una lunga crisi».
Del resto, non è un mistero, che l'Italia è ancora in profonda difficoltà: e per questo la fotografia dell'Istat
«non mi sorprende, d'altronde basta guardarsi in giro», ha commentato il numero uno di Confindustria,
Giorgio Squinzi. Il fatto è che i primi segnali di ripresa «arrivano dalla parte marginale del mercato del lavoro,
donne, pensionati e ragazzi che per aumentare il reddito familiare si rimettono in cerca di un impiego - ha
commentato l'economista del lavoro, Carlo Dell'Aringa -. La parte centrale del mercato fa invece segnare un
sostenuto utilizzo della cassa integrazione e riduzioni di orari di lavoro». Il part-time involontario riguarda
infatti il 63,6% dei lavoratori a tempo parziale. E c'è pure un problema di «forte aumento della disoccupazione
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Renzi: da quando ci siamo noi 100mila occupati in più - Nel quarto trimestre Pil piatto
29/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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di lunga durata che è arrivata al 62,3 per cento della percentuale complessiva dei senza lavoro - ha aggiunto
il capo economista di Nomisma, Sergio De Nardis -. Si tratta di un fenomeno da monitorare perché rischia di
innestare effetti di persistenza nelle sacche di disoccupazione».
© RIPRODUZIONE RISERVATA Regno Danimarca Polonia Finlandia Ue28 Francia Eurozona Italia
Portogallo Spagna Grecia* Unito* Germania 4,9 5,9 6,4 8,3 8,9 10,0 10,5 11,5 13,2 13,4 24,0 25,9
I CONTRATTI IN CIFRE
+7,1%
A tempo indeterminato
L'incremento annuo dei nuovi contratti nel terzo trimestre secondo i dati anticipati ieri dal ministero del
Lavoro. Complessivamente sono stati 400mila
+1,8%
A tempo determinato
La variazione nel terzo trimestre rispetto allo stesso periodo del 2013. Continuano a rappresentare il 70%
circa delle nuove attivazioni. Gli apprendisti aumentano invece del 3, 8%
Foto: Il quadro I TASSI A OTTOBRE Dati destagionalizzati L'ANDAMENTO DELLA DISOCCUPAZIONE Ott.
2013-ott. 2014, dati destagionalizzati. Valori % INATTIVI ANCORA IN CALO Ott. 2013-ott. 2014. Valori
assoluti in migliaia di unità OCCUPATI PER GENERE Variazioni trim. tendenziali assolute in migliaia di unità
- Fonte: Istat NOI E GLI ALTRI Tassi di disoccupazione in Europa - Ottobre 2014 - (*) Agosto 2014Fonte:
Eurostat
29/11/2014
Il Sole 24 Ore
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L'Europa non ha tempo per il gioco delle parti
Adriana Cerretelli
Presa in mezzo tra l'imperativo categorico di far rispettare le regole del patto di stabilità, sanzioni incluse, e
l'obiettiva impossibilità politica di farlo se non a rischio di scatenare una crisi incontrollabile dentro l'euro con
la Francia protagonista, la Commissione Juncker prende tempo. Sceglie la solita strategia europea del rinvio
delle decisioni, nella speranza che in 3-4 mesi le cose si aggiustino.
In breve, che ritardatari e renitenti alla disciplina si convincano a mettersi al passo, che dunque a Bruxelles (
e ai ministri dell'Eurogruppo) sia risparmiata la responsabilità di una mossa dovuta ma virtualmente suicida
nell'Europa in bilico tra stagnazione e recessione, prezzi in calo costante - l'inflazione dell'eurozona in
novembre è scesa allo 0,3 contro lo 0,4 di ottobre e l'obiettivo del + 2% della Bce - e disoccupati stabili
all'11,5%. Emorragia di consenso popolare che non arretra, mentre i partiti nazionalisti e euroscettici
mordono, tra l'altro generosamente foraggiati dalla Russia di Vladimir Putin a suo perfetto agio a ritrovarsi
davanti un'Europa debole, instabile e divisa.
Ma è realistico aspettarsi che da qui a marzo-aprile quello che da anni non è stato possibile fare in Francia,
Italia e Belgio - i tre sorvegliati speciali di questa tornata di giudizi sulle leggi di stabilità - improvvisamente lo
diventi, che le riforme sempre rimandate e quasi mai fatte o timidamente avviate diventino ora fattibili in 100
giorni o giù di lì?
Se la prospettiva delle sanzioni, 0,2% del Pil cioè circa 4,2 miliardi, fosse stata un deterrente efficace per la
Francia in deficit eccessivo dal 2009, certo Parigi non avrebbe sfidato i partner, e soprattutto la Germania,
con la politica del fatto compiuto: notificando a Bruxelles la scelta di rinviare al 2017 il rientro al 3% del
disavanzo insieme alla richiesta del terzo rinvio per attuare gli impegni presi.
La Commissione Ue naturalmente fa la voce grossa, che è il suo mestiere.
La Commissione avverte che in primavera si faranno comunque i conti, che la questione sanzioni resta
aperta per chi non avrà nel frattempo recuperato il tempo perduto in fatto di risanamento dei bilanci,
modernizzazione e recupero di competitività dei vari sistemi-paese. E che è comunque assodato il loro
ingresso nel novero dei sorvegliati a vista, in un regime simil-"troika" che distribuirà direttive Ue precise e
incalzanti con attuazione seguita da vicino.
Finchè però nei fatti la Francia persisterà nella sua fronda sfacciata, la credibilità delle regole del patto
resterà precaria. E, inevitabilmente, Italia e Belgio saranno al riparo da punizioni eccessivamente esemplari:
per circostanze politiche eccezionali, oggi ben più contundenti per il patto delle "circostanze economiche
eccezionali" da esso previste come finestra di flessibilità in tempi grami.
Per ora chi rischia sanzioni immediate per deficit eccessivo reiterato è solo la Francia.
Italia e Belgio sono nel mirino di procedure per l'alto debito, che sale invece di scendere contrariamente agli
impegni assunti con il fiscal compact. Ma l'Italia rischia anche una procedura per squilibri macro-economici
eccessivi: maxi-debito, appunto, e troppo scarsa competitività di sistema. Oltre che la richiesta di «uno sforzo
supplementare» nella riduzione del deficit strutturale del 2015.
In realtà il rigore nell'applicazione delle regole, ribadito a Bruxelles con parole anche forti ma smentito di fatto
dal rinvio delle decisioni, più che la manifestazione di sano realismo condito con una crescente flessibilità
interpretativa appare la maschera di cartapesta che nasconde l'imbarazzo evidente nel gestire regole
inapplicabili di cui si vuole però acclamare la piena credibilità e applicabilità: politica prima che economica.
Che però non c'è.
E' questo il vulnus sempre più evidente che affligge la governabilità dell'eurozona: quello cui Mario Draghi, il
presidente della Bce, auspica si ponga rimedio con l'Unione di bilancio. La stessa che invoca Wolfgang
Schauble, il ministro delle Finanze tedesco, quando pretende nuove cessioni di sovranità nazionale su
politiche di bilancio e riforme parallelamente a una maggiore integrazione dell'area perché non intende
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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LA SFIDA AL RIGORE
29/11/2014
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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«difendere l'euro per i prossimi 5-10 anni con questa governance».
Ironia della storia vuole che ai tempi dei negoziati di Maastricht fosse la Francia a battersi per un polo
economico unico da affiancare a quello monetario ma fosse la Germania ad opporsi ferocemente per timore
di ritrovarsi contagiata dalla politica francese di deficit spending. Oggi, in una moneta unica sempre più
tedesca, è la Francia a respingere con altrettanto accanimento nuove cessioni di sovranità.
Nodi vecchi e nuovi stanno venendo al pettine. Sarà anche il modo con cui saranno gestite le regole del
patto di stabilità a determinarne la sopravvivenza. Con quella dell'euro. Il tempo degli equivoci, degli euroequilibrismi infiniti sta per scadere.
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29/11/2014
Il Sole 24 Ore
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L'Italia bloccata dallo squilibrio responsabilità-poteri
IL CAMMINO DELLE RIFORME Troppe volte si approvano leggi che nella fase attuativa trovano ostacoli che
ne snaturano l'intenzione
di Stefano Paleari
Le tensioni di questi ultimi mesi ci interrogano sul tema delle rappresentanze, sia quelle che portano con sé
una responsabilità legiferante, esecutiva e di vigilanza, sia quelle che spesso identifichiamo con il termine di
"corpi intermedi". Per la prima volta, forse anche in ragione di una crisi che sembra non finire, quella che per
molti anni è stata portata come specificità positiva del nostro Paese, ovvero la capacità dei "corpi intermedi" o
di Istituzioni "terze" di mitigare le pulsioni politiche consentendo se non una "pace sociale" una dialettica
ordinata e rispettosa di alcuni valori, oggi sembra sempre più affievolirsi.
Cosa non funziona o meglio cosa non funziona più? Senza voler essere troppo banali, un aspetto che stride
ormai in molti campi nel "bel Paese" è la relazione tra "responsabilità" e "potere effettivo". Forse a questo si
riferiva il premier Matteo Renzi quando urtandosi con i sindacati sottolineava come la legge finanziaria si
negozia in Parlamento e non fuori, con chi è privo di responsabilità e, pertanto, non può attribuirsi un potere
effettivo.
Se noi riportassimo su due assi cartesiani rispettivamente la "responsabilità" e il "potere effettivo", parrebbe
logico che, in un'organizzazione, a data responsabilità formale corrisponda di conseguenza reale capacità di
azione. Chi governa un Paese, si assume una responsabilità a cui deve corrispondere un'effettiva possibilità
di incidere. Per lo stesso motivo, chi non ha responsabilità finale delle scelte non può pretendere, ad
esempio, di possedere su di esse un potere di fermo. Sempre guardando al grafico le buone organizzazioni
dovrebbero in altri termini muoversi intorno alla bisettrice dove a tanta o poca responsabilità corrisponde
tanto o poco potere effettivo, una sorta di linea del "buon governo".
Cosa succede se, viceversa, le organizzazioni si posizionano rispettivamente sul secondo e sul quarto
quadrante cartesiano? Da un lato chi porta la responsabilità formale in realtà non può incidere perché privo di
potere effettivo e, dall'altro lato, esistono soggetti che di fatto governano i processi senza assunzione di
responsabilità. Gli economisti direbbero che nel primo caso si genera "adverse selection" perché i migliori
non mettono in gioco la loro persona senza che venga attribuito anche un potere effettivo. Nel secondo caso
emerge il "moral hazard" perché si presentano situazioni davvero di comodo per chi determina i percorsi
senza esserne responsabile.
È l'Italia in questa situazione, cioè lontana dalla linea del "buon governo" indipendentemente dalle qualità dei
suoi rappresentanti? Per certi versi, e consapevole della provocazione insita in questa affermazione, sì.
Troppe volte, infatti, si approvano leggi che nella fase attuativa trovano ostacoli che ne snaturano l'intenzione
o ne attenuano la portata. E questo non sempre ha a che vedere con i corretti compiti di vigilanza e
mitigazione, tipici dei corpi intermedi di una società democratica e complessa.
Il ragionamento non vale solo per il Governo del Paese ma, a cascata, scende anche nei livelli più profondi.
Prendiamo ad esempio l'Università. Come in tutte le organizzazioni fondate sulla qualità delle risorse umane il
tema centrale è il reclutamento. Chi sbaglia ad assumere fa un danno a tutta la struttura ed è un danno
difficilmente riparabile. A oggi, a prescindere dalla natura dei concorsi, il potere di assumere non è bilanciato
a sufficienza dalla responsabilità di pagare il prezzo se si recluta in un settore non necessario o se si assume
la persona non migliore. Si possono elaborare modelli ottimi di selezione (nazionali, locali, misti, con o senza
indicatori bibliometrici) ma senza un meccanismo che penalizza adeguatamente chi non fa correttamente il
proprio mestiere si fa poca strada. Di nuovo prevarrebbe l'azzardo morale di chi non paga alcun prezzo,
nemmeno in termini di reputazione. Per fortuna quest'anno, per la prima volta, una parte dei fondi competitivi
è assegnata anche tenendo conto delle "politiche di reclutamento" degli Atenei. È un segnale, ancora da
sviluppare, che dovrebbe non limitarsi ai soli docenti e ricercatori delle Università, ma permeare tutta la
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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INTERVENTO
29/11/2014
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pubblica amministrazione e tutte le Istituzioni.
Da ultimo, si noti che quando in un'organizzazione c'è "adverse selection" si presenta anche "moral hazard".
Solo correggendo l'azzardo morale di chi decide senza prendersi la responsabilità convinceremo anche i
migliori a cimentarsi nel difficile governo dell'Italia di oggi.
Se il Paese è fermo non è solo perché lo sono i consumi e gli investimenti ma anche perché facciamo ancora
fatica a "dare a Cesare quel che è di Cesare".
© RIPRODUZIONE RISERVATAFoto: Il rapporto tra livelli di responsabilità e potere effettivo
29/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 10
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«Troppe lobby negli appalti Commissarieremo ancora»
«Nei padiglioni stranieri di Expo non si possono fare i controlli antimafia Quindi un pericolo resta»
Giovanni Minoli
Raffaele Cantone, 51 anni, dal '99 è nella Direzione distrettuale antimafia. Indaga sui casalesi e ottiene
l'ergastolo, tra gli altri, per Francesco Schiavone e Francesco Bidognetti. Nel 2013 Enrico Letta lo nomina
nella task force per l'elaborazione della proposta sulla lotta della criminalità organizzata; nel marzo 2014,
Renzi lo nomina presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione dove comincia a lavorare sullo scandalo
Expo bloccando l'assegnazione dei lavori per l'Albero della vita.
Alla fine l'Albero della vita si farà o no?
Abbiamo dato parere favorevole al bando. Ovviamente non tocca a noi stabilire se si farà o no.
Che cosa non andava?
Parecchie cose, c'erano criteri poco trasparenti, soprattutto nel modo in cui era stato di acquistato il concept.
Lei però un mese fa ha detto "Non ho gli strumenti per controllare quello che si fa nei padiglioni stranieri".
Verranno di lì i problemi?
Purtroppo sì, in parte. Nel senso che a quello che viene fatto nei padiglioni stranieri si applica legislazione
degli Stati stranieri per cui non si possono fare controlli antimafia e noi non possiamo controllare nulla.
Le imprese escluse dall'Expo possono ripresentarsi attraverso gli stranieri?
Può capitare, ma la Prefettura, soprattutto per quanto riguarda i controlli antimafia, li sta facendo ugualmente
e in qualche caso ha ottenuto l'esclusione volontaria.
Lì c'è un pericolo?
C'è sicuramente un gran pericolo, ma forse si sarebbe dovuto pensare quando è stata firmata la
convenzione. Del resto anche sulla Torino-Lione noi abbiamo gli stessi problemi perché lì si applica la
legislazione francese che non riconosce le interdittive antimafia.
A giugno quando è arrivato a vigilare su Expo, ha detto che quasi tutte le gare erano state fatte in deroga alla
legge sulla trasparenza. Oggi problema risolto?
Ho detto che erano state utilizzate in moltissimi casi le deroghe, previste e garantite dalla legge. Sicuramente
abbiamo fatto molti passi in avanti, per esempio Expo si è dotato di un programma che si chiama "Open
Expo", tutto in rete e questo è un gradissimo risultato.
Possono uscire altri guai?
Noi stiamo lavorando in modo molto molto rigoroso, io mi augurerei di no. Il nostro controllo resta un
controllo sugli atti, è talmente approfondito che tendenzialmente io direi che dal momento del nostro controllo
è molto difficile che questo accada, ma non impossibile.
Ma i fenomeni di corruzione scoperti per l'Expo sono solo la punta di un iceberg?
Purtroppo sì secondo me. Sono la punta di un iceberg che non riguarda solo Expo ma il sistema degli
appalti, che purtroppo prevede sicuramente una serie di meccanismi di presenze di lobby.
Con i poteri che lei ha le imprese temono una raffica di commissariamenti. È possibile?
Ad oggi abbiamo fatto tre commissariamenti, ne faremo molti altri. Uno riguarda il Mose che è in atto, non è
ancora stato fatto, due riguardano due imprese di Expo, altri ne faremo.
Dove?
In varie parti, però nessuno a oggi ha fatto ricorso
Ma è vero che un eccesso di controlli e di burocrazia, non solo non blocca ma facilita la corruzione?
Il rischio c'è, soprattutto se la burocrazia è deresponsabilizzata. Io sono convinto che la vera grande riforma
della Pubblica amministrazione dovrebbe passare per due parole: semplicità da un lato e scarsa burocrazia
dall'altro, efficienza.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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INTERVISTA A MIX 24Raffaele CantoneAnticorruzione
29/11/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Se dovesse dare un consiglio a ministro Madia?
Le direi che bisogna lavorare moltissimo per la semplicità, ovviamente ampliando sempre più i meccanismi di
trasparenza.
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Foto: A Radio24. Raffaele Cantone (a destra) con Giovanni Minoli
30/11/2014
Il Sole 24 Ore
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Borse, chi vince sul mini-greggio
Gli energetici «bruciano» 170 miliardi: l'impatto su valute e tassi
Andrea Franceschi
Il continuo calo dei prezzi del petrolio apre nuovi scenari: una sciagura per chi lo vende, ma non per chi lo
consuma. E ha impatti diretti sui mercati: la fuga dai titoli energetici (i big del settore hanno bruciato 170
miliardi di capitalizzazione) cambia le strategie degli operatori su valute, materie prime, titoli di Stato e azioni.
Ma impatta anche sull'economia reale: per l'Italia una riduzione strutturale di 10 dollari al barile vale una
crescita del Pil dello 0,3%.
Andrea Franceschi u pagina 6
Il prezzo del petrolio Brent venerdì scorso è sceso sotto la soglia dei 70 dollari al barile. Il Wti è sceso fino a
66 dollari. Oltre la metà rispetto ai massimi record del 2008. La flessione dei prezzi del petrolio, che procede
ormai da diversi mesi, si è intensificata negli ultimi giorni dopo che giovedì l'Opec ha rinunciato a contrastare
questa svalutazione. Il cartello dei Paesi produttori avrebbe potuto, riducendo l'offerta globale attraverso un
taglio della produzione, risollevare le quotazioni del petrolio. Ma ha scelto di non farlo mantenendo invariati gli
attuali livelli. Una decisione che rischia di avere un impatto forte sugli equilibri geopolitici mondiali e che ha
avuto, e con ogni probabilità continuerà ad avere, pesanti ripercussioni sui mercati.
Vincitori e vinti in Borsa
Il calo del prezzo del petrolio è una sciagura per chi lo vende ma non per chi lo consuma. Un male per le
economie molto dipendenti dalle esportazioni di greggio. Un bene per chi invece lo importa. L'Italia ad
esempio che, secondo una stima di Intesa Sanpaolo, potrebbe guadagnare uno 0,3% di Pil in più all'anno per
ogni calo di 10 dollari del greggio (vedi articolo a fianco). E lo stesso vale per le aziende. Questa settimana, a
fronte del tracollo dei titoli energetici, si è vista un'ottima performance in Borsa delle compagnie aeree.
Venerdì il titolo Lufthansa ha guadagnato il 4,5% mentre Air France ha messo a segno un rialzo del 6,4 per
cento. L'intero settore Viaggi, in una giornata fiacca per le Borse, ha guadagnato l'1,38 per cento. La ragione
per cui questo è successo è chiara. Per le compagnie aeree la voce carburante ha un peso specifico
notevole. Supera il 20% dei costi operativi nel caso delle big e può anche oltre il 40% nel caso delle
compagnie low cost. Ed è chiaro che, come per gli automobilisti, una riduzione della spesa per il pieno vada a
tutto vantaggio del bilancio.
Chi perde, come ovvio, è invece il settore energia. Stando alla banca dati S&P Capital IQ nelle ultime cinque
sedute le 100 maggiori società energetiche del mondo hanno bruciato qualcosa come 170 miliardi di euro di
capitalizzazione. La discesa, a ben vedere, è in atto da tempo. Almeno da metà giugno. Cioè da quando il
petrolio ha iniziato a scendere: da allora il Brent si è svalutato del 38% e il valore delle azioni del settore
energia è andato a traino perdendo circa il 20 per cento. In termini di capitalizzazione le top 100 hanno
bruciato oltre 220 miliardi di euro in cinque mesi. Gli analisti, da parte loro, hanno drasticamente tagliato le
loro stime sugli utili. Se a inizio anno il consensus degli analisti di S&P Capital IQ aveva previsto per i titoli
energetici quotati a Wall Street una crescita dei profitti del 13,06%, oggi ci si attende un più mesto +3,34 per
cento. Per il prossimo anno, che fino a qualche mese fa era previsto in crescita, si stima un calo del 3,64 dei
profitti.
Il rischio bolla sullo shale oil
L'Arabia Saudita è il principale azionista dell'Opec e il soggetto che più ha ispirato la decisione di non tagliare
la produzione. E lo ha fatto anche perché se lo può permettere dato che ha costi di estrazione più bassi
rispetto ad altri Paesi e riesce a mantentere decenti margini di profitto anche agli attuali prezzi. Lo stesso non
vale per i produttori americani che, grazie alla tecnologia "shale", in questi anni sono emersi come i nuovi
protagonisti sul mercato. Lo shale oil è molto più costoso e rischia di diventare antieconomico da produrre
agli attuali prezzi del greggio. Ciò peraltro mette a rischio la sostenibilità del debito molte aziende del settore
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Il crollo dei prezzi petroliferi non ferma il Toro: la fuga da Oil&Gas spinge la old economy
30/11/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
hanno contratto per finanziare le estrazioni. Consapevole di questi rischi il mercato ha venduto i bond ad alto
rischio del settore energia i cui tassi mediamente sono lievitati dal 5,6% di inizio anno al 7,3% attuale. Il
rischio default dello shale gas è una minaccia per tutto il mercato dei bond ad alto rischio. Ad oggi circa il
16% del mercato americano da mille e 300 milioni di dollari dei cosiddetti bond spazzatura fa riferimento al
settore energetico.
© RIPRODUZIONE RISERVATA LA SETTIMANA DELLE SOCIETÀ ENERGETICHE Capitalizzazione
bruciata in milioni di euro LA SETTIMANA LE BORSE Dati percentuali L'IMPATTO SUI CAMBI Valuta
necessaria per ottenere un dollaro GEN FEB MAR APR MAG GIU LUG AGO SET OTT NOV 02/01/2014
IERI 60 80 100 120 66,15 70,15 Var. della settimana Rendimento del bond a 10 anni +0,30% 2,03% Var. da
inizio anno +5,52% Milano Ftse Mib Var. della settimana Rendimento del bond a 10 anni +2,38% 1,89% Var.
da inizio anno +8,61% Madrid Ibex 35 Var. della settimana Rendimento del bond a 10 anni +2,55% 0,70%
Var. da inizio anno +4,49% Francoforte Dax Var. della settimana Rendimento del bond a 10 anni +0,99%
0,97% Var. da inizio anno +2,19% Parigi Cac 40 Var. della settimana Rendimento del bond a 10 anni -0,42%
1,93% Var. da inizio anno -0,39% Londra Ftse 100 Var. della settimana Rendimento del bond a 10 anni
+0,72% 2,20% Var. da inizio anno +11,86% New York S&P 500 Var. % EXXON MOBIL CHEVRON
SCHLUMBERGER STATOIL TOTAL ROYAL DUTCH SHELL A (LON) ECOPETROL CONOCOPHILLIPS
BG GROUP BP EOG RES. ANADARKO PETROLEUM HALLIBURTON GAZPROM ROYAL DUTCH SHELL
B SUNCOR ENERGY OCCIDENTAL PTL. CONTINENTAL RESOURCES OC ROSNEFT CANADIAN
NATURAL RES. -22.714 -15.499 -12.739 -9.581 -8.431 -8.054 -7.835 -7.788 -7.487 -6.958 -6.795 -5.904 5.879 -5.630 -5.548 -5.326 -5.105 -4.826 -4.711 -4.298 -6,48 -8,19 -12,18 -13,51 -7,30 -6,61 -15,65 -10,28 15,79 -6,25 -14,76 -15,15 -16,65 -1,48 -7,03 -10,88 -8,94 -27,98 -2,77 -11,06
Foto: La fotografia dei mercati
30/11/2014
Il Sole 24 Ore
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Paul Krugman
Il premier giapponese Shinzo Abe sta facendo la cosa giusta rimandando l'ulteriore aumento delle imposte
sul consumo. È buona politica economica, e per quanto mi riguarda anche un'esperienza abbastanza inedita:
un leader che proclama di voler seguire la politica giusta e lo fa davvero!
Paul Krugman
Naturalmente ci sono stati molti altri che hanno proclamato di voler seguire la politica giusta) Tuttavia, c'è
grande scetticismo, e con validi motivi: Abe sta cercando di realizzare qualcosa di molto complicato e non è
affatto chiaro se gli strumenti che sta mettendo in campo a questo scopo siano sufficienti. C'è un tipo di
critica, però, che mi fa imbestialire, sia nel caso del Giappone che di altri Paesi: e mi fa imbestialire
soprattutto perché è una di quelle cose che le Persone Tanto Coscienziose danno per scontate, al punto di
non rendersi nemmeno conto che non stanno proclamando la Verità, ma al contrario un'ipotesi discutibile. Mi
riferisco alla tesi secondo cui quello di cui avrebbe bisogno il Giappone non è di rafforzare la domanda, ma
procedere a riforme strutturali.
Di cosa stiamo parlando?
Tradizionalmente la soluzione delle riforme strutturali viene offerta come risposta al problema della
stagflazione (una combinazione di inflazione alta e disoccupazione alta). Se l'economia comincia a
surriscaldarsi per effetto di un'accelerazione dell'inflazione, pur in presenza di un livello di disoccupazione
piuttosto alto, la tesi è che la causa è da ricercarsi nella rigidità del mercato del lavoro (eufemismo per
indicare un sistema in cui è difficile licenziare le persone o tagliargli il salario) e per rilanciare l'economia
bisogna rendere il mercato del lavoro più flessibile (cioè più brutale).
È una tesi che ha una sua logica, anche se non è così inoppugnabile come recita la vulgata nemmeno
quando il problema è la stagflazione: si potrebbe sempre legittimamente ritenere che buona parte della
disoccupazione «strutturale» sia in realtà il risultato di un'isteresi, cioè dei danni duraturi inferti da recessioni
prolungate. Però almeno è una tesi coerente. Tuttavia, il Giappone non è affetto da stagflazione; e l'Europa
nemmeno. Al contrario, soffrono di bassa inflazione o deflazione e di carenze persistenti della domanda
nonostante i tassi di interesse a zero.
Non si capisce bene in che modo le riforme strutturali dovrebbero contribuire a risolvere il problema. Anzi, il
tipo di riforma strutturale di cui più si è parlato in passato - rendere più flessibile il mercato del lavoro in modo
che sia più semplice tagliare i salari - semmai aggraverebbe la recessione. Perché? È il paradosso della
flessibilità: il calo dei salari e dei prezzi aumenta in termini reali il fardello del debito, deprimendo
ulteriormente la domanda.
Sembra che le riforme strutturali siano una panacea, sbandierate come un elisir buono per tutti gli usi: cura
l'inflazione, ma anche la deflazione! E pure il mal di schiena e l'alito cattivo. Alcuni tipi di riforme strutturali che
farebbero bene al Giappone ci sono: per esempio, modifiche alle norme sulla destinazione d'uso dei terreni o
l'altezza degli edifici consentirebbero di «riempire gli spazi» nelle città giapponesi e potrebbero stimolare gli
investimenti e contribuire a incrementare la domanda.
Ma il punto è che questa invocazione generica di «riforme strutturali» è segno di pigrizia intellettuale e
produce effetti distruttivi. Non è solo che buona parte di quelle che chiamiamo riforme strutturali porterebbero
più danni che benefici, è anche che dichiarando che il problema è strutturale si distoglie l'attenzione dei
policymakers dalle cose veramente importanti: perché quello di cui ha bisogno il Giappone in questo
momento è uscire dalla deflazione in qualsiasi modo.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
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Il Giappone di Abe fa la cosa giusta
30/11/2014
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La depressione degli italiani e il rischio Paese*
Carlo Bastasin
C'è nel nostro Paese uno stato di ansia e malcontento che può definirsi come uno specifico «malessere
italiano». Una condizione dell'animo che sbalordisce quando si arriva da fuori: si esprime nelle avverse
condizioni economiche, ma ha ormai natura sociale e perfino profondità psicologica.
Continua da pagina 1
Economia e psicologia coincidono d'altronde nel termine «depressione», un sentimento caratterizzato dalla
sfiducia nel futuro che è al tempo stesso individuale e collettiva. Ma è anche un sentimento asociale, in cui la
reazione individuale può aggravare il declino collettivo: i giovani fuggono all'estero, le imprese tagliano gli
investimenti, le famiglie si aggrappano ai risparmi rinunciando al presente.
Prima della crisi esplosa nel 2008, anche in Italia era in atto una lenta trasformazione del lavoro e della
produzione, il tasso di disoccupazione si era dimezzato e le imprese si rivolgevano ai mercati globali. Nella
"coscienza" comune era rimasto tuttavia il vuoto di fiducia - tuttora sottovalutato - causato dai fenomeni
emersi con tangentopoli negli anni Novanta in combinazione con l'enorme debito pubblico. Nel caso italiano,
proprio come nella lingua tedesca, debito e colpa coincidono. Da venti anni l'Italia è così il paese che cresce
meno al mondo. A chi insegna, capita di confrontarsi con giovani che calano un sipario sarcastico sul paese:
tutti rubano e la camorra è l'unica impresa globale. Da uno studio di Pew-research, gli italiani emergono come
l'unico popolo a considerare se stesso il meno degno di credibilità al mondo. Il crollo post-2008 ha
cristallizzato il senso che l'Italia non sia in grado di tenere il passo della globalizzazione. Da questa sfiducia in
se stessi origina anche la critica all'euro, moneta «non nostra», bensì tedesca. Paura del futuro ed
estraneazione dal mondo coincidono, si manifestano nel vuoto di progettazione che impedisce soprattutto ai
più deboli di nutrire speranze e che oggi diventa più visibile nella crisi delle periferie. L'alienazione si riflette
nell'ostilità per gli altri. A chiudere la gabbia mentale è infine un discorso pubblico introverso e provinciale, in
cui da 20 anni l'interesse dei media è assorbito dal «miglio quadrato» attorno al palazzo del governo.
Negli ultimi due decenni invece il mondo stava completamente cambiando. Un esempio dà la misura del
ritardo italiano: a metà degli anni Novanta, anche l'impresa simbolo della Germania, la Deutsche Bank,
minacciò di lasciare il paese. I cancellieri Kohl e Schroeder reagirono trasformando la Germania. Eravamo
alla vigilia dei Brics, l'esplosione economica in Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa.
Così come l'Italia non vide il cambiamento allora, non lo vede oggi. I mercati emergenti alimentano due terzi
della crescita globale, ma il loro vantaggio competitivo è molto meno aggressivo. La loro classe media è
costituita da 1,4 miliardi di individui, quasi quanti gli 1,8 miliardi dei paesi avanzati. L'economia cinese sta
rallentando rapidamente. World Bank stima che Brasile, Messico, Russia e Sud Africa abbiano oggi tassi di
sviluppo «occidentali» tra l'1,5 e il 2,5%. Secondo le analisi delle società di consulenza, il vantaggio di costo
delle imprese manifatturiere cinesi su quelle americane è sceso a meno del 5%, Boston Consulting giudica il
Brasile più costoso di gran parte dei paesi dell'euro. Produrre in Polonia, Repubblica Ceca o Russia non è più
conveniente che produrre negli Usa, in Spagna o in Gran Bretagna. Sfruttando la reciproca vicinanza, Stati
Uniti e Messico sono diventati una nuova avanguardia globale autonoma dall'import di energia. Aggiustato
per la produttività, il costo del lavoro cinese è oltre metà di quello europeo. Con popolazioni giovani e
abbienti, i paesi emergenti non sono più solo concorrenti, ma consumatori prosperi, stabili e attratti dai
modelli occidentali.
L'Italia, per la sua struttura sociale e produttiva, era destinata a soffrire nei primi 20 anni della
globalizzazione. Ma può essere tra i vincitori nei prossimi venti, con un'offerta produttiva disegnata per
incontrare le aspirazioni dei nuovi consumatori. È necessario migliorare l'offerta di tecnologia perché la
produttività pro-capite italiana è di un terzo più bassa che nelle imprese tedesche e francesi. Per farlo deve
migliorare la formazione e l'apprendistato dei giovani. Più in generale sono necessarie riforme: facilitare
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PSICOLOGIA E RIPRESA
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Il Sole 24 Ore
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l'attività economica, rendere flessibili capitale e lavoro, ammodernare l'intero settore dei servizi e non ultimo,
attraverso una giustizia ben funzionante, contrastare il pregiudizio di disonestà che alimenta la sfiducia.
Conoscenza, onestà, apertura al futuro: come si capisce, gli interrogativi che la crisi pone agli italiani sono
profondi perché toccano le radici della loro deteriorata autostima e qualità sociale. La sfiducia in se stessi e
nel futuro tuttavia sono diventate gli alibi per non cambiare.
Il cambiamento è un tema che galleggia nel dibattito politico italiano, ma senza alcun ancoraggio alla realtà
che circonda il paese. Prevale il negoziato di potere nel «miglio quadrato» che si legittima per l'emergenza
economica anziché per la sostanza. Perdendo di vista la trasformazione benigna in corso nell'economia
globale, si è smarrita la linea di orizzonte. Si è letteralmente disorientati. In particolare, non si coglie il
vantaggio comune nella trasformazione del paese. Si perde così il senso positivo del governo della polis che
diventa puro esercizio di forza in una gabbia di topi.
Le responsabilità della politica, dell'amministrazione e dell'informazione, nel produrre il malessere italiano
sono state quasi criminali. Mancare l'ultima opportunità di salvezza, offerta dalla nuova fase della
globalizzazione, sarebbe solo un banale suicidio.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Carlo Bastasin
30/11/2014
Il Sole 24 Ore
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Come sostenere le riforme
Sergio Fabbrini
Le discussioni politiche che contano sono sempre collegate ad azioni concrete. Altrimenti sono chiacchiere.
Così sta avvenendo sulla scia delle riforme del mercato del lavoro e del sistema parlamentare e
amministrativo che il governo Renzi ha promosso con grande determinazione. Sergio Fabbrini
Quelle riforme - se diventeranno fatti - aggrediscono nodi strutturali del declino italiano, l'ingessatura del
mercato e l'inefficienza dello Stato. È nel rapporto perverso tra Stato e mercato che si sono alimentati i
peggiori vizi italiani, dal corporativismo difensivo degli interessi al consensualismo paralizzante della politica.
L'istituzionalizzazione di tale perversione è stata promossa sia dalla sinistra che dalla destra. La destra
perché ha continuato ad avere paura del mercato, nonostante a parole lo celebrasse come la condizione
indispensabile della libertà d'impresa. La sinistra perché ha continuato a celebrare lo Stato come il luogo
dell'interesse generale, nonostante nei fatti lo utilizzasse come una spoglia per le proprie corporazioni.
In Italia il segno complessivo è stato quello di prevenire la competizione, per sostituirla con pratiche
consociative finalizzate a preservare lo status quo. L'Italia si è arenata perché incapace di innovare. Sono le
società chiuse quelle che non innovano.
Che piaccia o meno, il governo Renzi ha provato, non senza alcuni errori, a mettere in discussione lo status
quo, trovando resistenze sia a destra che a sinistra. Come era prevedibile, si è trattato di resistenze senza
progetto. Si fa fatica a capire qual è il progetto di Gianni Cuperlo o di Pippo Civati per aprire il mercato del
lavoro e rilanciare l'occupazione. Al di là dell'affermazione che i diritti acquisiti non si toccano, poco o punto si
è detto su come estendere il lavoro a tutti coloro che lo necessitano. Il lavoro lo creano le imprese, non lo
Stato. Lo Stato deve creare le condizioni regolative per favorire la competitività delle imprese, perché
solamente stando sul mercato esse potranno favorire l'occupazione. Il mercato va regolato per garantirne il
carattere sociale, ma non può essere sostituito dallo Stato in un contesto di competizione globale come
l'attuale. Lo Stato deve creare le necessarie infrastrutture, investire sulla ricerca e sul capitale umano, istituire
agenzie per la continua riqualificazione dei lavoratori, favorire la negoziazione tra le parti, ma non può
produrre panettoni per dare il lavoro ai disoccupati. Sarà anche vero ciò che ha detto Massimo D'Alema al
Corriere, e cioè che la Terza Via con il suo riconoscimento del ruolo del mercato, è morta e sepolta da una
decina d'anni. Ma la sinistra che si è mobilitata in queste settimane è rimasta ancora legata ad una visione
statalista dell'economia, come se la globalizzazione fosse un'invenzione e il debito pubblico una maldicenza.
Ma anche la destra non scherza. Invece di sostenere un progetto di riforma che rende il mercato del lavoro
più aperto, si è accodata al populismo di chi grida a più non posso per lasciare le cose come stanno. Anche
questa destra teme il mercato, perché tradizionalmente dipendente dal sostegno pubblico o dalla
benevolenza dello Stato (basti pensare all'omertà nei confronti dell'evasione fiscale). Contrariamente a ciò
che dicono i suoi portavoce come Renato Brunetta o Matteo Salvini, è una destra che non vuole la
competizione economica né quella politica. Un paese moderno non può e non deve scegliere tra Stato e
mercato, come le ideologie del secolo scorso imponevano di fare. Un governo riformatore deve risolvere
pragmaticamente i problemi del paese, combinando in dosi diverse l'uno e l'altro a seconda della sfida da
affrontare. E deve fare questo tenendo presente i criteri sia dell'efficienza che dell'equità. Abbiamo bisogno di
un cambiamento radicale delle politiche pubbliche del paese, ma anche del nostro modo di pensare
quest'ultimo. Gli album di famiglia non servono a nulla. Ciò che ci serve è un metodo di governo che sappia
valorizzare al meglio ciò che lo Stato e il mercato possono offrire per risolvere i nostri problemi strutturali in un
contesto di interdipendenza economica e integrazione monetaria. Abbiamo bisogno di un'alleanza tra i
riformatori dello Stato e gli innovatori del mercato per trovare risposte originali alle domande che l'una e l'altra
sollevano instancabilmente. Il paese ha bisogno di un governo che abbia la testa in Europa e i piedi in Italia,
un governo che abbia interiorizzato l'inestricabile connessione tra la crescita interna e la forza esterna. Che
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I NODI DEL DECLINO
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sia la Terza o la Quarta Via, ciò che conta è fare le riforme strutturali e istituzionali per migliorare il paese e
renderlo più aperto ed efficiente. E contemporaneamente promuovere la riforma della governance europea
per rendere l'Unione un progetto politico e non tecnocratico. Lo Stato e il mercato vanno ripensati nel
contesto della trasformazione senza precedenti che è in corso in Europa. Il dialogo tra Tony Blair e Matteo
Renzi, pubblicato su questo giornale, testimonia che ogni generazione di leader riformatori deve affrontare
problemi diversi perché diverso è il contesto storico in cui debbono agire. Se sono dei leader, guardano
avanti e non indietro. Se sono dei riformatori, sanno che l'efficienza è compatibile con l'equità.
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30/11/2014
Il Sole 24 Ore
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Il bonus europeo da non sprecare*
Alberto Quadrio Curzio
Il benestare sul progetto di legge di stabilità 2015 da parte della Commissione Europea e i progressi in
Parlamento chiudono una settimana importante per l'Italia.Non ne usciamo male malgrado le ultime notizie
sul peggioramento nel tasso di disoccupazione richiedano rapidità delle riforme soprattutto per favorire
l'occupazione giovanile. La Commissione dà credito (con riesame a marzo) alle riforme italiane e riconosce
l'eccezionalità della nostra recessione (a cui il rigore eurotedesco ha contribuito). Poi ci chiede di più nel
controllo del debito pubblico sul Pil e di spingere la crescita rilevando che la stessa soffre anche per una
«riduzione degli investimenti». Quest'ultimo giudizio si può applicare alla Ue e alla Uem usandolo per valutare
il piano di investimenti per l'Europa presentato pochi giorni fa dalla Commissione Juncker. Il Parlamento
europeo (che è da tempo pro-crescita), l'Italia e la Francia (paesi "vigilati" i cui Pil sommano al 38% della
eurozona!) devono valutare questo piano ben al di là delle promesse perché qui si gioca il destino
dell'Europa.Vediamo perché e come.
Il piano di investimenti. Bene ha fatto la Commissione a sottolineare che il crollo degli investimenti è al centro
della crisi europea. L'urgenza di politiche per rilanciarli viene così affiancata a quelle, dominanti e recessive,
del rigore fiscale. Il piano constata che nel 2013 gli investimenti totali sono al 19,3% sul pil ovvero di 2-3 punti
percentuali sotto il livello che si doveva raggiungere tenendo il trend europeo di lungo termine.Sulla annualità
2013 mancano quindi tra i 230 e i 370 miliardi di euro di investimenti.La caduta rispetto al 2007, anno di
culmine della bolla immobiliare spagnola, è di 430 miliardi. Per tenere il passo con la crescita degli
investimenti Usa nel 2012-13 la Ue doveva investire 540 miliardi di euro in più. La consapevolezza degli
effetti negativi di questo crollo negli investimenti sembrano diffondersi e non è esagerato dire che l'Europa s'è
bruciata molto futuro in termini di innovazione e sviluppo.
Il piano spiega poi che gli investimenti non riprendono(mentre i consumi e il pil sono tornati nella Ue ai livelli
del 2007) perché le imprese non hanno fiducia e perché i rischi sono eccessivi malgrado la liquidità
abbondante. La condivisibile(banale) conclusione è che va spezzato il circolo vizioso della sfiducia che blocca
gli investimenti.
Il Fondo strategico. Lo strumento con cui il Piano intende ricreare la fiducia e rilanciare gli investimenti è un
Fondo (Feis) che verrà costituito dentro la Banca Europea per gli investimenti (Bei) rodata istituzione
finanziaria del 28 Paesi membri della Ue.E' una scelta con luci ed ombre perché da un lato il Fondo fruirà
dell'esperienza della Bei ma dall'altro sarà frenato (malgrado soluzioni che daranno al fondo una certa
autonomia) dalla sua governance blasonata dalla tripla A e che aspira a vincere le olimpiadi dei ratings.Non ci
pare quindi che questa soluzione sia quel "kick-start" come Juncker vuole dal Fondo.
Il Fondo verrà costituito con 5 miliardi impegnati dalla Bei e 16(di cui 8 disponibili subito) garantiti dal bilancio
comunitario.Altre garanzie o conferimenti potranno essere apportati(quando?) da fondi statali o pubblici e
privati.Con una garanzia di 21 miliardi la Bei dovrebbe emettere 60 miliardi di obbligazioni (mantenendo il
rating di tripla A)per finanziare progetti di investimento che dovrebbero poi mobilitarne altri 255 da investitori
privati o pubblici.Dunque si assume un moltiplicatore di 15 per arrivare da 21 miliardi(di cui 13 disponibili) di
garanzia a 315 miliardi di investimenti.Si tratta dunque di una scommessa che parte da risorse sottratte ad
altri impieghi!
La destinazione dei finanziamenti del Fondo andrà per 75 miliardi alle PMI e ad imprese a media
capitalizzazione sia con investimenti diretti in capitale sia con garanzie per ottenere credito.Su questi rapporti
con le imprese la Bei ha una esperienza pluricedennale.
I restanti (supposti) 240 miliardi sono destinati a infrastrutture materiali(banda larga,reti energetiche, energie
rinnovabili, trasporti, edilizia scolastica ecc) ed immateriali ( istruzione, ricerca, innovazione). Non sono grandi
entità rispetto alle stime (nazionali ed europee) sulle necessità e rispetto alla liquidità in circolazione.
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L'EDITORIALE NOI E BRUXELLES
30/11/2014
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Come e dove investire. Gli investimenti andranno distribuiti secondo tre criteri generali:creazione di valore
aggiunto europeo in termini di allineamento agli obiettivi ed ai programmi della Ue previsti dal Qfp (Quadro
finanziario poliennale) 2014-20, dai TransEuropeanNetwork,da Horizon 2020; redditività dei progetti; tempi di
realizzazione con riferimento ad un orizzonte di tre anni.
Tre sono i nostri commenti (e dubbi) a queste modalità. Il primo è che il piano e il fondo appaiono come un
rafforzamento finanziario del Qfp 2014-2020 di altri progetti europei in atto. Questo è positivo in quanto si
evitano sbandamenti ma è anche negativo perché il piano non assume quel carattere di discontinuità
innovativa che potrebbe essere espresso dal concentrare e velocizzare i fondi soprattutto su grandi opere
geo-economicamente strategiche (nord-sud, est-ovest) che siano anche un simbolo di riscossa europea.
Viene alla mente (pur con le difficoltà di paragoni storici) il caso della Tennessee valley Authority (Tva)
società federale del New Deal roosveltiano.
Il secondo è che la selezione dei progetti finanziabili dipenderà da un complesso e necessariamente lento
meccanismo di valutazione nel quale interverranno gli stati membri della Ue con delle loro proposte che
andranno vagliate da una "task force" Commissione europea-Bei e da vari altri comitati anche con la
collaborazione delle Banche di svilupppo nazionali. Il terzo è che nella scelta dei progetti bisogna evitare
incidano pesantemente le situazioni nazionali in termini di norme e procedure ostative agli investimenti
infrastrutturali. Cruciale sarà perciò capire come si potrà esplicare l'impegno di assistenza della Commissione
per superare questi ostacoli e per evitare che i finanziamenti vadano in prevalenza alle aree più efficienti ed
attrezzate. In altri termini gli investimenti in infrastrutture devono servire alla crescita sistemica europea e non
solo al rafforzamento delle aree più sviluppate.
Una conclusione. La forte enfasi del piano sul rilancio degli investimenti e delle infrastrutture nella Ue non
trova purtroppo nel fondo quella attuazione soddisfacente che con più coraggio si poteva costruire.
30/11/2014
Il Sole 24 Ore
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Salvi i saldi (per la Ue), ora sprint sulle riforme
Dino Pesole
La manovra "espansiva", su cui Bruxelles ha sospeso di fatto il giudizio fino a marzo, supera indenne il primo
passaggio parlamentare. Non c'è stato il temuto assalto alla diligenza, anche perché alcuni nodi rilevanti e
politicamente sensibili sono stati rinviati al Senato.
Se si riuscirà, con correzioni tutte opportunamente coperte, a mantenere in piedi l'impianto di partenza, il
confronto con la Commissione europea potrà ripartire con un atout in più. A patto che il governo si presenti al
nuovo esame primaverile con le carte in regola sul fronte delle riforme, ma anche con precise indicazioni sui
risparmi effettivi da conseguire con la spending review, sugli incassi aggiuntivi (3,5 miliardi) da realizzare con
la lotta all'evasione e sulle misure in campo per disinnescare le clausole di salvaguardia sull'Iva e
sull'aumento automatico delle accise sui carburanti. A bocce ferme, potrebbe rendersi necessario sostenere
l'intero quadro di finanza pubblica con una nuova correzione del deficit strutturale pari allo 0,2% del Pil (3,2
miliardi), così da colmare lo scarto che tuttora separa il target garantito dal governo (0,3%) e lo 0,5% richiesto
dall'attuale disciplina di bilancio europea. Intervento da annunciare eventualmente in marzo e poi deciso
formalmente in aprile, quando il governo dovrà presentare a Bruxelles il nuovo «Def», con annesso Piano
nazionale di riforma.
Quattro mesi decisivi, dunque. A un via libera tutto politico, condizionato e a tempo, si dovrà rispondere con
nuovi impegni programmatici cogenti e riforme già avviate. La sfida è ardua: traghettare l'economia italiana
fuori dalle secche della recessione. Ecco perché le modifiche in arrivo al Senato (in primis per quel che
riguarda i tagli alle Regioni) dovranno garantire l'invarianza dei saldi. Ecco perché va giocata con coraggio la
partita delle riforme. Il fattore tempo gioca un ruolo determinante e ogni energia va convogliata sulle chance a
disposizione per invertire il trend congiunturale già nel primo trimestre del prossimo anno. Viceversa, il
rispetto dei target di finanza pubblica diverrà molto complesso. Non si potrà più far conto sulle "circostanze
eccezionali" (tre anni di recessione) che hanno consentito a Bruxelles di sospendere momentaneamente il
giudizio sul nostro paese. Al tempo stesso, grazie all'effetto congiunto delle misure contenute nella delega sul
lavoro e nella legge di stabilità (soprattutto il taglio della componente costo del lavoro dalla base imponibile
dell'Irap ma anche la conferma del bonus Irpef da 80 euro per i redditi fino a 26mila euro annui), bisognerà
dimostrare sul campo che si è preparata la strada per una ripresa sostenuta e non più dello «zero virgola». In
caso contrario, sarà arduo evitare l'apertura di una procedura d'infrazione per violazione della «regola sul
debito» e squilibri macroeconomici eccessivi.
Non mancano le incognite, anche per effetto di passaggi politici molto impegnativi che attendono il governo e
il Parlamento. A partire dall'elezione del nuovo presidente della Repubblica, che impegnerà le forze politiche
da gennaio, non appena Giorgio Napolitano avrà formalizzato le sue annunciate dimissioni.
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L'ANALISI
29/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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E per il Quirinale Renzi tratta con Fitto
FRANCESCO BEI
TENERE unita Forza Italia è la chiave di tutto». L'imperativo non viene, sorprendentemente, da un accolito di
Berlusconi. Al contrario. A PAGINA 13 ROMA. «Tenere unita Forza Italia è la chiave di tutto». L'imperativo
non viene, sorprendentemente, da un accolito di Berlusconi. Al contrario, è uno dei renziani che hanno
iniziato a ragionare sulla corsa per il Quirinale a spiegare come il premier stia sistemando i pezzi sulla
scacchiera. È da Forza Italia, dalla crisi che sta vivendo il partito berlusconiano, che bisogna partire per
capire quanto azzardata ma in fondo obbligata sia la mossa che ha in mente Renzi per rafforzare la sua
posizione: invitare al tavolo della trattativa anche Raffaele Fitto.
Il galateo politico impone in teoria che delle faccende interne ai singoli partiti se ne occupino soltanto i diretti
interessati. Eppure il colpi inferti da Fitto alla leadership berlusconiana, avendo minato la coesione dei gruppi
forzisti, hanno ormai raggiunto un livello tale da mettere in allarme palazzo Chigi.
Imponendo al regista di cambiare in fretta copione, prima di restare egli stesso vittima dei ricatti interni. «La
situazione - spiega un "Virgilio" renziano-è semplice: per non sottostare ai giochetti della minoranza del Pd
noi abbiamo bisogno di una candidatura che nasca all'interno del patto del Nazareno. Ma Berlusconi non è
più in grado di garantire i suoi voti. Per cui è necessario trattare direttamente con Fitto per allargare il patto
anche a lui». I conti sono presto fatti.
Finora i parlamentari fittiani usciti allo scoperto sono 34 ma a breve si dice arriveranno a 40. E questi 34 o 40
sono solo quelli che ormai non hanno nulla da perdere, la truppa scelta che ha deciso di "metterci la faccia".
Come dimostra la mancata elezione del giudice costituzionale di area forzista, nel segreto dell'urna il
dissenso può raddoppiare la sua consistenza. E con ottanta voti in meno da Forza Italia ogni candidatura
immaginata dalla coppia del Nazareno è destinata a infrangersi contro i voti contrari della minoranza dem.
Per questo, riservatamente, Renzi ha incaricato Graziano Delrio di iniziare a sondare l'oppositore interno del
leader forzista. La cui crescita politica è ormai un fattore di destabilizzazione del quadro.
Fitto e Delrio si conoscono bene e si stimano, fin da quando il primo era ministro degli Affari regionali e il
secondo presidente dell'Anci. I primi approcci saranno condotti quindi dal sottosegretario di palazzo Chigi; in
un secondo tempo, se dovesse servire, entrerà in campo direttamente il titolare. Nessuna preoccupazione tra
i renziani sul possibile malumore di Berlusconi per sentirsi scavalcato in un dialogo diretto con chi sta
provando a sfilargli il partito. Anzi, corre voce che sia stato proprio l'ex Cavaliere a chiedere il soccorso del
premier per ridurre a più miti consigli il suo avversario pugliese. Ma cosa può offrire Renzi a Fitto per farlo
sedere al tavolo? «Noi - ha anticipato l'ex ministro ai suoi - abbiamo bisogno di tempo per organizzarci. E
quel tempo l'unico che può offrircelo è Renzi. Se lui lo vuole vendere noi lo compriamo». Insomma, il premier
dovrebbe garantire il proseguimento della legislatura. E l'unico modo per farlo è assicurare che l'Italicum non
entrerà in vigore prima dell'approvazione definitiva della riforma costituzionale. «Se ci sta noi siamo disposti a
ragionare - ha proseguito Fitto - e lui sa bene quanto male possiamo fargli. Anche perché i miei rapporti
amiche
voli con D'Alema e Boccia sono noti».
Se la vera trattativa sarà condotta dentro il perimetro del Nazareno, Renzi ha bisogno di costruire un
percorso che, almeno formalmente, non lasci fuori nessuno. Nella speranza di tirarsi dietro un bel numero di
dialoganti M5S. Di conseguenza ogni forza politica sarà invitata a discutere apertamente dei nomi, senza
preclusioni. Un modo per non restare vittime dei giochi altrui e anticipare eventuali mosse ostili (come una
candidatura di Prodi o Rodotà lanciata solo per spaccare il Pd). Poi è chiaro che Renzi ha già in mente una
sua rosa. C'è un divertente gioco di parole che circola tra i parlamenta- ri democratici per indicare i
superfavoriti della corsa alla successione. Il metodo renziano sarebbe quello del" Work in Progress ", una
formula che abbreviata viene letta come "W. P.". Il metodo "W. P." dunque, come le iniziali dei due uomini in
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IL RETROSCENA
29/11/2014
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cima alla lista: Walter e Paolo, Veltroni e Gentiloni. Certo, Berlusconi vorrebbe che la rosa dem venisse
allargata a Giuliano Amato. Ma è più che probabile che invece includa una donna. O forse due. Oltre alla
Pinotti il nome che si rafforzaè quello di Anna Finocchiaro, specie se riuscirà a intestarsi il voto finale
dell'Italicum. A palazzo Madama raccontano di un rapporto tra Finocchiaro e la renziana Boschi che si è fatto
sempre più stretto. Stima reciproca e fiducia che Boschi ha trasmesso a Renzi.
IL TOTONOMI
PER SAPERNE DI PIÙ www.repubblica.it www.quirinale.it
VELTRONI Il primo segretario del Pd ha lasciato da tempo la prima linea.
Molte idee del Lingotto sono state riprese da Renzi
GENTILONI Stimato anche da Berlusconi, è stato il primo della vecchia guardia Pd a schierarsi con Renzi
FINOCCHIARO Dopo gli screzi con Renzi ha saputo ricostruirsi un rapporto con il premier. E lavora in stretto
contatto con la Boschi
TOGLIATTI Ricordare la memoria di Palmiro Togliatti e il percorso di elaborazione della Costituzione. È
questo il senso della mostra inaugurata ieri alla Camera a cui ha preso parte anche Giorgio Napolitano. Nella
foto a sinistra il capo dello Stato all'incontro «L'Europa della cultura» al Quirinale
29/11/2014
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L'ARMA DEL PETROLIO
Ue, promossa l'Italia "Ma deve fare di più" La disoccupazione a livelli record
FEDERICO FUBINI
SONO bastate poche ore per capire che qualcosa stavolta è cambiato. Exxon, leader mondiale dell'energia,
ieri ha perso 16,8 miliardi di dollari alla Borsa di New York: come una manovra di una legge di bilancio in
Italia.
A PAGINA 16 SERVIZI ALLE PAGINE 6 E 7 FEDERICO FUBINI ROMA. Sono bastate poche ore per capire
che qualcosa stavolta è cambiato in profondità.
Exxon, primo gruppo mondiale dell'energia, ieri ha perso 16,8 miliardi di dollari di valore alla Borsa di New
York: una somma pari alla manovra di una legge di bilancio in Italia. Messe insieme, le major occidentali del
petrolio hanno bruciato oltre cento miliardi di capitalizzazione.
Nel frattempo si sono messi a correre i titoli dei gruppi ad alto consumo di energia, compagnie aree
americane in testa.
Questa settimana l'Opec ha consegnato ai mercati la sua ultima sorpresa, e chi non l'aveva messa in conto
ora sta cercando di correre ai ripari. Il Brent viaggia a quota 70 dollari al barile, l'8% in meno rispetto a giovedì
prima degli annunci dell'Opec ma, soprattutto, il 40% al di sotto dei livelli di giugno. L'indice amaricano Wti
perde in una seduto 10% a 66,15 dollari. Il vecchio cartello di Paesi che garantisce il 40% del greggio
prodotto nel mondo ha fatto qualcosa che non tutti avevano previsto: è rimasto fermo. Ha deciso di non agire.
Di fronte a un eccesso di produzione mondiale che il Venezuela stima in due milioni di barili al giorno, non ha
tagliato neppure di mezzo milione.
Senz'altro il primo responsabile della scelta è stato Ali AlNaimi, ministro del petrolio dell'Arabia Saudita e,
come tale, mente e voce del primo produttore del pianeta. Il regno sunnita del Golfo che da solo vale circa 12
milioni di barili al giorno (ma ne estrae solo 9), ha deciso che il prezzo può scendere ancora: non è il
momento di chiudere i rubinetti, benché il mercato sia fin troppo liquido. Sulla domanda di energia si sta
facendo sentire la frenata dell'economia europea, quella della Cina e la svolta americana: la rivoluzione del
"fracking", il gase il petrolio estratti dalla roccia di scisto, avvicina ormai gli Stati Uniti all'obiettivo
dell'autosufficienza nell'energia.
Se questi sono i fatti, non sono così univoci da mettere d'accordo chi li osserva da New York, Washington o
dalla capitali europee. A spiegare la scelta saudita di lasciar cadere le quotazioni, in fondo, non basta la
certezza che le soglie di profitto per Ryadh restano comunque elevate: produrre un barile nel deserto della
penisola arabica costa appena 12 dollari.
Quando in gioco è il prezzo del greggio, anche la politica entra sempre nell'equazione. Nelle banche d'affari
di Wall Street da settimane si stanno così facendo strada anche letture legate ai rapporti dei grandi produttori
Opec con la Russia e gli Stati Uniti. Nella scelta dell'Opec di non procedere a un taglio, alcuni vedono un
favore saudita all'alleato americano contro la Russia di Vladimir Putin. Senz'altro per Mosca la caduta del
greggio è un problema più intrattabile di quanto non sia per Ryadh, il Kuwait o per Abu Dhabi, il più potente
dei sette Emirati Arabi Uniti. Putin ha ormai bisogno di un prezzo sopra ai cento dollari al barile per garantire
la stabilità della sua economia e del sistema finanziario. Non era così anche nel 2007, quando la Russia è
cresciuta dell'8,5% con un prezzo medio del barile ad appena 72 dollari. Già però nel 2012, con le quotazioni
in media a 111 dollari, l'economia aveva più che dimezzato la sua velocità di crociera. Pesano senz'altro i
seicento miliardi di dollari di debito estero delle grandi imprese russe. Il crollo del rublo, il cui valore si è quasi
dimezzato in pochi mesi, aumenta in modo esponenziale il peso di quei debiti. Solo l'anno prossimo rimborsi
per 130 miliardi attendono le aziende russe, gli introiti da petrolio non bastano a finanziare le loro scadenze e
qualcuno si trova in difficoltà: il colosso statale Rosneft da solo vale il 5% della produzione mondiale di
greggio, ma ha debiti esteri per 60 miliardi e ha appena chiesto un aiutoa Putin per sostenerli. Nonè una
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L'ECONOMIA
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sorpresa. Prima di finire sotto sanzioni, Rosneft aveva già osato investimenti ovunque, anche in Italia (nella
galassia Pirelli e in Saras). A guidarla è Igor Sechin, un ex collega di Putin al Kgb. Ora però la scelta saudita
di non far muovere l'Opec non può che aggravare le difficoltà degli oligarchi russi e mettere il leader di Mosca
sempre più con le spalle al muro.
Non tutti gli analisti sono convinti però che le scelte dell'Opec rappresentino davvero un favore all'America.
Qualcuno sospetta il contrario. Come emerso ieri a un seminario sull'energia della Fondazione
SpadoliniNuova Antologia a Firenze, la mossa di Al-Naimi potrebbe mirare a mettere fuori mercato parte della
nuova concorrenza statunitense. A seconda degli impianti, gli idrocarburi estratti dalla roccia di scisto in
America producono redditi a prezzi fra i 40 e i 115 dollari. Per i sauditi, tenere il greggio a 70 significa sperare
di spiazzare parte della nuova produzione americana. La stessa estrazione di greggio dalle sabbie
bituminose in Canada, sostenibile solo a 80 dollari, finirebbe per costare centinaia di miliardi di perdite alle
compagnie occidentali che vi hanno investito. Così l'Opec con i prezzi bassi spera di rallentare lo sviluppo
della nuova generazione di tecnologie occidentali che stanno rendendo il vecchio cartello sempre meno
decisivo. Fosse davvero così, il prezzo dell'instabilità rischia di scaricarsi altrove: Paesi produttori come l'Iran
del programma nucleare, la Nigeria dove nascono ogni anno più bambini che nell'intera Unione europea o
l'Iraq assediato dall'Isis hanno bisogno che il greggio torni a 100 dollari. Sotto, manca loro l'ossigeno
finanziario. Così il barile somiglia sempre più a un ordigno che deve rotolare davanti alla porta di casa di
qualcun altro.
Il prezzo di petrolio e carburanti Il confronto con l'Europa 106,74 79,68 -25,36 Quotazione Brent in dollari al
barile 1,729 1,635 1,040 1,026 -4,55 Benzina euro al litro prezzo medio Italia di cui tasse 1,657 1,541 0,916
0,898 -7,01 Gasolio euro al litro prezzo medio Italia 1,385 0,786 Benzina euro al litro prezzo medio Ue di cui
tasse di cui tasse 1,307 0,656 Gasolio euro al litro prezzo medio Ue di cui tasse 6 gennaio 24 novembre
variaz %
CHI PERDELE COMPAGNIE PETROLIFERE I primi soggetti ad essere ovviamente svantaggiati dal crollo
del greggio sono le compagnie petrolifere e in Italia l'Eni
LA RUSSIA E GLI ALTRI PAESI PRODUTTORI Russia, Venezuela, Iraq hanno bisogno di prezzi del barile
ben superiori ai 100 dollari o rischiano un buco di bilancio capace di rovesciare gli attuali regimi
CHI VINCEI CONSUMATORI NEL MONDO Non godono a pieno del calo per il prelievo fiscale sui carburanti,
ma automobilisti e consumatori vedono scendere i prezzi collegati al greggio
GLI STATI UNITI E LO SHALE OIL Le nuove tecniche di estrazione del petrolio da roccia permette agli Usa
di essere autonomi e di evitare rapporti di dipendenza con gli ex fornitori Arabia e Russia
Foto: Juncker e il premier Renzi
Foto: BRENT MENO 8% Il barile perde l'8 per cento e si attesta poco sotto i 70 dollari a Londra
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IL RETROSCENA TOMMASO CIRIACO ANNALISA CUZZOCREA
ROMA. È stata la moglie Parvin, a insistere più di tutti: «Non puoi andare avanti così». Che fosse stanco,
esausto, svuotato da questi ultimi due anni di piazze e giornalisti sotto casa, comizi ed espulsioni da
decidere, Beppe Grillo lo aveva confessatoa tutti quelli che gli sono più vicini. E lo aveva dimostrato
nell'ultima campagna elettorale, quando il massimo che aveva voluto fare per la Calabria era stato un video
poco riuscito.
Mentre in Emilia si era deciso ad andare solo all'ultimo momento, ritrovandosi con 100 persone al circolo
Mazzini di Bologna a dire ai suoi: «Dovete camminare con le vostre gambe».
Anche per questo, a un direttorio di persone che possano prendere la guida dei gruppi parlamentari e fare da
interfaccia nei territori, Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio pensavano da tempo. Ed erano mesi chei
cinque prescelti andavano periodicamente a Milano, suscitando l'invidia degli esclusi. Di chi si considerava
più adatto al ruolo di referente interno vinto, invece, dal fedelissimo Roberto Fico, dal tessitore Luigi Di Maio,
insieme ai falchi - spesso gaffeur - Carlo Sibilia e Alessandro Di Battista,e all'unica donna Carla Ruocco. I
tempi decisi, però, erano altri. Si sarebbe dovuto procedere prima alle espulsioni di chi negli ultimi mesi ha
messo in discussione la linea (in quella saletta di Bologna Grillo si era lasciato sfuggire la frase: «È il
momento di fare pulizia»), e poi alla nomina dei cinque piccoli leader (che potrebbero essere seguiti da figure
analoghe per il Senato). Non arrivaa sorpresa, quindi, il passo indietro. Ma c'è stato qualcosa che lo ha
affrettato. L'assedio degli attivisti toscani alla villa di Marina di Bibbona è stato il punto di rottura. Ritrovarsia
chiamare la polizia non per paura di troppi taccuini e telecamere, ma dei suoi stessi militanti, delle loro
proteste e delle loro domande, è stato il momento che ha portato Beppe Grillo a dire «basta». Era nella sua
casa al mare a cercare tranquillità, l'altro ieri, e si è ritrovato 50 attivisti a protestare fuori dal cancello. I suoi
attivisti.
Quelli che nelle tappe toscane lo portavano a cena. Quelli che - dopo i comizi del mattatore che gridava, a
Siena, contro lo scandalo Mps- al mattino passavano presto a pagargli l'albergo. Non aveva nessuna voglia
di parlare, il capo, ma ha dovuto farlo. Prima con il deputato Samuele Segoni. Poi con Federica Daga, Silvia
Benedetti, Massimo Artini. Non voleva, li ha fatti aspettare a lungo, sono stati al telefono 10 minuti: «È
assurdo Beppe, siamo qui, aprici». Luiè uscito, ha fatto varcare ai tre il cancello, ma li ha tenuti un'ora e
mezzo lì fuori, al buio, ben lontani dalla porta di casa. E intanto, furibondo, pensava: «Basta».
«Ha fatto una parte indegna racconta Artini - parlava dei clic sul sito, diceva che ci sono milioni di
visualizzazioni e che i voti non contano. Poi mi ha detto di non preoccuparmi, che tanto rimango deputato.
Allora gli ho detto vaffanculo, Beppe. Vai a cagare».
Avevate un rapporto? «Sì, avevamo un rapporto, ma di questa giornata terribile quell'orae mezza è stata la
peggiore». È stato un vaffa, a far scattare la decisione. Il vaffa di un suo deputato, e le domande della
giovane Silvia Benedetti che chiedeva: «Perché ora?».
E che ha fatto in modo che all'attore consumato sfuggisse la verità: «Perché se avessimo aspettato
l'assemblea non eravamo certi di poterli cacciare». Resta duro a ogni richiesta di ascolto, Grillo. «Non vi
fidate più di me?», continuava a chiedere, incredulo.
Poi, una volta andati via, chiama Gianroberto Casaleggio - che le cronache del quartier generale raccontano
sempre più irritato - e insieme decidono che è il momento. Era stato Casaleggio a chiedere ai falchi in
Parlamento di mandar via «le mele marce». Loro gli hanno detto che poteva non essere facile, e allora ogni
regola è saltata: quella di far votare prima l'assemblea, e quella (prevista dal non-statuto, la Bibbia del
Movimento) di non creare organismi direttivi. Così, con il post in cui Grillo si dice «stanchino come Forrest
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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La paura della contestazione, gli insulti con Artini: così Beppe ha deciso di
dire basta
29/11/2014
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Gump»,e scegliendoi nomi di coloro che dall'inizio sono stati i più coccolati dal blog,i due creano le condizioni
per il plebiscito del 91,7 per cento arrivato poco dopo le sette di sera. «Da noi le prime, le seconde e le terze
file si decidono in base ai like ottenuti su Facebook», diceva qualche tempo fa il deputato Tancredi Turco. In
qualche modo, è stato profetico.
Chi racconta della crisi di Grillo, però, dice che in realtà è cominciata prima di quel brutto giovedì notte.
Precisamente, il 14 ottobre scorso, quando- il giorno dopo la riuscita tre giorni del Circo Massimo - era andato
a fare un giro nella sua Genova ferita dall'alluvione per sentirsi gridare da un angelo del fango: «Vieni qui, ti
sporchi un po', ti fai fare le foto.
Vai via!». Si era infuriato, Grillo.
Era fuggito in motorino sulla collina di Sant'Ilario. Dov'è tornato ieri mattina, dopo l'assedio di Bibbona. Tocca
ai «ragazzi», come li chiama lui, vedersela con le altre espulsioni. Tocca a loro, ascoltare proteste e
lamentele. Il capo è stanco, e - per ora - resta a guardare.
SONO STANCO Giovedì scorso su Repubblica l'articolo che anticipava la notizia della "stanchezza" di Beppe
Grillo SU "REPUBBLICA"
IL GURU IRRITATO Il guru del Movimento cinque stelle Gianroberto Casaleggio è molto irritato con i
dissidenti. Ha scelto di intervenire personalmente per allontanarli
29/11/2014
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"Nomi imposti dall'alto chiediamo trasparenza vogliono solo fedeltà"
(a.cuz.)
ROMA. «Sono tre giorni che ho mal di testa. Dalle espulsioni al direttorio, questa storia fa stare male chi ha
creduto nel progetto originario del Movimento 5 Stelle: un progetto in cui non c'erano capi, ma solo un
garante: Beppe Grillo». La deputata emiliana Mara Mucci crede che Massimo Artini fosse ritenuto scomodo, e
che sia stato espulso per dare un segnale.
Di che tipo? «Per dire: "Non sono solo il garante, nella mia figura dovete riporre totale fede". Ma questa non
è una questione di fede, l'unica cosa che chiediamoè trasparenza. Ad esempio: perché non c'è un ente terzo
che certifica il voto?».
Lei è nella lista dei 15 che non hanno pubblicatoi loro dati sul sito Tirendiconto.
«Io ho sempre rendicontato e restituito tutto. E ho sempre pubblicato su quel sito, finché un mese fa ci sono
stati dei problemi di conteggio dei dati. Alcuni di noi hanno chiesto un'assemblea per sapere chi gestisce il
sistema con le nostre informazioni sensibili, perché è stato cambiato tre volte, e non è quello che avevamo
votato. Quell'incontro è stato sempre rimandato. L'ultimo mese per protesta ho messo bonifici e rendiconti
sulla mia pagina Facebook».
Ha paura di essere cacciata? «Ho paura delle falsità di un sistema mediatico che nei tg dice: "c'è un
problema di soldi" quando noi abbiamo sempre rendicontato e restituito al fondo per le pmi».
Cosa pensa del nuovo direttorio? «Può essere che strutturarsia questo punto sia necessario, ma un
organismo come questo dev'essere fatto a rotazione ed eletto da noi parlamentari o dai cittadini, non imposto
con un listino bloccato. Nessuno vuole rompere, ma non stravolgiamo il Movimento».
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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L'INTERVISTA/ MARA MUCCI, DEPUTATA M5S
29/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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"I debiti di Roma colpa di Alemanno Ora cambio tutto"
Il sindaco Marino: avanti nonostante il caso Panda mentre il Pd mi attaccava io trascrivevo i matrimoni gay
PAOLO BOCCACCI
ROMA. Sindaco Marino, ha letto l'inchiesta di "Repubblica"? Roma, anche dopo l'addio di Alemanno,
continua a bruciare centinaia di milioni, che poi sono pagati da tutt'Italia. C'è stato il caso della Panda rossa,
quello delle multe, la rivolta di Tor Sapienza contro gli immigrati, le opere incompiute, le cosche in Centro, il
Pd che chiede una "nuova agenda". Come pensa di raddrizzare il timone? «Il colpo alla barra di timone
rispetto alla politica che mi aveva preceduto l'ho dato netto chiamando la Guardia di Finanza e gli ispettori del
Mef affinché venissero a certificare i libri del Campidoglio. Li abbiamo ospitati su mio invito per quattro mesi e
l'anno scorso hanno scritto il documento che ieri Repubblica ha riassunto». Dal 2009 al 2012 lo Stato ha
versato a Roma per risanarne i conti 580 milioni di euro l'anno e nel 2013, lei si è insediato in estate, altri 485
milioni più 115. E i cittadini non vedono tutto questo trasformarsi in servizi migliori. Come lo spiega? «L'analisi
è corretta e infatti tutti quei soldi quando io sono stato eletto, anche quelli del 2013, li aveva già sperperati
Gianni Alemanno, anche con società, che io ho dismesso, come Atac Patrimonio, dove l'ad grazie ad
Alemanno aveva quasi mezzo milione di euro l'anno di salario. Quella società e quel salario li ho
immediatamente cancellati. Ma, come fa un chirurgo, prima si esegue la diagnosie poi si applica la terapia».
Sì però l'Atac è sempre una macchina mangiasoldi. Ultimamente, dopo la causa persa con la società Tpl,
che gestisce le linee periferiche, il Campidoglio si è dovuto impegnare per altri 77 milioni.
Ma alla fine chi pagherà? «Proprio questa domanda mi ha convinto il 31 di ottobre a portare le carte al
procuratore capo Pignatone. Infatti l'amministrazione Alemanno ha deciso di non di impedire la costituzione di
un collegio arbitrale rivolgendosi al tribunale di Roma. E come mai ha permesso che i tecnici riconoscessero
un adeguamento dei prezzi al rialzo addirittura per il primo anno di attività?». E la Multiservizi, che da anni ha
l'appalto della pulizia delle scuole a 52 milioni di euro, "bacchettata" dagli ispettori della Ragioneria Generale?
Non si rischia il default? «Gli ispettori, quando io li chiamo, ridicono nell'autunno del 2013 le stesse cose che
hanno scritto ad Alemanno nel luglio del 2008. Solo che quella giunta ha continuato a sperperare, mentre noi
abbiamo scritto un virtuoso piano di rientro perché non vogliamo come in passato continuare a generare
debiti per le generazioni future mettendo i conti in ordine ora».
Lei ha chiesto al governo un ulteriore impegno finanziario per Roma. Ma il Campidoglio non deve invece
tagliare spese e far entrare i privati nelle partecipate che macinano milioni e milioni di conti in rosso? «È
proprio quello che c'è scritto nel piano di rientro concordato con Palazzo Chigi. Dismettiamo 25 aziende non
strategiche e non utili ai cittadini di Roma e attraiamo danaro per investimenti e posti di lavoro. Solo lo stadio
della Roma porterà un miliardo e mezzo di investimenti stranieri e 3mila posti di lavoro nuovi.Ei due miliardi
per il nuovo aeroporto di Fiumicino altre migliaia di posti di lavoro».
Il Pd nell'ultimo mese le ha chiesto un cambio di passo.
