Intervista a Giorgio Dal Fiume rilasciata in occasione di World Fair

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Intervista a Giorgio Dal Fiume rilasciata in occasione di World Fair
Intervista a Giorgio Dal Fiume rilasciata in occasione di World Fair Trade Week
Presidente di World Fair Trade Organization Europe
Maggio 2015
L’Europa è la culla del Fair Trade: come e quanto è diffuso?
Possiamo senz’altro dire che il Fair Trade è parecchio diffuso in Europa, essendo presente in quasi
tutti i paesi dell’Unione. Solamente la WFTO ha membri in ben 16 paesi europei. Quella del Fair
Trade in Europa è una crescita qualitativa e quantitativa se si considera che negli che negli ultimi 10
anni questo segmento di mercato è riuscito ad approdare anche nei Paesi dell'Est Europa e che le
vendite sono cresciute in maniera esponenziale dappertutto. Gli ultimi dati a nostra disposizione,
riferiti al 2013, ci dicono che le vendite dei prodotti a marchio FLO sono aumentate del 21% in
Austria, del 9% in Belgio, del 13% in Danimarca, del 3% in Francia, del 23% in Germania, del 17%
in Italia, del 6% in Olanda, del 9% in Norvegia, del 6% in Spagna e Portogallo, del 29% in Svezia,
in Repubblica Ceca il risultato è stato eccezionale con un umento del 142%. Questi risultati sono
stati raggiunti anche grazie a una costante crescita delle Botteghe del Mondo (BdM) che
attualmente sono circa 3000 in tutto il territorio dell'Unione con una diffusione capillare nei paesi
del Centro-Nord Europa.
Quali sono secondo lei le milestones che possiamo rintracciare nello sviluppo del Comes a
partire dall'Europa?
Sono tante e distribuite nell'arco di oltre mezzo secolo di storia a partire dal 1964. Che è stato l'anno
in cui i pionieri del Fair Trade parteciparono alla conferenza UNCTAD (L’agenzia delle Nazioni
Unite per Commercio e Sviluppo) a Ginevra, usando lo slogan “Trade not aid” contro i Paesi
industrializzati, che rispetto ai temi dello sviluppo e degli squilibri Nord/Sud tendevano ad ignorare
problemi fondamentali come i prezzi dei prodotti o l’accesso dei Paesi del Sud ai mercati,
preferendo offrire loro “aiuti allo sviluppo” e prestiti. Il Commercio Equo europeo ha mantenuto
questa sua anima politica, centrata sulla critica alle regole del commercio internazionale, e ha
dimostrato che è possibile fare economia rispettando criteri di equità sociale. Oltre trent'anni dopo,
nel 1997, nasce per iniziativa di vari certificatori Fair Trade nazionali, già operativi da alcuni anni
in vari paesi europei, la Fairtrade International, che controlla l’ente di certificazione FLO (Fairtrade
Labelling Organization), il principale certificatore di FT. Contemporaneamente a Garstang, in
Inghilterra, nasce la prima “Città Equa Solidale”, il primo passo che darà vita alla Fair Trade Town
Campaign, attiva in 1.500 città e in ben 70 paesi, ma in particolare in Europa, che ne costituisce
ancora la guida principale.
Nel 2004 nasce (promosso da WFTO e Fairtrade International) il Fair Trade Advocacy Office, che
si occupa delle attività di advocacy e campagne per il FT europeo e non solo, e di rappresentare il
FT nelle sedi dell’UE. Tre anni dopo, nel 2007, le organizzazioni di FT europee creano WFTOEuropa quale associazione dotata di un proprio statuto e propri organi di rappresentanza,
formalizzando quello che fino ad allora era una semplice riunione che si svolgeva durante le
Assemblee mondiali di WFTO. Infine nel 2014 si avvia il sistema di certificazione delle
organizzazioni FT promosso da WFTO, diverso complementare rispetto a quello attuato da FLO.
Come si distinguono i vari Paesi: esistono modelli “nazionali”?
Relativamente. Esistono modelli nazionali che tra di loro presentano alcune differenze sistematiche.
Le fra queste principali riguardano il rapporto tra Botteghe del Mondo ed importatori: in alcuni
paesi, come Olanda e Austria, le reti nazionali di BdM sono molto strutturate, ed hanno criteri in
base ai quali riconoscono gli importatori nazionali di FT. Altre differenze riguardano l’uso della
certificazione che è molto diffusa, soprattuto quella Flo, nella maggioranza dei Paesi europei; il
coinvolgimento con movimenti sociali attivi sulle tematiche internazionali e le campagne sociali,
più presenti nel sud Europa; la diffusione che varia da paese a Paese; la tipologia dei lavoratori delle
BdM, che in alcuni Paesi sono solo volontari in altri seguono tendenze alla professionalizzazione.
