Zingale ID=75

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Zingale ID=75
L’autorizzazione all’uso delle onorificenze degli ordini non
nazionali in Italia: il singolare caso dell’Ordine Costantiniano
Pino Zingale
Consigliere della Corte dei conti in Sicilia
La controversia dinastica interna alla Casa Reale di Borbone delle Due Sicilie, la posizione dello Stato Italiano ed i suoi riflessi sulle onorificenze. Possibile il riconoscimento di
una pacifica e legittima coesistenza dei due rami dell’Ordine sul territorio nazionale?
Ai sensi dell’art. 7 della legge 3 marzo 1951, n. 178 i cittadini italiani non possono
usare nel territorio della Repubblica onorificenze o distinzioni cavalleresche loro conferite in
Ordini non nazionali o da Stati esteri, se non sono autorizzati con decreto del Presidente
della Repubblica, su proposta del Ministro per gli Affari Esteri. I contravventori sono puniti
con la sanzione amministrativa sino a due milioni e mezzo delle vecchie lire.
Tale disposizione non riguarda l’uso delle onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche della Santa Sede e dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro che continua ad essere regolato dal R.D. 10 luglio 1930, n. 974, così come l’uso delle onorificenze, decorazioni
e distinzioni cavalleresche del Sovrano Militare Ordine di Malta che sono sostanzialmente
equiparate a quelle nazionali e non necessitano, quindi, di alcuna autorizzazione.
In forza del combinato disposto di cui agli artt. 1 e 2 della legge 12 gennaio 1991, n.
13, poi, la competenza all’emanazione del decreto di autorizzazione non appartiene più al
Presidente della Repubblica, bensì direttamente al Ministro degli Affari Esteri che vi provvede con proprio decreto.
Tra i tanti Ordini, più o meno prestigiosi, che nei decenni successivi alla legge n. 178
del 1951 hanno insignito cittadini italiani con proprie decorazioni, ve n’è uno, di grandissime e nobilissime tradizioni, l’Ordine Costantiniano di San Giorgio, storicamente legato alla
terra di Sicilia ove esiste una delle sue sedi più antiche e conosciute, la Basilica della
Magione in Palermo (in passato, all’epoca del Regno, data in titolo commendatizio ai più
importanti Principi della Casa Reale di Borbone delle Due Sicilie), patrimonio araldico, esso
stesso, della Casa Reale di Borbone delle Due Sicilie, Ordine che ha dato luogo ad una singolare querelle non ancora risolta e che rischia, se ancora protratta nel tempo, di potere
anche incidere negativamente sui tradizionalmente eccellenti rapporti tra Spagna ed Italia.
L’Ordine Costantiniano, a seguito del parere del Consiglio di Stato - Sez. I, del 26
novembre 1981, n. 1869, è stato riconosciuto in Italia come un’istituzione cavalleresca non
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statuale ma dinastico-familiare facente capo alla Casa Reale di Borbone - Due Sicilie, già
Sovrana nel Regno delle Due Sicilie, Ordine totalmente estraneo all’ordinamento italiano
come origini e come evoluzione storica e che ha costantemente ottenuto il riconoscimento
dell’ordinamento canonico.
I cittadini italiani insigniti delle decorazioni del predetto Ordine, qualificato come “ordine non nazionale” ai sensi e per gli effetti dell’art. 7 della legge 3 marzo 1951, n. 178 possono, pertanto, ottenere l’autorizzazione a farne uso nel territorio della Repubblica
(Consiglio di Stato - Sez. I, del 26 novembre 1981, n. 1869).
Nel predetto parere, sin qui condiviso da tutti coloro che si sono occupati della materia,
senza alcuna analisi del dato storico che sorregge una ormai lunga e travagliata disputa dinastica, è stato indicato in modo assiomatico, senza alcuna motivazione critica sul punto, come
Gran Maestro dell’Ordine (in quanto ritenuto Capo della Real Casa di Borbone - Due Sicilie,
qualità alla quale è istituzionalmente legata quella del Gran Magistero ereditario dell’Ordine
Costantiniano) il Principe Ferdinando di Borbone - Due Sicilie, cittadino francese, tralasciandosi di verificare la bontà dei titoli sussistenti in capo ad un altro soggetto, cittadino spagnolo,
cugino dell’attuale Re di Spagna, S.A.R. l’Infante di Spagna Don Carlos di Borbone - Due
Sicilie, membro egli stesso della Casa Reale Spagnola, da quest’ultima riconosciuto sin dal
marzo 1984 come unico legittimo Capo della Real Casa di Borbone - Due Sicilie ed in quanto
tale Gran Maestro dell’Ordine Costantiniano, in conformità ai pareri resi sul punto dal Ministero
di Giustizia spagnolo, dalla Reale Accademia di Giurisprudenza e Legislazione di Spagna, dal
Ministero degli Affari Esteri spagnolo, dall’Istituto “Salazar y Castro” del Consiglio superiore
delle Investigazioni Scientifiche di Spagna e dal Consiglio di Stato del Regno di Spagna.
Lo stesso Re di Spagna Jan Carlos I, proprio in considerazione del riconoscimento in
capo a Don Carlos della qualità e dei titoli di rappresentante della Casa di Borbone Due Sicilie (che costituisce uno dei rami della Famiglia dei Borbone attualmente regnante
in Spagna), con decreto del 16 dicembre 1994, n. 2412 gli ha pure conferito il titolo e la
dignità di Infante di Spagna, unico principe, in atto, a godere di tale privilegio sovrano nell’ambito dell’ordinamento statuale spagnolo.
In Italia, tuttavia, continuano ad essere autorizzate all’uso le onorificenze rilasciate dal
c.d. “ramo francese” facente capo al Principe Ferdinando e non quelle rilasciate dal c.d.
“ramo spagnolo” facente capo al Principe Don Carlos (gli stessi Sovrani di Spagna ne risultano insigniti), determinando una situazione alquanto singolare se non imbarazzante nei
confronti della Casa Reale spagnola.