Non è quasi una sfiducia? «Nello stesso periodo in cui pochi discutevano di queste cose molti cittadini si
sono accorti ho trascritto i matrimoni omosessuali celebrati all'estero, ho definito il cronoprogramma della
realizzazione dello stadio con James Pallotta, ho ottenuto dal ministro Padoan un allentamento di 150 milioni
di euro del Patto di Stabilità, che si tradurranno in lavori di manutenzione delle periferie, ho voluto che Acea
sostituisse 200 mila punti luce coni nuovi in led che inquinano meno, illuminano di più e fanno risparmiare i
romani; ho anche inaugurato i primi 12,5 chilometri della metro C, che nell'idea iniziale doveva essere
inaugurata nell'anno del Giubileo. E ieri all'assemblea programmatica del Pd ho ricevuto un applauso
caloroso che mi ha molto, molto emozionato». Sono stato io a chiamare gli ispettori del Ministero per
controllare i conti del Campidoglio Le carte che accusano la vecchia giunta sono state consegnate al
procuratore Pignatone IL SINDACO DI ROMA IGNAZIO MARINO SU "REPUBBLICA" DOCUMENTO DELLA
RAGIONERIA "Così Roma affonda in un default pagato da tutta Italia": la relazione della Ragioneria generale
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L'intervista
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29/11/2014
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"Preferenze nel Consultellum subito, poi l'Italicum"
TOMMASO CIRIACO
ROMA. «La cosa più normale sarebbe quella di portare avanti la Riforma costituzionale e approvare solo
dopo una legge elettorale. Ma siccome così non è, bisogna trovare un'altra strada». Il senatore leghista
Roberto Calderoli sostiene da tempo il rischio di un stallo provocato dalla riforma elettorale. Calderoli, dica la
verità: volete perdere tempo? «Non c'è la volontà di rallentare, semmai di non scrivere cazzate: la legge
uscita dalla Camera è irragionevole». Andiamo con ordine. Che succede se il Paese è chiamato
improvvisamente alle urne? «L'ho chiesto in un ordine del giorno: se si votasse domani, con che legge
voteremmo? Nessuna risposta».
Lei cosa pensa? «Che non c'è una legge. O, meglio, c'è ma può essere impugnata al Tar.
È un anno che lo dico, e ora lo dicono i costituzionalisti». Che c'entra la giustizia amministrativa? «La Corte
costituzionale sostiene che il Consultellum è subito in vigore. E le preferenze? Dicono: si inseriscono con un
regolamento. Ma se vengono introdotte per via secondaria, si può ricorrere al Tar o al Consiglio di Stato. Che
magari emana una sospensiva della legge a elezioni avvenute...». Come se ne esce, allora? «Introduciamo
nell'Italicum una norma che preveda la preferenza nell'attuale legge elettorale. Con questo "Modifichellum"così lo chiamo - si può votare in ogni momento.
Poi, a riforma costituzionale approvata, scatta automaticamente la nuova legge elettorale».
Non esistono altre strade da percorrere? «Sarebbe incostituzionale estendere l'Italicum anche al Senato,
oppure tenere in piedi due leggi diverse: l'Italicum e il Consultellum. Lo sa perché? Violano il criterio di
ragionevolezza. Con il premio di maggioranza sarebbe compressa la rappresentatività, senza assicurare la
governabilità». Cosa va cambiato dell'attuale Italicum? «Contesto il capolista bloccato associato alle
preferenze. Per noi va invece bene il premio di lista, però introducendo al ballottaggio la possibilità di
collegamenti».
Che aria tira al Senato sulla riforma, senatore? «Ho sentito invece esponenti della maggioranza ipotizzare di
estendere anche al Senato l'Italicum, con un decreto. Napolitano di certo non firmerebbe un decreto che
magari a elezioni avvenute - potrebbe non essere convertito in legge. Potrebbe firmarlo però il prossimo
Presidente.
A quel punto sarebbe chiaro che Renzi vuole portarci al voto con una strategia da bandito. Spero non sia
così».
NIENTE SCHERZI
Spero che non sia vero che Renzi voglia modificare la legge elettorale per decreto e poi andare alle urne
Foto: PADRE DEL PORCELLUM Il senatore leghista Roberto Calderoli
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L'INTERVISTA/ ROBERTO CALDEROLI: "COSÌ EVITIAMO LO STALLO"
29/11/2014
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"Troppa offerta di greggio e non c'è il coraggio di tagliare la produzione"
EUGENIO OCCORSIO
ROMA. «Quando si parla di petrolio, è forte la tentazione di immaginare chissà quali retroscena geopolitici
torbidi e perversi.
Qualche volta ci sono, beninteso, ma stavolta no: l'Opec si trova davvero spiazzata». Leonardo Maugeri,
docente ad Harvard e fra i massimi esperti internazionali di energia, smorza le teorie complottiste sul ribasso
del greggio. «Il problema è un altro: negli ultimi anni è stato avviato un gran numero di investimenti di
sviluppo che ora stanno dandoi loro frutti per cui c'è sovrabbondanza di offerta di petrolio in un momento in
cui l'economia globale stenta a riprendersi».
Ma non era facile per l'Opec tagliare la produzione prezzi? «Qui entra in gioco un problema psicologico
dell'Opec e dell'Arabia Saudita in particolare, che teme di fare un regalo ad altri produttori mondiali con un
taglio unilaterale. E' sempre successo che quando l'Opec ha provocato un rialzo dei prezzi tagliando la sua
produzione, ne hanno tratto vantaggio tutti gli altri produttori del pianeta, soprattutto fuori Opec, che hanno
costi di produzione alti. Ho parlato in questi giorni con alti dirigenti e ministri dell'Opec: da anni cerco di
convincerli che il mercato sta cambiando, ma incontro resistenze difficili da spiegare. E sulla questione della
shale oil americano non riescono a capacitarsi».
Che è tanto, che potrebbe essere in futuro esportato? «Anche, e in quel caso avrebbero l'amara sorpresa
che costa meno di quanto loro pensino. Non si capacitano del fatto che in America le raffinerie utilizzino lo
shale oil anziché il petrolio del Golfo, che in teoria andrebbe meglio essendo molto pesante. Ma il vantaggio è
azzerato dallo sconto dello shale oil rispetto ai prezzi internazionali. Inoltre gli Usa non esportano greggio ma
prodotti raffinati, il che è lo stesso. L'America ha esportato nell'ultimo mese 4,5 milioni di barili al giorno, il
terzo produttore mondiale dopo Arabia Saudita e Russia. Ed è in grado di reggere una concorrenza fino a 50
dollari al barile».
Si arriverà così in basso? «Non lo escludo, viste le dinamiche di mercato e il non intervento dell'Opec».
Lei citava la Russia, e proprio Mosca è al centro di diverse spy-story, si parla di un complotto sauditaamericano per abbatterne le entrate. Cosa c'è di vero? «L'unica cosa probabilmente vera riguarda l'Iran.
L'Arabia Saudita non vede di buon occhio il reingresso di Teheran nella comunità globale per motivi di
potenza regionale. Quindi tende ad abbatterne gli introiti petroliferi rischiando però di abbattere i suoi. Ma
Ryadh preferisce ricorrere ad altre insidie per ridimensionare l'Iran, per esempio facendo pressioni
sull'America perché non gli conceda nulla sul piano nucleare». Una domanda inevitabile: perché il collasso
del petrolio ha effetti marginali sul prezzo della benzina in Italia? «In parte c'è il fattore-cambio, con il dollaro
che sta apprezzandosi sull'euro. Secondo i calcoli più attendibili, se il cambio arriverà a 1,17 dollari, sarà
annullato l'effetto-ribasso. Poi c'è il discorso della fiscalità, che in Europa e in Italia in particolareè molto più
pesante che in America. Negli Usa conta per il 20%, in Europa per il 60%, oltretutto con una massiccia
presenza di accise, tasse fisse che non risentono di alcuna variazione della materia prima. Poi c'è l'Iva, la
tassa sulla tassa. In comune c'è la sensibilità politica della materia: negli Stati Uniti se Obama provasse a
rialzare le tasse sulla benzina, si troverebbe schierato contro un agguerritissimo Congresso, per non parlare
del malcontento popolare che susciterebbe. Infine, ci sono da considerare due fattori specifici dell'Italia: la
rete di distribuzione che è la più estesa e costosa d'Europa, e poi il fatto che il singolo benzinaio è pagato
molto di più che nel resto del continente».
NIENTE SPY-STORY
Nessuna spy-story sta condizionando i prezzi. E lo scontro tra Arabia Saudita e Iran influisce in
minima parte
SPIAZZATI DAGLI USA
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L'INTERVISTA/ LEONARDO MAUGERI, UNIVERSITÀ DI HARVARD
29/11/2014
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Gli esportatori tradizionali sono stati spiazzati dagli Usa che con lo shale oil hanno cambiato il
mercato PER SAPERNE DI PIÙ www.opec.org www.unionepetrolifera.it
Foto: SUPER ESPERTO Leonardo Maugeri, docente ad Harvard, fra i massimi esperti internazionali di
energia
29/11/2014
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"Pronti a chiedere i danni a Novartis il governo faccia verifiche a tappeto"
GIUSI SPICA
SE L' ISTITUTO superiore della sanità accertasse contaminazioni nei due lotti di Fluad ritirati, siamo pronti a
chiedere un maxi-risarcimento alla Novartis per il danno subito sulla pelle dei pazienti». Dopo la morte di due
anziani (68 e 87 anni)a Siracusa, il governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, annuncia azioni contro la
multinazionale del farmaco ma cerca di contenere la psicosi che già ieri ha svuotato gli studi dei medici di
famiglia e i centri di vaccinazione dell'Isola. Quali provvedimenti avete messo in campo? «Abbiamo subito
bloccato la distribuzione dei due lotti di farmaci segnalati e riunito la commissione regionale vaccinazioni per
decidere le prossime mosse. Alcuni campioni di prodotto sono stati inviati all'Istituto superiore di sanità che
martedì fornirài risultati delle analisi per capire se le fiale siano contaminate» E se si dovessero accertare
responsabilità dell'azienda produttrice? «In caso di campioni difettosi avvieremo un'azione di risarcimento
contro Novartis a tutela degli utenti. Chi crea un danno, deve pagare.
In questo momento esiste solo un nesso temporale e non di causa-effetto tra mortie vaccini. Dai primi
riscontri sembrerebbe che, almeno in un caso, il decesso sia dovuto a infarto e non a reazioni allergiche, ma
gli accertamenti chimici disposti dalla procura proseguono».
I pazienti possono stare tranquilli? «La campagna di vaccinazioni continua in totale sicurezza. Il ritiro dei lotti,
secondo la commissione regionale, basta a scongiurare altri rischi. Ma stiamo verificando con la Novartis se
ci possano essere altri lotti di Fluad coinvolti oltre ai due già individuati. Anche il ministero dovrebbe avviare
una verifica a tappeto sui farmaci che fanno parte della stessa linea di produzione pur non appartenendo a
quei due lotti».
In queste ore molti centri di vaccinazione sono rimasti deserti. C'è un rischio psicosi? «La nostra vera
preoccupazioneè proprio questa: che l'allarme induca le persone a non vaccinarsi. Questo creerebbe un
danno enorme sia in termini di mortalità sia in termini economici. Avremmo un'impennata degli accessi nei
pronto soccorso legata all'incremento delle patologie influenzali e un aumento delle morti. I rischi legati
all'influenza sono fortissimi soprattutto tra gli anziani che soffrono di molte patologie. Temiano una sindrome
da panico. Io stesso la prossima settimana andrò a fare il vaccino».
La Sicilia spende tre milioni e mezzo di euro all'anno per i vaccini e la fetta più grossa va proprio alla Novartis
«Siè aggiudicata una gara regionale con altre aziende. Ma in casi come questo bisogna interrogarsi se gare
così ampie siano davvero il metodo migliore. Non si può guardare solo al risparmio. Il rischio è di favorire le
grandi multinazionali stabilendo di fatto una situazione quasi monopolistica».
Rosario Crocetta
Aspettiamo i risultati delle analisi, ma la campagna continua in totale sicurezza grazie ai
provvedimenti presi
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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L'INTERVISTA 1 / CROCETTA, GOVERNATORE SICILIA
29/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 25
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"Basta allarmismi antidoto necessario l'influenza causa migliaia di
decessi"
(c. z.)
ROMA. Il professor Walter Ricciardi, una storia al Policlinico Gemelli di Roma, docente di Igiene e direttore
del dipartimento di sanità pubblica, da quattro mesi è commissario dell'Istituto superiore di Sanità. All'Iss
stanno esaminando le confezioni di Fluad che spaventano l'Italia.
«I campioni sono arrivati ieri mattina, martedì avremo i primi risultati tossicologici. Ci vorrà più tempo per
quelli microbiologici e, infine, i test di sterilità. Venti, trenta giorni per una risposta certa».
I primi controlli sulla bontà delle confezioni sono stati realizzati.
«Sì ed è difficile ipotizzare che ci possa essere un guasto o una contaminazione. Lo stabilimento di Siena
della Novartis produce questo vaccino per molti paesi del mondo, si parla di sessanta milioni di dosi. In caso
di contaminazione avremmo avuto migliaia di segnalazioni».
Che idea si è fatto del caso Fluad nin Italia, professore? «Penso che i decessi degli anziani che avevano
effettuato la vaccinazione antinfluenzale siano dovuti alle patologie precedenti da cui erano affetti. Certo, è
un'opinione personale». E se si scoprisse che questi undici decessi dipendono dal vaccino Fluad, magari
iniettato in corpi già debilitati? «Il rapporto costi-benefici resterebbe in larga parte a favore della vaccinazione.
Lo sa che in Italia ogni anno muoiono ottomila persone di influenza, ottomila non vaccinati». Perché c'è
un'avversione crescente ai vaccini, sia pediatrici che per anziani? «Sono stati fatti diversi studi e si è
scoperto, come ho già scritto, che la paura dei vaccini dipende innanzitutto da ignoranza e cattiva
informazione, in secondo luogo da cittadini ideologicamente e convintamente contrari alla medicina
tradizionale contrapposta ad altre correnti di pensiero e, terzo, da familiari di soggetti che hanno sperimentato
direttamente casi di malattia insorti dopo la vaccinazione e che loro attribuiscono, nella stragrande
maggioranza dei casi erroneamente, al vaccino. Infine ci sono soggetti che per interessi diversi, medici,
avvocati, magistrati, giornalisti, associazioni di cittadinie consumatori, strumentalizzano tragiche situazioni
personali per trarne benefici di vario tipo: soldi, visibilità mediatica, progressioni di carriera. Nel nostro paese
le resistenze maggiori, sa, arrivano dagli strati di popolazione più colti e benestanti, in particolare femminili».
Quindi? «Interrompere la campagna vaccinalea questo punto sarebbe un'azione da irresponsabili. Dico che
anzi, va intensificata. Dobbiamo far capire che la poliomielite, la difteritee il tetano non sono vinte per sempre.
L'abbattimento delle frontiere e la globalizzazione rende tutti più vulnerabili».
Walter Ricciardi
Dobbiamo tranquillizzare i cittadini: fermare tutto adesso sarebbe un'azione da irresponsabili
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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L'INTERVISTA 2 / RICCIARDI, COMMISSARIO ISS
29/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 30
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Berlusconi-Doris fanno lo sgambetto a Mediobanca e si astengono sugli
ultimi conti
Due fondi della Mediolanum non votano il bilancio 2013-2014 Le due famiglie sono nel Patto
CARLOTTA SCOZZARI
MILANO. Alto tradimento tra le mura di Mediobanca. Lo smacco è arrivato da Mediolanum e si è consumato
all'assemblea degli azionisti del 28 ottobre, che ha dato il via libera sia al bilancio al 30 giugno sia al nuovo
Consiglio di amministrazione, dove è stato confermato l'amministratore delegato Albergo Nagel. Sui conti del
2013-2014, approvati a grandissima maggioranza (99,11% dei presenti), un'astensione spicca più delle altre:
quella del fondo "Mediolanum specialties sicav sif". Si tratta di una sicav (società di investimento a capitale
variabile) del gruppo Mediolanum, che a sua volta è controllato dalle famiglie Doris e Berlusconi e che, con
una quota del 3,4%, figura tra i grandi soci del patto di sindacato di Mediobanca (tutti a favore del bilancio in
assemblea). La società "Mediolanum gestione fondi sgr pa" ha invece preferito non votare proprio. Tra i
pochissimi che si sono apertamente pronunciati contro i numeri del 2013-2014 di Mediobanca, il fondo
pensione dei dipendenti non insegnanti della scuola pubblica dell'Ohio.
Mentre la sicav di Mediolanum si è astenuta anche quando si è trattato di votare i compensi del cda (2,75
milioni lordi annui totali), linea che hanno adottato anche altri fondi di gruppi come BlackRock e Ubs. Tra i
temi caldi dell'assemblea, le politiche di remunerazione, approvate a grande maggioranza dal 96,36% dei
partecipanti e dal 95,81% dei soci internazionali presenti. Fuori dal coro il fondo pensione dei dipendenti
pubblici di Philadelphia, che ha votato contro insieme, tra l'altro, ad alcune società di Aviva e Bnp Paribas.
Mentre tra gli astenuti sulle politiche di remunerazione, anche questa volta, c'è la sicav di Mediolanum, in
compagnia del fondo pensione dei dipendenti pubblici della California e, soprattutto, della Fondazione Crt.
L'ente torinese, che ha oltre 5 milioni di titoli di Piazzetta Cuccia fuori dal patto, è tra i grandi azionisti di
Unicredit, che a sua volta è prima socia all'8,7% di Mediobanca.
Foto: Massimo Doris
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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IL PUNTO
30/11/2014
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Piergiorgio Bellocchio: mi godo il privilegio di non contare niente
ANTONIO GNOLI
Piergiorgio Bellocchio: mi godo il privilegio di non contare niente IL TASSISTA che dalla stazione di Piacenza
mi porta al Circolo dell'Unione- un luogo sobrio e fuori dal tempo dove si mangia, si leggono i giornali, si gioca
a carte, e dove ad attendermi c'è Piergiorgio Bellocchio - dice che è per Matteo Salvini. Dice che non vuole
più i «negri dentro casa». Dice che ora che è morta la vecchia madre vorrebbe trasferirsi a Santo Domingo,
dove c'è «tanta gnocca e la vita è meno cara di qui». Dice che non può farlo. Per colpa della Fornero non
potrà andare in pensione. Aggiunge parole irriferibili. Un fiume in piena: di stracci ideologici, di pregiudizi a
buon mercato, di risentimento profondo, di protesta che nasce da un dissesto lontano e mai sanato: «Quella
voce non è rappresentativa della città. Ma ci avverte che qualcosa di irrecuperabile è avvenuta nelle fratture
che attraversano la società», osserva Bellocchio. Sono andato a trovarlo perché come intellettuale e scrittore
è un'eccezione. Un provinciale dallo sguardo lungo. Coerente. Appartato. Un moralista senza moralismi.
Senza paraocchi.
L'avvocato Bellocchio che figura tra i fondatori del Circolo? «Era mio padre. Se avessi chiesto l'ammissione
al Circolo quarant'anni fa (ma non ne avevo la minima intenzione) sarei stato sicuramente respinto, come
traditore della mia classe. Ora prendono tutti, purché paghino la quota. Preferisco quella vecchia borghesia,
che sapeva distinguere. Oggi non esiste più».
Com'è la vita a Piacenza per uno come lei? «Quella di un ultraottantenne che, oltre alla naturali offese all'età,
patisce quelle supplementari dell'amministrazione e dei servizi. Chi è più in grado di decifrare una bolletta del
gas, telefonica, un bilancio condominiale, una tassa? Io non ho la forza di provarci, e la cosa mi avvilisce e mi
nausea. Numeri, sigle, formule misteriose. Non riesco neanche più a leggere i giornali, vedere la televisione,
andare al cinema. Bombardati dalla pubblicità. Assediati telefonicamente da offerte che si spacciano per
convenienti. Il libero mercato ha scatenato il nostro peggio. Rimpiango i monopoli».
Com'erano i rapporti con suo padre? «È morto che avevo 24 anni. Fu una relazione ovviamente conflittuale.
A cominciare dalle delusioni scolastiche». La immaginavo uno studente modello.
«Tutt'altro. Un liceo classico tirato via. L'insofferenza per il ron ron scolastico e il conformismo culturale. Il
desiderio di scrivere e fare altre letture».
Scrivere cosa? «Pensavo di fare il giornalista. Anzi, all'inizio, vista una mia predisposizione al disegno, avrei
fatto volentieri il vignettista».
E invece? «La mia passione giornalistica, nonché editoriale, mi ha portato a optare per l'autogestione (sia nel
caso di Quaderni piacentini che di Diario ): cheè poi ciò di cui vado più orgoglioso».
Cominciamo dai Quaderni . Come avvenne la loro nascita? «Farei un piccolo passo indietro. Con alcuni
amici avevamo dato vita a un circolo per dibattere argomenti di politica e di cultura. Riuscimmo a invitare
personaggi come Danilo Dolci, Paolo Grassi, Carlo Bo, Ernesto De Martino, Franco Fortini».
Soprattutto Fortini fu importante per i Quaderni .
«Con lui il rapporto fu decisivo e difficile. Era inviso al potere politicoe culturale: ai miei occhi, un valore. Mi
piaceva la sua capacità di dare una versione del marxismo meno scontata e ortodossa».
Più Brecht che Lenin.
«Una volta - cinquant'anni fa - mi chiese cosa preferissi di Brecht. L'opera da tre soldi , risposi. Si vede che
non sei marxista, replicò. Santa Giovanna dei macelliè il suo miglior testo, aggiunse con enfasi. In fondo la
mia incapacità di essere marxista fino in fondo equivaleva per lui a un brutto voto».
E per lei? «Un po' anche per me, allora. Ma non mi sono mai vietato frequentazioni sospette. E presto ho
capito che proprio in questa indisciplina stava la mia salvezza».
L'anno prima dei Quaderni Piacentini , ossia nel 1961, uscì a Torino Quaderni rossi , la rivista fondata da
Raniero Panzieri. Fu un modo di rispondere a certe ipotesi nate nel seno della sinistra? «La sinistra,
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INTERVISTA RCULT/ STRAPARLANDO
30/11/2014
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soprattutto comunista, aveva subito due grosse crisi: la sconfitta del 1948 e il trauma del 1956. Ma tra noi e i
Quaderni rossi la distanza era notevole. Loro avevano messo al centro la fabbrica. Noi, la società, gli
individui, la vita, le idee».
Ha conosciuto Panzieri? «Ho fatto in tempo a incontrarlo prima che morisse nel 1964. Un uomo di qualità
politiche del tutto singolari. Niente a che fare con i partiti. Aveva lavorato in Einaudi. Ne uscì nel 1963 in
maniera traumatica. Di fatto venne buttato fuori».
Perché? «Panzieri aveva commissionato a Goffredo Fofi un libro inchiesta su cosa era l'immigrazione
meridionale a Torino. Il libro fu letto e cassato da gran parte dei responsabili e consulenti della casa editrice.
Fu uno scontro aspro. Panzieri ci rimise il posto. Renato Solmi, per solidarietà, si dimise a sua volta».
Ma Einaudi non era una casa editrice di sinistra? «Non era totalmente infeudata al Pci. C'era una parte
liberal-azionista che pesava: Bobbio, Mila, Venturi ecc. Ma quella inchiesta era un pugno sferrato in pieno
volto alla città di Torino, dominata dalla Fiat. E poi, diciamo la verità, Giulio Einaudi - che considero un grande
editore capace di circondarsi di collaboratori straordinari - non aveva una vera autonomia finanziaria.
Dipendeva dalle banche (Raffaele Mattioli), dal Pci, da Giovanni Pirelli. Non aveva i soldi di Feltrinelli, da cui
in seguito il libro di Fofi uscì».
Chi l'ha affiancata nel lavoro redazionale fu Grazia Cherchi. Che ricordo ne ha conservato? «Il lavoro
organizzativo toccava a me. Ma nei rapporti con i collaboratori il suo contributo fu straordinario. Sapeva
stimolare e blandire. È merito suo se la rivista è durata così a lungo. Grazia aveva un'intelligenza affettiva. Si
rivelò poi molto adatta al lavoro che andò a svolgere in varie case editrici».
Quaderni Piacentini chiuse nel 1984. Qualcuno disse che la rivista morì in buona salute.
«La gestione autonoma finì nel 1980. Eravamo passati da 12 mila copie, nel 1968, a circa 5 mila. Che era
ancora un bel capitale. Ma era venuta meno la funzione "agitatoria" e cresciuta la quota di accademia: ottima,
ma pur sempre accademia».
L'anno dopo, nel 1985, con Alfonso Berardinelli, dà vita a Diario . «Dura meno di un decennio. Con Alfonso
immaginammo una rivista che colpisse valori e luoghi comuni della sinistra, che continuava a sognarsi
diversa e immune dal contagio della cultura dominante».
Fu, come la chiamaste, un'"opera a puntate" (nel 2010 ripubblicata integralmente in edizione anastatica da
Quodlibet).
«Giornalismo inattuale. Per otto anni fu un esperimento sia letterario in forme raramente praticate sia
editoriale, fuori dalle convenzioni e dai pregiudizi degli editori. Proponemmo autori - come Kierkegaard e
Leopardi, Herzen e Thoreau, Weil e Orwell - da leggere senza cautele interpretative. Non avemmo
l'approvazione di molti dei vecchi compagni, a cominciare da Fortini e Cases. Solidali invece Renato Solmi,
Timpanaro, Jervis, Edoarda Masi, Luca Baranelli e altri. Fu una confortante sorpresa la sintonia di Carlo
Ginzburg e Cesare Garboli».
Colpivano le prime parole del primo numero: "Limitare il disonore". Cosa volevano dire? «Prendere atto di
una sconfitta storica e inappellabile, senza passare dall'altra parte».
Da quale educazione proviene? «Blandamente cattolica. Le prime simpatie politiche a 16 anni per il Pci. Ma
venendo dall'Azione cattolica non avevo nessuna voglia di entrare in un'altra chiesa». Su quali letture si è
formato? «Molta narrativa otto-novecentesca. La letteratura può essere una infatuazione, un lusso inutile. Ma
anche un insuperabile strumento di conoscenza sociale e storica. Un libro che mi sconvolse fu Lettere di
condannati a morte della Resistenza , lo lessi nel 1952. La mia fedeltà politica ha la sua origine in quelle
storie tragiche di partigiani fucilati. Finita la guerra non sapevo niente di ciò che era accaduto».
C'era stato il processo di Norimberga nel 1946.
«È vero. Mancavano tuttavia le proporzioni dell'accaduto. Le dimensioni della persecuzione contro gli ebrei
erano insospettabili. Non è un caso che Primo Levi non trovasse un editore. Einaudi rifiutò Se questo è un
uomo , uno dei libri capitali della cultura del '900. Solo dopo che fu pubblicato da De Silva, Einaudi ci ripensò.
Un altro libro che mi ha formato è stato Minima moralia del 1954».
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A tradurlo fu Renato Solmi, uno degli uomini più intelligenti e tormentati.
«Secondo me un genio purtroppo anche nel rigore con cui si è autorepresso. A lui dobbiamo il più bel testo
che sia uscito su Quaderni piacentini : un saggio di quasi cento pagine dedicato alla Nuova sinistra
americana. Uscì nel 1965. Solmi seguì gli sviluppi di una sinistra le cui radici non erano comuniste ma
radical».
Un altro suo obiettivo polemico fu il "Gruppo 63". Anche lì c'erano delle belle intelligenze.
«A me non piacque l'autopromozione del gruppo.
Occuparono la Feltrinelli, cacciarono Bassani. E pure Fortini. Dopo Poesia ed erroree il bellissimo Dieci
inverni , fu costretto a bussare altrove».
Torniamo alla sua famiglia.
«Era numerosa. Eravamo otto figli. Io ero il terzo.
Marco, nato nel 1939, l'ultimo».
Marco regista. L'esordio, con I pugni in tasca , fu folgorante. «Sì, fu incredibile. Mi fece leggere la
sceneggiatura e gli dissi che era pessima. Ma quando vidi le prime scene del girato, restai sbalordito. Era un
film bellissimo».
I pugni in tasca che uscì nel 1965 era un atto di accusa contro la famiglia borghese, le sue nevrosi, le sue
malattie. Bellocchio sembrò prendere a modello la propria. Come reagiste? «Come crede che reagimmo? Mia
madre e mia sorella non lo accettarono volentieri. Perfino io ho avvertito qualche disagio. Poi, col tempo, ho
capito che i film di Marco sono sempre un po' imbarazzanti».
In che senso? «Si ha spesso l'impressione di sentirsi coinvolti, additati, messi sotto una lente di
ingrandimento. È la sua maniera di agire liberamente anche di fronte al proprio privato. Ma le sue scelte
nascono da un'onestà assoluta e da una coerenza che mi piace».
Ancora una volta tentare di "limitare il disonore"? «Ma sì. Guardarsi dal diventar delle puttane».
Ce ne sono molte in giro? «Una quantità industriale».
Che genere di intellettuale ritiene di essere stato? «Non lo chieda a me. Comunque ormai da tempo sono un
intellettuale quasi totalmente privato. Non ho un editore ormai da vent'anni. Non scrivo su nessun giornale.
Finito Diario nel '93, non ho smesso di scribacchiare noterelle, appunti, e, quando capita, appiccicare ritagli di
giornali - minimi documenti di quotidiano orrore e squallore - intercalati con riproduzioni di immagini di un
passato che visto da oggi sembra migliore». Più vicino a Montaigne che a Marx? «Di Marx mi restano
soprattutto il materialismo e il moralismo nel vedere che i conflitti sociali sono dovunque e forse politicamente
insuperabili. Tra le mie letture degli anni Sessanta ci furono La Rochefoucauld, La Bruyère, Chamfort. Sì, i
moralisti francesi sono stati un modello».
E Karl Kraus? «L'ho letto più tardi. Non appartiene alla mia formazione. Semmai Adorno e Horkheimer. Mi
chiedo cosa ne capissi allora.È un mistero. Evidentemente quando sei digiuno e affamato assimili anche
quello che non capisci o che capisci a modo tuo».
Chi è un maestro? «È chi sa trasmettere qualcosa e sa dare anche l'esempio». I tempi che viviamo sono
anni di finis sinistrae . Che giudizio ne dà? «Quella sinistra che abbiamo conosciuto è finita e forse non è un
male».
Non è troppo orgoglioso e sprezzante? «Perché? Dopotutto a pochi è concesso il privilegio di "non contare
niente"».
LE TAPPE
QUADERNI PIACENTINI Fondò (e diresse) la rivista trimestrale nel 1962 a Piacenza. Nel "comitato di
direzione" c'erano Grazia Cherchi, Goffredo Fofi, Roberto Roversi, Alfonso Berardinelli, Giovanni Raboni,
Giovanni Jervis Venne chiusa nel 1984
DIARIO Dopo aver diretto la casa editrice Gulliver a Milano nel 1985 fondò la rivista letteraria Diario con
Alfonso Berardinelli Proposero autori come Kierkegaard, Leopardi, Herzen, Thoreau, Weil e Orwell. Chiuse
nel '93
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I LIBRI Dalla parte del torto (Einaudi), Oggetti smarriti (Baldini Castoldi Dalai) Al di sotto della mischia Satire e
saggi (Scheiwiller) Diario 1985-1993 (Quodlibet), insieme ad Alfonso Berardinelli
IL FRATELLO MARCO Degli otto fratelli Bellocchio è il più conosciuto dal pubblico. È il regista de I pugni in
tasca, Salto nel vuoto, Il diavolo in corpo, Sbatti il mostro in prima pagina, Buongiorno, notte, L'ora di
religione, Bella addormentata
Foto: LA BIOGRAFIA Piergiorgio Bellocchio (Piacenza, 1931) Critico letterario e scrittore Fondò i Quaderni
Piacentini e nel1969 è stato il primo direttore di Lotta Continua Ha fondato anche la rivista letteraria Diario È
fratello del regista Marco Bellocchio
Foto: I pugni in tasca Il Gruppo '63 La sceneggiatura per me era pessima ma il film lo trovai bellissimo. Mia
madre e mia sorella si imbarazzarono Non ero d'accordo sull'occupazione della Feltrinelli Cacciarono Giorgio
Bassani e anche Franco Fortini DISEGNO DI RICCARDO MANNELLI
30/11/2014
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EUGENIO SCALFARI
AL PARLAMENTO europeo questa settimana hanno parlato personalità molto autorevoli: il Papa, Draghi,
Juncker. Francesco ha detto testualmente: «Promuovere la dignità d'una persona significa riconoscere che
essa possiede diritti inalienabili di cui non potrà essere privata ad arbitrio di alcuni. Occorre però prestare
attenzione per non cadere in alcuni equivoci e in un loro paradossale abuso. Vi è infatti oggi la tendenza
verso una rivendicazione sempre più ampia di diritti individuali che cela una concezione di persona umana
staccata da ogni contesto sociale. Al concetto di diritto non sembra più associato quello altrettanto essenziale
e complementare di dovere. Così si finisce per affermare i diritti del singolo senza tener conto che ogni
essere umano è legato ad un contesto sociale in cui i diritti e i doveri sono connessi a quelli degli altri e al
bene comune della società stessa».
Così il Papa. È evidente che postula un futuro dell'Europa unita, con i singoli Stati strettamente associati tra
loro.
*** Draghi ha esordito con un'affermazione che, pur avendola già pronunciata in vari luoghi, non aveva mai
sostenuto in modo così esplicito: è necessario che l'Europa garantisca i debiti sovrani di tutti gli Stati membri.
Il motivo proviene dal rischio delle elezioni politiche in Grecia. I sondaggi danno in testa Tsipras che guida il
suo partito Syriza, ma una sua vittoria porterebbe con sé una situazione di estremo pericolo per l'Europa e
per la moneta comune perché Tsipras è deciso a ripudiare sia l'euro sia l'Europa.
< PAGINA POTREBBE tuttavia restarci solo ad una condizione: che l'Europa si assuma per la durata di
cinquant'anni il debito greco pagando alla Grecia anche gli interessi. Questa richiesta, ha detto Draghi,
potrebbe anche essere accolta per la modesta entità di quel debito, se non che essa crea un precedente che
può interessare soprattutto l'Italia. Ma adottare per l'Italia la stessa procedura chiesta da Tsipras è
assolutamente impossibile: le dimensioni del nostro debito sovrano sono preclusive e per di più si
scatenerebbe un'ondata speculativa di lunga durata che porterebbe al default l'Italia e con essa il sistema
bancario mondiale.
Ecco perché le elezioni greche sono la dinamite che può mandare in crisi non solo il sistema europeo ma
quello bancario del mondo con una crisi anche politica di dimensioni planetarie.
C'è un solo modo di reagire, secondo Draghi: imboccare con celerità la strada dell'Europa unita e sovrana.
Ci vorranno anni, ma i primi passi irreversibili vanno fatti subito, le cessioni di sovranità economiche e
politiche debbono essere discusse dal Parlamento di Strasburgo, dalla Commissione di Bruxelles e dai singoli
Stati membri dell'Unione.
Chi parla ancora, in Italia, di un'ipotesi di Draghi al Quirinale ignora o non valuta l'importanza del compito che
il presidente della Bce si è assunto. Altri pensano che sia un personaggio debole, contestato dalla Germania
e dai potentati di Wall Street e della City. Direi che chi fa queste valutazioni non ha capito qualè l'importanza
e il peso di Draghi presso tutte le altre banche centrali a cominciare dalla Federal Reserve, dalla Banca
d'Inghilterra, dalla Banca Centrale del Giappone e da quella della Cina. Questo è Mario Draghi il quale si sta
apprestando a dare esecuzione (si pensa che lo farà entro il prossimo febbraio ma forse anche prima) alle
misure non convenzionali più volte da lui indicate. Quando si parla di queste misure gran parte dell'opinione
pubblica e degli operatori europei pensa all'acquisto dei titoli del debito sovrano dei vari Paesi membri
dell'Unione.È possibile che si tratterà di questo intervento, ma nonè detto. Può trattarsi di massicci acquisti di
obbligazioni di debiti di aziende private che la Bce è pronta ad acquistare anche se prive di garanzia
bancaria. In realtà questi acquisti sono già in corso ma in misura limitata; nelle prossime settimane si
tratterebbe invece di acquisti molto rilevanti in tutti i Paesi membri dell'Ue.
Per questo Mario Draghi, a mio personale avviso, è la personalità più importante e non soltanto in Europa.
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IL MACIGNO DEL DEBITO ITALIANO E IL BUCO NERO DELLA GRECIA
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*** Infine Juncker. Ha proposto alla Commissione da lui presieduta e al Parlamento di Strasburgo un prestito
dell'Unione ai vari Stati confederati di 315 miliardi da erogare in tre anni a partire dall'autunno del 2015.
Tuttavia di quella cifra, intestata ad un Fondo europeo, sono attualmente disponibili soltanto 21 miliardi. La
differenza è enorme e tutto si riduce dunque ad uno dei tanti annunci cui siamo purtroppo abituati. Però qui la
questione è molto diversa dal solito per le modalità con le quali Juncker intende procedere a partire dal
prossimo gennaio: per finanziare il Fondo è indispensabile l'apporto dei singoli Stati membri; è aperto anche
a Stati stranieri e ad altri Fondi internazionali, ma i "datori" principali sono gli Stati dell'Unione. Naturalmente
Juncker chiede di più ai più forti economicamente e quindi alla Germania, ma tutti dovranno contribuire. Di
fatto si tratta di quella europeizzazione del bilancio e di quella garanzia dei debiti sovrani della quale ha
parlato Draghi che con Juncker ha contatti molto frequenti.
Gli Stati membri contribuiranno ricevendo in cambio, quando il Fondo europeo avrà raggiunto almeno 200
miliardi, facoltà di investimenti che potranno esser fatti utilizzando una politica di deficit spending di tipo
keynesiano con una differenza però: dovrà trattarsi di investimenti capaci di creare nuovi posti di lavoro, salari
e stipendi in grado di stimolare sia le esportazioni sia i consumi interni. Insomma un cospicuo aumento della
domanda, capace di mettere in moto un processo di crescita duraturo. Esso consentirà un aumento delle
entrate fiscali e quindi ulteriore disponibilità di risorse finanziarie. Ma il debito sovrano, fin quando non fosse
garantito dall'Ue, rimane pur sempre il macigno che non c'è Sisifo capace di spostare rendendo il nostro
Paese estremamente vulnerabile. A me non sembra che il nostro governo ne sia realmente consapevole. Lo
utilizza come spauracchio per Bruxelles, ma forse non si rende conto che è un macigno che grava sulle
spalle di tutti gli italiani (che non se ne rendono conto neanche loro). *** Il nostro presidente del Consiglio,
che non è affatto uno stupido, tutte queste cose le sa, ma le usa soltanto per realizzare l'obiettivo di rafforzare
il suo potere e quello della sua squadra. Ed è allora che la questione diventa preoccupante per la democrazia
italiana. Di queste preoccupazioni ho dato più volte notizia e non ho alcuna voglia di ripetermi. Lo farò,
guarda caso, utilizzando alcune osservazioni recentissime di Silvio Berlusconi, con le quali in questo caso mi
trovo d'accordo.
È molto singolare, dice Berlusconi, che Renzi insista tanto sul tema della legge elettorale da far approvare
entro gennaio. A che cosa serve questa fretta che rischia di creare un ingorgo parlamentare inutile, anzi
dannoso poiché impedisce l'esame e l'approvazione di riforme ben più importanti, tanto più se vuole che la
legislatura duri fino alla sua scadenza naturale del 2018? È altrettanto singolare - dice ancora Berlusconi che non si preoccupi del fenomeno delle massicce astensioni in Calabria e soprattutto in Emilia. Dice che le
astensioni non hanno nessuna importanza. Sbaglia di grosso. Io Silvio finché ho potuto e ancora oggi mi
sono sempre preoccupato di mantenere e fare aumentare la fiducia degli italiani in me e nella politica
popolare da me portata avanti e quando vedevo che quella fiducia si incrinava la mia preoccupazione mi
portava a parlare e ad agire per riguadagnarla. L'importante è governare, dice Matteo. Certo, ma si governa
se la fiducia non si incrina, altrimenti sei perduto.
Oggi comunque (sempre Silvio) quello che più conta è un Capo dello Stato capace e non uno o una che
siano pupazzi con Renzi burattinaio. L'inquilino del Quirinale non può essere nelle mani di un burattinaio. Non
è questo che io (Silvio) voglio e farò il possibile perché avvenga. Naturalmente Berlusconi ha le sue ragioni
per fare al suo alleato critiche così penetranti. Lui vuole che la legislatura duri fino al 2018. Con Renzi
naturalmente, ma anche con lui. Possibilmente cambiando la legge elettorale e passando dal voto di lista al
voto di coalizione. Allora lui sarà di nuovo alla testa di una forza politica importante. Forse non vincerà, ma
supererà Grillo e potrà dettare o almeno suggerire riforme che lo interessano, soprattutto economiche e
giudiziarie.
Si discute molto sulla legge delega che riguarda il Jobs Act. Alla Camera è passata con quaranta assenze
nei banchi del Pd, ma lì la maggioranza assoluta era comunque nelle mani del governo e quindi non c'era
bisogno del voto di fiducia. Al Senato è diverso. Per arrivare alla maggioranza assoluta a Renzi mancano 13
voti e se la sinistra dispone, come sembra, di 25 senatori prontia votare contro, la fiducia diventa
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indispensabile e infatti Renzi ha deciso di chiederla. Il voto ci sarà in questa settimana. Ma, ecco il punto, è
un voto non in regola con la Costituzione. Le leggi delega, delle quali si fa ormai grande uso, contengono
direttive di principio piuttosto generiche. Ad esse seguono i decreti attuativi che vengono decisi dal governo e
esaminati da una Commissione la quale tuttavia emette pareri puramente consultivi. Se quei pareri non
piacciono al governo,i decreti attuativi vengono applicati.
A mio avviso le leggi delega debbono essere discusse dal plenum delle Camere senza che si possa mettere
la fiducia.
Altrimenti si ottiene una maggioranza forzosa con la conseguenza che il Parlamento (in questo caso il
Senato) approva lo strapotere del governo senza un voto libero. Credo quindi che la questione debba essere
sollevatae la fiducia preclusa, senza di che la Consulta potrebbe rapidamente intervenire se sarà
opportunamente richiesta a farlo.
PER SAPERNE DI PIÙ www.europa.eu www.unfccc.int
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Renzi avverte Berlusconi "Non tratto ora sul Colle prima si vota l'Italicum"
Intervista al premier: inesistente la polemica sugli artigiani "Lo Stato può comprare l'Ilva, salvarla e poi
cederla" "Nel Pd servono nuove regole per la disciplina interna"
CLAUDIO TITO
LA CAMUSSO? «Alza i toni in vista dello sciopero generale». Grillo? «Il Pd lo ha rottamato». L'articolo 18?
«Bisognerebbe rileggere ciò che scrivevano sindacalisti come Luciano Lama». Prima il Quirinale e poi le
riforme? «Non esiste e comunque il mio nome ora per il Colle resta solo Napolitano». Prima di affrontare lo
"showdown" di dicembre che per il governo assomiglia a una corsa a tappe forzate tra l'Italicum, il Jobs act e
la legge di Stabilità, Matteo Renzi traccia un bilancio di quel che il suo governo e il Pd hanno fatto nel 2014.
Chiede al suo partito di abbandonare la vecchia abitudine degli «sgambetti» a Palazzo Chigi e di dar vita ad
una «sinistra moderna» senza steccati ideologici. SEGUE ALLE PAGINE 2 E 3 SERVIZI ALLE PAGINE 4, 9
E 11 < PAGINA AL PUNTO di annunciare il ritorno all'intervento pubblico per risolvere una delle più gravi crisi
industriali del Paese: quella dell'Ilva.
«Poco fa - è la sua premessa - io ho detto che sono eroi gli imprenditori, gli artigiani, tutti i lavoratori. Chi fa il
proprio mestiere. Perché le questioni vere sono queste: avere la possibilità di fare impresa e creare posti di
lavoro. Questa è la sinistra moderna.
Il resto è polemica inesistente».
Sarà pure inesistente ma il segretario della Cgil, Susanna Camusso, l'ha attaccata pesantemente.
«Il segretario della Cgil ha la necessità di tenere alta la tensione e i toni in vista dello sciopero generale. È
legittimo e comprensibile. Ma la mia prioritàè un'altra: tenere la discussione sul merito delle cose. Capisco la
Cgil ma nel frattempo noi dobbiamo cambiare l'Italia e quindi non cado nella polemica».
Lei si pone l'obiettivo di cambiare l'Italia.
Ma a volte sembra che voglia farlo contro il sindacato.
«No. Io lo faccio contro chi frena. Se il sindacato ha voglia di cambiare e dare una mano, ci siamo. Ma se
pensano di bloccarci, si sbagliano di grosso. Il tema vero oggi è creare lavoro, non farci i convegni. Affrontare
crisi industriali come quelle di Taranto, di Terni, quella dell'Irisbus. Dare nuove tutelea chi lavora e non la
polemica ideologica. Questo è il governo che ha dato 80 euro a chi ne guadagna meno di 1500 al mese, che
punta sui contratti a tempo indeterminato. È semplicemente quel che deve fare una sinistra moderna». Gli
ultimi dati Istat sulla disoccupazione, però, ci consegnano la percentuale di disoccupati più alta dal 1977.
«Dopo il decreto Poletti, in sei mesi di governo sono stati creati oltre centomila posti di lavoro. È un primo
segnale incoraggiante.
Flebile ma incoraggiante. Nei sei anni precedenti ne erano stati persi un milione. Ma c'è un elemento in più:
un sacco di gente sta tornando a iscriversi alle liste di disoccupazione perché adesso avverte la speranza di
trovarlo un lavoro. Questo fa crescere la percentuale ma è anche un segno di attività che prima mancava».
Lei davvero crede che il Jobs act possa essere risolutivo? «Risolutivo no. Però so che quella legge dà
garanzie a chi non ne aveva, come le mamme con un contratto precario. Estende gli ammortizzatori sociali a
tutti. Annulla i co.co.co, co.co.pro e quella roba lì. Dunque, si fa. Però non bastano le regole: l'occupazione si
rilancia scuotendo il Paese, facendo la lotta alla burocrazia, alla corruzione, all'evasione. Semplificando
l'accesso al credito. Tutto questo è il compito di una sinistra moderna».
Anche l'abolizione dell'articolo 18 è un compito della sinistra moderna? «La nuova norma servirà a sbloccare
la paura. Molte aziende non assumono perché preoccupate di un eccesso di rigidità. Mancava certezza nelle
regole. Noi stiamo rimuovendo gli ostacoli. È anche un elemento simbolico perché si dimostra che l'Italia può
attirare gli investimenti».
Non tutti pensano che sia proprio una riforma di sinistra.
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INTERVISTA
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«Per molti è una coperta di Linus. Bisognerebbe rileggersi un intervento di Luciano Lama del '78, allora
cambierebbero idea. Essere di sinistra è anche garantire agli imprenditori di fare impresa e creare posti di
lavoro.
Senza steccati ideologici».
In che senso? «A Taranto, ad esempio, stiamo valutando se intervenire sull'Ilva con un soggetto pubblico.
Rimettere in sesto quell'azienda per due o tre anni, difendere l'occupazione, tutelare l'ambiente e poi
rilanciarla sul mercato. Non vivo di dogmi ideologici, non sono fautore di una ideologia neoliberista. Il dibattito
sull'articolo 18, invece, è quanto di più ideologico. Il sindacato che non ha scioperato contro Monti e la
Fornero, lo fa adesso contro il governo che ha fissato i tetti degli stipendi ai manager, ha dato gli 80 euroe ha
tagliatoi costi della politica. Noi stiamo sul merito, non sull'ideologia: sono sicuro che molti di loro
cambieranno idea quando vedranno i decreti del Jobs act».
Facciamo un passo indietro. Che intende per intervento pubblico sull'Ilva? «Ci sono tre ipotesi.
L'acquisizione da parte di gruppi esteri, da parte di italiani e poi l'intervento pubblico. Non tutto ciò che è
pubblico va escluso. Io sono perché l'acciaio sia gestito da privati. Ma se devo far saltare Taranto, preferisco
intervenire direttamente per qualche anno e poi rimetterlo sul mercato». È la teoria sostenuta da molti
economisti, a partire da Krugman, negli ultimi anni.
«La vera partita si gioca in Europa. Il Piano Juncker è un primo passo ma al di sotto delle mie aspettative.
Glielo diremo al prossimo consiglio europeo. Il paradigma mondiale dovrebbe essere la crescita. Su questo
sono d'accordo destra e sinistra: Obama e Cameron, Brasile e Cina. Al G20 in Australia molti di noi lo hanno
sostenuto, ma non tutti».
Ce l'ha con la Merkel? «Io non ce l'ho con nessuno. Ma il dibattito in Europa è molto più complicato rispetto a
quanto accade a livello globale».
La flessibilità non può diventare una scusa per aumentare il deficit? «Senza la flessibilità la politica è finita,
morta, inutile. Se governare fosse solo un insieme di regole, potrebbero governare i robot. Se l'Europa non
fosse stata flessibile, la prima a saltare sarebbe stata la Germania del post-muro di Berlino. Quanto al deficit,
il nostro dato è uno dei migliori al mondo. Preoccupa casomai il debito. Ma in questo caso il problema è la
crescita. Solo che la crescita non arriva senza un programma di investimenti pubblicie privati degni di questo
nome. Fuori dalla tecnicalità: è un gatto che si morde la coda...».
Ma in questa fase serveo no più mano pubblica nell'economia? «Dipende. Io ad esempio non sono per la
presenza pubblica in così tante municipalizzate come accade da noi. Non vorrei passare da un eccesso
all'altro. Bisogna valutare caso per caso».
Una cosa su cui è d'accordo con D'Alema.
«Può accadere persino questo. Ma se penso a come furono fatte certe privatizzazioni in passato non credo
che l'accordo reggerebbe molto. Se penso al dossier Telecom, mi rendo conto che l'enorme debito della
compagnia telefonica risale a come fu gestita la privatizzazione di quell'azienda. Diciamo che con D'Alema
sono forse sono d'accordo sull'intervento pubblico, ma sono un po' meno d'accordo sull'intervento privato,
diciamo».
In ogni caso lo scontro con una parte del suo partito sulla politica economica del governoe sul Jobs act
ponea lei, in qualità di segretario del Pd, un problema. Come comporre le differenze in un partito che aspira a
conquistare la maggioranza e che per forza di cose contiene al suo interno più anime.
«Dal punto di vista culturale la diversità aiuta e stimola il dibattito. Dal punto di vista organizzativo invece c'è
un gruppo di lavoro guidato dal presidente Orfini. Quando poi ci sarà il premio alla lista servirà una gestione
diversa dei processi decisionali. Come si vive la disciplina e la libertà di coscienza nel partito del ventunesimo
secolo? Come tenere insieme l'idea veltroniana del partito a vocazione maggioritaria con quello bersaniano
che voleva un partito diverso dalla tradizione novecentesca ma più solido?».
E come si fa? «Ne stiamo discutendo ma questa è la sfida interna del nuovo gruppo dirigente Pd».
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Intanto c'è chi le chiede di anticipare il congresso.
«Chi usa strumentalmente questo tema dimentica che alle europee abbiamo preso il 40,8%, abbiamo
recuperato 4 regioni su 4 e governiamo l'Italia cercando faticosamente di cambiare linea all'Europa. Il
congresso è fissato per il 2017. Se Zoggia o D'Attorre pensano di fare meglio potranno dimostrarlo tra tre
anni come prevede lo Statuto. Nel Pd c'è una gestione unitaria. Nonè che possiamo fare il congresso perché
loro si annoiano».
Veramente c'è chi minaccia anche la scissione.
«Nel Pd ci sta chi ne ha voglia. Chi minaccia la scissione un giorno sì e un giorno pure, deve chiarirsi solo le
idee e capire se crede a un partito comunità. La regola dello sgambetto al governo non funziona più».
Lei però deve decidere se il Pd può avere al suo interno tutta la sinistra.
«Una parte di sinistra radicale ci sarà sempre. Ma quando si va a votare, proprio il popolo della sinistra che è
già provato da quel che è accaduto in passato, ci penserà due volte a votare per la sinistra radicale
rischiando di consegnare il paese a Matteo Salvini. Perché poi si sceglierà tra noi e la destra lepenista. Tra la
nostra riforma del lavoro e quella della Troika».
Ha detto Salvini e non Grillo.
«Il Pd lo ha rottamato. Le europee hanno segnato la fine del grillismo. Loro usavano la rabbia, noi abbiamo
risposto con un progetto. Ora si tratta di capire come si muoverà la diaspora Cinque stelle. Alcuni di loro sono
molto seri, hanno voglia di fare».
Li sta reclutando? «Non sono per fare campagne acquisti, ma sulla lotta alla burocrazia, la semplificazione
fiscale, la scuola, secondo me ci sono i margini per fare qualcosa con una parte di loro. Dovranno decidere
se buttare via i tre anni e mezzo che rimangono di legislatura o dare una mano al Paese».
Le ultime regionali hanno rottamato il M5S ma sono state un segnale anche per lei.
«Perché l'astensionismo alle regionali dovrebbe essere messo sul conto del governo? Anche l'idea che ci
sarebbe stato lo spaesamento dei lavoratori cozza con la realtà. E allora perché non hanno votato per Sel?
Avevano pure la scusa che stava nella coalizione con Bonaccini».
Sarà altrettanto duro con Berlusconi? Al Corriere ha detto che prima si concorda e si elegge il presidente
della Repubblica e poi si approva l'Italicum.
«Non esiste. L'Italicum è in aula a dicembre. Lui si è impegnato con noi a dire sì al pacchetto con la riforma
costituzionale entro gennaio. Io resto a quel patto».
Berlusconi spesso cambia idea.
«Io no».
Nel frattempo le ha fatto sapere che per il Quirinale vorrebbe Giuliano Amato.
«Io ho un unico nome: Giorgio Napolitano.
Non apro una discussione finché il capo dello Stato è al suo posto. I nomi si fanno per sostenerli o per
bruciarli. È sempre la stessa storia dal 1955. La corsa è più complicata del palio di Siena. E i cavalli non sono
nemmeno entrati nel canapo».
Va bene, ma poiché il problema si aprirà, lei pensa di indicare almeno un metodo? «È bene che il presidente
della Repubblica si elegga con la maggioranza più ampia possibile. E dico "possibile". Ma non voglio
discuterne adesso, sarebbe irriguardoso nei confronti di Napolitano e segno di scarsa serietà verso i
cittadini».
TEMI E PERSONAGGI
L'ILVA
1Potrebbe tornare pubblica per un tempo limitato
MASSIMO D'ALEMA
Ok sull'intervento pubblico, meno sulla Telecom
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LUCIANO LAMA
Sull'art. 18 molti dovrebbero rileggere Lama
IL QUIRINALE
Non ne discuto finché Napolitano è al suo posto
PER SAPERNE DI PIÙ www.governo.it www.cgil.it
Foto: LA SCISSIONE Nel Pd ci sta chi ne ha voglia. Chi minaccia la scissione deve chiarirsi le idee e capire
se crede a un partito comunità. La regola dello sgambetto al governo non funziona
Foto: GRILLO ROTTAMATO Il Pd ha rottamato Grillo. Le Europee ne hanno segnato la fine.
Vedremo dove va la diaspora. No a campagne acquisti, ma decidano se dare una mano al Paese PREMIER
Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi
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Grillo, pronte altre espulsioni
ANNALISA CUZZOCREA
UNA nuova ondata di espulsioni in Parlamento, voci di una possibile cacciata del sindaco di Parma Federico
Pizzarotti, ipotesi che nella lista nera possa finire anche il primo cittadino di Livorno Nogarin, una lettera
d'addio al Senato di Giuseppe Vacciano, fedelissimo e tesoriere del gruppo.
Mentre rientrano le dimissioni di altri due ortodossi, i deputati Daniele Pesco e Dino Alberti. Il tutto, dopo
un'assemblea infuocata durata quattro ore.
ALLE PAGINE 6 E 7 ROMA. Ha invitato tutto il "direttorio" all'incontro del 7 dicembre, Federico Pizzarotti.
Non hanno ancora risposto - i 5 nominati dai vertici e votati dal blog ma il sindaco di Parma è convinto che lo
faranno presto. «Rispondere è cortesia», dice sorridendo dal suo ufficio in municipio. È lì da solo, al sabato, a
tentare di stemperare le polemiche sul teatro regio, dopo un giro nel quartiere alluvionato il 16 ottobre e prima
di una mostra cui deve presenziare. Ha voglia di dire soprattutto una cosa: «L'incontro di domenica prossima
nonè il covo di nessuna scissione». Ma non torna indietro sui principi: «Massimo Artini resta invitato.
Non è un bollino a dirmi quanto vale una persona».
Adesso il Movimento ha una squadra. È un passo avanti? «Quel che dico adesso è: vediamo quali saranno i
primi passi, le prime azioni di questo "direttorio". Soprattutto, stiamo a vedere se ci sarà un diverso approccio
alla determinazione della linea».
In che senso diverso? «Vediamo che posizione prenderà sulle ultime due espulsioni, quelle di Massimo Artini
e Paola Pinna». Crede che quella scelta possa ancora essere revocata? «Me lo auguro. Attendo le decisioni
di questi giorni, mi sembra che su questa vicenda i cinque non abbiano ancora detto nulla. Prima di
esprimere un giudizio bisognerà attendere alcuni passaggi. Poi certo, mi sarei aspettato che a un punto
importante come questo si arrivasse con un processo condiviso e motivato, cosa che è avvenuta solo in
piccola parte. Voglio però ribadire un concetto molto importante». Quale? «Ho letto su alcuni giornali che
starei tessendo una scissione, e invece vorrei chiarire che non sono a capo di nessuna corrente di dissidenti,
ho da fare il mio.
L'incontro del 7 è stato pianificato ben da prima di qualsiasi accanimento. Nonè il covo della nascita di chissà
cosa, è un momento operativo, nato per far conoscere il nostro statuto con dentro i referendum a quorum
zero. È indirizzato soprattutto agli amministratori perché si parlerà di come affrontare i problemi di tutti i
giorni».
È un passaggio difficile per voi, quello da opposizione a maggioranza? «È normale che all'inizio si pensi di
poter cambiare qualsiasi cosa, e poi si capisca che bisogna fare i conti con leggi, possibilità, disponibilità
finanziarie.
Cambia la prospettiva».
Di scissione si è parlato perché tra i presenti è stato annunciato Artini, che verrà da espulso e cui Grillo ha
vietato l'uso del simbolo. Ritira l'invito? «Potrebbe non essere il solo espulso a venire, e di certo non ritirerò
l'invito. Non è un bollino a certificarmi quanto vale una persona. Artini l'ho conosciuto quest'estate a Certaldo,
e mi ha colpito la sua pragmaticità: mi ha parlato del lavoro in commissione Difesa, di come sia riuscito a far
passare un emendamento che ci ha fatto risparmiare milioni di euro. Non capisco perché di queste cose non
si parli».
Mercoledì prossimo potrebbe esserci un'ondata di nuove espulsioni. Che ne pensa? «So che ci sarà
quest'incontro unificato, ma mi sembra strano che già si dicano queste cose. Mi salva che ho anche da
lavorare, mentre a Roma evidentemente hanno più da pensare a queste cose». Ricominciano a girare anche
le voci di una sua cacciata via blog. Sarà espulso? « Non ne ho la più pallida idea.
Fosse vero, sono certo che sarei l'ultimo a saperlo. Sono molto tranquillo. Se accadesse, però, vorrei
conoscere le motivazioni.
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INTERVISTA I CINQUESTELLE SARANNO CHIAMATI A DECIDERE SU 20 PARLAMENTARI
30/11/2014
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I parlamentari hanno un regolamento da seguire, io no, non ho violato alcun principio».
PER SAPERNE DI PIÙ www.beppegrillo.com www.comune.parma.it
Foto: Federico Pizzarotti NIENTE SCISSIONI Li invito all'incontro di domenica prossima: non sto
architettando nessuna scissione nel movimento CI SARÀ ARTINI Artini invitato anche se non può usare il
simbolo dei 5 stelle.
Non è un bollino a dirmi quanto vale una persona
30/11/2014
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"Era un sogno, sta diventando un incubo"
(a.cuz.)
ROMA. Il deputato calabrese Sebastiano Barbanti oggi passerà il suo compleanno alla Camera, per il voto
finale e gli ordini del giorno della legge di Stabilità.È in commissione Finanze, ci lavora da mesi, voleva far
passare una tassa sulle pensioni d'oro targata M5S, «e invece mi ritrovo a parlare di espulsioni».
Mercoledì potrebbe essere il suo turno. Ha capito perché? «Qualcuno mi ha attaccato per questioni legate al
territorio, ma io non ho solo portato all'attenzione del Movimento la voce di 42 meet up sul trasbordo delle
armi chimiche al porto di Gioia Tauro. Volevamo che fosse fermato, ma siamo stati responsabili, la polizia ci
ha anche ringraziato».
E la questione della rendicontazione? «Nel momento in cui il sistema del sito Tirendiconto è cambiato, un
mese fa, abbiamo solo chiesto di sapere chi se ne occupa. A chi affidiamo i nostri dati? Chi è "lo staff"? È
possibile che loro scrivano "caro Sebastiano" e noi "caro staff"? Nessuna risposta. Anzi, abbiamo chiesto che
caricassero i nostri file con i bonifici e i rendiconti sul sito, ma non l'hanno fatto. Serve rendicontare per
contribuire fattivamente a tante iniziative (mostrando ai cittadini il pieno rispetto dei principi fondanti del M5S)
o sottostare a un meccanismo "allineato" ma poco trasparente? Se qualcuno vuole portare questo sogno a
trasformarsi in un incubo, deve assumersene la responsabilità».
Chi vorrebbe farlo? «Io dico solo che dopo le elezioni dovevamo fare autocritica e decidere come far passare
fuori il grande lavoro fatto da noi e dai cittadini. Invece, stiamo andando dietro a cavilli burocratici che
nascondono chissà cosa».
Cosa vi hanno detto ieri sera Di Maio, Fico e Sibilia? «Ci hanno raccontato la loro storia di attivisti, e hanno
detto di essersi ritrovati sul blog a loro insaputa».
Foto: opo le elezioni serviva autocritica invece di cavilli che nascondono chissà che cosa
Foto: "DEPUTATO CINQUESTELLE SEBASTIANO BARBANTI
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L'INTERVISTA/SEBASTIANO BARBANTI, DEPUTATO M5S A RISCHIO ESPULSIONE
30/11/2014
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Tre voti su altrettanti articoli del provvedimento: dai bonus familiari al Tfr in busta paga, dagli ammortizzatori
al taglio al cuneo fiscale Ma l'Ufficio parlamentare di bilancio ritiene sopravvalutata la crescita che il governo
si aspetta dalle riforme: "Sarà pari a zero nel 2015"
ROBERTO PETRINI
ROMA. Alle 21 e 50 di ieri sera, la Camera dà il via libera con la fiducia alla legge di Stabilità, Bruxelles si
riserva di passarla al setaccio a marzo per verificarne la «conformità». Ma il vero cartellino rosso alla
strategia del governo che lega la ripresa dell'economia, la riduzione del debito e il giudizio della Commissione
europea al decollo delle riforme strutturali, viene dall'Ufficio parlamentare di bilancio. L'organismo, presieduto
da Giuseppe Pisauro, nel "Rapporto sulla politica di bilancio 2015" di novembre esprime più di un dubbio
sull'effetto positivo in termini di Pil delle riforme strutturali, dal Jobs act, alla Pubblica amministrazione, dalla
riforma della giustizia alla competitività. Il governo, in pratica, sarebbe troppo ottimista e avrebbe
sopravvalutato l'effetto di queste misure sulla crescita. LE PREVISIONI DEL PIL L'Upb ricorda che le riforme
strutturali sono di «difficile valutazione» quanto al loro effetto sull'economiae segnala che per il 2015 uno 0,4
per cento di crescita (sullo 0,5 tendenziale, circa l'80 per cento) è dovuto sì a riforme strutturali ma approvate
ante-aprile 2014: le nuove riforme, dal Jobs Act alla pubblica amministrazione, il prossimo anno daranno
invece zero contributo alla crescita. Anche quando nuove le riforme varate nella seconda metà di quest'anno
potranno esprimere il loro effetto, cioè nel 2016-2018, il risultato sarà magro. L'Upb spiega che «le previsioni
sul Pil del governo appaio più ottimistiche» di quelle espresse dal proprio panel di istituti di ricerca. Il rischio di
sopravvalutazione è accentuato dal fatto che l'effetto delle riforme sulla stima della performance del Pil è del
20 per cento nel 2016 e del 30 per cento nel biennio 2017-2018. Solo per questa strada il Def riesce a portare
il Pil rispettivamente all'1 e all'1,3-1,4 per cento sui quali conta il governo.
LA SPINTA AI CONSUMI Se dalle riforme strutturali c'è da aspettarsi poco più positivo è lo scenario degli
interventi contenuti nella "Stabilità". La parola d'ordine è spingere la domanda, anche se per farlo si dovrà
ricorrere al deficit e rischiare con Bruxelles. L'arma impugnata dal governo è il bonus Renzi: confermato per il
prossimo anno costerà 10 miliardi e darà diritto a chi guadagna meno di 1.500 euro netti al mese di avere gli
80 euro in busta-paga. Farà effetto, non servirà? Il governo stima una attivazione di un flusso di consumi di
4,5 miliardi con un incremento sul Pil di 0,2 punti percentuali. L'altra misura sulla quale si fa conto è la
possibilità di anticipare il Tfr in busta-paga: costa di più in termini di tassee dunque si prevede che sarà
conveniente solo per il 34 per cento delle famiglie. Tuttavia l'incremento dei consumi calcolato dall'Ufficio
parlamentare di bilancio è pari a 2,7 miliardi. L'effetto sul Pil sarà pari a 0,1.
TAGLIO AL CUNEO FISCALE Tre operazioni, in combinato disposto, possono arrivare a ridurre il cosiddetto
cuneo fiscale, cioè la distanza tra il costo del lavoro per l'azienda e quanto arriva nelle tasche del lavoratore.
L'allineamento si verifica se il lavoratore guadagna meno di 26 mila euro annui e ha dunque diritto allo
sconto Irpef e relativo bonus di 80 euro al mese; a questo si aggiungerebbe la nuova deducibilità integrale del
costo del lavoro dall'Irap. Se a queste due circostanze si aggiunge l'assunzione di un nuovo lavoratore,
soggetto a totale decontribuzione, il cuneo fiscale sarebbe più che dimezzato con una caduta di 23,9 punti
percentuali. Come disse Matteo Renzi quando presentò le slide della "Stabilità" a metà ottobre: le imprese
non avrebbero più alibi per non assumere.
FORNERO MODIFICATA Il passaggio alla Camera modifica la legge pensionistica Fornero: chi va in
pensione con 42 anni e 1 mese di contributi, anche se non ha raggiunto i 62 anni di anzianità anagrafica non
subirà penalità. tetto anche agli stipendi dei «burosauri» che con il contributivo prendono più del retributivo.
LOTTA ALL'EVASIONE La norma più importante è quella che consente all'Agenzia delle entrate di utilizzare
la banca dati dei conti correnti e dei titoli per fare controlli a tappeto invece che su liste selezionate di
contribuentia rischio. In tutto verranno 3,5 miliardi: la misura più importante è il reverse charge, chi compra dà
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Manovra, sì alla fiducia ma dubbi sull'effetto Pil
30/11/2014
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l'Iva direttamente allo Stato senza passare per il venditore.
COMUNI E REGIONI Per le Regioni, come per il Tfr, la questione passa al Senato. Mentre per i tagli ai
Comuni si è trovata la soluzione di una maggiore flessibilità e rinegoziazione dei mutui. E-BOOK E BUONI
PASTO L'Iva passa al 4 per cento, come per i libri cartacei. Sale la soglia di deducibilità dei buoni pasto
elettronici da 5,29 a 7 euro.
La legge di stabilità per l'anno 2015 in milioni di euro
26.563
32.474
20.975
11.499
10.484
16.079
5.911 RISORSE AUMENTO DEFICIT Maggiori entrate Minori spese (contrasto evasione, tassa fondi
pensione ecc.) (ministeri, enti locali ecc.) di cui IMPIEGHI Maggiori spese Minori entrate (bonus Irpef e bebè,
ammortizzatori sociali, spese obbligate ecc.) (cuneo Þscale, ecobonus ecc.) di cui FONTE: U!cio
parlamentare di bilancio IN PUNTI PERCENTUALI MIN MAX Bonus di 80 euro Impatto sul Pil nel 2015 delle
principali misure contenute nella legge di stabilità 0,17 0,28 MIN MAX Riduzione Irap 0,00 0,01 MIN MAX
Sgravi contributi 0,04 0,18 MIN MAX Tfr in busta paga 0,07 0,15 MIN MAX Altre misure -0,26 -0,38 FONTE
UFFICIO PARLAMENTARE DI BILANCIO PER SAPERNE DI PIÙ www.tesoro.it www.upbilancio.it
Foto: IL MINISTRO Pier Carlo Padoan è il ministro della Economia. In dubbio le stime degli effetti che le
riforme avranno sulla crescita del Pil
30/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 1.14
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"Sarkozy invertebrato Hollande un birillo L'Europa è morta contano le
nazioni"
ANAIS GINORI
LIONE. «Ecco la nuova Europa delle nazioni e dei popoli». Marine Le Pen porta sul palco vecchie
conoscenze, come l'olandese Pvv di Geert Wilderse l'austriaco Fpö,e nuovi alleati, il segretario della Lega
Nord, Matteo Salvini, accanto al vicepresidente della Duma, A. K. Isaiev. Il dirigente russo comincia con un
"cari compagni", suscitando risate in sala, quasi una provocazione davanti a Jean-Marie Le Pen, seduto in
prima fila, di cui un video agiografico ha ricordato qualche ora prima il passato anticomunista.
Il nuovo oro viene da Mosca,9 mime a l'Ukip di Nigel Farage. È finita la vostra rivalità? «Vedremo. L'Ukip ci
ha proposto questa mozione di censura per chiedere le dimissioni di Juncker e a noi è sembrato logico
aderire». Torniamo al Front National.
La famiglia Le Pen domina il partito di generazione in generazione? «Qualche giornalista vuole descrivere il
Front National come un movimento dinastico. E invece Marion è preparata, studiosa, lavora molto. Certo, in
più si chiama Le Pen. Nel Front National ha una certa importanza. Ma il cognome deve essere associato al
merito. È così per Marion. Nel mio piccolo, l'ho dimostrato anche io».
Il suo vice, però, qui ha avuto un risultato deludente. I militanti hanno chiesto con questo voto un'altra linea
politica? «Secondo lei qualcuno può forzarmi a cambiare linea politica? La verità è che la linea è una sola.
Ma non siamo un fossile politico.
Anzi, se ci sono sfumature interne su alcuni temi, è una ricchezza per il partito».
Ora Sarkozy è tornato a essere il suo avversario politico? «È come quando ti ripropongono una vecchia serie
alla televisione: non hai più voglia di guardare, sai già come va a finire. Anzi, lui è peggiorato. Dice tutto e il
contrario di tutto. E in realtà, non crede in nulla. Ha dimostrato di essere politicamente invertebrato».
Potrebbe essere il suo sfidante al ballottaggio delle presidenziali nel 2017? «Non so chi mi sfiderà. Tutto è
possibile, anche che ci siano due candidati dell'Ump al primo turno». E crede che Hollande sarà candidato?
«Sì, ne sono certa. Ha una qualità: è come un birillo che non cade mai. La sua inerzia politica è una forza in
questa fase».
«Non credo. E se l'ha detto, mi fa onore. Ha un'energia travolgente, anch'io talvolta resto in estasi davanti
alle sue capacità di persuasione e lavoro».
Quali sono i vostri punti in comune? «Salvini è riuscito a imporre una svolta alla Lega Nord che lo metterà
sempre più al centro della vita politica. Mi ricordo quando ne abbiamo parlato la prima volta, durante la
campagna per le europee, i sondaggi lo davano al 4%. Invece ha avuto risultati elettorali spettacolari, anche
in collegi ostili alla Lega Nord».
Dove potrebbe arrivare? «Potrebbe fare anche il primo ministro, perché no?» Vi pesa l'accusa di xenofobia?
«È un vecchio pregiudizio costruito dai nostri avversari per impedire ogni discussione sulla politica di
immigrazione. Si può essere contro l'immigrazione senza essere razzisti».
Cosa pensa del successo di Matteo Renzi? «L'altro Matteo? Cavalca il sentimento antieuropeo,
nascondendo in realtà la sottomissione all'Europa. Per fortuna, è una strategia di corto respiro.
Dopo qualche mese, gli elettori cominciano a rendersi conto di questa menzogna. Renzi mi fa pensare a
Nicolas Sarkozy».
Eppure sono diversi politicamente, non crede? «Sono due uomini politici che mettono il loro talento oratorio
al servizio della menzogna. In questo si assomigliano».
Renzi è più vicino a François Hollande.
«Li considero entrambi come dei prefetti: non hanno autonomia, prendono ordini da Bruxelles». Jean-Claude
Junckerè meglio di Manuel Barroso? «Non c'è differenza, sono eletti dalla stessa maggioranza.
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INTERVISTA Marine Le Pen. Il congresso del Front National la conferma alla guida E lei attacca: "Su di noi
solo pregiudizi, lasciate perdere le menzogne dei prefetti della Ue"
30/11/2014
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Rappresentano il passato. L'Europa è come una stella: brilla ancora, ma è già morta».
Avete presentato una mozione all'europarlamento insielioni di euro presto nelle casse del partito, senza
troppo scandalo a giudicare dalla reazione dei militanti arrivati a Lione per il Congresso del Front National. È
stata la giornata di Marine, riconfermata alla guida del partito, e di Marion, nipote in testa delle preferenze per
il comitato centrale. «Esiste solo una linea politica, la mia», racconta Marine in sala stampa all'ora di pranzo,
fumando la sua sigaretta elettronica e scansando una tartina al salmone, che detesta.
Matteo Salvini si ispira da lei?
Foto: "SALVINI
Foto: Travolgente, resto in estasi davanti alle sue capacità E potrebbe fare anche il primo ministro
Foto: IL FONDATORE Jean-Marie Le Pen, fondatore del Front National, circondato dai giornalisti al
congresso di Lione I suoi rapporti con la figlia Marine si sono deteriorati
Foto: RENZI
Foto: L'altro Matteo? Vuole nascondere la sua sottomissione a Bruxelles. Ma gli elettori cominciano a capire...
Foto: OBIETTIVO ELISEO Marine Le Pen, leader del Fronte Nazionale: il 33% dei francesi la preferisce al
presidente Hollande che è sceso al 16%
Foto: FOTO: AFP
30/11/2014
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Taglio al canone Il ricorso della Rai andrà al Quirinale Ma verdetto finale
con il nuovo cda
C'è tempo fino a gennaio per avviare il procedimento suggerito dal giurista Police
ALDO FONTANAROSA
ROMA. Si chiama Ricorso straordinario al Capo dello Stato. Ed è la carta che la Rai giocherà per riavere
indietro i 150 milioni del canone 2014.
Sono i soldi che il governo ha tolto alla tv pubblica per finanziare il bonus Irpef degli 80 euro. Il presidente
Napolitano, in realtà, non entrerà nella partita del canone.
Questo ricorso si chiama così per un retaggio dello Statuto Albertino, quando i sudditi si appellavano al re
contro gli atti "ingiusti". In realtà porterà la lite tra Viale Mazzini e il ministero dell'Economia laddove deve
andare. La legge 1199 del 1971 e la 69 del 2009 assegnano casi del genere al Consiglio di Stato (a meno di
opposizioni ministeriali).
La Rai sceglie il Ricorso al Capo dello Stato perché ha bisogno di tempo, di calma e sangue freddo per
scrivere questa "dichiarazione di guerra" all'Economia, il suo azionista.
Il governo si appropria dei 150 milioni con il decreto degli 80 euro (articolo 21, comma 4), convertito in legge
a giugno.
Poi, il 30 settembre, il ministero della Economia assesta una prima sforbiciata al canone.
Non versa alla tv di Stato una parte della rata trimestrale, trattenendo per sé 12,5 milioni.
Questa trattenuta è «l'evento pregiudizievole» su cui basare il ricorso.