Quali sono le eccellenze dell'equo e solidale fra i ventotto paesi membri dell'UE? L'Italia come
è messa?
Non ci sono dati assoluti, ma gruppi di paesi più virtuosi in alcuni rami del FT. Penso a Olanda,
Belgio, Germania, Austria per diffusione, ruolo e protagonismo delle BdM, e la presenza di grandi
organizzazioni di importazione FT. L'Inghilterra è prima per diffusione nella grande distribuzione e
fatturato di vendite raggiunto. La Svizzera eccelle per percentuali acquisite da alcuni prodotti FT
nella grande distribuzione. Italia, Belgio, Germania per il cosiddetto “Domestic Fair Trade”.
L'Italia è messa molto bene anche per quel che riguarda la presenza delle BdM, la loro
professionalizzazione e la loro dimensione e media: si pensi che alcune tra le BdM più grandi
d'Europa sono italiane. Nel nostro Paese c'è anche un alto livello di unitarietà del movimento e di
dialogo interno al FT nazionale, nonché una buona presenza di importatori, tra i quali il secondo al
mondo per fatturato. Il network italiano si distingue anche per la notevole partecipazione alla
dimensione internazionale del FT (WFTO) soprattutto per quanto riguarda il forte interesse alla
dimensione sociale e politica del FT. C'è ancora molto da fare, soprattutto rispetto al FT del Centro
e del Nord Europa che ci batte in quanto a vendite totali e pro-capite, presenza dei prodotti FT nella
grande distribuzione, crescita attuale del FT e supporto delle istituzioni pubbliche al FT.
Bruxelles è un interlocutore attento riguardo al settore dell'equo e solidale? Esistono politiche
europee per tutelarlo e promuoverlo?
Su questo punto siamo di fronte a una situazione controversa. L’UE ha manifestato attenzione al
FT, lo ha riconosciuto come pratica positiva e come interlocutore, e lo ha incluso nella attività
finanziabili, ma finora è assolutamente indifferente alla possibilità che i suoi valori, princìpi e
proposte sposino le proprie politiche commerciali internazionali. Il commercio dell'Unione è ancora
fortemente centrato su un modello neoliberale che contrasta con l’utilizzo di prodotti FT negli
acquisti pubblici. Si sono perfino intentate azioni legali che poi sono state rigettate portando a
riconoscere la possibilità e l’utilità del FT.
Direi, per rispondere alla domanda, che c'è buon dialogo, anche grazie al notevole lavoro del Fair
Trade Advocacy Office, qualche finanziamento effettivamente utile, ma scarse, se non nulle,
influenze nella propria politica commerciale.
C'è e si percepisce una dimensione europea del Fair Trade? Se sì quale ruolo può giocare il
FT - anche solo come modello - nelle politiche europee di cooperazione e sviluppo?
C’è certamente una dimensione europea che può essere sintetizzata in: forte attenzione all’attività di
advocacy, forte riconoscimento del ruolo delle BdM, forte tendenza alla professionalizzazione delle
organizzazioni FT e capacità di interlocuzione con la Grande Distribuzione, attenzione all’economia
solidale in generale.
Il FT sta già giocando un certo ruolo nelle politiche europee di cooperazione allo sviluppo. Prima di
tutto perché sta portando l’attenzione allo “sviluppo” invece che all’assistenza, in secondo luogo
perché dà priorità all’empowerment delle potenzialità produttive ed ai piccoli produttori locali,
infine perché è una rete che continua a favorire lo sviluppo di alleanze e filiere tra produttori del
Sud e consumatori e grossisti del Nord.
Recentemente è stato a Cuba per conoscere una realtà produttiva del Commercio equo e
solidale. Che cosa l'ha colpita maggiormente? L'apertura diplomatica ed economica con gli
Stati Uniti e la fine prossima di un embargo che dura dal 1960, come potrà favorire, se lo
favorirà, l'avvio del Commercio Equo e Solidale da Cuba?