Non si tratta, ovviamente, di indagare quale dei due rami possa ascrivere a se i nomi
più illustri, poiché entrambi annoverano tra i propri membri nomi di livello internazionale di
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tutto rispetto e molti, spulciando i rispettivi ruoli, specialmente tra i cardinali, per diplomatica
equidistanza risultano insigniti da entrambi i rami, anche se non manca qualche ripensamento eccellente, come quello del Presidente emerito della Repubblica Italiana Francesco
Cossiga che qualche tempo fa con un comunicato stampa ha informato l’opinione pubblica
di avere restituito l’onorificenza a suo tempo concessagli dal ramo francese, ritenendo che
l’unico legittimato, conformemente ai giudizi espressi dal Consiglio di Stato e dal Consejo de
la Grandeza de Espana dello Stato spagnolo, a concedere le onorificenze di questo antico
Ordine fosse il Capo del c.d. ramo spagnolo della Casa Reale di Borbone delle Due Sicilie.
La questione, che nel perdurare delle disputa dinastica meriterebbe, quanto meno,
una transitoria soluzione di equidistanza da parte del Governo italiano, con il rilascio delle
autorizzazioni ad entrambi i rami dell’Ordine, va invece analizzata, per quel che riguarda
l’ordinamento statuale italiano, sotto due diversi profili giuridici: il primo relativo alla possibile corretta identificazione del legittimo titolare della fons honorum quale Capo della Real
Casa di Borbone - Due Sicilie e, quindi, Gran Maestro dell’Ordine Costantiniano; il secondo relativo alla legittimazione, comunque, del c.d. ramo spagnolo alla concessione all’uso
delle onorificenze in quanto già riconosciuto legittimo da un altro ordinamento statuale
(quello spagnolo).
Per quanto riguarda il primo profilo deve osservarsi come l’ordine di successione alla
Corona delle Due Sicilie fosse regolato dall’articolo 70, Capitolo IV, dell’ultima Costituzione
del Regno, promulgata con Atto Sovrano del 10 gennaio 1848 e confermata con Real
Proclama del 28 giugno 1860.
Esso recita testualmente: “L’atto solenne per l’ordine di successione alla Corona
dell’Augusto Re Carlo III del 6 di ottobre 1759 confermato dall’Augusto Re Ferdinando I nell’articolo 5 della legge degli 8 di dicembre 1816, gli atti sovrani del 7 di aprile 1829, del 12
di marzo 1836, e tutti gli atti relativi alla Real Famiglia rimangono in pieno vigore”.
Gli Atti Sovrani del 1829 e del 1836 riguardavano i matrimoni dei membri della Real
Casa e stabilivano che i matrimoni di un dinasta, che non avessero ricevuto l’assenso del
Sovrano, escludessero il Principe o la Principessa contraente dalla successione.
Dunque per determinare chi sia il successore alla Corona o, rectius dopo la morte dell’ultimo Re nel 1894, alla carica di Capo della Real Casa di Borbone delle Due Sicilie, ci si
deve basare esclusivamente sulla “Pragmatica Sanzione” emanata dal Re Carlo VII di
Napoli e Sicilia, divenuto poi Carlo III di Spagna, del 6 ottobre 1756.
Questo atto regola la successione non solo alla Corona delle Due Sicilie ma anche a
quella spagnola e dispone che queste due Sovranità non possano mai essere unite nella
stessa persona. Infatti esso fu redatto in conformità al Trattato di Napoli del 3 ottobre 1759,
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che a sua volta dava esecuzione alle disposizioni dei Trattati di Vienna del 1736-1739. Lo
scopo di questi trattati, come affermato dallo stesso Sovrano nel terzo paragrafo della
“Pragmatica”, era quello di preservare “in Europa equilibrium”, impedendo che un Monarca
spagnolo potesse in futuro regnare direttamente anche in Italia.
Carlo III, che quando era Re di Napoli era stato anche Principe Ereditario di Spagna per
tutta la durata del regno del fratello maggiore Ferdinando IV, indicava così chi gli dovesse succedere come Re di Spagna e ciò consente di affermare, innanzitutto, che non vi è motivo di ritenere che essere Re delle Due Sicilie pregiudicasse in qualche modo eventuali diritti spagnoli.
I trattati internazionali sopra citati proibivano, infatti, semplicemente l’unione materiale delle due Corone e richiedevano che Carlo, una volta diventato Re di Spagna, abdicasse gli “Stati e Beni Italiani” a chi gli veniva dopo nell’ordine successorio. Il trono principale
era quello di Spagna e quindi è al suo secondogenito (a causa della grave malattia mentale della quale era affetto il primogenito) che egli attribuisce con la Pragmatica la posizione
di “primogenito” ed il titolo di Principe delle Asturie. Mentre al suo terzogenito (ora “secondogenito” dopo l’esclusione dell’originario primogenito), l’Infante Ferdinando, egli conferisce
la Sovranità sugli Stati Italiani, riservando per se stesso la sola Corona di Spagna.
Seguiva poi la parte più importante della Pragmatica, il regolamento dell’ordine di successione.
Questo si basava su quattro punti fondamentali:
1. che la Corona passasse per primogenitura con diritto di rappresentazione ai discendenti maschi da maschi del nuovo Re Ferdinando;
2. che mancando discendenti di questo passasse agli altri fratelli di Ferdinando, che
erano tutti Infanti di Spagna;
3. che venendo meno anche gli eredi di questi, si trasmettesse all’erede femmina più
prossima all’ultimo Re;
4. che in mancanza anche di quest’ultima la Corona passasse ai fratelli dell’Infante
Don Filippo, Duca di Parma, o in sua mancanza, all’Infante Don Luigi.
Il paragrafo terminava con la proibizione che la sovranità dei “domini italiani” potesse
essere mai più riunita alla Corona di Spagna, e più specificatamente prescriveva che qualora un Re di Spagna o un Principe delle Asturie ereditasse la sovranità Italiana vi rinunciasse in favore del Principe che si trovava ad essere secondo nell’ordine successorio.
Da questo documento si possono trarre due importanti conclusioni ai fini che qui rilevano.