Avesse scelto di andare al Tar, Viale Mazzini avrebbe avuto a disposizione solo 60 giorni. Il delicatissimo
atto andava buttato giù con il cappio alla gola e depositato entro domani, a mezzanotte. Invece il Ricorso al
Capo dello Stato - suggerito alla Rai dal professor Aristide Police - assegna 120 giorni. Il doppio. C'è tutto il
tempo per godersi un Natale in allegria e finire i compiti entro il comodissimo termine del 30 gennaio 2015.
L'iter di questi ricorsi è a da mal di testa. Una specie di gioco dell'oca - che chiamerà in causa giudici
amministrativi, ministeri e Presidenza del Consiglio - produrrà una sentenza in almeno 10 mesi. Quando
ormai Viale Mazzini avrà un Cda diverso da quello che ha iniziato la madre di tutte le battaglie. I consiglieri
"belligeranti " scadranno questo aprile.
Foto: PRESIDENTE Anna Maria Tarantola, presidente della Rai, è stata vicedirettore generale di Bankitalia
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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IL PUNTO
30/11/2014
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Un altro attacco dei tedeschi a Draghi il rappresentante in Bce: no a maxiacquisti
ROMA. Un nuovo no dalla Germania all'acquisto di titoli di Stato da parte della Bce. Dopo la chiara presa di
posizione del presidente della Bundesbank Jens Weidmann, che da tempo sottolinea come il quantitative
easing sia un incentivo per alcuni Paesi a non proseguire con le riforme strutturali, ora è la volta di Sabine
Lautenschlaeger, membro tedesco del board Bce. La signora, come riportava ieri il Wall Street Journal online,
si oppone apertamente al piano di acquisto su larga scala di bond, inclusi i titoli di Stato, che il governatore
Draghi vorrebbe invece mettere in campo per scongiurare la deflazione e sostenere la crescita. «Una stima
dei costi e benefici, delle opportunità e dei rischi di un ampio programma di acquisti non dà un esito positivo
al momento», frena la Lautenschlager.
Un altolà chiaro, a conferma del muro teutonico al programma della Bce, nonostante in eurozona l'inflazione
sia calata ancora a novembre allo 0,3% dopo lo 0,4% di ottobre, lontanissima dall'obiettivo del 2%. Sul
versante opposto, a sostegno di Draghi, si pone il presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, che ieri a
Berlino ha dichiarato di sostenere «in modo deciso» quello che sta facendo la Bce, perché «non possiamo
accettare questo basso tasso di crescita», tanto più che «la politica monetaria in molte regioni europee sta
perdendo efficacia» e «il rischio di una bolla può minacciare la ripresa economica». Al fianco del governatore
anche il Financial Times . «Draghi ha bisogno di sostegno nell'eurozona sul quantitative easing », si legge
nell'editoriale di ieri. «La necessità di intervenire resta forte», malgrado sia «certamente vero che le
dimensioni degli effetti dell'acquisto di titoli non è chiara», scrive il giornale britannico. «Sarebbe saggio per la
Bce focalizzarsi per il momento sull'acquisto di strumenti privati come gli Abs e le obbligazioni piuttosto che
sui debiti pubblici», suggerisce.
Foto: NELLA BCE Sabine Lautenschlaeger, rappresentante tedesca nel board della Bce
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LO SCONTRO
01/12/2014
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Scatterà l'amministrazione straordinaria Renzi-Berlusconi, scontro sulla riforma Il premier: non dà lui le carte,
apro ai M5S
ROBERTO MANIA
C'È UN "piano B" per l'Ilva. Il governo è pronto a chiedere l'amministrazione straordinaria per il gruppo
siderurgico. Sostanzialmente dichiararne il fallimento e applicare la legge Marzano, il nostro "Chapter 11",
riservato ai grandi gruppi con più di 500 addetti e oltre 300 milioni di debiti. Un default pilotato, insomma.
ALLE PAGINE 6 E 7 CON UN ARTICOLO DI FOSCHINI ROMA. C'è un "piano B" per l'Ilva.
Il governo è pronto a chiedere l'amministrazione straordinaria per il gruppo siderurgico. Sostanzialmente
dichiararne il fallimento e applicare la legge Marzano, il nostro "Chapter 11", riservato ai grandi gruppi con più
di 500 addetti e oltre 300 milioni di debiti.
Un default pilotato, insomma. Un decreto legge ad hoc potrebbe essere varato nei prossimi giorni, o
addirittura questa sera visto cheè stata convocata una riunione del Consiglio dei ministri. I tempi saranno
comunque strettissimi.
L'Ilva, dopo che le sono arrivati i 125 milioni della seconda rata del prestito bancario, hai soldi per pagare gli
stipendi dei suoi 11 mila dipendenti di dicembre, la tredicesima e il rateo del premio di produzione. Niente di
più. Mentre ci sono 350 milioni di debiti scaduti con i fornitori e 35 miliardi di richieste per danni ambientali,
sotto varie forme, da parte della comunità tarantina. Nessuno in queste condizioni comprerà mai la società.
Non gli anglo-indiani di Arcelor-Mittal, il più grande gruppo europeo dell'acciaio, alleati con Marcegaglia; non
l'italiano Arvedi che in ogni caso ha chiesto l'aiuto finanziario del Fondo strategico italiano, braccio industriale
della Cassa depositi e prestiti, controllata dal ministero dell'Economia con la partecipazione delle Fondazioni
di origine bancaria. Sia Mittal sia Arvedi, infatti, hanno presentato offerte considerate inaccettabili dal
governo.
Ma in particolare gli anglo-indiani hanno posto paletti insormontabili dal punto di vista economico e politico.
Così non ci sarebbero garanzie sul futuro dell'impianto.
«Non si svende la più grande acciaieria d'Europa», spiegano a Palazzo Chigi. La produzione dell'acciaio
resta strategica se si vuole rilanciare l'attività industriale crollata del 25 per cento in questi lunghi anni di
recessione. Da qui il "piano B" del governo.
Giovedì scorso si sono riuniti a Palazzo Chigi il premier, Matteo Renzi, il ministro dello Sviluppo economico,
Federica Guidi, e il commissario governativo dell'Ilva, Piero Gnudi. Ne è emersa la convinzione che senza il
passaggio all'amministrazione straordinaria la questione Ilva sia destinataa finire in un vicolo cieco. Con il
rischio che prenda forma uno scenario sociale esplosivo, per le ricadute dirette su Tarantoe gli altri siti
produttivi (Novi Ligure e Cornigliano) e indirette sulle migliaia di piccole aziende fornitrici.
Non per nulla ieri sono arrivati i commenti positivi dei sindacati all'ipotesi dell'amministrazione straordinaria.
D'altra parte né Mittal, né tantomeno i lombardi di Arvedi, significativamente indebitati, hanno indicato
nell'offerta una cifra per rilevare la società. Questo è il punto. L'Ilva continua a perdere intorno ai 25 milioni al
mese (ne perdeva quasi 70 prima dell'arrivo di Gnudi che ha cambiato tutta la prima linea di comando), nel
2012 e 2013 ha perso un miliardo l'anno, ha due terzi dello stabilimento di Taranto sotto sequestro, non ha
praticamente le risorse per fare la manutenzione, e soprattutto deve rispettare i vincoli posti dal piano di
risanamento ambientale che complessivamente richiedono un esborso di 1,8 miliardi di euro. Così i grandi
acciaieri europei scommettono sul tracollo dell'Ilva, perché ci sarebbe un concorrente in meno e quote da
spartirsi, mentre sui mercati globali avanzano i produttori asiatici, russi e brasiliani.
Anche questa partita si sta giocando intorno alla crisi dell'ex Italsider. Eppure a Taranto si potrebbe ancora
produrre acciaio di qualità in condizioni redditizie purché liberi del "fardello" del passato. L'amministrazione
straordinaria servirebbe a questo, a non cedere l'azienda, bensì gli impianti. Il modello di riferimento sarebbe
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Ilva allo Stato ecco il piano del salvataggio
01/12/2014
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quello dell'Alitalia dei cosiddetti "capitani coraggiosi": una bad company su cui scaricare il cumulo di macerie,
controversie giudiziarie comprese, accumulato negli anni (ai Riva, azionisti di maggioranza, sono stati
sequestrati dalla magistratura 1,2 miliardi di euro per dirottarli al risanamento ambientale); una new company
sulla quale costruire il futuro dell'acciaieria, con le banche creditrici, con nuovi soci privati, con un intervento
pubblico attraverso il Fondo strategico. Una volta ripulita, insomma, l'Ilva avrebbe ben altro appeal. E allora
non si tratterebbe più di «svendita» e potrebbe - a condizioni di mercato sulle quali Bruxelles non potrebbe
eccepire sollevando il pericolo di aiuti di Stato vietati dai Trattati - entrare in campo anche una sorta di
statalizzazione. Ipotesi che il Renzi, nell'intervista ieri a Repubblica , considera al pari delle altre. Questa,
potrebbe anche essere un'ipotesi tattica (dove troverebbe i soldi, non meno di 2-3 miliardi, il governo?) per far
vedere a Mittal che lo scenario può anche cambiare. Ma si vedrà. In ogni caso il ricorso alla "legge Marzano"
dovrebbe permettere - secondo quanto è trapelato da chi nel governo ha in mano il dossier - al commissario
straordinario di venire in possesso in tempi rapidi dei 1,2 miliardi sequestrati ad Emilio Riva e sul cui
patrimonio c'è stata la rinuncia degli eredi. Certo il fratello Adriano ha fatto ricorso contro il sequestro edè in
atto una battaglia legale. Ma questo è un altro capitolo del groviglio tarantino.
L'INTERVISTA IL PREMIER SU REPUBBLICA Nell'edizione di domenica, intervistato da Repubblica, Matteo
Renzi dice: "Stiamo valutando se intervenire con un soggetto pubblico per rimettere in sesto l'Ilva in 2 o tre
anni, difendere la occupazione e rilanciarla sul mercato"
PER SAPERNE DI PIÙ www.palazzochigi.it www.gruppoilva.it
LE TAPPE 1IL SEQUESTRO Il Gip di Taranto, su richiesta della Procura, sequestra l'intera area a caldo
dell'Ilva. In manette 8 persone (tra cui Emilio Riva). Sono nominati quattro custodi giudiziari 2I PRODOTTI Il
26 novembre del 2012, il Gip sequestra anche 1,8 milioni di tonnellate di acciaio per un valore di oltre un
miliardo. Sei nuovi arresti 3IL DECRETO Sette giorni dopo, il governo restituisce all'azienda impianti e
prodotti con un decreto salva-Ilva Poi il decreto viene convertito in legge: Ilva torna operativa dal 4 gennaio
2013 4LA CONSULTA Il 9 aprile 2013, decide che il salvaIlva è costituzionale respingendo così i ricorsi del
Gip e del Tribunale. Piero Gnudi (a giugno) subentra a Bondi da commissario 5L'OFFERTA Il 25 novembre
2014, gli indiani di Arcelor Mittal e i Marcegaglia formalizzano una offerta - ma non vincolante - per l'Ilva. Il
governo non è convinto
01/12/2014
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Ma l'ex Cavaliere scommette: l'addio di Napolitano frenerà l'Italicum
Il forzista Romani: "Niente melina, basta il calendario per frenare la riforma elettorale"
GOFFREDO DE MARCHIS
ROMA. Adesso anche il gruppo del Senato di Forza Italia, che aveva tenuto in piedi il patto del Nazareno al
momento del voto sulla riforma costituzionale, ha recepito il messaggio di Berlusconi: l'Italicum deve
rallentare perché prima ci vuole un accordo sul presidente della Repubblica. Non è in programma
l'ostruzionismo o qualche palese manovra dilatoria.
«Basta il calendario», dice sornione il capogruppo di Fi Paolo Romani. La melina, la serie di passaggi che fa
perdere tempo nel calcio, è nei fatti secondo Romani. Che ha studiato bene le prossime settimane e le tappe
della legge elettorale, ancora ferma in commissione. Ad aiutare Berlusconi nella strategia che dovrebbe
garantirgli un capo dello Stato non sgradito, l'impegno a evitare le elezioni in primavera e solo dopo a varare
la riforma del sistema di voto, c'è persino il tradizionale concerto di Natale a Palazzo Madama.
«Per organizzarlo l'aula deve chiudere almeno due giorni», ricorda Romani.
E' dunque una guerra di nervi quella tra Berlusconie Renzi, per la prima volta dal 18 gennaio, giorno della
sigla sull'intesa istituzionale, impegnati in uno scontro. L'impressioneè che il leader di Forza Italia abbia
davvero dalla sua parte il calendario. «Mi sembra che Napolitano abbia tolto tutti dall'imbarazzo - spiega l'ex
Cavaliere a chi lo ha sentito ieri da Arcore -. Dopo l'incontro con Renzi ha addirittura accelerato sulla sua
uscita. C'era il problema se doveva venire prima la legge elettorale o le sue dimissioni. Direi che ha deciso
così: non fatevi illusioni, me ne vado prima io». Il 20 gennaio, secondo le indiscrezioni, è il giorno in cui
potrebbero riunirsi in seduta comune le Camere per iniziare le votazioni del successore. «Non c'è neanche
bisogno di fare ostruzionismo», prevede allora Romani. Al momento il testo dell'Italicum modificato ancora
non è pronto. Non c'è nemmeno la calendarizzazione in aula e il 19 dicembre, dicono a Palazzo Madama, il
Senato chiuderà per le ferie natalizie. E' un venerdì. «Giocoforza verrà prima il capo dello Stato», insiste il
capogruppo di Fi.
Che non esclude l'approvazione in commissione dell'Italicum modificato, ma poi i lavori dell'aula non
cominceranno prima del 7 gennaio, ovvero 13 giorni prima dell'ora X.
A Palazzo Chigi sono consapevoli delle difficoltà sui tempi, il calendario lo leggono anche lì. Anna
Finocchiaro, presidente della commissione Affari costituzionali, ha messo in guardia sia Matteo Renzi sia
Maria Elena Boschi. Ma il premier non rinuncia a provare una corsa contro il tempo. L'obiettivo è non solo
approvare il testo in commissione ma riuscire anche a incardinarlo per l'aula alla ripresa dei lavori a gennaio.
Si può fare anche nell'ultima mezz'ora utile di dicembre, con l'ultima conferenza dei capigruppo del 2014. A
quel punto ci sarebbero 10 giorni per arrivare al traguardo prima della chiamata dei grandi elettori.
«Tecnicamente è difficile, ma Forza Italia fa un po' di confusione sulle date. Le possibilità ci sono», dice
Renzi ai suoi collaboratori. Evitare l'ingorgo è la sua principale preoccupazione come dimostrano le parole
dell'intervista a Repubblica . Si può certamente fare un accordo complessivo con Berlusconi includendo il
nuovo inquilino del Colle, ma la partita va giocata sul filo. Non è permesso lasciar credere al leader di Arcore
che è lui a dare le carte, bisogna avere un piano B complessivo guardando ai movimenti tellurici dei 5stelle e
alla compattezza del Pd che da solo, dalla quarta votazione in poi potrà contare su 440 voti, a 60 di distanza
dal quorum necessario per eleggere il capo dello Stato. In questo senso anche la "campagna acquisti" dentro
Sel (con dieci deputati di Gennaro Migliore passati al Pd) e dentro Scelta civica ha un peso. La mossa
decisiva tocca a Palazzo Chigi, ma sul calendario rischia di avere ragione Berlusconi. SBARRAMENTO
L'altro scoglio è la soglia di sbarramento: il 3% chiesto dall'Ncd è ritenuto troppo basso da Fi, che punta a
costringere i "piccoli" al listone A CHI IL PREMIO La legge elettorale approvata a marzo dalla Camera dà il
premio di maggioranza alla coalizione. Renzi vuole che sia data alla lista più votata.
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IL RETROSCENA
01/12/2014
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Forza Italia dice no RIFORMA VOTO A MONTECITORIO DOMENICA DI LAVORO PER L'OK ALLA LEGGE
DI STABILITÀ. BRUNETTA: MATTEO PREFERISCE LA TV ALL'AULA Alla Camera scambi di battute tra i
dem Gozi e Fassina e il forzista Brunetta. Quest'ultimo ieri ha criticato Renzi: "Vergogna, preferisce essere in
tv a In mezz'ora invece che qui con noi"
QUORUM PER IL COLLE Una parte del Pd teme che nel futuro assetto chi vince alla Camera abbia i numeri
per eleggere anche il capo dello Stato.
Di qui la richiesta di "riequilibrare" NIENTE PIÙ ELETTI La riforma costituzionale del Senato renderà
l'assemblea di Palazzo Madama formata da consiglieri regionali, senza specifica indennità RIFORMA
SENATO
Foto: PRESIDENTE Il capo dello Stato Giorgio Napolitano è stato eletto nel 2006 e rieletto nel 2013
01/12/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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"Al Colle un nome autonomo qui non vale il Patto del Nazareno"
UMBERTO ROSSO ROMA
«Per il Colle, c'è bisogno di qualcuno che sappia ancora dare il batticuore agli italiani».
Lei ne vede in giro, presidente Vendola? «Uno come Prodi aveva fatto battere il cuore. Stefano Rodotà.
Anche Milena Gabanelli, perché no. Invece, la volta scorsa, in Parlamento la classe politica consegnò a
Napolitano tutto il segno della propria impotenza».
Ne fa una questione "sentimentale"? «Non soltanto, ovviamente.
Ma in quel Palazzo, oggi più che mai, serve una figura capace di ricucire la ferita aperta fra paese reale e
paese legale. Sì, anche con una riconnessione sentimentale con gli italiani. Davvero con un supremo garante
della Costituzione, oggi che l'attività esecutiva e legislativa camminano sempre più border line». Renzi dice
che Berlusconi siede al tavolo ma non dà più le carte. E apre anche a Grillo.
«Per il presidente della Repubblica bisogna costruire la maggioranza più ampia possibile. Maè una ricerca
che non si deve confondere con un sigillo al patto del Nazareno. Il capo dello Stato sia una figura autonoma,
anche da Palazzo Chigi. Un punto di riferimento e non uno strumento per altri disegni». Quali disegni?
«Difendiamo il presidente della Repubblica come figura sopra le parti. Cerchiamolo fra le personalità di
grande autorevolezza, di grande storia democratica. Con il concorso di tutti. Mi auguro che il Movimento
Cinquelle scongeli la propria forza, e che si guardi con grande attenzione a quel che succede lì dentro». A
proposito di Renzi: il premier per l'Ilva di Taranto, nella regione che lei governa, propone un ritorno della
fabbrica allo Stato, per rivenderla una volta risanata.
«Era ora. Il ritorno della mano pubblica nell'Ilva può impedire di buttare il bambino con l'acqua sporca.
Ambientalizzare apparati produttivi come la siderurgia, si può. E non è detto che debba scattare per forza la
seconda fase, con la vendita di nuovo ai privati».
Torniamo al Quirinale. Che spazio può ritagliarsi una piccola forza come Sel? «In questa legislatura abbiamo
giocato un ruolo importante per l'elezione dei vertici delle Camere». Con il presidente Laura Boldrini, eletta
nelle vostre liste.
«E anche con Pietro Grasso.
Ora, e ne parlo con imbarazzo perché Napolitano è ancora in carica e non mi va il toto Quirinale, ma il nostro
è uno strano paese. Dove si riscopre la modernità di Tony Blair, che in Europa al massimo è modernariato,
mentre la storia di Romano Prodi finisce fra le vecchie care cose della Prima Repubblica».
È il Professore il vostro candidato? «Io cerco solo di raccontare le cose come stanno, senza pregiudizi».
Berlusconi ha lanciato Amato.
«Se lo ha messo in pista lui, è bruciato». E Veltroni? Gentiloni? «Non entro nel toto-nomi.
Tutto quello che si può dire adesso è che la partita deve essere trasparente». A chi tocca cominciarla? «Al
partito di maggioranza relativa, invitando tutti attorno ad un tavolo a discutere».
Da Berlusconi a Grillo? «Il capo dello Stato non deve essere espressione solo della maggioranza politica né
del Patto del Nazareno. Questa che si apre con la corsa al Quirinale è la partita a scacchi più complessa per
il paese. Il rischio dello stallo è dietro l'angolo». PER SAPERNE DI PIÙ www.governo.it
www.partitodemocratico.it
'è bisogno di qualcuno che sappia ancora dare il batticuore agli italiani
Non faccio il totonomi, ma se Amato lo candida Berlusconi è ormai bruciato "GOVERNATORE DELLA
PUGLIA NICHI VENDOLA
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L'INTERVISTA/ NICHI VENDOLA, LEADER DI SEL
01/12/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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"Il mio appello ai leader islamici ora condannate il terrorismo"
MARCO ANSALDO
SUL VOLO ISTANBUL-ROMA «AL PRESIDENTE Erdogan l'ho detto: sono i leader religiosi, intellettualie
politici musulmani che devono condannare i terroristi chiaramente. E la condanna deve essere mondiale. In
Medio Oriente oggi c'è una Cristianofobia. E nella moschea di Istanbul ho pregato dicendo: "Signore,
finiamola con queste guerre!"». È diventata ormai una tradizione di Papa Francesco. Al ritorno da un suo
viaggio all'estero, durante il volo passa per il corridoio a salutare i giornalisti uno per uno. Poi si ferma a
rispondere alle loro domande.
Tutte. Senza reticenze, né richieste di evitare un tema piuttosto che un altro. Così ha fatto anche ieri sera,
rientrando da Istanbul, al termine di tre intensi giorni di viaggio nella Turchia musulmana che confina con
Paesi sconvolti dalla guerra come Iraq e Siria.
Santità, Erdogan ha parlato di Islamofobia. Lei ha anche accennato a una sorta di Cristianofobia, con i
cristiani perseguitati in Medio Oriente. Lei oggi è un leader morale globale: che cosa si può fare per andare
oltre il dialogo interreligioso, pure importante? «Io credo sinceramente che non si possa dire che tutti gli
islamici sono terroristi, come non si può dire che tutti i cristiani sono fondamentalisti: anche noi abbiamo dei
fondamentalisti, in tutte le religioni ci sono questi gruppetti. Ho detto a Erdogan che sarebbe bello condannarli
chiaramente, lo dovrebbero fare i leader accademici, religiosi, intellettuali e politici. Così lo ascolterebbero
dalla bocca dei loro leader. Abbiamo bisogno di una condanna mondiale da parte degli islamici che dicano:
"No, il Corano non è questo!". Sulla Cristianofobia non voglio usare parole addolcite: a noi cristiani ci
cacciano via dal Medio Oriente». E che significato ha avuto il suo momento di preghiera così intenso nella
Moschea Blu? «Sono andato in Turchia come pellegrino, non come turista.
Quando sono andato in moschea ho visto quella meraviglia, il Muftì mi spiegava bene le cose con tanta
mitezza, mi citava il Corano là dove si parlava di Maria e di Giovanni Battista. In quel momento ho sentito il
bisogno di pregare. Gli ho chiesto: preghiamo un po'? Lui mi ha risposto: "Sì, sì". Io ho pregato per la Turchia,
per la pace, per il Muftì, per tutti e per me... Ho detto: "Signore, ma finiamola con queste guerre, eh!". È stato
un momento di preghiera sincera».
Dopo questa visita al Patriarca ortodosso che prospettive ci sono per gli incontri con quello di Mosca? «Il
mese scorso in occasione del Sinodo è venuto il metropolita Ilarione abbiamo parlato. Io credo che con
l'ortodossia siamo in cammino.
Ma se dobbiamo aspettare chei teologi si mettano d'accordo, quel giorno non arriverà mai. I teologi lavorano
bene, ma Atenagora diceva: "Mettiamo i teologi su un'isola a discutere, e noi andiamo avanti".
L'unitàè un cammino che si deve fare insieme. Le Chiese orientali cattoliche hanno diritto di esistere, ma
l'uniatismo è una parola di un'altra epoca, si deve trovare un'altra strada (le uniate sono le Chiese dell'Oriente
europeo tornate nel XV secolo in comunione con la Chiesa cattolica, ndr ). Ho fatto sapere al Patriarca Kirill:
ci incontriamo dove vuoi, tu chiami e io vengo. Ma in questo momento con la guerra in Ucraina ha tanti
problemi».
Dopo il suo inchino storico al Patriarca Bartolomeo, come affronterà le critiche degli ultraconservatori? «Mi
permetto di dire che questo nonè un problema solo nostro. Questo è un problema anche degli ortodossi.
Dobbiamo essere rispettosie non stancarci di dialogare, senza insultare, senza sporcarsi, senza sparlare. Se
poi uno non vuole dialogare...». Al Sinodo dei vescovi in ottobre ci sono stati dei passaggi contestati della
relazione intermedia.
«Il Sinodo è un percorso, è un cammino. Non è un Parlamento, è uno spazio protetto perché possa parlare
lo Spirito Santo. E la relazione finale non esaurisce il percorso». Andrà in Iraq? «Lo voglio. Ho parlato col
Patriarca Sako. Per il momento non è possibile. Se in questo momento andassi si creerebbe un problema per
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L'intervista Papa Francesco. A colloquio sul volo di ritorno dalla Turchia: "In moschea mi sono rivolto a Dio:
finiamola con queste guerre Forse la Siria ha avuto le armi chimiche da chi l'accusa"
01/12/2014
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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le autorità, per la sicurezza».
Nel mondo ci sono ancora tante armi nucleari... «Sono convinto che stiamo vivendo una Terza guerra
mondiale a pezzi,a capitoli, dappertutto. Dietro di questo ci sono inimicizie, problemi politici, problemi
economici, per salvare questo sistema dove il dio denaro e non la persona umana è al centro.E dietro ci sono
anche interessi commerciali: il traffico delle armi è terribile. L'anno scorso si diceva che la Siria aveva le armi
chimiche: io credo che la Siria non fosse in grado di farsele. Chi gliele ha vendute? Forse chi l'accusa. Su
questo affare delle armi c'è tanto mistero». Nel 2015 ci sarà il 100° anniversario del genocidio armeno,
negato dai turchi. Lei cosa ne pensa? «Lo scorso anno il governo turco ha fatto un gesto, Erdogan ha scritto
una lettera nella ricorrenza, che alcuni hanno giudicato troppo debole. Maè stato un porgere la mano.
A me sta molto a cuore la frontiera turco-armena: se si potesse aprire quella frontiera sarebbe una cosa
bella. So che ci sono problemi geopolitici, ma dobbiamo pregare per questa riconciliazione». PER SAPERNE
DI PIÙ www.vatican.va https://twitter.com/pontifex_it CON ERDOGAN La prima giornata del viaggio in
Turchia del Papa è incentrata sull'incontro con il presidente Erdogan IN MOSCHEA Nella Moschea blu il
Papa entra scalzo insieme al Gran Mufti che gli indica un verso del Corano LA BENEDIZIONE Il bacio del
Patriarca ortodosso Bartolomeo al quale Francesco chiede una benedizione LE TAPPE
"GLI ARMENI
Erdogan ha scritto una lettera nella ricorrenza del genocidio. È stato un porgere la mano
"IL CALIFFATO
I politici, i religiosi gli intellettuali e gli accademici devono dire: "Non è questo il Corano!"
Foto: IN AEREO Papa Francesco sul volo. Sotto con il Patriarca Bartolomeo
Foto: FOTO: ANSA
01/12/2014
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DOVE L'ENERGIA È PIÙ CARA CHE ALTROVE
MARIO PIRANI
GIUSTO un anno fa, su questa rubrica, tracciammo il bilancio del mercato energetico nazionale anche in
vista dei mutamenti richiesti dall'Unione europea. Oggi con un nuovo governo e il cambio di tutti i vertici delle
società energetiche dobbiamo purtroppo concludere che in Italia, diversamente da altri Paesi, gli effetti sono
stati opposti agli auspici. Lo schema parla da solo: bollette energetiche molto più care degli altri (del 30%);
decine di grandi impianti di produzione termoelettrica (anche nuovi) fermi; raffinerie di prodotti petroliferi in
chiusura; progetti di rigassificazione di gas liquido non più meritevoli di essere costruiti; enormi esborsi
(speculativi) a favore di alcune fonti rinnovabili; perdita di oltre 70mila occupati nel settore; industrie
manifatturiere che se ne vanno per gli alti costi dell'energia (Acciaierie di Terni).
Cercando di non attribuire tutte le responsabilità alla perdurante crisi economica, guardiamo alle motivazioni
più vicine alle nostre responsabilità. Tra queste ragioni, senza dubbio, una fondamentale è da attribuire alla
mancanza di guida del settore da parte del Ministero dello Sviluppo Economico. Va aggiunta anche una certa
"accondiscendenza" delle organizzazioni sindacali, abbagliate da prospettive, poco credibili, di riconversione
tecnologica delle professioni. Né il governo né i nuovi amministratori delegati delle due più grandi aziende,
Eni ed Enel, danno segnali di cambiamento per affrontare la forte crisi del settore energetico. Per non dire del
silenzio totale delle altre imprese elettriche presenti in Italia (Sorgenia, E.ON, Edison...). Se è vero che la
ripresa economica passa anche attraverso l'incremento dei consumi di beni da parte delle famiglie, oggi
tartassate da tributi nazionalie locali, perché non provare, in via indiretta, con la riduzione delle bollette
energetiche? E questo si può fare eliminando parzialmente oneri impropri (aiuti alle ferrovie, al nucleare,
eccetera) ma soprattutto la sovra-incentivazione ancora attiva per alcune fonti, al fine di riportare equità in
una selva di trattamenti di favore. Al di là di generici appelli, si ritiene che alcune decisioni concrete possano
davvero essere assunte in tempi brevi ed avere efficacia.
Abbiamo almeno trenta grandi centrali termoelettriche e sei o sette raffinerie di petrolio, comprese quelle già
chiuse, collocate in aree strategiche del Paese e già dotate di infrastrutture di servizio di straordinario valore.
Un valore patrimoniale così alto, realizzato in grossa parte con finanziamenti pubblici negli anni '70-80, non
può essere lasciato abbandonato a se stesso e alla semplicistica e spesso miope ottica delle imprese titolari.
Va assolutamente, a livello governativo, riprogrammato il miglior uso di questi siti. Sempre in tema di energia,
ma sul lato delle fonti rinnovabili è, come già detto altre volte, opportuna e necessaria una scelta ragionata su
cosa mandare avanti. Si ripetono continuamente disastri idrogeologici.
Occorrono miliardi di euro per la messa in sicurezza, ma, vista la situazione delle casse dello Stato, l'impresa
appare quasi impossibile da realizzare. Anche qui sarebbe opportuno copiare e ispirarsi ai modelli che altri
hanno attuato. Nella stessa Italia, in Trentino Alto Adige e nelle Marche, esistono esempi di buona pratica
gestionale del territorio. Replichiamoli ed incentiviamo il privato ad applicarli, sburocratizzando il sistema,
semplificando i permessi, riducendo il potere ostativo degli enti (consorzi bonifica, comunità montane...).
Abbiamo già parlato in questa sede di un'impresa, la Loccioni, che dalla bonifica del fiume, con alcuni
accorgimenti, ha tratto benefici, domandone l'irruenza nei periodi di piena, che divengono un valore anche
energetico.
Il tutto a costo zero per le casse pubbliche. Il dedalo intricato di percorsi burocratici per ottenere il nulla osta,
che spesso sfocia in un diniego, smentisce il dichiarato parere favorevole di tutti. Pratiche di questo tipo
porterebbero sicuro giovamento alle casse dello Stato e benessere alle comunità che le sviluppano. Sono
stati redatti moltissimi conti economici favorevoli a queste modalità. Per le biomasse tra gli altri si distinguono
il Centro Biomasse dell'Università di Perugia che ha studiato diverse soluzioni, così come la struttura
regionale Veneto Agricoltura che è in grado di consigliare gli agricoltori a piantumare le specie vegetali
"energetiche" più adatte al territorio dove vivono. Questa è l'energia a chilometro zero, energia italiana,
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Lettere Commenti & Idee LINEA DI CONFINE
01/12/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 29
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energia pulita.
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29/11/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 2
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L'esperto: "Nessuna paura, il nesso è solo temporale e il farmaco è
incolpevole"
ROMA «Se dieci milioni di persone anziane e con problemi di salute si vaccinano, è statisticamente scontato
che si verifichi qualche decesso anche a stretto giro, ma di certo è pura casualità». Michele Conversano, past
president del Siti, la società di igiene e prevenzione, è certo della sicurezza degli anti influenzali, testati per
essere assunti anche con altri medicinali. Lo è meno sui cocktail di normali farmaci, che guarda caso
avevano assunto alcuni degli anziani deceduti dopo essersi immunizzati. I decessi a seguito di vaccinazione
anti influenzale si moltiplicano. Sicuri che non esiste un nesso tra le due cose? «Il nesso è solo temporale.
Casuale anziché causale. Il vaccino anti influenzale lo fanno soprattutto anziani e persone fragili. Su circa 10
milioni di immunizzati con problemi di salute è nella statistica che si possa verificare qualche decesso. Se
andassimo a vedere quante persone muoiono dopo aver preso l'aspirina ne conteremmo di più, ma non certo
per colpa di quel farmaco». Gli anziani deceduti assumevano anche molti altri medicinali. Può essere questa
la causa? «I vaccini contro l'influenza, prima di essere autorizzati dalle autorità competenti, sono testati
proprio per essere somministrati insieme ad altri medicinali». Allora i decessi possono essere causati dal
cocktail di altri farmaci? «Posso solo dire che per i medicinali questi studi sulla loro somministrazione
contestuale non si fanno. Ma i vaccini sono sicuri e quello contro l'influenza salva solo in Italia migliaia di vite
umane ogni anno. Su oltre 100 milioni di dosi somministrate nel mondo non si è mai avuto un decesso
correlabile all'immunizzazione». Allora l'Aifa ha fatto male a porre il divieto su quei lotti? «Al contrario, ha fatto
benissimo perché di fronte ad eventi avversi è sempre meglio cautelarsi. Ma stiamo attenti a non trasformare
un fatto positivo, ossia il buon funzionamento della farmacovigilanza in Italia, nella fuga dalle vaccinazioni».
Foto: Michele Conversano
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Intervista
29/11/2014
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Pag. 6
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Lo sfogo con gli onorevoli "Voi non vi fidate più di me"
FRANCESCA SCHIANCHI ROMA
Prima di andarsene, il deputato Marco Baldassarre lo guarda negli occhi: «Tanto, Beppe, lo so che i prossimi
espulsi saremo noi...». Intendendo con quel «noi» la pattuglia che giovedì sera, a espulsioni «fresche» di
Artini e della Pinna, si sono presentati lì, al cancello di casa Grillo, a Marina di Bibbona, dove già un drappello
di attivisti stava manifestando. Prima Samuele Segoni, poi Baldassarre, Massimo Artini, Federica Daga,
Tatiana Basilio, Gianluca Rizzo e Silvia Benedetti. Una breve trattativa telefonica («sono molto stanco»,
ripete il capo politico del M5S; «ma noi siamo venuti apposta da Roma per parlarti», insistono, tanto più che
già da due giorni lo cercano per chiedergli un incontro) e lui apre il cancello. Restano in piedi, nel giardino,
per oltre un'ora. «Abbiamo incontrato un muro», sospira Baldassarre, «così non va, il M5s non è più quello di
qualche anno fa». Spiegano i loro malesseri, le cose che, ripetono, non vanno. A partire da quelle espulsioni
arrivate improvvise: «Sul blog sono state scritte su di me cose false. Così mi rovinate la reputazione», dice
Artini (tanto che ieri ha promesso querele, anche per alcuni colleghi). E si imbufalisce quando Grillo gli dice
che «in fondo rimani in Parlamento»: «Ma cosa mi interessa? Io ci sono entrato perché credo nel progetto del
M5S!», clima surriscaldato anche dalla frase di Baldassarre: «Massimo, dai, tu sei stato espulso perché il
M5S non è più il M5S!». «Così mi offendi!», sbotta Grillo nel racconto dei parlamentari presenti, «ma non vi
fidate più di me?». «Sì che ci fidiamo, proprio per questo siamo qui!». Un dialogo fra sordi, lo descrivono i
parlamentari l'indomani. «Va tutto bene», insiste Grillo, «va tutto bene», sono andate bene le Regionali, e
sottolinea, riportano i deputati presenti, vanno bene gli accessi al blog. Considerazione che Artini ieri, a «Otto
e mezzo», ha interpretato facendo un'accusa pesante, sostenendo che «l'obiettivo è mantenere quel tipo di
capacità di flussi» sul blog. Dopo un'ora e mezzo, Grillo li congeda. Prima di salutarli, l'annuncio: «Domani
(ieri, ndr.) ci saranno novità». Senza dettagliare di più: scopriranno solo l'indomani, dal blog, che si tratta della
nomina del nuovo direttorio.
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Retroscena
29/11/2014
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Pag. 10
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"L'Ue doveva aprirsi anche verso Sud Ora subisce le crisi"
Prodi: in Africa e Medio Oriente con le guerre non si è risolto nulla
ALBERTO SIMONI
L'errore è stato quello di agire senza prevedere le conseguenze; come se la storia recente non avesse
insegnato a guardare oltre la contingenza e il momento: «Prendete Iraq, Siria, Afghanistan, non mi pare che
le guerre abbiano portato a situazioni migliori rispetto allo scenario pre bellico». Romano Prodi guarda la Libia
e non si stupisce che il Paese che fu di Gheddafi sia caduto in una spirale di conflitto, laici contro islamisti e la
bandiera Isis che sventola a Derna. L'ex presidente della commissione europea che oggi sarà a Torino per
celebrare Cuamm (Medici con l'Africa), il progetto «Prima le mamme e i bambini» e «il loro straordinario
lavoro», è stato fino alla scorsa primavera l'inviato Onu per il Sahel: la guerra in Mali, il Nord Africa che si
disgrega, il terrorismo islamico sono stati nella sua agenda. Così come l'Africa, stretta fra l'incubo Ebola, e la
corsa allo sviluppo. Professore, sono stati inglesi e francesi a sganciare le prime bombe sulla Libia, tocca ora
agli europei porvi rimedio? Questa in fondo è anche la richiesta che viene da Tripoli. Siamo in grado?
«Purtroppo quella guerra è iniziata senza che vi fosse una riflessione sulle conseguenze e ora siamo arrivati
a questo punto. Dicevo in passato e lo ripeto ancora oggi: quando si ha una situazione di anarchia bisogna
dialogare e trattare con tutti. È vero, principio sacrosanto in teoria, che si tratta con i governi o i poteri
legittimi, ma oggi è necessario parlare con tutti i protagonisti. Ho sempre creduto che ci fosse spazio, per gli
europei, per un dialogo con tutti e lo penso ancora oggi. Non si può rimanere attaccati a principi dottrinali,
occorre invece un'attenta e severa analisi dei fatti». Libia, per l'Europa e per l'Italia in particolare, significa
immigrazione e carrette del mare stracolme di disperati in fuga. L'Italia c'è in questa sfida, pensiamo a Mare
Nostrum, ma l'Europa? «Dieci anni fa, quando ero presidente della Commissione Europea, mi
rimproveravano di non avere una politica verso il Sud. Allora l'urgenza era colmare il vuoto a Est causato dal
crollo della cortina di ferro. Ma l'intenzione di tutti era che poi avremmo realizzato politiche per il Sud. Io
avevo proposto una banca del Mediterraneo, un'università mista per mettere insieme Nord e Sud. Erano
progetti che creavano un rapporto con il Sud, lo integravano, una cosa dal basso. Ma alcuni paesi della Ue si
opposero. Oggi bisogna destinare risorse alla politica verso il Mediterraneo che dev'essere di ampio respiro e
non intaccata da logiche o atteggiamenti legati al passato coloniale». Il 2014 per l'Africa occidentale significa
anche Ebola. Gli Usa hanno mandato l'esercito, i grandi donatori sono i Paesi europei. E la Cina si è ritagliata
un posto di primissimo piano. Cosa cambia per gli equilibri continentali questo attivismo nel nome del
realismo di Pechino? «Anzitutto la Cina ha bisogno dell'Africa, lì cerca le cose che le servono: cibo, energia e
materie prime. Inoltre per altri 20 anni la Cina sarà l'unico Paese in grado di esportare uomini, beni, capitali e
tecnologia. E questo grazie a una politica organica, un sistema. Pensi che su 54 Stati africani ben 50 hanno
relazioni diplomatiche con la Cina. La politica è anche diplomazia, è capacità di creare reti. In questo l'Europa
è indietro, ha un gap fortissimo. Non è riuscita a cogliere la dimensione della sfida». Perché? «È rimasta
prigioniera della paura. Certo la Ue ha fatto grandi cose, ha dato speranze. Poi quella spinta si è esaurita,
ancor prima della crisi economica del 2008 che ha trasformato la paura in panico. Una sorta di crisi d'identità.
Ma non è così che si fermano i populismi. Ecco direi che oggi alla Ue manca l'Europa, l'idea stessa di quel
che vuole essere». Obama ha parlato di Ebola come di una questione di sicurezza nazionale, coglie un
legame anche lei, Professore, fra epidemie e sicurezza? «Le malattie si vincono solo con battaglie politiche,
economiche e diplomatiche. Bisogna spendere e investire risorse per trovare vaccini e creare reti di
protezione e di prevenzione. Questo significa garantire sicurezza. Sono battaglie che tutti devono
combattere». Il G8 ha sempre fatto grandi richiami all'Africa, alla lotta alle malattie e alla povertà. Non basta?
«Ho partecipato a dieci G8, abbiamo sempre fatto promesse, ma ne abbiamo mantenute solo una parte». Le
Ong che ruolo hanno in questa lotta che sembra impari con le epidemie? «Il volontariato è fondamentale ma
le sfide come l'Ebola si vincono a livello più alto, politico». Libia, Mali, Ebola, le guerre tribali e per le risorse,
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Intervista
29/11/2014
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Pag. 10
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penso al Congo. Eppure l'Africa sta conoscendo anche cambiamento, risveglio economico... «Non lo
chiamerei risveglio...». Non lo è un Continente che cresce del 5%? «Certo che cresce, e bene, ma il suo
Prodotto Interno lordo ha la stessa quota del prodotto lordo mondiale che aveva nel 1980. Questo ci dice
quanto è stata tragica negli ultimi decenni la situazione del Continente che resta ancora in condizioni di
povertà drammatiche. Però è vero che c'è un fermento positivo e una gioventù nuova. Non è un rinascimento,
ma l'Africa sta crescendo». E dove guarda quella gioventù, quali modelli di riferimento segue? «Per la mia
esperienza direi che non segue nessun modello. Una volta era l'Europa, ma oggi se in Angola arrivano più
portoghesi rispetto a quanti angolani migrano in Portogallo, evidentemente il modello di crisi europea è
giunto, e forte, anche a quelle latitudini».
Dieci anni fa avevo proposto una banca del Mediterraneo Ma Bruxelles è prigioniera della paura, e i
populismi dilagano
La Cina in Africa ha creato una rete capillare. L'Europa è indietro. E il G8 non ha mantenuto le promesse
Romano Prodi Inviato speciale dell'Onu per il Sahel
Foto: STRINGER /REUTERS
Foto: Un barcone di immigrati in partenza dalla Libia: l'implosione del Paese dopo l'intervento Nato ha
peggiorato la situazione
29/11/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 21
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Padoan sollevato: "Riconosciuto il nostro sforzo"
PAOLO BARONI ROMA
Cosa dice l'Europa all'Italia? «Non sprecate l'occasione», risponde il ministro dell'Economia Pier Carlo
Padoan, che da giorni ormai aveva in tasca il via libera, per quanto condizionato, alla nostra legge di bilancio,
e che ieri mattina ha giocato d'anticipo rispetto all'annuncio arrivato qualche ora dopo da Bruxelles. « L a va l
u t a z i o n e d e l l a Commissione europea contiene un riconoscimento ai progressi compiuti dall'Italia nello
sforzo di modernizzazione, ma anche uno stimolo ad accelerare il programma di riforme intrapreso con
coraggio e determinazione per recuperare la competitività del nostro sistema produttivo - certifica più tardi
una nota diffusa dal T e s o r o - . L'Italia proseguirà in questa direzione anc h e at t raverso il piano di
privatizzazioni, cui è affidato il compito di contribuire alla riduzione del debito pubblico e di migliorare
l'efficienza dei mercati». Quindi il ministero, oltre a sottolineare che la procedura d'infrazione annunciata lo
scorso luglio dalla Commissione non verrà avviata, ribadisce che «la politica economica del governo è
orientata a rilanciare la crescita e l'occupazione. Nell'ampio quadro degli interventi in questa direzione, la
legge di stabilità 2015 persegue congiuntamente tre obiettivi: lo stimolo all'economia, prevalentemente
attraverso la riduzione delle tasse, in particolare quelle sul lavoro; il finanziamento delle riforme strutturali
affinché siano concretamente perseguibili e socialmente sostenibili; il controllo dei conti pubblici, perseguito
attraverso il miglioramento della composizione della spesa e con l'obiettivo di ridurre il debito». Secondo
Padoan, col giudizio di ieri, Bruxelles ha riconosciuto all'Italia sia «circostanze eccezionali in termini negativi
di recessione per il paese, ma anche circostante positive, cioè l'agenda delle r i fo r m e s t r u t t u ra l i c h e
s i stanno mettendo in moto. Un programma di riforme che serve all'Italia ma anche all'Europa». E questo fa
dire a Padoan che «sono maturi i tempi per un cambiamento di strategia e del modo di vedere gli strumenti e
le politiche economiche in Europa». Per il ministro dell'Economia ci sono due alternative, tra cui scegliere:
«Continuare a vivacchiare», oppure decidere che occorre «mettersi su un sentiero diverso». Ed è quello che
l'Italia sta cercando di fare, con un pacchetto di ben 110 norme all'esame delle camere in queste settimane.
«Dalla Ue - commenta a sua volta il s o t t o s e g re t a r i o a l l ' E c o n o m i a , E n r i c o Z a netti - sulla
legge d i s t a b i l i t à non è arrivata una promozione a tempo, ma una promozione piena che vedrà a marzo
un secondo momento di indagine. Ma visto che la legge si stabilità che stiamo discutendo in Parlamento non
sarà snaturata, ma anzi verrà migliorata, sono certo che anche il secondo giudizio sarà positivo». E a
proposito di stabilità proprio ieri il governo ha posto la questione di fiducia: tre voti distinti sui tre articoli che
compongono la legge, che fanno salire a quota 32 il numero delle fiducie chieste dal governo. Le votazioni
inizieranno oggi alle 17 e saranno completate entro domani. La minoranza Pd ha già fatto sapere che voterà
a favore.
32
voti di fiducia I tre annunciati ieri sulla legge di Stabilità (uno per articolo) portano a 32 i voti di fiducia posti da
Renzi
Foto: Stabilità Il ministro dell'economia Pier Carlo Padoan: la legge di Stabilità, che porta la sua firma, ha
schivato la bocciatura a Bruxelles
Foto: ANSA
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il caso
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Disoccupazione mai così alta
Il 13,2 per cento non è il dato peggiore dal 1977, ma di tutta la nostra storia
LUCA RICOLFI
Èincredibile, la capacità dei governanti di manipolare i fatti pur di non dirci come vanno le cose. Negli ultimi
giorni l'Istat ha fornito i dati sulle forze di lavoro nel terzo trimestre, e ha anticipato i dati provvisori di ottobre.
Dati drammatici, ad avere il coraggio di guardarli in faccia. E invece no, immediatamente dopo la diffusione
delle cifre Istat si è scatenata la corsa a travisarli. E' così che abbiamo appreso che i dati trimestrali dell'Istat
ci presentano «una sostanziale e progressiva crescita degli occupati nell'ultimo anno», quantificata in 122
mila occupati in più. E che anche l'incremento della disoccupazione, pari a 166 mila disoccupati in più, non ci
deve preoccupare perché «va messo in relazione alla crescita del numero di persone che cercano lavoro».
Giovannini e Pinna ALLE PAGINE 2 E 3 Come dire: se aumenta il tasso di disoccupazione è perché la gente
è m e n o s c o r a g g i a t a e «più persone tornano a cercare lavoro». Sui trucchi usati per manipolare i fatti
non vale neppure la pena soffermarsi, tanto sono ingenui e vecchi (alcuni li insegniamo all'università, sotto il
titolo «come si fa una cattiva ricerca»). Sui fatti, invece, è il caso di riflettere un po'. Occupati in termini reali
Primo fatto: l'occupazione in termini reali sta diminuendo. Che cos'è l'occupazione in termini reali? E' la
quantità di occupati al netto della cassa integrazione. S e, per evitare le distorsioni della stagionalità,
confrontiamo l'ultimo dato d i s p o n i b i l e ( o t t o b re 2 0 14 ) co n quello di 12 mesi prima (ottobre 2013),
la situazione è questa: gli occupati nominali (comprensivi d e i c a s s i n t e g rat i ) s o n o r i m a s t i
praticamente invariati (l'Istat forn i s ce u n a d i m i n u z i o n e d i 1 0 0 0 unità), le ore di cassa integrazione
sono aumentate in una misura che corrisponde a circa 140 mila posti di lavoro bruciati. Dunque negli ultimi 12
mesi l'occupazione reale è diminuita. Apparentemente la diminuzione è di circa 140 mila unità, ma si tratta di
una valutazione ancora eccessivamente ottimistica: gli ultimi dati Istat, relativi al terzo trimestre 2014,
mostrano che, sul totale degli occupati, si stanno riducendo sia la quota di lavoratori a tempo pieno sia la
quota di lavoratori italiani. Il che, tradotto in termini concreti, significa che aumentano sia il peso dei posti di
lavoro part-time «involontari» (donne che lavorano poche ore, ma non per scelta) sia il peso dei posti di
lavoro di bassa qualità, tipicamente destinati agli immigrati. I senza lavoro Secondo fatto: la disoccupazione
sta aumentando. I disoccupati erano 3 milioni e 124 mila nell'ottobre del 2013, sono saliti a 3 milioni e 410
mila nell'ottobre del 2014. L'aumento è di ben 286 mila unità, di cui 130 mila nei 4 mesi del governo Letta, e
156 mila negli 8 mesi del governo Renzi. La spiegazione secondo cui l'aumento sarebbe dovuto a una
maggiore fiducia, che farebbe diminuire il numero di lavoratori scoraggiati, riprende una vecchia teoria degli
Anni 60 ma è incompatibile con i meccanismi attuali del mercato del lavoro italiano, che mostrano con molta
nitidezza precisamente quel che suggerisce il senso comune: gli aumenti di disoccupazione dipendono dal
peggioramento, e non dal miglioramento, delle condizioni del mercato del lavoro. Sulla disoccupazione,
tuttavia, ci sarebbe qualcosa da aggiungere. In questi giorni sentiamo ripetere, dai giornali e dalle tv, che il
tasso di disoccupazione non solo è ulteriormente aumentato rispetto a 12 mesi fa (1 punto in più), non solo è
molto alto in assoluto (13,2%), non solo è fra i più alti dell'Eurozona, ma sarebbe anche il più alto degli ultimi
37 anni, ossia dal 1977. Idatidel 1977 Ebbene, anche questa, già di per sé una notizia drammatica, detta così
ancora troppo ottimistica. Se dici che siamo al massimo storico dal 1977, o che «siamo tornati al 1977»,
qualcuno potrebbe supporre che nel 1977 il tasso di disoccupazione italiano fosse più alto di oggi, o
perlomeno fosse altrettanto alto. Non è così. Nel 1977 il tasso di disoccupazione era molto minore rispetto ad
oggi (7,2% contro 13,2%). La ragione per cui si continua a parlare del 1977 come una sorta di spartiacque è
che la serie storica dell'Istat con cui attualmente lavoriamo parte dal 1977. Ma questo non significa che sugli
anni prima del 1977 non si sappia niente. Prima del 1977 c'era la vecchia serie 1959-1976. E prima ancora
c'erano i dati del collocamento, della Cassa nazionale per le assicurazioni sociali, dei censimenti demografici,
a partire da quello del 1861, anno dell'unità d'Italia. Tutte fonti meno sofisticate di quelle di oggi, ma sufficienti
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Una rilettura dell'ultima statistica Istat sul numero dei posti di lavoro al netto della cassa integrazione
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a darci un'idea degli ordini di grandezza. Mi sono preso la briga di controllare queste fonti, nonché i notevoli
lavori che sono stati pubblicati sui livelli di disoccupazione dal 1861 a oggi e la conclusione è tragica.
Unitàd'Italia edopoguerra Mai, nella storia d'Italia, il tasso di disoccupazione è stato ai livelli di oggi. Altroché
1977. La disoccupazione era più bassa di oggi anche nel periodo 1959-1976, per cui abbiamo una serie
storica Istat. Era più bassa anche negli anni della ricostruzione, dal 1946 al 1958. Ed era più bassa durante il
fascismo, persino negli anni dopo la crisi del 1929. Quanto al periodo che va dall'unità d'Italia all'epoca
giolittiana, è difficile fare paragoni con l'oggi, se non altro perché è proprio allora che prende lentamente
forma il concetto moderno di disoccupazione, ma basta un'occhiata ai censimenti e agli studi che li hanno
analizzati (splendidi quelli di Manfredi Alberti, borsista Istat) per rendersi conto che, comunque si definisca il
fenomeno, siamo sempre abbondantemente al di sotto dei livelli attuali. IlgovernoRenzi Di tutto questo Renzi
e i suoi non hanno nessunissima colpa. Il legno storto del mercato del lavoro non si raddrizza in pochi mesi, e
forse neppure in parecchi anni. Quel che dispiace, però, è che anche le nostre giovani marmotte, giunte al
potere, si arrampichino sugli specchi come tutti gli anziani paperi che le hanno precedute. Come cittadino,
preferirei un governo che, sull'occupazione e la disoccupazione, ci dicesse la verità, e mostrasse con i fatti,
non con le parole, di aver capito il dramma del lavoro in Italia. Quel che vedo, invece, è un ceto politico che
irride i sindacati, si èmostrato del tutto inadeguato sul progetto europeo «Garanzia giovani», stanzia
pochissimi soldi per ridurre il costo del lavoro (1,9 miliardi nel 2015), mentre ne stanzia tantissimi sul bonus
da 80 euro, misura meravigliosa ma che premia solo chi un lavoro già ce l'ha. Il guaio, purtroppo, è sempre
quello. In Italia la sinistra, oggi come ieri, protegge innanzitutto i lavoratori già garantiti. La destra ha da
sempre un occhio di riguardo per i lavoratori autonomi. Quanto a tutti gli altri, precari, lavoratori in nero,
giovani e donne fuori dal mercato del lavoro, nessuno se ne preoccupa sul serio, e meno che mai i sindacati.
Fino a quando?
286
mila
156
mila È il numero di disoccupati in più nei primi otto mesi del governo Renzi
3,4
milioni È il numero di disoccupati a ottobre: sono 286 mila in più rispetto a un anno fa
140.000
posti bruciati È il numero di occupati in meno rispetto un anno fa al netto dei cassintegrati
In rivolta Crescono in tutta Italia proteste e scioperi contro il precariato e la disoccupazione
I numeri chiave Fonte: Elaborazione I disoccupati in ItaliaPICCHI DI DISOCCUPAZIONE
- LA STAMPA Fonte: Istat, l'Italia in 150 anni
7,2%
nel 1977 Era la percentuale dei disoccupati, molto meno rispetto al dato di ottobre
Manifestazioni e scioperi CgileUilinpiazzaperl'agroalimentare, laCislperilpubblicoimpiego n Oggi la
Cgil e la Uil manifestano a Roma per il settore agroalimentare mentre per domani la Cisl ha indetto uno
sciopero del pubblico impiego. La manifestazione nazionale organizzata da Flai-Cgil e Uila-Uil a Roma ha per
slogan «Agroalimentare, il lavoro che vogliamo». L'appuntamento è a piazza della Repubblica alle ore 12 per
arrivare a piazza Santi Apostoli dove si terrà il comizio finale. Interverranno Stefano Mantegazza, segretario
generale Uila e Susanna Camusso, segretario generale Cgil. Invece domani sciopereranno i lavoratori delle
sei categorie del lavoro pubblico iscritti alla Cisl. Lo stop, proclamato per l'intera giornata, interesserà sia i
lavoratori pubblici (dalla sanità alla scuola, dalle amministrazioni locali all'università) sia i lavoratori privati che
lavorano per i servizi pubblici. Saranno organizzati presidi davanti a prefetture, Asl e municipi. A Roma la
protesta si raccoglierà a piazza Monte Citorio, dove è prevista anche la partecipazione del segretario
generale della Cisl, Annamaria Furlan. «Io sciopero per il mio contratto» è lo slogan di questa agitazione. A
dicembre poi ci sarà lo scipero generale di Cgil e Uil contro la Legge di Stabilità e il Jobs Act.
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La disoccupazione nella Ue UE18 Grecia Spagna ITALIA Francia Portogallo Finlandia Paesi Bassi Regno
Unito Germania Tasso % su tutta la forza lavoro (settembre 2014) Tasso % giovanile (under 25)
- LA STAMPA
1,9
miliardi di euro I soldi per Garanzia giovani, molti meno rispetto alla misura del bonus da 80 euro
Foto: FILIPPO MONTEFORTE/AFP
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"Ora l'Europa studia la clausola di flessibilità per i Paesi in crisi"
Il numero due della Commissione Dombrovskis: "Però è impossibile rinegoziare i Trattati" IL VERO
PROBLEMA Per l'Italia il deficit è sotto controllo Ma per il debito serve la crescita «Non è punire gli Stati ma
aiutarli a fare le riforme strutturali» GLI INVESTIMENTI Può separarli dai bilanci pubblici solo chi ha già i conti
in ordine
MARCO ZATTERIN
CORRISPONDENTE DA BRUXELLES Stiamo studiando come utilizzare in modo più ampio la "clausola della
flessibilità"», assicura Valdis Dombrovskis. E' un passo su un terreno minato, perché la possibilità di un minor
dogmatismo nell'applicazione delle regole fiscali raccoglie scarso consenso nella capitali del Nord e nessuno
intende modificare i Trattati. «E' uno strumento che fa parte dei nostri ragionamenti», assicura il
vicepresidente della Commissione Ue con la delega all'euro. Può creare margini di spesa per i virtuosi, però
«il discorso non implica in alcun modo la Golden Rule (la possibilità di scomputo degli investimenti produttivi,
ndr) che, chiaramente, non è in linea con il Patto di Stabilità». Lèttone con origini polacche, 44 anni fra poco
più di un mese, popolare, premier a Riga dal 2009 al gennaio scorso, Dombrovskis è stato scelto dal
presidente Juncker per coordinare la riforme della governance economica Ue. Ammette che sarà dura però,
nella prima intervista da commissario a un giornale italiano, confessa di contare sul clima economico che si fa
più sereno. «Il 2014 è stato più debole di quanto si attendeva riassume -, però il 2015 dovrebbe crescere più
rapidamente. Da che c'è stata la crisi non si era visto un Pil positivo in tutti gli Stati dell'Ue. Il rapporto medio
fra deficit e Pil Eurozona dovrebbe calare al 2,6%, non per il rigore, ma grazie alla ripresa. La triangolazione
fra investimenti, riforme, responsabilità fiscale dovrebbe permetterci di rialzare la testa». Però non tutti sono
in regola. «Sette Paesi rischiano di non rispettare il Patto di stabilità nel 2015, e i tre che vanno peggio sono
Italia, Francia, Belgio. Ci hanno mandato lettere con chiarimenti e impegni sui programmi e abbiamo deciso di
dar loro più tempo per risolvere i problemi di bilancio. Li valuteremo in marzo. Sui dati effettivi e non sulle
stime». E' un passo sulla strada della flessibilità promessa? «La Commissione è più politica e agisce di
conseguenza». Pensate anche all'applicazione della Golden Rule? «Il Patto di Stabilità non la prevede. Si
può anche pretendere che una parte della spesa non sia spesa, ma ciò non impedisce che generi debito e
che questo vada rifinanziato. Dal punto di vista legislativo, per fare qualcosa in tal senso bisognerebbe
rivedere i Trattati, il che non fa parte dei programmi». E la clausola di investimento? «Quella esiste già nel
Patto. Ma è più ristretta di quanto si sente dire. Se uno Stato propone investimenti che hanno un chiaro
effetto per le finanze pubbliche, allora si può deviare temporaneamente dagli obiettivi sulla base del
presupposto che questo progetto possa finanziare la correzione negli anni successivi. Vale solo per i Paesi
che sono nel braccio preventivo del Patto. Devi avere i conti a posto». Avete deciso di rinviare la valutazione
dell'Italia a marzo. Giudizio più politico che eco- nomico, no? «Il problema non è il deficit che dovrebbe
rispettare il 3% del Pil nel 2015, bensì la tendenza del debito, se dunque sarà necessaria o meno una
procedura per debito eccessivo. L'andamento del debito è legato al potenziale di crescita. Per questo l'enfasi
è forte sulle riforme strutturali che possono accelerare la ripresa e riequilibrare il corso delle finanze
pubbliche». Basta correggere il disavanzo strutturale di 0,3 punti di Pil come promette il governo? «E' un dato
che al momento attuale non è il linea con il Patto di stabilità. Tuttavia crediamo di dover dare all'Italia, come
ad altri, il t e m p o p e r fa r partire le riforme. La Commissione s'è appena insediata, la priorità non è punire i
Paesi, quanto lavorare con loro per vedere se c'è un vero impegno a effettuare interventi strutturali. Se
vediamo che il governo italiano ha la volontà di procedere, certo anche noi siamo pronti ad aiutarlo perché
raggiunga i suoi obiettivi». Quali le riforme principali? «Le priorità sono mercato del l avo ro, f u n z i o n a m e
n t o d e i servizi, apertura delle professioni, e tutto ciò che può rafforzare la competitività dell'economia.
L'agenda presentata da Renzi va sulla giusta strada».
Foto: Ex premier Valdis Dombrovskis è un politico lèttone
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Foto: OLIVIER HOSLET/ANSA
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"Resto autonomista Ma le emergenze ora sono altre"
La Russia di Putin È fondamentale, l'unico baluardo contro l'estremismo islamico
DALL'INVIATO A LIONE [ALB. MAT.]
Salvini, madame Le Pen dice che lei la manda in estasi. «Orpo! Mi fa piacere. Io la ammiro». Però il partito di
Marine si chiama Front national e la Lega non è per niente nazionale... «Io sono venuto qui anche per dire
che noi siamo e restiamo autonomisti e federalisti. Però le emergenze adesso sono altre». Quali? «Le
emergenze si chiamano immigrazione, euro, lavoro, burocrazia». Peggio Hollande o Renzi? «Come chiedere
se è peggio Pisapia o Marino: pessimi entrambi». E tra Juncker o Barroso, chi è peggio? «Alla fine, credo che
sarà peggio Juncker, che è un concentrato di tutto quel che detestiamo di quest'Europa». Gli ungheresi non
sono pervenuti. Cosa pensa dell'impresentabile premier Orban? «Che lo vorrei in Italia» Perché? «Perché ha
avuto il coraggio di dire no a Bruxelles, ha dimezzato le tasse, ha una crescita record. Avercene, di
impresentabili così». Madame Le Pen proclama che la sua Europa va dall'Atlantico agli Urali e non da
Washington a Bruxelles. È d'accordo? «Certamente. La Russia è fondamentale, il principale baluardo contro
l'estremismo islamico. E un grande mercato per le nostre imprese che le sanzioni idiote di Bruxelles ci stanno
facendo perdere. Ci sono già costate 5 milioni di euro. L'Ue è peggio dell'Urss». Una domanda di politique
politicienne italiana le tocca. Berlusconi lancia Amato per il Quirinale. Che ne dice? «Che è l'ultimo uomo che
voterei sulla faccia della Terra. Anzi, non lo voterei nemmeno se fosse l'ultimo» Perché? «Credo che abbia
una lauta pensione. E allora se la goda».
Foto: Matteo Salvini
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Le interviste Matteo Salvini
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"L'energia di Matteo mi manda in estasi Renzi è come Sarkò"
DALL'INVIATO A LIONE [ALB. MAT]
Madame Le Pen, è contenta che Matteo Salvini parli al suo congresso? «Ne sono felice. È un uomo
estremamente coraggioso che ha dato una svolta nazionale al suo partito. Era al 4 per cento, adesso è
accreditato del 20. Mi sembra una crescita spettacolare che si spiega soltanto con la sua incredibile capacità
di lavoro. Le dirò di più: la sua energia mi manda in estasi». Addirittura. Ma lei crede che potrà diventare
primo ministro? «E perché no? Quest'altro Matteo le qualità per diventare primo ministro le ha tutte». E il
Matteo numero uno? «Renzi è come Sarkozy. Gente che ha solo un gran talento oratorio. Un talento che
mette al servizio della menzogna politica». Fra Renzi e Hollande chi è peggio? «C'è ben poca differenza.
Sono entrambi due prefetti dell'Unione europea». In che senso? «Ogni mattina ricevono da Bruxelles i loro
piccoli ordini che devono eseguire prima di andare a letto. O recuperiamo la nostra sovranità nazionale o
saremo spacciati. E non i francesi o gli italiani o i tedeschi: tutti gli europei». In Europa meglio Barroso o
Juncker? «Sono uno peggio dell'altro. Non avverto nessuna differenza. E del resto sono stati votati dagli
stessi partiti, destra e sinistra insieme. Come al solito». Lei all'Europarlamento ha votato la mozione di
sfiducia dell'Ukip inglese e dei grillini... «Noi non siamo settari. Non hanno voluto fare gruppo con noi,
d'accordo, ma se prendono iniziative su cui siamo d'accordo non abbiamo problemi ad appoggiarle». Oggi da
Lione parte una nuova destra? «Io spero che da Lione parta una nuova Europa».
Il premier italiano Ha solo un gran talento oratorio che mette al servizio della menzogna Marine Le Pen
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Le interviste Marine Le Pen
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Molinari: "Così diventiamo un partito Tradita la nostra anima
movimentista"
Rivolta tra i grillini. Il senatore: "Il nuovo direttorio è vietato dallo statuto" «Tutte le nostre cariche ruotano
perché vogliamo evitare il poltronismo» «Voglio ben sperare che i cinque nominati non ne sapessero nulla...»
[F. MAE.]
Se il gruppo parlamentare del M5S alla Camera è in rivolta, anche al Senato ci sono i primi segnali di
insofferenza per via del direttorio dei cinque incaricato da Grillo di affiancarlo alla guida del Movimento.
Giuseppe Vacciano, tesoriere del gruppo, ha già annunciato le dimissioni. Lui, Francesco Molinari, è un
calabrese riflessivo. In passato molte cose non gli sono andate giù ma alla fine non s'è mai deciso a lasciare
il gruppo. «Questa cosa di nominare cinque persone per guidare tutti gli altri però è stata un fulmine a ciel
sereno». Lo è stata per molti. «Sì. E inoltre è una palese violazione dell'articolo quattro del non-statuto, quello
che vieta la mediazione di organismi direttivi o rappresentativi». Che farà, si opporrà al direttorio? «Ratifiche
non ne dobbiamo fare, non siamo più proprietari di niente. Io spero solo una cosa, che i cinque nominati non
ne sapessero niente prima della chiamata di Grillo. Altrimenti vorrebbe dire che hanno tenuto nascosta una
cosa così al resto del gruppo». La disturba che non ci sia neanche un senatore? «Credo sia stata una
decisione presa nello spirito giovanilistico che anima il Movimento. È poi il Senato è stato abolito, no?» Non
ancora. «Eh vabbé, lo sarà». Che fase sta attraversando il M5S? «È una fase molto critica perché non siamo
più quelli che eravamo, non le so dire come andrà a finire. Come tutte le fasi di trapasso possono essere
positive o mortali. Una certezza però c'è: con questo muore l'anima movimentista del M5S». Siete un partito
come gli altri? «Noi abbiamo questa cosa stupenda della turnazione. Eleggiamo ogni tre mesi dei capigruppo
che diventano portavoce di tutti. E lo facciamo per non fare del poltronismo, che è il sale della partitocrazia.
Ora lei mi spiega perché, se dovesse essere confermato, abbiamo cinque persone nominate senza una
scadenza?». Ce lo spieghi lei. «Ma noi di questo nuovo organismo non sappiamo niente. Dovrebbero essere
degli aiutanti di Grillo, a quanto ho capito. Ma non è stato chiarito né quali deleghe avranno né perché si sia
reso necessario nominare un direttivo quando è espressamente vietato». Che fa, si ribella anche lei?
«Guardi, sto attraversando una fase di profonda riflessione. Mercoledì sarò all'assemblea congiunta e voglio
ascoltarli quei cinque, sentire cosa hanno da dire, fargli delle domande, capire». E se quello che diranno non
le piacerà? «Vede, noi non siamo rappresentanti ma portavoce. Una volta che avrò ascoltato i cinque
nominati da Grillo mi rivolgerò alle persone che mi hanno mandato in Senato». Grillo e Casaleggio? «No. Gli
attivisti. Sono loro che mi hanno fatto vincere le primarie e insieme prenderemo le decisioni del caso». Pronto
ad andarsene? «Decidendo di passare sopra a un pezzo di non-statuto le condizioni sono cambiate. Non vale
solo per me ma per tutti. E quando si cambiano le condizioni in un contratto o questo si annulla o se ne
stipula un altro con delle nuove condizioni che siano vantaggiose per tutte le parti».
Foto: Francesco Molinari, senatore M5S
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30/11/2014
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Guerini: "Il Pd non ha un nome ma un metodo: il massimo consenso"
Il vicesegretario: non deve esserci nessun legame tra le riforme e l'elezione del Capo dello Stato
FRANCESCA SCHIANCHI ROMA
Sul passaggio del Jobs act al Senato «non prevedo particolari problemi». Sulle future elezioni del capo dello
Stato «non mi iscrivo al totonomi»: piuttosto, il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini si augura che «quando
sarà il momento», si possa realizzare «il più ampio consenso possibile». Di ritorno da Napoli, da una riunione
sulle primarie in Campania, diretto alla Camera per votare la fiducia al governo, il braccio destro del
segretario Renzi ragiona dei prossimi passaggi che aspettano il partito. A cominciare dal Jobs act. Prevede
problemi con la minoranza Pd al Senato, dove i vostri numeri sono risicati? «Non prevedo particolari
problemi, perché se stiamo al merito, il contenuto della delega ha recepito in maniera sostanziale il dibattito
interno del Pd. Dopodiché, alcuni colleghi alla Camera hanno fatto una scelta che rispetto ma non condivido,
mi sembra più legata a esigenze di posizionamento interno che al merito». Nella minoranza si parla di un
referendum tra gli iscritti sulle riforme... «Il referendum è previsto dal nostro Statuto. Anche se, francamente,
mi sembra che a questi temi abbiamo dedicato parecchi momenti di discussione, nei gruppi, in Direzione,
anche nei circoli e nelle feste dell'Unità. Tra l'altro, la minoranza Pd andrebbe declinata al plurale...». Tante
minoranze che potrebbero riservarvi sorprese sul voto per il Quirinale ? «Spero e penso di no. Quando
arriverà, sarà un passaggio di grande importanza, che vedrà nel Pd un atteggiamento responsabile. Anche
perché credo bruci ancora la ferita dei 101». Purché però, come vi ha chiesto il capogruppo Speranza,
adottiate un metodo di grande condivisione. «Quando sarà il momento, è chiaro che ci dovrà essere il
massimo coinvolgimento di tutti i grandi elettori del Pd». Berlusconi chiede che prima venga l'elezione del
Capo dello Stato, e poi le riforme. «Sul tema delle riforme siamo impegnati con una iniziativa del Pd per dare
al Paese una nuova legge elettorale e ridisegnare l'assetto istituzionale superando il bicameralismo perfetto e
ridefinendo il Titolo V. Sono provvedimenti incardinati che stanno andando avanti nel loro percorso senza
essere legati ad altri appuntamenti ad oggi non calendarizzati». Non calendarizzati ma già nel dibattito:
Berlusconi dice anche che voterebbe Amato. «Non mi iscrivo al totonomi, non mi sembra un esercizio
particolarmente utile. Noi abbiamo una linea chiara: il nome non ci interessa, non abbiamo il candidato del
Pd, ma ci interessa che, quando arriverà il momento, sul metodo e sul nome ci sia il più ampio consenso
possibile». Anche quello del M5S? È una buona notizia per voi il direttorio, un interlocutore chiaro? «Non
entro nelle questioni interne di un'altra forza politica. Constato solo che molti nodi dentro al M5S stanno
venendo al pettine. A noi comunque interessa confrontarci con tutti, su un passaggio di questo rilievo
costituzionale è bene che ci sia ampio consenso. Quindi bene se i gruppi dei Cinque stelle vorranno
confrontarsi con noi in maniera diversa dal passato, con rispetto reciproco. Ma si deve partire da lì: per avere
un ruolo in questi passaggi, è necessario sedersi a un tavolo, riconoscere gli altri e confrontarsi». In un
passaggio così delicato temete la litigiosità di Fi? «Ognuno si occupa della propria dialettica interna.
L'importante è che le dialettiche interne non siano ostacolo alla capacità di far procedere le cose». È vero che
state pensando di allargare il patto del Nazareno anche a Fitto? «Questa è materia che lascio ai
retroscenisti».
I 5 Stelle Un bene se vorranno confrontarsi con noi ma serve rispetto reciproco
Jobs Act Non prevedo particolari problemi all'interno del partito sulla delega Lorenzo Guerini
Foto: Democratici Il vice segretario del Partito Democratico Lorenzo Guerini si rifiuta di partecipare al
«totonomi»
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"La dittatura è tornata ma unirsi agli islamisti sarebbe ancora peggio"
L'attivista Raouf: nel 2011 abbiamo solo scalfito il regime
FRANCESCA PACI ROMA
Come si sente un egiziano di 37 anni che pur lavorando alla grande nel business non ha mancato una delle
tappe rivoluzionarie segnate al Cairo dal 2011 a oggi? Alfred Raouf ricorda periodi migliori: era a Tahrir nei 18
giorni che liquidarono Mubarak, al palazzo presidenziale di Heliopolis a fine 2012 contro il giogo dei Fratelli
Musulmani, alla testa di uno dei cortei oceanici del 30 giugno 2013 sfociati nella cacciata di Morsi e ancora in
piazza, nei mesi scorsi, per la libertà degli attivisti arrestati nel frattempo dal neo regime. Il proscioglimento di
Mubarak vi riporta al 2010? «La dittatura era già ricomparsa. Il verdetto non è un indicatore del ritorno al
passato, non più dell'arresto degli attivisti e del controllo totale riaffermato dal regime su giornali e tv. Oggi qui
ti puoi esprimere liberamente solo online». Col senno di poi, la deposizione di Morsi è stata un golpe? «Per
me no, in strada eravamo milioni. Potendo cambiare eviterei gli errori che hanno ridotto gli attivisti all'afasia,
non abbiamo saputo gestire il post 25 gennaio 2011 né il post 3 luglio 2013. Ma tornerei in piazza contro
Mubarak e contro Morsi». Se Mubarak è innocente chi è colpevole, la rivoluzione? «Con Mubarak sono stati
prosciolti il ministro dell'interno e i suoi assistenti. Chi ha ucciso allora i dimostranti? Abbiamo 2,5 megabite di
video in cui la polizia spara. Il punto è un altro. Molti dei ragazzi di Tahrir che ora tifano Sisi sono furiosi:
questo verdetto indigna tutti. C'è chi ipotizza che pure il governo mugugni e che i giudici, vero organo
dell'ancien regime, agiscano di testa propria. Mah. Di certo oggi il paese è meno stabile». Sei andato a Tahrir
ieri? «Perchè, dovevo? C'era poca gente, urlare a vuoto è inutile». Vedremo un'altra rivoluzione? «C'è fuoco
sotto la cenere. Nessuno è contento. La politica va male e l'economia peggio. Credo però che una seconda
rivoluzione sarebbe un disastro, noi attivisti non siamo pronti, il paese finirebbe in una situazione libica. Non
voglio questo regime ma temo che se Sisi fallisce nel risanare l'economia lo Stato Islamico dilagherà
ovunque». Il Califfato è frutto del 2011? «Il virus era già lì e dovremmo farci i conti comunque. Per questo
dico che oggi gli islamisti trovano un freno in Egitto e in Libia: se si sentissero vincenti anche qui
dilagherebbero». Alle strette, meglio il fascismo militare di quello religioso? «Con i Fratelli Musulmani non
sarebbe solo fascismo religioso ma militar-religioso, tipo Sudan. Hanno provato a controllare polizia, giudici,
servizi». Invidioso della Tunisia? «Temo che sia pur meno palesemente anche loro siano intrappolati nella
dialettica bloccata vecchio regime/islamisti. Alla fine è tra questi due poli che votano il presidente. Hanno una
buona Costituzione ma anche noi, tranne i tribunali militari. Il problema è applicarla». La rivoluzione è fallita?
