Programma - Società del Quartetto di Milano
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Programma - Società del Quartetto di Milano
Sala Verdi del Conservatorio Martedì 24 maggio 2005, ore 20.30 S TA G I O N E 2 0 0 4 • 2 0 0 5 Michel Dalberto pianoforte Wiener Kammerensemble 23 Consiglieri di turno Sig.ra Letizia Torrani Gonzales Avv. Antonio Magnocavallo Sig. Giovanni Svetlich Sponsor istituzionali Con il patrocinio e il sostegno di Con il sostegno di FONDAZIONE CARIPLO Per assicurare agli artisti la migliore accoglienza e concentrazione e al pubblico il clima più favorevole all’ascolto, si prega di: • spegnere i telefoni cellulari e altri apparecchi con dispositivi acustici; • limitare qualsiasi rumore, anche involontario (fruscio di programmi, tosse ...); • non lasciare la sala prima del congedo dell’artista. Si ricorda inoltre che registrazioni e fotografie non sono consentite. Michel Dalberto pianoforte Wiener Kammerensemble (Solisti dei Wiener Philharmoniker) Franz Schubert (Vienna 1797 - 1828) Quintetto in la maggiore op. 114, D 667 “La Trota” per pianoforte, violino, viola, violoncello e contrabbasso Intervallo Ottetto in fa maggiore op. post. 166, D 803 per clarinetto, corno, fagotto, due violini, viola, violoncello e contrabbasso Franz Schubert Quintetto in la maggiore op. 114, D 667 “La Trota” Allegro vivace Andante Scherzo Tema con variazioni: Andantino Finale: Allegro giusto Sylvester Paumgartner non fu solo un benestante proprietario di miniera a Steyr, cittadina non distante da Linz, industriosa perché ricca di giacimenti di ferro. Fu anche appassionato di musica, possessore di una vasta biblioteca ed esecutore dilettante di violoncello e strumenti a fiato. A Steyr, nella sua bella casa che dava sulla piazza principale, amava organizzare serate musicali riunendo i musicisti del luogo e quelli di passaggio. Paumgartner era ovviamente grande amico del baritono Johann Michael Vogl, che era nato a Steyr e che di tanto in tanto vi tornava da Vienna, dove era emigrato già nel 1794 in cerca di fortuna come cantante all’Opera Tedesca. E Vogl, come si saprà, fu grande amico di Schubert, ispiratore, dedicatario e primo interprete di tantissimi suoi Lieder. Nel luglio del 1819 Vogl, ormai cinquantenne, portò il ventiduenne Schubert a Steyr per un periodo di vacanza. Fu decisione felicissima. Schubert trovò nuovi amici, poté suonare e comporre, e (forse) amoreggiare con qualcuna delle otto figlie del suo ospite, Albert Schellmann, avvocato e giudice. A sua volta, Paumgartner non si lasciò sfuggire l’occasione di organizzare una lunga serie di serate musicali a casa sua e di farsi comporre un pezzo quasi su misura. Fu Paumgartner a chiedere a Schubert di scrivere delle variazioni sul Lied “Die Forelle” (“La Trota”, 1817), che amava moltissimo. E Schubert non solo lo accontentò, ma nel nuovo lavoro riservò proprio al violoncello il compito di cantare la magnifica melodia nella sua forma più suggestiva. Succede nella quinta (e ultima) variazione, ed è la prima volta che c’è esatta corrispondenza fra l’originale vocale e la trasposizione strumentale. Così come esposto all’inizio del movimento, affidato ai soli archi, il tema è ben riconoscibile ma è già variato rispetto al Lied. Il tema poi passa al pianoforte, in una nuova versione (che è poi la seconda variazione) sulle ornamentazioni degli archi, quindi (terza variazione) a viola e violoncello da una parte e pianoforte dall’altra, mentre violino e contrabbasso decorano. C’è un momento drammatico e appassionato (quarta variazione, in