La prima è che la successione avveniva per primogenitura maschile; la seconda, che
non c’era nulla che impedisse ad un Infante di Spagna di godere allo stesso tempo di un
diritto di successione al Trono di Spagna e della sovranità “degli Stati e Beni Italiani”.
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Questa possibilità era ben chiara a Carlo III, visto che i capi della dinastia delle Due
Sicilie godevano di un diritto al trono spagnolo e viceversa.
Da un punto di vista genealogico è chiaro, dunque, chi sia stato il successore dell’ultimo Re Francesco II, deceduto nel 1894 senza lasciare figli: a lui successe come Capo
della Real Casa il primo dei fratelli viventi, Alfonso, Conte di Caserta: e su tale circostanza
non sussiste controversia alcuna.
Questo Principe aveva contratto un matrimonio con una principessa di sangue reale,
in ossequio alle leggi del Regno delle Due Sicilie, ed ebbe numerosi figli maschi, il primogenito dei quali, Ferdinando Pio (1869-1960) gli successe come Capo della Casa nel 1934.
Anche su tale successione non sussiste nessuna controversia dinastica.
Ferdinando Pio, sposato con una Principessa di Baviera, ebbe un solo figlio
maschio, Roggero, morto a soli 13 anni nel 1914, e diverse femmine. Alla sua morte, nel
1960, il primo nella linea di successione sarebbe stato il fratello Carlo, che però era
deceduto nel 1949 lasciando solo un figlio maschio (avuto dall’Infanta Mercedes,
Principessa delle Asturie ed, in quanto tale, erede al trono spagnolo), Don Alfonso,
Infante di Spagna, principe consorte dell’erede al trono di Spagna, il quale era genealogicamente il più vicino al capofamiglia defunto e che, pertanto, si proclamò Capo della
Real Casa delle Due Sicilie, assumendo l’intero patrimonio araldico e dinastico della
Famiglia, con i titoli di Duca di Calabria, Conte di Caserta e Gran Maestro degli Ordini
Reali e Dinastici.
E’ a questo punto che si verifica la ribellione del ramo ultrogenito facente capo al
Principe Ranieri di Borbone - Due Sicilie, fratello del Principe Ferdinando Pio di Borbone Due Sicilie, il quale non riconobbe il Principe Alfonso come capo della Real Casa di
Borbone - Due Sicilie, autoproclamandosene capo egli stesso.
Dal quel ramo ultrogenito deriva l’attuale Principe Ferdinando di Borbone - Due Sicilie,
considerato Capo della Casa Reale di Borbone - Due Sicilie e Gran Maestro dell’Ordine
Costantiniano dal citato parere del Consiglio di Stato italiano, mentre da quello primogenito deriva S.A.R. l’Infante di Spagna Don Carlos di Borbone - Due Sicilie, riconosciuto come
legittimo Capo della Casa Reale di Borbone - Due Sicilie e Gran Maestro Costantiniano
dalla Casa Reale Spagnola e dallo stesso Stato Spagnolo.
Quelli che contestano la successione dell’Infante Alfonso (e, quindi, del Principe Don
Carlos, Infante di Spagna) lo fanno basandosi principalmente su due argomenti.
Essi sostengono che la Pragmatica sancisce la totale incompatibilità della dignità
di Infante di Spagna ed erede al trono spagnolo con i diritti di successione delle Due
Sicilie.
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Si pretenderebbe, cioè, che non sia possibile godere diritti dinastici ad entrambe le
successioni perché le due Case sarebbero totalmente separate e indipendenti.
Tale tesi è smentita dal dato storico, in quanto la stessa successione di Carlo III costituisce un precedente chiaro ed inconfutabile: pur essendo Re delle Due Sicilie egli poté
succedere al trono spagnolo dopo aver trasferito la Sovranità Italiana al secondo chiamato
nell’ordine di successione.
I sostenitori del ramo francese trascurano, inoltre, i numerosi precedenti dati da
altre Case Reali, così come sembrano ignorare che il testo originale della Pragmatica e
degli atti in materia emanati dai successivi Re di Spagna e delle Due Sicilie affermano
l’esatto contrario.
In particolare la Costituzione spagnola del 1876 conferiva un diritto di successione al
trono a tutti i discendenti dei fratelli e sorelle di Ferdinando VII, fra i quali l’Infanta Isabella,
moglie di Francesco I delle Due Sicilie, da cui hanno origine tutte le esistenti linee di quella Casa Reale non più regnante. In virtù di questo status e delle opportunità che offriva loro
alcuni figli del Conte di Caserta ottennero cittadinanza e titoli spagnoli e si arruolarono nell’esercito del Regno di Spagna.
Appare, dunque, destituita di ogni fondamento giuridico e storico l’affermazione fatta
dagli oppositori della linea primogenita, secondo i quali non sarebbe possibile godere dei
diritti di successione ad entrambi i troni.
Il secondo argomento sollevato dai sostenitori della linea francese è che il Principe
Carlo delle Due Sicilie, firmando il 14 dicembre 1900, pochi giorni prima del suo matrimonio con l’Infanta Mercedes, un documento noto come “Atto di Cannes” avrebbe compiuto
un’ultima e definitiva rinuncia ai diritti al trono delle Due Sicilie e al Magistero degli Ordini
della Casa, vincolando se stesso ed i propri discendenti (tra i quali l’attuale Infante di
Spagna Don Carlos) in perpetuo.
Quest’atto in realtà è diviso in due parti, la prima delle quali riguarda la futura successione alla Corona ed ai beni che si trovavano in Italia, la seconda le proprietà e gli investimenti lasciati in eredità da Francesco II e di cui il Principe Carlo non avrebbe più avuto bisogno in ragione del patrimonio portato in dote dalla futura moglie.