«Abbiamo fallito nel rimuove il regime profondo limitandoci a scalfirne la patina. Ma le rivoluzioni impiegano
tempo, guardate quella arancione in Ucraina. Dubito che staremo meglio tra un anno, magari tra 5 sì. Oggi i
Fratelli Musulmani tornano a chiederci di unire le forze, io dico mai: a meno che non ammettano di averci
ingannato e chiariscano che Stato vorrebbero se il regime cadesse di nuovo».
I leader sfioriti di Piazza Tahrir Ahmed Maher Leader 34enne del gruppo 6 Aprile è in carcere da mesi per
una protesta non autorizzata Wael Ghonim Icona di Tahrir, il 33enne manager Google arrestato e poi liberato,
è tornato agli affari Asmaa Mahfouz La 29enne Premio Sakharov 2011, che postò il video blog «Tutti a
Tahrir», tace da tempo
Foto: Alfred Raouf, 37 anni, ingegnere e attivista
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Intervista
30/11/2014
La Stampa - Ed. nazionale
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"Il Medio Oriente diventi una comunità di acqua e energia"
«Bisogna correggere il tiro: dalle bombe e dal petrolio ai cittadini»
Alain Elkann
Questa intervista si è tenuta nella residenza privata di Sua Altezza, a Londra, dove il principe El Hassan bin
Talal si trattiene per una settimana prima di recarsi a Roma a una conferenza interconfessionale di
musulmani e cristiani e poi a Teheran. Con la consueta gentilezza passa immediatamente al tema della
cittadinanza. Nel contesto dei futuri incontri a Roma - il summit dei leader religiosi cristiani e musulmani,
ospitato dal Consiglio pontificio per il dialogo inter-religioso - e a Te h e ra n - p e r l a prima conferenza
internazionale per un mondo contro la violenza e l'estremismo, che sarà inaugurata dal presidente Hassan
Rouhani - Sua Altezza sottolinea l'appello per la giustizia presentato all'Onu: giustizia come mezzo per
rafforzare il popolo e dargli voce. Perché la cittadinanza è così importante? «Non si tratta di un problema di
riconoscimento dei vari gruppi - etnici, confessionali, religiosi - ma di un deficit di cittadinanza. A titolo di
esempio: gli arabi di Gerusalemme vivono in una condizione a discrezione del ministero dell'Interno». La
gente le dà ascolto? «Questa istanza sta infine cominciando ad affermarsi». Perché la cittadinanza è così
importante per il futuro? «Si stima che, entro il 2030, 45 milioni di persone si metteranno in marcia per
sfuggire alla minaccia dell'aumento di livello del Mediterraneo. Al contrario, in Iran, altri 45 milioni si
sposteranno per sfuggire alla siccità. Eppure nessuno è interessato a costruire le infrastrutture necessarie».
Che cosa deve cambiare? «Bisogna correggere il tiro: dalle bombe e dal petrolio ai cittadini, che sono un
vettore di stabilità. Investire sulla dignità umana consentirebbe la creazione di una nuova architettura
regionale. Se al Patto di Baghdad del 1955 tra Gran Bretagna, Iraq, Turchia, Iran e Pakistan, e che a un certo
punto stava per includere l'India e che Londra stessa sperava comprendesse anche Giordania e Siria, non
fosse stato inferto un colpo mortale prima dalla débâcle di Suez e poi dal rovesciamento della monarchia ("la
mia famiglia"), con un sanguinoso colpo di Stato nel 1958, potrebbe già esserci un arco di cittadinanza
regionale». Perché prima non c'è stata la volontà politica? «Il 19 settembre 1946 Churchill tenne un discorso
a Zurigo e suggerì che un'organizzazione regionale per l'Europa avrebbe aiutato a plasmare un dignit o s o d
e s t i n o p e r l'umanità». La «Primavera araba» ha portato un reale cambiamento? «Gli slogan della
Primavera araba erano, appunto, slogan. Piuttosto che la democrazia di per sé la gente cerca pari
opportunità per tutti». Cosa è cambiato da quando ci siamo incontrati l'ultima volta, un anno fa? «La
Giordania conta circa 11 milioni di persone a causa dei flussi di rifugiati: l'anno scorso sul suolo giordano
sono nati 32 mila bambini siriani. In mancanza di una politica che li garantisca sono loro i futuri soldati di
Da'esh. In fondo la stabilità non riguarda se l'Isis possa essere fermata attraverso gli attacchi aerei, ma è una
questione legata alla sostenibilità e all'occupazione. Alla radice c'è una questione di identità e di dignità
umana». E' favorevole al piano per la Siria dell'inviato dell'Onu Staffan de Mistura? «Sostengo la proposta per
Aleppo, ma vorrei fare un passo avanti, rendendo Aleppo una città aperta, che includa tutte le minoranze».
Per portare la pace dobbiamo prima riconoscere che il mondo è in guerra? «Ciò a cui stiamo assistendo oggi
è una ripetizione del 1914 o, come ha detto Papa Francesco, una Terza Guerra Mondiale "frammentata". La
questione è se una conferenza che includa tutta la regione asiatica occidentale ci consenta di evitare una
simile guerra». E i negoziati tra Israele e Palestina? «Per quanto riguarda i futuri negoziati - e vale la pena
notare che Israele è oggi il quinto maggiore produttore di gas al mondo - è fondamentale costruire una
visione e una strategia, una realtà che oggi manca totalmente da tutti i punti di vista». Quale strategia può
cambiare questo stato di cose? «Ciò di cui abbiamo bisogno non è una politica regionale, ma una politica
regionale basata sulla correlazione tra sostenibilità e dignità umana e una filosofia di inclusione: Monnet e
Schuman riconobbero che l'Europa aveva una comunità del carbone e dell'acciaio. Noi potremmo fare
qualcosa di simile con una comunità dell'acqua e dell'energia». Che dire della disputa senza fine su
Gerusalemme e i luoghi santi? «Per quanto riguarda Gerusalemme, dovrebbe esserle concesso lo status
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Domenica con El Hassan bin Talal Principe della Casa Reale di Giordania
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speciale. Quanto alla Palestina, ci dovrebbe essere un sistema Benelux, cioè una federazione di interessi e
risorse tra Israele e il mondo arabo». Quanto costa lasciare irrisolti tutti questi conflitti? «Tra gli anni 19912010 si sono persi 12 trilioni di dollari in termini di mancate opportunità».
Foto: TOUSSAINT KLUITERS/REUTERS
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BRINDATE AL PETROLIO MENO CARO
BILL EMMOTT
È la prima vera buona notizia per l'economia europea dal 2008, e viene da una improbabile coppia di
benefattori - i produttori americani di shale oil e l'Arabia Saudita -, di solito non particolarmente amati dagli
europei. Ma ora meritano un accorato applauso. Perché il calo del prezzo del petrolio del quasi 40% negli
ultimi sei mesi che hanno causato, probabilmente rilancerà la crescita dell'Europa più del finto piano di
investimenti pubblici di Jean-Claude Juncker o della speranza che la Germania un giorno possa cambiare
idea sull'austerity. Alcuni analisti credono che il calo dei prezzi del petrolio sia preoccupante. Pensano che,
riducendo l'inflazione da prezzi, si renderà più difficile la vita alla Banca centrale europea, che ha dedicato la
sua politica monetaria a evitare proprio la caduta dei prezzi. Eppure questa preoccupazione è fuori luogo. Un
petrolio più economico significa maggiore potere di acquisto per i consumatori e per le industrie, perché
consente loro di spendere di più per altri beni e servizi come quelli che, a differenza del petrolio, sono prodotti
in Europa. In questa situazione il calo dei prezzi del petrolio è come un taglio alle tasse: ti fa sentire più ricco.
E nessuno si oppone a un taglio delle tasse, o si preoccupa del fatto che la Bce dovrà contrastare questo
taglio cercando di aumentare altri prezzi. Se lo godono e basta. Che ora è l'atteggiamento giusto di fronte alla
notizia di un petrolio più economico. DALLA PRIMA PAGINA La situazione attuale non è come la deflazione
subita dal Giappone per più di un decennio, durante la quale il calo dei prezzi ha portato le aziende e i
consumatori a rinviare gli acquisti, indebolendo ulteriormente l'economia. Il petrolio più economico
incoraggerà i consumatori a spendere di più, e rafforzerà la fiducia degli imprenditori. L'impatto economico
diretto dalla caduta del 40% del prezzo del petrolio varia da economia a economia. Ma una stima ragionevole
è che, ammesso che sia una condizione duratura, farà aumentare il Pil dell'1-2% l'anno in Italia e in altri paesi
dell'Europa occidentale. Potrebbe non sembrare molto, ma quando si è in recessione, come l'Italia è, una tale
spinta è come manna dal cielo. La questione, naturalmente, è se sarà una condizione duratura. I prezzi del
petrolio sono notoriamente volatili, imprevedibili e soprattutto politici. Sono stati alti per la maggior parte degli
ultimi 10 anni, a parte un breve crollo dopo lo choc Lehman del 2008, perché la domanda di petrolio della
Cina e di altre economie emergenti era in rapida crescita e la fornitura di petrolio era limitata, grazie allo
stretto controllo della produzione esercitato dai leader arabi dell'Organizzazione dei Paesi esportatori di
petrolio (Opec) e a pochi investimenti nella produzione al di fuori del cartello dell'Opec. Entrambi questi fattori
sono cambiati negli ultimi 2-3 anni. La crescita della domanda di petrolio in Cina è rallentata, dal momento
che quella economia straordinaria ha rallentato il tasso di crescita del Pil dal 10-12% al 6-7% all'anno. Più
importante, però, è il fatto che gli investimenti nella produzione di petrolio negli Stati Uniti sono cresciuti,
grazie ai miglioramenti tecnologici del cosiddetto «fracking», con cui petrolio e gas naturale possono essere
estratti da riserve con procedimenti che in precedenza si pensava fossero antieconomici. Grazie a ciò, gli
Stati Uniti si trovano ora fianco a fianco con l'Arabia Saudita come i due produttori di petrolio più grandi al
mondo. La produzione di petrolio e di gas degli Stati Uniti è in aumento ormai da diversi anni, ma il suo
impatto sui prezzi del petrolio mondiale è stata ritardata soprattutto dall'instabilità politica in Nord Africa e in
Medio Oriente. La rivoluzione in Libia e le guerre civili in Siria e in Iraq hanno colpito tutte le scorte di petrolio.
Ma ora, nonostante la persistente instabilità in Libia e la guerra contro lo Stato islamico in Iraq, il petrolio
scorre in maniera piuttosto costante da entrambi i Paesi. Così, con la domanda cinese che diminuisce e
l'Europa in recessione, la bilancia tra domanda e offerta, alla fine, ha portato alla caduta dei prezzi. In un
primo momento, tutti si aspettavano che l'Arabia Saudita avrebbe risposto al calo dei prezzi - da 110 dollari al
barile nel mese di giugno a 80 dollari all'inizio di novembre -, tagliando la sua produzione. Era quello che
aveva già fatto in passato, a volte inducendo altri membri dell'Opec a ridurre la produzione. Ma questa volta
non l'ha fatto e al vertice Opec del 27 novembre ha confermato di non aver alcuna intenzione farlo. Tutto ciò
ha fatto crollare il prezzo del petrolio di ulteriori 10 dollari, a circa 70 dollari al barile. Le motivazioni dei sauditi
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UNA SVOLTA PER LA UE
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non sono, come al solito, del tutto chiare. Molto probabilmente, tuttavia, ci sono due motivi principali ed un
uno secondario. La loro prima ragione per consentire la caduta dei prezzi è che si rendono conto che questo
è l'unico modo per fermare l'ascesa della produzione petrolifera statunitense. Il prezzo sotto il quale non
possono scendere - per non perderci - i produttori statunitensi di shale oil varia enormemente, tra 40 dollari al
barile a più di 100, ma è chiaro che questo abbattimento dei prezzi farà male ad alcuni produttori ad alto
costo e scoraggerà ulteriori investimenti. Questo taglio sarà come un tappo alla produzione Usa, almeno fino
a quando la tecnologia non sarà migliorata abbastanza da abbassare ulteriormente i costi di trivellazione. Il
secondo principale motivo dei sauditi è quello di ricordare ai loro colleghi dell'Opec chi comanda. Alcuni Paesi
dell'Opec, guidati in particolare dal Venezuela, superano regolarmente gli obiettivi di produzione concordati,
essenzialmente rubando quote di mercato agli altri. A questi super-produttori, che in genere hanno bisogno di
prezzi di 100-150 dollari per equilibrare i bilanci dei loro governi, doveva essere data una lezione. Infine, il
motivo secondario è fare del male a Vladimir Putin. I sauditi non amano più l'America come un tempo, ma
sopportano ancora meno la Russia, specialmente per il suo sostegno al regime di Bashar Al Assad in Siria e
all'arcinemico dei sauditi, l'Iran. Il calo del prezzo del petrolio ha già causato il collasso della valuta russa.
Ogni mese che passa con il rublo così basso è un colpo per Mosca, e in particolare per le sue finanze
pubbliche. I prezzi resteranno bassi? Con il petrolio, non si può mai essere sicuri. L'inverno sta arrivando
nell'emisfero settentrionale e, se sarà particolarmente freddo, potrebbe aumentare la domanda di petrolio.
D'altra parte, sembra che i sauditi non cambieranno il loro atteggiamento sui tagli alla produzione, almeno
fino alla prossima primavera. Allora avranno visto come si è evoluta la domanda durante l'inverno del Nord e
come i resilienti produttori di shale oil degli Stati Uniti si saranno comportati. Quindi, per il momento,
festeggiate. Brindate al petrolio meno costoso. È la migliore notizia economica che potreste ricevere.
01/12/2014
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WALTER PASSERINI
Non possiamo dare del tutto ragione a Jean Baudrillard, quando diceva che «le statistiche sono una forma di
realizzazione del desiderio, proprio come i sogni», ma a volte sembra proprio così. Un'analisi distaccata dopo
le recenti polemiche sui dati Istat della disoccupazione in Italia richiede cautela, per non confondere dati veri
e interpretazioni forzate, tassi percentuali e valori assoluti, stock di numeri e flussi. Le chiavi di lettura sono
importanti ma dovremmo convenire almeno che non si possono attribuire a governi dimissionati o in carica da
pochi mesi colpe che vengono da lontano. Un punto di osservazione condiviso può essere l'inizio della crisi,
che in sette-otto anni ha cambiato radicalmente il gioco. Dal 2007 il tasso di disoccupazione in Italia è più che
raddoppiato: allora era del 6,1%; oggi, come rivela l'Istat, è del 13,2%, un livello insostenibile. Nel primo
trimestre 2014 raggiunse addirittura il picco del 13,6%, ma ciò non suscitò guerre. Il Mezzogiorno è passato
dall'11% al 21,7% (primo trimestre 2014). Anche il tasso di occupazione segnala l'allarme, passando dal
58,8% del 2007 al 55,6%. In valori assoluti gli occupati passano da 23,3 milioni a 22,3 milioni. I disoccupati
dal 1997 al 2007 si sono dimezzati (da 2,7 a 1,5 milioni), ma da 1,5 milioni del 2007 sono più che raddoppiati
ai 3,4 milioni di oggi. Questi i numeri. Oltre che di quantità, che comprendono pur sempre persone in carne e
ossa, per capire le sfide del lavoro occorre però parlare anche di qualità: qualità del lavoro e produttività. È a
partire dalla metà degli Anni 90 che le riforme del lavoro hanno innovato le regole del gioco, ma i loro effetti
oggi appaiono fragili. La riforma Treu (1997) e la riforma Biagi (2003) hanno sicuramente innovato, ma in
parallelo con la crisi hanno contribuito al dualismo del mercato del lavoro. Entrambe hanno aumentato
l'occupazione, ma al margine, lasciando relativamente invariati gli stock di occupazione stabile, e
incentivando a fisarmonica l'occupazione temporanea nelle sue diverse forme, confinandola all'area dei
servizi a minore produttività. Il dualismo del mercato del lavoro italiano, se da un lato ha permesso di far
emergere nuovo lavoro, in parte nascosto dal nero, dall'altro ha alimentato un girone infernale di precarietà,
disoccupazione di lunga durata e scarse tutele, penalizzando soprattutto i giovani, anche se laureati e
masterizzati. Ora è necessario guardare avanti e non polemizzare sul passato. Anche perché l'universo a cui
guardare è composto, oltre che da disoccupati ufficiali (3,4 milioni), da cassintegrati senza scampo, part-time
involontari, precari e rassegnati, per un totale di circa 9 milioni di persone a forte disagio occupazionale. In un
Paese che non cresce da vent'anni, l'occupazione non può certo aumentare. E non bastano le regole del
mercato del lavoro a creare nuovi posti: serve una politica di sostegno degli investimenti e della domanda
delle imprese, da cui potrà scaturire nuova occupazione. Lo stesso Job Act, che contiene alcuni positivi
cambiamenti, affronta solo in parte il dualismo del mercato con il contratto a tutele crescenti, riproponendo
però il rischio di un doppio binario tra nuovi assunti e vecchi tutelati e riducendo, paradossalmente, mobilità e
turnover: difficile che un occupato lasci il suo posto protetto per un posto meno tutelato. Tre sono le sfide che
abbiamo di fronte, che riguardano imprese, lavoratori e politici. La prima è quella del sostegno della domanda
da parte delle imprese, senza la quale non si crea lavoro; è necessario abbassare i costi dell'energia e della
burocrazia, incentivare le innovazioni per aumentare la produttività, favorire gli investimenti, dare maggiori
certezze alle aziende, ridurre il cuneo fiscale. I sindacati e i lavoratori, ed è la seconda sfida, dovranno
dimostrare che tra miglioramento della produttività e difesa delle tutele non c'è contraddizione alcuna; una
quota del cuneo fiscale servirà a dare una boccata di ossigeno a salari e stipendi, per aiutare i consumi, ma
sarà la contrattazione decentrata l'arma per una maggiore produttività. Ai politici e ai governanti, infine, ed è
la terza sfida, occorre chiedere di abbandonare il clima e i toni di una permanente battaglia elettorale, che per
avere consensi sul breve oscura le visioni sul futuro e la capacità di fare progetti. La guerra su cui orientare le
forze è quella dell'innovazione e delle competenze, nella quale si giocano i destini della competitività oltre che
del capitale umano. Siamo al bivio di una nuova transizione, dentro la quale il lavoro gioca una partita
decisiva: passare alle politiche attive significa liberare risorse, economiche e umane, e liberarsi dal gorgo di
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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LA SFIDA DEL JOBS ACT
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
una spesa pubblica fuori controllo, per costruire un nuovo welfare a misura di futuro.Numeri chiave
13,2% a ottobre È il tasso di senza lavoro che è stato toccato in Italia il mese scorso 6,1% nel 2007 Il tasso di
disoccupazione era quasi la metà prima della crisi 21,7% nel Sud I senza lavoro sono raddoppiati rispetto al
dato dell'11% nel 2007 22,3 milioni È il numero di occupati: in netto calo rispetto ai 23,3 milioni di sette anni fa
3,4 milioni I disoccupati sono più che raddoppiati rispetto agli 1,5 milioni del 2007
I disoccupati 12,3 12,1 12,9 13,2 UOMINI 13,2 11,5 DONNE Fonte: Istat ottobre 2013 settembre 2014
ottobre 2014 Tassi in %
- LA STAMPA 12,4 13,9 14,3 43,3 42,7 41,4 TASSO DI DISOCCUPAZIONE GENERALE TASSO DI
DISOCCUPAZIONE GIOVANILE (15-24ENNI) Sono 3.410.000 (+286.000 sul 2013)
Così su La Stampa
Ieri su la Stampa, l'analisi del professore Luca Ricolfi sul record raggiunto a ottobre dalla disoccupazione in
Italia.Numeri chiave
13,2% a ottobre È il tasso di senza lavoro che è stato toccato in Italia il mese scorso 6,1% nel 2007 Il tasso di
disoccupazione era quasi la metà prima della crisi 21,7% nel Sud I senza lavoro sono raddoppiati rispetto al
dato dell'11% nel 2007 22,3 milioni È il numero di occupati: in netto calo rispetto ai 23,3 milioni di sette anni fa
3,4 milioni I disoccupati sono più che raddoppiati rispetto agli 1,5 milioni del 2007
Così su La Stampa
Ieri su la Stampa, l'analisi del professore Luca Ricolfi sul record raggiunto a ottobre dalla disoccupazione in
Italia.
Foto: In fabbrica Un operaio al lavoro nello stabilimento Nuovo Pignone di Firenze CARLO
CARINO/IMAGOECONOMICA
01/12/2014
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"Ma sui contratti atipici il governo si è impegnato"
Il viceministro Morando: da gennaio la decontribuzione per i giovani
ROBERTO GIOVANNINI ROMA
«Idati citati dal professor Ricolfi sono assolutamente corretti, e non li contesto; contesto il fatto che ci sia un
governo che, scrive, "non vuole dirci come stanno le cose"». Ci spieghi, viceministro all'Economia Morando.
«Al contrario, noi abbiamo detto agli italiani come stanno le cose: abbiamo detto che stanno messe male.
Addirittura nel Def abbiamo scritto che questa è la più duratura recessione della storia unitaria, ben peggio
della crisi del '29, che abbiamo perso 10 punti di reddito procapite e che i dati della disoccupazione sono
drammatici. Su questa analisi dell'eccezionale gravità della situazione abbiamo rivolto all'Ue la proposta che
ha avuto successo - secondo cui ci impegniamo a fare le riforme, ma c'è bisogno di finanziarle nell'avvio e
sostenere quanto possibile la domanda. Abbiamo parlato, direi, un linguaggio di verità». Ma Ricolfi afferma
anche che Garanzia Giovani non funziona, che avete stanziato troppi soldi per gli 80 euro e troppi pochi per
la decontribuzione delle assunzioni... «Ma non è vero che non ci occupiamo dei precari. Questa non è una
critica fondata. Dal primo gennaio scattano tre norme: la prima, nella Legge di Stabilità, è la decontribuzione
per i nuovi assunti. Si tratta di una riduzione del costo del lavoro del 24% del monte salario. Secondo, per le
imprese ai fini Irap non peserà più il costo del lavoro. Terzo, siamo convinti che con il Jobs Act arriverà il
nuovo contratto di lavoro a tutele crescenti. Quarta misura, per i lavoratori fino a 26mila euro (tra cui molti di
questi nuovi assunti) ci sarà stabilmente il bonus degli 80 euro. Ammettiamo che il numero assoluto degli
occupati possa non aumentare; ma ragionevolmente ci attendiamo che tanti rapporti di lavoro precari si
trasformeranno in rapporti di lavoro stabili. Dunque, non è vero che non facciamo nulla per i precari». Sempre
il professor Ricolfi dalle colonne del nostro giornale ha lanciato la proposta del Job Italia. Che ne pensa? «È
un'idea molto interessante. Penso che dobbiamo lavorare facendo tesoro di tutte le proposte; e in particolare
una delle più interessanti emerse negli ultimi tempi è proprio quella avanzata da Ricolfi. Noi adesso abbiamo
costruito l'insieme di norme di cui ho parlato, e vogliamo andare a una loro sperimentazione. L'obiettivo
strategico del governo è quello di portare in tre anni la pressione fiscale su impresa e lavoro al livello a cui sta
in Germania. Queste misure, che valgono complessivamente intese 18 miliardi di euro, a questo mirano. Poi,
siamo prontissimi - se ci sarà qualcosa che non va - a correggere, ad aggiornare. Ma siamo anche pronti a
prendere in considerazione anche proposte come quelle del professor Ricolfi».
Foto: Critiche Enrico Morando, viceministro dell'Economia
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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01/12/2014
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"Le regole non bastano Per la svolta serve innovazione e ricerca"
Occasioni mancate Le liberalizzazioni in Italia sono state fatte sempre male e in modo parziale La Cgil e la
politica Oggi più che urlare bisogna avere la capacità di proporre
ALESSANDRO BARBERA ROMA
Segretario Furlan, cosa suggerisce per raddrizzare il legno storto della disoccupazione? «Da Napoli in giù
non c'è alta velocità, la banda larga è una perfetta sconosciuta, l'energia costa ovunque il 30 per cento in più
del resto d'Europa. Del vecchio programma di fondi europei, quello che scade l'anno prossimo, abbiamo
ancora da spendere 18 miliardi di euro, 13 dei quali dedicati al Sud. Si discute molto di Jobs Act, poco dei
cambiamenti strutturali che possono far ripartire la crescita e l'occupazione». Non crede che la riforma del
mercato del lavoro aumenterà gli occupati? «Non in modo rilevante. La svolta può arrivare da altro:
innovazione, ricerca, istruzione, trasporti, tutela ambientale, risparmio energetico. Bisogna fare di tutto per
usare fino in fondo i fondi che l'Europa ci mette a disposizione concentrando gli sforzi in una agenzia
nazionale». Segretario, la sua ricetta è nota: usare la leva pubblica nella speranza che riparta la domanda
interna. Ma non le viene il dubbio che ci sia un grave problema dal lato dell'offerta? Non crede che l'Italia sia
anzitutto soffocata da corporazioni, mercati chiusi, scarsaconcorrenza? «Le liberalizzazioni in Italia sono state
fatte sempre male e in modo parziale. Negli anni novanta abbiamo sostituito a monopoli pubblici monopoli
privati. Per far ripartire il Paese oggi occorre incidere anzitutto sulla domanda interna, magari cercando le
risorse nei tanti sprechi della spesa pubblica. All'inizio il governo Renzi sembrava voler puntare molto su
questo, ora non lo so più». Lei critica il Jobs Act eppure avete deciso di non scioperare con la Cgil. Di lotta e
di governo? «Abbiamo indetto uno sciopero, oggi, nel settore pubblico, e la ragione è contrattuale: i
dipendenti pubblici non hanno un rinnovo da sei anni che equivale ad una perdita di potere d'acquisto fra i
duemila e i quattromila euro l'anno. Nei tre giorni successivi faremo altrettante manifestazioni per spiegare le
nostre proposte». Stadicendoche voi adifferenza della Cgil non fate politica. Ècosì? «Oggi più che urlare
bisogna avere la capacità di proporre». Lamanovra riduce le tasse sul lavoro.Non è unamisura a
favoredell'occupazione? «Ci piacciono sia la defiscalizzazione che la decontribuzione per i nuovi assunti. Ci
convince la conferma degli ottanta euro. Non ci piacciono il raddoppio delle tasse sui fondi pensione, le
norme sul Tfr e i tagli ai patronati: svolgono un servizio essenziale per chi non può permettersi un
commercialista. E poi va cambiata la legge Fornero». Cioè la legge che ha messo in sicurezza i conti
previdenziali delleprossimegenerazioni. «Quella legge non va bene perché non riconosce la differenza fra
lavoro e lavoro. Occorre allargare la platea dei lavori usuranti. Pensare che a 65-67 anni si possa ancora
salire su una impalcatura o in cima a una gru è impensabile». Twitter@alexbarbera
Foto: FABIO CIMAGLIA/LAPRESSE
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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La sindacalista: Furlan (Cisl) / LE INTERVISTE
01/12/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 9
(diffusione:309253, tiratura:418328)
"Assumiamo in Italia, anche se manca una politica industriale"
Qualità e innovazione C'è un solido incremento nella richiesta di Made in Italy Per questo investiamo Lavoro
e norme Ragionare con i sindacati in Francia e Germania è ben più difficile
ELEONORA VALLIN LONGARONE (BELLUNO)
In meno di un mese sono arrivate oltre 350 candidature: sette volte la disponibilità richiesta. Giovani, precari,
iscritti alle liste di mobilità, ma anche lavoratori già a contratto alla ricerca di un «futuro più solido». Accade a
Longarone, alla Marcolin Spa, azienda tra i leader dell'occhialeria mondiale: 345 milioni di fatturato nel 2013,
oggi in crescita del 5%. Fondata nel 1961, e dal 2012 nelle mani del fondo Pai Partners, Marcolin ha appena
annunciato il raddoppio della produzione e 50 nuove assunzioni, grazie all'acquisto di un nuovo stabilimento
di 3.500 mq nel cuore del distretto bellunese. «Constatiamo un solido incremento nella richiesta di made in
Italy, che per noi è un asset vitale. Per questo investiamo qui» spiega l'ad Giovanni Zoppas. Non vi spaventa
il costo del lavoro in Italia? «No, perché parliamo di prodotti che sul mercato si posizionano ad alti livelli per
qualità che non è solo produzione ma anche disegno industriale. Inoltre, solo così siamo in grado di gestire
meglio la flessibilità che il mercato ci chiede». Che figure state cercando? «Profili operativi: capi reparto e
addetti alla produzione di occhiali in acetato, tipologia che può interessare molto l'universo femminile». Chi
forma il personale? «Noi, internamente. Ci serve anche a condividere la nostra modalità di lavoro. La
formazione è continua e asseconda la crescita interna. Perché, se ci sono le opportunità, agevoliamo sempre
le nostre risorse anziché cercarle all'esterno». I rapporti con i sindacati? «Le relazioni sono buone e siamo
passati, tra il 2012 e 2013, anche attraverso una mobilità volontaria senza mai confrontarci con un fronte di
opposizione cieca, ma individuando percorsi comuni con regole condivise». 1.400 addetti nel mondo, la metà
a Longarone. Cosa cambia nel mercato del lavoro oltre confine? «Cambia la cultura del lavoro e c'è una netta
differenza tra noi e il mondo anglosassone che si basa molto di più sulle tutele economiche. La situazione
italiana non è tra le peggiori, abbiamo parecchie incrostazioni ma ragionare con il sindacato in Francia e
Germania è ben più difficile. Credo tuttavia che l'Italia debba virare verso una situazione che tuteli sì la
discriminazione, ma il tema di fondo sia economico». E come si fronteggia una disoccupazione record?
«Siamo orfani di una politica industriale da troppi decenni. Gli Usa hanno scelto la green economy e questa è
diventata un investimento importante. Noi abbiamo perso grandi occasioni e viviamo di nicchie che non
possono essere il simbolo industriale di una nazione». Inconcreto? «L'occhialeria funziona e siamo i campioni
mondiali ma ogni investimento, anche nella formazione, è lasciato ai privati. È sempre stato così: il singolo
che fa da solo, purtroppo, da sempre».
Foto: ALESSANDRO VIAPIANO/IMAGOECONOMICA
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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L'imprenditore: Zoppas (Marcolin) / LE INTERVISTE
01/12/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 23
(diffusione:309253, tiratura:418328)
"Usa--Europa con l'accordo milioni di posti di lavoro"
Pascal Lamy: difficile l'intesa entro il 2016 LA POLEMICA «Importare Ogm? Non vedo rischi, devono essere
approvati dall'Ue»
LUCA FORNOVO TORINO
"Il Ttip, il Patto transatlantico tra Europa e Stati Uniti per il commercio e gli investimenti, è un progetto
enorme. Una sfida epocale, come quando è stato creato in Europa ilmercato comune». Secondo il politico ed
economista francese Pascal Lamy, che è stato direttore del Wto, l'Organizzazione mondiale per il commercio
e anche commissario Ue, creerà milioni di posti di lavoro, favorirà l'export e la riduzione delle tariffe
commerciali portando così grandi benefici ai consumator i ancor prima che ai produttori ». Ma il problema,
avverte Lamy che venerdì era a Torino per tenere la «Lecture Spinelli 2014», organizzata dal Centro studi sul
federalismo, è che siamo in ritardo: «Sarà una missione quasi impossibile chiudere l'accordo entro i prossimi
due anni; colpa dei tanti settori da regolamentare e della scarsa trasparenza di informazioni». Quali sonole
criticità? «Il Ttip è un accordo "di nuova generazione" perché non serve solo ad abolire dazi e tariffe, ma si
propone di armonizzare, cioè rendere uniformi le leggi di Usa ed Europa, differenti tra loro. Ciò è molto
difficile: ci sono poi tanti settori complessi da regolamentare, l'industria automobilistica, il settore finanziario, la
farmaceutica e l'alimentare». Cisonosoluzioniallostudio? «Una potrebbe essere quella di partire nel 2016
trovando perlomeno un accordo su alcuni settori. Ma anche così non è facile perché si aprirebbe la strada
alle polemiche. Per esempio, perché si dovrebbe partire prima dall'auto che dall'alimentare? Un altro
problema è come Usa ed Europa stanno conducendo le trattative». Cioè? «Le commissioni di Usa ed Europa
hanno deciso di tenere segreti i negoziati e non danno spiegazioni, ma facendo così creano molti falsi miti.
Ecco perché le autorità europee e americane dovrebbero fare più chiarezza sui negoziati, renderli pubblici
per frenare i sospetti dell'opinione pubblica». Col Ttip saremo costretti a importare prodotti Ogm? «Non
dovrebbe esserci questo rischio, perché le regole europee prescrivono che gli Ogm per l'alimentazione
umana e animale devono essere approvati dall'Ue». Il made in Italy sarà danneggiato dal fiorire di falsi, come
il formaggio Parmesan che imita il Parmigiano? «L'importante è che ci sia il giusto livello di controlli in Europa
e in Usa e che sui prevalga sempre lo standard più elevato. Questo sarà un grande vantaggio per i
consumatori». Un centro studi ha calcolato che l'economia europea potrebbe trarne un beneficio di 119
miliardi l'anno, circa 550 euro a famiglia. Che tipo di vantaggi saranno? «I prezzi di auto, farmaci, cibo e
servizi finanziari scenderanno, ciò aiuterà molto le famiglie anche per aumentare i consumi. Inoltre col Ttpi,
Stati Uniti ed Europa creeranno degli standard d'eccellenza sui prodotti, favorendo un grande vantaggio
competitivo, anche per il nostro export». Guardando all'Europa, quale è la priorità dell'Ue? «I premier dei vari
Stati devono smettere di litigare con i leader europei. Criticare Bruxelles equivale a criticare se stessi». Che
succederà quando la Gran Bretagna farà il referendum sull'euro? «Sarà un incubo, se la Gran Bretagna
uscirà dall'Ue si creerà un precedente assoluto. Nessuno sa che cosa accadrà».
Foto: Francese Il politico ed economista francese Pascal Lamy è stato direttore del Wto, l'Organizzazio ne
mondiale per il commercio, e commissario europeo
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Intervista
29/11/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 1
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Colle, sul successore di Napolitano Renzi vuole patto su nome blindato
Marco Conti
L'arma letale di Matteo Renzi si chiama Consultellum. La legge elettorale super-proporzionale, che la Corte
Costituzionale ha lasciato in eredità al Paese dopo la cancellazione del Porcellum. A pag. 9
IL RETROSCENA ROMA L'arma letale di Matteo Renzi si chiama Consultellum. La legge elettorale superproporzionale, che la Corte Costituzionale ha lasciato in eredità al Paese dopo la cancellazione del
Porcellum, è in grado di azzerare il 90% degli attuali parlamentari nominati dai rispettivi partiti. L'appello ai
"tengo famiglia", agli aspiranti del vitalizio, ha buone possibilità di funzionare. Soprattutto in una legislatura
dove in alcuni gruppi i dissidenti sono più dei lealisti. I frondisti di Pd, FI e M5S contestano i rispettivi leader
bocciandone strategie e cerchi magici. Ad inizio legislatura il fenomeno si avviò in maniera clamorosa nel Pd
al momento delle votazioni per il presidente della Repubblica. In meno di due anni la "metastasi" è avanzata
paurosamente e sempre più apertamente, ma gli spazi di manovra rischiano ora di ridursi perché un possibile
voto anticipato non cadrebbe su un Parlamento appena eletto e potrebbe avverarsi qualora le Camere
arrivassero per sfinimento ad individuare un presidente della Repubblica.
CUORE Renzi sperava di poter contare sull'attuale Capo dello Stato sino a primavera, ma il timing sembra
essersi notevolmente accorciato, al punto da rendere molto difficile il varo della legge elettorale prima della
scelta del nuovo inquilino del Quirinale. Al Senato si lavora a tappe forzate in commissione, ma l'accordo non
c'è e il governo non ha ancora elaborato un emendamento con le modifiche all'Italicum. In aula il testo
dovrebbe arrivare il 19 dicembre, dopo il varo della legge di Stabilità e ciò rende molto difficile che l'iter si
possa concludere con un voto prima del Natale. Lo slittamento a gennaio e il probabile addio di Napolitano,
impongono a Renzi un cambio di priorità con la legge elettorale che, slittando, dovrebbe trasformarsi in una
sorta di garanzia per la scelta di un Capo dello Stato che non arrivi al Colle con il decreto di scioglimento già
in tasca. Pacchetto unico, quindi, da proporre - ovviamente - a Silvio Berlusconi e soprattutto al partito di cui è
anche segretario. Alternativa a tale strategia per Renzi non c'è. O meglio, si chiama voto anticipato. Proprio
ciò che Napolitano ha cercato in tutti i modi di evitare, ma che il suo successore potrebbe essere costretto a
valutare qualora dovesse emergere da un clima arroventato simile a quello del 2013. In sostanza stavolta in
aula i possibili franchi tiratori rischiano grosso sin dalla prima votazione e visto che è interesse della sinistra
Pd non avere al Colle un presidente pronto al voto anticipato, Renzi è convinto di poter trovare nel suo partito
un metodo condiviso e condivisibile da coloro che hanno votato il Jobs act e la legge di Stabilità. Qualche
segnale in tal senso lo si avrà nella direzione del Pd convocata per lunedì prossimo nella quale il presidente
del Consiglio farà il punto dell'azione di governo rilanciando con forza la legge elettorale, le riforme
costituzionali e un nuovo pacchetto di riforme da barattare in Europa in cambio di nuova flessibilità. Archiviata
la legge di stabilità e la riforma del mercato del lavoro, il presidente del Consiglio ha tutto l'interesse a
rasserenare il clima nel partito. La spaccatura interna alla sinistra del Pd aiuta il presidente del Consiglio
perché ridimensiona l'ala più radicale di Fassina e Civati e consente ad una parte del partito del Nazareno di
aprire una sponda con la pattuglia degli ex grillini, forse i più preoccupati di una possibile interruzione
anticipata della legislatura. Nei primi tre scrutini servono i due terzi per eleggere il capo dello Stato, ma dal
quarto basteranno cinquecento voti e il Pd conta sulla carta di 430 grandi elettori tra parlamentari e delegati
regionali.
AGGUATO Il presidente del Consiglio è convinto che, giurando e spergiurando sul prosieguo della
legislatura, non sarà difficile recuperare quel centinaio di voti mancanti. Tra le righe dell'appello per trovare il
profilo più idoneo, che palazzo Chigi intende lanciare per individuare il successore di Napolitano, non sarà
difficile leggere una sorta di avviso a coloro che immaginano agguati: stavolta si va a casa, qualcuno per
sempre. Marco Conti
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Il futuro del Quirinale
29/11/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:210842, tiratura:295190)
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Foto: IN FABBRICA Matteo Renzi alla Condorelli di Catania
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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29/11/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Dosi potenziate o allergie, le piste degli esperti
Carla Massi
Adesso è il momento delle analisi di laboratorio. Dei test sui vaccini che, a campione, stanno raccogliendo i
carabinieri dei Nas. A pag. 5
IL RETROSCENA ROMA Adesso è il momento delle analisi. Dei test sui vaccini che, a campione, stanno
raccogliendo i carabinieri dei Nas. A loro il ministero della Salute ha dato il compito di prendere alcuni flaconi
dai due lotti Novartis incriminati che sono stati distribuiti in dodici regioni nelle scorse settimane. Il materiale
scelto verrà consegnato ad un team di esperti del laboratorio di analisi dell'Istituto superiore di sanità. Ogni
lotto contiene dai 200 ai 250mila dosi.
I TEST Contemporaneamente, nelle diverse città dove sono morte le persone che si erano sottoposte alla
profilassi, si sta lavorando alle autopsie. Una volta raccolti tutti i dati sul contenuto del vaccino, analizzato il
recente stato di salute delle persone decedute e confrontati i risultati si potrà capire se tra i decessi e la
somministrazione della "copertura" anti-influenza esiste un nesso. La procedura verrà seguita per ogni
paziente sospettato di essere morto a causa del vaccino. Che, da quest'anno, è tetravalente, ovvero capace
di coprire quattro ceppi del virus influenzale: A/California/2009, di origine suina, rimasto stabile,
A/Texas/2012, B/Massachussets/2012 a cui si aggiunge, per il tetravalente appunto, il ceppo
B/Brisbane/2008. La campagna vaccinale è iniziata a metà ottobre e durerà fino a fine dicembre. Il picco tra
gennaio e febbraio. «Il vaccino è sostanzialmente uguale a quello dell'anno scorso - ha spiegato Gianni
Rezza, Direttore del dipartimento Malattie infettive dell'Istituto superiore di sanità appena avviata la
campagna - non dovrebbero esserci grosse mutazioni del virus. L'unica novità è che copre due ceppi B del
virus». E proprio sul contenuto del vaccino infettivologi ed igienisti stanno facendo delle ipotesi su che cosa
può aver causato i decessi. La prima ipotesi è quella di un'allergia, con ogni probabilità ad un adiuvante. Ad
una delle sostanze che potenziano la risposta immunitaria e possono renderli più efficaci. «Sono stati
utilizzati per molti anni nella preparazione di diversi vaccini - spiegano al ministero della Salute - e i dati
scientifici confermano la sicurezza nella produzione della profilassi antinfluenzale».
IL GRASSO Nei prodotti messi sotto sequestro c'è lo squalene come adiuvante. Un grasso prodotto da tutti
gli organismi superiori, inclusi gli esseri umani. Si tratta della sostanza MF59 che è, appunto, un'emulsione di
squalene in acqua. «Numerosi studi epidemiologici nonché rilevazioni post-marketing del sistema di
farmacovigilanza italiano che fa capo all'Aifa - si legge nel sito del ministero della Salute - non hanno
evidenziato differenze significative, per quanto riguarda le reazioni avverse, fra i vaccini antinfluenzali
stagionali adiuvati con MF59 e quelli non adiuvati». Da qui l'ipotesi che questi vaccini siano
straordinariamente potenziati e che, nelle persone più fragili, abbiano scatenato reazioni letali.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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I dubbi
29/11/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 1
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Svolta di Grillo: in 5 al comando Basta diarchia, nasce il direttorio
Mario Ajello
Forrest Gump per Forrest Gump, il leader del Movimento 5 Stelle avrebbe potuto gridare - invece del «Sono
un po' stanchino, tornerò a casa ora», che è pura tattica nelle mani di Beppe Grillo - un'altra massima del film.
Questa: «Difficile fare il re». A pag. 7 Calitri e Marincola alle pag. 6 e 7
IL RETROSCENA ROMA Forrest Gump per Forrest Gump, il leader del Movimento 5 Stelle avrebbe potuto
gridare - invece del «sono un po' stanchino, tornerò a casa ora», che è pura tattica nelle mani di Beppe Grillo
- un'altra massima del film con Tom Hanks. Questa: «Difficile fare il re». Nel suo caso, sembra il Re Sole che
ha perso la luce, che non sa più cosa fare, che epura per non essere epurato, che annuncia la sua voglia di
rinuncia per sentirsi dire (ma sono in molti a non dirglielo più): «Beppe, resta con noi, non ci lasciare!». E'
stata la giornata dell'isolamento personale e politico, auto-imposto e imposto dagli attacchi e dai vaffa che lo
hanno bersagliato, la lunga giornata di ieri del comico-leader sempre meno leader e sempre più tragico.
Un'altra massima di Forrest, oltre a «stupido è chi lo stupido fa», dice così: «La cosa bella del Vietnam è che
c'era sempre un posto dove andare». Beppe per sfuggire al suo Vietnam - «Sei un piccolo Duce!»,
«Vattene!», «Sparisci!»: ora lo trattano così nella giungla che ha creato - s'è rintanato nella sua villa sulla
spiaggia di Marina di Bibbona e da lì, come se stesse in una caverna afghana, spara i suoi video. E impone le
sue scelte. Il Direttorio, nell'ultima fase della rivoluzione francese, mise fine al Terrore. Invece nell'accezione
grillina il Direttorio - cioè i quadriumviri nominati dal leader a dispetto dell'«uno vale uno» dei tempi dell'iperdemocrazia partecipativa ora tramutatasi in solipsismo: Di Maio, Di Battista, Fico, Sibilia più Carla Ruocco
unica donna - dovrà essere lo strumento delle epurazioni. E insieme l'organismo degli etero-diretti.
IL COMANDO A comandare sarà sempre lui, Beppe, non tanto perchè gli vada ma perchè sa che senza M5S
lui non ha più ruolo - tornare al vecchio mestiere di comico non è fruttuoso come un tempo - e senza di lui
non è più nulla il movimento che ha fondato e che doveva rappresentare il grado più avanzato della politica
2.0 e s'è ridotto a incarnare la paleo-politica del 2,0 (ultime percentuali elettorali dopo il boom del 20 per
cento). E' cambiato tutto rispetto alla fase Re Sole ma neanche il ritiro di Grillo dalla scena politica a meno
che non trovi un pretesto forte e magari lo sta cercando - è al momento plausibile. Anche perchè
significherebbe lasciare il movimento a Gianroberto Casaleggio e a suo figlio Davide sempre più potente nella
Casaleggio Associati ossia il nocciolo duro di M5S. I diarchi sono dunque diventati tre - e Grillo e Casaleggio
senior vanno sempre meno d'accordo, il guru occhialuto pare che abbia imposto al guru barbuto la scelta
della repressione dura contro i non allineati - e la Triade è quella che muoverà il Direttorio. Che è a sua volta
destinato ad avere una vita interna assai vivace (gli epuratori si epureranno tra di loro in un remake farsesco
della rivoluzione francese?). Il fatto è che i cinque imposti dai tre alla guida (non reale) del partito si detestano
tra di loro. Specialmente Di Maio e di Battista, uno tutto istitutional e l'altro tutto combat. Insieme ma divisi
dovranno impedire l'Opa ostile da parte dell'odiato Pizzarotti, sindaco ribelle di Parma. Siamo alla decrescita
infelice e alla polveriera. Con Grillo diventato un oggetto misterioso, nascosto nel suo Vietnam, disinteressato
alla politica italiana (preferisce i blitz all'Europarlamento e non s'è fatto vedere per le elezioni regionali) e
convinto come ha detto ieri: «Meglio pochi ma buoni. I rompicoglioni vadano a rompere i coglioni da un'altra
parte». Casaleggio a sua volta comanda ma è stanco e malmesso. Gli ex cortigiani come Messora, fino a
poco fa una sorta di numero tre delegato alla comunicazione anche europea, si rivoltano ai padroni. O forse
l'attacco di Messora a Grillo («E' stanco, si ritiri e si goda la famiglia») è un messaggio targato Casaleggio
contro Beppe anche se - come sostiene il filosofo Massimo Cacciari, che di Apocalisse s'intende - «è ridicolo
pensare a Casaleggio leader». Mentre è facile, nel gioco del paradosso fantastorico assai spinto, accostare al
Gran Consiglio del Fascismo questo Gran Consiglio del Grillismo. Magari andrà a finire che i nuovi capetti
sfiduceranno il duce Beppe. Anzi no: ci vorrebbero 10-100-1000 Di Battista per fare un Dino Grandi. Mario
Ajello
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Vertice M5S. Ok dagli iscritti, caos nel partito
29/11/2014
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Foto: «Sono stanchino»
Foto: «Sono stanchino»
Foto: Come Forrest Gump Il blog di Beppe Grillo ieri
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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30/11/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 1
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Il premier: per il dopo Napolitano niente personalità su cui il Parlamento si è già espresso E a Berlusconi dice:
Italicum dopo il Quirinale? Irricevibile. Subito voto con il Consultellum
Alberto Gentili
ho detto e ripetuto, le riforme si fanno subito, prima di occuparci del Quirinale. E se il Parlamento si
dimostrerà incapace di garantire il cambiamento, al nuovo capo dello Stato chiederò di andare sparati alle
elezioni. E ci si andrà con il Consultellum così com'è, senza correzioni». Renzi replica così a Berlusconi che
parla di riforma elettorale solo dopo il Quirinale. E per il dopo Napolitano avverte: «Niente nomi di personalità
già bocciate da questo Parlamento». A pag. 5
IL RETROSCENA L'ho detto e ripetuto, le riforme si fanno subito, prima di occuparci del Quirinale. E se il
Parlamento si dimostrerà incapace di garantire il cambiamento, al nuovo capo dello Stato chiederò di andare
sparati alle elezioni. E ci si andrà con il Consultellum così com'è, senza correzioni. Agli italiani dirò: "Non mi
hanno fatto fare la nuova legge elettorale e si deve votare con questa porcata"». Matteo Renzi, nel giorno in
cui Silvio Berlusconi chiede di invertire l'ordine dei lavori - prima l'elezione del nuovo capo dello Stato e
soltanto dopo la riforma elettorale - ai suoi ha confidato uno stato d'animo quanto mai battagliero. Una vera e
propria minaccia per l'ex Cavaliere, che vedrebbe sfumare le amate liste bloccate. E un avvertimento ai ribelli
dem. Ma anche un azzardo per Renzi, visto che il Consultellum è essenzialmente un sistema proporzionale.
E dunque, a meno di non prendere il 51 per cento dei voti, il segretario del Pd e premier sarebbe costretto nel
dopo le elezioni a governare in... coalizione. «Ma siamo proprio sicuri che partendo dal 40,8% delle europee il
traguardo del 51% sia proprio impossibile?», chiede un renziano che frequenta quotidianamente palazzo
Chigi. Sogni di gloria a parte, i giochi sono aperti. Il ministro del Ncd Maurizio Lupi, uno che vive da tempo
sulla linea di confine e ha imparato ad annusare umori e manovre di una parte e dell'altra, di fronte al timing
fissato da Berlusconi la mette così: «Il più importante e forte alleato di Renzi è Napolitano. Dunque, il
Presidente annuncerà le sue dimissioni a fine anno e poi lascerà il Quirinale dopo un mesetto, dando a
Matteo il tempo per varare la legge elettorale». Ed è proprio questo lo schema del presidente del Consiglio.
Renzi resta determinato ad approvare l'Italicum con «la maggiore condivisione possibile» (suggerita anche da
Napolitano). Ma quando c'è da tirare dritto in nome della riforma elettorale «non guarda in faccia a nessuno».
E ieri, nel giorno dei tre voti di fiducia alla legge di Stabilità, a Montecitorio non si parlava che della strategia
scelta dal premier per far rispettare la sua road map: prima il sì dell'Italicum a palazzo Madama e il sì alla
riforma del Senato da parte della Camera. Poi, soltanto poi, l'apertura del capitolo-Quirinale. «L'Italicum è già
incardinato in Commissione a palazzo Madama e arriverà in aula verso il 20 dicembre», diceva il renziano
Ettore Rosato, «mentre la riforma costituzionale del Senato avrà la sua seconda lettura alla Camera più o
meno in contemporanea».
NO AI RICATTI Giusto in tempo, è la speranza di Renzi, per arrivare all'elezione del nuovo Presidente senza
essere sotto ricatto di Berlusconi. «Anche perché», aggiungeva Lorenzo Guerini, il braccio destro del premier
e vicesegretario del Pd, «dato che Napolitano è ancora al suo posto, la questione del Quirinale non è sul
tavolo. In più, si tratta di rispettare il solenne impegno che il Parlamento ha preso proprio con il Presidente
quando gli venne chiesto il sacrificio di accettare un altro mandato». Tra i renziani però già da tempo si
studiando mosse e strategie per prepararsi alla «dolorosa successione». «Lo schema è già chiaro», dicono a
palazzo Chigi, «Matteo quando arriverà il momento, riunirà i parlamentari del Pd e farà un discorso che
suonerà più o meno così: "Chi vuole fissare paletti e proporre candidature divisive sbaglia, non è giusto né
utile rinunciare a eleggere il nuovo Presidente con una maggioranza la più larga possibile. Dunque
mettiamoci d'accordo e avanziamo una candidatura in grado di avere un consenso amplissimo"».
GRILLINI E MINORANZA DEM Ma c'è di più. Ai renziani del cerchio ristretto il premier l'ha detto
chiaramente: «Niente candidature divisive e non porteremo al voto per il Colle neppure nomi di personalità
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Renzi: Colle, no a nomi bocciati
30/11/2014
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già bocciate da questo Parlamento». Traduzione: né Franco Marini, né tantomeno Romano Prodi. E
soprattutto, una volta eletto il nuovo presidente della Repubblica, Renzi andrà sparato alle elezioni se non
sarà riuscito a far approvare l'Italicum. «E' chiaro che noi proporremo l'approvazione della nuova legge
elettorale con una clausola di salvaguardia anti-elezioni anticipate», spiega una fonte vicinissima al premier,
«vale a dire: niente urne fin tanto che non sarà stato riformato il Senato. Ma si possono dimenticare che
cambieremo il Consultellum», la legge elettorale uscita dalla sentenza della Consulta che ha azzerato il
Porcellum. Le bizze di Berlusconi e le vistose crepe del patto del Nazareno, spingono Renzi anche a
guardare con attenzione anche al campo dei grillini. Lo smottamento dei Cinquestelle è atteso e sperato: «Se
come sembra saranno qualche decina i parlamentari che lasceranno Grillo», analizzano a palazzo Chigi, «la
maggioranza si allargherà in modo significativo in Senato e quando arriverà il momento di eleggere il nuovo
capo dello Stato i voti dei transfughi grillini saranno utilissimi...». Berlusconi è avvertito. Con l'avvicinarsi della
partita per il Quirinale diventa importante anche recuperare «almeno una parte» della minoranza dem. Renzi
ha osservato con grande attenzione la riunione di ieri di Area riformista, cui hanno partecipato una settantina
di deputati, ma non i pasdaran Fassina, Zoggia e D'Attorre. La parola d'ordine: «Massima coesione e
massima condivisione». Il che vuol dire che per il Quirinale, se saprà e vorrà accettare l'offerta del correntone
di Area riformista, Renzi potrà contare su un altro centinaio di voti. Alberto Gentili
L'agenda Napolitano
L'11 a Torino l'incontro con il tedesco Gauck L'11 dicembre prossimo Napolitano ha confermato la sua
presenza all'inaugurazione della prima edizione dell'Italian-German High Level Dialogue con il presidente
tedesco Gauck.
Il 16 gli auguri alle alte cariche In questa tradizionale occasione che rappresenta di fatto l'ultimo evento
pubblico dell'anno per il Presidente, si era detto che potrebbe annunciare le sue dimissioni, ma il Colle frena:
mai fatto date.
18-19 ultimo Consiglio Ue a guida italiana E' l'ultimo appuntamento europeo del semestre di presidenza
italiana. Fino a questo momento Napolitano non dovrebbe lasciare: ogni data successiva è possibile.
30/11/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
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L'OPERAZIONE E' GESTITA DAL FIGLIO DAVIDE CHE NE HA ACCELERATO I TEMPI PER RILANCIARE
IL MOVIMENTO
Antonio Calitri
IL RETROSCENA ROMA Nuovo sito e nuovo simbolo del Movimento 5 Stelle quasi orfano di Beppe Grillo.
Con l'ufficializzazione del direttorio inizia il lento distacco tra Grillo e M5s. E a Milano, in casa del cofondatore
Gianroberto Casaleggio, scatta il piano B per spersonalizzare il movimento oggi troppo appiattito sul comico
genovese e sul suo blog. Gli esperti di comunicazione di cui si circonda Casaleggio e il figlio Davide entrato a
pieno titolo negli ingranaggi del movimento, sapevano che prima o poi la rottura ci doveva essere. Grillo da
mesi ripeteva pubblicamente di essere stanco e di voler fare un passo indietro nel movimento. In privato poi,
la sintonia con Casaleggio padre e soprattutto con il figlio sempre più presente nelle discussioni e con un
grande ascendente sulle decisioni di Gianroberto, era ormai un ricordo. Così, se da una parte Grillo meditava
l'addio, dall'altra i Casaleggio hanno studiato le azioni da mettere in campo quando questa situazione fosse
accaduta. Tutto è partito lo scorso luglio quando il Pd ha fatto saltare il tavolo sulla legge elettorale con il M5s
e contemporaneamente sono avvenuti due episodi. Un Grillo arrabbiato, dal blog attaccava Renzi e
minacciava che «adesso sarà opposizione dura e vera». Dall'altra Luigi Di Maio, dopo essersi confrontato con
Casaleggio, annunciava che pur considerandosi esterrefatto per quanto accaduto, lasciava aperte le porte
alla nuova discussione ed elencava i 10 punti per riaprire il confronto. AMMORBIDIMENTI Dopo poco poi,
anche il post di Grillo viene ammorbidito. Grillo da quel momento capisce di non essere più ascoltato ma solo
utilizzato come testimonial o cacciatore di voti e rallenta. Non va a fare campagna elettorale per le
amministrative di Reggio Calabria dove il movimento tocca il minimo del 2,49%. Non partecipa quasi per nulla
alle regionali, e ancora una volta il movimento fa flop. Sia in Calabria dove raggiunge appena il 4,96% che in
Emilia Romagna con la candidata Giulia Gibertoni che prende il 13,30%. Lo stesso comunicato di commento
del blog che rivendica il risultato positivo, usando numeri e percentuali, sembra scritto proprio dalla mano di
Casaleggio. Tutti questi episodi avevano fatto capire a entrambi i fondatori del movimento che la convivenza
era agli sgoccioli. Così a Milano avevano iniziato a lavorare a tappe forzate al piano B. Anzi, dalle
indiscrezioni che arrivano dal quartier generale della centralissima via Morone, dove ha sede la Casaleggio
Associati, si racconta che al dossier ci starebbe lavorando da almeno un mese il vice guru Davide. Che ha
previsto o come dice qualcuno, ha auspicato la rottura e ha preparato un piano per spersonalizzare il
movimento, designando già il candidato premier per le prossime politiche in Di Maio. IL PIANO Nel piano che
Gianroberto voleva tenere riservato anche ai più stretti collaboratori forse per non urtare la sensibilità del
comico, ci sarebbe la sostituzione di due dei pilastri che hanno caratterizzato l'ascesa del movimento. Un sito
web che dovrebbe sostituire pian piano come voce ufficiale il blog di Grillo che non verrà cancellato ma
resterà "solo" come sito del garante. Non si sa ancora molto di come sarà il nuovo sito tranne che sarà
realizzato internamente dalla Casaleggio, avrà la prevalenza del giallo, colore ufficiale del partito, sarà
direttamente collegato alla piattaforma di voto elettronico degli iscritti e avrà i contenuti scritti dai fedelissimi
della comunicazione e vistati solo dai Casaleggio. Il secondo punto si collega a quello che ha detto più volte
Grillo ovvero che «il movimento deve camminare con le sue gambe» e per questo anche il suo nome, che
fino ad ora è stato nel simbolo elettorale che ha accompagnato il movimento in tutti i suoi successi, sarà
cancellato. Al suo posto dovrebbe esserci il nuovo indirizzo web del movimento.
Europee 2014 (Italia + Estero)
Voti 21,2% Politiche 2013 (Camera Italia)
Voti 25,56%
I RAPPRESENTANTI CAMERA
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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E Casaleggio prepara simbolo e blog senza il nome di Grillo
30/11/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
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EUROPARLAMENTO
I numeri del M5S
5.807.362
8.691.406
630
320
73
22 104 17 39 seggi seggi ANSA SENATO seggi italiani i parlamentari espulsi
Foto: Gianroberto Casaleggio
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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01/12/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 5
(diffusione:210842, tiratura:295190)
M5S apre al «modello Consulta»: sentiamo il web poi via al confronto
Per i candidati al Quirinale referendum on line per poi trattare sui nomi come avvenuto per la Corte Nel
movimento dilaniato, fra gli eletti la voglia di una fase nuova: finora siamo stati a guardare SEMPRE PIÙ
DISTANTI CASALEGGIO E GRILLO ACCUSE DI DARE IL MARCHIO IN FRANCHISING. SCONTRO
SULLE ESPULSIONI
Claudio Marincola
ROMA L'onda lunga dello tzunami che ha travolto i 5 Stelle dopo l'espulsione degli ultimi due deputati rischia
di polverizzare il Movimento. Il passo indietro di Beppe Grillo a favore del direttorio cela infatti altre tensioni
inesplose. Una su tutte: il rapporto con Casaleggio pronto a mettere in campo un suo sito e un nuovo simbolo
passando la mano al figlio Davide. E il fatto che uno dei guru stia già cercando di mettere al sicuro «il
marchio» la dice lunga sul clima che si respira in queste ore. Venuto meno il collante tutto può sgretolarsi: è
la crisi più grave dall'inizio della legislatura. Per ora i 5 designati dall'ex comico preferiscono mantenere il
profilo basso. Prima di definire una nuova linea va fermata la centrifuga del fango. Il cambio di linea,
«l'apertura» dovrà comunque essere benedetta» dal web. I nomi per il Colle verranno scelti con le solite
modalità - il clic - tra una rosa di candidati che il blog proporrà «ma solo dopo aver sentito cosa ne pensano
gli altri». La nuova vena dialogante è la novità: «Finora siamo stati a guardare». IL DIETROFRON DI
CECCONI Intanto anche ieri insulti e accuse. Il capogruppo alla Camera Andrea Cecconi aveva assicurato
che l'espulsione di Artini e Pinna, espulsi senza il via libera dei parlamentari, sarebbe stata discussa in
un'assemblea congiunta mercoledì prossimo. Il timore di nuovi scontri e di un voto che smentisse il verdetto
del web, ha spinto il capogruppo (imbeccato dai capi?) al passo indietro. I suoi colleghi lo hanno appreso solo
quando la Boldrini ha comunicato all'Aula il passaggio nel gruppo Misto dei due. Da qui la riunione infuocata
del pomeriggio. Il direttorio - mancava solo Di Battista - che provava a calmare le acque, garantendo una
guida collegiale. E Cecconi che ammetteva: «È vero, ho firmato io la richiesta per l'uscita di Artini e Pinna dal
gruppo scavalcando il presidente Villarosa e l'Assemblea. L'ho fatto - si è giustificato - perché non non
potevano rischiare una non-ratifica dopo il voto del web». Il caso-Cecconi è la nuova conferma, semmai
occorresse, che i grillini vengono trattati dal vertice come Avatar. Da soli non possono decidere nulla.
(«Nemmeno Villarosa lo sapeva, ormai Grillo bypassa anche le cariche associative», ha ironizzato l'ex grillino
Ivan Catalano). Aspettarsi che il direttorio così proclamato possa andare in direzione ostinata e contraria è
pura illusione. Tra Di Maio e Di Battista non c'è mai stato un grande feeling. Carla Ruocco, Sibilia e Fico sono
stati finora esecutori ubbidienti. Il primo nodo sarà la nuova ondata di espulsioni. Sulla lista nera sono finiti
una ventina di eletti. Sicuri i nomi di Segoni, Mucci, Vacciano, Benedetti, Rostellato, Grande, Bechis, Cariello,
Mucc , Benedetti e Terzoni che su Facebook ha pubblicato e poi rimosso la foto dei 5 e la didascalia, «5Stelle
in franchising». Il secondo la scelta sul Quirinale. Il Pd darà le carte e i grillini parteciperanno alla partita,
Stesso schema della Consulta. SENATORI INFURIATI A nessuno è sfuggito poi il trattamento riservato da
Beppe Grillo ai senatori considerati inaffidabili da quando, contravvenendo agli ordini di scuderia, decisero di
ammutinarsi e votare Grasso presidente. D'allora il gruppo ha perso pezzi fino a scendere dai 54 iniziali a 39
attuali. Il siciliano Mario Michele Giarrusso prova a nascondere la delusione per il trattamento riservato ai
rappresentanti di Palazzo Madama. «Da tempo chiedevamo che tra noi e Grillo ci fosse un livello intemerdio
e ora lo abbiamo ottenuto», prova a fare buon viso a cattivo gioco. «La linea? Come al solito la discuteremo,
questo passaggio possiamo considerarla una sua evoluzione». Sarebbebene spiegarlo Vito Crimi e a
Roberta Lombardi, capigruppo della prima ora, messi da parte. Per non parlare di chi alle regionali in Emilia e
Calabria «ha dato l'anima» ed è stato ignorato da Grillo, come la Taverna e Morra. Il terremoto è solo iniziato.
Foto: Casaleggio e Grillo
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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IL RETROSCENA
29/11/2014
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 1
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Quando il nonno scappa con la boliviana
Marcello Veneziani
Che dire di un nonno di 74 anni che lascia sua moglie dopo 48 anni di matrimonio e tre figli basiti, e va via
con una boliviana di 25 anni? Che si è bevuto il cervello, ma l'effetto iniziale è inebriante. E non è più
un'eccezione: per un caso che accade davvero (nella bergamasca), dieci si profilano e cento avvengono solo
nella testa di tanti coetanei. È l'effetto combinato di due processi, uno positivo e uno negativo: l'età media si
allunga, la vitalità reagisce alla vecchiaia e scaccia la morte con l'eros. Il negativo è l'inseguimento folle di
una giovinezza permanente, l'egoismo estremo, l'incapacità di stare dentro i propri limiti, nella propria età, tra
i propri cari, una fuga dalla realtà tra il sublime e il ridicolo. Insolite sono state le reazioni: la moglie avverte
una strana euforia come se si fosse liberata da un molesto cataplasma da accudire. I figli lo vedono come
sotto effetto prolungato di stupefacenti, a cui seguirà un risveglio doloroso nella vecchiaia estrema. I nipoti
sono divertiti. Tutti prevedono che la boliviana, dopo averlo spremuto, lo butterà via come una vecchia
palandrana. Finora questa licenza anagrafica era consentita agli artisti o ai magnati, ora si democratizza
almeno per chi è agiato; altrimenti te le sogni, le boliviane. A sud mi raccontano sgomenti un altro quadretto
famigliare: un 50enne lascia la moglie, se ne va con un gay e i due figli scelgono di vivere con lui&lui. La vita
è una lucertola: persa la testa, si dimena la coda. Vita, ancora un giro, per favore.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Cucù
29/11/2014
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 38
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Il pugile Silvio manda ko il clan dei suonati
Paolo Granzotto
Silvio Berlusconi li fa di nuovo sbarellare. La sua ridiscesa in campo, nel ruolo di regista del centrodestra a
trazione leghista, ha di nuovo mandato in tilt i «sinceri democratici» che hanno ricominciato a spargere fango
sul redivivo Cavaliere. Pure Striscia la notizia , dopo un periodo di impacciato riposo, ha rinverdito la sua
tradizionale impostazione a piega mancina dedicandogli battute denigratorie a profusione. Il Maalox, di nuovo
richiestissimo nei sinistri salotti radical-chic, certifica che il centrodestra, unito intorno al Cavaliere, ha le carte
in regola per tornare forte come prima, più di prima. Prosit . Roberto Brambilla e-mail Così è, caro Brambilla:
in area «sinceramente democratica» i fegati scoppiano che è una bellezza perché quel che sembrava quasi
fatto - l'annichilimento del Cavaliere, della berlusconia e dell'elettorato forzitaliano - tarda a realizzarsi. Ed
anzi, il Berlusca prende l'aire, si rafforza come elemento centrale alla politica. La ferale botta l'ha data loro il
verdetto delle regionali dalle quali s'aspettavano il collasso delle «forze della reazione» e una impennata
significativa di Alfano, nel ruolo vincente che Fini perdente ricoprì nel 2013. Non è andata così e il segno
palese della disperazione (unita alle epatopatie) viene ancora dal Fatto Quotidiano e per penna, stavolta, di
Mark Travaglio. L'asso e nume dell'antiberlusconismo chiodato, carica che prima spartiva con Curzio
Maltese, attualmente dato per disperso nella seppur generosa (in palanche) savana europarlamentare. Una
intera lenzuolata, metà della quale per raccontare il film, al fine di accostare il Cavaliere - con incomparabile
esprit de finesse - al suonato, rimbecillito e malconcio pugile Artemio (Vittorio Gassman) d'un episodio de I
mostri di Dino Risi. E dunque, ridursi a simili bassezze è segno che dalle ultime vicende non l'arcinemico, ma
Travaglio e con lui l'antiberlusconismo escono frastornati. Suonati, per dir meglio. Come una campana.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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L'angolo di Granzotto
29/11/2014
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 38
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L'Europa «nonna» di Francesco ha molti nipotini inaffidabili
Mario Cervi
A Strasburgo Papa Francesco ha parlato di «un'Europa nonna e non più fertile e vivace». Ammetto che la
cosa mi ha intristito. Che cosa vorrebbe? Un'eutanasia collettiva? Potrebbero rimanere soltanto gli europei
under 60? Giovani rappers, writers, componenti dei centri sociali etc. potrebbero prendere il posto finalmente
dei nostri senatori a vita ottuagenari, dei capi di Stato, dei partecipanti a programmi tv ai quali più che degli
insegnanti di ballo servirebbero delle badanti? In effetti si potrebbe fare. Chissà se questo suo pensiero il
Papa lo ha rivolto al più che ottuagenario presidente della Repubblica in visita allo Stato Pontificio, e al suo
abituale e giurassico ospite signor Scalfari? Attendiamo istruzioni pontificie per attuare un maxi suicidio
europeo di massa. Daniela Portaluppi e-mail Cara amica, spiace anche a me che il Papa abbia descritto una
«Europa nonna», non più fertile e vivace. Il mio dispiacere si associa tuttavia alla convinzione che il Papa
abbia sintetizzato in termini efficaci la situazione, le prospettive, lo stato d'animo attuale del nostro continente
e dei suoi abitanti. L'ha fatto nella sede burocratico-parlamentare di Strasburgo e, come è suo dovere,
nell'ottica della Chiesa. Ma dicendo amare verità. Non mi pare che Francesco abbia auspicato (forse ho letto
male) l'eliminazione degli ultrasessantenni (dovrei preoccuparmi io ma dovrebbe preoccuparsi anche lui) e
nemmeno che abbia auspicato il rimpiazzo dei vegliardi ancora influenti nella nostra società, in primis i
senatori a vita, con giovanotti e giovinastri dei centri sociali. Ha solo puntato il dito - sottraendosi alla retorica
delle frasi fatte e degli autoelogi stantii - sul declino d'una Europa dai capelli bianchi o tinti. Di sicuro il Papa
appaia il tramonto dell'Europa all'attenuarsi o allo spegnersi della fede in molti cattolici. I laici vedono anche o
soprattutto altre cause del mal sottile di cui l'Europa soffre (e, con l'Europa, l'Italia). Ma il pericolo d'una lenta
e inarrestabile decadenza di quella parte del mondo che per millenni ne fu il centro è evidente. Si ha la
sensazione che una settantina d'anni di pace abbiano sminuito l'Europa più di due sterminatrici guerre
mondiali.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
212
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la stanza di Mario Cervi
30/11/2014
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 1
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Marine Le Pen: «Ora posso scalare l'Eliseo»
Gaia Cesare
Marine Le Pen: «Ora posso scalare l'Eliseo» a pagina 13 Seduta al fianco della nipote Marion - nuova erede
politica della famiglia che in queste ore, a 24 anni, scala la vicepresidenza del partito - Marine Le Pen si gode
lo spettacolo del padre e fondatore Jean-Marie che apre il Congresso di Lione ricordando quarant'anni di
attacchi e insulti subiti dal Front National. Tailleur pantalone nero (quasi a rievocare le radici) e solito
caschetto biondo, la dama dell'ultradestra francese si presenta al suo popolo con una sfilza di record senza
precedenti. Il Fn non solo è il primo partito di Francia. Il movimento agita e convince la Rete più degli
avversari. E infatti la platea è piena di ragazzi e il sito del Fn è il primo più visitato di Francia fra quelli politici.
Lei, che parla ormai a operai e moderati, è oggi la leader più seguita su Facebook. Mentre scalda i muscoli
per il discorso di oggi, combatte anche l'assalto dei giornalisti, per i quali è ormai la candidata favorita nella
corsa del 2017 per l'Eliseo. Tre generazioni riunite oggi e sua nipote Marion che trionfa alla vicepresidenza. Il
Fn è ormai una dinastia di famiglia? «Og n i g e n e r a z i o n e h a i s u o i c o m b a t t e n t i . M a è l a b a s
e c h e d e c i d e . E n o n m i s t u p i s c e c h e M a r i o n s i a i n t e s t a , s e l o m e r it a . È u n a g i o v
anepromettenteecomedeputatahadimostratocompetenza,energia,volo
n t à » . Oggi è anche la giornata di Sarkozy, eletto presidente dell'Ump. Si propone come l'uomo che unisce.
Lei è la leader che divide? «Vedrete cosa accadrà nell'Ump. La prima cosa che farà Sarkozy sarà uccidere
Alain Juppé politicamente, per stroncare la sua corsa alle presidenziali 2017». Suo padre dice che nel 2017
sarà Sarkozy-Le Pen e che lei diventerà presidente. Comincia a Lione la sua corsa all'Eliseo? «Qui comincia
l'assalto ai dipartimenti, cioè la preparazione al voto di marzo 2015. Abbiamo messo in campo un esercito di
ottomila candidati. E siamo il solo partito che a ogni elezione registra una crescita. Perciò sì, la fine sarà il
2017. Noi siamo preparati». In questi giorni il premier inglese Cameron ha annunciato lo stop alle prestazioni
sociali per gli immigrati. Anche voi farete lo stesso? «È quello che diciamo da anni. E infatti l'annuncio di
Cameron mi sembra di buon senso, anche se mosso probabilmente da ragioni elettoralistiche. Rientra
nell'ambito di quella politica dissuasiva dell'immigrazione che il Fn predica da sempre». Gli immigrati al largo
di Lampedusa vanno aiutati o lasciati in mare? «Sono stata a Lampedusa. Arrivano giovani di venti e
trent'anni, spesso cercano di raggiungere la Francia e la Germania. Ma chi, in quei Paesi, fa credere che
l'Europa sia un Eldorado ha una grande responsabilità. Sono convinta che questa gente vada ovviamente
messa in sicurezza, sfamata e dissetata. Ma poi bisogna subito riportarli sulle coste dalle quali sono partiti».
Per questo da anni siete considerati un partito razzista e xenofobo... «L'accusa di razzismo è solo una
strategia per impedire che si facciano buone politiche antiimmigrazione. I francesi non credono più a questa
storia». A Strasburgo, il Fn ha votato una mozione di sfiducia a Juncker insieme con Grillo e Farage. È l'inizio
di una nuova alleanza? «Se ci sarà convergenza, lo valuteremo di volta in volta. E voteremo di
conseguenza». Juncker ha annunciato un piano di investimenti da 300 miliardi. Sono molti soldi... «Sono
molte parole e pochi soldi. Juncker è la nuova frode». Tutta da buttare l'Unione Europea? «Ha adottato un
modello ultraliberista che sopprime la libertà dei popoli di decidere e ha messo in ginocchio il continente con
la sua austerità». La sua alleanza con Matteo Salvini è sempre più solida. Che vedete nel futuro della Lega
Nord? «Guardo con grande entusiasmo crescere i voti della Lega, con cui abbiamo una relazione di fiducia.