Cuba rimane un Paese dalla realtà sociale e politica controversa, ma estremamente interessante ed
originale. Il FT vi è poco diffuso, ma ci sono interlocutori di alto livello che svolgono un ruolo
particolare, che è quello sviluppare prodotti ed attività che hanno impatti sociali positivi anche fuori
dal Paese. Penso all’azione della medicina sociale e preventiva e della ricerca connessa, svolta
all’estero dai produttori cubani coinvolti nel FT. Oltre gli evidenti limiti e i problemi della
situazione politico-sociale di Cuba, colpisce l’evidente coerenza tra gli obiettivi del FT ed i livelli di
tutela dei lavoratori praticata nelle aziende visitate. L’embargo pone enormi problemi tecnicoeconomici anche ai nostri partner cubani di FT, quindi la fine del blocco imposto dagli Stati Uniti,
oggi ipotizzabile, ma tutt’altro che scontata, non potrà che portare benefici anche allo sviluppo del
FT a Cuba. Occorre però ricordare che per le sue condizioni sociali (Scuola, Sanità, Diritti dei
lavoratori) nettamente migliori rispetto alla totalità dei Paesi del Sud del mondo, Cuba non è un
target prioritario per il FT, potrebbe però svolgere un ruolo importante nel favorire lo sviluppo di un
settore di imprenditoria privata attenta agli aspetti sociali ed ambientali, ed a esportazioni “di
qualità” verso il “Nord”, laddove il sistema cubano evolva effettivamente verso la liberalizzazione
delle attività economiche.
Crede ci sia l'esigenza o la possibilità di sviluppare il modello del Fair Trade non solo nel Sud
del mondo, ma anche in contesti europei meno sviluppati?
Questa è una possibilità, ma da curare con attenzione, onde evitare confusione. Penso che il modo
migliore per coinvolgere gli ambiti europei meno sviluppati nel FT – che esistono anche in paesi
come l’Italia – sia quello di instaurare una forte, esplicita e strutturata alleanza con l’economia
solidale. È necessario che le organizzazioni FT, ovvero importatori, BdM o similari, affianchino
alla vendita dei prodotti FT tradizionali, la vendita di prodotti nazionali dell’economia solidale.
Attuino, cioè, quello che è conosciuto come domestic Fair Trade.
La grande distribuzione europea, e non solo, ha in qualche modo cercato di far proprie le
istanze e le fette di mercato di chi acquista ComES offrendo, oltre a linee di prodotti bio,
anche linee di prodotti Fair. Tuttavia le etichette e le certificazioni richiedono uno sforzo di
consapevolezza che il consumatore spesso non è in grado di fare. Quali suggerimenti può dare
a un consumatore medio europeo per acquistare equo e solidale e far si che buona parte del
prezzo pagato rimanga a chi ha prodotto quel bene?
La significativa crescita registrata dalle vendite FT in epoca di forte crisi come quella attuale è
dovuta in gran parte all’aumento di referenze e di vendite fatta dalla grande distribuzione.
L’etichetta “equasolidale”, però, da sola non basta, anche se è vero che la sensibilità dei
consumatori verso di FT è in aumento, così come la visibilità dei prodotti equi e solidali anche
nella grande distribuzione, dove, però, il rischio di confusione o imitazioni è sempre presente. Per
questo la maggioranza della organizzazioni FT pone grande attenzione alle attività educative o
informative rivolte ai consumatori.
Il consiglio al consumatore è fatto di tre parti: tutelare il proprio interesse di consumatore
verificando sempre l’origine dei prodotti che compra, non solo per scegliere FT, ma per avere
consapevolezza del luogo di provenienza dei prodotti che acquista, dato che da ciò dipende in parte
la qualità alimentare, la salubrità, il gusto del prodotto. Secondo, tutelare il proprio interesse di
cittadino nel cercare prodotti che non siano realizzati in palese contraddizione con i propri valori, il
che comporta inevitabilmente di affrontare una serie di domande: che cosa c’è dietro questo
prodotto? chi l’ha realizzato?. Terzo, tutelare la propria salute e sostenibilità economica chiedendosi
quanto spende in alimenti, e quanto in altre attività/azioni/prodotti, per ricercare il giusto equilibrio
tra i primi e i secondi ed evitare di trovare insostenibili i costi di prodotti alimentari “di qualità”.
Questi potrebbero risultare leggermente più alti di altri laddove si consumano cifre ben superiori, e
spesso inadeguate, per altri prodotti di consumo corrente (mobilità, comunicazione, abbigliamento,
divertimento…).
Quali sono le priorità del WFTO Europa?
Sostenere un network di Advocacy valido. Diffondere ed applicare sistema di certificazione WFTO
delle organizzazioni FT. Rappresentare e promuovere all’esterno, in particolare verso l’UE, il FT.
Rafforzare le reti nazionali di FT perché siano al contempo di luoghi di autogoverno e promozione
del FT a livello nazionale; e validi interlocutori a livello internazionale. Promuovere buone prassi
per favorire l’accesso al mercato delle organizzazioni FT in generale e, in particolare, nelle aree
dell’UE dove è meno sviluppato. Regolare e sviluppare il Domestic Fair Trade e creare un'alleanza
con l’economia solidale.