E’ opportuno dunque prendere in esame la prima parte del testo: “Si è presente Sua
Altezza Reale il Principe D. Carlo Nostro amatissimo Figlio ed ha dichiarato che dovendo
Egli passare a Nozze con Sua Altezza Reale l’Infanta Donna Maria Mercedes, principessa
delle Asturie, ed assumendo per tal matrimonio la nazionalità e la qualità di Principe
Spagnuolo, intende rinunziare, come col presente atto solennemente rinunzia per Sé e per
i suoi Eredi e Successori ad ogni diritto e ragione alla eventuale successione alla Corona
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delle Due Sicilie ed a tutti i Beni della Real Casa trovantisi in Italia ed altrove e ciò secondo le nostre leggi, costituzioni e consuetudini di Famiglia ed in esecuzione della
Prammatica del Re Carlo III, Nostro Augusto antenato, del 6 ottobre 1759, alle cui prescrizioni egli dichiara liberamente esplicitamente sottoscrivere ed obbedire.”
Va rilevato come il Principe Carlo dichiarasse di volere rinunciare secondo le “leggi,
costituzioni e consuetudini di Famiglia ed in esecuzione della Pragmatica del 1759” alle
quali prometteva di obbedire. Ma nella Costituzione e nella Sanzione in questione il Re
Carlo III non adopera mai le parole “Corona delle Due Sicilie” ma piuttosto le locuzioni
“Potere Spagnolo e Italiano”, “Sovranità Italiana”, “Stati e Beni Italiani”: fra le ipotesi vietate non rientra dunque quella di essere Capo della Casa Reale di un Regno che, peraltro, a
quella data non esisteva più da tempo.
Inoltre, per il diritto internazionale (pubblico) i trattati fra Stati sono soggetti alla clausola rebus sic stantibus, da cui deriva che il trattato perde validità qualora le situazioni e
condizioni premesse all’atto siano venute meno.
Orbene, qui è chiaro come il venir meno addirittura di uno dei contraenti (il Regno delle
Due Sicilie) dei Trattati di Napoli e Vienna abbia reso prive di valore le clausole di attuazione contenute nella Pragmatica Sanzione di Carlo III e, di conseguenza - per il riferimento
che vi è fatto - anche l’Atto di Cannes.
A ciò va aggiunto, sul piano del diritto civile, il fatto che il Principe Carlo non rinunciava sic et simpliciter ad una Corona - che non aveva e nei cui confronti, per i buoni rapporti
esistenti tra Spagna ed Italia, non sussisteva pretensione alcuna - ciò che al limite potrebbe essere considerato come cessione del bene di un terzo, ma rinunciava ad un diritto successorio che peraltro era solo eventuale non essendovi alcuna successione aperta.
Questo tipo di rinuncia non poteva essere considerato valido (anzi, era del tutto nullo)
alla stregua delle disposizioni del codice civile del cessato Regno delle Due Sicilie e di quello italiano all’epoca vigente, e visto che l’oggetto della rinuncia era la successione alla
Corona delle Due Sicilie, vale la pena di considerare il Codice Civile di quel Regno cui le
parti contraenti l’Atto di Cannes avevano dichiarato esplicitamente di volersi conformare.
Recitava l’articolo 708 che “non si può, né pure nel contratto di matrimonio, rinunziare alla eredità di un uomo vivente, né alienare i diritti eventuali che si potrebbero avere a tal
successione”.
L’articolo 1084, poi, stabiliva che “le cose future possono essere oggetto di una obbligazione. Ciò non ostante non si può rinunziare ad una successione non ancora aperta, né
fare alcuna stipulazione intorno alla medesima, nemmeno col consenso di colui della cui
eredità si tratta”.
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L’articolo 1343, ancora, fissava la regola secondo la quale i coniugi “non possono fare
alcuna convenzione o rinunzia, il di cui oggetto fosse diretto ad immutare l’ordine legale
delle successioni, sia per rapporto ad essi medesimi nella successione de’ loro figli o
discendenti, sia per rapporto à figli fra loro”.
Infine l’articolo 1445 stabiliva che “non si può vendere l’eredità di una persona vivente, ancorché questa vi acconsentisse”.
Riguardo poi alle norme di diritto internazionale privato, il codice era chiaro, e l’articolo 6 recitava che “i nazionali del Regno delle Due Sicilie, ancorché residenti in paese straniero, sono soggetti alle leggi che riguardano lo stato e la capacità delle persone”.
Va però notato che a quell’epoca il Principe Ferdinando Pio, Capo della Real Casa di
Borbone - Due Sicilie, ed il Principe Ereditario Carlo erano entrambi cittadini italiani e visto
che i beni oggetto della rinuncia si trovavano anche (e principalmente) in Italia, se una delle
parti avesse agito in giudizio per l’esecuzione dell’atto si sarebbe dovuto applicare il diritto
del Regno d’Italia.
Era allora in vigore il Codice Civile del 1865 il quale, dopo aver premesso all’articolo 12
che “in nessun caso le leggi, gli atti e le sentenze di un paese straniero, e le private disposizioni e convenzioni potranno derogare alle leggi proibitive del Regno che concernano le persone, i beni o gli atti, né alle leggi riguardanti in qualsiasi modo l’ordine pubblico ed il buon
costume”, all’articolo 9 delle preleggi sanciva che “le forme estrinseche degli atti tra vivi e di
ultima volontà sono determinate dalle legge del luogo in cui sono fatti” mentre “la sostanza e
gli effetti delle obbligazioni si reputano regolati dalla legge del luogo in cui gli atti furono fatti”.
Visto che l’atto in questione fu redatto e firmato in Francia, è fatto rinvio al diritto francese (che tale rinvio accettava), e precisamente al Code Napoléon (emanato nel 1806 ed ancora in vigore un secolo dopo) che recita “on ne peut, même par contrat de mariage, renoncer à
la succession d’un homme vivant, ni aliéner les droits éventuels qu’on peut avoir à cette succession [...]. Les choses futures peuvent être l’object d’une obbligation. On ne peut cependant
renoncer à une succession non ouverte, ni faire aucune stipulation sur une pareille succession, même avec le consentement de celui de la succession duquel il s’agit.” (Non si
può, neanche per contratto di matrimonio rinunciare alla successione di un uomo in vita,
nè alienare i diritti eventuali che si possono avere a questa successione. Le cose future
possono essere oggetto di un’obbligazione. Non si può, tuttavia, rinunciare ad una successione non aperta, nè porre alcuna clausola su una simile successione, anche con il consenso di colui al quale la successione si riferisce). E parlando del matrimonio e dei diritti
degli sposi continua sancendo che “Ils ne peuvent faire aucune convention ou renonciation dont l’objet serait de changer l’ordre légal des successions, soit par rapport à eux8
mêmes dans la succession de leurs enfants ou descendants, soit par rapport à leurs
enfants entre eux” (Non possono fare alcuna convenzione o rinuncia il cui oggetto sarebbe cambiare l’ordine legale delle successioni, sia in relazione a se stessi che ai propri figli
o discendenti, sia in rapporto ai figli tra di loro.).
