Contrattazione collettiva e “prossimità organizzativa delle imprese”.
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Contrattazione collettiva e “prossimità organizzativa delle imprese”.
Vincenzo Bavaro Stella Laforgia CONTRATTAZIONE COLLETTIVA E “PROSSIMITÀ DELLE IMPRESE”. La struttura del contratto collettivo di filiera, distretto, rete d’imprese () SOMMARIO: 1. Ipotesi dell’indagine. – 2. Ambito contrattuale: la nozione di «prossimità organizzativa delle imprese». – 3. Il contratto collettivo fra livello territoriale e livello aziendale.– 4. Titolarità negoziale e raccordo oggettivo. 1. Ipotesi dell’indagine L’affermazione del modello produttivo postfordista e le trasformazioni dell’Impresa sono icasticamente rappresentabili nella perdita progressiva di unitarietà di essa che si presenta sempre più frammentata soggetta com’è a differenti processi di destrutturazione/delocalizzazione (somministrazione, distacco, appalto, cessione di rami d’azienda) o di ricomposizione (sub specie di gruppo, consorzio, filiera, distretto, rete)1. Fenomeni riguardanti l’Impresa e la sua configurazione societaria, generalmente studiata dalla dottrina commercialistica sotto il profilo del rapporto giuridico-organizzativo fra imprese, ma che – a ben vedere – possono provocare effetti sull’organizzazione del lavoro; e quando ciò accade il giuristi del lavoro sembrano subire uno «spiazzamento»2. Questa specie di «diluizione»3 o, meglio ancora, “decostruzione” del datore di lavoro induce a ripensare la classica e (fin qui) esaustiva struttura binaria del rapporto di lavoro (lavoro/datore di lavoro) «in un contesto stabile e dai confini definiti e controllabili, in cui si cumulano proprietà, potere e responsabilità»4. L’attenzione del Diritto del Lavoro si è concentrata, in un primo momento, sui processi di disarticolazione e frammentazione dell’organizzazione produttiva attraverso la “de-costruzione” dell’Impresa come “persona giuridica”. Il governo di tale processo non ha riguardato la “ri-costruzione” dell’Impresa/datore di lavoro () L’articolo è prodotto dalla comune riflessione dei due autori, sicché è da attribuire scientificamente a entrambi gli autori; tuttavia, a fini redazionali, a Stella Laforgia vanno attribuiti i paragrafi 1, 2 e 3 e a Vincenzo Bavaro il paragrafo 4. 1 A. PERULLI, Gruppi di imprese, reti di imprese e codatorialità: una prospettiva comparata, RGL, 2013, I, 83 secondo il quale: «La traiettoria evolutiva dell’impresa rispecchia quella del sistema sociale, un tempo descritto con la metafora della “macchina”, poi dell’ “organismo” e del “sistema”, oggi rappresentato attraverso i concetti di “labirinto” e di “rete”, a suggello del definitivo superamento dell’organizzazione gerarchica tipica del capitalismo novecentesco». 2 V. SPEZIALE, Il datore di lavoro nell’impresa integrata, in Atti del XVI Congresso nazionale di diritto del lavoro, Milano, Giuffrè, 78 ss., spec. 85 3 Così G. GIUGNI, Una lezione sul diritto del lavoro,in DLRI, 1994, 203 ss. 4 A. PERULLI, Gruppi di imprese, reti di imprese e codatorialità: una prospettiva comparata, cit., 84. ma si è realizzata soprattutto attraverso le tutele rimediali mediante, per esempio, la responsabilità solidale dei soggetti coinvolti nel processo produttivo, seppur solo in determinate fattispecie giuridico-contrattuali5. Più di recente, proprio nel dibattito dottrinale giuslavoristico, si è posto con maggiore vigore il problema (e la necessità) della ricomposizione dell’impresa/datore di lavoro attraverso il concetto giuridico di «co-datorialità»6. In particolare, questa dottrina si è incentrata sulla fenomenologia giuridica dei gruppi d’impresa a partire dal fatto che il «gruppo» è costituito da una pluralità di imprese riconducibili a «Unità d’Impresa» (che poi sia solo unità proprietaria o anche unità organizzativa, è questione controversa, sulla quale, comunque, non intendiamo prendere posizione perché