re minore) e finalmente appare, con la voce del violoncello appunto, il tema originale. Nell’“Allegretto” che conclude, la melodia è ripresa dal violino, con violoncello in contrappunto mentre il pianoforte recupera i disegni “acquatici” che già accompagnavano il Lied originale. Più che un tema con variazioni, questo movimento pare una serie di “preparazioni/anticipazioni” di un tema che si sa popolarissimo. Le variazioni “della trota” costituiscono il quarto movimento del lavoro che Schubert scrisse in omaggio a Paumgartner, e che è un quintetto dalla composizione strumentale inconsueta. Il pianoforte non si aggiunge al tradizionale quartetto d’archi, ma a violino, viola, violoncello e contrabbasso. L’introduzione del contrabbasso ha naturalmente il compito di rinforzare il “peso” degli archi nell’insieme, ma serve anche per liberare il violoncello dal ruolo di “basso”, lasciandogli la possibilità d’intervento melodico-solistico in tutti i movimenti del lavoro e non solo nella variazione sopra citata. Non sorprende, allora, se il primo tema del primo movimento viene esposto da violoncello e violino, creando un timbro per molti aspetti nuovo e che valorizza ancor più l’incedere nobile e riflessivo della melodia. Ciò mentre il pianoforte inventa arabeschi che è fin troppo facile definire “acquatici”. Anche il secondo tema, più vivace, è esposto da violino e violoncello, per essere poi ripreso dal pianoforte in uno dei suoi relativamente scarsi interventi da “strumento melodico”. Nel primo tempo (e forse in tutto il quintetto) il pianoforte è infatti usato non come polo dialettico rispetto agli archi, ma come ulteriore risorsa timbrica, per alleggerire il discorso musicale e per dare smalto a passaggi che altrimenti risulterebbero bellissimi sulla carta ma sbiaditi all’ascolto. Così lo sviluppo può procedere senza stanchezze anche se mancano conflitti o impennate drammatiche, e se tutto risulta molto lineare, in tre sezioni che si distinguono più che altro per piani tonali (do maggiore, mi bemolle, si/re maggiore; essendo la tonalità d’impianto la maggiore) fino alla ripresa, abbreviata. Il secondo movimento segue quasi senza interruzione e si sviluppa ancora una volta per modulazione continua verso tonalità lontane. È movimento sereno, con qualche sotterranea inquietudine, impostato su due temi cantabili, il secondo dei quali esposto dal violoncello in coppia con la viola. Lo “Scherzo” è breve, molto vivace, senza problemi, saldamente inquadrato dai robusti accordi del pianoforte. È difficile però vederlo come movimento autonomo, e non considerarlo una perfetta introduzione alle variazioni “della trota” che subito seguono. Dopo le variazioni, il “Finale” riprende e riassume molti degli spunti musicali che avevano fatto i movimenti precedenti, li depura da ogni ambiguità e procede gioioso, talvolta perfino scanzonato, verso la conclusione, anzi verso “le conclusioni”: in un paio di momenti, infatti, il movimento sembra finire, e vien voglia di battere le mani. Invece la musica riparte subito, ancor più vivace, verso la conclusione vera. Il Quintetto “della trota” fu composto nell’autunno del 1819, subito dopo la conclusione della felice vacanza a Steyr, eseguito per la prima volta in casa Paumgartner verso la fine di quell’anno e in seguito più volte ripreso in sedi private, diventando presto famoso. La pubblicazione fu comunque postuma, datata 1829, presso l’editore viennese Joseph Czerny. Franz Schubert Ottetto in fa maggiore op. post. 166, D 803 Adagio, Allegro Adagio Scherzo: Allegro