Credo che sarà presto al centro della scena politica italiana come lo è oggi il Front National in Francia». Ha
invitato Salvini a Lione. C'è grande affinità politica con il leader della Lega? «È un uomo estremamente
coraggioso. Ha dato alla Lega un respiro nazionale. Ha un'energia debordante. Certe volte, quando lo vedo al
lavoro, lo guardo estasiata». Lo vede primo ministro? «Perché no?» E Renzi? «L'altro Matteo è come
Sarkozy. Un grande talento al servizio della menzogna». Il prestito di 9 miliardi dalla banca ceco-russa. Siete
al soldo del Cremlino? «Sia chiaro: non c'è stata una sola banca europea pronta a prestarci dei soldi. Mi
sembra ci sia una volontà di impedirci di partecipare alla vita politica del Paese. Noi continuiamo a fare il
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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L'INTERVISTA
30/11/2014
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:192677, tiratura:292798)
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nostro lavoro: denunciare le banche e i loro interessi contro l'economia reale, mentre loro non svolgono il
ruolo di prestare soldi e finanziare la democrazia». Per la crisi in Ucraina, la Francia ha bloccato la consegna
della nave porta-elicotteri Mistral «Un grave errore storico, politico ed economico. La parola della Francia
dovrebbe sempre essere rispettata. Se basta che Obama apra bocca perché i nostri dirigenti rompano i
patti...».
Foto: CRESTA DELL'ONDA Marine Le Pen punta alla vittoria clamorosa alle presidenziali del 2017 Le frasi
L'UOMO CHE DIVIDE Sarkò dice di voler unire ma vedrete che la prima cosa che farà sarà far fuori Alain
Juppé ESTASIATA DA SALVINI Ha dato alla Lega un respiro nazionale Ha un'energia debordante e lo vedo
primo ministro L'ALTRO MATTEO Il vostro premier è come Nicolas: grande talento oratorio al servizio della
menzogna
30/11/2014
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 30
(diffusione:192677, tiratura:292798)
Quella italiana non è un buon esempio di repubblica parlamentare
La domanda è semplice, ma nessuno vuol dare una risposta: perché i cittadini non possono eleggere
direttamente il presidente della Repubblica? Sarebbe semplice per i media porre questa domanda per conto
dei cittadini. Che paura c'è? Ci sarebbe da raddoppiare il prezzo della pubblicità. Gianni Oneto e-mail
Caro Oneto, non mi pare proprio che i mezzi d'informazione e i politici italiani si siano poco occupati del modo
d'elezione del presidente della Repubblica. L'antico dilemma - meglio il voto popolare o il voto parlamentare dal quale discende il dilemma sui poteri del Quirinale è stato abbondantemente dibattuto. Senza paure che
non hanno nessun motivo d'essere. L'elezione popolare e diretta è sostenuta da molti - forse dalla
maggioranza dei cittadini - e un importante partito, Forza Italia, ha storicamente inserito il presidenzialismo tra
i punti fondamentali del suo programma. I pro e i contro delle due opzioni - elezione diretta e presidenzialismo
all'americana e alla francese o repubblica parlamentare - sono stati sviscerati a fondo (qualcuno rileverà che
anche il presidente degli Stati Uniti non è eletto direttamente dal popolo, ma si tratta della complicazione
procedurale d'un sistema dalle caratteristiche presidenziali ben definite). La Repubblica italiana, con il suo
parlamentarismo asfissiante, non è un buon esempio di repubblica parlamentare. Ma ve ne sono altre che
hanno anch'esse presidenti con pochi poteri e che funzionano egregiamente (la Germania, tanto per citarne
una, con il cancellierato). Qui si ritorna a una delle mie considerazioni preferite e dunque anche abusate (del
che mi scuso con i lettori). Le istituzioni sono recipienti nei quali viene collocato il Paese, con le sue qualità e i
suoi difetti. Se il Paese è adulterato da vizi di incapacità, di clientelismo, di corruzione la buona o cattiva
qualità del recipiente conta meno del contenuto.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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la stanza di Mario Cervi
30/11/2014
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 30
(diffusione:192677, tiratura:292798)
Ma le primarie convengono a Forza Italia?
Paolo Granzotto
Sono oltre 10 anni che lo vado scrivendo al Giornale , a Brunetta, a Silvio e altri di Forza Italia. Sempre
inutilmente. Mi è apparso evidente e lapalissiano quando Fitto è stato sconfitto in Puglia da Vendola. Ho
anche capito subito che non vi sarebbe entrato nella testa se non dopo che ve la foste rotta contro il muro
della vostra stessa ottusità. È probabilmente da allora che Fitto ha capito la lezione e ha riflettuto su di essa,
non per niente è diventato quello che sostiene le primarie con più forza. Fitto allora si ruppe la testa,
Berlusconi non se l'è ancora rotta abbastanza. Silvio vorrebbe avere Renzi come suo pupillo, gli ho scritto
che Renzi è il prodotto di primarie vere del Pd e che finché non si inventerà un circuito di primarie vere
all'interno dei simpatizzanti di Forza Italia non vedrà mai un suo Renzi. Gli ho anche scritto che Alfano non ha
quid perché era un suo nominato. Il quid nasce nell'utero delle primarie. Pensateci prima di rompervi troppo la
testa da scomparire dalla scena politica. Silvio, da impresario, ha inventato concorsi per lanciare un sacco di
artisti, è ora che si metta a fare l'impresario delle primarie di Forza Italia. Daniele Gionimi e-mail Eccola
dunque accontentato, caro Gionimi. Il suo grido di dolore è qui, nero su bianco. Il problema, però, resta ed è
quello che divide i primaristi dagli assemblearisti che lei chiama ottusi (ci sarebbero inoltre i padrepadronisti,
che non sono male e che potremmo anche dire pragmatisti, ma non è il caso di allargarsi): un partito come
Forza Italia (e il suo elettorato) avrebbe tornaconto dalle primarie? Strutturato com'è e che a differenza del Pd
non può contare sul lascito comunista della «radicalizzazione» - migliaia di sezioni e ai tempi tutte
appassionatamente frequentate - e della «militanza», attiva e convinta partecipazione alle attività del partito?
La domanda è, dunque: con questi presupposti a un partito come Forza Italia convengono le primarie ideate
come sono e cioè aperte a tutti i passanti? Segue dibattito.
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L'angolo di Granzotto
29/11/2014
Avvenire - Ed. nazionale
Pag. 10
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Campanella: «Resta il padrone E il blog è come la Pravda»
«È il partito meno democratico di tutti»
LUCA MAZZA
Passo indietro? Macché, Grillo resterà il padrone assoluto del movimento. I "magnifici 5" si limiteranno a
eseguire gli ordini del capo e non avranno la minima autonomia operativa». Il senatore Francesco
Campanella, espulso a febbraio dal M5S con la "scusa" di essere stato sfiduciato dagli attivisti sul territorio, è
convinto che l'ex comico continuerà ad avere il controllo totale della sua creatura politica: «Non ci sarà alcuna
decisione presa senza la sua approvazione». Allora, come si spiega il direttorio? È il tentativo disperato di un
partito che ha perso milioni di voti e non sa che cosa fare per recuperare consenso. Ma non riuscirà mai a
riconquistare la fiducia della gente. La maggioranza dei cittadini ha capito che il movimento ha fallito perché è
stato incapace di fornire risposte ai loro bisogni. La situazione interna le sembra peggiorata? Certo, ormai
M5S è diventato il partito meno democratico che c'è in Italia. Il blog è peggio della Pravda. L'impegno di far
partecipare gli attivisti in Rete non viene mai rispettato. Si votano decisioni già prese preventivamente da
questo presunto staff di Grillo. Che cosa pensa delle ultime espulsioni? Si tratta, anche stavolta, di cartellini
rossi irregolari. Artini e Pinna hanno restituito i soldi come tutti gli altri. Grillo è un bugiardo: quella dei mancati
rimborsi è un'enorme falsità. Io e Fabrizio Bocchino, altro senatore espulso, stiamo continuando a mettere da
parte le indennità eccedenti e abbiamo già comprato una serie di arredi per alcune scuole di Palermo. Ci sarà
ora una vera scissione? Molto probabile. Il dissenso cresce e sono in aumento i parlamentari intolleranti a un
metodo che prevede esclusivamente decisioni calate dall'alto. E coloro che non se ne andranno
volontariamente saranno espulsi attraverso le solite procedure. È probabile la nascita di un "Movimento 2"?
Al Senato finora non ci siamo riusciti. Il mio sogno resta quello di formare un Movimento 5 Stelle senza Grillo.
Ma non so se ci saranno la voglia e la maturità politica di tutti gli espulsi per realizzare questo progetto.
MASSIMO D'ALEMA «Metodo controproducente» «Grillo richiama una concezione della politica che in fondo
è controproducente anche per M5S». FABRIZIO CICCHITTO «È un tribunale stalinista» «Grillo ha messo in
piedi un tribunale stalinista. Qualunque partito che fa così si fa dei tragici autogol»
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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L'intervista
30/11/2014
Avvenire - Ed. nazionale
Pag. 5
(diffusione:105812, tiratura:151233)
Intervista. UPer Meyrem Ilayda Atlas, editorialista del quotidiano turco «Sabah» il Pontefice «ha mostrato
grandissima umanità e io sono certa che questa disposizione così aperta darà presto i suoi frutti»
MARTA OTTAVIANI
Una nuova era nelle relazioni fra cristiani e musulmani, un Papa che si occupa con coraggio anche dei grandi
problemi della regione. Meyrem Ilayda Atlas, editorialista del quotidiano Sabah , ha spiegato ad Avvenire
perché la visita di papa Francesco sia così importante e positiva e quali possano essere gli effetti benefici per
tutto il Medio Oriente. «Non posso che esprimere tutto il mio entusiasmo a riguardo. Questo è l'inizio di una
nuova era nel dialogo fra cristiani e musulmani. Nonostante si tratti del quarto Pontefice che visita la Turchia,
per la prima volta ho avuto la netta sensazione di essere di fronte a una persona ispirata da un grande
rispetto verso il prossimo, che vuole costruire un dialogo sincero e che fa della diversità un elemento positivo.
Girando per moschee ho incontrato persone che la pensavano come lei, ma anche tanta diffidenza. Pensa
che il messaggio del Pontefice verrà percepito in modo così positivo anche da chi ha dimostrato freddezza
nei suoi confronti? Papa Francesco ha dato prova di conoscere molto bene l'islam e il mondo musulmano, ma
soprattutto ha mostrato grandissima umanità e io sono certa che questa disposizione così aperta darà presto
i suoi frutti. Sono state poste le premesse per una ricomposizione fra cristiani e musulmani. Si è trattato di
una visita veramente importante. Martedì è il giorno in cui i capi dei partiti presenti in parlamento, tengono un
discorso pubblico ai loro deputati. Ecco io spero che tutti i leader politici, non importa di che parte, parlino del
viaggio di papa Francesco. Cosa l'ha colpita in particolare, oltre ovviamene alla condanna ferma
dell'islamofobia? Il suo coraggio. Papa Francesco ha parlato con grande chiarezza della situazione in Siria.
La Chiesa è intervenuta su un argomento nei confronti del quale l'Europa tace. Io lo ringrazio per questo.
Credo che l'Occidente non ne stia uscendo affatto bene. La Turchia sta aiutando ormai da tre anni i rifugiati
che scappano dagli orrori della guerra civile. In questo momento, la Turchia, da sola, sta aiutando oltre un
milione e mezzo di rifugiati, fra cui ci sono anche 30mila cristiani. Io credo, spero che le parole del Papa
riusciranno a smuovere le nazioni europee. Quella siriana è una crisi che sta toccando tutti e che ha
conseguenze devastanti, non solo per il mio Paese. Qualcuno però dice che la Turchia un po' se l'è cercata. Il
presidente Recep Tayyip Erdogan e il premier Ahmet Davutoglu sono stati accusati di aver stretto in qualche
modo degli accordi con l'Is... Io vorrei sapere come si possa affermare una cosa del genere. La Turchia,
casomai, è la prima vittima dell'Is. I terroristi sono alle porte dei nostri confini. Tutto quello che succede nella
regione ha una ricaduta diretta sul mio Paese. Il Papa ha fatto anche un forte appello all'uguaglianza, nei
doveri e nei diritti, di tutte le religioni. Come pensa che vivano le minoranze religiose nel suo Paese? Negli
ultimi anni sono stati fatti molti passi avanti. La libertà di culto c'è sempre stata però alcune confessioni
religiose hanno anche avuto la possibilità di rientrare in possesso di beni che erano stati loro espropriati nei
decenni precedenti. Se poi lei mi dice che devono ancora essere fatti dei passi avanti, io le dico senza
problemi che sono d'accordo e aggiungo che adesso, con questo dialogo sincero fra la Turchia e il Papa, le
cose potranno migliorare ulteriormente. Pensa che questo viaggio aiuterà l'immagine della Turchia davanti
alla comunità internazionale? Lo vedo difficile. La Turchia è sotto attacco da parte della comunità
internazionale da mesi ed evidentemente nessuno si è reso conto che stiamo soffrendo molto per la
situazione internazionale, non solo quella siriana, ma anche quella irachena. Credo che spesso si giudichi il
mio Paese a priori.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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«Può essere l'inizio di una nuova era»
29/11/2014
Libero - Ed. nazionale
Pag. 1
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GIANCARLO PERNA
Gli svolazzi del Rondolino innamorato del potere a pagina 10 Sul divano, con un micio sulle ginocchia, un
cane ai piedi e un gattone bianco al collo, si è concesso per un'ora alla mia contemplazione Fabrizio
Rondolino, che fu della squadra dei calvi di Max D'Alema, con Marco Minniti, Claudio Velardi, ecc. Fabrizio è
un cinquantaquattrenne molto simpatico, odioso a molti per il santo vizio di parlare schietto. Rondolino scoprì
Roma negli anni '80, dove scese da Torino per occupare un posto di rilievo nella Fgci, la palestra dei giovani
comunisti. «Mi innamorai della città in modo folle - racconta -. Da noi, il cielo azzurro c'è una volta ogni
quindici giorni. A Roma c'è sempre». Non l'ha più lasciata. Ora è sistemato in un attico da nababbo con vista
sul Foro romano, nel punto esatto in cui fu pugnalato Giulio Cesare. Può permetterselo in base alla regola
che si è data: vivere sopra i propri mezzi, abitando in affitto case che non potrebbe mai acquistare. Superata
l'età per stare nella Fgci, ebbe il problema di come mantenersi nella città elettiva. Tra le possibilità, entrare
come cronista all' Unità , il giornale del Pci, allora diretto da D'Alema. Fabrizio titubava. Si era laureato in
Filosofia teoretica e acconciarsi a scribacchino gli dava il raccapriccio. A convincerlo, fu una rivelazione del
condirettore, Renzo Foa. «Non si inizia a lavorare prima delle undici», gli disse incidentalmente. «È il lavoro
per me», esclamò subito Fabrizio che la mattina è catatonico. Fu così che divenne giornalista. Come tale è
stato portavoce di D'Alema all'epoca in cui fu premier (1998-2000). Era il primo non funzionario di partito a
tenere i rapporti con la stampa per un alto papavero dell'ex Pci. «Finita quella esperienza, hai cominciato a
vorticare. Tra l'altro, sei finito al Giornale dei Berlusconi. Com'è stato?», chiedo. «A un certo punto - risponde
-, ero entrato alla Stampa . Quando però divenne direttore, Mario Calabresi mi isolò. Per un anno e mezzo
non si fece vivo. Non mi chiese mai un articolo. Mi convocò solo per darmi il benservito. Allora bussai alla
porta del Giornale . Il direttore Alessandro Sallusti mi accolse benevolmente e mi ha fatto lavorare, senza
censurare una riga. Anche ora che ho traslocato (oggi scrive su Europa , ndr) , gli sono grato e gli voglio
bene». «Per li rami, hai conosciuto Daniela Santanchè e sei stato un suo stipendiato consulente politico»,
dico. «Una donna straordinaria, un po' matta e con una marcia in più. Abbiamo in comune una vena
anarchica. Forse dico una caz..ta, ma credo che la differenza tra l'essere di destra o di sinistra sia meno
importante che quella tra essere anarcoidi oppure inquadrati. È questo che differenzia o unisce.
Umanamente, perciò, mi trovo spesso d'accordo con gente di destra, nella quale questo anarchismo è più
diffuso». L'enormità genera la reazione dicane e gatti che lasciano indignati il salotto. «Oggi che voti?»,
chiedo sconcertato. «La sola volta che non ho votato Pd è stato alle politiche 2013 perché non sopportavo
l'idea di Bersani. Oggi, sono per l'astensionismo: se uno mi convince, voto; se no, resto a casa». «Sei ancora
di sinistra?», insisto. «Sono un libertario. A rigore perciò, non sono di sinistra, anche se il cuore è lì. Ho una
posizione terza: quando la sinistra è per i diritti civili, sono con lei; quando fa la statalista, no. Negli Usa,
voterei forse i repubblicani che sono più anarchici». «A proposito di Usa, cos'è questa mattana della tua casa
nel deserto del Nevada, dove vai appena puoi con moglie e figlie? Vuoi sbalordire noi provinciali?», chiedo.
«No. È un'autentica passione. L'orizzonte infinito, il cielo stellato, il deserto. È il paesaggio dei film di John
Ford. Per me, è un prozac», dice sognante. «Mi fai venire voglia». «Quando vuoi, sei ospite. Lo sceriffo della
contea ha le chiavi. Tu le prendi e vai. Intorno, per sette miglia, non c'è nessuno. Poi, c'è un bordello,
l'abitazione più vicina. Il Nevada è tutto casini e casinò. Sono andato nel lupanare per la visita di
presentazione, come usa tra vicini. Ero con mia moglie e le nostre due figlie. Quando la tenutaria ci ha visti,
ha pensato che volessi offrire la mia merce», ride e richiama in salotto cane e gatti. Mario Calabresi si è
comportato male con te e tu lo hai pubblicamente mazzolato. «Ho detto la pura verità: ha fatto una carriera
immeritata in quanto figlio del commissario ucciso dalla Br. Si è consapevolmente appoggiato al mondo
potente dei nemici di suo padre che lo hanno favorito per lavarsi la coscienza». Hai maltrattato anche il padre
dandogli del poliziotto invasato, responsabile della morte dell'anarchico Pinelli. «Come investigatore, il
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Gli svolazzi del Rondolino innamorato del potere
29/11/2014
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Pag. 1
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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commissario Calabresi non valeva molto. La sua pista era sbagliata, perché gli anarchici nulla c'entravano
con Piazza Fontana, e la morte di Pinelli è avvenuta nel suo ufficio. Vogliamo chiamarla responsabilità
morale?» Pensi davvero così? «Poiché Calabresi è morto male, lo abbiamo fatto santo. Poi, è stato innalzato
a eroe anche il suo carnefice, Adriano Sofri. Un balletto grottesco che rispecchia l'ipocrisia del nostro Paese».
«L'Italia fa notoriamente schifo», frase tua. «Purtroppo, sì. Dico "purtroppo" perché non mi piace lo spirito
antitaliano, diffusissimo a sinistra, e mi sento in imbarazzo a schierarmi con costoro. Ma è così: l'Italia è
marcia. Colpa dell'unità (Rondolino, nel 2012, ha pubblicato un libro L'Italia non esiste , ndr) che ha soffocato
la creatività degli italiani. Peccato che la Lega abbia abbandonato l'unico tema che valesse: la disunità». Dici
cose sgradevoli per amor di verità o per stupire? «C'è un po' di esibizionismo. Ma soprattutto fastidio per i
luoghi comuni». Matteo Renzi? «Ne sono infatuato. Mi piace la sua pars destruens. Penso che l'Italia vada
destrutturata: sindacato, Pa, vecchi Pd. È la premessa per uscire dai guai. Renzi saprà poi ricostruire? Non
so. Qui, torna la mia sfiducia verso l'Italia. Temo sia inguaribile». Che pensi della "ditta": i Cuperlo, Civati,
ecc? «Molti sono amici e non vorrei offenderli, ma mi fanno pensare all'evoluzione degli scimpanzé. Ci sono
gli scimpanzè che escono dalle foreste e vanno nella savana in cerca di esperienze. E gli altri che restano
nella foresta. Loro sono così: si rintanano e non affrontano il futuro. Ma se il mondo cambia, l'imperativo è
cambiare». Patto del Nazareno? «Togliatti puro: il realismo di accordarsi per salvare il Paese. Lo fece Palmiro
nel dopoguerra, Berlinguer col compromesso storico, ci provò D'Alema col Cav per le riforme costituzionali
degli anni '90. Se però lo fa Renzi, la ditta lo accusa di "riabilitare Berlusconi". Questa è malafede».
Berlusconi? «Grand'uomo. Confesso di subirne il fascino. Ne ammiro l'irriducibilità e la capacità di trattare su
tutto. Grande lezione politica. Vergognoso che la sua vita privata sia stata portata sotto i riflettori».
Rimproveri? «La classe dirigente di Fi non è brillante. Per questo ha fallito le riforme liberali. Io stesso mi
sento orfano delle promesse non realizzate. Ma lui, il Cav, è forte: si sta gestendo meravigliosamente anche il
tramonto». Grillo? «Ha portato in Parlamento solo dei rancorosi sociali. Rabbia e nient'altro. Fa ribrezzo».
Salvini ha due obiettivi: uscire dall'euro, frenare l'immigrazione. Li condividi? «No. L'euro, come tutto ciò che
unisce, rende la vita più facile e rappresenta il progresso. Sull'immigrazione sono per le porte aperte. Penso
sia un diritto naturale vivere la vita come e dove uno vuole. Se sono in un posto di merda e cerco una vita
migliore, ne ho diritto. Io poi sono stato fregato più dagli italiani che dagli stranieri». Napolitano? «Ha fatto il
possibile e di più». Hai fiducia e rispetto per la magistratura? «Fiducia, no. Al rispetto sono costretto». Il
politico che più ti è piaciuto? «Posso dire Renzi? Come politico è grandissimo. Prima, a parte D'Alema che
per me è come un parente, c'è solo Craxi. Lo statista Renzi, invece, è tutto da dimostrare. Sono però
affascinato dal suo gioco». Emigrerai o ci terrai compagnia? «Conto di passare più tempo negli Usa. Lì mi
sento a casa e appagato. Ho il mal d'Africa per l'America».
Fabrizio Rondolino, 54 anni, ha lavorato all'«Unità» prima di diventare portavoce di D'Alema, quando
quest'ultimo, nel 1998, divenne il primo premier ex Pci. [Fotogramma] DA BAFFINO AL ROTTAMATORE
30/11/2014
Libero - Ed. nazionale
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«Ignazio, un marziano che terrorizza i romani»
BARBARA ROMANO
Alfio Marchini riprova a conquistare Roma. Eppure la prima volta, nel 2013, non raggiunse neanche il 10% di
voti . «Allora partimmo dall'1% e in soli tre mesi, (...) segue a pagina 8 segue dalla prima BARBARA
ROMANO (...) e senza partiti, prendemmo più voti di quelli che Forza Italia ha ottenuto in Emilia. Se tutti i miei
insuccessi fossero così, firmo subito». Famiglia ricchissima, la sua. «I ricchissimi sono altri». A quanto
ammonta la sua ultima dichiarazione dei redditi? «Un milione e seicentomila euro circa». Complimenti.
Imprenditore, finanziere, giocatore di polo. Ha frequentato tutte le stanze del potere nostrano e
internazionale: da Cuccia a Romiti passando per Geronzi, Caltagirone, Shimon Perez e Arafat, oltre a una
sfilza di presidenti e segretari di Stato americani, a Giovanni Paolo II e a don Giussani. Chi glielo fa fare di
immischiarsi con Roma e con Ignazio Marino? «La scelta di fare politica attiva è figlia di un'antica passione
familiare, ma anche di un miracolo che nel 2009 è avvenuto nella mia vita». Che accadde? «Il mio primo figlio
ebbe un incidente e rimase in coma. Poi, il recupero prodigioso. Lì decisi di offrire dieci anni della mia vita per
gli altri. Roma ha dato molto alla mia famiglia, è giusto esserle riconoscente». Sono bravi tutti a candidarsi
per il dopo Marino: fare meglio di lui non sarà difficile. «Prima s'interrompe il gioco del cerino tra il Pd romano
e quello nazionale, mettendo fine a questa esperienza, e prima rimettiamo in moto Roma per dare lavoro ai
romani». Il cerino sarebbe Marino. «Sono tutti terrorizzati di restare bruciati da lui e ormai il povero Marino è
figlio di madre ignota». Lei che voto gli dà? «Le dò una percentuale: 90%. Tanti sono i romani che non lo
vogliono sindaco. Marino è percepito come un corpo estraneo. Il guaio è che lui, in fondo, ne va pure fiero».
Resta il fatto che la città è difficilissima da governare. Lei che avrebbe fatto dinanzi agli scontri di Tor
Sapienza tra romani e immigrati? «Due anni fa dissi che da sindaco avrei spostato la sede operativa in
periferia. Andarci dopo, come ha fatto Marino, serve solo per la vetrina». A parte il trasloco in periferia? «Il
problema si risolve ripristinando la legalità. Non è ammissibile che vi siano campi nomadi dove la regola è
vivere con attività illegali. Non sono più tollerabili i fuochi tossici per bruciare la raccolta clandestina di rifiuti
che ogni notte avvelenano Roma. Per immigrati e rom deve valere la regola generale di ogni comunità: i diritti
e i doveri camminano insieme». A proposito di diritti: lei avrebbe trascritto nei registri del Comune i matrimoni
gay celebrati all'estero? «No. È stata una spettacolarizzazione inutile e dannosa anche per chi combatte la
battaglia per i propri diritti civili». Avrebbe pedonalizzato il centro storico? «È stata una ghettizzazione al
contrario. Fare del centro una grande vetrina è un'idea sciagurata. Roma è l'umanità che vive dentro la storia.
Cosa diversa sarebbe stato abolire il delirio di bancarelle abusive e potenziare il trasporto pubblico». Con il
fallimento di Marino, De Magistris e Doria finisce la generazione dei "sindaci arancioni" figli della piazza. «A
partire dalle elezioni in Emilia, gli elettori hanno fatto capire che d'ora in poi voteranno per la competenza e
non più per appartenenza». Ma lei con chi scende in campo? «Con Roma e con chi non si riconosce nella
fallimentare esperienza di Marino. Sia lui che Alemanno hanno deluso tutte le attese. Ora proviamo a far
vincere Roma. Mobilitiamo una grande squadra senza avere la presunzione che i fuoriclasse stiano solo da
una parte». Ha in mente una lista civica? «Ho in mente donne e uomini, professionisti e politici che mettano
cuore, competenze e che si giochino un pezzo della loro esistenza in questa missione. Basta con i
galleggiatori di professione». Ha parlato con Berlusconi della sua ricandidatura? «No». Però quando il Cav
cercava un volto nuovo per il centrodestra la volle incontrare. Che successe poi? «L'unico erede di Berlusconi
è lui stesso. Tutto il resto è folklore». A Roma esiste il quartiere Marchini. Popolare, costruito dalla sua
famiglia. Lei ci abiterebbe? «Sì. Anche se cinquant'anni fa il verde non aveva proprio vita facile». Siete ormai
alla quinta generazione di costruttori. Suo nonno era molto legato al Pci e la leggenda vuole che fu lui a
donare al partito la sede di Botteghe Oscure. Quanti leader storici della sinistra ha conosciuto?
«Personalmente negli ultimi vent'anni ho deciso di non partecipare al grande ballo del mattone. Nonno Alfio
aveva una stima infinita per Amendola e raccontava che sacrificò la propria carriera politica per amore della
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Alfio Marchini
30/11/2014
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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moglie pittrice. Chapeux!». A suo nonno Alfio lei ha anche dedicato un saggio su Micromega. L'impressione è
che abbia segnato la sua vita più lui di chiunque altro. «È stato fondamentale nella mia formazione. Mi ha
sottoposto ad una gavetta durissima ancor prima che mi iscrivessi a Ingegneria. Mi ha insegnato il senso
delle priorità nel prendere le decisioni. Ho visto che non si comanda con l'autorità, ma con l'autorevolezza e
l'esempio. Era ossessionato dal dovere morale di dare lavoro. Le nostre discussioni politiche erano feroci».
Suo padre? «Generoso, buono, straordinariamente sensibile e fragile. Mi manca più di quanto il dolore
permetta a me stesso di sentire». E lei che padre sogna di essere per i suoi cinque figli? «Ha presente quei
fiordi profondi sulle coste della ex Jugoslavia? Ecco, un rifugio aperto con mare calmo e pronto ad accogliere
i figli prima o dopo i viaggi nei marosi delle loro esistenze». Quante volte ha votato Pci? «Mai. Anche se
riconoscevo ai comunisti italiani una diversità rispetto al blocco sovietico». Lei ha frequentato il liceo
Massimo. Come Draghi, Montezemolo, Abete, Rutelli... «Con Rutelli abbiamo lavorato insieme durante il suo
primo mandato di sindaco. Un politico che ha dimostrato di amare sinceramente Roma». Ha frequentato
anche il Collegio San Giuseppe dell'Istituto De Merode, scuola cattolicissima per famiglie ricche.
Cattocomunismo alla romana. «Per la disperazione di mio nonno non sono mai stato comunista e la mia
formazione è sempre stata laica e sinceramente anticlericale». Eppure lei ha fama di essere cattolico
praticante. «La fede è il più grande dono che la vita mi abbia riservato». Cosa è la fede per lei? «Un viaggio
dove anche nel buio si sopravvive grazie alla folle presunzione, tutta cristiana, di sentirsi personalmente
amati da un Dio dal cuore umano, da sempre e per sempre». Tornando al profano, di lei a Roma si dice che
sia il candidato di Caltagirone. «L'amicizia esiste solo nella libertà e nella autonomia reciproca. E questo è il
nostro rapporto. La dimostrazione? Mentre attaccavo pesantemente Marino, Caltagirone in una intervista ne
tesseva pubblicamente le lodi». Chi ha finanziato la sua campagna elettorale nel 2013? «Ahimé, è stata quasi
tutta autofinanziata. Ad esempio con Caltagirone spesso scherzo ricordandogli che alla fine sono stato io ad
investire in pubblicità sui suoi giornali. Negli affari è imbattibile». Lei è stato il pupillo di Enrico Cuccia. È stato
lei a presentarlo a Massimo D'Alema quando era premier. I due si sono piaciuti? «C'era una stima reciproca».
Il suo amico D'Alema odia cordialmente Renzi. Lei? «Non amo il buonismo, ma l'odio è un sentimento che
non mi appartiene». Ha votato Renzi alle primarie del Pd? «Non ho votato alle primarie». Per chi voterà alle
Politiche? «Ho grande nostalgia per il mio primo voto, quello che diedi al partito Repubblicano». Ha mai
votato Forza Italia? «No, però nel '94 scommisi con Gianni Letta che Berlusconi avrebbe vinto le elezioni».
Alla Leopolda di Renzi era presente tutta l'Italia che conta. Lei c'era? «No. Evidentemente non conto». Non è
andato nemmeno alla cena organizzata dal Pd per finanziare il partito, dove l'avrebbero accolta a braccia
aperte. «Non amo partecipare alle cene. A casa mi definiscono un orso poco incline alle mondanità». La
prima cosa che farà se diventa sindaco della Città Eterna? «Mettere in sicurezza Roma e i romani». Le
priorità della Capitale? «Sicurezza, lavoro e trasporti». Oggi il Campidoglio, domani Palazzo Chigi? «No,
credo che la sfida non sia più tra Paesi, ma tra StatiContinenti e grandi aeree metropolitane, ed è questa
seconda sfida che mi affascina. Roma è unica e ha la grandezza nel suo Dna. Tornerà ad essere una regina
e aiuterà l'Italia a rialzarsi».
Alfio Marchini, 49 anni, si è candidato nel 2013 alla poltrona di sindaco di Roma, ottenendo il 9,5%. È
imprenditore, finanziere e giocatore di polo. L'ultima dichiarazione dei redditi: un milione e 700 mila euro. In
basso è col padre Alessandro, in alto a destra col nonno Alfio, al ricordo del quale è molto legato. ALBUM DI
FAMIGLIA
IL NONNO
Nonno stimava Amendola, ma per sua disperazione non sono mai stato comunista
IL PADRE
Mi manca moltissimo mio padre, un uomo buono, sensibile e fragile
LA POLITICA
Nel 1994 scommisi con Letta che Berlusconi avrebbe vinto le elezioni. Il mio voto? Rimpiango il
partito repubblicano
30/11/2014
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Foto: Alfio Marchini senior e Alfio junior, nonno e nipote
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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29/11/2014
Il Foglio
Pag. 2
(diffusione:25000)
Adriano Sofri
Grazie a "Non c'è pace senza giustizia" e a Radio Radicale, ho saputo che lo scorso 20 novembre in Egitto si
è celebrato, con il peggiore degli esiti, il primo processo a un medico e predicatore islamista per l'intervento di
mutilazione genitale su una bambina di 12 anni, che ci ha perso la vita. Era imputato anche il padre della
bambina. I due sono stati assolti, senza alcuna motivazione comprensibile, e autore dell'intervento omicida e
famiglia della bambina hanno lavato fra loro ferri e panni sporchi al costo di transazione di 5 mila sterline
egiziane, versate alla famiglia. Era il primo processo, dopo il voto del bando alle mutilazioni genitali femminili,
nel 2008. Secondo l'Unicef, il 91 per cento delle bambine e delle donne egiziane ha subìto questa violenza
atroce: spero di aver letto male. Do qui il mio piccolo contributo all'eventualità che questa infamia sia
conosciuta.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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PICCOLA POSTA
29/11/2014
Il Foglio
Pag. 9
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L'IRROTTAMABILE VESPA
Da più di vent'anni scivola come sabbia tra gli ingranaggi del potere. Il suo talk resiste a ogni governo e a
ogni cambio di vento. Ecco il conduttore di "Porta a Porta" Ad Aldo Grasso non piaci. "Se facessi la tivù con lo
stesso pluralismo con cui lui cura le sue rubriche mi avrebbero già cacciato" "Non ho difficoltà a dire che
'Porta a Porta' è stata importante per Berlusconi. Ero l'unico conduttore moderato in Italia" "La rottamazione
la subisci quando non hai più mercato. E io il mercato ce l'ho. Quest
Salvatore Merlo
Dice: "Il potere dovrebbe essere esercizio, ma più spesso in Italia è occupazione". Allora gli rispondo: ma sei
uomo di potere anche tu. Hai attraversato come sabbia tutti gli ingranaggi del potere, della Prima e della
Seconda Repubblica, forse ora persino della Terza: hai navigato da galeone nel giornalismo Rai, sei scivolato
da re della televisione di stato nelle fessure e nelle grandi sale del Palazzo, adesso ricopri anche l'incarico di
direttore editoriale del gruppo Riefesser-Monti. E mai ti sei fatto stritolare. Anzi. "Non è vero", risponde lui,
con la sicurezza calma e la modestia di volpe. "Intanto nella mia vita ho anche subito le epurazioni. E poi,
avere potere significa poter decidere, fare dei favori. E che favori faccio io? Chi viene da me in televisione ci
viene perché ha assolutamente diritto d'essere invitato. Anche Di Pietro venne a 'Porta a Porta', quando
eravamo in causa, e a quel tempo davvero non ci sopportavamo. Io non gli diedi la mano, ma lo ospitai". E
insomma Bruno Vespa si descrive compostamente democristiano, di una Dc a modo, e dunque forse
inattuale, non certo la Dc cinica, che combinava e scombinava, e neppure quella demitiana con le sue
pretese palingenetiche, ma la Dc dimessa e compita che tutto assorbe e tutto ricompone (anche le domande
più biricchine), che crede all'informazione sacerdotale, che indossa la veste talare del giornalista. Ma è poi
vero? "Rispetto a Ferruccio de Bortoli ed Ezio Mauro, ai direttori di Corriere e Repubblica, io sono un
bambino, un ingenuo. La tivù è decisiva più dei giornali nell'influenzare, nel determinare orientamenti, anche
di voto. Ma le grandi firme dei quotidiani sono più importanti, più potenti degli anchorman televisivi. 'Porta a
Porta' influisce più del Corriere della Sera. Beppe Grillo è venuto da noi, perché aveva bisogno d'intercettare
un certo tipo di elettori...". Però? "Però nessuno oserebbe mai dire che io sono più potente di un direttore di
giornale". Eppure Vespa è avvolto da questa reputazione d'avere infinite conoscenze e amicizie potenti, una
caratteristica, gli dico, che in Italia spesso è maggiormente d'aiuto d'una fama di correttezza, d'intelligenza o
anche di ricchezza, aggiungo. "Ma no. Anche le storie sulla terrazza di casa, le cene, sono tutta fiction. Ogni
volta che ho invitato Berlusconi a casa mia c'era sempre uno dell'altra parte". Appunto, gli rispondo. "Ma dài.
Questa favola che io avrei officiato i grandi patti della Seconda Repubblica mi fa ridere". Ma anche tua
moglie, Augusta Iannini, è una donna potente, molto conosciuta, rispettata, dirigente del ministero della
Giustizia con tutti i governi e tutti i ministri. E a questo punto Vespa ascolta senza dire niente, inclinando la
testa, con un'espressione di attenzione e di sommesso calcolo. Poi dice: "Significa che a casa non ci
annoiamo. Diciamo che manteniamo molto aperta la dialettica famigliare". E davvero è felpato, avvolgente,
sguscia via come sabbia. "Uno potente in televisione è stato Maurizio Costanzo. Io non ho mai promosso
carriere", dice. Pausa. Tono di lieve, compiaciuta ironia: "Semmai talvolta porto fortuna. Un tempo dissi che ci
sarebbe voluto un Papa polacco... e guarda un po'...". [Vestito di un blu che le luci rendono elettrico e in certe
angolazioni iridato, Vespa gigioneggia con il cameriere del ristorante romano in cui l'ho portato, Checco il
Carrettiere. "Possiamo fare dei carciofi alla romana", suggerisce l'uomo in grembiule bianco. "Dopo di che
abbiamo finito", risponde Vespa. "... E anche dei fiori di zucca", elenca l'altro. E lui: "Tutti peccati con i quali si
comincia e non si sa come si finisce". Poi rivolto a me: "Vino?". Solo se lo scegli tu. "Potremmo fare un
Montepulciano d'Abruzzo. Lo Zaccagnini non ce l'ha?". E il cameriere: "No, ho un Emilio Pepe del 2010".
"Peccato". Poi Vespa mi racconta: "Zaccagnini è il mio benefattore. Adesso produco vino e lui mi ha messo a
disposizione la sua rete commerciale. Faccio circa cinquantacinquemila bottiglie l'anno". Accidenti. E ci perdi
molti soldi? "L'obiettivo e il pareggio". Gli chiedo, dubbioso: ma perché a un certo punto della vita tutti vi
mettete a fare vino, anche D'Alema? E lui: "Abbiamo pure lo stesso enologo, Riccardo Cotarella. Per colpa
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INTERVISTA - 12 ATU PER TU
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sua una volta D'Alema mi ha fatto una scenata di gelosia pazzesca"] Berlusconi ti voleva sindaco di Roma, gli
dico. "E' vero. Ai tempi del secondo mandato di Francesco Rutelli il Cavaliere mi chiese di candidarmi. Mi
telefonò di buon mattino, ero appena uscito dalla doccia. Gli dissi: 'Guardi, perderei. E di brutto anche'. E
Berlusconi, stupito: 'E perché mai perderesti?'. E io: 'Perché all'ultimo te deum alla chiesa del Gesù ho
seguito Rutelli e il Papa. E a un certo punto non capivo più chi fosse Rutelli e chi il Papa". E la proposta di
Berlusconi ti sorprese? "Già una volta, era il 1995, Pinuccio Tatarella mi chiamò d'urgenza. 'Vediamoci
subito'. Allora andai a incontrarlo, c'era anche il suo scudiero, Italo Bocchino. Volevano diventassi una specie
di ministro della Cultura, indipendente, uno che tranquillizzasse la gente che non era ancora pronta a votarli".
A me hanno detto che Berlusconi vorrebbe candidarti sindaco di Roma anche adesso. "Non che io sappia.
Uno dei limiti del centrodestra è che non programmano niente. Se vogliono vincere le elezioni, devono
sceglierlo adesso, subito, il candidato sindaco di Roma. E quello, l'aspirante primo cittadino, già da subito
deve cominciare a fare opposizione, a fare le pulci a Ignazio Marino. Non è difficile. Marino è il peggior
nemico di se stesso". Alcuni dicono che fingi d'essere obiettivo. "La verità è sfuggente. Stiamo ai fatti,
portatemi le prove di una mia mancanza d'obiettività e sono pronto a fare autocritica come da tradizione
comunista. Nella mia redazione, a 'Porta a Porta', c'è di tutto, da quello che vota Grillo fino a quello che
simpatizza per Fratelli d'Italia. Ai miei redattori e collaboratori dico una cosa sola: votate chi volete, ma non
fatemene accorgere. E io stesso ho grande autonomia. L'autonomia si conquista. E se vogliamo, questa sì, è
una forma di potere. Ma io sto ai fatti. Chi dice che non sono obiettivo mi porti le prove. La mia filosofia è che
in un pezzo politico è obbligatorio essere asettici. E a questo principio mi attengo. Le opinioni, anche in
trasmissione, io le esprimo, certo. Ma le esprimo nel contraddittorio. Ricevo lezioni sull'obiettività da alcuni
giornalisti che lavorano per quotidiani che nascondono le notizie. Anche la disposizione di un pezzo contiene
in sé un'opinione". Ma anche tu disponi i pezzi in un certo ordine a 'Porta a Porta', obietto. "Ovviamente. Ma
io poi ci apro sopra un dibattito. Pensaci: da quanti anni è che i politici non criticano 'Porta a Porta'? Parecchi
anni. Non è un caso". Gian Antonio Stella una volta ha scritto che sei "equivicino". E non piaci troppo
nemmeno ad Aldo Grasso. "Eufemismo", risponde Vespa. "Se facessi 'Porta a Porta' con lo stesso pluralismo
con cui Aldo Grasso cura le sue rubriche sul Corriere mi avrebbero già cacciato a pedate. Tutto legittimo, per
carità. Ma è possibile che in quarant'anni di carriera, per lui non ho mai fatto nulla di buono?". Il tuo ultimo
libro Mondadori s'intitola "Italiani voltagabbana". Filippo Facci ha scritto, su Twitter, che finalmente Vespa si è
dedicato a un'autobiografia. "Ovviamente quando ho scelto il titolo mi sono anche posto il problema che mi si
sarebbe potuto rivoltare contro. Ti pare che non ci ho pensato? Certo che l'ho fatto. Ma io non sono un
voltagabbana. Il voltagabbana è uno che sta con uno, poi sta con l'altro, poi cambia ancora. E nel libro, se lo
sfogli, vedrai che a cavallo tra il fascismo e la Repubblica in Italia sono successe cose pazzesche. Quelli
sono stati i veri voltagabbana. Togliatti si prese tutta l'intellighenzia fascista, e in tanti passarono da Mussolini
alla sinistra, all'antifascismo senza colpo ferire". Quelli chi? "Bocca, Biagi, Carosio... Anche Montanelli e
Scalfari, o Napolitano, erano fascisti. Ma le loro sono storie più complicate. Io invece non ho mai... Guarda, gli
amici me li sono fatti più spesso tra gli sconfitti. Divenni amico di Andreotti dopo la sua caduta. E di Craxi fui
nemico, ma quando cadde gli feci le interviste ad Hammamet". Di Berlusconi però sei stato amico, quando
era potentissimo. "Mah... non so. Mediamente l'ho visto due o tre volte l'anno. Lui non mi ha mai chiesto un
consiglio e io non gliel'ho mai dato". Non sarai amico di Berlusconi. Ma di Gianni Letta, sì. "Lo conobbi nei
bagni del Tempo, lui aveva ventotto anni e io diciannove. Lui era già una firma in ascesa. Entrai in bagno e
vidi questo ragazzo biondo biondo che si lavava le mani, pensai: 'Questo dev'essere il famoso Gianni Letta'".
Qualcuno dice che Letta è stato il guaio di Berlusconi. "Dovrebbe dire 'la fortuna di Berlusconi'. E questo il
Cavaliere lo sa. Ogni tanto Letta ha proposto a Berlusconi dei nomi che non erano del giro stretto di Forza
Italia. E' questa la sua colpa? Questo è un merito di Letta". Gianni Baget Bozzo una volta disse che "Porta a
Porta" era la cosa più importante che il centrodestra avesse in Italia. "Non ho nessuna difficoltà a dire che
'Porta a Porta' è stata importante per Berlusconi. E' stata a lungo l'unica trasmissione italiana con un
conduttore moderato". E a questo punto Vespa guarda davanti a sé con un'espressione strana, attenta, di chi
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la sa lunga e vede ogni sfumatura, ma nella quale si coglie una certa freddezza, seppure appena percettibile.
Dunque calcola le sue orbite segrete, "ma io ho anche vissuto l'epurazione e l'emarginazione nella mia vita
professionale alla Rai", dice. E racconta: "Dopo la direzione del Tg1 non chiesi niente, e mi trovai
abbandonato. Mi ricordo ancora che nel '92 fui l'unico giornalista ad avvicinare Scalfaro e il Papa che si
trovavano in visita alle macerie di San Giovanni in Laterano, dopo gli attentati. Tornai al Tg1, avevo uno
scoop tra le mani. Chiesi: posso fare il servizio? E Longhi, che era il direttore, mi rispose così: 'Sì, fallo. Basta
che non si veda la tua faccia'. Ecco. Capisci? Nel frattempo Lilli Gruber faceva le prime serate". E Vespa,
mentre rievoca il passato, assume l'aria dello scalatore indefesso. Dunque parla come se la vita non l'avesse
preparato alla ribellione, ma all'ostinazione, alla pazienza, allo sforzo continuamente rinnovato. "Poi nel 1994
mi diedero una piccola trasmissione pomeridiana, si chiamava 'Oltre le parole'. E io invitavo un altro
emarginato: Giovanni Sartori. Era fuori quota. Ebbene in quella trasmissione io feci la prima intervista a
Berlusconi, praticamente non lo conoscevo, me l'aveva presentato Letta, di sfuggita, qualche anno prima. Un
giorno Locatelli mi diede l'opportunità di fare una trasmissione politica a cavallo delle elezioni che poi
Berlusconi avrebbe vinto. E io in poche ore portai dentro Bossi, Occhetto, Martinazzoli, Berlusconi... E dopo
qualche mese, dopo la vittoria del Cavaliere, finalmente tornai a lavorare davvero". A questo punto Vespa
scende d'un tono, come per sottolineare il passaggio: "Guarda che Berlusconi ha ridato voce a tanti che non
ce l'avevano più". A quei tempi c'era Michele Santoro, con "Samarcanda". Che rapporto hai con lui adesso?
"Buono. E ho un buonissimo rapporto anche con Marco Travaglio". Ma va? "Eh sì, non mi chiama più
insetto". Però non lo hai mai invitato a "Porta a Porta". "Non per un motivo particolare. Semplicemente non
era nelle cose. Ma Travaglio non appartiene a quella nutrita fascia di persone che si è sempre rifiutata di
venire a parlare da me. Pensa che Fabio Fazio iniziò la sua carriera facendo la mia imitazione. Avevamo un
rapporto fantastico, poi è cambiato tutto quando è diventato quello che è oggi. Non mi ha mai nemmeno
invitato a 'Che tempo che fa' per presentare uno dei miei libri. Mai". Chi è che si rifiuta di venire a "Porta a
Porta"? "Non mi va di fare nomi". Repubblica. "Con Repubblica sono in causa da dieci anni. Ma Pirani veniva,
se ne fregava. E pure Giovanni Valentini. Guarda, la vera caduta del muro di Berlino è stato il patto del
Nazareno fra Renzi e Berlusconi". [Arriva il Montepulciano d'Abruzzo. Vespa fa roteare il calice, odora,
guarda il vino con quell'aria da intenditore, seria e concupiscente insieme. Gli dico: si favoleggia della tua
cantina di vini. Quanti ne hai? "Tanti. Troppi. Era un marasma fino a poco tempo fa. Giorgio Pinchiorri una
volta mi ha detto: vengo io a mettertela in ordine. Adesso l'ho sistemata. Finalmente so dove mettere le mani.
C'è una sezione di vini toscani e piemontesi, una seconda sezione con tutte le altre regioni d'Italia, poi una di
soli vini bianchi, e infine una sezione molto piccola di vini francesi, che non amo". L'atmosfera distesa mi
consente una domanda sbarazzina: com'è che tu non hai amorazzi, amanti, foto sui giornali scandalistici con
donne più giovani, come capita a molti dei tuoi famosi colleghi del giornalismo televisivo? E Vespa, in un
lampo: "Si vede che sono disabile". Una battuta. E allora gli ricordo con affettata sorpresa che lui non ha
fama d'essere spiritoso. "Io mi prendo in giro da morire. Sono molto ironico", dice, sollevando però la testa e
gonfiando le narici come se si stesse preparando a ruggire] A settant'anni Bruno Vespa è stato tutto nel
giornalismo Rai. Allora gli chiedo se non teme la rottamazione. "La rottamazione la subisci quando non hai
più mercato", dice. "E io il mercato ce l'ho. Questo per me è un anno di grazia, sarei dovuto morire
professionalmente. E invece ho aumentato gli ascolti. Rispetto all'anno scorso faccio di media mezzo punto in
più di share". Perché saresti dovuto morire? "Perché la Rai, per risparmiare, ha prolungato 'Ballarò' e 'Chi l'ha
visto'. Ha prolungato la prima serata e io vado in onda tardissimo. La verità è che senza una ripresa
pubblicitaria, diciamo senza una ripresa in generale, in Italia sono guai". [Gli squilla il telefono. "Senti, scusa,
mi controlli la curva di ascolti di mattino in famiglia? Grazie, sì, grazie"] "E dunque, come ti dicevo sarei
dovuto morire quest'anno. Doveva essere l'anno della rottamazione". E invece no. Sei irrottamabile. "La
politica non tira più. Annoia. Ce n'è troppa in televisione. Allora ho ridotto gli spazi, faccio solo mezz'ora. Ieri
sera, per esempio, andavano in onda, assieme a me, 'Piazza Pulita' e Del Debbio, tutta politica. Con il
vantaggio, tutto loro, che cominciano prima. Allora io c'ho messo Valeria Marini. E di politica ho fatto solo
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trenta minuti, di servizio". E gli ascolti erano più alti con la Marini che con Maurizio Lupi. "Certo". Ma la parola
rottamazione ti piace? "Non è un termine garbato. Significa che sei un oggetto diventato vile. Ma dà l'idea di
un ricambio. Traumatico. Ma un ricambio". Però tu sei insostituibile, sei la sublimazione del giornalista Rai. E
non hai eredi. "Alla Rai ci sono ottimi professionisti. Ma condurre una trasmissione come la mia richiede
un'esperienza che si accumula negli anni. E anche gli anchorman televisivi americani, se ci pensi, non sono
giovanissimi". Ma hai ancora ambizioni? "Sempre. Mettiamola così: nella vita non ho mai avuto aspirazioni.
Ma non avere aspirazioni precise significa anche non avere limiti. Posso fare tutto, diventare tutto, ottenere
tutto. A un certo punto mi sarebbe dispiaciuto non diventare direttore del Tg1...". E ci pensi mai alla
pensione? "Non mi ci vedo. Io faccio mille cose in una giornata. Scrivo, preparo la trasmissione, mi occupo
della mia azienda vinicola. Tutti i giorni". E non pensi mai che si debba lasciare nel momento massimo del
successo, come fanno certe stelle del cinema o della canzone? "Al mio protettore chiedo una sola cosa". E
qui Vespa alza gli occhi al cielo: "Aiutami a saper scendere. E che sia una discesa morbida, senza botto". E
insomma, come il pittore John Ruskin, anche Vespa pensa che nessun grande professionista cessa di
lavorare finché non raggiunge il suo punto di fallimento. "E io non l'ho ancora raggiunto". Domanda: meglio
Giovanni Floris o Massimo Giannini? "Ci sono troppe trasmissioni di politica, tutte alla stessa ora. Mi pare che
ne abbiano contate diciannove". Santoro o Corrado Formigli? "Santoro resta nella storia della tivù, ha
inventato un modo di fare la televisione". Il populismo in prima serata. "La rivoluzione contro la Prima
Repubblica è cominciata a 'Samarcanda'". E com'è la televisione oggi? "Volgare. E io mi chiedo sempre: ma
è la tivù a essere volgare o è il pubblico a essersi involgarito? E il pubblico si è involgarito perché la tivù è
volgare, o la tivù si è volgarizzata per compiacere il pubblico? Non ho la risposta". [Gli squilla di nuovo il
cellulare. Tra qualche ora Vespa presenterà il suo libro con Silvio Berlusconi. Dunque dà disposizioni. Prende
appunti, con una grafia minuta minuta, su un elegante calepino di pelle marrone] Visto che siamo in tema
glielo chiedo: Berlusconi è in declino? "Il Cavaliere sceglierà un erede vero". Hai detto "sceglierà", indicativo
futuro, significa che ne sei sicuro. "Dovrebbe cedere degli spazi, legittimare un erede, condividere la scelta di
un nuovo leader con gli uomini del suo partito. Ma sono cose che vanno preparate. Questa volta non potrà
essere un altro predellino dell'ultimo momento, un colpo di teatro, un'esplosione pirotecnica di marketing
creativo. Anche Matteo Salvini andrebbe bene. In fondo Salvini oggi dice le cose che ha sempre detto
Berlusconi, lui di fatto sta replicando la stessa campagna elettorale berlusconiana, quella della vittoria del
2008 e del pareggio del 2011: batte sulla difficoltà della classe media, sulla sicurezza, le tasse". Ma
Berlusconi non ce l'ha mai avuta con gli immigrati. "E infatti Salvini dovrebbe sottoporsi a una piccola, ma
opportuna, revisione genetica. Dovrebbe fare quello che Berlusconi fece quando fondò il Pdl. Il passaggio
dello scettro deve avvenire, può avvenire". Chi vorresti presidente della Repubblica? "Per carità di Dio. Se
facessi un nome sarebbe immediatamente depennato da ogni ipotetica lista di quirinabili". Un motivo in più
per fare un nome. "No, no. Lascia stare. L'elezione del presidente della Repubblica in Italia è una storia di
sterminate sepolture. E' più facile immaginare un Papa che un capo dello stato". [Ancora il telefono. C'è un
problema di telecamere e riprese video per la presentazione del libro. Almeno così mi sembra di capire] Ma
davvero li scrivi tutti tu i libri che pubblichi? Non ti fai aiutare, nemmeno per le ricerche? "Per due o tre anni mi
ha aiutato una collega, per le ricerche. Ma ora faccio tutto da solo. Soltanto per i primi tre capitoli del mio
ultimo libro ho consultato quarantasette volumi. E' la parte più divertente del lavoro. Uso molto internet.
Compro su Amazon, compro i libri fuori commercio su maremagnum.com, qualcosa su eBay". Possiedi molti
libri? "Ho un intero appartamento di soli libri, l'ultima volta che li ho contati erano quindicimila. Nella mia
vecchia casa, che era su due piani, facemmo rinforzare il soffitto con delle travi d'acciaio perché al piano
superiore c'era una libreria e temevo mi crollase proprio sul letto". Primo giornale al mattino? "Il Corriere della
Sera. Da sempre. Nel complesso sono un estimatore di De Bortoli. Ma questo suo 'licenziamento a tempo'
non ha senso. Il direttore è un monarca che deve avere pieni poteri, si sostituisce dalla sera alla mattina. Non
così. Il problema del Corriere è che non ha più un editore". [ L'intervista è finita, Vespa deve correre agli studi
Rai, e poi a Piazza di Pietra, al tempio di Adriano, alla presentazione del libro con Berlusconi. Conclude il
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pasto con una spremuta d'arancia, ci aggiunge dentro una strana polverina marrone che trasforma il succo in
una specie di glutinoso budino, che lui poi raccoglie con il cucchiaio. "E' un integratore", dice. "Coagula i
grassi. Serve a dimagrire". Ci salutiamo. Un lampo improvviso nello sguardo: "L'intervista esce sabato?". Mi
auguro di sì. "E dopo ti dovrò mandare gli avvocati?". Mi auguro di no] Twitter @SalvatoreMerlo La collana "A
tu per tu" di Salvatore Merlo ha ospitato finora Ferruccio de Bortoli (19 febbraio), Ezio Mauro (22 febbraio),
Giancarlo Leone (1° marzo), Flavio Briatore (7 marzo), Fedele Confalonieri (15 marzo), Giovanni Minoli (29
marzo) Luca di Montezemolo (3 aprile), Urbano Cairo (10 maggio), Claudio Lotito (2 luglio), Giovanni Malagò
(26 luglio), Beppe Caschetto (9 ottobre)
Foto: Bruno Vespa con la moglie Augusta Iannini. "Eredi? Alla Rai ci sono ottimi professionisti. Ma condurre
una trasmissione come la mia richiede un'esperienza che si accumula negli anni"
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La grillina Bechis non vuole farsi imbavagliare da Grillo
DI GIORGIO PONZIANO
Ponziano a pag. 7 «Buongiorno, da oggi siamo un partito!», commenta Eleonora Bechis, irrequieta
parlamentare grillina, su Twitter, all'annuncio che cinque fedelissimi, c a p i t a n a t i d a B e p p e Grillo,
guideranno «collegialmente» il M5S. A sentire parlare di partito, a Grillo viene la pelle d'oca. E siccome la
Bechis era già nel mirin o, potrebbe essere lei la prossima vittima delle fatwe stellari. Anche sulla vicenda
dell'espulsione di Paola Pinna e Massimo Artini, lei non nasconde il suo dissenso: «Il blog viola il
regolamento, loro sono M5S, chi ha scritto quello schifo contro di loro?». Poi ospita sul suo sito un'ironica
considerazione: «Ogni mattina un parlamentare M5S si sveglia. Sa che dovrà correre più veloce dell'Adsl dei
grillini o verrà espulso». E un altro: «Sganciatemi da questa conversazione tra zerbini di Beppe». Ma la
goccia che potrebbe fare traboccare il vaso e portare alla condanna della parlamentare è una lettera (a un
sito blog piemontese, Lo Spiffero) in cui ella denuncia, senza remore, lo stato disastroso del movimento e
smentisce il commento di Grillo che non riconosce il passo falso alle elezioni di domenica. «I presupposti di
un fallimento annunciato - scrive l'onoreannunciato - scrive l'onorevole pentastellata- c'erano tutti, tra questi le
continue faide interne emiliane, calabresi e piemontesi che sono spesso sfociate in futili litigi nella pubblica
piazza virtuale e non, oltre che sui maggiori mezzi d'informazione tradizionale». «Nel mio caso - aggiunge- la
virulenza di queste lotte a Torino, la mia città, mi ha portato addirittura a sporgere querela contro un
consigliere di circoscrizione eletto nel mio stesso movimento politico. Le lotte torinesi come le altre hanno
minato la credibilità del progetto M5S e ciò che mi rattrista maggiormente è la perdita costante di pezzi di fi
ducia nel progetto M5S da parte di tanti cittadini ed attivisti. Fiducia che abbiamo conquistato con il sorriso,
tanto entusiasmo e tanta fatica. In sostanza ci siamo persi nella realtà virtuale, confondendo un «mi piace»
con una stretta di mano ed abbiamo inseguito i cinguettii del canarino blu invece di dialogare dal vivo con le
persone». L'analisi è impietosa e per non fermarsi alle recriminazioni ma impegnarsi in un'alternativa,
parteciperà alla convention indetta dal sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, che il 7 ottobre radunerà i
grillini, soprattutto quelli dissenzienti, per dialogare sul futuro del movimento: «Sì, sarò a Parma - dice
Eleonora Bechis.- Sarà un'occasione per proporre buone idee agli amministratori degli enti locali ed ai nostri
eletti M5S». E anticipa il suo pensiero: «Il movimento è nato come dialogo tra cittadini, liberi di condividere e
crescere insieme senza le intermediazioni di un direttivo. Se il dialogo viene a mancare, cade il movimento
stesso, così come ci dimostra il lento declino verso il dimenticatoio che abbiamo intrapreso. La democrazia
diretta o la si fa o non la si fa, io sono per farla nei fatti e lotterò con le unghie e con i denti per difendere i
valori del movimento dagli arrivisti che si sono creati la loro cricca di picchiatori personali». Insomma, nel
M5S sembra arrivato il redde rationem tra i puri-e-duri, fedeli alla linea Grillo, e gli autonomi, che non vogliono
l'uomosolo-al-comando e chiedono dialogo e democrazia interna. L'apertura di Grillo con l'avvio del
pentadirettivo non sembra sia servita a riportare la pace, anche perché i nomi li ha scelti lui con un metodo da
monarca assoluto (salvo poi una formale ratifi ca dal web). L'on. Bechis se la prende proprio contro questo
cerchio magico formato da suoi colleghi: «Grillo annuncia una bella pulizia? Bene, iniziamo a toglierci la
polvere da dosso, a partire dai leaderini tanto bravi a dire sempre cosa non va e tanto più interessati a
compiacere il boss più che a fare gruppo in parlamento». Nonostante il deludente risultato elettorale di
domenica, all'interno del movimento continuano le lotte intestine. Il campanello d'allarme non è servito. La
raffica di espulsioni in terra emiliana è certamente tra i motivi dell'arretramento grillino in questa regione ma
dietro la cacciata del sindaco di Comacchio, dei due consiglieri regionali, di vari consiglieri comunali vi sono
guerre tribali, con le controversie che vengono risolte col killeraggio dell'avversario. Il livello dello scontro non
è da meno in Piemonte, dove è stata eletta la Bechis, defi nita dalla parlamentare corregionale Laura Castelli:
«deputata inesistente» mentre l'altro onorevole piemontese, Ivan della Valle, dice: «Espellerla? Sarà la base
a sfi duciarla». Due gruppi, l'un contro l'altro armati. Si è arrivati perfi no a una querela della Bechis contro un
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TRA QUANTO TEMPO L'ESPULSIONE?
29/11/2014
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attivista per alcune frasi scritte su Facebook che ha ritenuto offensive nei suoi confronti. Lui dice: «sono
andato da lei e, pacatamente e garbatamente, le ho chiesto di ritirare la denuncia. Siamo il popolo del vaffa,
non possiamo denunciarci tra di noi per uno screzio su Fb». Lei ribatte: «Gli insulti ci sono stati e non sono
stati ritirati se non dopo la querela». Alcuni parlamentari (capeggiati da Walter Rizzetto) sono scesi in campo
a favore della Bechis e ne è nato l'ennesimo litigo all'interno dei gruppi parlamentari. Il Piemonte (e non solo)
è uno dei tanti vulcani in eruzione tra i 5stelle. Non che al centro sia meglio, come dimostrano le vicende di
questi giorni. Intanto, Eleonora Bechis aspetta di conoscere la sua sorte, dopo l'avvio della nuova stagione
delle purghe. «Non mi importa il mio destino politico- dice- fi nita questa esperienza tornerò a lavorare».
Prima di arrivare alla Camera era portinaia. Nel suo palazzo abita una militante 5stelle di lungo corso, Viviana
Ferrero, che la convinse a candidarsi. Con 143 voti si guadagnò un posto in lista. Poi riuscì a farsi eleggere.
Pur di non sottomettersi all'autoritarismo di Grillo è disposta a tornare in guardiola. Twitter: @gponziano
©Riproduzione riservata
I presupposti del fallimento di M5s, dice Eleonora Bechis, c'erano tutti, tra questi le continue faide interne
emiliane, calabresi e piemontesi che sono spesso sfociate in futili litigi nella pubblica piazza virtuale da noi
tanto frequentata
Abbiamo dissipato il grande successo che abbiamo conquistato con il sorriso, tanto entusiasmo e tanta fatica.
All'incontro con la gente, alle strette di mano, abbiamo poi preferito il cinguettio del canarino blu di Twitter
Foto: Vignetta di Claudio Cadei
29/11/2014
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(diffusione:88538, tiratura:156000)
Grillo rappresenta la rabbia popolare I parlamentari sono carne da macello
E se gli espulsi aiuteranno Renzi, tanto meglio
DI SERGIO SOAVE
Beppe Grillo continua imperterrito a esercitare un potere di esclusione nei confronti dei parlamentari dei
gruppi a 5 stelle che non seguono ciecamente le sue direttive. Non si tratta solo di un esercizio di arroganza
ma anche e forse soprattutto di un'operazione propagandistica astuta al limite del cinismo. Accusando di non
rispettare le norme rigoristiche del partito, che rappresentano una forma un po' elementare ma efficace di
contestazione dell'arricchimento dei politici, Grillo ottiene una vasta esposizione mediatica unidirezionale,
priva delle insidie del contraddittorio che non gradisce affatto. Il prezzo è il progressivo disfacimento dei
gruppi parlamentari, ma questo non preoccupa affatto Grillo, per il quale in realtà quei gruppi (come i sindaci
del suo partito) rappresentano un impiccio. Condurre una campagna di disprezzo nei confronti delle istituzioni
rappresentative e contemporaneamente dover gestire corposissime presenze parlamentari presenta una
contraddizione che non si può risolvere senza una elaborazione politica raffinata, assai distante dalle corde
dell'ex comico genovese. Perseguitare con epurazioni più o meno motivate i membri di quei gruppi, affermare
la superiorità della «gente», rappresentata da qualche migliaio di aderenti a un blog, sui rappresentanti eletti
è un rifiuto concreto della dialettica tipica di una democrazia parlamentare. D'altra parte quando si è fatto
invischiare nelle logiche della trattativa o della battaglia ostruzionistica, il Movimento 5 stelle ha rischiato
l'omologazione e questo ovviamente diventa rischioso per la crescita di una protesta che vuole presentarsi
come espressione spontanea della rabbia popolare. Per queste ragioni perdere parlamentari non danneggia
affatto Grillo, anche perché questi perfetti sconosciuti che hanno ottenuto la candidatura e il seggio grazie alle
poche preferenze raccolte nel solito blog, adesso fanno ridere quando si lamentano per l'esclusione sancita
da quella stessa fonte. Non è escluso, peraltro, che Grillo, al quale i recenti risultati di elezioni parziali
sconsigliano di anticipare la verifi ca in elezioni parlamentari, consideri l'opportunità che il governo continui
nel suo percorso, che dovrebbe produrre un forte dissenso nella base elettorale democratica, e per aiutarlo a
superare gli scogli di una navigazione parlamentare agitata, un gruppetto di parlamentari «espulsi» dal
Movimento 5 stelle potrebbe rendersi utile a Matteo Renzi per continuare a governare, a Grillo per
guadagnare il tempo necessario per affrontare in condizioni più favorevoli la sfi da elettorale. © Riproduzione
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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IL PUNTO
29/11/2014
ItaliaOggi
Pag. 8
(diffusione:88538, tiratura:156000)
Attenti, il paese sta per scoppiare
Il distacco tra società e parlamento è ormai totale Nei prossimi giorni balleremo parecchio. Il punto è che i
nuovi partiti non capiscono queste problematiche Napolitano, Renzi e Berlusconi non hanno una reale
opposizione. Però nessuno si pone la questione di come uscire dalla crisi
DI PIETRO VERNIZZI
e la Camusso. «Le tensioni sociali stanno esplodendo e la politica è incapace di darvi risposte. Tanto Renzi
quanto i suoi avversari sono del tutto impreparati rispetto ai conflitti nei quali si era forgiata la vecchia classe
dirigente, che oggi è stata spazzata via». Lo afferma Piero Sansonetti, direttore del quotidiano Il Garantista, in
un momento in cui i principali partiti, Pd, Forza Italia e M5S, sembrano frammentati in una miriade di correnti,
ma la vera opposizione è sempre più al di fuori del Parlamento e a impersonarla sono Landini e la Camusso.
D. Sansonetti, cosa sta succedendo? R. Da un lato ci troviamo in una situazione di monopartitismo, con il
governo tutto in mano al Pd, un partito che sostanzialmente non ha opposizione. Sul piano
dell'organizzazione politica siamo invece in una situazione di pluralismo assoluto, in quanto in ogni partito ci
sono almeno dieci correnti. Colpisce la quasi totale incomunicabilità tra questi due livelli: da un lato Renzi che
governa, dall'altra tutti i suoi avversari. D. Qual è il vero significato di questa battaglia? R. Questa battaglia
politica corrisponde a un'instabilità della classe dirigente, che ha momentaneamente delegato a Renzi il
compito di governare il Paese. Nello stesso tempo però questi politici sono alla ricerca di spazi, punti di
riferimento e prospettive, oltre a essere instabili e impauriti perché non riescono a capire bene come si
collocheranno. D. Come legge l'attuale situazione dal punto di vista sociale? R. Il sommovimento sociale
incomincia a farsi sentire e nei prossimi giorni balleremo parecchi o. La forza di Landini, la presa di posizione
della Cgil, lo sciopero del 12 dicembre, il fatto che la Uil sia vicina alla Camuss o, Tor Sapienza e gli scontri a
Milano sugli sgomberi sono un insieme di fattori che creano una situazione Piero Sansonetti di fibrillazione
sociale che fino a qualche mese fa era del tutto impensabile, e per trovare qualcosa di analogo in Italia
dobbiamo tornare agli anni 90. D. A surriscaldare il clima politico è l'avvicinarsi delle elezioni per il capo dello
Stato? R. La questione fondamentale non è il Quirinale, bensì l'emergere delle tensioni sociali. Il punto è che i
nuovi partiti non capiscono queste problematiche perché non sono abituati a frequentarle. Renzi non le
conosce bene, e neanche i gruppi dirigenti intorno a lui. Mentre la vecchia classe politica, che si era formata
nel crogiolo dello scontro sociale, è stata interamente messa da parte. D. La tensione sociale sta
aumentando perché esprime istanze che non trovano spazio in Parlamento? R. Sì, la società non ha più
alcuna rappresentanza politica. In questi 20 anni siamo andati a un distacco progressivo tra la società e la
sua rappresentanza in Parlamento, che ormai è divenuto totale. Il ceto politico non ha più nulla a che vedere
con la società, anzi tra loro neanche si parlano. Ciò rende difficile contenere la fibrillazione sociale. Bisognerà
vedere se l'attuale riorganizzazione della politica riesce in qualche modo a connettersi con i conflitti sociali. D.
Che cosa ne pensa di quanto ha affermato Rosy Bindi sulla necessità di un partito di sinistra? R. L'esigenza
di avere una forza politica di sinistra è evidente. Non mi riferisco a un'estrema sinistra, ma a una sinistra ben
radicata e con forti programmi. Quel che manca è una leadership credibile e Rosy Bindi non è in grado di
esprimerla. Una bravissima e Berlusconi? signora di 63 anni, che viene dalla Dc, che ha passeggiato insieme
a De Mita, non può avere la credibilità per mettersi alla testa di un partito di sinistra. D. L'esperienza dell'Ulivo
è riproponibile oggi? R. L'Ulivo oggi è Renzi, ma del resto non è mai stata una forza di sinistra. L'Ulivo è
l'aggregazione politica che ha inventato il precariato e che ha messo in atto le privatizzazioni. Rosy Bindi da
un lato dice che ci vuole una forza di sinistra, dall'altra auspica un ritorno all'Ulivo. Quest'ultimo però è stata
una classica formazione di centrosinistra che ha fatto delle politiche fondamentalmente liberiste, come ha
detto anche D'Alema in un recente convegno. D. Come vede la partita tra Napolitano, Renzi e Berlusconi? R.
Il binario NapolitanoRenzi-Berlusconi va avanti per conto proprio e può anche ottenere dei successi, perché i
tre leader non hanno una reale opposizione. Sono però privi di una strategia politica per il futuro, perché
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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INTERVISTA Sansonetti, direttore del Garantista: la politica non sa dare risposte alle tensioni sociali
29/11/2014
ItaliaOggi
Pag. 8
(diffusione:88538, tiratura:156000)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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nessuno si pone la questione vera, cioè come si possa uscire dalla crisi. Avremmo bisogno di una destra e di
una sinistra che ci spiegassero in modo diverso e opposto i motivi per cui siamo arrivati alla crisi e qual è la
strada per uscirne. IlSussidiario.net
Foto: Vignetta di Claudio Cadei
29/11/2014
ItaliaOggi
Pag. 12
(diffusione:88538, tiratura:156000)
Mediolanum si rivela un ottimo investimento
ANDREA GIACOBINO
Lina Tombolato e Ennio Doris Lina Tombolato ha avuto ragione a credere nell'investimento borsistico di lungo
termine, proprio come continua a crederci il marito Ennio Doris. La Tombolato, infatti, registrava a fine dello
scorso agosto un plusvalenza di oltre 11,1 milioni di euro sul pacchetto di 25,39 milioni di titoli Mediolanum
(pari al 3,3% del gruppo bancassicurativo quotato fondato dal consorte), in carico a 132,5 milioni (5,2 ero ad
azione) nella sua cassaforte T-Invest. Lady Doris, che di Mediolanum possiede direttamente un altro 3,3%,
ha mandato a nuovo i 5,9 milioni di profitto realizzati nell'esercizio chiuso a fine dello scorso maggio, superiori
ai 4,1 milioni di utile del bilancio precedente e ciò grazie ai maggiori dividendo incassati dalla partecipazione.