irrilevante ai fini del nostro discorso). Ebbene, a latere della questione relativa al «gruppo» come «persona giuridica» che riunifica il datore di lavoro attraverso l’unità proprietaria, intendiamo assumere in ipotesi questa riflessione per delimitare l’ambito unitario della regolazione giuridica dell’organizzazione del lavoro nel ciclo produttivo. In tal senso, la ri-unificazione del datore di lavoro nel Gruppo, lascia immutato il problema della dis-articolazione della disciplina dell’organizzazione del lavoro. Anche perché, pur assumendo l’unità del Gruppo, essa non (ci) risolve il problema della disciplina comune dell’organizzazione del lavoro. Infatti, ben può esservi un Gruppo proprietario di processi produttivi profondamenti diversi e del tutto estranei l’uno all’altro, mentre – al contrario – possiamo ben avere imprese del tutto separate dal punto di vista proprietario che, però, sono interconnesse nel processo produttivo (si pensi per tutti a certi casi di appalto interno). Vogliamo dire, in breve, che l’oggetto della nostra attenzione non è tanto l’unicità proprietaria del datore di lavoro, quanto l’unitarietà organizzativa (o anche solo il raccordo) del processo produttivo. Dato quest’oggetto, poiché la funzione genetica del contratto collettivo è quella di disciplinare con la norma comune l’organizzazione del lavoro nel processo produttivo, la contrattazione collettiva può costituire la trama unificante di una pluralità di imprese (rectius, organizzazioni del lavoro). Il fatto che questo nuovo livello intermedio di contrattazione collettiva meritasse l’attenzione del sistema intersindacale di regolazione dell’organizzazione del lavoro è testimoniato dal fatto che già nel 2008, il documento col quale Cgil, Cisl e Uil si preparavano al negoziato per la riforma della struttura contrattuale proponeva che il secondo livello territoriale di contrattazione dovesse “potersi dispiegare in una molteplicità di forme: regionale, provinciale, settoriale, di filiera, di comparto, di distretto, di sito” in base alle peculiarità dei diversi settori produttivi. 5 L. CORAZZA, « Contractual integration » e rapporti di lavoro, 2004, Padova, Cedam, 217. V., sul punto, V. SPEZIALE, Gruppi di imprese e codatorialità: introduzione a un dibattito, RGL, 2013, I, 3; IDEM, Il datore di lavoro nell’impresa integrata, in DLRI, 2010, 1 ss.; O. MAZZOTTA, Gruppi di imprese, codatorialità e subordinazione, in RGL, 2013, I, 19 ss.; O. RAZZOLINI, Impresa di gruppo, interesse di gruppo e codatorialità nell’era della flexicurity, RGL, 2013, I, 29; E. RAIMONDI, Il datore di lavoro nei gruppi imprenditoriali, in DLRI, 2012, 287 ss. 6 Ai fini della comune disciplina del lavoro mediante contratto collettivo, la soluzione della “codatorialità” (che pur condividiamo) può influire sulla configurazione della volontà dei soggetti di disciplinare con la norma comune l’intero processo produttivo; nondimeno, la prospettiva che intendiamo esplorare presuppone la pluralità delle imprese, e non la loro unitarietà. Infatti, una contrattazione collettiva che aspiri a dare una norma comune al lavoro di un processo produttivo, o è aziendale (nel senso che è riferito a una sola Impresa) oppure implica una pluralità d’imprese. L’obiettivo che ci siamo posti è delineare, con il massimo grado possibile di precisione, la struttura del livello contrattuale riferito a una pluralità di imprese cui corrisponde una unitarietà (o almeno un raccordo organizzativo) del processo produttivo, com’è in alcuni gruppi d’imprese, oppure nelle filiere produttive, oppure nelle nuove forme di raccordo quali i distretti o le reti7. 