vivace Tema con variazioni: Andante Menuetto: Allegretto Andante molto, Allegro Schubert era notoriamente un autore dalla penna facile. Scriveva velocemente, quasi per istinto, di solito senza ripensamenti e con correzioni minime. Ma nel caso dell’Ottetto in fa maggiore superò se stesso. Realizzò la sua più lunga e strumentalmente impegnativa composizione da camera in meno di un mese. Iniziò a scrivere nel febbraio del 1824 e terminò la partitura il primo giorno di marzo. Tanta velocità aveva però una ragione precisa. L’Ottetto è infatti una delle poche composizioni che Schubert scrisse su commissione diretta. Gliel’aveva chiesto il conte Ferdinando Troyer, intendente dell’arciduca Rodolfo e buon clarinettista dilettante. Tradizione - non documentabile - vuole che Troyer abbia imposto a Schubert di imitare il più possibile il Settimino op. 20 di Beethoven. La ragione è comprensibile. Il Settimino era stato infatti uno dei primi grandi successi di Beethoven. Scritto nel 1796, si ispirava al modello delle serenate classico-settecentesche di Haydn e Mozart, presentava robuste innovazioni stilistiche senza essere rivoluzionario. Era insomma un pezzo scritto con mano felice e privo di problemi esistenziali, da classificare senza dubbi di sorta nella cosiddetta “prima maniera” beethoveniana. Non stupisce la fortuna che il Settimino incontrò nei tempi classici e non ancora romantici in cui fu composto. Fortuna che mantenne negli anni della Restaurazione in cui operò Schubert. Il quale Schubert, alle richieste pressanti del commissionante non batté ciglio. Basta scorrere la partitura per scoprire le analogie fin troppo esplicite col modello dichiarato. L’organico è quello previsto da Beethoven (clarinetto, corno, fagotto, violino, viola, violoncello e contrabbasso) ma con l’aggiunta di un secondo violino, per equilibrare la sonorità degli archi. In entrambi i lavori i movimenti sono sei, con il primo e l’ultimo preceduti da introduzione lenta. Cambia solo l’ordine di comparizione di “Scherzo” e “Menuetto”. I rapporti col Settimino in pratica finiscono qui, anche se chi vuole può trovare ulteriori punti di contatto voluti, o solo casuali, in numerosi altri dettagli. Ciascun movimento dell’Ottetto è infatti quanto di più schubertiano si possa immaginare. Lo dice subito l’armonia, nell’“Adagio” che prepara il primo movimento vero e proprio. Le modulazioni sono rapide, ma indugiano volentieri su aree di ambiguità: solo poche battute iniziali suggeriscono il fa maggiore d’impianto; subito si passa in la bemolle maggiore; c’è accenno di ritorno al fa maggiore però presto si scivola nella lontana area del re bemolle maggiore. Anche in seguito non ci sarà mai chiarezza tonale e ciò - come tante altre volte in Schubert - contribuirà a fare dell’Ottetto un capolavoro. Il susseguente “Allegro” si presenta con piglio deciso, fin energico. Il suo materiale tematico nasce però in gran parte dall’“Adagio” introduttivo e così l’armonia. E per chiarire ancor più l’origine comune, strutturale, di due sezioni tanto contrastanti, Schubert non esita a riprendere testualmente l’“Adagio” introduttivo alla fine dello sviluppo dell’“Allegro”. L’effetto è magistrale. Certamente Schubert pensò di ingraziarsi il conte von Troyer aprendo il secondo movimento con una larga e suggestiva melodia del clarinetto. È lirica pura, espressa con tranquillo candore, in forma miracolosamente semplice. È la fantasia melodica che s’incarica di rapire l’attenzione dell’ascoltatore. Si ha appena il tempo di notare, verso la fine, la preziosità