Le succitate disposizioni di legge non potrebbero essere più esplicite nel dichiarare
nulla ogni rinuncia di eredità futura.
Considerato che, come già chiarito, non c’era nulla nella legge dinastica delle Due
Sicilie che imponesse la necessità di una rinuncia al diritto di successione e visto che i Codici
Civili delle Due Sicilie, d’Italia e Francia proibivano tutti rinunce di questo tipo, la rinuncia
operata dal Principe Carlo non può che ritenersi del tutto nulla e “tamquam non esset”.
L’originario divieto di cumulare le corone di Spagna e delle Due Sicilie, peraltro, aveva
come scopo di preservare l’equilibrio dei poteri in Europa ovvero, per dirla con le parole
dello stesso Carlo III, di preservare “...lo spirito dei trattati di questo secolo nostro, che si
desideri dall’Europa, quando si possa eseguire senza opporsi alla giustizia...”. Ma nel 1900
la Corona delle Due Sicilie non esisteva più e non era più ipotizzabile (condizione impossibile) che venissero ad unirsi la “potenza Italiana e Spagnuola”, sicché tale rinuncia fu del
tutto illegale sia sul piano dinastico-successorio che su quello del diritto civile.
Vale la pena di ricordare, infine, che lo stesso presidente delle Cortes Spagnole nell’annunciare il matrimonio tra il Principe Carlo e la Principessa delle Asturie, allora erede
presuntiva al trono di Spagna, comunicò che il nubendo avrebbe preso la nazionalità spagnola (cosa che fece il 7 febbraio 1901) senza bisogno di dover rinunciare ad alcuno dei
propri diritti ereditari quale Principe delle Due Sicilie ed il Ministro della Giustizia aveva precedentemente avvertito la Regina che “Sua Altezza Reale il Principe Don Carlo non era
obbligato a rinunciare ad alcun tipo di diritto familiare o dinastico e che se anche mai avesse voluto farlo non avrebbe potuto: in primo luogo perché i diritti dinastici sono di per sé irrinunciabili..... e poi perché, dal momento che la Corona delle Due Sicilie non esisteva più,
non avrebbe potuto rinunciarvi neanche in maniera ipotetica”.
La coppia si sposò il 14 febbraio 1901 ed il primo figlio, Alfonso, nacque circa nove
mesi dopo, il 30 novembre dello stesso anno. Un secondo figlio, Fernando, nacque il 6 giugno 1903 ma morì all’età di soli due anni il 4 agosto del 1905. Ed infine nacque una femmina, l’Infanta Isabella, il 16 ottobre 1904, ma nel darla alla luce la madre morì, sicché il
piccolo Alfonso divenne Principe Ereditario alla Corona spagnola con il titolo di “Infante
Heredero”. Questo status lo perse solo tre anni dopo, con la nascita il 10 maggio 1907 del
Principe delle Asturie, figlio del Sovrano regnante, mentre la nascita di un altro figlio di
Alfonso XIII lo distanziò ulteriormente nell’ordine di successione al trono.
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Il Principe Carlo, inoltre, era stato creato Infante di Spagna il 7 febbraio 1901 e conservò questo titolo per tutta la vita. Il 16 novembre 1907 sposò in seconde nozze la
Principessa Luisa d’Orléans, figlia del Conte e della Contessa di Parigi. In tutte le cerimonie egli veniva indicato come Principe delle Due Sicilie e Infante di Spagna e suo padre fu
presente come capofamiglia dello sposo.
La Principessa Luisa fu creata a sua volta Infanta di Spagna il giorno del matrimonio
ed ai figli nascituri venne altresì concesso il titolo di Principe o Principessa di Borbone, con
il trattamento e gli onori di Infanti di Spagna. La loro figlia Mercedes sposò Don Juan, Conte
di Barcellona, ed è la madre dell’attuale Re di Spagna Juan Carlos I.
Nel 1941 la Real Casa delle Due Sicilie decise di vendere i suoi ultimi possedimenti in
Italia (fra cui parte del ducato di Castro ereditato dai Farnese) al governo italiano. Sebbene
questi facessero dunque parte dei “Beni della Real Casa trovantisi in Italia” a cui i sostenitori della linea francese pretendono che il Principe Carlo avesse rinunciato nella prima parte
dell’Atto di Cannes, non venne mai fatta alcuna menzione di tale presunta rinuncia. Anzi, i
documenti di trasferimento e di vendita dimostrano che egli ottenne la parte che gli spettava assieme ai fratelli e sorelle, venendo nominato subito dopo il fratello Ferdinando Pio.
In una lettera al Principe Ferdinando Pio datata 7 marzo 1941, il Principe Carlo diede
istruzioni al fratello circa i dettagli bancari per il pagamento della propria quota. E’ difficile
capire perché il Principe Carlo avrebbe partecipato a questa vendita assieme ai fratelli e
sorelle se questi avessero ritenuto che egli aveva rinunciato ai propri diritti di successione.
Il 7 gennaio 1960 Ferdinando Pio, Duca di Calabria, morì a Lindau in Baviera. Il 6 febbraio dello stesso anno l’Infante Don Alfonso, essendo il proprio padre Carlo già morto,
scrisse al Sommo Pontefice Giovanni XXIII per informarlo, con una lunga lettera in cui ripercorreva la storia dell’Ordine Costantiniano (che è anche Ordine della Chiesa Cattolica e
che, similmente all’Ordine di Malta, era Ordine religioso e laicale, anche se da tempo non
esistono più “de facto” membri che emettono i tre voti religiosi) della propria accessione al
Gran Magistero di quell’Ordine. Il 7 febbraio 1960 l’Infante Don Alfonso si proclamò Capo
della Real Casa delle Due Sicilie e Duca di Calabria e ne diede comunicazione scritta a tutti
i Capi di Case regnanti o ex regnanti.