2. Ambito contrattuale: la «prossimità organizzativa delle imprese» E’ evidente che il tipo di collegamento fra imprese riferibile all’organizzazione del lavoro nel processo produttivo è differente a seconda che si tratti di gruppi, filiere, distretti o reti. Del «gruppo» abbiamo già accennato in precedenza e ci basta solo dire che esso è caratterizzato da un collegamento proprietario, prima ancora che organizzativo, fra le imprese che vi fanno parte8. Questa unitarietà proprietaria non si riflette di per sé sull’organizzazione del lavoro dal momento che possono ben esserci imprese di uno stesso gruppo che svolgono attività completamente diverse. Peraltro, quand’anche le imprese di un gruppo Spunti in A. LASSANDARI, Il contratto collettivo aziendale e decentrato, Milano, Giuffrè, 2011; S. SCIARRA, Uno sguardo oltre la Fiat. Aspetti nazionali e transnazionali nella contrattazione collettiva della crisi, 2011, 2, 169 ss.; Idem, Automotive e altro: cosa sta cambiando nella contrattazione collettiva nazionale e transnazionale, in DLRI, 2011, 2, 345 ss.; S. MALANDRINI, Dai distretti produttivi ai contratti di rete: l’evoluzione consequenziale degli accordi collettivi di lavoro, in DRI, 2010, 829 ss; L. D’ARCANGELO, Ruolo e funzioni della contrattazione territoriale nelle tutele per il lavoro, in, 2013 su www.convegnovenezia.wordpress.it; Idem, Contrattazione territoriale e sviluppo locale, Giappicchelli, Torino, 2012. 8 Sui gruppi di imprese, A. PERULLI, Gruppi di imprese, reti di imprese e codatorialità: una prospettiva comparata, cit., 83.; M. G. GRECO, La ricerca del datore di lavoro nell’impresa di gruppo: la codatorialità al vaglio della giurisprudenza, RGL, 2013, I, 117; G. DE SIMONE, I gruppi di imprese, in M. PERSIANI, F. CARINCI (diretto da), Trattato di diritto del lavoro, vol. VI; M. BROLLO (a cura di), Il mercato del lavoro, Cedam, Padova, 2012, 1554 ss.; Idem, Titolarità dei rapporti di lavoro e regole di trasparenza. Interposizione, imprese di gruppo, lavoro interinale, F. Angeli, Milano, 1995; O. MAZZOTTA, Gruppi di imprese, codatorialità e subordinazione, cit., 19; Idem, Divide et impera: diritto del lavoro e gruppi di imprese, in LD, 1988, 366 ss.; L. NOGLER, Gruppo di imprese e diritto del lavoro, Lav. dir., 1992, pp. 291 ss.; F. LUNARDON, Autonomia collettiva e gruppi di imprese, Giappichelli, Torino, 1996; B. VENEZIANI, Gruppi di imprese e diritto del lavoro, LD, 1990, 609 ss. 7 svolgessero attività affini o in qualche modo integrate, non è detto che questa integrazione configuri un unico processo produttivo come, ad esempio, avviene nel caso del Gruppo Fiat: esso è un Gruppo (di aziende e) di Gruppi, atteso che ad esso fanno capo Fiat Auto, che è un Gruppo di imprese, come lo sono anche Magneti Marelli o Teksind. Ebbene, il contratto collettivo Fiat, riguarda tutte le unità produttive riconducibili al Gruppo primo e allocate in Italia. Eppure, tutte queste unità produttive non hanno interconnessione organizzativa nello svolgimento del processo produttivo, nonostante la riconducibilità a una medesima proprietà. La loro prossimità è prima di tutto proprietaria ma si riflette sul piano dell’organizzazione del lavoro dal momento che si dota di un contratto collettivo comune. Se si considera una filiera produttiva, invece, si osserva che essa si caratterizza per la interconnessione tra diversi soggetti economici che condividono un unico processo produttivo dedicandosi ognuna ad una specifica fase di esso. In questo caso, tutti le imprese mantengono la loro soggettività che, quindi, non viene trasferita alla filiera 9 ; tuttavia, quest’ultima costituisce un ambito nel quale non solo vi si instaurano transazioni commerciali ma dove insistono molteplici rapporti di lavoro che, seppure riconducibili a datori di lavoro formalmente diversi, costituiscono un unico substrato organizzativo e (almeno finalisticamente) omogeneo sul quale si regge l’intera filiera. Anche con riguardo ai rapporti di lavoro coinvolti nelle vicende di appalto o subfornitura 10 , si può osservare che le relazioni commerciali descrivono le interconnessioni organizzative tra imprese comportano altresì un’interrelazione tra i rapporti di lavoro intesa, questa, come costruzione e «condivisione» di un medesimo ambito. Se, poi, si confronta la filiera con il distretto produttivo 11, emerge che i lavoratori appartengono ad un medesimo bacino; in questo caso, però, a differenza V. l’art. 66 della l. n. 289 del 2002 «Sostegno alla filiera agroalimentare» nonché l’art. 5 del d. lgs. 27 maggio 2005, n. 102 «Forme associate delle organizzazioni di produttori». 