Il patrimonio netto sale così a da 19,2 a 25,1 milioni a fronte di debiti diminuiti da 114,8 a 107,4 milioni,
rappresentati dall'esposizione verso banche scesa da 20 a 12,6 milioni mentre quasi 95 milioni è il
finanziamento del socio che scadrà a maggio 2016. E Doris? Lui pure ha chiuso a fi ne maggio i conti della
sua cassaforte H-Invest ove vi sono partecipazioni diminuite anno su anno da 116,6 a 106,3 milioni, costituite
da pacchetti di titoli Mediaset (per un controvalore di 72,4 milioni), Mediobanca (19,8 milioni), di Assicurazioni
Generali (3,6 milioni) e di Molmed (7,8 milioni). Su tutte le partecipazioni nelle quotate Doris a fi ne esercizio
segnava una plusvalenza di 216 mila euro, per contro H-Invest ha venduto un pacchetto di 5,2 milioni di titoli
Mediolanum e 1,5 milioni azioni Generali. La cassaforte di Doris, che ha riportato a nuovo l'utile di oltre 1,1
milioni, ha visto scendere i debiti anno su anno da 42 a 19,5 milioni linee di credito concesse dalle banche
per 132 milioni e usate per 38 milioni, garantite da pegni sugli interi pacchetti di Assicurazioni Generali,
Mediaset e Mediolanum. Settimana enigmistica rende molto bene Francesco Baggi Sisini, editore tramite la
Bresi della celebre testata« La Settimana Enigmistica », ha approvato nelle scorse settimane i bilanci 2013
della sua holding editoriale e della Arbus, tramite la quale è presente a Piazza Affari come importante
investitore attraverso un consistente pacchetto di titoli quotati pari al 5,7% di Vittoria Assicurazioni (di cui è
anche consigliere), al 4,8% di Intek Group, al 3,5% di Tamburi Investment Partners e con una quota analoga
di Mid Industry Capital. E il confronto fra i due bilanci vede la redditività delle attività editoriali pari ad oltre
cinque volte quella degli attivi fi nanziari. Arbus, che iscrive le partecipazioni a 72,1 milioni di euro e che può
contare anche su 8,5 milioni investiti in obbligazioni, 15,6 milioni allocati su fondi e etf oltre a 26,4 milioni di
liquidità, altre riserve per 44,7 milioni e 38,9 milioni di utili portati a nuovo, ha chiuso l'esercizio con un utile
salito a 1,9 milioni dagli 1,5 milioni dell'esercizio precedente, pur a fronte di dividendi scesi da 2,1 a 1,7
milioni. Assai più consistenti sono i guadagni delle attività editoriali di Baggi Sisini perché Bresi ha chiuso il
2013 con un utile di 10,2 milioni, in lieve contrazione dagli 11,6 milioni dell'esercizio precedente e che,
rinviato a nuovo, si aggiunge ai 9,2 milioni di profi tti accantonati in precedenti esercizi e ai 27,5 milioni di
liquidità. L'editrice di « La Settimana Enigmistica », che ha quindi realizzato utili pari ad oltre cinque volte
quelli conseguiti grazie ai pacchetti azionari posseduti da Arbus, ha visto i ricavi contrarsi da 56,3 a 53,7
milioni dell'anno precedente anche se può vantare debiti verso banche pari a zero. © Riproduzione riservata
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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CARTA CANTA
29/11/2014
ItaliaOggi
Pag. 5
(diffusione:88538, tiratura:156000)
L'assicurazione contro le catastrofi conviene
In questa rubrica si sostiene da quasi due anni (il primo articolo è del 15 dicembre 2012) l'opportunità di
introdurre in Italia un sistema assicurativo obbligatorio e universale contro i danni da catastrofi naturali. Gli
ultimi eventi in Liguria e in altre parti del nostro paese hanno acceso il dibattito che è arrivato anche sulla
stampa (cosiddetta) popolare. Il risultato è stato, in genere, sconfortante: con una sola eccezione ( Il Foglio ),
più o meno tutte le testate nazionali hanno alzato alti lai contro il pericolo che venga, di fatto, introdotta
un'altra tassa sulla casa e con rischi di pagamenti squilibrati nelle diverse aree del paese («da 300 euro a
Milano fino a 1.700 di Messina»). In realtà basta avere una conoscenza anche molto superficiale della
questione per sapere che polizza e tassa sono due questioni completamente diverse e che, anzi,
l'introduzione di una forma di copertura assicurativa farebbe risparmiare alla fiscalità generale gran parte
delle spese della ricostruzione ex post e quindi tende ad evitare che lo Stato si finanzi (per necessità, viste le
compatibilità generali di bilancio) con nuove imposte straordinarie dirette o indirette (in genere aumenti delle
accise, tipo il sempiterno aumento della benzina). L'elemento di obbligatorietà e universalità («pagare tutti per
pagare meno») fa sì che la probabile tariffa media sia assolutamente accettabile e senza gli squilibri che
vengono ipotizzati. In Italia infatti, secondo Istat, le unità abitative sono circa 27 milioni; se tutto questo
patrimonio abitativo fosse coperto per il suo costo di ricostruzione, stimabile in circa 3.900 miliardi, il costo
annuo medio dei risarcimenti sarebbe pari a 2,8 miliardi di euro che corrisponde a circa 73 euro per 100 mila
euro assicurati. Questo significa che assicurare una abitazione di 90-100 mq costerebbe, più o meno, 100
euro l'anno: una cifra del tutto ragionevole anche a fronte del fatto che il meccanismo assicurativo
garantirebbe una procedura di rimborso certa e puntuale. Naturalmente anche l'ipotesi dell'assicurazione
obbligatoria presenta problemi (ad esempio la gestione dei danni alle infrastrutture, quelli agli avviamenti
commerciali ecc.) ma il punto vero è che, qualora si volesse introdurre, andrebbe ben spiegata ai cittadini
evidenziando i punti a favore che, come si è visto, sono tanti e molto rilevanti. Personalmente sono convinto
che già ora gli italiani sono in grado di valutare la bontà di un sistema come quello descritto e apprezzarne la
differenza dal sistema vigente che non garantisce rimborsi tempestivi e crea i presupposti, questo sì, per
incrementi della pressione fiscale. Ho ragione di ritenere che un sondaggio mirato su questi temi fatto su
campioni significativi della popolazione italiana, darebbe risultati sorprendenti. *delegato italiano alla proprietà
intellettuale CONTATTI: [email protected] © Riproduzione riservata
Foto: Mauro Masi
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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IL PUNTO DI MAURO MASI*
29/11/2014
Financial Times
Pag. 10
(diffusione:265676, tiratura:903298)
Orthodox sceptics led by Germany should give ECB president backing
When Mario Draghi announced two years ago he would do "whatever it takes" to save the euro, he must have
known that some of his fiercest critics would be fellow policy makers inside the European Central Bank. Mr
Draghi has impressed with his ability to corral support within the bank's governing council despite some
strident opposition. He should continue to do so. The ECB is right to push ahead with unconventional
monetary easing, and its sceptics should give way. The need to act remains acute. That the eurozone
economy exceeded forecasts by expanding 0.2 per cent in the third quarter of the year merely underlines how
pitiful those expectations have become. This week France joined the club of eurozone countries with 10-year
government bond yields below 1 per cent, while Germany's hit a record low. This is a currency zone heading
towards deflation, and pulling it back from over the brink will be much harder than arresting its slide. As Mr
Draghi has repeatedly emphasised, anchoring expectations to a stable and positive inflation rate remains
vital. This month, his efforts began to bear fruit. The ECB started to buy covered bonds outright in response to
the weakening growth and sliding inflation within the eurozone. Mr Draghi talks of returning the ECB's
balance sheet to its size in early 2012, which implies buying €1tn worth of assets. Yet as the remedies have
become more unusual, so some of the opposition has become more vocal. Jens Weidmann, the Bundesbank
president, has emerged as the most prominent member of a faction of doubters. He regards setting a balance
sheet target with great suspicion and purchasing sovereign debt outright as beyond the pale. It is certainly
true that the magnitude of the effect of asset purchases is unclear. Post mortems of the US experience with
quantitative easing disagree both on the impact of the overall package and on the relative contributions of the
purchases of different assets. Debates also continue about the mechanism by which QE can affect growth.
Candidates include pushing investors out of safe assets into riskier ones, increasing expectations of inflation
and freeing up clogged credit channels to boost bank lending. Yet it is hard to argue that QE has not worked
at all. The superior recoveries of the US and the UK, the economies that tried it soon after the financial crisis,
suggest the effect was positive. The implication of past experience for the ECB is that purchases should be
experimental and open-ended. The bank may be wise just for the moment to focus on buying private
instruments such as asset-backed securities and corporate bonds rather than government debt. Given that
the eurozone remains more dependent on bank finance than on capital markets and that sovereign debt
yields for the core economies are already low, the efficacy of buying government bonds is questionable.
Certainly, purchasing sovereign debt should not be fetishised as "real QE" compared with the private asset
alternatives. But nor should buying government debt be ruled out. The effect of trying whatever it takes may
raise expectations of inflation and growth by itself. The new year would be a good time for the ECB to assess
how the programme has worked and, if needed, extend it to other types of assets. Mr Draghi's achievements
in dragging the ECB towards monetary easing proportionate to the problems of the eurozone have been
considerable. Yet inertia is such that it remains well short of what is required. Mr Draghi is heading in the right
direction. His colleagues should follow.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Draghi needs support on QE in the eurozone
01/12/2014
Financial Times
Pag. 13
(diffusione:265676, tiratura:903298)
ARASH MASSOUDI AND DANIEL THOMAS - LONDON
Altice has struck a €7.4bn deal to acquire the Portuguese assets of Portugal Telecom from Brazil's Oi in what
would be the latest high-profile acquisition for the French cable and telecoms group founded by billionaire
Patrick Drahi, according to people familiar with the matter. The deal comes only a year after PT and Oi
agreed to combine and will set the stage for further dealmaking by Brazil's largest telecoms operator. These
people added that the companies were still finalising the agreement. Altice outlasted private equity groups
Apax and Bain, which joined with Portuguese conglomerate Semapa to offer more than €7bn for Portugal
Telecom. The French company said late last week that it would form a strategic alliance with CTT, the
Portuguese postal operator, if it were to win the battle for Portugal Telecom. Altice already owns Portuguese
cable businesses Cabovisao and Oni. It may have to make disposals to win regulatory approval for a deal. Oi
is expected to use the sale proceeds to help pay down its debt burden so that it avoids breaching covenants
with its bondholders early next year. It would also be able to take a stronger position in any forthcoming deals
in Brazil, where it has been linked with a bid for Telecom Italia's Brazilian business in partnership with rivals
such as Telefónica in the country. The transaction marks the latest sign of Altice's desire to expand across
Europe, just months after the company this year acquired Vivendi's mobile operator SFR for €17bn. Altice has
been highly acquisitive since striking a deal to acquire control of Numericable, the French cable group, two
years ago. It has also bought a Caribbean business sold by Orange. The pace of deals has led to questions
about the high levels of debt carried by the group, although chief executive Dexter Goei said two weeks ago
that it still had considerable headroom for the Portuguese acquisition as well as a potential bid for another
French mobile business owned by Bouygues.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
238
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French cable group Altice in €7.4bn Brazilian deal for Portugal Telecom
unit
01/12/2014
Financial Times
Pag. 16
(diffusione:265676, tiratura:903298)
Companies recognise need to diversify outside domestic markets
SARAH GORDON - LONDON
Boards across Europe are becoming more international as companies recognise the need to diversify outside
their domestic markets and react to increasingly global challenges. "This is a longer trend, but this year it is a
very marked movement," said Carl Sjöström, head of executive reward at Hay Group. "The financial crisis has
taught us to be more wary in terms of not thinking just along one path." Hay Group examined board make-up
at 376 companies listed on the main stock exchanges in 12 European countries, including the UK. It found
that not only did boards contain, on average, fewer directors from the company's home country than last year,
but that there had been a sharp drop in the number of directors who had more domestic than foreign
experience. This year, on average, six out of 10 directors were local, compared with seven last year. Fifty-five
per cent of directors had more experience in their domestic market than abroad, compared with 62 per cent in
2013. Morgan Stanley expects the share of European corporate revenues generated within developed
Europe to fall from 71 per cent in 1997 to 46 per cent in 2014. Only one in eight of Europe's small to mediumsized companies are active outside the region, however, according to the European Commission. UK boards
are more international than their continental European peers. Non-UK nationals, according to research
published in November, make up one-third of all directors at the 150 largest London-listed groups by market
value, and more than half had at least one foreign executive director. Italian boards, in contrast, are the least
international: 37 per cent of Italian boards have no non-nationals. The European average trumped that of US
companies: non-Americans make up just 8 per cent of the boards at the largest US companies. As well as
becoming more international, boards now contain larger numbers of women - 23 per cent, up from 21 per
cent in 2013 - and some 38 per cent of new director appointments over the year were women. This was
matched, although not to the same degree, by a narrowing of the gender pay gap, which fell from 10 per cent
to 9 per cent. On Thursday, Germany joined Norway, France, Spain and the Netherlands introducing rules
governing the number of women on boards. Its quota - for women to occupy 30 per cent of non-executive
board seats at large listed companies - will come into force from 2016. At present, fewer than 1 in 5
supervisory board seats at the top 160 listed German companies are filled by women. The median fee paid to
non-executive chairs of boards moved from €249,000 to €265,000, and the median fee for other nonexecutive directors was €81,800, down from €86,000 last year. There continues to be a large disparity
between what directors and chairs of boards are paid. Board chairs of UK and Italian companies earn about
four times the fee paid to other board directors. Morgan Stanley expects share of European business
revenues from within developed Europe to fall
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
239
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Europe's boards become more international
29/11/2014
International New York Times
Pag. 1,14
(diffusione:222930, tiratura:500000)
Moribund job market adds to E.C.B.'s challenge in warding off deflation
BY DAVID JOLLY
''The claim of the European Central Bank that inflation expectations are still anchored is a pipe dream.''Prices
in Europe continue to rise at rates so low they pose an economic threat, while high unemployment continues
to be a problem. The eurozone inflation rate is slipping toward zero, even as the job market remains
moribund, official data showed on Friday, highlighting the weak demand at the heart of the bloc's economy
and posing a test of the European Central Bank's pledge to head off deflation.Consumer prices in the 18nation euro currency area rose just 0.3 percent in November from a year earlier, according to Eurostat, the
European Union's statistical agency, slipping from the 0.4 percent increase reported in October.Eurostat said
in a separate release that the eurozone jobless rate was 11.5 percent in October, unchanged from
September. For the 28-member European Union as a whole, the jobless rate was unchanged at 10 percent,
Eurostat said, with about 24.4 million people out of work, including nearly five million young people.''The data
show that the Japanification of the eurozone continues apace,'' said Nicholas Spiro, managing director of
Spiro Sovereign Strategy in London, referring to the low inflation and economic stagnation that have been the
hallmarks of the Japanese economy for much of the last two decades.''The claim of the European Central
Bank that inflation expectations are still anchored is a pipe dream,'' Mr. Spiro said. ''Markets are anticipating
outright deflation'' - an actual contraction in the Consumer Price Index - ''in the new year.''The unemployment
rate in Italy, which has the third-largest economy in the eurozone, after those of Germany and France, rose in
October to 13.2 percent, the highest since at least 1977, according to a report on Friday from the Italian
statistical agency Istat.Unemployment rates vary widely across Europe. Greece, with a jobless rate near 26
percent, and Spain, at 24 percent, are experiencing depression-level conditions, reflecting the damage to
their economies fromthe combination of the credit crisis and budget austerity.At the other end of the scale,
Germany's jobless rate of 4.9 percent reflects a relatively strong economy as well as labor market innovations
like work-sharing that ensure that many more people are counted as employed. France lies in between, at
10.5 percent.The inflation and jobless figures were in line with market expectations. The euro was little
changed against the dollar.he eurozone has already proved itself ill equipped to deal with continuing
stagnation, and it must now reckon with the danger that low inflation will tip into outright deflation. That would
further sap demand and add stress to borrowers and lenders, because the cost of repaying loans rises in real
terms when prices decline.Europe's malaise has raised alarms in Washington, where officials fear that the
United States economy, while relatively strong, cannot carry the weight of global growth alone. The eurozone
accounts for about a quarter of global gross domestic product, but it has been unable to muster a policy
response sufficient to restore its economic health in the years since the financial crisis began.Europe is not
alone in its struggle with what International Monetary Fund economists are calling ''lowflation,'' or ultralow
price pressures. The Bank of Japan has greatly expanded its programof bond buying, to pumpmoney into the
economy in an effort to raise the inflation rate. And in the United States, the Federal Reserve has signaled its
own concern about the risk of deflation.One contributor to low inflation is the decline in energy prices in recent
months. Oil remained near four-year lows on Friday, the day after OPEC decided not to try to reverse the
price plunge by curtailing production.Most economists agree that falling energy prices are a boon for
businesses and consumers because the less spent on heating or transportation costs, the more available for
spending or investing. The question, over time, is whether that stimulus effect will be enough to keep the
overall inflation rate from falling to dangerously low levels.Eurostat noted on Friday that energy costs were
down 2.5 percent in November. But even considering that, the annualized core inflation rate - which strips out
the prices of energy and food - came in at just 0.7 percent in November, the same as October.The European
Central Bank seeks to hold inflation to just under 2 percent, but it has fallen short of that since early last year.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
240
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Eurozone inflation dips toward zero
29/11/2014
International New York Times
Pag. 1,14
(diffusione:222930, tiratura:500000)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
241
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In September, the bank cut its main interest rate target to 0.05 percent and its deposit rate to minus 0.2
percent, a de facto ''tax'' on banks seeking to keep excess reserves with the central bank.Many economists
say the most important tool left in the central bank's kit is the outright buying of bonds in bulk, including
sovereign debt. That policy of quantitative easing has been used, with varying levels of success, by the
Federal Reserve, the Bank of England and the Bank of Japan.The European Central Bank has been loath to
commit to it, though, because of questions about its efficacy in a currency union with 18 sovereign nations
and because of institutional resistance from Germany, where it would most likely be met with legal
challenges. The bank's governing council will meet on Thursday to discuss policy.Mario Draghi, the central
bank president, said last week that the bank was determined to ''do what we must'' to stop insufficient inflation
from taking hold.Speaking on Thursday at a conference in Helsinki, Finland, he noted that the bank had
already taken a number of unorthodox measures intended to restore credit and raise prices, including
providing financial institutions with longer-term loans at rock-bottom rates and buying asset-backed securities
on the open market.But ''should it become necessary to further address risks of too prolonged a period of low
inflation,'' he added, ''the governing council is unanimous in its commitment to using additional unconventional
instruments within its mandate.''In a pointed allusion to quantitative easing, he added that central bank staff
members had been instructed to be ready ''with the timely preparation of further measures to be
implemented, if needed.''For all the importance of monetary matters, Europe's fundamental problem is a lack
of demand. Gross domestic product is made up of private consumption, business investment, government
spending and net exports. In the current climate, none of those look capable of lifting the economy, for
reasons of confidence or ideology.Most of the news lately has been discouraging. A survey of eurozone
purchasing managers last week showed activity decelerating from already low levels. And a central bank
report on credit conditions showed on Thursday that lending to the private sector shrank by 1.1 percent on an
annual basis in October, continuing a decline of more than two years.Clemente De Lucia, an economist at
BNP Paribas, estimated that the eurozone had an output gap of about 3 percent, meaning the economy was
operating that much below its potential. He said he expected it to remain at that level through next year,
shrinking to 2 percent in 2016. That would be bad news for the central bank, he wrote in a research note,
because until that gap starts to close, price pressures are likely to remain weak.Analysts are divided over
whether the central bank will act next week, but there is plenty of evidence that investors are placing their
bets now, piling into eurozone government bonds on expectations that the bank will soon follow.As investors
scoop up those bonds, prices have risen, and yields, which move in the direction opposite to price, have
tumbled across Europe. As a result, France and Germany can currently borrow 10-year funds at below 1
percent; even Italy and Spain, which only a few years ago were looking at terms too onerous to repay, can
now borrow at around 2 percent.
29/11/2014
International New York Times
Pag. 15
(diffusione:222930, tiratura:500000)
E.U. grants France, Italy and Belgium more time to comply on deficit rules
BY JAMES KANTER
The European Union authorities on Friday gave Belgium, France and Italy three more months to bring their
budgets into line with legal requirements.The decision is a sign that the new European Commission, the
bloc's executive arm, under Jean-Claude Juncker will be sensitive to calls to ease up on austerity in Europe particularly in the eurozone, where growth has sputtered and unemployment remains stubbornly high.''We will
decide in early March whether any further steps are necessary under the Stability and Growth Pact,'' said
Pierre Moscovici, the European commissioner for economic affairs, referring to the bloc's fiscal rule book. ''By
then, we will have a clearer picture of whether governments are delivering on their reform commitments.''In an
accompanying statement, the commission said that Belgium, France and Italy were at risk of running afoul of
fiscal rules. But the authorities in all three countries had ''committed at the highest level of government'' to put
overhauls in place by early 2015 that would eventually help shore up their public finances, it said.The verdict
for France could have been far more severe. The country has repeatedly missed the bloc's requirement that
budget deficits not exceed 3 percent of gross domestic product, and it is on course for another violation next
year, when it expects the deficit to be above 4 percent of G.D.P. The French government has warned that it is
unlikely to meet the deficit requirement before 2017.That budgetary record could have led the commission to
recommend penalizing France under rules that were toughened after the financial crisis in Europe threatened
the euro. Such a recommendation would have been a clear demonstration that Brussels was determined to
enforce European Union fiscal rules with more determination. A more muscular approach would most likely
have had the support of those members of the commission who regard France as a laggard on economic
overhauls, and who favor German-style budget rigor.But doing so could have led to an embarrassing political
battle at the start of Mr. Juncker's term. It also could have further damaged the government of President
François Hollande of France and given more traction to the far-right National Front party, which is fiercely
critical of the European Union.While the commission chided France for having ''not taken effective action for
2014 at this stage,'' Mr. Hollande now has more time to put in place the kinds of changes that could
eventually help steer France back into conformity with European regulations.The commission could still issue
a recommendation to fine France 0.2 percent of its G.D.P. as soon as next spring, European Union officials
suggested Friday. The commission was keeping ''all options'' open for dealing with rule breakers, said Valdis
Dombrovskis, a vice president at the European Commission who helps assess annual budgets to see if they
are in compliance.Italy is already broadly in line with the bloc's deficit rules, but it has a national debt that is
far above the European Union target of 60 percent of G.D.P. It could still be put into a special procedure that
could lead to fines.Italy ''has made some progress'' but needs to ensure it is ''keeping current primary
expenditure under strict control while increasing the overall efficiency of public spending,'' the commission
said. In addition, ''planned privatizations'' would help put Italy's debt ''on a declining path consistent'' with
European rules.As for Belgium, the commission called on the government of Prime Minister Charles Michel to
specify the structural overhauls it planned to put in place before its next serious examination by the European
authorities, in March 2015.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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3 European countries given budget reprieve
29/11/2014
International New York Times
Pag. 1,23
(diffusione:222930, tiratura:500000)
In off-season, Italy can be surprisingly empty and affordable
BY INGRID K. WILLIAMS
From page 1 The stunning profile stretched into the distance before me: miles of craggy coastline punctuated
by five pastel villages, each nestled amid cliffs and sparkling sea. But on a pleasant afternoon in mid-October,
only one other person was admiring this spectacular view of Cinque Terre, on the northwestern coast of
Italy.''It's lonely on the trail today,'' said Kerstin Bahrfeck-Wichitill, a speech pathologist from Dortmund,
Germany, voicing a sentiment that is never heard on the Cinque Terre's more famous hiking path, the
Sentiero Azzurro.On paper, the five villages that constitute the Cinque Terre have it all: Mediterranean
beaches, beautiful hiking trails, fantastic fresh seafood and picturesque cobblestone lanes.''Cinque Terre is
very popular with the Americans because of Rick Steves - his book is their bible,'' Grazia Lizza told me in
Italian earlier that day as she escorted me to her rustic agriturismo, L'Erba Persa, in the nearby town of
Levanto. Where there is a holy book, there are flocks of followers. And therein lies the most common
complaint about the Cinque Terre: crowds.Crowds usually mean higher prices. But as I found on a recent trip,
the Cinque Terre can still be explored on a frugal budget. I set out from my home, about 40 minutes away, to
see what I could do with the equivalent of $100 in euros. The only expense excluded from that weekend
budget was lodging (though that, too, would be modestly priced, compared with what's typical).I did, however,
need a place to stay. So for the first night, I had booked a room through Airbnb at L'Erba Persa, set on a
biodynamic organic farm that is home to dozens of animals - cats, dogs, donkeys and pet rabbits - in Levanto,
a sleepy town one train stop north of the Cinque Terre, where prices are slightly lower than in the villages
themselves. My double room was perfectly serviceable, with a shared bathroom, and included breakfast for
$73.The Levanto location wasn't just a money-saver, it was also ideal as a starting point for the first hike I had
planned. Most visitors to the area are lured by the famous coastal path No. 2, the Sentiero Azzurro (Blue
Path), that connects the five main towns: Monterosso, Vernazza, Corniglia, Manarola and Riomaggiore.
Hiking this trail, which was damaged by mudslides, first in 2011 and multiple times since then, requires
purchasing a pass (from 7.50 euros, or about $9, per day) from the Cinque Terre National Park, even though
only two segments of the trail (between Monterosso and Corniglia) are currently open.There are numerous
other trails crisscrossing the area with similarly dazzling views that aren't accompanied by the feeling that
you're marching in a parade with half of Europe. And, best of all, these less congested paths are free.From
Levanto, I set out for Monterosso on path No. 1, a moderately strenuous, two-and-a-half-hour hike along the
coastline that crests at Punta Mesco, a promontory overlooking the entire coast, which was where I met Ms.
Bahrfeck-Wichitill. We finished the hike together, descending into Monterosso in the late
afternoon.Monterosso is the largest of the five towns and the only one with a long, sandy beach. In the
summer, the tiny public beach is uncomfortably crowded, so I usually arrive in the afternoon to take
advantage of the half-day discount at beach clubs that charge for use of their colorful umbrellas and sun
beds.In the off-season, access to the entire beach is free, so I sauntered onto the sand and watched a
handful of Italian teenagers splashing in the huge waves.Not feeling quite that adventurous, I headed up a hill
in town to the Convento dei Cappuccini, where tucked inside a small chapel I found a museum-worthy
Crucifixion painting attributed to the Flemish artist Anthony Van Dyck. Views, beach, art, and I still had not
spent any money.One doesn't come to Cinque Terre without expecting some good food.Instead of taking the
typical route of a seafood feast at a waterfront restaurant, which could easily cost more than ¤50 and zap
most of my budget, I headed to Focacceria Il Frantoio, where I bought a huge, warm rectangle of focaccia al
formaggio (¤2.10). But after seeing a line of customers all ordering pan fritto, puffy fried bread stuffed with
cheese (¤1.50), I had buyer's remorse. At aperitivo hour, I sipped a glass of Cinque Terre white wine (¤3) at
Midi Bar, where various graying locals paused from their passeggiate - leisurely promenades - to greet other
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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The Cinque Terre on a budget
29/11/2014
International New York Times
Pag. 1,23
(diffusione:222930, tiratura:500000)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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patrons.I ate dinner at Gastronomia San Martino, a no-frills deli that sells both premade dishes by the kilo and
cooked-toorder pastas. I was tempted by the trofie al pesto - short, twisted pasta accompanied by the region's
famous green sauce - but the friendly chef and owner, Moreno Alessio Galati, steered metoward the pansotti
con salsa di noci, ravioli-like pasta stuffed with ricotta and herbs and topped with a rich walnut sauce. The
filling meal, including a halfbottle of local white wine, cost ¤11. The company of Mr. Galati, who chatted with
me while I ate, served as free entertainment.On Saturday morning I left my bag in Vernazza, where a lastminute reservation got me a tiny room in the center of the postcard-perfect village ($95 on Airbnb). From
there, I took the train to Corniglia and climbed 300-plus steps from the station to the cliff top village's warren
of cobblestone alleys. I peeked into the 14th-century Church of San Pietro, with its handsome Gothic-Ligurian
architecture; even prettier were the coastal views from the Santa Maria Terrace.I stopped for lunch at Km0,
an adorable cafe serving carefully sourced regional products, from Ligurian anchovies to vegetables grown in
the village. I had a delicious panino with prosciutto and creamy caprino goat cheese on whole-grain bread,
plus a half-liter bottle of summer ale from the La Spezia brewery Birrificio del Golfo (total: ¤10.50).Then,
under gray skies, I began hiking the high-altitude trail from Corniglia to Manarola.About an hour into the threehour hike, the trail's uneven steps and rocky inclines leveled out on the top of a mountain ridge - just as a
terrifying thunderstorm rumbled toward me, with no shelter in sight.Lightning and thunder began to crackle,
but I eventually escaped to the hilltop hamlet of Volastra, and from there, descended through terraced
vineyards into Manarola.From Manarola, I took a train to Riomaggiore to meet a friend who lives nearby for a
beer (¤5) on the cliff-top terrace of A Pié de Mà, a hidden cafe with splendid views of the Mediterranean Sea,
and on this day, torrential rain. The downpour had flooded the tunnel to Riomaggiore's main street, as I
discovered while slogging to Il Pescato Cucinato, a minuscule takeout counter serving paper cones filled with
fried seafood. I ordered the calamari (¤5), which also came with a few fried mussels and crispy shrimp, before
heading back to Vernazza.When I alighted in Vernazza, the town was eerily dark. Shops and restaurants
were closed. Streetlights were out. Boats had been pulled out of the harbor into the main piazza, and flood
barriers had been installed in almost every doorway.The sudden storm had triggered a severe weather alert,
and after the devastating floods of 2011, no chances were being taken. There would be no nightlife.On
Sunday morning, I awoke to sunshine. I'd planned to hike to a lookout point in Riomaggiore, but the trails
were closed because of another expected storm, so instead I went to Monterosso for breakfast at Pasticceria
Laura. I managed to snag the morning's penultimate cream-filled cornetto - the homemade pastries are a
specialty there - to accompany my cappuccino (total: ¤2.40), the best in town, according to the regular next to
me at the counter.Back in Vernazza, shops were reopening and restaurants preparing for lunch as I climbed
up to the Castello (admission, ¤1.50), a cylindrical stone fortification with 360-degree views spanning both
village and sea.With ¤25.90 still left in my pocket (after accounting for train tickets), I decided to splurge on
lunch. There was no question where I would go: Trattoria Gianni Franzi is my favorite of the restaurants
clustered around the harbor, and the spaghetti ai muscoli, with fresh mussels from the Gulf of La Spezia and
a simple sauce of olive oil, garlic and herbs, is my go-to order. With the cover charge, a bottle of fizzy water
and a glass of white wine, lunch was a very worthwhile ¤22.For dessert, I walked along the harbor to Il
Porticciolo, an artisanal gelateria where seasonal flavors are made fresh daily. I had a small cup (¤2) with one
scoop of cinnamon and one of crème caramel studded with chunks of caramelized sugar. On a bench
outside, I savored this sweet coda to an eventful - and under-budget - weekend in the Cinque Terre.
29/11/2014
The Guardian
Pag. 46
The Guardian Domestic edition
The European commission has shied away from penalising eurozone countries, notably France and Italy, for
being in breach of the single currency rulebook, and has given Paris and Rome until next spring to deliver on
their pledges of sweeping changes to their labour markets and other structural reforms."As a new
commission, we're not seeing it as a priority to punish countries," said Valdis Dombrovskis of Latvia, it s new
vice-president in charge of the euro.Armed with new powers to scrutinise eurozone draft budgets in advance,
dictate changes and punish the recalcitrant, the commission said seven of 16 countries being assessed were
at risk of breaking the stability and growth pact.Of those, France, Italy and Belgium were the most serious
sinners: France because of its persistent inability to get its budget deficit to within 3% of GDP; Italy and
Belgium because of soaring public debt levels well beyond the 60% of GDP limit.All three countries have
written to Brussels promising to do more to comply with the rules.Less than a month into the tenure of the
five-year commission under Jean-Claude Juncker, Brussels decided to give the three countries the benefit of
the doubt.Dombrovskis made it plain that France was the major worry. It has twice been given leeway to get
its spending within the eurozone's limits, but now says it will not succeed until 2017."All options are on the
table," said Dombrovskis. "France is not meeting the targets for deficit reduction ... but given the commitment
of the countries, the European commission opinion is to give those countries more time to implement their
structural reforms."He singled out reforms of labour markets and closed professions, shifting taxcrime, ation
from labour to consumption and freeing up markets in goods and services. By March or April, he said, the
commission would be scrutinising France's 2014 budget performance, not on the basis of estimates or
forecasts but on actual data.Germany was judged to be compliant with the stability pact, but Dombrovskis
also said that the commission was urging Berlin to do more to boost recovery prospects in the EU by
stimulating demand, pointing critically to a 6% current account surplus this year."The information available so
far indicates that France has not taken effective action for 2014 at this stage," said the commission."France
has made limited progress with regard to the structural part of the fiscal recommendations issued in ...
2014.""We will decide in early March whether any further steps are necessary," said the commissioner for
economic affairs, Pierre Moscovici, who was France's finance minister until earlier this year. The aggregate
deficit for the eurozone, minus Greece and Cyprus, which are in bailouts, has fallen within the 3% limit this
year for the first time since the financial crisis.Dombrovskis said that all 28 EU economies would register
growth next year for the first time since the recession.Emblematic of the difficulties it faces, Italy yesterday
reported that unemployment rose to a historic high of 13.2% in October, up 0.3 percentage points from the
previous month.Though the Italian budget will respect the EU deficit limit, its overall debt is extremely high
and Rome has said it will delay balancing the budget until 2017.France has a €21bn (£16.7bn) cost-cutting
plan for next year and announced an extra €3.6bn on Monday to appease the EU head office. Even then, the
country is expected to see a deficit of 4.3% of GDP next year.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
245
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EU delays action against France and Italy for breaching currency rules
28/11/2014
The Times
Pag. 8
The Times
Angelo Iacovella realised that the chicken he was chewing was raw and spat it out.He was still infected by
campylobacter and suffered diarrhoea the next day. However his problems really began two weeks later
when he felt a strong pain in his lower back and right leg.His GP told him it was probably just sciatica but a
day later the pain was so strong that he visited St Mary's Hospital, in Paddington, London. He went to A&E
four times that week.His parents became so worried they told him to fly home to Italy. He went straight from
the airport to A&E and doctors diagnosed GuillainBarré syndrome, a life-threatening condition which can be
triggered by a bacterial infection. Mr Iacovella, 41, a private equity analyst, was injected with immunoglobulin
five times a day for five days and then spent two months in hospital. He has made a full recovery but says he
is lucky because many victims never recover, with some spending the rest of their lives in wheelchairs or
walking with a stick.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
246
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Case study
28/11/2014
The Times
Pag. 60
Tom Kington Rome
Italy's busiest motorway was blocked for hours yesterday after a band of armed and masked robbers set fire
to trucks, ripped open barriers and scattered nails on the road in an attempt to rob a security van understood
to have been carrying €5 million (£4 million).However, despite firing Kalashnikovs during the well-planned
raid, the robbers fled the scene empty handed after the security van managed to navigate around the nails
and a flaming barricade.The robbery got under way shortly before 7am on the A1, Italy's main highway, which
links Milan with Rome. A group of up to 15 men, believed to be Italian, dragged two small trucks and a car
across the three-lane motorway near Lodi, south of Milan, and set fire to them.On the other side of the
motorway, the robbers set up a similar flaming barrier to keep their escape route clear.As the security van
operated by the company Battistolli approached, the gang scattered large pieces of sharp metal to puncture
the tyres of their intended target. Police later discovered that each piece of metal consisted of two nails
twisted and welded together so that a sharp point would stick up when they were scattered on the
asphalt.Witnesses reported that as the van approached, the robbers fired their weapons to slow it down. One
lorry driver using the road said that he had been rammed by one of the gang during the raid. "I got down, but
he was wearing a mask and I didn't approach," he said.The nails punctured the tyres of two vehicles escorting
the security truck, but the raid started to go wrong when the truck was able to avoid the nails, get round the
flaming trucks and escape.As traffic backed up on both sides of the highway, blocked by burning vehicles, the
robbers leapt over the central reservation and sped off in stolen cars, heading south towards Piacenza.Gang
members then veered off the motorway on to a lane through a gap in the barrier on the side of the motorway
that they had ripped open the night before.Robbers in one of the getaway cars then stopped a woman
motorist and commandeered her car, leaving her by the side of the road. Different types of shotgun cartridge
were later found in an abandoned car in the area.The raid follows a similar one last April which police suspect
may have been carried out by the same group. Robbers on the A9 near Milan halted another security truck
from Battistolli after blocking the motorway with vehicles and nails, and escaped with a haul understood to be
gold ingots worth €10 million.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
247
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Motorway gunmen fail in £4m heist
29/11/2014
The Times
Pag. 67
Alex Ralph, Kathryn Hopkins
Eurozone inflation has slumped to a five-year low, reviving the threat of deflation for the single currency bloc
and increasing the pressure on Mario Draghi to unveil a full programme of quantitative easing.Consumer
prices rose by 0.3 per cent this month compared with November last year and from 0.4 per cent in October,
according to an initial estimate by Eurostat, the European Commission's statistics unit. The fall in inflation was
in line with economists' expectations.Prices were pushed down by sliding energy prices, which declined by
2.5 per cent. Oil prices have collapsed over the past six months and are expected to fall further after Opec
members opted this week not to cut production.Inflation has not been near the European Central Bank's
target of about 2 per cent since the beginning of 2013 and has remained below 1 per cent for the past 14
months. The core inflation rate, which strips out volatile prices such as energy, remained at 0.7 per cent.Colin
Bermingham, an economist at BNP Paribas, said: "The scale of the disinflation problem facing the ECB
becomes increasingly concerning as time progresses. Three of the four big eurozone economies have
reported inflation for November and all three areAn American executive has turned down the opportunity to
buy the Goodyear tyre plant in France after comparing the country to Russia (Adam Sage writes). Maurice
Taylor, the chief executive of Titan International, blamed France's labour laws for ending talks on the factory
in Amiens, northern France, saying that he would have been obliged to take on so many employees that the
factory would be loss-making: "It's stupid. It's the dumbest thing in the world. France should just become
communist and then when it goes all bad like Russia did maybe you'd have a chance." below 0.5 per cent."
He is expecting the Frankfurt-based central bank to lower its projections for inflation in 2015 by 0.3
percentage points to 0.8 per cent and he said that downward revisions to its inflation and growth forecasts
would be "key to justifying" a full-blown QE programme in the future.Jonathan Loynes, chief economist at
Capital Economics, said that the figures "give the ECB yet another nudge to take urgent further action to
revive the recovery and tackle the threat of deflation".Vitor Constâncio, vice-president of the ECB, admitted
this week that the bank would consider launching a QE programme if existing policies failed to stave off
deflation and rekindle growth.The eurozone's difficulties were underlined yesterday when separate figures
from Eurostat showed that unemployment remained at 11.5 per cent in October, with the rate as high as 24
per cent in Spain, albeit a fall on September's 26 per cent. The number of people out work rose by 60,000
across the 18-nation bloc month-on-month.Economic growth has stalled in the eurozone, with Germany
faltering. This month, the European Commission cut its growth projections for the eurozone from 1.2 per cent
to 0.8 per cent for this year and from 1.7 per cent to 1.1 per cent for 2015.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
248
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Falling inflation increases pressure for eurozone QE
29/11/2014
Le Figaro
Pag. 20
ANNE CHEYVIALLE @AnneCheyvialle
Sept pays ont raté l'examen de passage de la Commission européenne, c'est-à-dire qu'ils présentent un
risque de nonconformité avec le pacte de stabilité et de croissance. Conformément à la nouvelle
réglementation « Two-Pack » instaurée au printemps 2013 au coeur de la crise, Bruxelles examine les projets
de budget des États de la zone euro avant qu'ils ne soient définitivement adoptés. La procédure ne couvre
pas la Grèce et Chypre, sous surveillance de la troïka (BCE, FMI et UE) dans le cadre du plan d'aide
international. La Belgique et l'Italie bénéficient du même traitement que la France. Bruxelles a reporté son
verdict définitif au printemps, le temps d'analyser dans le détail les efforts menés dans ces pays. Voici le
bulletin détaillé de trois pays emblématiques parmi les sept « mauvais élèves » de la classe
euro.BELGIQUELe nouveau commissaire aux Affaires économiques, Pierre Moscovici, a salué « la qualité de
la réponse » du gouvernement belge pour améliorer la trajectoire des finances publiques. Le problème belge
vient surtout de la dette, qui a atteint 105du PIB, très au-dessus de la limite fixée à 60 %. La Commission a
souligné la détérioration des comptes sur 2014, qui peut s'expliquer par l'instabilité politique. Le nouveau
gouvernement de Charles Michel n'est en place que depuis deux mois. Mais les fonctionnaires européens ne
voient pas d'amélioration en 2015 avec une dette qui va continuer d'augmenter. Sur le front des réformes,
celle engagée sur les retraites va dans le bon sens mais il faut faire plus pour réduire la fiscalité pesant sur le
travail.ITALIEMalgré l'ambitieux agenda lancé par Matteo Renzi que symbolise son « Jobs Act » sur le
marché du travail, les indicateurs sont dans le rouge pour l'Italie. L'économie italienne est une des rares de la
zone euro à être encore négatives cette année. Le chômage, selon les données publiées ce vendredi, a
atteint le niveau record de 13 %. Le point noir restant la dette, qui culmine à 132 % du PIB. Reconnaissant
les « circonstances économiques défavorables », Pierre Moscovici a mentionné un « petit effort »
supplémentaire demandé à Rome. Vedi pagina 21
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Les autres mauvais élèves de la zone euro pointés du doigt
29/11/2014
Le Figaro
Pag. 20
Marie Visot [email protected]
Cocher les cases. De chacune des réformes que la Commission européenne nous recommande de faire
depuis des années. C'était le seul moyen pour Paris de s'épargnertemporairement? - les foudres de ses
partenaires. Et de trouver un début de recette pour faire repartir sa croissance. La loi croissance et activité
d'Emmanuel Macron, mise en avant dans le courrier envoyé la semaine dernière par Manuel Valls à
Bruxelles, répond donc quasiment point par point à toutes les faiblesses relevées par l'exécutif européen.Le
texte, qui sera présenté le 10 décembre en Conseil des ministres, semble y faire parfaitement écho: il prévoit
de moderniser le marché des biens et des services (via l'ouverture de certains secteurs comme les
professions réglementées ou le transport par autocar); de simplifier le marché du travail (en rénovant le cadre
prud'homal, assouplissant le travail dominical) ; de mieux financer l'économie et l'innovation (en favorisant
l'épargne salariale, en allégeant les obligations des entreprises, en prévoyant des privatisations). Bref, ce
texte, ce doitêtre la quintessence économique de la seconde moitié du quinquennat. « Il a le mérite de faire
bouger les choses dans un grand nombre de domaines, même si l'on peut toujours discuter de l'envergure de
chacune des réformes» , admet-on au sommet de l'État.La mesure symboleCependant il existe une autre
faille, que le gouvernement n'avoue pas mais dont il a bien conscience : il manque «l'effet waouh!». Ce que
certains, à Bercy, appellent «la mesure de sidération» . Cette réforme qui serait à la fois le symbole et
l'incarnation d'une économie qu'on veut moderniser. Qui sauterait aux yeux de nos partenaires européens
comme une preuve de notre volonté d'évoluer, leur épargnant de se plonger dans la liste à la Prévert de la loi
Macron.L'Italie l'a bien compris, elle qui a mis en oeuvre une réforme radicale du marché du travail pour
encourager les embauches - le gouvernement Renzi prévoit ainsi de faciliter les licenciements et de réduire
les droits et protections des salariés dans leurs premières années de contrat. Des voix au sein des syndicats
et de la gauche l'ont certes accusé de chercher à brader les droits des salariés. Mais cette mesure forte
pourrait bien valoir au premier ministre italien d'être moins maltraité par la Commission européenne en
mars...
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
250
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Réformes : il manque « l'effet waouh»
29/11/2014
Le Figaro
Pag. 21
Après douze ans de travaux et un surcoût de 40 %, Mario Draghi et ses troupes investissent leur siège
ultramoderne.
ALEXANDRINE BOUILHET @abouilhet
Il y a encore de la poussière, des fils qui pendent et des cartons dans les bureaux, mais une étape clé de
l'histoire de la Banque centrale européenne (BCE) vient d'être franchie, en cette fin de novembre 2014 :
après douze ans de travaux, et trois ans de retard, les 2 600 employés de la BCE ont tous déménagé dans
leur nouveau quartier général, érigé sur les bords du Main, à Francfort, dans l'Ostend, quartier jadis peu
fréquentable, où les prix au mètre carré sont déjà en train de grimper.Les banquiers centraux ont quitté leurs
bureaux cosy de l'Eurotower, dans le centre-ville, pour s'installer dans deux tours jumelles de 185 mètres de
hauteur, faites de béton, de verre et d'acier. C'est plus froid, plus fonctionnel, beaucoup plus moderne. Pilotés
par ordinateurs, les ascenseurs grimpent les 45 étages en quelques secondes. Le chauffage est assuré par
le recyclage de la chaleur dégagée par les ordinateurs, les vitres de la tour Sudla plus convoitée - sont
protégées par un filtre solaire ; l'eau des toilettes est alimentée par de l'eau de pluie recyclée. Et la salle de
gym a grand succès.Depuis la salle du Conseil des gouverneurs, au 41e étage, où se prendront les décisions
de politique monétaire à partir du 4 décembre prochain, Mario Draghi peut contempler les tours du centreville, qui ressemblent de loin à un petit Manhattan-sur-Main. Avec son mobilier ultradesign et sa vue à 180
degrés sur Francfort, la salle du Conseil ressemble un peu au siège d'un gouvernement mondial dans un film
de sciencefiction !L'Europe y est représentée, au plafond, par une sculpture abstraite faite de lamelles
ondulées. Avec beaucoup d'effort, on y distingue l'Espagne, la France, l'Irlande... « L'idée, c'est de
représenter l'Europe comme entité, de la deviner, sans forcément distinguer les pays... » , explique
l'architecte viennois Wolf Prix, qui a emporté en 2005 le concours lancé par la BCE. Même s'il lève le nez,
Mario Draghi peinera à y déceler la « botte » de l'Italie... C'est fait exprès : oublier son pays et ne penser qu'à
l'intérêt général européen.Payé sur fonds propresDe tous les bâtiments de l'Union européenne, le nouveau
siège de la BCE est sans conteste le plus spectaculaire. Le plus cher aussi : il aura coûté 1,2 milliard d'euros,
beaucoup plus que les 850 millions envisagés en 2010. Les coûts ont dérapé en raison de l'augmentation du
prix des matières premières et du coût plus élevé que prévu de la rénovation de la Grossmarkthalle, un
bâtiment en briques rouges des années 1920, qui abritait les halles aux fruits et légumes de Francfort
jusqu'en 2004. Classé monument historique, ce bâtiment a aussi une triste mémoire. Entre 1941 et 1945, ses
sous-sols, réquisitionnés par les nazis, ont servi à parquer quelque 10 000 Juifs, avant leur déportation en
train dans les camps de la mort. La salle d'origine, avec les graffitis des prisonniers en détresse, a été
conservée et transformée en mémorial.En devenant propriétaire de ses murs, la BCE voulait échapper aux
loyers exorbitants du centre-ville. La facture à plus d'un milliard est élevée, surtout en temps de crise, mais
l'institution monétaire a les moyens de ses ambitions. Les travaux ont été payés sur les fonds propres de la
banque (7,6 milliards d'euros fin 2013), abondés au fil des ans par ses bénéfices (1,4 milliard d'euros en
2013) réalisés à partir de ses réserves d'or et de changes, des achats de titres et les transferts des banques
centrales.Pour le reste, la BCE est plus économe que la Banque de France en frais de fonctionnement : 500
millions de charges d'exploitation par an, contre 2 milliards d'euros pour la Banque de France et ses 12 000
employés.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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La BCE s'installe dans sa nouvelle tour à 1,2 milliard d'euros
29/11/2014
Le Figaro
Pag. 21
Le Figaro
L'inflation dans la zone euro est tombée à 0,3en novembre, contre 0,4 % le mois précédent. Cette nouvelle
baisse accroît la pression sur la Banque centrale européenne (BCE) et son président, Mario Draghi. Les
dernières statistiques « fournissent à la BCE une nouvelle incitation à agir pour améliorer la reprise et
s'attaquer à la menace de déflation », commente le cabinet Capital Economics. La plupart des experts
n'attendent cependant pas d'annonce de mesures d'assouplissement monétaire lors de la prochaine réunion
de la BCE jeudi, mais plutôt début 2015.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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L'INFLATION INQUIÈTE ENCORE PLUS
29/11/2014
Le Figaro
Pag. 23
ALIETTE DE BROQUA MARSEILLE @debroqua
Le placement en redressement judiciaire est une décision responsable qui donne une chance à la SNCM de
se construire un nouvel avenir JEAN-MARC JANAILLAC, PDG DE TRANSDEV, QUI DÉTIENT 66DE LA
SNCMUn nouveau chapitre s'ouvre enfin pour décider de l'avenir de la SNCM. Plus de trois semaines après
le dépôt de bilan de la compagnie maritime à l'instigation de ses principaux actionnaires (Transdev et l'État),
et suite à une enquête sur le sujet diligentée par le tribunal de commerce de Marseille, ce dernier a constaté
vendredi la situation de « cessation de paiement avéré » de la SNCM. Il l'a donc placée en redressement
judiciaire et fixé une période d'observation de six mois.Un rendez-vous est prévu le 7 janvier afin de faire le
point sur la situation de trésorerie et voir si la période d'observation peut être poursuivie ou s'il faut engager la
liquidation judiciaire. Le tribunal, qui a nommé deux administrateurs judiciaires et un mandataire judiciaire,
vérifiera alors les capacités financières des candidats à la reprise. « C'est une décision responsable qui
donne une chance à la SNCM de se construire un nouvel avenir » , a affirmé Jean-Marc Janaillac, PDG de
Transdev, qui détient 66 % du capital de la compagnie, aux côtés de l'État (25 %) et des salariés (9 %). «
Aller au redressement judiciaire, c'est glisser vers la liquidation » , estime de son côté Frédéric Alpozzo, de la
CGT. « Le tribunal hérite d'une situation volontairement dégradée par les actionnaires et la collectivité de
Corse » , ajoute Maurice Perrin, délégué CFE-CGC.Une épée de Damoclès sur les projets de reprise« Le
chemin est étroit » , reconnaît Olivier Diehl, président de la SNCM. Transdev et Veolia, actionnaire à 50 % de
Transdev, ont provoqué le dépôt de bilan en réclamant le remboursement par anticipation de 117 millions
d'euros de prêts. L'Office des transports corses, qui a attribué la délégation de service public (DSP) à la
SNCM, a lui exigé le remboursement de 198 millions d'euros d'aides jugées illégales par Bruxelles.Les
administrateurs vont lancer un appel d'offres pour choisir un repreneur en février. Un candidat s'est déclaré :
Daniel Berrebi, patron de la société française Unishipping et de Baja Ferries, une compagnie maritime
mexicaine, a fait une offre ferme pour les lignes de la DSP et celles du Maghreb, reprenant 800 emplois sur 1
500. Jean-Marc Janaillac a évoqué cinq ou six repreneurs potentiels, parmi lesquels il y aurait Stef,
propriétaire de la Méridionale, co-délégataire de la DSP avec la SNCM, l'italien GNV, le grec Epirotiki Lines,
un espagnol... L'ancien armateur Christian Garin associé à un groupe d'investisseurs a également fait part de
son intérêt hier.Mais une épée de Damoclès reste suspendue au-dessus des projets de reprise. Bruxelles a
condamné la SNCM à rembourser 440 millions d'aides d'État. Transdev, Veolia et le gouvernement estiment
qu'un scénario de « discontinuité juridique » permettrait d'effacer cette ardoise et donc de trouver un
repreneur. Ils tablent sur le fait que la reprise ne concernera pas l'ensemble du périmètre de la société, qui a
accumulé 200 millions d'euros de pertes depuis 2001.Toutefois, certains doutent qu'une restriction du
périmètre suffise pour constater une discontinuité juridique. Alain Vidalies, secrétaire d'État aux Transports,
poursuit ses négociations avec Bruxelles sur ce sujet. Autre incertitude : la DSP qui assure à la SNCM 60
millions d'euros de subventions par an jusqu'en 2024 ne serait pas transmissible. Selon une étude juridique
commandée par Transdev, « la transmission de la DSP pourrait constituer un indice fort d'une continuité
économique » . L'équation semble difficile à résoudre.
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SNCM : course contre la montre pour trouver un repreneur
29/11/2014
Le Figaro
Pag. 25
M. V.
En pleine bataille entre le chinois Fosun et l'italien Bonomi, qui se disputent son contrôle depuis des mois, le
Club Med a accusé en 2014 une perte nette part du groupe de 12 millions d'euros11 millions un an plus tôt),
en tenant compte de 26 millions de « facteurs exceptionnels », dont 13 millions de coûts de fermetures de
villages. Le chiffre d'affaires a reculé de 1,9 %, à 1,4 milliard, et le résultat opérationnel s'établit à 13 millions
(14 millions en 2013). Signe d'une extrême tension, ces résultats ont été présentés par téléphone, en
l'absence du PDG Henri Giscard d'Estaing, par Michel Wolfovski, directeur financier, qui a martelé la
pertinence de la stratégie actuelle. Optimiste, il prévoit un retour au profit en 2015 si l'environnement ne se «
dégrade » pas davantage. Fosun a jusqu'à lundi 18 heures s'il veut surenchérir à l'OPA de Bonomi à 23
euros par action.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Club Med, en perte à cause des fermetures de villages, compte sortir du
rouge après l'OPA
01/12/2014
Le Figaro
Pag. 27
« Il faut bien le reconnaître. Ça ne s'est pas passé comme prévu. Pas une fois » , reconnaît un peu las un
proche de la direction du Club Med. La longueur et la violence de la bataille mettent tout le monde à cran. Les
deux camps s'accusent mutuellement de mensonges, de dissimulation, de manipulation. Les salariés et les
syndicats sont sous tension. L'entreprise et ses projets sont comme suspendus. « Cette ambiance malsaine
va laisser des traces. Il faut que ça s'arrête » , explique un bon connaisseur du dossier.Guo Guangchang, le
patron de Fosun, ne devait certes pas s'attendre à rencontrer autant de difficultés. Lui et Henri Giscard
d'Estaing, le PDG du Club Med, semblaient même assez sûrs de leur fait le 27 mai 2013. Fosun, partenaire
du Club depuis 2009, et Ardian, le plus gros fonds français de capital investissement (ex-Axa Private Equity),
présentent alors leur projet d'OPA, calibré au millimètre pour afficher une majorité française au capital du
groupe, grâce à la participation du management.Péché d'optimisme ? D'avarice plus probablement. À 17,50
euros, Fosun et Ardian n'étaient guère généreux avec des actionnaires qui depuis dix ans n'avaient pas vu la
couleur d'un dividende, ni encore recueilli les fruits des investissements massifs de la montée en gamme du
Club. L'offre, acceptée par le conseil d'administration, sera contestée par des minoritaires, sur un argument
juridique bancal que la cour d'appel balaiera... au printemps 2014« Un délai dévastateur ! » tempête un
proche du Club.C'est à cette époque que les Bonomi sortent du bois, s'invitent au capital du groupe et
distillent des confidences en Italie, au point de faire monter le cours de Bourse audessus de 17,50 euros. Et
fin juin, ils déposent à leur tour une offre, à 21 euros ! « Giscard a toujours pris les Bonomi de haut. Quand
Andrea a demandé à le voir en 2013, il ne lui a fait proposer de rendez-vous que plusieurs mois plus tard, en
2014 ! Et quand l'Italien a voulu rencontrer les dirigeants de Fosun, il s'est imposé au rendez-vous » ,
explique un proche du dossier.Franche hostilitéBonomi et Guo se sont effectivement vus en juillet 2014 avec
le patron du Club sur le terrain du Chinois, au YuYuan Garden de Shanghaï. « C'était inutile, et cela s'est
confirmé ensuite quand ils se sont vus peu après en tête à tête, à Athènes. L'italien a toujours posé comme
base de discussion de prendre le contrôle. » Entre les deux camps, la méfiance initiale a vite tourné à la
franche hostilité. Les banquiers - Rothschild pour le Club Med, Lazard pour les Bonomi et la Société générale
pour Fosun - planchent de longue date sans espoir de réconcilier les parties.« Andrea et Carlo Bonomi sont
convaincus que le Club est mal géré et qu'il y a un vraipotentiel de valeur à créer » , explique leur conseiller
Stéphane Fouks(Havas). « Le Club vit sur des mensonges. Chaque année, ils inventent un indicateur de
résultat qui défalque l'effet du tsunami, de la grippe aviaire, des printemps arabes... ! Et cela fait dix ans qu'ils
vendent la montée en gamme de leur concept. Mais le Club n'est pas une marque de luxe, dans un univers
du tourisme qui a évolué plus vite que lui » , critique un partisan de Bonomi. Dans son projet, l'investisseur
italien veut remettre l'accent sur les clubs 3 tridents (encore un tiers du parc) et la clientèle européenne.Un
proche du dossier affirme que le groupe français et son allié chinois ont de bonnes raisons de se méfier de
l'italien. « L'été dernier, Carlo Bonomi, le frère d'Andrea, a présenté un plan à Henri Giscard d'Estaing. Ça
n'avait rien à voir avec ce qui a été ensuite présenté dans leur offre. Il y aura de la casse sociale, des
cessions massives de villages... » , prévient-il.Vu du clan Fosun, les masques seraient tombés.« À 23 euros
et avec un nouvel allié, le fonds d'investissement KKR qui attend par définition un retour sur investissement
rapide, Bonomi n'aura pas d'autre choix que de tailler dans le vif » , affirme une source proche du dossier. «
Ou alors, il y a une partiede leur accord que l'on ne connaît pas » , abonde un autre.OEil pour oeilEntre les
deux camps, c'est oeil pour oeil. Engagé aux côtés de Fosun, le brésilien Tanure se voit rappeler ses
démêlés avec d'anciens partenaires. Avant, l'irruption aux côtés des Bonomi de Serge Trigano, le fils du
mythique André, créateur du Club, a fait polémique. « C'était une erreur, et ils le savent » , affirment deux
sources. Trigano serait la caution d'un retour aux sources du Club, dont bon nombre de GO sont
nostalgiques de son âge d'or, époque Les Bronzés. Mais le passage de témoin du père au fils avait été
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Dix-huit mois d'une drôle de guerre
01/12/2014
Le Figaro
Pag. 27
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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compliqué. Et le successeur de Serge Trigano, Philippe Bourguignon, a depuis expliqué qu'il avait dû
remettre de l'ordre dans une entreprise notamment coutumière du travail au noir...Serge Trigano, version
2014, se défend de tout esprit de revanche. Il fait en tout cas le « job » pour ses partenaires italiens et
communique abondamment. « La montée en gamme, c'est bien, mais le Club ne peut pas miser
exclusivement sur la Chine ou sur des familles capables depayer 8 000 ou 10 000 euros leur semaine de
vacances. Il faut donner à la marque un côté plus glamour et plusjeune » , explique-t-il. Dans cette ambiance
à couteaux tirés, au sein du Club, la fidélité à l'équipe dirigeante - maladroitement sollicitée ces derniers jours
par un mail interne et anonyme en forme de pétition - commence à s'éroder. Certes, les chefs de village
continuent à faire bloc, et Giscard a pu mesurer leur soutien à Vittel le 11 novembre. La CFTC, deuxième
syndicat de l'entreprise, redoute« l'alliance italo-américaine » qui àses yeux porte le « risque de
démantèlement et de mise en péril » du Club Med.Mais l'Unsa, et surtout FO, premier syndicat, refusent de
prendre partie. Dans un tract du 25 novembre, FO rappelle que le comité d'entreprise a émis un avis
défavorable à l'offre de Fosun. Andrea Bonomi et Serge Trigano ont rencontré les représentants FO et Unsa
il y a quinze jours au Mama Shelter, l'hôtel créé par le second à Paris. Le grand jeu. « Si j'avais été une
femme, j'aurais craqué ! » confie un participant. Mais les doutes subsistent sur les sacrifices que devra faire
le Club pour satisfaire ses actionnaires après une telle bataille. « Qui aurait cru que l'on paierait aussi cher
pour cette entreprise ? » , ironise un banquier qui observe cette drôle de guerre.
01/12/2014
Le Figaro
Pag. 27
Le chinois Fosun devrait surenchérir une nouvelle fois ce lundi face à l'offre de l'investisseur italien Bonomi.
B. B. ET M. V.
TOURISME Dix-huit mois que ça dure, et ce n'est pas fini. La bataille pour le contrôle du Club Med risque de
rebondir de nouveau ce lundi. De sources concordantes, le groupe chinois Fosun n'est pas prêt à jeter à
l'éponge. Il aurait réuni son conseil d'administration dimanche, pour mettre la dernière main à une nouvelle
surenchère. Tout juste dans le délai fixé par l'Autorité des marchés financiers (AMF) après la dernière OPA
en date signée Strategic Holdings, la société d'investissement de l'Italien Andrea Bonomi et de son frère
Carlo.Fosun va donc devoir proposer au minimum 2de plus que son adversaire, qui a mis la barre à 23 euros
par action le 11 novembre. « S'il se décide, ce ne sera pas pour un prix beaucoup plus élevé » , prédit un
expert. Certes, le groupe chinois a un nouvel atout à produire : Nelson Tanure. L'homme d'affaires brésilien
sortirait pour la première fois de ses frontières. « Je crois fermement à la stratégie de l'actuel management.
Je souhaite un Club Med qui reste une marque française, cotée en France. Ce que propose Bonomi va à
mes yeux détruire le Club Med », expliquait-il au Figaro, à Paris, le 21 novembre. Fort de ce nouvel allié,
Fosun aurait aussi demandé des efforts à tout le monde. Les actionnaires de son holding Gaillon II devront
s'engager sur la durée, et le management, Henri Giscard d'Estaing en tête, va peut-être devoir investir un peu
plus.En termes stratégiques, la direction du Club Med et ses prétendants chinois et brésiliens estiment que
leur projet conserve un avantage sur celui de Bonomi : il a la capacité d'aller capter de nouvelles clientèles
chinoise et brésilienne pour retrouver une croissance des volumes. Et c'est cette croissance qui pourra
rentabiliser, enfin, la base de coûts fixes élevée du groupe. Nelson Tanure confirme, pour le seul Brésil, « 4
villages en projets, et 3 existants à faire monter en gamme » . Et il souligne le potentiel de l'Amérique du Sud,
« le Chili, le Pérou, la Colombie... »« Cela fait plus de quatre ans que Guo Guangchang, le patron de Fosun,
est sur cette affaire. Il y croit. Il ne va pas la lâcher » , dit un proche du dossier. « Il est excédé ! Il n'avait pas
anticipé qu'on lui mettrait autant de bâtons dans les roues, s'agissant de la première OPA d'un groupe chinois
en France. »Un autre témoin des dernières discussions confirme l'exaspération du camp chinois. « La
situation est très, très tendue. Cela peut exploser à chaque minute » , ajoute-t-il. Chaque clan a déjà amassé
plus de 18 % du capital du Club. « On est entré dans une dimension personnelle. Personne ne veut perdre la
face » , explique un bon connaisseur du dossier.L'âpreté de la bataille angoisse les dirigeants de l'entreprise
et les salariés, qui redoutent à chaque euro de plus mis sur la table la pression à venir des futurs
actionnaires, quels qu'ils soient, pour rentrer dans leur mise. Les pouvoirs publics sont aussi sur le qui-vive. À
force de se retrancher dans une attitude scrupuleusement neutre, le gouvernement et la Caisse des dépôts,
qui est actionnaire du Club, ont fini par agacer les deux camps. L'AMF, qui a laissé se dérouler un libre jeu de
surenchères et commencé de raccourcir les délais depuis mi-novembre, est aussi critiquée par certains
acteurs. Bref, tout le monde voudrait que le dossier trouve enfin son épilogue.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Bras de fer à haut risque pour le Club Med
29/11/2014
Le Monde - Dossier
Pag. 6
(diffusione:30179, tiratura:91840)
Cédric Pietralunga
Après presque quatre semaines d'atermoiements, le tribunal de commerce de Marseille (Bouches-du-Rhône)
a accepté, vendredi 28 novembre, la demande de cessation des paiements présentée le 4 novembre par la
Société nationale maritime Corse Méditerranée (SNCM).Et a placé la compagnie marseillaise en
redressement judiciaire pour une période de six mois, avec une audience intérimaire prévue dans deux mois
- le 7 janvier 2015 - pour faire le point sur la situation.Les administrateurs judiciaires de la SNCM qui ont été
désignés par le tribunal - Maîtres Emmanuel Douhaire et Frédéric Abitbol, déjà conciliateurs auprès de la
compagnie - devront aller vite s'ils veulent sauver la compagnie.Selon un rapport du juge enquêteur Marc
Zanetto, remis jeudi 20 novembre, l'entreprise disposait, début novembre, d'une trésorerie de 40,2 millions
d'euros. De quoi tenir jusqu'à la fin janvier ou au début février mais pas au-delà. " La SNCM brûle entre 10 et
15 millions d'euros par mois ", assure un bon connaisseur de la compagnie." Deux mois ne seront pas
suffisants pour trouver un repreneur et restructurer la compagnie, met en garde Maurice Perrin, délégué
CFE-CGC. Il y a un risque réel de liquidation de la SNCM si les actionnaires n'acceptent pas de financer la
période d'observation. "Transdev, qui détient 66 % de la SNCM, au côté de l'Etat (25 %) et des salariés (9
%), a indiqué à plusieurs reprises qu'il ne remettrait plus d'argent dans l'entreprise. " Mais il s'agit d'une
position de façade, assure un bon connaisseur du dossier. S'il faut financer quelques semaines de plus
l'activité de la compagnie pour laisser le temps à un repreneur de boucler son dossier, Transdev ne se
dérobera pas. "Les choses pourraient néanmoins aller vite. Une douzaine de repreneurs potentiels se
seraient manifestés ces dernières semaines et quatre d'entre eux auraient demandé à avoir accès aux
données de l'entreprise. " Il y a un italien, un grec, un espagnol ", croit savoir un proche de la SNCM. Les
noms de l'armateur italien Grandi Navi Veloci, qui assure déjà des liaisons maritimes avec le Maroc depuis
Sète (Hérault), et du français Stef, propriétaire de La Méridionale, la compagnie partenaire de la SNCM pour
desservir la Corse, sont cités.L'armateur mexicain Baja Ferries, dirigé par l'homme d'affaires Daniel Berrebi,
semble avoir une longueur d'avance. Après s'être manifesté au printemps, ce Français d'origine tunisienne
basé à Miami (Etats-Unis) a indiqué, jeudi, avoir envoyé une lettre au président du directoire de la SNCM et
aux administrateurs judiciaires pour leur présenter une offre " ferme et engageante " de reprise de la
compagnie, selon son entourage.M. Berrebi y assure qu'il est possible de " construire un modèle économique
équilibré " pour la SNCM, à la condition de la restructurer lourdement. L'homme d'affaires, qui exploite aussi
une dizaine de navires de marchandises au Mexique à travers sa société familiale Unishipping, propose de
reprendre " 800 contrats de travail " sur les 2 000 que compte la compagnie (1 508 CDI et 400 à 500
CDD).L'homme d'affaires préconise par ailleurs de fermer les lignes déficitaires assurant la desserte de la
Corse depuis Nice et Toulon et de redéployer une partie des 7 navires de l'entreprise vers le Maghreb.Mais
cette reprise reste conditionnée à l'abandon par Bruxelles de deux amendes de 440 millions d'euros infligées
en 2013 à la compagnie pour avoir bénéficié d'aides publiques jugées illégales.La Commission n'a jusqu'ici
pas donné d'indication sur ses intentions. Pis, le tribunal de l'Union européenne a rappelé, début novembre,
que les recours en annulation déposés par l'Etat français et la SNCM " n'ont pas d'effet suspensif ".Mercredi,
Alain Vidalies, le secrétaire d'Etat aux transports, s'est rendu à Bruxelles pour plaider la cause de l'entreprise
marseillaise, " mais l'affaire devra se régler directement entre François Hollande et Jean-Claude Juncker ",
estime un proche des négociations. Le dossier est loin d'être refermé...
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SNCM : quatre repreneurs étudieraient le dossier
29/11/2014
Le Monde - Dossier
Pag. 1.6
(diffusione:30179, tiratura:91840)
Denis Cosnard
Le résultat opérationnel est en effet resté positif, grâce à l'amélioration des performances en Asie et sur le
continent américain.Mais les villages en Europe et autour de la Méditerranée, le cÅ“ur historique du groupe,
affichent désormais un déficit opérationnel alors qu'ils assurent encore 70 % du chiffre d'affaires. En outre, le
Club a supporté d'importants coûts liés à la fermeture de plusieurs sites et à l'offre publique d'achat (OPA) en
cours. D'où la perte nette.Quant à l'horizon, il demeure assez bouché. Ces deux derniers mois, les
réservations ont chuté de 12 %. La faute à l'épidémie d'Ebola et aux menaces terroristes qui n'incitent guère
à partir vers certaines destinations ensoleillées. Le village du Club en Egypte, à Taba, est d'ailleurs toujours
fermé depuis qu'un attentat a tué plusieurs touristes au Sinaï, en février. En Tunisie, aucun village n'est plus
ouvert non plus.Au total, les réservations cumulées pour l'hiver restent en hausse de 3 %, et M. Giscard
d'Estaing espère un résultat net positif sur l'année. Mais ce n'est pas demain que le Club pourra verser à ses
actionnaires le dividende qu'ils attendent depuis plus de dix ans... Et pourtant pas moins de sept
investisseurs étrangers, divisés en deux camps, se battent pour le contrôle du groupe. Et se préparent à
signer un chèque assez incroyable pour s'offrir une PME en crise.Andrea Bonomi tient la corde. Associé au
sud-africain Sol Kerzner, au brésilien GP Investments et au fonds américain KKR, l'homme d'affaires italien
est prêt à payer 914 millions d'euros.En face, le chinois Fosun semble décidé à surenchérir. Premier à s'être
lancé à l'assaut du Club dès le printemps 2013, le conglomérat du milliardaire Guo Guangchang a trouvé
deux partenaires pour l'épauler : l'agence de tourisme chinoise U-Tour et l'homme d'affaires brésilien Nelson
Tanure. Ce dernier compte mettre au pot 90 millions de dollars (72 millions d'euros), a-t-il indiqué au
Financial Times, ce qui devrait permettre à Fosun de présenter une nouvelle offre lundi, date butoir fixée par
l'Autorité des marchés financiers.Pour le futur acquéreur, la facture ne s'arrêtera pas là. " Il faut prévoir 300 à
400 millions d'euros d'investissements supplémentaires sur cinq ans, pour accélérer les ouvertures de
villages et obtenir la taille critique, estime Didier Arino, directeur du cabinet d'études Protourisme. Rentabiliser
tout cela ne va pas être facile... "Le Club garde cependant deux atouts. Le premier, c'est sa marque, " la plus
belle au monde pour l'hébergement de loisirs ", juge M. Arino. Le second, son positionnement assez unique,
à la fois haut de gamme, familial et festif. Depuis dix ans, des dizaines de clubs jugés trop bas de gamme ont
été fermés, et d'autres, plus chics, ont été ouverts. A présent, 72 % des capacités correspondent à des
villages 4 et 5 tridents, selon le jargon maison, contre 47 % en 2008." Ce concept répond bien à la demande
des pays émergents ", estiment les dirigeants du Club. En particulier des Chinois aisés qui découvrent le
tourisme, et apprécient l'encadrement prévu dans le système " tout compris ". En un an, l'entreprise a ainsi
recruté 25 000 nouveaux clients provenant des pays à croissance rapide, surtout la Chine et le Brésil. Mais
elle en a perdu 20 000 dans la vieille Europe...Dans ce contexte, " miser plus d'1 milliard sur le Club ne peut
avoir de sens qu'avec des partenaires industriels à même de participer à l'implantation de villages dans les
zones qu'ils maîtrisent ", explique le directeur de Protourisme. C'est ainsi que Fosun doit aider le Club à
essaimer en Chine, et Nelson Tanure au Brésil. Dans le camp Bonomi, Sol Klerzner et GP Investments sont
eux aussi des spécialistes de l'hôtellerie.Cela suffira-t-il à transformer le Club en machine à cash ? Sûrement
pas à court terme, même en taillant dans les frais généraux et en cédant des actifs, admettent tous les
protagonistes du dossier. Les futurs propriétaires devront se montrer patients.
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Club Med : cinquième perte en huit ans
29/11/2014
Le Monde
Pag. 18
(diffusione:30179, tiratura:91840)
jean-baptiste de Montvalon
Hors de nos frontières, nul n'aurait politiquement survécu aussi longtemps avec un tel bilan. Pour un Silvio
Berlusconi deux fois revenant en Italie, ou quelques dynasties se succédant en Grèce, combien de dizaines
de Jimmy Carter, Bill Clinton, Margaret Thatcher, Felipe Gonzalez, José Maria Aznar et autres Gerhard
Schröder se sont vu délivrer un aller simple au lendemain d'une défaite électorale ? Sans compter ceux qui
ont devancé l'appel sous la pression de leur parti : ainsi, le premier ministre britannique Tony Blair annonçant,
en septembre 2006, qu'il quitterait le pouvoir moins d'un an plus tard. Parole tenue le 27 juin 2007, lorsqu'il
passa la main à son rival du Parti travailliste, Gordon Brown.Ailleurs, on congédie au premier revers national
(quand on ne l'anticipe pas), ici, on congèle, en attendant des jours meilleurs. Dans un régime instauré lors
d'un retour - celui du général de Gaulle, en 1958, après douze ans de " retraite " -, François Mitterrand puis
Jacques Chirac ont été deux fois candidats à l'Elysée avant d'être élus à leur troisième tentative.Sans
partager pour autant l'appel au " coup de balai " lancé par Jean-Luc Mélenchon au printemps 2013, on peut
s'interroger sur cette exception française, qui nous vaut, à force d'éternels retours et de longévités sans
pareilles, de retrouver toujours les mêmes aux avant-postes.Pour le constitutionnaliste Dominique Rousseau,
l'affaire vient de loin. " Héritée du catholicisme et de la monarchie, explique-t-il, notre culture politique accorde
à la personnalisation du pouvoir une plus grande importance " qu'à l'étranger, où la politique est davantage
vécue comme un service. Notre " attachement à la personne du roi, puis de l'empereur " s'est " reporté sur la
personne des politiques ", insiste-t-il.Le mode de scrutin uninominal et le cumul des mandats - une autre
exception française -, y compris dans le temps, pèsent de tout leur poids sur le même plateau de la balance.
S'ajoute l'absence de statut de l'élu qui contribue, elle aussi, à une professionnalisation de la politique rivant
ses pratiquants à leurs fauteuils. Résultat : on vote en France pour un nom, plus que pour un parti. Et l'on
s'attache à un homme - ou une femme - plus qu'à l'institution qu'il (ou elle) représente. Au point de reconduire
son chef quoi qu'il ait fait, ou de le suivre par-delà la défaite. Si l'on songe, en outre, à la fascination que les "
losers " exercent sur les Français - " l'effet Poulidor ", du nom de l'éternel second des pelotons -, tout
responsable politique ayant un brin d'ambition peut avoir jusqu'à son dernier soupir des raisons d'espérer.Ce
qui est monnaie courante dans nombre de circonscriptions et de communes vaut, a fortiori, pour les rares
leaders qui sont présumés aptes à concourir pour la magistrature suprême. L'élection présidentielle - encore
une exception française ! -, qui accorde au vainqueur des pouvoirs sans équivalent ailleurs, est le sommet de
la pyramide, la quintessence d'un système qui ne favorise guère le renouvellement. Loin s'en faut.C'est la
mère de toutes les batailles, et sa conquête s'apparente à une guerre, où l'on attend du battu qu'il prenne sa
revanche. " Quand - le 21 avril 2002 - le protestant Jospin a dit "J'arrête", personne n'a compris, rappelle
Dominique Rousseau. Tout le monde l'a critiqué, l'accusant d'abandonner son camp au milieu de la bataille,
alors qu'il se conduisait comme le font les hommes politiques à l'étranger. " La politique vécue et perçue
comme une guerre qui " n'est jamais terminée " : tel serait, selon ce juriste, un de nos autres particularismes.
Celui-ci remonterait à la valse des régimes qui a suivi la Révolution française et à la manière pour le moins
conflictuelle dont la modernité politique - et la République - s'est construite dans notre pays.Ni le SPD ou la
CDU ni les travaillistes ou les conservateurs au Royaume-Uni, pas davantage le Parti populaire ou le Parti
socialiste (PSÅ’) en Espagne, n'auraient l'idée saugrenue de porter à leur tête un perdant, a fortiori de
l'investir pour un scrutin de portée nationale. Le républicain américain Richard Nixon, battu par John Kennedy
en 1960 mais finalement élu en 1968, et le chancelier allemand Helmut Kohl, qui prit le pouvoir en 1982 alors
qu'il avait été battu en 1976, font figure d'exceptions. Rien de tel chez nous, où le " come-back " est un sport
national.Alors que, ailleurs, " les partis produisent les leaders ", comme le souligne Dominique Rousseau,
c'est plutôt l'inverse en France, où ils servent pour l'essentiel d'écuries présidentielles. François Mitterrand
s'est adossé à un Parti socialiste élargi qu'il a bâti lors du congrès d'Epinay, en 1971. Le RPR fondé en 1976
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Le " come-back " en politique est une exception française
29/11/2014
Le Monde
Pag. 18
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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était une machine de guerre au service de Jacques Chirac. L'UDF, deux ans plus tard, en fut la réplique
giscardienne. L'homme, plutôt que sa fonction ; le chef, plutôt que son parti. Cela vaut sur tout l'échiquier
politique, du modeste MoDem indexé au panache intermittent de son président, François Bayrou (déjà trois
campagnes présidentielles à son actif), jusqu'à l'extrême gauche : Arlette Laguiller a bien davantage marqué
les esprits avec ses six candidatures à l'élection présidentielle que la formation (Lutte ouvrière) dont elle
portait les couleurs.Ce " modèle ", fort décalé par rapport à nos voisins, n'est-il pas dépassé ? " Il n'est pas
sûr que la société française, voyant ce qui se passe à l'étranger, soit toujours prête au "fixisme" politique ",
estime Dominique Rousseau, qui juge pour cette raison que le retour de Nicolas Sarkozy ne sera pas
forcément gagnant. Il reste que son rival - précocement - annoncé pour 2017, Alain Juppé, n'est pas non plus
un perdreau de l'année.