Il 12 marzo 1960 il Conte di Barcellona, padre dell’attuale Re di Spagna, all’epoca capo
della Casa Reale Spagnola e Pretendente al trono di Spagna, gli rispose con queste parole: “Ho studiato attentamente la Pragmatica Sanzione di Carlo III e la rinuncia fatta da tuo
padre al momento del suo matrimonio con mia zia la Principessa delle Asturie, e mi sembra
che i tuoi diritti siano molto chiari, e di conseguenza avrai tutto il mio sostegno per ciò che
riguarda le tue legittime aspirazioni. Visto che conosci tuo zio Ranieri meglio di me, fammi
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sapere se pensi che possa essere utile che gli scriva dandogli la mia opinione, poiché dal
mio punto di vista è l’unico che dimostra una certa belligeranza visto che è l’unico fratello
superstite dello Zio Nando Calabria e si era fatto qualche illusione riguardo l’eredità. Ti ricorderai di certo che due anni fa’ parlai con lo Zio Nando senza ottenere alcun risultato”.
Il 18 marzo dello stesso anno il Principe Alfonso ricevette una lettera da Roberto II,
Duca di Parma, in cui il Principe diceva di aver studiato i documenti del caso e che i diritti
dell’Infante Don Alfonso erano secondo lui palesi. E in simili termini si espressero anche
l’Infante Don Jaime e Dom Duarte, Duca di Bracanza.
Il 14 marzo 1962 Don Juan, Conte di Barcellona, nella sua qualità di Capo della Real
Casa di Spagna, scrisse al Principe Ranieri per persuaderlo a desistere dalle proprie intenzioni; ma questi gli rispose negativamente. Lo stesso giorno l’allora Principe delle Asturie
Don Juan Carlos, erede al trono di Spagna, scrisse al Luogotenente dell’Ordine di Malta per
protestare contro l’accettazione da parte del Gran Cancelliere di quell’Ordine della Croce di
Balì dell’Ordine Costantiniano concessagli dal Principe Ranieri, affermando che il Capo
dell’Ordine e della Casa delle Due Sicilie era l’Infante Don Alfonso, Duca di Calabria.
A tal proposito, su di un piano meramente dinastico-nobiliare, va rilevato come la
Pragmatica Sanzione del 1759 fosse stata promulgata da Carlo III in quanto Re di Spagna
e Delle Due Sicilie, due dinastie inestricabilmente collegate l’una all’altra. In quanto Re di
Spagna, il Re Juan Carlos I è successore di Carlo III e, di conseguenza, si considera il solo
legittimato a risolvere questa controversia.
Alla fine del 1982 il Re, pertanto, ordinò a cinque dei più importanti organi dello Stato
Spagnolo di esaminare con cura la successione disputata. Ognuno di questi cinque enti
giunse alla conclusione che il legittimo Capo della Casa delle Due Sicilie è “S.A.R. Don
Carlos de Borbón-Dos Sicilias y de Borbón-Parma, Duque de Calabria” e tale verdetto
venne comunicato all’interessato dal Marchese di Mondéjar, Ministro della Real Casa, con
lettera datata 8 marzo 1984.
La posizione di Don Carlos è stata ulteriormente riconosciuta e definita col Regio
Decreto 16 dicembre 1994 n. 2412 che, in considerazione dell’essere Sua Altezza Reale
Don Carlo di Borbone Due Sicilie e Borbone Parma, rappresentante (cioè capo) di una linea
dinastica (Borbone - Due Sicilie) vincolata storicamente alla Corona spagnola, gli ha concesso la dignità di Infante di Spagna, ai sensi di quanto stabilito dall’art. 3.0.2 del Real
Decreto 1368/1987.
E’ importante fare attenzione alle parole usate nel decreto.
S.A.R. Don Carlos è chiamato “di Borbone Due Sicilie”, ciò che conferma come questo ramo non abbia mai cessato di far parte della Real Casa delle Due Sicilie, come inve11
ce sostenuto dalla linea francese. E’ inoltre indicato come “rappresentante di una linea dinastica” e questo in quanto discendente maschio primogenito della Famiglia, il che spiega perché in lui e solo in lui concorrano quelle “circostanze eccezionali” che hanno motivato la
concessione regia, che quindi può essere considerata un riconoscimento della sua qualità
di Capo di questa linea.
Il riconoscimento di S.A.R. l’Infante Don Carlos di Borbone - Due Sicilie come Capo
della Real Casa di Borbone - Due Sicilie e Gran Maestro dell’Ordine Costantiniano (si veda
in tal senso anche la nota dell’Ambasciatore d’Italia in Spagna del 10 febbraio 2003, indirizzata al Delegato per la Sicilia dell’Ordine Costantiniano, nella quale si afferma come “i cittadini spagnoli possano essere membri di un determinato Ordine non nazionale e di conseguenza portarne le insegne qualora ottengano previamente, caso per caso, la prescritta
autorizzazione” e che “la linea qui seguita è di concedere tale autorizzazione agli insigniti
dal Gran magistero di Madrid facente capo a S.A.R. l’Infante Don Carlos” circostanza che
fa ritenere come “non si possa dubitare, alla luce di quanto precede, che S.A.R. l’Infante
Don Carlos sia considerato in Spagna il Gran Maestro dell’Ordine Costantiniano”) da parte
del Re di Spagna dovrebbe, peraltro, ritenersi vincolante anche per l’ordinamento italiano
che sul punto non potrebbe non fare riferimento (non disponendo, ovviamente, in quanto
Repubblica, di giurisdizione alcuna in tema di diritti successori nobiliari - privi di rilievo giuridico nel nostro sistema delle garanzie - delle ex Case Reali) a quanto statuito nell’ordinamento dello Stato spagnolo e della Casa Reale Spagnola, ai fini della soluzione delle controversie dinastiche dei vari rami della Famiglia di Borbone, considerando le decisioni ivi
assunte come mero dato di fatto del quale prendere asetticamente atto ai fini che possano
eventualmente rilevare nell’ordinamento interno italiano, e, quindi, per l’identificazione del
legittimo Gran Magistero ai fini del rilascio delle autorizzazioni all’uso delle onorificenze.