degli impasti timbrici del clarinetto, corno e fagotto, sull’accompagnamento degli archi. Con lo “Scherzo” torna, anche un pò amplificata, l’esuberanza dell’“Allegro” iniziale, squadrata dalla definitiva pulsazione del ritmo e dall’immancabile sapore popolaresco. Il principio dell’alternanza propone al quarto posto un movimento lento, in forma di variazione. Come spesso accade, Schubert varia un tema proprio. Si tratta di un duetto tratto da Die Freunde von Salamanka, un Singspiel scritto nel 1815. A dire il vero le variazioni non sono molto marcate. Di regola Schubert si limita a riproporre la melodia cambiando il disegno di accompagnamento e l’ambientazione timbrica. Le variazioni sono sette con coda conclusiva. Il “Menuetto” ha una sua aristocratica finezza e lascia al “Trio” centrale le più popolaresche cadenze del Ländler. Si giunge così all’ultimo movimento, che, come il primo, ha un’introduzione lenta, un “Andante molto”, breve ma di straordinaria intensità. Non è necessario uscire dallo stretto ambito musicale per apprezzarne la portata e la genialità. È un blocco sonoro del tutto inatteso, che si pone come immenso punto interrogativo dopo una lunga successione di momenti lirici e comunque “positivi”. Quando però attacca il “Finale” vero e proprio, la gioia di vivere che ci trasmette il suo contagioso entusiasmo sembra non poter avere limiti. L’“Andante molto” riappare più tardi, ma solo per dare ulteriore slancio alla coda che conclude. La prima esecuzione avvenne in privato, naturalmente a Vienna, in casa del commissionante conte Troyer. In pubblico, l’Ottetto fu presentato il 16 aprile 1827. Poi venne il lungo oblio. Una pubblicazione parziale si ebbe solo nel 1853, quella completa dovette attendere il 1875. Enzo Beacco Michel Dalberto pianoforte Nato nel 1955 a Parigi, Michel Dalberto ha vinto nel 1975 il Premio Clara Haskil e, nel 1978, il primo premio al concorso di Leeds. Da allora ha collaborato con orchestre di primo piano e direttori quali Matthias Bamert, Rudolf Barshai, Frans Brüggen, Sylvain Cambreling, Sir Colin Davis, Charles Dutoit, Günther Herbig, Eliahu Inbal, Marek Janowski, Neeme Järvi, Erich Leinsdorf, Nicholas McGegan, John Nelson, Wolfgang Sawallisch, Leonard Slatkin, Joseph Swensen, Yuri Temirkanov e Hans Vonk. Nel 1984 è stato per la prima volta in tournée in Giappone dove è tornato con regolarità fino al 1999. Recentemente si è esibito con l’Orchestra del Concertgebouw di Amsterdam e, in tournée in Belgio, con l’Orchestra di Liegi diretta da Louis Langrée. Nella stagione in corso è stato ospite del Festival di Edimburgo con un programma dedicato a Ravel, è stato in tournée in Scozia con la Royal Scottish National Orchestra e si è esibito al Théâtre des Champs-Élysées con l’Orchestre National de France e Daniele Gatti. Nel marzo 2004 ha debuttato in Cina dove torna quest’anno e nel 2006. Appassionato camerista, suona in duo con Boris Belkin e in trio con Dmitry Sitkovetsky e Lynn Harrell. Con Barbara Hendricks si è esibito in recital a Verbier e con Stephan Genz a Ginevra e Parigi. È stato ospite di festival quali Lucerna, Montreux, Aldeburgh, Schleswig-Holstein, Maggio Musicale Fiorentino, Vienna, Aix-en-Provence, Grange de Meslay, La Roque d’Anthéron, Montréal, Seattle e Miami. Michel Dalberto è molto attivo in campo discografico e la sua prima registrazione da solista dedicata a due Sonate di Schubert ha vinto il Gran Premio dell’Accademia Charles Cros. La registrazione del Concerto per pianoforte di Grieg nel 1993 ha meritato il Diapason d’Or. Ricordiamo