29/11/2014
Le Monde
Pag. 11
(diffusione:30179, tiratura:91840)
Sous la houlette de son nouveau patron, la Ligue du Nord se rapproche du parti français d'extrême droite «
J'admire le FN pour avoir su parler à tous : riches et pauvres, gauche et droite » secrétaire fédéral de la Ligue
du Nord
philippe ridet et abel mestre (à paris)
Lorsqu'on l'interroge sur ses longues études d'histoire qui l'ont conduit à s'inscrire à dix reprises en faculté
d'histoire, l'Italien Matteo Salvini, 41 ans, nouveau chef de la Ligue du Nord invité samedi 29 novembre au
congr ès du FN à Lyon, ironise : « La Padanie sera indépendante avant que j'aie mon diplôme. » Pourtant,
l'indépendance de la Padanie, cette région mythique au Nord du Pô, ne fait plus partie des priorités du parti
fondé par Umberto Bossi en 1989. Ni l'autonomie, ni la macrorégion de l'Italie septentrionale, ni le
fédéralisme fiscal. A ces thématiques complexes, M. Salvini a préféré deux mots d'ordre audibles du nord au
sud : non à l'immigration, non à l'euro. Cent mille personnes ont repris en chÅ“ur ce refrain, lors d'une
manifestation en octobre à Milan. Miracle : onze mois apr ès avoir été élu à la t ête du plus vieux parti d'Italie,
M. Salvini récup ère déj à les fruits de cette simplification idéologique. Ab îmée par les scandales politicofinanciers qui ont atteint son fondateur et son clan familial, moribonde politiquement, la Ligue redresse la tête
dans une Italie frappée par trois ans de récession. De 4 % aux élections législatives de février 2013, elle est
passée à 6 % aux européennes de mai. Les sondeurs l'estiment aujourd'hui à 10 % des intentions de vote. «
Il a donné l'impulsion » Dimanche 23 novembre, les élections régionales en Emilie-Romagne, marquées par
une tr ès forte abstention, l'ont consacrée premier parti de droite dans cette région. Selon une étude l'Institut
SWG, la Ligue a repris des voix au sein des électeurs du Mouvement 5 étoiles, du Parti démocrate et de
Forza Italia, le parti de Silvio Berlusconi. Commentaire élogieux et jaloux de ce dernier : « Salvini est un
goleador mais il a besoin d'un meneur de jeu comme moi. » « C'est un type remarquable, il a de très grandes
qualités politiques, confie Marine Le Pen qui le c ôtoie au Parlement de Strasbourg o ù les deux formations
sont alliées. C'est un énorme bosseur. Il a donné l'impulsion, au bon moment, pour faire de son parti un
mouvement national. » Beaucoup travaillé ? Peut- être, mais toujours dans les salons feutrés de la politique
où il a fait toute sa carri ère, de conseiller municipal de Milan, à 21 ans, à député européen depuis 2004.
Idéologiquement souple, il a m ême incarné un fugace « courant communiste » au sein du parti. « Il a
beaucoup de flair », confirme M. Le Pen La présidente du FN et son succ ès ne sont sans doute pas pour
rien dans sa décision de « nationaliser » son parti. Il reconna ît toutefois : « J'admire le FN pour avoir su
parler à tous : riches et pauvres, gauche et droite. En Italie, ce sera un travail plus difficile car les divisions
régionales et politiques sont vivaces. L'histoire de nos formations est différente. Nous restons autonomistes.
Mais pour le reste nous partageons 95 % des objectifs. » Enfin, il s'est beaucoup montré à la télévision. Alors
que toute la droite est plus ou moins alliée au gouvernement, et que les élus du Mouvement 5 étoiles refusent
de participer aux talk-shows, il incarne presque à lui seul l'opposition à Matteo Renzi, le président du conseil.
Une tribune dont il a largement profité pour dénoncer l'euro « crime contre l' humanité » ou le « fléau » de
l'immigration. La prochaine étape ? Les élections régionales du printemps pour lesquelles la Ligue du Nord
présentera des candidats partout sous une étiquette encore à définir. « Nous ne voulons pas donner
l'impression que nous voulons coloniser le Mezzogiorno [le sud de l'Italie] », dit-il. Et puis, si possible, des
élections générales anticipées pour se mesurer enfin avec M. Renzi, son rival générationnel : « Nous verrons
bien qui prendra 51 % des voix » , claironne-t-il déjà. Moscou et Pyongyang Mais sit ôt quitté Lyon, il devrait
se rendre une nouvelle fois en Russie que la Ligue consid ère comme « un rempart contre la mondialisation,
l'islamisme et le pouvoir des Etats-Unis » . « Je n'y vais pas pour chercher de l'argent , se défend M. Salvini
qui a d û licencier 70 permanents de la Ligue et s'appr ête à fermer son quotidien La Padania , mais pour
aider les entreprises italiennes exportatrices qui souffrent à cause d'un embargo inepte. » Cette activité de «
défense les intérêts » de l'Italie, l'a aussi conduit cet été en Corée du Nord avec des producteurs de pommes
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Matteo Salvini, le « cousin italien » de Marine Le Pen
29/11/2014
Le Monde
Pag. 11
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
263
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de Lombardie. A chaque fois, cet homme qui a proposé d'instaurer la ségrégation raciale dans le métro
milanais, est revenu enchanté de ses séjours vantant « la tranquillité » et « la sécurité » de Moscou et de
Pyongyang. Des propos que Marine Le Pen met au compte d'une tradition péninsulaire : « En Italie, il y a une
liberté de parole plus grande, voire plus de brutalité. C'est le fait d'une tradition politique. » LE CONTEXTE 83
000 ADHÉRENTS Le Front national revendique 83 000 adhérents, appelés à voter pour le comité central et
la présidence du parti. VOTE DIRECT L'élection au comité central du FN se fait par vote direct des adhérents
par correspondance. Ceux-ci peuvent choisir jusqu'à 100 candidats sur une liste de 400 noms. Le candidat
qui a récolté le plus de suffrages arrive en premi ère position. Aux 100 membres élus s'ajoutent 20 membres
cooptés par la présidente du FN. Les résultats seront proclamés dimanche 30 novembre au matin. COMITÉ
CENTRAL Le comité central, qui est présenté comme le parlement du parti d'extrême droite, ne se réunit que
très rarement. Les adhérents sont aussi invités à élire la présidente du parti. Marine Le Pen est la seule
candidate.
30/11/2014
Le Monde - Dossier
Pag. 1
(diffusione:30179, tiratura:91840)
Adrien de Tricornot
L'annonce, vendredi 28 novembre, d'un tassement des prix dans la zone euro met la Banque centrale
européenne au pied du mur. Le taux d'inflation - sur douze mois - est tombé à 0,3 % en novembre (contre 0,4
% en octobre), selon Eurostat. Et ce n'est pas la chute des prix du pétrole qui explique cet aplatissement du
profil des prix. Ses racines sont plus profondes : l'indice des prix hors énergie a progressé de seulement 0,6
% en novembre dans la zone euro, au lieu de 0,7 % en octobre. Quant aux prix des biens industriels toujours hors énergie -, ils tombent dans le rouge : - 0,1 % sur douze mois, au lieu de + 0,2 %. Les prix
reculent en Espagne, pour le cinquième mois consécutif, et ils s'affichent en baisse en Belgique. Ils ne
progressent que de 0,6 % sur douze mois en Allemagne.Le président de la BCE, Mario Draghi, n'a cessé de
promettre de prendre des mesures plus fortes et plus larges si l'inflation " excessivement basse " ne
remontait pas très vite. L'institution s'éloigne de plus en plus de son objectif de stabilité, qui requiert une
appréciation des prix proche de 2 % par an. En revanche, elle laisse la zone euro se rapprocher jour après
jour d'une dangereuse menace : la déflation, une spirale récessive de baisse des prix et des salaires dont il
est très difficile de s'extirper.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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La zone euro toujours plus proche de la déflation
01/12/2014
Les Echos
Pag. 7
(diffusione:118722, tiratura:579000)
Le chômage a atteint en octobre un niveau record en Italie depuis l'instauration des statistiques en 1977,
avec plus de 13 % de la population active sans emploi. Un coup dur pour le gouvernement de Matteo Renzi,
qui peine à obtenir des résultats sur le front économique.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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13 % / De chômeurs en Italie
01/12/2014
Les Echos
Pag. 19
(diffusione:118722, tiratura:579000)
SIDéRURGIE : Le chef du gouvernement italien, Matteo Renzi, s'est déclaré prêt à nationaliser « durant deux
ou trois ans » l'usine sidérurgique d'Ilva, pour éviter son rachat par des groupes étrangers. La plus grande
aciérie d'Europe, placée en redressement judiciaire, a déjà fait l'objet d'une offre non contraignante d'Arcelor
Mittal, allié au sidérurgiste italien Marcegaglia. D'autres offres seraient en préparation, dont celle du groupe
italien Arvedi.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
266
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Rome prêt à nationaliser l'aciérie d' Ilva
01/12/2014
Les Echos
Pag. 23
(diffusione:118722, tiratura:579000)
Christophe Palierse
Le partenaire du Club doit augmenter son offre pour contrer Bonomi. Il a le soutien du Brésilien Nelson
Tanure, lié au Club. La bataille boursière dont fait l'objet le Club Méditerranée depuis le 30 juin est relancée.
Son partenaire chinois Fosun, qui a jusqu'à 18 heures ce lundi pour contrer la surenchère de l'homme
d'affaires italien Andrea Bonomi, a calé hier les modalités de sa contre-attaque. Le groupement
d'investisseurs qu'il mène doit désormais proposer un prix d'au moins 23,50 euros pour reprendre l'avantage
sur le camp Bonomi, et espérer, à nouveau, l'emporter. Rien ne dit en effet que son offensive, la deuxième,
soit l'ultime épisode de cette bataille. Global Resorts, le véhicule d'acquisition ad hoc d'Andrea Bonomi, a fait
monter les enchères, le 11 novembre, sur l'exploitant de villages de vacances mondialement célèbre, en
offrant 23 euros pour chacune de ses actions - soit 2 euros de plus que son offre initiale, mais, surtout, 1 euro
de plus que l'OPA du consortium mené par Fosun. Depuis, le titre Club Med a continué de s'apprécier, porté
par la perspective d'une surenchère à la surenchère, dans de petits volumes d'échanges toutefois. A la
clôture de la séance de vendredi, il valait 23,90 euros. Pour mémoire, la première OPA de Fosun, « torpillée
» par Andrea Bonomi, avait été lancée en juillet 2013 à un prix unitaire de 17,50 euros, le partenaire chinois
du Club étant alors associé à parité avec la société d'investissement Ardian. Fosun, dont l'actionnaire
principal et président, Guo Guangchang, est très attaché au Club - il est même devenu proche de son PDG,
Henri Giscard d'Estaing -, a obtenu un soutien additionnel pour lancer sa nouvelle contre-attaque, l'homme
d'affaires brésilien Nelson Tanure. Ce partenaire du Club au Brésil - pour un projet de village, près de Buzios
(lire ci-dessous) - s'engagerait à hauteur de 15 à 20 %. Nelson Tanure, dont la participation était déjà
évoquée lors de l'annonce de la deuxième OPA de Fosun, entrerait dans la bataille parce qu'inquiet,
rapporte-t-on, du récent soutien du géant nord-américain du capital-investissement KKR à Andrea Bonomi.
Un rachat estimé à 874 millions d'euros Le Club Med, que beaucoup d'experts jugent survalorisé, commence,
il est vrai, à coûter cher. La deuxième offre de Global Resorts, qui a donné lieu à l'intrusion de KKR, présenté
en tant qu'investisseur « minoritaire », a porté le montant total du rachat de l'intégralité des actions et
obligations à 874 millions d'euros, et ce hors coûts et dépenses externes. Dans ce contexte, Fosun a plus
que jamais besoin du partenaire brésilien du Club Méditerranée. Sa participation atténue de surcroît la
coloration chinoise d'une prise de contrôle redoutée et critiquée par les syndicats FO - majoritaire - et Unsa.
Sur un plan pratique, deux options étaient encore à l'étude hier en fin de journée quant à la nature de cette
contre-attaque sino-brésilienne : une surenchère automatique avec l'acquisition d'un bloc d'actions à un prix
supérieur ; une nouvelle OPA en bonne et due forme. La surenchère automatique, à laquelle Global Resorts
avait recouru le 11 novembre, permettrait a priori d'éviter un étirement du calendrier.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
267
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Club Med : Fosun doit relancer la bataille
29/11/2014
Liberation
Pag. 17
Économie Par N.D.
L ui est, à 49 ans, un héritier d'une vieille famille milanaise qui a fait fortune dans le mattone (la «pierre») :
l'immobilier. Et le petit-fils d'Anna Bonomi Bolchini, «première femme banquière italienne». Le profil Andrea
Bonomi pilote depuis 1990 un fonds de capital-investissement installé au Luxembourg, Investindustrial. Ce
spécialiste du retournement d'entreprises, qui a débuté chez Lazard, s'est fait un nom en rachetant les motos
Ducati, en 2006, et les voitures de sport anglaises Aston Martin en 2012. Mais il a aussi investi, avec ses
deux frères, dans des parcs de loisirs en Italie ou à Port Aventura, en Espagne. Les Bonomi sont la troisième
dynastie italienne à s'intéresser au Club, après les Agnelli (principaux actionnaires jusqu'en 2004) et les
Benetton, entrés au capital en 2009. Le projet Le condottiere milanais analyse la mauvaise santé du Club
Med comme un problème d'investissement, de positionnement et de management. Pour lui, Henri Giscard
d'Estaing a fait fausse route en misant exclusivement sur le haut de gamme et la Chine. «Le Club n'est pas et
ne sera jamais une marque de luxe», fait valoir le camp Bonomi, en regrettant que la montée en gamme ait
fait fuir les classes moyennes avec enfants. Le projet italien propose donc de jouer sur les deux tableaux :
accélérer le rythme d'ouvertures de villages 4 et 5 «tridents», mais relancer aussi les villages 3 tridents ; aller
à fond sur la Chine, premier marché touristique mondial, mais réinvestir également l'Europe, qui reste le
principal marché du Club. Parmi ses leitmotivs : «revenir aux valeurs historiques du Club» ou «reconnecter le
client, avec l'ADN du Club Med». Depuis le début de la bataille, Andrea Bonomi ne se prive pas de dire tout
le mal qu'il pense des dirigeants du Club Med, de leur manque de réactivité. «Le Club a une rentabilité deux
fois moindre que les sociétés de son secteur», tacle un banquier proche du camp italien. Sur les dix dernières
années, la société n'a pas distribué de dividendes et cumulé plus de 220 millions de pertes, avec un chiffre
d'affaires en recul de 12%. Voilà un beau potentiel pour un expert en «retournement»... Pour relancer la belle
endormie, Bonomi virera Giscard et promet d'investir 476 millions d'euros dans le groupe d'ici à la fin de
l'année 2018 (soit 150 millions d'euros de plus que l'actuelle direction). L'une de ses priorités sera de doper le
marketing, en doublant le volume des ventes en ligne (à peine 20% aujourd'hui). Les pour et contre Bien
qu'associé pour cette OPA à l'homme d'affaires sud-africain Sol Kerzner et aux fonds d'investissements
américain KKR et brésilien GP Investments, Andrea Bonomi présente son offre comme la seule «garante de
l'ancrage français» du Club. Pour mieux prouver sa volonté de retour aux fondamentaux qui ont fait le succès
de la marque, le financier italien a un atout dans sa manche : l'appui de Serge Trigano, viré en 1997, à qui il a
promis le poste de président si l'OPA réussit. Mais, parmi les salariés du Club Med, restent deux points
d'interrogations : comment regagner de l'argent avec des villages 3 tridents, moins rentables, et avec qui
poursuivre la conquête chinoise, quand Fosun ne sera plus là ?
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
268
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Andrea Bonomi, le fort européen
29/11/2014
Liberation
Pag. 16
Bataille pour le Club Méditérranée
Économie Par Nathalie Dubois
Le bout du tunnel, c'est pour quand ? Le Club Méditerranée campe dans le rouge et perdra encore 9 millions
d'euros en 2014. Une chute que la direction explique par les coûts liés aux fermetures de villages, qui ont
coûté 75 millions d'euros sur trois ans. Le groupe a aussi pâti de la crise en Europe, des «troubles» en
Afrique du Nord (ses villages sont fermés en Tunisie) et de l'impact d'Ebola en Afrique de l'Ouest (-50% de
commandes au Sénégal). Le Club Med veut pourtant croire que ses résultats démontrent la pertinence de sa
double stratégie de montée en gamme et d'internationalisation. Il fait surtout l'objet d'une interminable bataille
d'offre publique d'achat (OPA), la plus longue de l'histoire de la Bourse de Paris : dix-huit mois que le sort du
Club Med oscille entre les deux acquéreurs potentiels. L'Autorité des marchés financiers a donné jusqu'à
lundi à Fosun, le conglomérat du Chinois Guo Guangchang, pour dire s'il souhaite - ou non - surenchérir sur
la nouvelle offre du financier italien Andrea Bonomi. Le premier est soutenu par Henri Giscard d'Estaing,
patron du Club Med depuis 2001. Le second est appuyé par Serge Trigano, fils de Gilbert, le légendaire GO
en chef de cette success story mondiale du tourisme. Parties à 17,5 euros l'action, les enchères sont
montées à 23 euros, valorisant à près de 900 millions d'euros une marque iconique qui peine pourtant à se
réinventer.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
269
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Deux fortunes aux deux visions contradictoires tentent depuis dix-huit mois d'acquérir le groupe français.
01/12/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.40 - 1 dicembre 2014
Pag. 1
(diffusione:581000)
Federico Fubini
Un secolo fa i reporter della muckraking press negli Stati Uniti si guadagnarono il loro nome, copyright
Theodore Roosevelt, perché rastrellavano nel fango. Svelavano gli scandali delle grandi aziende. Alcuni
svelarono gli abusi da monopolista di John Rockefeller, provocarono la reazione furibonda dell'uomo la cui
fortuna valeva qualcosa come 300 miliardi in dollari di oggi, ma alla fine portarono alla scissione della sua
Standard Oil in molti pezzi per mano della Corte suprema. Correva l'anno 1911. Oggi niente del genere
sarebbe immaginabile. Non c'entra solo il fatto che, ammesso che lo voglia, l'antitrust di Bruxelles non ha i
poteri per separare il motore di Google dal resto delle sue attività (come ha chiesto giovedì scorso
l'Europarlamento). Conta anche un altro dettaglio: Google potrebbe accorgersi che un muckraker sta per
pubblicare un articolo suoi sui presunti abusi prima ancora che questi lo scriva. Niente permette di sospettare
che Google spii chicchessia, ma potrebbe riuscirci se solo lo volesse: è sufficiente incrociare i dati delle
ricerche sul web di una persona, se è un utente dei servizi di ricerca del gruppo di Mountain View come
accade nel 90% dei casi negli Stati Uniti e nel 68% dei casi in Europa. Le nuove tecnologie danno ai grandi
gruppi della rete il potere di ammassare una quantità fino a ieri inconcepibile di dati su chiunque si rivolga a
loro. Questi dati possono essere usati per un gran numero di funzioni commerciali: documenti da decine di
migliaia di pagine l'uno raccolgono le preferenze di milioni di clienti, fanno emergere le loro scelte, scavano
fino a individuare le abitudini e i comportamenti dei singoli. Non è un privilegio della sola Google. Qualunque
azienda multinazionale investe in programmi di software capaci di lavorare sui cosiddetti "Big Data", i grandi
numeri sui consumatori con i quali entra in contatto. La differenza di Google è che fonde più mestieri in una
sola azienda integrata: motore di ricerca che seleziona (anche) i rimandi ai suoi potenziali concorrenti;
assistente personale di centinaia di milioni di persone in servizi che vanno dalla ricerca di un luogo, alle
informazioni meteo, alla traduzioni di testi, allo scambio di posta; fornitore di contenuti prodotti da altri, ma
estratti da Google gratis dalla rete e presentati accanto a inserzioni pubblicitarie che arricchiscono solo il
gruppo di Mountain View. In un'era di trasformazioni, Google non è il solo operatore in grado di accumulare
una posizione tanto dominante. Amazon lo ha fatto nei libri, e ha cercato di schiacciare la francese Hachette
quando ne è stato contestato. Oggi non viviamo una nuova era di robber baron , i "baroni ladri" alla
Rockefeller, ma di innovatori illuminati che hanno cambiato le nostre vite in meglio. Questo non conferisce
loro il diritto di abusare della propria forza di mercato. Il nuovo commissario europeo alla Concorrenza,
Margrethe Vestager, non ha il diritto di imporre loro la stessa fine di Standard Oil. Ma (si spera) non
dimenticherà le altre armi di cui dispone.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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LE ARMI DELL'EUROPA E IL POTERE DI GOOGLE
01/12/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.40 - 1 dicembre 2014
Pag. 1
(diffusione:581000)
Più reddito disponibile per spingere i consumi
Paolo Onofri
Si comincia a delineare un consenso sul fatto che per uscire dalla trappola della liquidità nella quale si trova
l'area euro ci sia una condizione necessaria che deve essere soddisfatta, ma che tale condizione non sia
sufficiente. Si tratta dell'allargamento quantitativo della politica monetaria da molti invocato e sul quale
continua a sussistere il dissenso della Germania, qualora esso dovesse avvenire attraverso l'acquisto di titoli
del debito pubblico. Finora l'allargamento quantitativo ha agito attraverso il canale bancario e quello dei titoli
privati comunque di origine bancaria. segue a pagina 10 segue dalla prima L'intervento sul mercato dei titoli
pubblici aggiungerebbe un importante canale di trasmissione a quello del sistema bancario: i portafogli di
attività finanziarie delle società finanziarie, delle banche e delle famiglie, i quali sarebbero sollecitati a
modificare la loro composizione verso attivi con un maggiore rendimento e rischio rispetto a quello dei titoli
pubblici, il cui rendimento si ridurrebbe ulteriormente in conseguenza degli acquisti da parte della Bce. Attivi
più rischiosi che potrebbero aiutare il finanziamento dell'attività economica. Fin qui la condizione necessaria,
ma, come ha dichiarato ormai più volte lo stesso Mario Draghi, non sufficiente per la ripresa della crescita
europea in misura adeguata a evitare il rischio della deflazione. Il consenso sembra quindi coagularsi attorno
alla valutazione che senza un impulso dal lato della domanda aggregata non si riuscirà a uscire da questa
lunga crisi. Ma un impulso ai consumi o agli investimenti? Il Presidente della Commissione Europea ha
messo in campo la possibilità d'investimenti infrastrutturali a livello europeo. Non manca lo scetticismo circa
l'efficacia di questo piano sia dal punto di vista della sua dimensione, sia da quello dei tempi realistici
d'implementazione di fronte alla necessità immediata di sostegno alla domanda. Il nostro governo ha scelto
per il 2015 lo stimolo ai consumi. La conferma definitiva del credito d'imposta di 80 euro mensili (3,5 miliardi
in più rispetto al 2014), la sua estensione alle famiglie con nuovi nati per i primi tre anni della loro vita oltre ad
altri interventi a favore delle famiglie (500 milioni), il tentativo di consentire a chi si trovi eccessivamente
vincolato nelle spese di consumo dal reddito in questo periodo disponibile di incassare temporaneamente
l'accantonamento annuale di Tfr (una valutazione più prudente di quella del governo suggerisce 2,5 miliardi),
l'ampliamento della platea dell'indennità di disoccupazione (1,5 miliardi), sono provvedimenti che dovrebbero
sostenere i consumi proprio perché mirati, in prevalenza, alle fasce di reddito più basse e quindi più vincolate
nelle loro spese. Complessivamente si tratta di un aumento di 8 miliardi di reddito disponibile delle famiglie
che si somma ai 6,5 del bonus 80 euro del 2014, reso definitivo. Si tratta dell'1,4 per cento in più rispetto al
2013, che per le fasce di reddito che lo percepiscono può arrivare dal 3 al 5 per cento del loro reddito. Vi è
anche un altro fattore che sta agendo sull'incremento del potere d'acquisto delle famiglie: la riduzione del
prezzo dei prodotti petroliferi. La caduta del prezzo del petrolio del 30 per cento circa è stata attenuata dal
deprezzamento dell'euro di circa dieci punti e, comunque, la trasmissione ai beni finali è ulteriormente attutita
dall'elevata componente fiscale. Si tratta, in ogni caso, di un contributo non trascurabile al potere d'acquisto
delle famiglie che dovrebbe superare di poco, in termini annui, i quattro miliardi di euro, lo 0,4 per cento del
reddito disponibile. Legge di Stabilità e riduzione dei prezzi del petrolio sembrerebbero dover creare, quindi,
le condizioni per un avvio di ripresa dei consumi, ma non tutto è così semplice. La maggiore disponibilità di
reddito, com'è facilmente intuibile, può tradursi in maggiore risparmio soprattutto per le famiglie che si
confrontano con una maggiore incertezza del proprio reddito da lavoro e per la generalità delle famiglie per
l'elevato grado d'incertezza del contesto istituzionale nazionale ed europeo. Nasce da quest'ultima
considerazione l'importanza della proposta di Junker, a prescindere dalle discussioni che solleva. Arrivare a
un accordo sul progetto sarebbe il segnale di un passo avanti nella gestione coordinata della politica
economica europea. Un passo nella direzione opposta della disintegrazione. Una rassicurazione del quadro
economico all'interno del quale i singoli governi potranno muoversi. E' quindi ovvio arrivare alla conclusione
che l'uscita dell'area euro e del nostro paese dalla lunga crisi passa attraverso un concerto di decisioni prese
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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[ I COMMENTI ]
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a diversi livelli. Dapprima le condizioni monetarie di competenza della Bce con l'estensione degli acquisti di
titoli a quelli pubblici; in secondo luogo uno stimolo europeo alla domanda aggregata, attraverso programmi
d'investimento in infrastrutture transnazionali e nazionali; infine, l'intervento nazionale a sostegno dei redditi
più colpiti dalla crisi. La realizzazione di questo tipo di misure dovrebbe creare le condizioni per rendere
accettabili perché meno dolorose le riforme di struttura che nel medio periodo sono comunque necessarie.
01/12/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.40 - 1 dicembre 2014
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Eugenio Occorsio
Dalla stazione ferroviaria dell'aeroporto di Venezia (spesa prevista 114,2 milioni) al potenziamento del porto
commerciale di Augusta in Sicilia (52 milioni), dalla bretella di collegamento CampogallianoSassuolo che
unirà il distretto della ceramica all'A1 (520 milioni) fino alla linea ad alta velocità Genova-Tortona (6,1
miliardi). E così via con strade, autostrade, porti, aeroporti, ferrovie, perfino piscine comunali e centri
congressi. Ha più di 200 voci l'elenco consegnato dal governo alla task-force di Bruxelles Developing
investment project pipeline incaricata di raccogliere le opere di tutti i Paesi dell'Ue che si candidano ai
finanziamenti del piano Juncker. Il capitolo Italia è stato inserito dai funzionari comunitari nel maxifaldone
europeo (1700 opere ognuna con illustrazione del lavoro, stato di avanzamento e finanziamenti previsti), e
messo sul tavolo della presidenza. È il più corposo in assoluto. segue a pagina 4 segue dalla prima Il totale
dei finanziamenti previsti assomma a circa 1.400 miliardi. In questo mare magnum , non si sa ancora con
quali criteri, la presidenza sceglierà le poche fortunate infrastrutture che avranno accesso ai sospiratissimi
finanziamenti europei. «A questo punto osserva l'economista Rainer Masera - si aprirà una sottile questione
interpretativa: non è chiaro ancora se il famoso "sgravio" dal computo deficit/pil varrà al momento di conferire
le quote nazionali al nuovo fondo appositamente costituito, oppure quando partiranno i lavori veri e propri».
Nel mega-file depositato presso la Commissione c'è di tutto, grandi, piccole e piccolissime opere. Se l'Anas
chiede la bella somma di 2,9 miliardi per completare la SalernoReggio Calabria "chiudendo" gli ultimi 59
chilometri ("in diversi segmenti", è specificato), il consorzio dei comuni Menaggio-Centro lago di Como si
accontenta di 700mila euro per migliorare le strutture di connessione in banda larga (la più risparmiosa è in
questa categoria la Croagh Patrick Community di West Mayo, Irlanda, che chiede 200mila euro). La Regione
Friuli-Venezia Giulia ha la stessa intenzione ma ha bisogno di 18 milioni. Né manca di saltare sul carro dei
fondi Ue la Infratel, società inhouse del ministero dello Sviluppo costituita per attuare il Piano nazionale
banda ultralarga per ridurre il digital divide, che chiede 64 milioni di finanziamento. Il Programma obiettivo
competitività regionale e occupazione del Veneto chiede invece 40 milioni sempre per l'accesso al web
veloce, che è al centro degli obiettivi di un'altra ventina di enti pubblici come la Regione Emilia-Romagna che
ha bisogno di 20 milioni (sono 159 in tutta Europa), ma anche di gruppi pubblico-privati come l'associazione
Giga Ciro, costituita da un gruppo di docenti italiani di geofisica e idrogeologia: ha fatto inserire nel bando un
suo progetto di banda larga senza peraltro precisarne né i contorni né il costo. Scorrendo l'infinita congerie
dei progetti italiani non mancano i punti su cui interrogarsi. L'autostrada Catania-Ragusa è inserita per 815
milioni: ma in realtà il progetto è già in fase di avvio dei cantieri, è stato quasi interamente finanziato e
prevede per la metà fondi privati. L' upgrade della A4 Trieste-Venezia, in particolare un ponte sul Tagliamento
e il casello di Palmanova, viene indicato due volte, al capitolo 1080 e 1082 per 440,7 milioni, e sempre due
volte (1081 e 1083) viene citata la terza corsia fra S.Donà di Piave e Alvisopoli per ben 560 milioni. Due volte
(voci 1092 e 1123) è presente anche il "people mover" fra la stazione e l'aeroporto di Bologna da 107 milioni.
Sembra quasi un copia-incolla venuto male di vecchi documenti del Cipe: a parte le imperfezioni pratiche, si
vanno a ripescare a fianco di alcuni progetti che sarebbero in effetti plausibili, come il collegamento ferroviario
fra i terminal 1 e 2 di Malpensa (114 milioni) o gli ampliamenti dei porti di Genova (150 milioni) e di
Civitavecchia, progetti di infrastrutture a lungo discussi e probabilmente non indispensabili. Nella fretta è stato
inserito, per esempio, un impianto di energia solare a Maraza in Emilia, da realizzare in joint-venture con gli
spagnoli di Abengoa: i proponenti hanno avuto all'ultimo momento il buon senso di precisare che il
finanziamento di 260 milioni va verificato a causa delle modifiche nella legislazione italiana sulle rinnovabili.
C'è da immaginare quali possibilità abbia un'opera del genere di passare il vaglio dei puntigliosi funzionari
comunitari. Altrove c'è un inspiegabile sfasamento dei tempi e dei modi: si chiede un contributo
all'ampliamento dell'interporto regionale di Puglia, a ridosso della zona industriale di Bari, con la realizzazione
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Piano Juncker, l'assalto ai fondi
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di una serie di piattaforme logistiche: ma sul totale dichiarato del progetto di 150 milioni, 60 erano già presenti
nella vecchia programmazione e 90 nella prossima stando ai dati della Regione Puglia secondo cui di questi
ultimi 60 provengono dal finanziamento pubblico (già stanziati) e 40 da partner privati. Una delle cose non
chiare del piano-Juncker è se nei famosi (e miserrimi) 16 miliardi garantiti da "risorse comunitarie" entrerà
parte dei fondi regionali di sviluppo. Sarebbe utile chiarirlo, per fare un esempio, pensando al raddoppio
ferroviario della Bari-S.Andrea Bitetto: già presente nei finanziamenti del fondo Pon, riappare ora per 120
milioni di euro. Diventa altrettanto confusa la situazione della tratta La Malfa-Carini del nodo ferroviario di
Palermo (129 milioni) e di quella Fiumetorto-Ogliastrillo della Palermo-Messina (333 milioni), già finanziati con
fondi Por. C'è poi, a minare la credibilità del contributo italiano al documento preparatorio, una serie di
sovrapposizioni con lo Sblocca-Italia: la Autostrade del Lazio Spa chiede 2,7 miliardi per la lungamente attesa
autostrada Roma-Latina (68,3 chilometri), appena inserita nel suddetto decreto ma già finita in un limbo di
incertezza per motivi ambientali, di espropri e non ultimo di fondi: ora ci riprovano con il piano Juncker.
Sempre nello Sblocca-Italia è inserito l'intervento sulla cosiddetta "Telesina", la statale 372 che collega
Benevento con Caianello e quindi con l'A1. L'Anas chiede ora alla Ue 588 milioni per portarla a 4 corsie, ed è
l'ennesimo tentativo: i lavori erano stati inseriti nel "Piano per il Sud" del Cipe nel 2011 (per 90 milioni) poi
annullato, quindi riproposto con il "Decreto del fare" del 2013, infine inserito nel decreto Renzi del giugno
scorso. Il primo cantiere dovrebbe aprire il 31 agosto 2015, ma ora perché riaprire la questione con il piano
Juncker, rialzando per di più così tanto la posta? Altre volte ancora l'impressione è che si voglia riproporre per
intero maxi-commesse pubbliche già ridimensionate dalle autorità di controllo nazionali ed europee, oppure
semplicemente troppo ambiziosi. Il porto di Venezia ripropone l'hub offshore per grandi navi completo di oil e
container terminal, che in effetti eviterebbe il passaggio delle navi in laguna ma costa la bellezza di 948
milioni di euro. Il progetto "Porta di Salerno" della Regione Campania, con soggetto attuatore l'Autorità
portuale, viene riproposto per 146 milioni. Si tratta di una serie di collegamenti ferroviari e stradali da e per il
porto che però era già stato ridimensionato da una serie di modifiche a 25 milioni, il 17% di quanto previsto.
Sempre in Campania, riemerge il raccordo Salerno-Avellino - investimento programmato 246 milioni - già
varato dal Cipe nel 2011: la regione non era riuscita a rispettare i termini, l'ha allora riprogrammato nel
febbraio 2014 incappando però in difficoltà finanziarie che ora cerca di superare. Il problema vero, ricorda
Paolo Guerrieri, economista della Sapienza di Roma, è che «i soldi sono tremendamente pochi. Sarebbero
pochi, rispetto alla mole dei lavori presentati, anche se davvero si arrivasse a 300 miliardi come promesso da
Juncker. Ma sono pochissimi se si guarda alla realtà dei fatti, che parla appena di una ventina di miliardi, una
frazione di quelli richiesti, e appoggia le sue speranze su una non meglio precisata "leva" con il settore
privato». La debolezza del meccanismo della "leva" è confermata anche da Brunello Rosa, capo macroeconomista del Roubini Global Economics: «Un meccanismo del genere funzionerebbe in tempi di
espansione economica. Ma in un momento di recessione è difficile trovare soci privati che si impegnino in
programmi di investimento così ambiziosi: le abbiamo viste tutti le immagini della partita di pallone giocata
nelle corsie vuote della BreBeMi». E poi, riprende Rainer Masera, «basare sul leverage un piano di tale
importanza in un momento in cui viceversa l'uscita dalla crisi si basa in tutto il mondo sul deleverage pubblico
e privato, mi sembra quantomeno anacronistico». JUNKER, S. DI MEO[ LE INCOMPIUTE ]
Nelle foto qui a fianco alcuni dei potenziali "beneficiari" del piano Juncker: il porto di Civitavecchia (1) al quale
mancano alcuni lavori per completare l'adeguamento per le grandi navi sia merci che passeggeri; la Variante
di Valico Firenze-Bologna (2) che sta per essere completata; l'aeroporto di Malpensa (3) per il quale il
progetto prevede un collegamento ferroviario fra i terminal 1 e 2; una centrale solare (4): a quest'ultimo
proposito, forti incertezze sulla loro urgenza sono state di recente sollevate in diversi Paesi nei quali sono
sovvenzionate a carico di tutti i consumatori di energia elettrica[ GLI ESPERTI ]
Gli economisti Paolo Guerrieri (1); Brunello Rosa (2) e Rainer Masera (3): tutti esprimono un forte scetticismo
sulla fattibilità del piano Juncker
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La Repubblica - Affari Finanza - N.40 - 1 dicembre 2014
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Foto: Nel grafico, alcune delle oltre 200 grandi opere italiane "ripescate" in occasione del piano Juncker: ne
verrà finanziata solo un'infinitesima frazioe Il ministro del Tesoro italiano Pier Carlo Padoan (1); il presidente
della Commissione europea, Jean Claude Juncker (2)
01/12/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.40 - 1 dicembre 2014
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Tv locali, l'ultimo far west troppe antenne, spot in crollo
Stefano Carli
Le tv locali sono lo specchio di un certo modo di governare l'Italia. Sono un caos, un ginepraio inestricabile in
cui non c'è alcuna certezza. Quante sono? Forse 480. O almeno questo è l'ultimo numero noto nel 2012. In
calo dalle quasi 600 del 2005, ma attenzione ai numeri: nel 2012 si era quasi al termine della transizione al
digitale, che moltiplicando i canali per ogni frequenza, ha fatto portato il numero dei canali locali sopra la bella
cifra di 3 mila. Troppi canali e troppe frequenze occupate. Tanto più che per fine anno le locali della fascia
adriatica dovranno spegnere le frequenze che disturbano quelle di Croazia e Albania. segue a pagina 8
Segue dalla prima Una decina di tv pugliesi sono a rischio (ma lo Sblocca Italia propone ora una proroga fino
ad aprile). Entro i prossimi due-tre anni, poi, lo stesso avverrà sul Tirreno per le interferenze con la Corsica e
poi in Sicilia dove molte delle 130 emittenti locali trasmettono abusivamente su frequenze assegnate ai paesi
della sponda sud del Mediterraneo. E poi entro il 2022 si dovranno liberare altre frequenze per assegnarle
alla telefonia mobile. Meno spazio nell'etere ma anche nel mercato: i ricavi pubblicitari sono in calo, lo share
pure, i finanziamenti pubblici anche: dagli 85 milioni del 2012 si è passati ai 60 dell'anno scorso e ai 55 di
quest'anno. Ripartiti poi in modo confuso e inefficace, con ampi margini per contestazioni, continui ricorsi ai
Tar e anche qualche truffa, tanto i controlli sono minimi. Ce n'è abbastanza perché si cominci a cercare di
fare ordine. It Media Consulting ha appena presentato uno studio dedicato alla situazione nel Lazio ma che
ha ripreso e rielaborato dati nazionali. Già, rielaborato: perché il caos nasce a livello centrale. Non esiste un
elenco delle tv locali ma bisogna dedurli dal Roc, il Registro degli Operatori della Comunicazione, tenuto dal
ministero dello Sviluppo, e da quelli dell'AgCom che sono il catasto delle frequenze, l'elenco per l'Lcn (la
graduatoria per l'assegnazione delle posizioni sui telecomandi, peraltro paralizzata da tre anni), la graduatoria
derivante dalle singole graduatorie regionali per l'assegnazione dei contributi pubblici all'editoria (graduatoria
assegnata ai Corecom, i Comitati regionali per le comunicazioni) e altri elenchi ancora, specifici per
l'assegnazione di altri fondi. Il fatto che molte società siano piccolissime, spesso imprese familiari con meno
di dieci dipendenti, fa il resto. A volte uno stesso editore ha "gemmato" più srl ognuna delle quali è una
singola emittente tv. E la legge non aiuta. «Nell'ultimo bando del Mise per l'assegnazione dei fondi pubblici
non si chiarisce tra impresa e emittente - spiega Michele Petrucci, presidente del Corecom Lazio e
vicepresidente del Coordinamento di tutti i Corecom - Per cui noi, dovendo stilare la graduatoria in base alla
quale il ministero assegna i fondi, non sappiamo se certi requisiti, i dipendenti, il numero di giornalisti, i
requisiti di fatturato, vadano ascritti all'emittente o all'editore. Nel primo caso un editore può ricevere tanti
contributi quante sono le sue emittenti. Serve chiarezza e soprattutto servono criteri di assegnazione più
selettivi, a vantaggio della qualità e delle società che investono di più sui contenuti». E' per questo che il
Corecom Lazio ha commissionato a It Media uno studio per scattare una fotografia più netta del settore a
partire dalla quale iniziare a pensare una risistemazione. Perché oggi il rischio è che in questo caos a
chiudere siano le tv maggiori, quelle più strutturate, che producono più contenuti locali veri e si salvino invece
le micro tv a gestione familiare. Perché pur nel caos il settore ha espresso realtà e marchi ormai consolidati.
Sono nomi come Telelombardia, Antenna 3 o Telenova a Milano e regione, Canale Italia di Lucio Garbo in
Veneto, ma con forte presenza in altre regioni, così come il consorzio 7Gold che fa capo a Giorgio Tacchino.
In Puglia c'è Telenorba dei Montrone, in Sicilia le emittenti che fanno capo a Mario Ciancio. Nel Lazio due
emittenti, T9 e Tr56 sono del gruppo Caltagirone. Sono però tutte in crisi, tutte hanno in atto cassa
integrazione e mobilità. Qualcuno, come la storica tv romana SuperTre della famiglia Rebecchini ha già
spento le antenne. «Tutte assieme hanno gli stessi dipendenti di Mediaset, fanno un decimo del suo fatturato
e un centesimo dei suoi ascolti», è l'azzeccata sintesi che gira. «I ricavi sono il fattore critico - spiega Augusto
Preta, direttore di It Media - La pubblicità che a livello nazionale tra il 2008 e il 2012 è scesa dll'11,7% nelle
locali è crollata del 37,5%, e nel Lazio ancora peggio, quasi il 50%. Nello stesso tempo i costi sono saliti del
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[ L'INCHIESTA ]
01/12/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.40 - 1 dicembre 2014
Pag. 1.8.9
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13% a livello nazionale e del 75% nel Lazio, dove ci sono 49 editori, e ben 164 canali. Gli ascolti, sui canali
rilevati dall'Auditel, scendono: sono passati, sul totale nazionale, dallo 0,16% del 2007 allo 0,03% del 2012. A
livello locale e soprattutto sulle news, finora il vero punto di forza di queste tv, si sente fortissima la
concorrenza di Internet. Ma da parte degli editori non abbiamo registrato strategie importanti per sviluppare la
loro presenza sul Web». Eppure ci sono marchi forti. I tg di emittenti locali come Telenorba in Puglia o Rttr o
Tca in Trentino fanno manbassa di ascolti sui rispettivi share regionali. Ma la gran massa fatica. Si ipotizza
che ci siano emittenti che fanno fino al 90% dei loro ricavi con il contributo pubblico. Che non è proprio
distribuito a pioggia ma quasi: l'80% va al primo 37% delle emittenti regionali in base alla graduatoria, il 20%
a tutti. Poiché i primi requisiti sono i fatturati e il numero di dipendenti, operazioni giuridicamente lecite ma
opache nella sostanza sono molte: dai fatturati gonfiati tra emittenti dello stesso editore che si comprano e
vendono contenuti tra di loro, a una pletora di dipendenti amministrativi rispetto ai tecnici e ai giornalisti.
Quando non invece, come vogliono le leggende di settore, dipendenti assunti dalle emittenti ma che svolgono
i loro compiti per le altre attività del piccolo editore locale. In questo caso sarebbe una vera e propria truffa,
ma con i controlli fatti solo sulla carta è quasi impossibile da scoprire. Come è impossibile scoprire chi occupa
davvero uno spezzone locale di frequenza. Le locali dovrebbero avere un terzo del totale delle frequenze
italiane. E poiché ci sono 25 frequenze nazionali, quelle locali dovrebbero essere non più di 13. Ma
l'occupazione delle frequenze assegnate ad altri Stati ha fatto sì, per esempio, che nel Lazio le tv locali, come
rileva ItMedia, utilizzino una ventina di frequenze. La storia del caos seguito alla digitalizzazione è più recente
del vecchio Far West tv italiano, ma ha lo stesso dna. Nasce infatti nel 2010, quando il governo Berlusconi e il
suo ministro delle Comunicazioni, Paolo Romani, permette alle tv locali di occupare le frequenze degli Stati
esteri. Bisognava arrivare in fretta per dare certezze al mercato degli spot sulle tv nazionali che temeva una
lunga transizione e le incertezze sui valori degli ascolti tra le regioni digitalizzate e quelle ancora no. E per
tagliare corto sulle proteste delle locali che minacciavano blocchi e ricorsi, si scelse l'occupazione abusiva.
Salvo poi "espropriarle" quando si trattò di liberare spettro per l'asta della telefonia mobile per l'Lte pagando
però 174 milioni di indennizzi. E lo stesso sta di nuovo accadendo. L'anno scorso sono state infatti
riconfermate concessioni ventennali agli attuali titolari di frequenze locali. E ora si dovrà pagare per riaverle. Il
governo aveva messo nello Sblocca Italia 20 milioni, che, per le proteste delle associazioni, in testa la
Aeranti-Corallo, che rappresenta 330 emittenti, sono già quasi certamente saliti a 50. Infine un altro nodo mai
affrontato. Le tv hanno messo le frequenze a patrimonio: sfilargliele costringerebbe la maggior parte di loro a
portare i libri in tribunale. E per di più il contributo statale è legato alla frequenza e non alla attività editoriale.
Ragion per cui nessuno le molla. E questa è anche una barriera formidabile all'ingresso di nuovi editori. Ora
la pasticciata nuova norma di AgCom che sposta di canoni di concessione per le tv sugli operatori di rete
potrebbe essere un incentivo per gli editori a separarsene, anche se per le locali la norma ha creato lo stesso
sconquasso denunciato a livello nazionale: lo sconto concesso a Mediaset e Rai ha decuplicato il prelievo
sugli altri operatori di rete. «Vedo una sola via d'uscita - spiega Antonio Sassano, docente di Ingegneria a
Roma ma soprattutto uno dei nostri massimi esperti in tema di frequenze - Non solo assegnare alle locali le
frequenze non attribuite nella recente gara dell'ex beauty contest, come già pensa il governo, ma andare oltre
e assegnarle a gara ad operatori di rete regionali per ospitare fornitori di contenuti locali da selezionare anche
in questo caso, con una gara di evidenza pubblica. L'unico modo per valorizzare l'informazione locale di
qualità e spingere gli editori a produrre programmi in grado di conquistare pubblico e non solo di occupare
spazio». E chiunque abbia fatto zapping sul telecomando oltre i primi 60 canali sa di cosa parla. FONTE IT
MEDIA CONSULTING, S. DI MEO
Foto: Sopra, uno studio tv. Oggi i fondi pubblici sono distribuiti secondo criteri poco efficaci e non aiutano il
settore a selezionare gli operatori che investono di più nella produzione di contenuti locali di qualità e questo
impedisce anche l'ingresso di nuovi operatori Qui sopra, il sottosegretario alle Comunicazioni Antonello
Giacomelli (1) il coordinatore di AerantiCorallo, la maggiore associazione di emittenti tv locali (ne rappresenta
oltre 300) Marco Rossignoli (2) Il presidente di AgCom Marcello Cardani (3) Il presidente del Corecom Lazio
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La Repubblica - Affari Finanza - N.40 - 1 dicembre 2014
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"Tassi bassi e prezzi energetici potrebbero spingere le imprese"
SECONDO ARNOLDO VALSANGIACOMO, PORTFOLIO MANAGER DI ETHNA FUNDS OCCORRE UNA
GESTIONE DINAMICA DELL'ASSET ALLOCATION TRA LIQUIDITÀ, OBBLIGAZIONI E AZIONI
TENDENZIALMENTE PUNTANDO SU USA E VECCHIO CONTINENTE
(m.man.)
Milano Una gestione dinamica dell'asset allocation tra liquidità, obbligazioni e azioni, un approccio
rigorosamente "top-down", con investimenti concentrati essenzialmente in sole due aree, Europa e Stati Uniti.
Sono le caratteristiche degli Ethna Funds della società di gestione indipendente Ethenea Independent
Investors S. A. di recente commercializzati anche nel nostro paese. Visto l'approccio, viene naturale chiedere
ad Arnoldo Valsangiacomo, portfolio manager di Ethna Funds, qual sia la loro visione dello scenario macro.
«Per quello che riguarda l'Europa, non ci aspettiamo fuochi di artificio, almeno a livello di crescita, malgrado
tutti gli interventi possibili della Bce, però non siamo nemmeno così negativi da pensare a periodi di
deflazione alla Giappone. Probabilmente avremo una crescita purtroppo non lontana dallo zero anche per
l'anno prossimo, 0,6-0,8%, ma con un'inflazione leggermente positiva, non negativa. Ma in uno scenario di
tassi bassi e tendenzialmente ancora in discesa, con un dollaro che almeno per l'inizio del prossimo anno
potrebbe continuare a rafforzarsi, prezzi energetici che tendenzialmente dovrebbero favorire la crescita e
qualche investimento infrastrutturale, se dovessero arrivare delle sorprese economiche per l'Europa,
potrebbero essere sorprese positive». E per gli Stati Uniti? «Il vero punto di svolta, il punto chiave è
l'interpretazione del cambiamento di politica monetaria, il primo rialzo dei tassi che dovrebbe arrivare nel
corso del 2015 e soprattutto la velocità di questo incremento dei tassi». Quali sono le vostre previsioni al
riguardo? «Siamo dell'idea che l'economia Usa crescerà, ma i tassi saliranno meno rapidamente di quanto il
mercato si aspetta. Oggi prezza almeno sei rialzi dei tassi a partire da un certo punto del 2015. Noi pensiamo
che il primo rialzo non sarà a maggio/giugno, ma piuttosto nel terzo o quarto trimestre, e di conseguenza i
movimenti della Federal Reserve non saranno così rapidi. Probabilmente arriveremo ad avere tra due anni un
tasso a breve intorno all'1%, il che comporterà un decennale intorno al 3% o forse leggermente al di sopra».
Come si traduce in termini di scelte di investimento questo scenario? «A livello di corporate Usa, che è
sicuramente il mercato più liquido e più interessante, vediamo ancora delle opportunità, perché si possono
ottenere ancora rendimenti superiori al 4% senza andare a cercare rating troppo devastati o società
sconosciute. Diciamo che è un'economia che andrà bene per un paio di anni, probabilmente avremo ancora
una riduzione degli spread. Per quanto riguarda la curva del Treasury, a un certo punto l'anno prossimo
bisognerà ridurre la duration fin quasi a zero, se non portarla addirittura in negativo, se proprio le cose
dovessero cambiare drasticamente. Questo vuol dire anche rimanere investiti in dollari, avere un profitto dalla
componente valutaria». E per quanto riguarda le obbligazioni in euro? «Pensiamo ancora ci sia da rosicchiare
qualcosa sulla periferia. Abbiamo sempre preferito la Spagna all'Italia, ora il decennale spagnolo ha un
rendimento più basso, quindi probabilmente sarà l'Italia che andrà a recuperare, mentre sarei molto attento
sul Bund tedesco. Sembra convinzione comune che un quantitative easing dovrebbe spingere al ribasso tutti i
decennali; la mia impressione è che un intervento del genere porterà forse a una semplice chiusura degli
spread, con la periferia che dovrebbe approfittarne, e a un po' di sofferenza a livello di Bund». In un vostro
recente report segnalavate il tema delle azioni ad alto dividendo. «Sicuramente alcuni mercati sono su livelli
molto alti e richiedono un po' di prudenza e dove ci sono utili stabili e dividendi stabili, di solito c'è più stabilità
di prezzi. Ma devo dire che, dopo le dichiarazioni della Bce degli ultimi giorni, di colpo diventa interessante
anche qualche altro settore, tra cui quello bancario. Attualmente abbiamo in portafoglio più azioni Usa,
tendenzialmente avere dollari significa approfittare della buona crescita americana e di un dollaro che sale,
poi bisognerà scegliere quando cambiare cavallo radicalmente. Se penso, però, al 2015, credo che la borsa
europea, intesa come indice Eurostoxx, dovrebbe sovraperfomare lo S&P Usa». Nei portafogli dei vostri fondi
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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L'INTERVISTA
01/12/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.40 - 1 dicembre 2014
Pag. 45
(diffusione:581000)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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spicca il peso del cash. Non rende troppo poco? «Il cash , se è nella valuta giusta, può rendere parecchio.
Abbiamo avuto posizioni in corone norvegesi, in franchi svizzeri, comprate bene, e ora posizioni in dollari che
si stanno comportando molto bene. Non dimentichi che per noi il cash è comunque rilevante come asset
class. In ottobre, ad esempio, abbiamo ridotto parecchio le posizioni e questo ci ha permesso di soffrire meno
la correzione dei mercati. Siamo abbastanza rapidi nel ridurre le posizioni, ma siamo anche abbastanza rapidi
nel ricomporle, se pensiamo che il movimento sia stato una correzione di breve durata». S.DI MEO FONTE:
FINANCIAL STABILITY BOARD
Foto: Alcuni mercati sono su livelli molto alti e richiedono un po' di prudenza e dove ci sono utili stabili e
dividendi stabili, di solito c'è più stabilità di prezzi
Foto: Ottimista Arnoldo Valsangiacomo , di Ethna Funds
01/12/2014
Corriere Economia - N.40 - 1 dicembre 2014
Pag. 1.3
Cardani: ma i privati ora ci mettano i soldi
edoardo segantini
Angelo Cardani, dal luglio del 2012 presidente dell'Autorità per le comunicazioni (Agcom), non ha dubbi: «Il
parternariato pubblico-privato può essere la soluzione. Ma acceleriamo».
a pagina 3
Altro che connessioni a Internet veloci: l'Italia è troppo lenta. «Nella banda larga e soprattutto ultralarga, cioè
oltre i 30 mega - dice Angelo Cardani, presidente dell'Autorità per le comunicazioni (Agcom) - siamo il
fanalino di coda in Europa, con una copertura pari al 21% delle famiglie contro una media Ue del 62%: un
fatto inaccettabile per uno dei maggiori Paesi industriali del mondo».
Con quali conseguenze?
«Due soprattutto: in generale una lentezza di reazione del sistema economico e, in particolare, una
debolezza competitiva delle piccole e medie imprese, che ne rappresentano l'ossatura».
Perché sottolinea proprio il secondo aspetto?
«Perché è una priorità. Se le grandi imprese alla fin fine se la cavano da sole, con i collegamenti dedicati e ad
alta capacità, le piccole dipendono totalmente dall'infrastruttura di accesso di Telecom Italia. L'arretramento
tecnologico e organizzativo rischia così di danneggiare il nostro punto di forza».
Il problema però sono gli investimenti: nessuno, a ec cezione di Vodafone, sembra avere abbastanza risorse
per sostenerli. Vede un ruolo dello Stato, come in alcuni Paesi asiatici?
«Quando sento parlare d'intervento dello Stato tendo a preoccuparmi. Il compito delle istituzioni dovrebbe
essere più quello di monitorare e promuovere gli investimenti che quello di intervenire direttamente».
Oggi però si discute di parternariato pubblico-privato.
«Questo è un discorso decisamente più interessante. Però bisogna muoversi».
Torniamo alle cause: perché l'Italia è così indietro nelle reti di nuova generazione?
«Le ragioni sono molte e tra queste, certo, la spesso evocata mancanza delle reti televisive via cavo. Ma la
vera domanda da farsi è chi ha interesse a rallentare l'innovazione».
Ce lo dica lei.
«Tutti coloro che non vedono di buon occhio la trasparenza, ai quali darebbe fastidio la maggior visibilità
derivante da un'informazione veloce. I cittadini invece ne ricaverebbero soltanto benefici, perché potrebbero,
ad esempio, confrontare i prezzi dei prodotti così come le biografie dei candidati elettorali. L'altro punto
interrogativo riguarda la pubblica amministrazione».
Perché la burocrazia frena l'innovazione ?
«Perché con la connessione rapida delle tante istituzioni pubbliche aumenterebbe il potere dei cittadini
rispetto a quello dei burocrati. Grandi e piccoli».
Anche lei, in fondo, appartiene alla categoria.
«Non uso questo termine in senso spregiativo. Ho servito dieci anni nella migliore burocrazia del mondo, che
è quella di Bruxelles. Ma anche a Roma ci sono professionisti di calibro straordinario: purtroppo non
rappresentano la media».
A proposito di Bruxelles. Tra i temi più spinosi, sui quali la presidenza italiana sta cercando un compromesso
in Europa, c'è il roaming, cioè il sovrapprezzo che viene addebitato quando usiamo il telefonino all'estero.
«Mi limito a una considerazione di base: il sovrapprezzo è solo in minima parte giustificato da un differenziale
di costo per gli operatori di telecomunicazioni. I quali, d'altro canto, attraversano un periodo di estrema
difficoltà: sia per la crisi economica sia per l'abbassamento dei prezzi imposto dalla concorrenza».
E dai regolatori, aggiungerei. Sia l'una che l'altro hanno compresso i loro margini.
«Infatti. Perciò bisogna trovare un punto d'equilibrio tra i consumatori e le imprese. Impedire che l'eventuale
riduzione dei ricavi da roaming si scarichi sugli utenti che non usano il telefonino all'estero. Il rischio,
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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INTERVISTA L'Autorità
01/12/2014
Corriere Economia - N.40 - 1 dicembre 2014
Pag. 1.3
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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indubbiamente, esiste».
Parliamo di net neutrality , cioè l'idea che tutto il traffico Internet debba essere trattato allo stesso modo,
senza corsie a pagamento. Come giudica l'iniziativa di Obama verso la Federal Communication Commissions
a favore del "web libero"»?
«Non esprimo giudizi sulla vicenda americana. In generale però osservo: la net neutrality è diventata una
bandiera, e come tutte le bandiere è complicata da affrontare con argomenti tecnici. Web libero, per molti in
buona fede, è ormai un mantra a tutela dei cittadini e dei consumatori. Ma dietro la battaglia sulla neutralità
della rete si scorgono chiari interessi economici contrapposti».
Qual è la priorità per gli utenti?
«Il prezzo, senza dubbio, ma anche la qualità e la possibilità di accedere a servizi innovativi. Mi chiedo quale
sarebbe la reazione dei consumatori se, quando in Italia arriverà Netflix con il suo streaming video,
scoprissero che l'abbonamento funziona male perché la connessione Internet non è adeguata. Questo per
dire che un compromesso ragionevole e non penalizzante per chi gestisce le reti dev'essere trovato anche a
favore degli utenti».
Pochi, grandi operatori di telecomunicazioni in America. Molti e più piccoli in Europa. I regolatori hanno spazi
per agevolare le fusioni tra le società?
«Non ci sono strumenti particolari: le operazioni devono essere guidate esclusivamente da considerazioni
aziendali e di mercato. I regolatori e le autorità Antitrust possono vigilare, ma non c'è motivo di vietare fusioni
se non creano posizioni dominanti e restrittive della concorrenza. Servono mercati aperti, non affollati».
Come valuta l'iniziativa dei 110 parlamentari di rendere obbligatorio il wi-fi gratuito per i negozi con più di due
dipendenti e gli uffici pubblici?
«Il wi-fi è un potentissimo canale di fidelizzazione dell'utente. In un Paese come il nostro, una sua diffusione
darebbe una spinta alla domanda di servizi e contenuti. Dunque sono a favore, ma vorrei valutare bene i
dettagli. Non è ben chiaro, ad esempio, quali potrebbero essere gli effetti della promozione del wi-fi gratuito
su tutto il territorio nazionale rispetto ai piani d'investimento degli operatori telefonici nelle infrastrutture di
nuova generazione. Se fossero complementari, e non alternativi, l'effetto espansivo del digitale sarebbe
massimo».
[email protected]
@SegantiniE
© RIPRODUZIONE RISERVATA
LE DECISIONI Gli interventi dell'Agcom sul regolamento del copyright (*) istanze ritirate, adizioni Ag s.F.
Ordini di blocco 16% Adeguamenti spontanei 36% Archiviazioni Csp 16% Archiviazioni formali 21% Altre
archiviazioni* 6% Procedimenti in corso 5% Totale istanze 140
Foto: Agcom Angelo Cardani, presidente dal luglio 2012
01/12/2014
Corriere Economia - N.40 - 1 dicembre 2014
Pag. 1.2
Web veloce Il piano Renzi divide Telecom e Vodafone
fabio tamburini
Banda larga o banda stretta? Dal punto di vista degli investimenti la differenza si misura in 6 miliardi di euro.
Una cifra consistente che dovrà essere interamente a carico di partner privati se l'Italia vorrà, rapidamente,
superare il gap tecnologico nei confronti degli altri paesi europei. Una partita tutta ancora da giocare che vede
i contrapposti interessi di Telecom Italia, Vodafone, il fondo F2i, Fastweb e Metroweb. Con Il sottosegretario
alla Presidenza, Graziano Delrio, nel ruolo di regista.
a pagina 2
Il dado è tratto. Il governo ha finalmente deciso di dare una spallata per recuperare il tempo perso e
promuovere gli investimenti necessari per la rete di fibra ottica ultra larga, considerata necessaria per giocare
nella Serie A europea. Telecom Italia, ormai da qualche tempo, si è convinta che la rete fissa in rame,
interamente ammortizzata, ha permesso livelli interessanti di profitti ma occorre andare oltre e procede a
passo spedito nell'installazione della fibra. La Cassa depositi e prestiti (Cdp), azionista di riferimento del
Fondo strategico italiano (Fsi) e partner di F2i (il fondo per le infrastrutture), è pronta a fare la sua parte
utilizzando la partecipata Metroweb come leva per avere un ruolo chiave, sommando così la rete nelle
telecomunicazioni a quelle dell'energia e del gas, che controlla già.
Nodi sciolti
Il rebus è attraverso quali alleanze. Vodafone ritiene che il cerchio stia per chiudersi, confinandola sul
mercato italiano in ruoli marginali. Il sospetto è che proprio Metroweb, partecipata dalla Cdp tramite Fondo
strategico e F2i, sia destinata a diventare il collante della nuova alleanza con Telecom Italia. Un'altra
protagonista, Fastweb (del gruppo Swisscom), che ha poco più del 10 per cento di Metroweb e poteri di veto
sulle operazioni straordinarie, avrebbe già dato un sostanziale via libera. Lo schema dell'operazione prevede
l'entrata di Telecom Italia in Metroweb rilevando la partecipazione di F2i e il suo rafforzamento patrimoniale,
facendone lo strumento per dare forte impulso agli investimenti nella rete in fibra ottica a banda ultra larga
nelle città di maggior peso. Contemporaneamente la Cdp, secondo alcune indiscrezioni, potrebbe perfino
investire direttamente in Telecom Italia. Passaggio smentito con forza da Cdp, interessata alla rete delle tlc
da affiancare a quelle dell'energia e del gas ma non al passaggio successivo in Telecom.
La reazione di Vodafone, seguita con attenzione da concorrenti come Wind-Infostrada, è stata di passare al
contrattacco. Così è nata la manifestazione d'interesse per Metroweb, che ha l'obiettivo di riportare la palla al
centro del campo. La partita, che si sta giocando con regole ancora da definire perché il piano proposto dal
governo dev'essere ancora approvato, è la nascita della rete nazionale in fibra ottica a banda ultra larga, di
potenza 100 megabit. Nella consapevolezza che dietro l'angolo, nei laboratori di ricerca e sviluppo, si sta
mettendo a punto quanto serve per un salto di qualità ulteriore, che permetterà di arrivare ad almeno 200-300
megabit utilizzando le infrastrutture in via di allestimento, senza la necessità d'intervenire ancora per
sostituirle.
Il piano messo a punto dal governo è seguito personalmente da Graziano Delrio, sottosegretario alla
presidenza del consiglio, con due collaboratori in trincea, entrambi molto vicini al premier, Matteo Renzi:
Antonello Giacomelli, ex vicesindaco di Prato ed ex deputato del Pd, attualmente sottosegretario alle
telecomunicazioni, e Raffaele Tiscar, vice segretario generale alla presidenza del consiglio. Sono loro che,
nei prossimi giorni, tireranno le fila degli incontri avviati con le società del settore, chiamate a entrare nel
merito delle proposte fatte.
Ritardi da colmare
Il punto di partenza è l'Italia come fanalino di coda in Europa. Gli investimenti ritenuti necessari per
recuperare almeno parte del terreno superano i 12 miliardi di euro, di cui 6,2 miliardi arriveranno da fondi
pubblici italiani e dai progetti presentati all'interno del piano di finanziamento degli investimenti nelle
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Governo La regia di Delrio sulla banda larga
01/12/2014
Corriere Economia - N.40 - 1 dicembre 2014
Pag. 1.2
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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infrastrutture presentato dal nuovo presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker. Gli altri 6
miliardi verranno messi dai privati che, grazie al decreto Sblocca Italia, possono contare su una significativa
defiscalizzazione degli investimenti e su altrettanto significative semplificazioni dei permessi amministrativi
necessari per i lavori.
Il traguardo fissato è assicurare entro il 2020 servizi ad almeno 100 megabit per l'85 per cento della
popolazione, con il restante 15 per cento collegato a 30 megabit. Metroweb viene considerato lo strumento
ideale per passare dalle parole ai fatti e Telecom Italia intende tenere saldamente il pallino, confermando il
ruolo di campione nazionale e disposta a concedere soltanto garanzie adeguate per gli altri operatori che
intendono utilizzare la rete. Vodafone sta cercando di far passare un modello opposto, con Metroweb che
diventerebbe stanza di compensazione delle società di tlc interessate agli investimenti in banda larga. Le
lobby sono al lavoro.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
S. Franchino Fonte: elaborazione Agcom su Digital Agenda Scoreboard I dati si riferiscono alla percentuale
di abitazioni coperta con banda superiore ai 30 Mbps Malta Belgio Olanda Lituania Lussemburgo Lettonia
Portogallo Danimarca Regno Unito Cipro Ungheria Germania Estonia Slovenia Finlandia Svezia Austria
Bulgaria Romania Spagna Rep. Ceca Unione europea Slovacchia Irlanda Polonia Francia Croazia Grecia
Italia 0 25 50 75 100 L'Italia è il fanalino di coda in Europa, con una copertura delle reti a banda ultra larga
pari al 21% delle famiglie contro una media europea del 62% dp è convinta che la rete fissa delle
telecomunicazioni sia strategica per il Paese e ritiene necessario recuperare il ritardo accumulato. Metroweb
è la carta che può giocare insieme agli investimenti del Fondo strategico (Fsi) C odafone teme di essere
tagliata fuori dall'accordo strategico tra Telecom Italia e Cassa depositi e prestiti, che è azionista di Metroweb.
Per questo ha presentato una manifestazione d'interesse per l'acquisto della società V elecom Italia ha colto
fino in fondo le opportunità offerte dalla rete fissa in rame. Ora, con l'acquisto di Metroweb, cerca di chiudere
la partita assicurandosi il governo della rete in fibra ottica ultra larga T I PROTAGONISTI IN CAMPO IL
CONFRONTO MARCO PATUANO, amministratore delegato di Telecom Italia ALDO BISIO, amministratore
delegato di Vodafone FRANCO BASSANINI, presidente Cassa depositi e prestiti e Metroweb S. Franchino
Foto: Governo Graziano Delrio
01/12/2014
Corriere Economia - N.40 - 1 dicembre 2014
Pag. 1
Quattro motivi per essere ottimisti (nonostante tutto)
DANIELE MANCA
In questo scorcio di fine 2014 è difficile essere ottimisti. La prospettiva è quella di un'altro anno di
stagnazione, se non di recessione. Ma nonostante tutto ci sono elementi per guardare al 2015 con maggiore
fiducia? Proviamoci. Se siamo riusciti perlomeno a mantenerci a galla nella recessione, molto lo dobbiamo
alle aziende che esportano. Negli ultimi sei mesi l'euro si è indebolito di circa il 10%. E questo potrebbe
spingere l'export. Gli istituti di ricerca calcolano che 12 mesi consecutivi di euro meno forte di circa il 10%
rispetto al dollaro, possano contribuire per una percentuale tra lo 0,5% e lo 0,8% alla crescita del Prodotto
interno lordo. A capo della Banca centrale europea c'è fortunatamente Mario Draghi che ha ben presente il
danno di avere una moneta troppo forte e che appare ben saldo nel suo rapporto con i mercati e con i riottosi
Paesi membri dell'eurozona. Dei buoni risultati dell'export bisogna ringraziare in larga parte Barack Obama e
gli Stati Uniti. Nel secondo trimestre gli Usa hanno messo a segno una crescita del 4,6% e nel terzo del 3,9%,
in entrambi i casi dati rivisti al rialzo. Questo ci ha permesso a ottobre di pareggiare il non buon andamento
dei primi otto mesi dell'anno delle esportazioni. Euro, Draghi, America e ancora un quarto motivo per essere
positivi sull'andamento della nostra economia: il prezzo del petrolio. Da nazione importatrice di materie prime
avere un barile di greggio a prezzi più che dimezzati rispetto ai massimi storici, significa una bolletta
energetica meno pesante. E, una ulteriore spinta agli investimenti. Non bastano certo quattro ragioni per
sconfiggere l'atteggiamento guardingo che cittadini, imprese, lavoratori, giovani hanno rispetto al futuro.
Servirebbe un'Europa meno confusa, un governo italiano che facesse capire nettamente che servono le
riforme ma anche una burocrazia non ostile a chi intraprende. Ma questa è tutta un'altra storia.
daniele_manca
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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IL PUNTO
01/12/2014
Corriere Economia - N.40 - 1 dicembre 2014
Pag. 16
«Risorse umane, queste sconosciute»
Lundquist: efficaci sulla trasparenza, poco attenti agli aspetti sociali
M. SID.
C i sono i primi segnali di ripresa. Dopo diversi anni la ricerca Webranking segnala uno sviluppo positivo nel
campione italiano e molte aziende hanno segnato decisi miglioramenti di punteggio». Joakim Lundquist,
fondatore dell'omonima società specializzata in comunicazione corporate online, vede dal suo punto di vista
privilegiato un'Italia che, come avrebbe detto Galileo Galilei, eppur si muove.
Intende dire che la cultura della comunicazione finanziaria online sta prendendo piede? Quali sono gli indizi?
«La maggior parte dei nuovi siti lanciati, per esempio, sono responsive (cioè si adattano automaticamente al
tipo di device dal quale avviene l'accesso, ndr ) e questo significa una forte attenzione verso l'accessibilità del
sito tramite il mobile, una delle tendenze tecnologiche più importanti nel mondo web. A onor del vero,
nonostante i segnali di ripresa, emerge comunque che la maggior parte dei siti non soddisfano le esigenze di
trasparenza e dialogo, senza contare che spesso sono assenti sui social media».
Qual è il comportamento delle matricole di Borsa?
«Quest'anno sono entrate sei neo quotate all'interno della ricerca Webranking. Tuttavia, la performance molto
bassa indica che il sito corporate non viene considerato uno strumento chiave per comunicare e attrarre
investitori. In particolare la sezione investor relations è quella che ottiene il risultato più basso».
Eppure dobbiamo dare atto alle società italiane di reggere il confronto europeo.
«Le aziende italiane dimostrano di essere allineate per quanto riguarda le informazioni legate alla disclosure
(risultati finanziari, performance azionarie, governance). Le aree dove sono maggiormente carenti sono
quelle che riguardano le informazioni sul futuro dell'azienda (strategia, innovazione, rischi) e quelle non
finanziarie come la sostenibilità e le risorse umane».
Come superare questo gap?
«Per andare al di là della disclosure serve un'adeguata organizzazione interna, in cui il team digitale sia
trasversale alle diverse aree di business».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: Analisi della Rete Joakim Lundquist
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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INTERVISTA L'esperto Le matricole di Borsa bocciate in dialogo web con gli azionisti
01/12/2014
Corriere Economia - N.40 - 1 dicembre 2014
Pag. 1.24
Imposte locali Tasi e Imu: il doppio colpo dei Comuni
La base imponibile è la stessa, ma ogni tributo ha le sue regole Ecco come orientarsi per non sbagliare e
pagare il giusto
stefano poggi longostrevi
Una doppietta per i Comuni. Entro il 16 dicembre i proprietari immobiliari devono mettere mano al portafoglio
per saldare il conto delle due imposte locali: la vecchia Imu e la neonata Tasi. Una scadenza pesante
soprattutto per i possessori di seconde case o di immobili affittati. Che spesso scontano entrambe le imposte.
Ricordiamo che l'Imu non è più dovuta sull'abitazione principale e relative pertinenze (box o posto auto,
cantina o solaio) nei limiti di una per categoria catastale (C/2, C/6, C/7). Va invece versata per le abitazioni
principali di maggior pregio, ossia quelle di categoria A/1 (immobili signorili), A/8 (ville) e A/9 (castelli e
palazzi). Ai fini Imu per abitazione principale si intende un'unica unità immobiliare ad uso abitativo, nella quale
il contribuente e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Le due
circostanze devono coesistere.
L'Imu colpisce anche gli immobili tenuti a disposizione, come le seconde case, e quelli affittati o sfitti. E si
paga anche sugli immobili dati in uso gratuito a figli o parenti di primo grado, salvo i rari casi in cui il Comune
li abbia assimilati all'abitazione principale, sulle pertinenze non della prima casa o comunque non agevolabili
come ad esempio il secondo box oppure la seconda cantina.
L'Imu si versa anche per gli uffici, negozi, depositi, capannoni, altri immobili commerciali e industriali e per le
aree fabbricabili (conta il valore commerciale al primo gennaio 2014) da chiunque posseduti. L'Imu si applica
anche sui terreni agricoli, pur se incolti inclusi gli orticelli, con esclusione di quelli ricadenti in aree montane o
di collina, salvo che l'importo dovuto sia fino al minimo di legge di 12 euro o al minore importo stabilito dal
Comune. Dal 2014 sono esclusi gli immobili-merce posseduti dalla società che li ha costruiti per la vendita e
rimasti invenduti, a condizione che non vengano locati.
Gli obbligati
Devono versare l'Imu tutti i proprietari di immobili situati sul territorio italiano e tutti coloro che sono titolari di
un diritto reale di godimento, come l'usufruttuario o chi ha il diritto d'abitazione, uso, enfiteusi e di superficie.
L'imposta va versata anche dalle società per gli immobili posseduti, anche se utilizzati nell'esercizio della
propria attività, con la sola eccezione degli immobili merce destinati alla vendita.
Se ci sono più comproprietari - o più contitolari di un diritto reale - l'Imu va pagata da ciascuno in proporzione
alla propria quota e con versamenti separati. Per gli immobili in locazione finanziaria paga l'utilizzatore e non
la società di leasing.
La base imponibile
Il meccanismo di calcolo dell'imponibile Imu è per fortuna analogo a quello degli scorsi anni ed è lo stesso
anche per la Tasi. Si parte sempre dalla rendita catastale attribuita all'immobile al 1° gennaio dell'anno che
deve essere rivalutata del 5%. La rendita rivalutata va poi moltiplicata per il relativo coefficiente moltiplicatore
che varia a seconda del tipo di immobile (vedi tabella). I moltiplicatori principali sono 160 per le abitazioni gruppo catastale A, escluso A/10 (uffici) - e le unità immobiliari delle categorie C/2, C/6 e C/7 (cantine, solai,
box, posti auto, tettoie); 80 per gli uffici (A10); 55 per i fabbricati della categoria C/1 (negozi e botteghe). I
moltiplicatori, nei casi di imposizioni, sono da utilizzare anche per la Tasi. Al totale così ottenuto si applicano
le aliquote Imu previste dal comune.
Per i terreni il valore imponibile si ottiene moltiplicando il reddito dominicale risultante in catasto, vigente al 1°
gennaio, rivalutato del 25% e moltiplicato poi per 135 (o 75 se il titolare è coltivatore diretto o imprenditore
agricolo).