Ne dovrebbe conseguire, pertanto, che legittimo capo della Real Casa di Borbone - Due
Sicilie dovrebbe considerarsi, anche da parte dello Stato italiano, l’Infante di Spagna Don
Carlos di Borbone - Due Sicilie, cittadino spagnolo e membro della Casa Reale Spagnola, in
quanto tale riconosciuto dal Re di Spagna ed a lui, conseguentemente, per la qualità, andrebbe riconosciuto legittimamente il titolo di Gran Maestro dell’Ordine Costantiniano.
Ma la questione merita un ulteriore approfondimento sotto un secondo profilo che consente di prescindere in toto dalla preventiva soluzione della controversia dinastica.
Riprendendo l’esegesi della legge 178/51 è necessario riportare il contenuto degli artt.
7 e 8: “i cittadini italiani non possono usare nel territorio della Repubblica onorificenze o
distinzioni cavalleresche loro conferite in Ordini non nazionali o da Stati esteri, se non sono
autorizzati ...”.
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Orbene, mentre è chiaro il concetto di Ordine appartenente a “Stato Estero”, non è
altrettanto chiaro, nel silenzio della legge ed in assenza di norme regolamentari sul punto,
quello di “Ordine non nazionale”, la cui definizione è fondamentale perché segna il discrimine tra quelle onorificenze che sono utilizzabili, previa autorizzazione all’uso rilasciata
dalla competente autorità, e quelle onorificenze delle quali, viceversa, non solo non ci si
può fregiare ma di cui è persino vietato il conferimento.
In altre parole, è necessario stabilire quali siano gli Ordini che possono essere definiti come veri e propri Ordini non nazionali e quelli che, al contrario, rimanendo fuori da tale
categoria, ricadono sotto il disposto dell’art. 8.
La Giurisprudenza ha avuto occasione di pronunciarsi sul punto, elaborando alcuni
criteri identificativi degli Ordini non nazionali: il Tribunale di Roma (sent. del 26.2.1962, IX
sez. pen.) ha ritenuto, per esempio, che per Ordini non nazionali si devono intendere quegli Ordini che “ricevono origine non dagli ordinamenti giuridici statuali esistenti, bensì da
patrimoni araldici appartenenti a cittadini stranieri (come per l’Ordine Costantiniano del
quale qui si discute) o aventi una propria personalità giuridica internazionale” e la non
nazionalità “deve desumersi dalla nazionalità dei suoi esponenti, dal luogo in cui si trova la
sede e dall’eventuale riconoscimento da parte di Stati esteri” (elementi tutti ricorrenti nel
Gran Magistero di Madrid dell’Ordine Costantiniano).
In altre parole ciò che è decisivo per qualificare un Ordine come non nazionale è che
esso sia riconosciuto come Ordine Cavalleresco da un ordinamento giuridico diverso da
quello dello Stato italiano, riconoscimento inteso non come formale provvedimento a ciò
finalizzato, ma come atteggiamento complessivo dell’ordinamento inteso a riconoscere in
capo all’Ordine la connotazione di legittima “fons honorum” attraverso, ad esempio, il rilascio delle autorizzazioni all’uso ai propri cittadini, e cioè o dall’ordinamento di uno Stato
estero o da quello della Chiesa cattolica o dal diritto internazionale.
Se l’Ordine appartiene al patrimonio araldico di una famiglia straniera non sovrana (od
ex sovrana), esso dovrà essere considerato “non nazionale” se riconosciuto dalla legislazione dello Stato del quale il Gran Maestro è cittadino (è il caso del Gran Magistero
Spagnolo dell’Ordine Costantiniano).
Se l’Ordine appartiene per diritto ereditario ad una famiglia italiana non ex sovrana o
ad una famiglia straniera, che si trovi in analoga situazione ed i cui diritti sull’Ordine non
siano riconosciuti dal suo Paese, il conferimento delle onorificenze ricadrà sotto le sanzioni
di cui all’art. 8.
Se, infine, si tratta di un Ordine dinastico di una famiglia ex sovrana l’Ordine potrà considerarsi “non nazionale” solo se all’ex Casa regnante sia riconosciuto dal diritto internazio13
nale e dagli Stati stranieri un particolare status giuridico, una qualche rilevanza alla posizione di famiglia ex regnante (anche questo è il caso del Gran Magistero Spagnolo dell’Ordine
Costantiniano).
In riferimento agli Ordini di quest’ultimo tipo, la Corte di Cassazione (sez. III del 4 febbraio 1963 e sez. III del 6 ottobre 1965) ha precisato che “la fons honoris può rientrare in
ogni caso solo come uno degli elementi costitutivi della non nazionalità di un Ordine
Cavalleresco, ma non può da sola esprimere il carattere della non nazionalità dell’Ordine
stesso; accanto al carattere ereditario sono richiesti il carattere e la organizzazione intesa,
anche se non identificabile, in una vera e propria soggettività giuridica internazionale, lo
scopo e l’attualità dell’Ordine in rapporto alla sua storia e alla sua tradizione”.
Per gli Ordini a carattere associativo debbono considerarsi “non nazionali” solo
quelli che abbiano ottenuto da uno Stato straniero un non equivoco riconoscimento giuridico come enti con facoltà di concedere onorificenze (in tal senso Amedeo Franco, in
Enc. Dir., voce Onorificenze), come, appunto, per il Gran Magistero Spagnolo dell’Ordine
Costantiniano.