inoltre un CD dedicato a Debussy premiato con il premio “Choc” della rivista “Le Monde de la Musique” e i 14 CD con l’integrale delle opere per pianoforte di Schubert. Ha inoltre registrato i concerti di Mozart con l’Ensemble Orchestre de Paris e John Nelson. Nel 2004 ha inciso le Paraphrases di Liszt su opere di Verdi e Wagner. Michel Dalberto è direttore artistico del Festival des Arcs (Savoia) e dal 1991 presiede la giuria del Concorso Clara Haskil. Nel 1996, il governo francese lo ha nominato Cavaliere dell’Ordine Nazionale di Merito per la sua attività artistica. È stato ospite della nostra Società nel 1981, 1982 e 2001. WIENER KAMMERENSEMBLE Josef Hell violino Jun Keller violino James Tobias Lea viola Tamás Varga violoncello Herbert Mayr contrabbasso Gerald Pachinger clarinetto Michael Werba fagotto Eric William Terwilliger corno Il Wiener Kammerensemble è stato fondato nel 1970 dalle prime parti dei Wiener Philharmoniker con il nome originale di Wiener Philharmonisches Kammerensemble. L’organico varia dal trio al nonetto, il repertorio dal periodo classico a quello moderno. Accanto ai capolavori per settimino e ottetto, il Wiener Kammerensemble si dedica al repertorio per archi e fiati compresi i Divertimenti per due corni di W.A. Mozart. La sua fama come uno dei migliori ensemble nel suo genere è cresciuta con esecuzioni di successo nei maggiori luoghi musicali di tutto il mondo quali Musikverein e Teatro dell’Opera di Vienna, Carnegie Hall di New York, Suntory Hall di Tokyo, Teatro dell’Opera di Sydney, Philharmonie di Colonia e per festival quali Vienna, Salisburgo e Ravenna. Nel 1997, in occasione delle celebrazioni schubertiane, ha presentato nell’ambito della Mozartwoche di Salisburgo, proprio nel giorno del duecentesimo anniversario della nascita di Franz Schubert, una nuova edizione critica dell’Ottetto. Nel 2001 c’è stato un cambio generazionale; il Wiener Kammerensemble ha inserito nel proprio organico due dei migliori giovani musicisti dei Wiener Philharmoniker: Tobias Lea alla viola e Tamás Varga al violoncello. Per i prossimi anni l’ensemble ha in programma l’ampliamento del proprio repertorio: ai capolavori del periodo classico affiancherà opere di compositori del ventesimo secolo quali Křenek, Hindemith, Françaix, Henze e Wellesz. È per la prima volta ospite della nostra Società. STAGIONE 2005-2006 “Il tempo” RINNOVO ASSOCIAZIONI E ABBONAMENTI Associazioni e abbonamenti per la Stagione 2005-06 possono essere sottoscritti presso la nostra sede, in via Durini 24, fino a venerdì 22 luglio (ore 10 - 12.30 / 13.30 - 17.30, nei venerdì di luglio ore 9 - 13.30) e a partire da lunedì 5 settembre con orario continuato dalle ore 10 alle 17.30. Ai nostri Soci è riservata la prelazione su ogni tipo di abbonamento fino al 23 settembre 2005. Si ricorda che gli abbonamenti potranno essere sottoscritti solo entro la data del primo concerto di ciascuna serie. I SOCI DEL QUARTETTO ALLE SETTIMANE MUSICALI DI STRESA L’accordo preso fra la Società del Quartetto e il prestigioso Festival delle Settimane Musicali di Stresa e del Lago Maggiore consentirà anche quest’anno ai Soci di accedere ai concerti del Festival con una riduzione del 30% esibendo la tessera associativa. Per ulteriori informazioni si prega di rivolgersi direttamente alla segreteria del Festival (tel. 0323 31095 / 30459, e-mail: [email protected], www.settimanemusicali.net). Società del Quartetto di Milano, via Durini 24 - 20122 Milano tel. 02.795.393 – fax 02.7601.4281 www.quartettomilano.it – e-mail: [email protected]