(Associazione italiana
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Scadenze/1 Entro martedì 16 dicembre il versamento della seconda rata
01/12/2014
Corriere Economia - N.40 - 1 dicembre 2014
Pag. 1.24
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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dottori commercialisti ) IMU Principale, tranne categoria A/1, A/8, A/9 No Pertinenziale ad abitazione
principale (uno solo) No Utilizzati direttamente o non locati Sì Principale (categoria A/1, A/8, A/9) Sì Dipende
dal Comune A disposizione Sì Data in comodato a figlio o genitore Locata - proprietario Sì Locata proprietario Sì Locata - inquilino No Locata - inquilino No CHI PAGA Immobili ad uso produttivo, gruppo
catastale D, allo Stato Immobili ad uso produttivo, gruppo catastale D, al Comune Terreni Aree fabbricabili
Altri fabbricati Abitazione principale e pertinenze (solo categorie catastali A/1, A/8 e A/9) 3912 3914 3916
3918 3925 3930 I CODICI TRIBUTO PER L'IMU Box Immobili NON residenziali Abitazione Immobili e
categoria catastale (1) da applicare alla rendita catastale maggiorata del 5% Come si calcola la base
imponibile dell'Imu, esclusa l'abitazione principale e pertinenze tranne A1, A8 e A9. I moltiplicatori valgono
anche per la Tasi (se gli immobili vi sono soggetti) IL GIOCO DEI MOLTIPLICATORI Abitazioni (categorie
catastali A, tranne A 10) e pertinenze: cantine e soffitte (C2); box e autorimesse (C6), tettoie (C7)
Moltiplicatori Imu1 160 Immobili a uso collettivo (categoria B) Laboratori artigianali, stabilimenti balneari (C/3,
C/4, C/5) 140 Immobili a destinazione speciale (categoria D, escluso D/5) 65 Terreni agricoli (coltivatori diretti
o imprenditore agricolo professionale) 75 Uffici e studi (A10), banche e assicurazioni (D5) 80 Negozi (C1) 55
Terreni (agricoli e non) 135 140 La mappa per l'Imu... N S S. Franchino
01/12/2014
Corriere Economia - N.40 - 1 dicembre 2014
Pag. 36
Infrastrutture Lo stop ci costa 800 miliardi
Per recuperare il gap ne servono almeno 180. Ma il credito è bloccato. Gilardoni: «Incentivare i fondi
pensione a investire» Troppo dipendenti dall'estero. Una bolletta da 56 miliardi
elena comelli
Con 180 miliardi d'investimenti da qui al 2030, di cui 37 in impianti energetici e 6 in termovalorizzatori, l'Italia
potrebbe ripianare il suo deficit infrastrutturale. Ma, se non se ne farà nulla, i costi netti a cui andremo
incontro in termini di competitività e danni sociali saranno molto più alti: oltre 800 miliardi, di cui 124
nell'energia e ambiente, 260 nei trasporti e logistica e 425 nelle telecom.
«Il problema è che le banche ormai non finanziano più le infrastrutture, per cui bisogna attrarre dei finanziatori
diversi, gli unici che abbiano liquidità da investire: i fondi pensione, le compagnie assicurative e i fondi
sovrani», spiega Andrea Gilardoni, professore della Bocconi e fondatore dell'«Osservatorio sui Costi del Non
Fare», da una decina d'anni impegnato a calcolare i costi dei ritardi infrastrutturali, che domani saranno
presentati a Roma e che il Corriere Economia ha potuto consultare.
Incentivi
Il blocco del credito, per Gilardoni, è la barriera più importante da superare e quindi la sua proposta per
rimettere in moto i cantieri fermi sarebbe la detassazione per i proventi dei fondi pensione derivati da
investimenti infrastrutturali. «In questo modo si darebbe un forte incentivo ai fondi, che in via di principio sono
restii a questo tipo d'investimenti, percepiti come troppo rischiosi», rileva. Al momento attuale, invece, l'Italia
procede nella direzione opposta, con la nuova tassazione delle rendite finanziarie.
Gli unici fortemente interessati agli investimenti nelle infrastrutture nazionali sono i cinesi, che sono già
sbarcati nelle reti energetiche e ora si apprestano a spartirsi le centrali italiane di E.On. «Ma ci mancano
completamente i fondi pensione e le compagnie assicurative, che invece all'estero hanno già investito molto,
soprattutto nelle fonti rinnovabili, come la tedesca Allianz o la francese Axa», precisa Gilardoni.
La crescita infrastrutturale del Paese consentirebbe anche alle imprese nazionali di partecipare al forte
sviluppo di questo settore a livello globale. «Il fabbisogno globale d'investimenti infrastrutturali da qui al 2030
supera i 50mila miliardi di dollari e il ruolo dell'industria italiana in questo enorme cantiere per ora è molto
limitato», precisa Gilardoni.
Uno dei campioni «rompighiaccio» è stata l'Enel, che oggi è in fase di ritiro, con la vendita ormai finalizzata
della spagnola Endesa, acquisita nel 2007, e ha già diverse proposte sul tavolo, fra cui quella dell'ungherese
Mol, per la cessione della slovacca Slovenske Elektrarne, inglobata nel 2006. Solo Enel Green Power
continua a investire sistematicamente all'estero, dove c'è solo l'imbarazzo della scelta nel mercato in
fortissima crescita delle rinnovabili.
Numeri
Ma anche nelle fonti pulite italiane vale la pena d'investire, secondo il rapporto: arriva a ben 24 gigawatt, per
un investimento complessivo di 28 miliardi, il fabbisogno nazionale di fonti pulite da qui al 2030, per metterci
in linea con gli obiettivi europei. E per la prima volta quest'anno si parla chiaramente di «sostituzione» e non
di aggiunta delle nuove fonti ai vecchi impianti di produzione a fonti fossili, per arrivare nel 2030 a un mix
produttivo composto al 52% di rinnovabili e 48% di fossili. Sembra una strategia irrazionale, in un sistema
elettrico che è già ampiamente sovradimensionato per le attuali esigenze del Paese, ma «la mancata
sostituzione delle produzioni termoelettriche con oltre 24.000 megawatt di impianti da fonti rinnovabili
costerebbe alla collettività più di 55 miliardi di euro per costi di approvvigionamento dei combustibili, per posti
di lavoro non creati, per maggiori emissioni e per minori benefici per l'industria italiana», dice il rapporto.
La strategia energetica del Paese, secondo Gilardoni, dovrebbe puntare soprattutto a ridurre la forte
dipendenza dall'estero e la bolletta petrolifera sproporzionata, che nel 2013 ci è costata 56 miliardi.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Analisi I risultati dei «Costi del non fare» che saranno presentati domani
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Corriere Economia - N.40 - 1 dicembre 2014
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Per uscire definitivamente dall'emergenza rifiuti servirebbero 33 nuovi termovalorizzatori e per evitare altre
condanne europee sull'approvvigionamento idrico andrebbero sostituiti 110mila chilometri di acquedotti e
installati 16 milioni di depuratori. Il tutto per un investimento di 58 miliardi. Meno della metà dei 124 miliardi di
costi che dovremmo sobbarcarci nel caso di un nulla di fatto.
@elencomelli
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Telecom Ferrovie Viabilità Logistica Energia Idrico Rifiuti I RITARDI DA COLMARE... Fabbisogni
infrastrutturali e costi del non fare, 2014-2030. Dati in miliardi di euro ... E I POSSIBILI CAPITALI DA
SFRUTTARE Asset gestiti dai principali investitori istituzionali nel mondo. Dati in miliardi di dollari 424,7 113,8
74,7 71,95 69,285 49,28 4,1 25 20 15 10 5 0 2008 2009 2010 2011 2012 24,5 21,7 4,65 3,27 0,21
Assicurazioni Fondi pensione Fondi sovrani Fondi private equity Fondi infrastrutturali S. Avaltroni Totale
807,815 miliardi S. Avaltroni
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Milano Finanza - N.235 - 29 novembre 2014
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Paolo Panerai
Il sentiment delle case di investimento, da Morgan Stanley a Pimco, da Fidelity a Deutsche Bank, è positivo
per l'anno nuovo che sta per arrivare. Anche sull'Italia. Nei road show o nelle conversazioni che le reti di
promotori stanno organizzando in questo fine anno con i clienti, il punto di vista è convergente: nel 2015 ci
sarà una crescita in Europa dell'1,8%, ancora bassa rispetto a quanto serve per creare posti di lavoro, ma
nettamente superiore all'1% scarso che si sta registrando nel 2014. E ciò che conta è il quasi raddoppio del
segno più. A giudizio di quasi tutte le case, anche l'Italia ne beneficerà, riportando il segno del prodotto
interno lordo da negativo, cioè dalla recessione, alla crescita anche se assai modesta. L'opinione quasi
generale è che sul piano degli investimenti occorrerà dimenticarsi di un portafoglio di rendita basato sulle
obbligazioni e in particolare sui titoli di Stato, anche di quelli italiani, come dimostra il continuo calo del Btp
decennale, arrivato a record storici di rendimento così basso da sfiorare il 2%. Il mercato, infatti, attende
come certo l'arrivo ai primi del 2015 degli acquisti da parte della Banca centrale europea (Bce) ripetutamente
annunciati dal presidente Mario Draghi. Per questo il suggerimento è di dare maggiore delega ai gestori
perché possano attuare una politica di investimenti cosiddetta flessibile, quindi con un portafoglio mobile per
cogliere le opportunità che il settore azionario può offrire. E sul fatto che chi vuole avere d'ora in poi
rendimenti intorno al 5-6% debba aumentare il suo livello di rischio e guardare alle azioni, è d'accordo anche
una banca come N.M. media di un moderato ottimismo, esistono anche visioni pessimistiche, come, per
esempio, quella di Carlo De Benedetti, che di borsa e investimenti se ne intende sia pure da una posizione
essenzialmente ribassista; o come quella del presidente della Commissione della Ue, JeanClaude Juncker,
che appena è stato attaccato dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha subito sputato fuori il suo giudizio
autentico sull'Italia: ma cosa parlate voi che avete un debito pubblico al 134%. Ecco, questa è la visione del
finanziere puro, quale Juncker è stato da primo ministro del Lussemburgo, facendolo diventare il paradiso dei
capitali corsari, quelli che sono stati in prima linea nell'attacco ai titoli di Stato di pochi anni fa e che da
quell'attacco, ben organizzato, hanno portato a casa guadagni enormi. Non è peregrina, pertanto, la tesi
sostenuta da economisti seri e non convenzionali che dietro quelle parole di Juncker sul debito strabordante
dello Stato italiano ci sia sempre il pensiero che, sotto questo peso, l'Italia non si risolleverà se non chi sa fra
quanti anni e che quindi, nel contesto di una caduta dei rendimenti ordinari, si può sempre replicare l'attacco
ben riuscito durante l'ultimo periodo (infausto) dell'ultimo governo Berlusconi. Per la semplice ragione che
nell'impossibilità dell'Italia di stampare moneta in maniera diretta, nell'impossibilità di aumentare ulteriormente
la pressione fiscale già soffocante, quel debito è strumentalizzabile facilmente. Dietro le parole di Juncker
c'era il sottinteso dell'entrata in vigore prossimamente (se non ci sarà un ripensamento, assai improbabile)
del cosiddetto Fiscal compact che impone agli Stati membri di riportare il debito verso il pil al 60%. Una follia:
vorrebbe dire tagliarlo ogni anno (essendo il periodo concesso 20 anni) di oltre il 3,5% all'anno, essendo
l'eccesso pari al 74% (134 meno 60). Poiché il debito in valori assoluti supera abbondantemente i 2 mila
miliardi, vuol dire per i primi anni tagliare il debito di circa 70 miliardi di euro. Se si pensa che anche questo
governo ha dovuto lottare disperatamente per tagliare di una quindicina di miliardi i costi del Paese, proprio
mentre il Paese avrebbe bisogno di investimenti pubblici in infrastrutture per dare una spinta alla ripresa e
alla creazione di posti di lavoro, la prospettiva che sta davanti all'Italia e agli italiani è terrificante, anche se
potrebbero dare un aiuto due fattori: la crescita del pil, che pesa nel rapporto con il debito, e la ripresa
dell'inflazione. Inflazione che comunque la Bce deve tenere sotto controllo e non far salire a più del 2%, tetto
che stima venga raggiunto in circa cinque anni visto che ora, in particolare in Italia, domina la deflazione, cioè
il calo dei prezzi. Per anni molti economisti hanno teorizzato la sostenibilità del debito italiano grazie a
un'inflazione molto alta e a una crescita comunque superiore al 3%. Sono anni che questo non succede più.
Appare quindi temeraria (oltre che conformista) l'affermazione del pur bravo ministro dell'Economia, Pier
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ORSI&TORI
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Carlo Padoan, con scuola Fondo monetario e Ocse, che giovedì 27 ha affermato letteralmente in Parlamento:
«... La via maestra per ridurre il rapporto debito/pil è accrescere il pil. Le altre soluzioni spesso adombrate
dalla stampa in maniera esplicita o ambigua sono pericolose...». Chi può dire che la via maestra per ridurre il
rapporto debito/ pil è la crescita del pil? Come chi potrebbe dire che non è razionale affermare che la via
maestra per migliorare il rapporto è tagliare il pil? L'affermazione del ministro Padoan è temeraria perché non
è mai riuscito a nessun Paese ma anche a nessuna azienda risanarsi operando solo dal lato della crescita
del fatturato. Anzi, quando un'azienda punta solo sulla crescita del fatturato arriva nel 99% dei casi al
fallimento. E perché ciò non avvenga basta che il debito eguagli il fatturato, mentre nel caso dell'Italia siamo
addirittura al 134%. Le aziende super indebitate si salvano certo perseguendo l'aumento dei ricavi ma anche,
se non soprattutto, nel caso abbiano un patrimonio consistente, vendendone una parte. Ed è quello che
questo giornale e gli economisti di altissima qualità riuniti in L'Italia c'è sostengono da tempo: e cioè che lo
Stato per salvarsi da altre crisi drammatiche come quella che ancora si sta vivendo, con milioni di disoccupati
che inevitabilmente molto presto scenderanno nelle piazze, debba alienare parte del suo patrimonio,
principalmente immobiliare, perché è una leggenda metropolitana che bastano le privatizzazioni e che le
privatizzazioni hanno comunque il vantaggio in più di aumentare la concorrenza: ormai da vendere, dopo le
sciagurate svendite della grande fase delle privatizzazioni durante il governo Prodi per poter entrare nell'euro,
c'è ben poco a meno che non si voglia perdere il controllo (ma il presidente Renzi non lo vuole) di campioni
(come li chiamano in ( Francia) quali Eni, Enel, Terna, Ferrovie, Poste. Certo, Ferrovie e Poste sono da
quotare e qualche miliardo sarà incassabile, ma non scalfiranno neppure il grande macigno del debito.
Quindi, Caro Professor Padoan, comprendiamo lo spirito con cui sprona ad aumentare il fatturato, ma ogni
governo, dei tanti passati, ha sempre detto che con la crescita del fatturato metteva a posto le cose; e sì che
allora c'era, ad aiutare, l'inflazione e la crescita era di alcuni punti, non di frazione di punti. Per questo, Caro
Professore, le segnalo, perché lo legga, il lungo ma profondo articolo di un professore che la stima molto,
Roberto Poli, che all'interno di questo numero, dopo uno studio accurato, fornisce numeri e conseguenze di
questi numeri che dovrebbero spingerla a ripensare alla necessità assoluta di un intervento straordinario sul
debito Italia, visto che gli asset (soprattutto ma non solo immobiliari, si pensi alle concessioni, alle aziende
municipalizzate...) non mancano. Provi a interrogare sindaci e amministratori delle regioni che hanno avuto
assegnato dallo Stato immobili per la sciagurata devoluzione del federalismo. Provi a chiedere se
preferirebbero veder sgravato il loro debito, che concorre al debito pubblico calcolato da Eurostat, con la
restituzione di questi immobili che non rendono e anzi gli costano. Non abbia timore che il popolo italiano
possa ribellarsi alla vendita di palazzi, caserme, spiagge ecc.; né che gli speculatori possano con ciò
giustificare un nuovo attacco ai titoli di Stato, per il fatto che il patrimonio idealmente a garanzia viene
venduto. I primi, con la formula del Fondo degli italiani a cui conferire gli asset, potranno partecipare a quella
proprietà pagando con titoli di Stato e comunque lo Stato potrà conservare la maggioranza relativa del fondo;
ai secondi basterà mostrare che le vendite sono avvenute al valore corretto e che il debito si è ridotto di pari
importo, per tarpargli le ali della speculazione. Anzi, appena dovesse essere fatto un annuncio di operazione
straordinaria (non certo una patrimoniale) per ridurre il debito, basterà quell'annuncio a far scomparire lo
spread rispetto al Bund tedesco, perché l'Italia non sarà più l'anomalo Paese super indebitato che a ogni
stormir di fronde rischia di nuovo una grande crisi. Forse anche un economista del Suo valore deve riflettere
che il mondo e in particolare l'Italia non avevano mai avuto una crisi come quella che stiamo vivendo e che
quindi non bastano i metodi classici, ponendo come obiettivo soltanto la crescita del pil, per salvare il Paese.
Vuole un dato già reso pubblico dal professor Poli recentemente? Negli ultimi 20 anni l'Italia ha pagato 1.650
miliardi di interessi del debito; la Germania circa 1.200; la Francia e la Spagna sensibilmente meno. Ecco,
all'Italia mancano quei 500 miliardi. Se fossero stati impiegati per investimenti o per garantire una pressione
fiscale umana a famiglie e imprese, l'Italia non sarebbe a questo punto. Basterebbe ciò per capire che non si
può più contare sull'ipotetica crescita del pil e dell'inflazione per tornare un Paese normale. Ma, per favore,
legga quanto ha analizzato e concluso il professor Poli e troverà le ragioni per ripensare alla sua convinzione
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
che la via maestra sia solo quella della crescita del pil. Grazie, se dedicherà il suo scarsissimo tempo a
questa lettura. (riproduzione riservata) Paolo Panerai
FTSE MIB DELLA SETTIMANA
+0,30%
Atlantia +3,00 Autogrill +6,40 Azimut +6,02 A2a +0,30 B Pop Milano +3,25 Bco Popolare +6,43 Bper +6,24
Buzzi Unicem +0,25 Campari +2,00 Cnh Industrial -6,74 Enel +2,81 Enel G. Power +2,06 Eni -6,52 Exor
+2,08 Ferragamo +3,01 Fiat +1,11 Finmeccanica +3,17 Generali +1,10 Gtech -1,34 IntesaSanpaolo +4,82
Luxottica +2,90 Mediaset +3,90 Mediobanca +1,98 Mediolanum +1,18 Moncler +2,14 Mps -3,71 Pirelli e C.
+0,53 Prysmian -3,22 Saipem -13,78 Snam +0,71 Stm +2,54 Telecom Italia -1,47 Tenaris -11,04 Terna -0,10
Tod's +1,71 Ubi Banca +4,57 Unicredit +2,94 UnipolSai +0,61 World D. Free +5,92 Yoox +9,87 FTSE All
Share +0,36 FTSE Mid Cap +1,64 MF ITALY40 Large cap www.milanofinanza.it/mfitaly
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il tagliadebito si puo e si deve fare Ma ci vuole una cabina di regia con
poteri forti.
Roberto Poli
il tagliadebito si puo e si deve fare Ma ci vuole una cabina di regia con poteri forti. L'Italia deve fare una scelta
di fondo: se cercare di dimostrare ai cittadini italiani e all'Unione Europea che il suo enorme debito pubblico è
sostenibile anche grazie ai consistenti avanzi primari da realizzare nei prossimi anni in un contesto di crescita
del Pil reale e soprattutto nominale, oppure se effettuare una coraggiosa e importante manovra straordinaria
sullo stock del suo debito pubblico per riportarlo (in % del pil) a livello di quello esistente negli altri grandi
paesi europei. L'EVOLUZIONE NEGLI ULTIMI 20 ANNI Per effettuare questa scelta è fondamentale tenere
presente che: 1Per decenni, fino al 1980, la stabilità del debito pubblico italiano è stata garantita attraverso la
tassa occulta dell'inflazione consentendo ai governi di avere mano libera sulla spesa finanziata in disavanzo
con elevati tassi di interesse e conseguente incremento del debito, in larga parte detenuto dai risparmiatori
italiani che avevano un reddito interessante. Era un patto sociale sui generis: i privati che non adempivano a
pieno il proprio dovere di contribuenti avevano risorse che potevano impiegare senza timore alcuno in titoli di
Stato, mentre aumentavano così i loro risparmi e in contropartita rendevano ampiamente agibile un aumento
continuo del debito pubblico. È importante esaminare i tassi di inflazione su un arco temporale lungo (vedere
tabella 1): dall'anno della creazione della Comunità Economica Europea fino alla creazione dell'Unione
Europea. Si percepisce chiaramente che l'inflazione non era un fenomeno solo italiano ma generalizzato alle
maggiori economie dell'Ocse, anche se in Italia aveva avuto valori più elevati. La dimensione eccezionale del
periodo 1973/1984 è soprattutto una conseguenza degli shock petroliferi. È quindi ragionevole pensare che
quando fu sottoscritto il trattato di Maastricht (1992) l'obiettivo principale di costruzione dell'Unione avesse
come sottofondo culturale quello di mantenere sotto controllo l'andamento dei prezzi con il conseguente
mantenimento del potere di acquisto dell'area euro. E questa è stata la missione attribuita alla Bce. Da qui i
parametri fissati (deficit/ pil e debito/pil), una rigidità che obbediva al criterio di costringere i Paesi firmatari del
trattato a un processo di convergenza per la creazione dell'euro, avvenuta sette anni dopo. Il bilancio
pubblico non doveva spiazzare con il deficit l'allocazione del risparmio e non doveva contribuire con il deficit
spending a incrementare la tensione sui prezzi. 2L'Italia è l'unico grande Paese europeo che negli ultimi 20
anni (avendo nel 1992 un rapporto debito/pil fuori norma) ha basato la sua politica di abbattimento del debito
mediante avanzi primari: Francia e Spagna hanno consuntivato grandi disavanzi, la Germania ha avuto un
saldo praticamente nullo. Ma oltre al consistente avanzo primario l'Italia ha realizzato nel ventennio
operazioni straordinarie per circa 185 miliardi (privatizzazioni per 140, cartolarizzazioni, crediti previdenziali
per 26, vendita immobili per 20) tutte nel periodo fino al 2007. 3Dall'esame (vedere tabella 2) delle evoluzioni
del pil (nominale e reale), dello stock di debito e del saldo primario cumulato nei diversi Paesi, si desume che
nel ventennio i Paesi che hanno aumentato di più lo stock di debito e hanno registrato saldi primari negativi
(Francia e Spagna) sono quelli che hanno registrato un maggior incremento di pil reale. In sintesi, una politica
espansiva che ha favorito la crescita in Francia e Spagna. La Germania con un aumento percentuale dello
stock di debito più contenuto (comunque superiorea quello italiano) e un pareggio primario, ha raggiunto
ugualmente il risultato di un aumento del pil reale adeguato anche per le riforme attuate nel frattempo. L'Italia
è il Paese che ha sofferto di più. Il pil reale in 20 anni è aumentato soltanto del 15%, meno della metà di
Francia e Germania, meno di 1/3 della Spagna. È proprio l'Italia che è andata in controtendenza rispetto agli
altri con aumento dello stock di debito il più basso in assoluto, scelta obbligata per il peccato originale
dell'eccesso di debito nel 1992. Ma il suo stock è cresciuto di meno, anche per l'effetto dell'imponente
processo di privatizzazione realizzato dal 1993 al 2000; senza questo l'incremento dello stock sarebbe statoa
fine 2013 del 165% (invece del 143%), comunque il più basso tra i Paesi considerati. 4Avendo a mente che la
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INTERVENTO DEL PROFESSOR ROBERTO POLI
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crisi prima finanziaria e poi economica che si è avuta a livello mondiale dal 2008 ha cambiato il mondo,è
opportuno disaggregare i dati in due sottoperiodi, prima e dopo la crisi, per cui la situazione si presenta come
rappresentata nella tabella riportata. Nei 15 anni dal 1993 al 2007 la politica seguita in Italia di realizzare sia
importanti avanzi primari sia imponenti processi di privatizzazioni sembra avere funzionato in quanto,
nonostante il peso enorme degli interessi passivi, ha consentito di contenere sia i deficit sia l'aumento del
debito. Infatti l'avanzo primario ha coperto il 40% degli interessi passivi. Il pil reale è aumentato del 26%, cioè
uguale alla Germania (26%) e leggermente inferiore a quello della Francia (35%). A fine periodo (2007) il
rapporto debito/pil, anche per il contributo dell'importante processo di privatizzazioni realizzato tra il 1993 e il
2000, è 103,3, sostanzialmente identico a quello del 1992 (104,7); senza le privatizzazioni il rapporto sarebbe
stato circa 126. Nei successivi sei anni dal 2008 al 2013 (gli anni della crisi) sono mancate le privatizzazioni e
gli avanzi primari sono stati modesti rispetto al passato. La più grave crisi economica del dopoguerra ha
avuto un effetto dirompente. Francia e Spagna hanno attuato una politica fortemente espansiva: in soli sei
anni hanno aumentato il loro stock di debito pubblico rispettivamente del 60 e del 150% (in Italia l'aumento è
del 28%), realizzando deficit cumulati molto rilevanti, superiori in valore assoluto a quelli dei precedenti 15
anni e ottenendo un risultato modesto in termini di incremento del pil reale: 0% per Francia e -6% per
Spagna. L'Italia si è trovata stretta nella morsa da una parte del suo debito eccessivo e dall'altra dalla
mancata attuazione delle riforme, con lo spread che nel 2011 è salito sopra 500 punti base; è stato formato
un governo di emergenza per attuare politiche restrittive: aumento della tassazione sugli immobili, sulla
ricchezza finanziaria privata e addirittura è stata ritoccata l'Iva. Ma la politica del rigore assoluto ha causato
una diminuzione generalizzata dei valori immobiliari e una riduzione del reddito da risparmi. Tutto ciò che ne
è derivato è sotto gli occhi di tutti. Si sono finora persi nove punti di pil reale e quello nominale è invariato, per
cui il rapporto debito/ pil (rilevante ai fini del rispetto del Patto di stabilità e sviluppo) si è deteriorato. Negli
ultimi quattro anni si sono susseguiti quattro governi diversi, ciascuno con ministri dell'Economia e dello
Sviluppo economico diversi dai precedenti, ma il prodotto non è cambiato. Già il primo anno di piano
presentaa consuntivo dati peggiori di quanto era stato previsto e sempre con un pil negativo. Occorrerebbe
forse approfondire i criteri di redazione di quei documenti. 5È evidente la necessità per l'Italia di realizzare
riforme incisive sia di tipo istituzionale sia di tipo economico e il governo attuale sembra aver compreso
questa necessità. In aggiunta al peggioramento dei fondamentali di finanza pubblica si verifica una nuova
emergenza: una forte disinflazione già realizzata in tutta Europa rischia di arrivare addirittura alla deflazione.
Proprio per cercare di evitarla, nel mondo sono stati attuati provvedimenti di espansione della base monetaria
(Usa, Giappone, Uk) e una politica keynesiana di stimolo della domanda. Viceversa nei paesi euro il rigore
teutonico prevale e le conseguenze sono note. Negli ultimi sei mesi la diminuzione di circa il 30% dei prezzi
del petrolio da un lato per l'Italia favorisce la bilancia commerciale e la competitività, dall'altro aggrava il
fenomeno della disinflazione. LA RIDUZIONE DELLO STOCK DI DEBITO Pensare di affrontare la nuova
situazione con le tecniche del passato, basate su un intervento soltanto sui flussi annuali, è una illusione.
Occorrono provvedimenti straordinari e coraggiosi. Tra questi uno portante è la riduzione dello stock di debito
che ovviamente da solo non è sufficiente. Occorre anche creare le premesse perché l'inflazione ritorni al
livello normale di lungo periodo (intorno al 2%). Ma mentre questo ultimo obiettivo nell'area euro deve essere
realizzato dalla Bce o dalla Ue, o da ambedue, la riduzione dello stock di debito riguarda i singoli Paesi
europei, l'Italia in primis. È necessaria un'azione sullo stock di debito pubblico e non sui flussi annuali.
Occorre realizzare questo obiettivo sia per ridurre il peso degli interessi e rendere il debito giudicato più
sostenibile dai mercati sia perché il costo del debito pubblico rappresenta il floor del costo per le banche
italiane (e questo a sua volta è il floor del costo del finanziamento bancario alle imprese), sia infine per non
penalizzare ulteriormente il valore reale dei risparmi per fare ripartire i consumi, che unitamente a un
programma straordinario di investimenti possa assicurare un rilancio della economia e dell'occupazione. Negli
ultimi quattro anni si sono susseguite una serie di proposte sulla riduzione del debito pubblico italiano,
effettuate da illustri accademici (alcuni con rilevanti esperienze di governo in passato) nonché da parte di
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importanti Fondazioni di studio e ricerca. Si va dalle Cessioni di asset sul mercato (Guarino, Reviglio,
Rebecchini, Grilli), alle cessioni tramite Cdo (governo Monti, Savona-Rinaldi), alla Imposta Patrimoniale
(Amato, Capaldo, Modiano, Sarcinelli), allo swap debito vs patrimonio (Salerno Aletta-Monorchio e
l'associazione L'Italia c'è, più volte ribadito sulle colonne di questo giornale). È questa la conferma
dell'attualità del tema e del fatto che una riduzione dello stock con provvedimenti straordinari è una esigenza
sentita da tutti. Occorre partire da una constatazione: il patrimonio pubblico italiano è di dimensioni rilevanti.
A) Quello immobiliare è stimato in 500-600 miliardi (escluso i beni demaniali): il 53% è utilizzato direttamente
dalle amministrazioni proprietarie, il 27% è dato in uso ad altre amministrazioni pubbliche o enti non profit, il
10% è da considerarsi libero. B) Il valore attribuibile alle partecipazioni quotate e non quotate dello Stato e
degli enti locali, di difficile stima, potrebbe aggirarsi sui 100 miliardi. C) Il valore delle concessioni, molto
rilevante, con criteri patrimoniali potrebbe stimarsi in 50-70 miliardi con la pura attualizzazione dei redditi. Per
quello immobiliare occorre un incisivo e importante riordino per utilizzarne una parte a riduzione del debito,
avendo a mente non soltanto il principio di fare cassa ma anche quello di attuare provvedimenti che siano
funzionali alla crescita. È forse utile ricordare che alcuni grandi gruppi italiani (Unicredit, Eni e in prospettiva
Generali) mediante l'utilizzo di coefficienti standard di superficie occupata per addetto, hanno rilasciato
superfici importanti, dell'ordine del 25-30%. Questo processo, applicato agli immobili pubblici, potrebbe
ridurre la percentuale di utilizzo diretto dal 53 al 35-40%, rendendo libere superfici per almeno il 35%.
Esistono dicotomie importanti: il patrimonio pubblico è per circa l'80% di proprietà di Regioni ed enti locali
(che realizzano una quota di 2/3 degli investimenti pubblici complessivi), mentre il debito totale delle
amministrazioni pubbliche fa capo soltanto per il 10% agli stessi soggetti: gli enti centrali hanno quindi il 20%
del patrimonio e il 90% del debito. Da un lato la devolution di patrimonio a enti locali e la riforma del Titolo V
della Costituzione e dall'altro la crescita impressionante negli ultimi anni di partecipazioni e aziende da parte
degli stessi (spesso con gestioni inefficienti), fenomeno chiamato capitalismo municipale, hanno creato le
premesse perché dal centro si agisse con sempre maggiore difficoltà in una azione di intervento complessivo.
Presupposto essenziale di una azione di riordino del patrimonio, propedeutica anche all'utilizzo a riduzione
del debito, è quindi la necessità di una cabina di regia centrale, dotata di poteri e strumenti straordinari e per
la quale occorre il coinvolgimento degli enti territoriali. Si tratta di un soggetto avente natura commissariale
con poteri ampi anche verso le Pa. Non è sufficiente attribuirgli il coordinamento e la programmazione ma
anche poteri di intervento diretto qualora le diverse entità deputate non provvedano, avvalendosi, se fosse
necessario, di intervento presso le singole amministrazioni mediante organi ispettivi dello Stato. Il tutto
assegnando a questo organismo tempi stringenti per realizzare l'obiettivo. Questo organismo dovrebbe avere
forme di stabilità nella sua direzione, non modificabili da singoli governi che si succedano pro-tempore
(magari con diversi orientamenti politici) e il quadro dirigente dovrebbe essere composto non solo da
accademici e grand commis dello Stato ma anche da grandi manager che provengano dall'economia reale.
Andrebbe previsto anche un organismo di controllo speciale sul suo operato. Occorre scegliere i migliori,
indipendentemente dalla affinità politica. Ricordo che, dopo la deflazione degli anni 20 in una situazione
certamente più grave di quella attuale, il capo del governo fascista affidò la regia della attuazione del piano di
salvataggio a Donato Menichella e Alberto Beneduce, notoriamente antifascisti e si avvalse della consulenza
di Raffaele Mattioli, anch'esso non fascista. In sintesi, applicò il principio della meritocrazia. I tre avevano in
comune due cose: essere nati nell'Italia del Sud e avere un amore senza limiti per la loro Patria. In
conclusione, la previsione di avanzi primari risultante nei piani dell'attuale governo è assolutamente
compatibile con una operazione straordinaria di abbattimento dello stock del debito pubblico; insieme
possono rendere più sicura la manovra complessiva finalizzata alla crescita dell'economia e della
occupazione che rimane l'obiettivo fondamentale. (riproduzione riservata)
I TASSI DI INFLAZIONE NEL PERIODO 1957-1992 GRAFICA MF-MILANO FINANZA Anno Media 1957 /
1972 Media 1973 / 1984 Media 1985 / 1991 1992 1992: Firma del Trattato di Maastricht
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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L' ANDAMENTO DEL PIL NEL PERIODO 1993-2013 GRAFICA MF-MILANO FINANZA Pil nominale Pil
reale Stock debito Saldo primario cumulato +89% +84% +61% +60% Italia Francia Spagna Germania
L'EVOLUZIONE DEI DATI MACROECONOMICI EUROPEI 1993-2007 15 anni 2008-2013 6 anni 1993-2013
21 anni GRAFICA MF-MILANO FINANZA INCREMENTO PIL REALE Italia Francia Germania Spagna
INCREMENTO PIL NOMINALE Italia Francia Germania Spagna INCREMENTO STOCK DEBITO Italia
Francia Germania Spagna SALDO PRIMARIO CUMULATO in miliardi di euro Italia Francia Germania
Spagna INTERESSI PASSIVI CUMULATI in miliardi di euro Italia Francia Germania Spagna DEFICIT
CUMULATI in miliardi di euro Italia Francia Germania Spagna
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Lo shale oil è invincibile
Marina Valerio Class Cnbc
«Non mi aspettavo e non mi aspetto niente dall'Opec. Innanzitutto perché molti Paesi del cartello hanno già
una produzione ridotta: l'Arabia Saudita produce già 3 milioni di barili al giorno in meno di quello che
potrebbe, mentre Iran, Libia, Nigeria e Iraq producono meno, non per volontà loro, ma per problemi di stabilità
politica o di sanzioni». Leonardo Maugeri, phd e professore associato del Belfer Center a Harvard University,
ed ex responsabile strategie del gruppo Eni, è stato tra i primi a prevedere due anni fa l'attuale caduta dei
prezzi del petrolio per sovrapproduzione. Domanda. La decisione dell'Opec di non tagliare la produzione
nonè anche una sfida all'America? Risposta. Vero, se l'Opec tagliasse favorirebbe Paesi come gli Stati Uniti,
che invece stanno producendo a pieno ritmo e sono una delle cause della caduta del prezzo del greggio.
Nella storia dell'Opec questo è accaduto molto spesso. Peraltro ci sono tensioni interne, in particolare tra Iran
e Arabia Saudita, che impediscono in tempi brevi di trovare un compromesso ragionevole che non sia
qualcosa di puramente simbolico. Anche se l'Opec tagliasse la produzione di 500mila barili al giorno non
servirebbe a nulla. D. Fin dove possono scendere i prezzi del greggio? R. In America ci sono le condizioni
perché il prezzo del greggio vada ancora più giù, perché nessuno sta fermando gli investimenti.È ancora
troppo presto per avere il blocco degli investimenti e quindi non c'è la possibilità di avere una sostanziale
caduta delle produzioni. Quando però gli investitori si renderanno conto che l'Opec non è in grado di gestire
la situazione, almeno a breve-medio termine, e che le produzioni e anche una nuova capacità produttiva
continueranno ad arrivare sul mercato, ci potrebbe essere un momento di panico tra gli investitori, che porti a
un prezzo anche inferiore ai 60 dollari. È uno scenario estremo che non possiamo escludere, perché le
compagnie petrolifere o i Paesi che hanno già speso il 6070% del loro budget continuano a spendere. D. Se
nessuno ha intenzione di tagliare i propri livelli produttivi, perché allora il mercato dello shale gas
statunitenseè in pieno boom? E quale impatto avrà sul settore petrolifero? R. Proprio ciò che è successo
nello shale gas Usa ci può dare un paradigma di quello che può succedere nel petrolio. Ovvero: i prezzi del
gas negli Usa sono crollati. La caduta va avanti dal 2008, ma dal 2010 il crollo è stato davvero drammatico.
Nonostante questo, proprio dal 2010 la produzione nel Paese è aumentata di quasi sette volte. Questa
condizione, cioè di produzione che aumentava a prezzi così bassi, era ritenuta impossibile da tutti, perché si
riteneva che i prezzi dello shale gas dovessero essere molto più alti per consentire una produzione
considerata molto costosa. Lo stesso errore di valutazione si sta facendo con lo shale oil, cioè col greggio
estratto da queste formazioni in prevalenza scistose. Si ritiene che la produzione abbia costi troppo alti, ma
non è così. A oggi gli Stati Uniti sono arrivati a produrre, in termini di shale gas, oltre 400 miliardi di metri cubi
l'anno. Dieci anni fa ne producevano 20 miliardi, quindi la produzione è aumentata di oltre 20 volte in dieci
anni, ed è ragionevole che continui ad aumentare anche con prezzi del gas che sono quasi un terzo di quelli
europei. Questo è il risultato di due fattori: miglioramento delle tecnologie e delle conoscenze di queste
formazioni non convenzionali, da cui gli Usa stanno estraendo molto petrolio e molto gas, gli stessi fattori che
consentono di dare molto spazio alla produzione di petrolio negli Usa. Io credo che i due fenomeni, quello
dello shale gas e dello shale oil, vadano osservati insieme per capire quello che potrebbe succedere da qui a
un anno. D. Il barile meno caro favorisce i consumatori americani. Dal punto di vista geopolitico, quale
potrebbe essere l'obiettivo degli Usa nel settore energetico? R. Ciò che succede all'interno del Paese per
molti è una benedizione, mentre per gli ambientalisti è una maledizione. Certamente nessuno ha intenzione
di rinunciare all'obiettivo di produrre sempre di più, né i Democratici né i Repubblicani. Esiste però una
percezione sbagliata dei costi e del break even della produzione Usa, laddove si sostiene che a 70-75 dollari
al barile molta produzione di petrolio americano non starebbe più in piedi economicamente. Non è così. La
produzione di greggio americano ha dei break even molto più bassi di quanto si creda, e quindi gli Usa
andranno avanti a produrre tutto quello che possono. Per questo l'Opec oggi guarda con grande
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INTERVISTA
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circospezione a ciò che accade in America, perché si sono resi conto che le cose non stanno come loro
pensavano.A partire dall'Arabia Saudita che pure ha sbagliato, come tutti i produttori Opec, a valutare la
rivoluzione Usa del gas e del greggio, pensando fosse un fenomeno temporaneo, dai costi troppo alti e tutto
sommato marginale. Quindi tagliare oggi la produzione Opec sarebbe un regalo agli Usa. Quanto all'America,
qui la mentalità è rimasta molto simile a quella degli anni 70. Il punto non è mirare all'egemonia mondiale
dell'energia ma all'indipendenza energetica considerata dagli americani un prerequisito di potenza, anche
militare, per il semplice fatto di non dover ricorrere, nell'immaginario collettivo, al petrolio di Paesi considerati
inaffidabili, instabili o addirittura ostili. Da un punto di vista strategico generale, questo è l'obiettivo americano,
e continuerannoa perseguirlo nei prossimi anni. (riproduzione riservata)
Foto: Leonardo Maugeri
Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/usa
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Angelo De Mattia
Giovedì 4 dicembre sarà il momento della verità per la Bce. Si riunirà il Consiglio direttivo e molti prevedono o
sperano che la questione del Quantitative easing non potrà essere elusa dall'organismo. Finora la formula
persistentemente utilizzata da Mario Draghi è stata quella dell' unanime impegno dei membri del Consiglio ad
adottare le ulteriori misure non convenzionali nel caso di un nuovo aggravamento della situazione.
Progressivamente la formula è stata specificata fino ad arrivare al convegno di Francoforte del 21 novembre,
quando Draghi ha puntualizzato che le misure in questione corrispondono all'esercizio del mandato, che un
aggravamento dell'inflazione comporterà il ricorso a tali misure il più veloce possibile e che, comunque,
l'istituto ha il dovere di agire per il mantenimento della stabilità dei prezzi. Questo impegno, ha precisato il
presidente della Bce, è unanime nel Consiglio. I concetti espressi il 21 offrono la sensazione di una minore
lontananza dalla concreta decisione, a causa dell'esaurimento dell'effetto-annuncio da un lato all'opposto e
del logoramento della comunicazione dall'altro. Ma nei giorni immediatamente successivi, il capo della
Bundesbank, Jens Weidmann, dopo avere evidentemente partecipato alla decisione segnalata da Draghi
come unanime, ha dichiarato apertamente che esistono rilevanti ostacoli di ordine giuridico all'acquisto, da
parte della Bce, di titoli pubblici, senza tuttavia indicare, neppure all'ingrosso, di quali ostacoli si tratti. In
effetti, la sua mente sarà stata rivolta alle Omt e all'esame davanti alla Consulta tedesca, dove queste
operazioni, ora al vaglio della Giustizia europea, approdarono anche per il concorso implicito della Buba. Non
è detto che, accertata la conformità, come sembra probabile, trattandosi per di più di acquisti sul mercato
secondario, la questione sia chiusa perché potrebbe scaturirne l'ulteriore querelle per un'asserita non
effettuabilità delle operazioni stesse dalla Bundesbank in forza del suo ordinamento che prevarrebbe su
quello comunitario. Ma, se si finisse con l'imboccare una tale linea, si disapplicherebbero gli obblighi nascenti
dal Trattato, in primis la convergenza legale. È sperabile, dunque, che ciò non accada e che la sentenza della
Corte europea sia chiara e non offra appigli di sorta a chi, contrastando le Omt, intende, in effetti, impedire il
Qe. Ma giovedì, 4, potrà anche accadere che vengano indicati i passi avanti compiuti nell'analisi tecnica
svolta dalle strutture della Bce, alle quali Draghi ha detto di avere demandato la valutazione, ai fini del ricorso
a quest'ultima misura straordinaria: non sarà l'opzione migliore e significherà che di questi interventi si tornerà
a parlare a gennaio, mentre il raccordo con l'esame delle leggi di stabilità e con il varo del pur non esaltante
piano di investimenti lanciato da Jean-Claude Juncker richiederebbe il concorso del pilastro della politica
monetaria per tentare di massimizzare i risultati. Il vicepresidente della Banca centrale, Vitor Costancio, ha
detto che di tali misure, in specie del quantitative easing, si sarebbe parlato nel primo trimestre del nuovo
anno: dunque, un chiaro rinvio. Ma da un drastica abbreviazione dei tempi, l'insieme delle operazioni
riguardanti Tltro, Abs e covered bond riceverebbe una integrazione decisiva che certamente potrebbe portare
il bilancio della Bce oltre i 1.000 miliardi aggiuntivi, arrivando al di là del livello che era stato conseguito prima
del paradossale abbassamento segnalatosi già dall'agosto 2012, quando invece si sarebbe dovuto battere il
ferro caldo, mentre non erano ancora presenti le aspettative e i rischi di deflazione. La variabile, dunque, è
quella tedesca e dei membri del Consiglio direttivo che tradizionalmente seguono il comportamento del
presidente della Bundesbank. È possibile evidentemente che, se posto in discussione l'obiettivo dell'acquisto
di titoli pubblici, Weidmann si esprima in senso contrario e così poi voti. Ma Draghi non potrà fare altro che
portare l'argomento all'esame dell'organo. Temporeggiare per il timore di una bocciatura, dopo aver tentato
tutte le possibili strade di convergenza, sarebbe una pessima scelta che rischierebbe di fare rinviare alle
calende greche ogni decisione al riguardo e si tradurrebbe nell'attribuzione a Weidmann di un diritto di veto
esercitato addirittura ben prima della discussione in Consiglio e della votazione. Jean-Claude Trichet, il
predecessore di Draghi, partecipando a un convegno in Italia, ha dichiarato che non sussiste alcun ostacolo
all'acquisto di titoli pubblici da parte della Bce; che egli, a suo tempo, ha fatto acquistare dall'istituto titoli greci
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Draghi raccolga la sfida subito, è il momento della verità
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e irlandesi; che è un dovere per la Banca usare queste misure perché l'inflazione è molto lontana del 2%. Poi
ha ricordato che lo statuto prevede l'approvazione delle materie poste in discussione a maggioranza
semplice. Vi sono momenti in cui occorre sapere raccogliere le sfide, anche senza garanzia di successo e
senza l'accordo con i governi più intransigenti. Si può dire, allora, che per Draghi si tratterà di una prova della
stessa importanza di quella affrontata a Londra, alla fine del luglio 2012, con l'ormai storica dichiarazione che
impegnava la Banca a fare tutto il possibile per salvare l'euro. Una lunga procrastinazione del ricorso a
provvedimenti tante volte prospettati, a maggior ragione se non avvenisse secondo una chiara indicazione
del percorso che si vuole compiere e del relativo approdo, sarebbe grave; concreterebbe una netta violazione
del mandato. Di recente, con l'intento di ammorbidire la reattività tedesca, è stato ipotizzato da un gruppo di
studiosi che la Bce, invece di comprare direttamente titoli pubblici sul mercato secondario, potrebbe
acquistare obbligazioni emesse da banche che rappresentino un paniere di titoli pubblici di diversi Paesi. Si
dice che questa sarebbe, dunque, un'operazione più vicina al mercato e che sarebbe più garantista per la
Bce. Indubbiamente, si tratta di un progetto ingegnoso, ma la sua sofisticazione non regge per due ragioni: è
chiaro che essa mira allo stesso risultato dell'acquisto diretto dei titoli in questione che, se osteggiato,
continuerà a esserlo quale che sia la forma in cui avviene; resta comunque il conseguente rischio che si
riverserebbe, se esso effettivamente sussistesse, sulle banche e non si tratterebbe di certo di un
trasferimento indolore e senza impatti; in ultima analisi, coinvolgerebbe la stessa Bce. Occorre, invece,
seguire la via lineare, magari introducendo alcune condizioni in presenza delle quali scatta l'acquisizione.
Quella di giovedì, 4 dicembre, non potrà essere una seduta ordinaria del Consiglio della Bce, anche perché
sarebbe doveroso che all'ordine del giorno vi fossero pure riferimenti sull'iniziale svolgimento della Vigilanza
accentrata, a proposito del quale la sensazione è ancora di confusione anche per scelte, quali quelle che
verrebbero fatte in materia ispettiva, che appaiono abbastanza estemporanee. È auspicabile che
sull'organizzazione della funzione dopo il decollo, sulle linee-guida e sulle iniziative più rilevanti vi sia una
forte trasparenza. La politica monetaria ha bisogno di una Vigilanza non burocratica o meramente occhiuta;
deve essere rigorosa, certamente, ma con grande capacità propulsiva abbinando controlli prudenziali e
funzioni strutturali. Per ora non ci siamo. E, in tale contesto, parlare di Unione di bilancio, come ha fatto
Draghi, può essere suggestivo, ma difficilmente mobilita perché mancano adeguati presupposti, innanzitutto
normativi, non conseguibili in un batter d'occhio, e, prima ancora, mancano reciproca fiducia e affidabilità tra i
Paesi partner. (riproduzione riservata)
IL CROLLO DEI RENDIMENTI 2002 2000 2004 0 6% 5% 4% 3% 2% 1% 7% GRAFICA MF-MILANO
FINANZA Btp (Italia) Bonos (Spagna) Bund (Germania)
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Altomonte: i soldi di Juncker andranno prima al Nord Europa, l'Italia metta
mano ai fondi strutturali
Andrea Cabrini (Class Cnbc)
«Soldi che non arriveranno prima della fine del 2015 e che andranno inizialmente a finanziare i progetti più
garantiti, che non sono certo nei Paesi del Sud Europa. Meglio sarebbe mettere mano ai fondi strutturali già
stanziati. La vera novità di cui pochi si sono accorti è che nel piano di Juncker è prevista la possibilità di
rimodularli per trasformarli in garanzie su investimenti infrastrutturali, invece che spenderli per i soliti corsi di
taglio e cucito». Carlo Altomonte, docente di politiche Economica Europee, concede al piano di investimenti
varato in settimana dal presidente della Commissione Europea Juncker un solo grande pregio, aver
finalmente riconosciuto il bisogno di avviare in Europa una politica espansiva mirata agli investimenti.
Domanda. Professor Altomonte, Juncker non l'ha soddisfatta. Risposta. Io sono da sempre un europeista
convinto, ma bisogna anche essere realisti: è importante che sia stata presa questa direzione, perché fino a
un mese fa l'idea di una politica fiscale espansiva, supportata dagli investimenti, non c'era. Anzi, c'erano
critiche a Draghi per la gestione della politica monetaria. D. E allora cosa è cambiato? È peggiorata la crisi?
R. Sì. Una sveglia è arrivata a ottobre, quando i mercati hanno cominciato a non credere più nella capacità
dell'Europa di tirarsi fuori dai guai, in più si è aggiunto il peggioramento dei segnali di stagnazione tedeschi.
Tutto questo si traduce nell'avanzata dei partiti euroscettici nei vari ambiti nazionali e in maggiori pressioni sui
governi locali. D. E il piano corre in loro aiuto? R. Su questo ci sono un sacco di incertezze: tanto per
cominciare stiamo parlando di una procedura che non verrà approvata prima di giugno. Insomma i primi soldi
si vedranno a fine 2015. E siccome si andrà a finanziare progetto per progetto,i primi cantieri a partire
saranno quelli nel cuore dell'Europa, garantiti da economie più stabili. Per noi c'è da attendere.E poi
ricordiamoci che non si tratta di soldi freschi. Si parla sempre degli stessi stanziamenti, anche se si spera,
grazie alle garanzie, in un effetto moltiplicatore più alto: 15 miliardi per ciascuno stanziato. Sulla carta non è
impossibile. D.E quindi? R. Direi che la Commissione ha identificato la direzione corretta, perché il tema degli
investimenti è quello che sta mancando in Europa, anche se parlando di un gap di 430 miliardi ne ha
ingigantito le proporzioni, visto che ha preso a riferimento un anno drogato dalla crisi come il 2007. Secondo
le stime elaborate da noi, al centro studi Bruegel, siamo sotto di 260-270 miliardi rispetto al trend storico. Ma
le dinamiche del piano, soprattutto in termini di certezze, sono ancora tutte da valutare. D. La morale è che o
si fanno le riforme o non se ne esce. La palla è sempre nel campo dei governi. R. Il segnale principale dato
dal Piano Juncker è proprio questo: gli aggiustamenti devono essere fatti a livelli di Stati nazionali, che
dovranno mettere in campo risorse e riforme per riattivare la crescita. D. Non resta che sperare in Draghi? R.
Secondo me è molto rischioso porre fiCarlo Altomonte ducia nell'azione della Bce: contrariamente alle
aspettative del mercato, sono convinto che non ci sia spazio, tra le regole del trattato, per acquisti di titoli di
debito pubblico. Insomma: in Europa il quantitative easing non si può fare. D. Questa è la posizione di
Weidmann. Sta parlando tedesco, lo sa? R. Io leggo il trattato e, per quanto sia italiano, non riesco a girare
intorno all'articolo 125. Ma non c'è solo questo: una mossa così avrebbe l'effetto di schiacciare il rendimento
del Bund, mettendo in crisi fondi e assicurazioni tedesche. Questo la Germania non lo può accettare. Quindi
credo che la Bce andrà avanti verso il suo obiettivo dei 1.000 miliardi di aumento di bilancio cercando di
raggiungerlo con gli strumenti annunciati fino a oggi e rivolti alle banche, oltre all'acquisto di Abs e covered
bond. D. Le banche per ora hanno lasciato lì i soldi e il mercato dei Covered Bond e degli Abs sembra piccolo
per fare la differenza. R. Non penso che sia piccolo e credo che almeno 400 miliardi di Abs possono essere
acquistati da subito, soprattutto sui mutui. Con un effetto traino importante per la ricchezza europea. D.
Quindi il piano non sembra destinato a incidere davvero? R. Io ragionerei su un punto che non è emerso con
sufficienza:a pagina 10 del documento di Juncker si legge che è possibile rimodulare i fondi strutturali, quelli
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dati alle regioni per intenderci, in chiave di equità e garanzia di fondi privati che si possono attivare per
avviare investimenti d'impresa. Questo significa che il vero obiettivo, il rilancio degli investimenti a leva, può
essere raggiunto fin da ora, con le risorse già stanziate, sia dei vecchi fondi che dei nuovi, e la Commissione
dice che è disposta a rinegoziare con gli Stati membri gli accordi di partenariato in questa direzione. Vuol dire
che i soldi dati alla Campania, alla Sicilia o alla Calabria, invece che finanziare inutili corsi di formazione che
spesso diventano serbatoi di voti e consenso, possono essere attivati come veri e propri Special Purpose
Vehicle, strumenti di finanza territoriale che diano soldi alle imprese.È questa la vera novità clamorosa del
Piano, e in Italia non mi sembra sia stata colta. Anche perché non so quanto faccia piacere ai vari
amministratori regionali. D. Però i miliardi promessi da Juncker sono esclusi dal tetto deficit/ pil e questi no R.
Diciamo che vengono scomputati dal calcolo del deficit, e quindi dal patto di crescita e stabilità, ma non da
quello sul debito, perché secondo le regole Eurostat la contingent liability si computa eccome. Insomma: che
queste poste scompaiano da calcolo del deficit è un bene dal punto di vista della cassa, ma non avrà
necessariamente un effetto a lungo termine perché prima o poi con il Fiscal compact bisognerà fare i conti. D.
Cosa ci resta? R. I fondi strutturali. Tra fondi europei e cofinanziati e inseriti nel calcolo del deficit, l'Italia ha
circa 20 miliardi già stanziati sul 2014-2020. Di questi, grazie alle nuove regole di Juncker, il 50% potrebbe
essere destinato alla creazione di un fondo per infrastrutture in Italia. Ipotizzando una leva 5, che non è
impossibile sui mercati finanziari, e magari rispolverando un po' della normativa sulle opere strategiche, con
gli arbitrati accelerati che evitano le sacche della giustizia ordinaria, con un fondo di 10 miliardi si attivano già
da domani 50 miliardi di risorse private. Io sono convinto che su una cosa così, al 2 o 2,5%, un fondo
pensioni italiano qualsiasi, diciamo la cassa dei geometri, ci mette le mani domani. Soprattutto in tempi di Btp
a zero e con la garanzia pubblica che assorbe eventuali perdite. (riproduzione riservata)
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Solo l'Europa fa paura
Silvia Berzoni Class Cnbc
La crisi è ufficialmente finita e il percorso di ripresa è solido. È questa l'aria che si respira dall'altra parte
dell'Atlantico. Parola dell'italiano più influente del sistema bancario e finanziario statunitense, Alberto Cribiore,
vicepresidente per i clienti istituzionali di Citigroup. Domanda. Dottor Cribiore, a 40 anni di distanza dal suo
sbarco in America, come è cambiata la finanza Usa? Risposta. A quel tempo New York era il centro
finanziario per l'America, oggi lo è per il mondo intero. Gli Stati Uniti attraversavano una crisi profonda,
inflazione e tassi di interesse crescevano, New York aveva problemi enormi tanto che si iniziò a valutare il
trasferimento della borsaa Chicago. Non che la situazione in Europa e in Italia fosse migliore. Erano anni
durissimi, in cui il capitalismo era ancora messo in discussione. Dopo quello che è accaduto in Russia e in
Cina si è finalmente capito che era l'unico modello per crescere. Due differenze, dunque: la convinzione oggi
che il capitalismo è la formula economica di successo e l'importanza globale del mercato di New York. D.
Oggi gli Stati Uniti sono ufficialmente fuori dalla crisi? R. Visti gli ultimi dati macroeconomici direi di sì. Forse,
sarebbe giusto chiedersi cosa potrebbe far deragliare la prima economia mondiale. L'autosufficienza
energetica, una bilancia dei pagamenti in miglioramento, l'attività di risanamento della Fed verso mercati e
istituzioni, la politica accomodante, il mercato del lavoro e la produttività mostrano che l'economia è in salute.
D. Forse il rischio più grande è di importare il rallentamento di Europa, Cina e Giappone... R. Il mondo è
talmente globale che nessuna economia, compresa quella americana, può permettersi di procedere e agire
da sola. La Cina, pur rallentando, rimane una locomotiva. L'Europa, più che una locomotiva, è una cambusa.
I miei grandi clienti istituzionali e i vertici delle multinazionali lo dicono con chiarezza, è la loro più grande
preoccupazione. L'economia ristagna, la domanda interna è in declino. Mentre i Paesi in via di sviluppo
hanno margini per compensare l'apprezzamento del dollaro contro le valute locali, il vecchio continente no.I
profitti delle multinazionali americane che arrivano dall'Europa continuano a essere sotto pressione. D. Non
c'è il rischio che proprio la forza del dollaro colpisca i margini delle big del Usa? Come si muoverà la Fed? R.
Non credo che a questo punto la Fed abbia molti strumenti per agire. Non è pensabile che, per competere
con la Bce, torni indietro al Qe o riduca i tassi di interesse. D'altro canto, in questo momento, con l'incertezza
della politica fiscale e della politica a Washington, non vedo una stretta creditizia imminente. Il dollaro si
rafforzerà ancora, non sono l'unico a dirlo a Wall Street... D. I mercati sono pronti a reggersi senza gli stimoli
della Fed? R. I mercati si reggono sui tassi d'interesse, che definiscono il premio al rischio, e sui profitti
societari. L'uno è funzione dell'altro. Se le società americane continueranno ad aumentare le loro quote di
mercato globali e i loro profitti, allora il mercato non dovrebbe avere grossi scossoni. Janet Yellen è molto,
molto sensibile alla reazione dei mercati. D. Wall Street è sopravvalutata o riflette il graduale e costante
miglioramento dell'economia? R. Al di là delle valutazioni, per un investitore l'azionario statunitense - in
particolare le grandi multinazionali - è sempre il posto giusto in cui investire. D. Qual è il portafoglio bilanciato
ideale che consigliate ai grandi clienti istituzionali? R. L'aspetto più critico, oggi, è prevedere dove andrà il
mercato obbligazionario. Considerati i livelli dei tassi di interesse, difficile pensare che abbia spazio per un
upside. Visto il momento storico, meglio orientarsi su 65% azionario e 35% reddito fisso. Ma soprattutto
duration brevi, massimo tre o cinque anni. D. E l'Europa quanto spazio ha? R. L'Europa ha un grosso
problema economico. Gli investitori non sanno dove mettere i soldi. Ho una grande ammirazione per il lavoro
che sta facendo Mario Draghi a Francoforte, nonostante le difficoltà che gli stanno imponendo. Non può agire
sulla politica fiscale, quindi l'unica strada a disposizione è abbassare i tassi... D. La cura del Qe europeo avrà
gli effetti che ha avuto in America? R. Se funzionerà, lo vedremo. Ma è essenziale. A meno che non si riesca
a trovare una soluzione politica comune difficilmente ci sarà un futuro brillante per il vecchio continente. La
matematica è semplice. Prendiamo, ad esempio, l'Italia. Il pil è negativo, se non a zero, paghiamo tassi del
2%, il debito è a l 130% del pil e continua ad aumentare. È necessario permettere ai governi di utilizzare il
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INTERVISTA CRIBIORE (CITIGROUP)
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deficit per stimolare la domanda interna e tornare a crescere, ma i tedeschi non riescono a capirlo. Il trade off
è crescere con una disciplina di bilancio che però sia accettabile nel lungo termine. D. Ed è proprio quello che
stanno cercando di fare il premier Renzi e il ministro Padoan in Europa. Ma come è vista l'Italia a Wall Street?
R. Una volta l'Italia era l'Italia; oggi, è considerata una regione mediterranea dell'Europa. Nel bene e nel male,
ha perso parte della sua identità. Nel 1975, quando sono arrivato, erano i tempi di Fellini, Visconti... l'Italia era
culturalmente all'avanguardia oltre che molto importante economicamente per gli Usa, visto che era il paese
di confine con il mondo dell'Unione Sovietica e il blocco comunista. Oggi è ancora adorata, tutti vogliono
andarci per la moda, il food, il vino, i ristoranti che qui, ormai, hanno letteralmente soppiantato quelli francesi.
D. E l'adoreranno ancora di più quando l'anno prossimo sbarcherà Ferrari. Che effetto fa vedere Fca quotata
a Wall Street? R. Beh, Marchionne non è bravo. È un mago. La mia ammirazione è per Sergio ma anche per
il grande lavoro che hanno fatto Gabetti e Grande Stevens nel momento più difficile per la famiglia. Prima,
con la morte dell'Avvocato e poi quella di Umberto. Hanno mantenuto il controllo e contemporaneamente
contribuito a creare un'azienda globale.È l'esempio di una realtà italiana industriale che è riuscita a
mantenere la sua identità crescendo nel mondo. Una realtà straordinaria. ( riproduzione riservata)
Foto: Alberto Cribiore
29/11/2014
Milano Finanza - N.235 - 29 novembre 2014
Pag. 25
(diffusione:100933, tiratura:169909)
Polizza anticatastrofi sulle case
MAURO MASI
In questa rubrica si sostiene da quasi due anni l'opportunità di introdurre in Italia un sistema assicurativo
obbligatorio e universale contro i danni da catastrofi naturali. Gli ultimi eventi in Liguria e in altre parti del
Paese hanno rilanciato il tema, sollevando il timore che venga così introdotta un'altra tassa sulla casa, con
rischi di pagamenti squilibrati nelle diverse aree del Paese («da 300 euro a Milano fino a 1.700 a Messina»).
In realtà polizza e tassa sono due questioni completamente diverse e, anzi, l'introduzione di una forma di
copertura assicurativa farebbe risparmiare alla fiscalità generale gran parte delle spese della ricostruzione ex
post e quindi tende ad evitare che lo Stato si finanzi (per necessità, viste le compatibilità generali di Bilancio)
con nuove imposte straordinarie dirette o indirette (in genere aumenti delle accise, tipo il sempiterno aumento
della benzina). L'elemento di obbligatorietà e universalità fa sì che la probabile tariffa media sia accettabile. In
Italia, secondo L'Istat, le case sono circa 27 milioni; se tutto questo patrimonio abitativo fosse coperto per il
suo costo di ricostruzione, stimabile in circa 3.900 miliardi, il costo annuo medio dei risarcimenti sarebbe pari
a 2,8 miliardi, che corrisponde a circa 73 euro per 100 mila euro assicurati. Questo significa che assicurare
una abitazione di 90-100 mq costerebbe attorno a 100 euro l'anno: importo ragionevole e che garantirebbe
una procedura di rimborso certa e puntuale. Anche l'ipotesi dell'assicurazione obbligatoria presenta problemi
(ad esempio la gestione dei danni alle infrastrutture, quelli agli avviamenti commerciali ecc.) ma il punto vero
è che andrebbe ben spiegata ai cittadini evidenziando i punti a favore. Sono convinto che già ora gli italiani
siano in grado di valutare la bontà di un sistema a polizza e apprezzarne la differenza dal sistema vigente,
che non garantisce rimborsi tempestivi e crea i presupposti, questo sì, per incrementi della pressione fiscale.
*delegato italiano alla Proprietà Intellettuale ([email protected])
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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IL PUNTO
29/11/2014
Milano Finanza - N.235 - 29 novembre 2014
Pag. 29
(diffusione:100933, tiratura:169909)
Meno fisco, più rilancio
Jole Saggese
Anche Ennio Doris, fondatore di Banca Mediolanum, un uomo che ha fatto dell'ottimismo il suo tratto
dominante, non può fare a meno di ammetterlo: per l'Italia è un momento difficile «perché veniamo dalla più
lunga crisi del dopoguerra e la politica di austerità a cui l'Europa ci ha obbligato per effetto del debito non
aiuta a sviluppare l'economia. È un po' quello che si è fatto nel '29: la grande crisi mondiale è stata causata
dalla politica di austerità. In questo caso l'austerity è stata applicata solo in Europa. Per fortuna nel resto del
mondo non è così, l'America sta crescendo e quindi le aziende italiane che esportano all'estero stanno
incrementando il fatturato». Domanda. Come si sta muovendo Renzi? Risposta. Secondo me nella direzione
giusta. Anche sugli 80 euro che sono stati messi in busta paga. Chi dice che non hanno funzionato e non
hanno stimolato i consumi, non ha mai provato a vivere con 1.000-1.200 euro al mese. Io da ragazzo con la
mia famiglia vivevo con redditi del genere, quando ci arrivava un po' di denaro facevamo qualche rinuncia in
meno. Ma se io immetto un'agevolazione fiscale che mi porta 10 miliardi ma ne tolgo 12 dall'altra parte è
normale che l'effetto sia stato nullo. D. Per l'Europa le riforme non bastano. Bisogna fare di più? R. In base
agli studi di Cottarelli si possono tagliare 32 miliardi di spesa pubblica. Se si fa quello, e secondo me è
indispensabile farlo, allora si può dare una bella sforbiciata alle imposte. Solo così l'economia riparte. Le
imposte sono lo strumento di politica economica più efficiente e più efficace al mondo. D. Tagliare le tasse
anche se il debito è alto? R. Bisogna ridurre le imposte e per ridurre le imposte occorre ridurre la spesa.
Basta guardare quello che è successo negli altri Paesi. In Giappone hanno inondato di liquidità il mercato e
l'economia un po' è ripresa, hanno alzato l'Iva e sono andati in recessione. Gli Stati Uniti nonostante il debito
che sta sfiorando il 110% e il deficit al 4-4,5%, si sono preoccupati soltanto di far ripartire l'economia. D.
Mario Draghi sembra aver aperto le porte al Qe, all'acquisto di titoli. È la strada giusta per la ripresa? R. Io
credo di sì. Ma ancora una volta non dimentichiamo quello che è successo in Giappone e negli Stati Uniti: il
denaro disponibile a tassi bassi è una condizione necessaria ma non sufficiente. Occorre ridurre la pressione
fiscale sui lavoratori per incentivare i consumi, sulle imprese per incentivare gli investimenti. D. La
Bundesbank ha invitato però l'Europa a concentrarsi sulla crescita e non sull'acquisto di titoli. R. La
Bundesbank dice di concentrarsi sulla crescita ma con la politica di rigore non si è concentrata sulla crescita,
si è concentrata sul debito. D. A che cosa sono serviti gli stress test: a far tornare di nuovo l'Italia nel mirino?
R. Non voglio dire questo, ma posso dire che gli stress test sono stati tutti concentrati su un deterioramento
ulteriore della crisi economica e quindi su ulteriori perdite sui finanziamenti alle imprese e ai privati:
l'economia italiana è per l'85% legata alle banche. D. Cosa c'è dietro la vostra iniziativa di sostenere le
imprese entrando come azionisti in United Ventures, il fondo di venture capital che vuole stimolare le imprese
innovative? R. Ritengo che questo sia il punto centrale dei problemi dell'economia italiani: la carenza di
capitale di rischio. Non esistono istituzioni che forniscono questo tipo di capitale agli imprenditori e non
finanziamenti. Noi vogliamo dare il nostro contributo per far sì che chi ha un'idea in Italia e chi voglia fare
impresa possa trovare istituzioni pronte a diventare suo socio. D. Fino a che punto avete intenzione di
crescere nella quota che Fininvest dovrà cedere in base ai dettami di Bankitalia? R. Noi come famiglia
deteniamo già qualcosa più del 40%, quindi per mantenere il controllo su Mediolanum non abbiamo bisogno
di acquistare niente. Ma siccome io credo molto in questa iniziativa e voglio dare un segnale forte al mercato,
acquisterei ancora, naturalmente evitando il delisting. È molto importante che l'azienda rimanga quotata. D.
Qual è il bilancio del primo anno di Mediolanum come banca? R. Sta andando bene, lo vedremo alla fine
dell'anno. Anche i dividendi sono stati più generosi. Per ora un anticipo, ma entro fine anno dovrebbe arrivare
il resto e mi auguro che sia un po' più alto del complessivo pagato l'anno scorso. (riproduzione riservata)
Foto: Ennio Doris
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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INTERVISTA PARLA DORIS
29/11/2014
Milano Finanza - N.235 - 29 novembre 2014
Pag. 29
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
308
30/11/2014
The Observer
Pag. 47
(tiratura:110000)
The Observer Domestic edition
The "will they, won't they" saga over European economic stimulus continues. Analysts are divided over
whether the European Central Bank will announce a bigger boost for the struggling economies of the
eurozone at its monthly meeting on Thursday.The ECB is already buying assetbacked securities ( bundles of
bonds) in an attempt to stimulate lending, but many economists would like to see some more aggressive
stimulus to pull the eurozone out of its current economic morass.Figures released last Friday revealed that
unemployment in the 18-country currency zone is stuck at 11.5%. In Italy the jobless count has risen to
13.2%, while in Greece and Spain, a quarter of the working population is out of work.But Jens Weidmann, the
ECB's hawk-in-chief, said that central banks didn't have "an Aladdin's lamp that you just have to rub to make
all wishes come true", dampening hopes that the bank might announce a full-blown quantitative easing
programme next week. The head of the ECB, Mario Draghi, is likely to step up his calls for further economic
reform within troubled eurozone countries. In a speech last week he warned that lack of reform could create a
permanent divergence within the currency union, which would have "potentially damaging consequences for
us all".
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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Stimulating discussions as eurozone stays flat
30/11/2014
The Sunday Times
Pag. 36
The German chancellor believes the Russian leader is now a lost cause and Europe must unite to contain
him, says Bojan Pancevski in Berlin
Putinversteher
THE ONLY THING THAT PUTIN UNDERSTANDS IS THE LANGUAGE OF STRENGTHHE HAD annexed
Crimea and sent his forces into eastern Ukraine, but the moment when Angela Merkel finally became
convinced that there could be no reconciliation with Vladimir Putin was when she was treated to his hardline
views on gay rights.The German chancellor was deep in one of the 40 conversations she has had with the
Russian president over the past year - more than the combined total with David Cameron, François Hollande
and Barack Obama - when he began to rail against the "decadence" of the West.Nothing exemplified this
"decay of values" more than the West's promotion of gay rights, Putin told her.It was then, said sources close
to Merkel, that she realised Europe and America should abandon all hope of finding a common language with
the Kremlin and instead should adopt a policy of Cold War-style containment."The chancellor has come to
believe that Putin is driven by an ultra-conservative mindset that is shared by his inner circle and is based on
a belief that Russia's values are superior and irreconcilable to those of the West," said a source.Merkel
understood that "there will be no deals with Putin, unless they are on his own terms, and that is neither
acceptable nor possible".Since the eruption of the crisis over Ukraine at the end of last year, Merkel has
played an increasingly pivotal role in Europe's - and the West's - policy towards the Kremlin, coming to act as
chief negotiator with Russia's leader.Initially she had adopted a conciliatory stance, dictated in part by the
£67bn a year in trade between Germany and Russia. She also had to take account of the proMoscow stance
followed by her coalition partners, the Social Democrats (SPD).Under the party's former leaders Willy Brandt
and Helmut Schmidt, the SPD had normalised relations with the then Soviet Union in the 1970s in a policy
known as Ostpolitik.Gerhard Schröder, SPD chancellor from 1998 to 2005, went further: since leaving office
he has worked as a paid lobbyist for a company linked to the Kremlin, even celebrating his 70th birthday with
Putin in St Petersburg in April.As Putin escalated the situation in Ukraine, however, and repeatedly told
Merkel "blatant untruths" about his intentions, her policy towards Russia has hardened.Merkel has now
become the toughest proponent of a new containment strategy and believes the West must be "mentally
prepared" for another escalation that would lead to even harsher sanctions. After confronting the(Putin
apologists) in her coalition and in German industry, Merkel is now working to build a united European Union
front against Kremlin aggression."Changing borders by force in Europe today is unacceptable: Putin needs to
be made to pay for what he has done and the price will have to be high," said a source familiar with Merkel's
strategy.Frank-Walter Steinmeier, her SPD foreign minister, was accused of drifting from Merkel's tough line
and running a "parallel foreign policy" after a recent meeting with Putin in Moscow, but a Merkel aide insisted
there was "total consensus" between them.Squaring some of her fellow EU members could prove more
difficult for Merkel: several governments oppose further sanctions for fear they will damage their own
economies, including Austria, Hungary, Slovakia and Bulgaria, all of which have close financial and business
ties to Russia.While Germany's economic and political might may eventually prevail in bringing them into line,
Merkel faces a still bigger challenge from Rome.Italy obtains 30% of its gas from Russia and the two
countries have dozens of trade and investment agreements. Matteo Renzi, the prime minister, is thought to
be sceptical about the effectiveness of sanctions - even if he does not enjoy the same close personal
relationship with Putin as Silvio Berlusconi, the disgraced former leader.Sources close to the Italian
government said that the crisis could have been averted if Moscow's "legitimate" national and security
interests had been taken into account - in particular its virulent opposition to Ukraine joining Nato.Merkel's
own personal history informs her dealings with Putin. Now aged 60, she grew up in the communist former
East Germany and speaks Russian. In her youth she travelled across the vast Soviet empire and, according
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Putin's anti-gay tirade ends pas de deux with Merkel
30/11/2014
The Sunday Times
Pag. 36
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 01/12/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
to people who know her well, has a deep understanding and appreciation of Russian culture.Putin, 62, who
served as a KGB officer in Dresden, is a fluent German speaker and also knows the country well.According to
people who have witnessed their encounters, the dealings of the two leaders have never been cordial, but the
relationship between them has become "very familiar" during the nine years since Merkel became
chancellor.Putin, they say, respects his German counterpart's "power and success" and understanding of his
country. For Merkel's part, she is the only leader who has always been able to challenge Putin openly.In 2012
she told him during a televised event in Moscow that it had been wrong to imprison members of Pussy Riot,
the iconoclastic punk protest group, and that such a prosecution would never have taken place in
Germany.Behind closed doors, sources claim, the tone of their exchanges becomes even "harsher". A source
said: "The only thing he understands and respects is the language of strength."Putin has attempted to
humiliate Merkel on several occasions. At a meeting in the Black Sea resort of Sochi in 2007, he allowed his
black labrador Koni into the room in the presence of journalists, knowing she is afraid of dogs.Merkel
remained composed, however, and later told German reporters that the Russian leader had to do such things
to "prove he is a man".Last month Putin made her wait for hours for a scheduled meeting in Milan. Unfazed,
she spent the time instead having a leisurely stroll through the city.Merkel, say aides, has never been
intimidated by the Kremlin strongman and journalists recall her amusing impersonations of Putin's macho
posturing.Since her exposure to the Kremlin leader's views on the decadence of the West, Merkel has
continued to meet See page 37