Su tale argomento il Ministero degli Affari Esteri, alla luce del parere del Consiglio di
Stato, sez. I, n. 1869/1981, e del parere del Contenzioso Diplomatico del 18 aprile 1996,
nella nota n. 022/363 del 29 luglio 1999, ha individuato le seguenti categorie:
1) Ordini nazionali di Stati esteri, ossia facenti parte del patrimonio araldico di una
Nazione;
2) Ordini Pontifici, ossia di emanazione del Sommo Pontefice;
3) Ordini dinastici, nei quali il Gran Magistero è ereditario in una famiglia attualmente
regnante: l’uso delle relative onorificenze è autorizzabile in quanto Ordini non nazionali;
4) Ordini dinastici non nazionali nei quali il Gran Magistero è ereditario in una famiglia
ex sovrana: l’uso delle relative onorificenze è autorizzabile in quanto Ordini non nazionali,
a condizione che essi siano sorti e costituiti quando la famiglia attualmente ex sovrana era,
al contrario, regnante e che vi sia stata una ininterrotta titolarità nel capo della famiglia e
che manchi una soppressione da parte del capo della famiglia medesima; sotto questo profilo sono irrilevanti le soppressioni effettuate da altri soggetti giuridici, anche statuali, che
non avevano il potere di sopprimere l’Ordine, proprio perché questo era patrimonio della
famiglia allora regnante, ma solo quello di disconoscerlo;
5) Ordini sovrani, nei quali la sovranità deriva o da antichi possedimenti con carattere
di sovranità o dall’avvenuto riconoscimento da parte di Sovrani o di Pontefici: l’uso delle relative onorificenze sono autorizzabili qualora vi sia la prova della già esistente sovranità territoriale o quando tale sovranità sia stata riconosciuta da Re, Imperatori o Sovrani Pontefici,
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e che possano dimostrare una continuità conforme al proprio ordinamento; anche in tal caso
le eventuali soppressioni da parte di ordinamenti diversi non avrebbero rilevanza;
6) Ordini Magistrali il cui Gran Maestro non discende da famiglia ex sovrana, ovvero
nei quali il Gran Magistero è elettivo e non ereditario: le onorificenze di tali Ordini sono autorizzabili solo nel caso che tali Ordini abbiano avuto un riconoscimento da almeno uno Stato
estero (purché non esistano espresse norme in contrario o ragioni politiche lo sconsiglino)
e pertanto, possano rientrare nell’ampio concetto di Ordini non nazionali; in caso contrario
tali Ordini sono da considerare mere Associazioni di diritto privato che, nell’ipotesi in cui
conferiscano onorificenze, decorazioni o distinzioni cavalleresche, possono essere sanzionate ai sensi dell’art. 8 della legge 178/51.
Nella successiva nota n. 022/713 del 13 dicembre 1999, il Ministero degli Affari Esteri
ha individuato alcuni Ordini Non Nazionali per i quali il Ministero stesso ritiene concedibile
l’autorizzazione all’uso delle relative onorificenze, tra i quali il Sacro Militare Ordine
Costantiniano di San Giorgio (solo il ramo francese-napoletano e non quello spagnolo).
In quel contesto era inserito anche il Sovrano Imperiale Ordine Militare della Corona
di Ferro, ritenuto in un primo tempo come “autorizzabile” dal Ministero degli Affari Esteri, per
il quale, però, il Consiglio di Stato, con il parere n. 813/01, sez. I, del 27 luglio 2001, ha ritenuto opportuno consigliare al medesimo Ministero di astenersi dal rilasciare ulteriori autorizzazioni ex art. 7, legge 178/51. Ciò sul rilievo che tale Ordine sembrerebbe privo di un
riconoscimento da parte di un ordinamento straniero, in particolare dello Stato francese e,
quindi, in contrasto con i principi espressi dalla dottrina più autorevole, sopra riportata, e dal
Ministero degli Affari Esteri nella suindicata nota n. 022/363 del 29 luglio 1999. In particolare, il Consiglio di Stato ha ritenuto che lo Stato francese non avesse riconosciuto tale
Ordine come Ordine Cavalleresco ma, semplicemente, come mera “Associazione storica”.
Risulta difficile comprendere, alla luce di tali considerazioni, come, “a contrario”, le
argomentazioni utilizzate per negare l’autorizzazione all’Ordine della Corona di Ferro, e cioè
il mancato riconoscimento da parte di un ordinamento straniero, ed in specie dello Stato
Francese, come Ordine Cavalleresco, non siano ritenute, poi, più valide per il ramo spagnolo dell’Ordine Costantiniano che tale riconoscimento ha ottenuto in modo inequivocabile
dallo Stato Spagnolo, tant’è che lo stesso Re di Spagna e la più alta nobiltà spagnola ne
sono membri.
Né potrebbe argomentarsi che l’avere la Repubblica Italiana accordato l’autorizzazione all’uso per il ramo franco-napoletano dell’Ordine Costantiniano precluda la medesima
autorizzazione per altri rami, essendo in ogni caso eterogenee le cause di legittimazione
come sopra evidenziate.
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La coesistenza di più soggetti titolari del diritto di collazione delle onorificenze costantiniane, peraltro, sarebbe del tutto coerente con la storia e la natura dell’Ordine, tant’è che
nel 1816 coesistettero senza nessun problema un Gran Magistero parmense nella persona della Gran Duchessa Maria Luisa, ex imperatrice dei francesi, fondato sulla sua discendenza dalla Famiglia Farnese, quest’ultima già titolare di quel Gran Magistero in forza della
bolla del 24 ottobre 1699 del Papa Innocenzo XIII, ed un Gran Magistero napoletano, facente capo ai Borbone - Due Sicilie subentrati per successione nei diritti dinastici alla Famiglia
Farnese estintasi nel 1731. Ragione per cui le decorazioni continuarono ad essere conferite da entrambe le Corti sino alla cessazione del Gran Ducato di Parma.
Nulla impedirebbe, con riferimento all’attuale controversia dinastica tutta interna alla
Casa Reale di Borbone delle Due Sicilie, che lo Stato Italiano, non potendo o non volendo
prendere posizione conforme a quella dello Stato spagnolo, ponesse comunque fine a tale
incresciosa situazione con il riconoscimento di una pacifica e legittima coesistenza dei due
rami dell’Ordine sul territorio nazionale.
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