10 Per quanto riguarda l’appalto, ovviamente, il riferimento normativo si rinviene nell’art. 1655 c.c.; invece, per quanto riguarda la subfornitura cfr. la l. n. 192 del 1998 «Disciplina della subfornitura nelle attività produttive». 11 Secondo l’art. 36, commi 1 e 2 della n. 317 del 1991, come modificato dall’art. 6 della l. n. 140 del 1999: «Si definiscono sistemi produttivi locali i contesti produttivi omogenei, caratterizzati da una elevata concentrazione di imprese, prevalentemente di piccole e medie dimensioni, e da una peculiare organizzazione interna. Si definiscono distretti industriali i sistemi produttivi locali di cui al comma 1, caratterizzati da una elevata concentrazione di imprese industriali nonché dalla specializzazione produttiva di sistemi di imprese». La legge lascia poi alle Regioni il compito di individuare concretamente le realtà produttive che vi rientrano e quindi erogare ad esse specifici finanziamenti per lo sviluppo di progetti formativi. Si veda l’esempio della Legge Regione Puglia 23/2007 «Promozione e riconoscimento e dei distretti produttivi». Si veda anche l’art. 1, co. 366 della l. n. 266 del 2005 come modificato dall’art. 1, co. 889, della legge n. 296 del 2006 e successivamente dall'art. 6-bis, co. 3, lettera a), del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, secondo il quale i distretti sono « libere aggregazioni di imprese articolate sul piano territoriale e sul piano funzionale, 9 di quanto avviene per all’appalto o la subfornitura, non vi è (necessariamente, almeno) una interconnessione organizzativa trattandosi di una concentrazione di imprese tendenzialmente indipendenti che tuttavia hanno la medesima specializzazione produttiva e sono situate nello stesso territorio. I lavoratori operano, pertanto, nello stesso ambito produttivo e territoriale. Se, infine, si allarga la prospettiva alla rete di imprese, si può osservare una dilatazione ulteriore delle maglie del tessuto organizzativo e produttivo12. In questo caso, infatti, si tratta di un contratto commerciale che lega più imprenditori che per accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato, collaborano, sulla base di un programma comune di rete, in forme e in ambiti predeterminati attinenti all'esercizio delle proprie imprese ovvero si scambiano informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora esercitano in comune una o più attività rientranti nell'oggetto della propria impresa13. Anche in quest’ipotesi, per quanto ancora più elastico, si può rinvenire un ambito stabile o occasionale nel quale, specie nel caso di esercizio comune di una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa, nel quale vi sono interferenze di attività (o di scambi di informazioni o di tecnologia) e dove si situano rapporti di lavoro ad esse funzionali14. con l’obiettivo di accrescere lo sviluppo delle aree e dei settori di riferimento, di migliorare l'efficienza nell’organizzazione e nella produzione, secondo principi di sussidiarieta’ verticale ed orizzontale, anche individuando modalita’ di collaborazione con le associazioni imprenditoriali». 12 V. l’art. art. 3 co. 4 ter d.l. 5/5009 conv. in l. 33/2009 «Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, nonché disposizioni in materia di produzione lattiera e rateizzazione del debito nel settore lattiero-caseario». 