Km zero e commercio equo e solidale, sembra un dilemma senza soluzione tra ambientalisti e
terzomondisti. Secondo lei avrebbe senso parlare di KM EQUO?
Il dilemma si risolverebbe facilmente se ci si fermasse a pensare che il FT costituisce il “Km. Zero”,
o per meglio dire la “filiera corta” della maggioranza dei prodotti che quotidianamente consumiamo
e che vengono da fuori Europa, dal cotone al caffè. Quindi il FT non è affatto in contrasto, in linea
di principio, con il Km. Zero. Anche per questo in alcuni paesi, tra i quali l’Italia, si è
esplicitamente deciso di non importare prodotti freschi dall’estero che siano prodotti anche in Italia.
Secondo me il termine Km. Equo è più chiaro ed inclusivo di Km. Zero. La soluzione migliore,
secondo me, continua a rimanere “Filiera Corta”, in quanto, come dimostrato da tutti gli studi che vi
si sono dedicati, la distanza percorsa da un prodotto per essere consumato è solo uno dei fattori, e
non sempre il più importante o incisivo, che ne determinano l’impatto ambientale. Molto dipende
dal mezzo di trasporto e dalle modalità di coltivazione. La denominazione di “filiera” è più
appropriata anche perché riguarda non solo i km. percorsi, ma anche i passaggi socio-economici che
un prodotto deve fare per arrivare da noi. Inoltre, se in linea di principio il concetto di Km. zero è
pienamente condivisibile, esso può trasformarsi facilmente in pratiche contrarie al commercio equo
quali un’autarchia che vede con sospetto tutto ciò che viene da fuori, o che se ne disinteressa
completamente, dopo secoli passati a forzare il Sud del mondo a trasformarsi in piantagioni per
rifornire i nostri mercati, noi che siamo i principali inquinatori, li abbandoniamo al loro destino non
volendoli più importare. Inoltre non dobbiamo mai dimenticare il significato degli slogan utilizzati
dalla Lega Nord in alcune occasioni elettorali, tipo “+ polenta – cous cous”.
Un recente articolo del The Guardian e un altro di D di Repubblica raccontano di un crisi del
Fair Trade e rivelano ombre sulle certificazioni etiche? Vuole spiegarci meglio?
Questo è un tema facile da affrontare per chi conosce bene il FT, complesso e difficilmente
sintetizzabile in poche righe per chi non lo conosce. Mi limito quindi a dire che il FT è studiato,
analizzato e documentato in numerosissimi “studi di impatto” svolti da università, ricercatori,
giornalisti ed istituti di ricerca di tutto il mondo, ben rappresentati, tra l’altro dal prossimo Fair
Trade Symposium, ospitato dal Politecnico di Milano durante la prossima World Fair Trade Week,
29-31 maggio. In secondo luogo, basare conclusioni generali sul FT sulla base del fatto che alcuni
tra essi evidenziano problemi, contraddizioni o inefficacia del FT non ha nulla di scientifico, ma è
frutto o di forte ignoranza o di interessi contro il FT. In terzo luogo sarebbe come buttare via tutta la
politica, tutta la religione o tutte le forze dell’ordine a causa di noti e ripetuti episodi di corruzione e
violenza che caratterizzano politici, preti, poliziotti.
Ciò detto non ha senso nascondere che il FT non solo può essere soggetto ad errori o inefficienze,
ma che ha alcuni punti deboli, costituiti in particolare da un sistema di certificazione che se da un
lato ha permesso la grande espansione del FT sia nel Sud che nel Nord del mondo, dall'altra può
essere sensibile ai problemi che caratterizzano tutte le certificazione che hanno a che fare con
prodotti che si vendono, e cioè essere sensibile alle “quantità”, avere forme di dipendenza o
sensibilità verso grandi attori economici, guardare più (o solo) al mercato e meno alla dimensione
politico-sociale del FT.
Inoltre il FT ha delle note debolezze nella parte più locale al Sud della propria filiera, laddove i
propri prodotti vengono realizzati in vari passaggi da aziende, piccoli produttori o singoli lavoratori
del Sud del mondo, ove non sempre gli attori del FT riescono a svolgere lavori di monitoraggio e
controllo sufficienti.
In ogni caso il FT deve porre grande attenzione a tutte le ricerche, ed in particolare agli studi critici,
evitando di autopromuoversi come privo di problemi, e rispondendo a tutte le critiche come
avvenuto anche nel caso degli articoli citati.