13 A. ZAZZARO, (a cura di), Reti di impresa e territorio, Tra vincoli e nuove opportunità dopo la crisi, 2010, Bologna, Il Mulino; F. BUTERA, L’impresa integrale: teoria e metodi. Sviluppo e organizzazione, in WP - IRSO, 1-2009; Idem, Il castello e la rete. Impresa, organizzazioni e professioni nell’Europa degli anni ’90, Milano, Franco Angeli, 1997; F. CAFAGGI (a cura di), Reti di imprese tra regolazione e norme sociali, Bologna, Il Mulino, 2004. 14 Sulla rete di imprese, cfr. I. ALVINO, Il lavoro nelle reti di impresa. Profili giuridici, Milano, Giuffrè, 2014; L. CORAZZA, S. SCIARRA, Reti di imprese e sostenibilità sociale della filiera, in www.nel merito.it., 2013; A. GENOVESE, (a cura di), Riflessioni sul contratto di rete, 2013, Cacucci, Bari; E. DI SERI, Il contratto di rete come fattore di sviluppo della competitività dell’impresa e come nuova frontiera per le relazioni industriali e del welfare aziendale, paper AISRI-2011; G. ORLANDINI, Diritto del lavoro e regolazione delle reti, in F. CAFAGGI (a cura di), Reti di imprese tra regolazione e norme sociali, Bologna, Il Mulino, 2004, 281 ss. Da ultimo, M. DE BIASI, Dal divieto di interposizione alla codatorialità: le trasformazioni dell’impresa e le risposte dell’ordinamento, in Working Paper C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona", n. 218/2014, 17, che mette in evidenza che in questo caso, «…è lo stesso Legislatore ad ammettere espressamente, con il nuovo art. 30, comma 4-ter D.Lgs. 276/2003, la “codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete”». Insomma, il processo produttivo e la sua organizzazione del lavoro è sempre più frammentata in una pluralità di soggetti connotati da contiguità territoriale, tecnologica o, più specificamente, organizzativa. Nei gruppi e nelle reti di imprese, nei distretti e filiere, ma anche nei fenomeni di appalto e sub-fornitura, somministrazione di manodopera, è presente una molteplicità di operatori economico-produttivi che si intrecciano gli uni agli altri, con interconnessioni che formalmente derivano da contratti commerciali (appalto, rete), da contratti societari (gruppo) oppure da legami para/istituzionali (distretti produttivi). Questa prossimità è necessaria quando l’impresa fraziona il processo produttivo originariamente unitario, attribuendone i segmenti ad altre imprese con le quali deve ‘coesistere’ funzionalmente. La prossimità, in altri casi, è opportuna quando le imprese preferiscono cooperare. L’effetto indotto da questa fenomenologia commerciale è l’istituzione di una «prossimità organizzativa» fra le imprese, organizzazione che può riguardare anche il lavoro. Tale prossimità organizzativa, trascende la «prossimità» che rimanda alla classica nozione di «territorio», intesa come mera area geografica cui sembra alludere la parola utilizzata nella rubrica dell’art. 8, legge n. 148/2011; essa piuttosto configura l’interrelazione organizzativo-funzionale fra diverse imprese che costituiscono un ambito per sé (non in sé). Perciò, l’ambito prossimo non può essere concepito come un dato statico derivante da questa o quella nozione legale di gruppo, rete, distretto, filiera. Infatti, anche in uno stesso Gruppo possiamo avere più ambiti nei quali vi è l’interrelazione organizzativo-funzionale, e così come in un distretto produttivo non è detto che tutte le imprese coinvolte siano effettivamente intrecciate in tal senso. Insomma, la rete, la catena di appalti, oppure il gruppo o il distretto, così come definiti dalle norme, rappresentano solo un riferimento “evocativo” ma non “definitivo” dell’interrelazione organizzativo-funzionale che noi chiamiamo «prossimità organizzativa delle imprese». Tale «prossimità organizzativa» allude a un ambito meta-territoriale, cioè a un ambito nel quale si esercita una qualche forma di organizzazione del lavoro, per la quale viene posta una norma comune che la governa; i confini di tale ambito non coincidono necessariamente con quelli del territorio geografico ma con l’insieme delle imprese che (volontariamente) vi si assoggettano. In tal senso, la norma comune regolativa dell’organizzazione del lavoro è de-territorializzata, nel senso che definisce il suo ambito di applicazione non sulla Geografia bensì sull’Organizzazione 15 . Per questa stessa ragione, la «prossimità organizzativa» allude altresì a un ambito meta-aziendale, cioè a un ambito che trascende la singola impresa definita come “persona giuridica”. 3. Il contratto collettivo fra livello territoriale e livello aziendale 15 P. COSTA, Riflessioni su alcuni aspetti teorici della territorialità, in www.Costituzionalismo.it, I, 2013 sottolinea che la Norma si esercita non tanto su un ambito spaziale quanto sui soggetti che ne sono assoggettati, quale che sia la loro collocazione territoriale. Da quanto detto finora, appare evidente che, a prescindere dalla questione della codatorialità come «unità» del datore di lavoro, la nostra prospettiva preferisce concentrarsi sulla «unitarietà» organizzativo-funzionale, e quindi l’unitarietà regolativa tramite la norma comune contrattuale. A prescindere dal datore di lavoro, quasi a postulare la pluralità delle persone giuridiche, ciò che vogliamo enfatizzare è che la «prossimità organizzativa-funzionale» spiega e legittima la determinazione di norme comuni sull’organizzazione del lavoro per i soggetti che ne sono coinvolti. Né più né meno di quanto accade con un contratto collettivo applicabile da una pluralità di imprese, che però sono interrelate su base organizzativa-funzionale. Allora, per entrare ancor più nel dettaglio alla questione che ci riguarda: di che tipo di contratto possiamo parlare con riferimento a questa «prossimità organizzativa»? Per rispondere a questa domanda utilizziamo come punto di partenza una seconda domanda che sta inglobata nella prima: che tipo di contratto collettivo è quello riferito a un «gruppo»? Se accettassimo la dottrina della «codatorialità» dovremmo dire che è un tipico contratto aziendale, stipulato da sola persona giuridica – questo, dal lato delle imprese – coinvolgente tutti i lavoratori dipendenti dalle imprese del Gruppo. In effetti, nel linguaggio intersindacale, il contratto di Gruppo è stipulato dall’impresa “madre” che poi vincola tutte le imprese del gruppo all’applicazione di quella regola comune. Ma il fatto stesso che quel contratto collettivo riguardi una pluralità di imprese/persone giuridiche lo rende comunque applicabile a una pluralità di imprese. La questione può apparire irrilevante perché – a quanto ci risulta – non si è mai posto un problema applicativo riguardo all’ambito di applicazione di un contratto collettivo di Gruppo; tuttavia, già per questo tipo di contratto, dovremmo porci alcune domande alla luce delle regole procedurali per la contrattazione collettiva di livello decentrato oggi sancite in fonti contrattuali (il Testo Unico sulla Rappresentanza del 2014 – TU 2014) e legali (l’art. 8 legge n. 148/11). Infatti, se prima il contratto di Gruppo costituiva una fonte contrattuale totalmente priva di regolazione sul piano della titolarità e della procedura negoziale (chi firma un contratto di Gruppo per conto dei lavoratori? come esso diviene vincolante per tutte [o parte del]le imprese del Gruppo?), oggi la questione è ben diversa. Infatti, se qualifichiamo tale accordo come “contratto aziendale”, alla luce del TU 2014, dovremmo individuare la RSU di Gruppo che, invece, non è prevista, essendo istituita soltanto la RSU di unità produttiva e forme di coordinamento di RSU delle diverse unità produttive. In tal caso, allora, il problema riguarda la modalità attraverso la quale stipulare un contratto aziendale/Gruppo, in deroga alla disciplina contrattuale nazionale, per la quale viene richiesta la maggioranza dei componenti le RSU. Il che significa moltiplicare per tutti gli stabilimenti la verifica di tale maggioranza col rischio che in qualche impresa o stabilimento del Gruppo possa non esserci tale maggioranza e perciò rendere invalido l’accordo firmato al livello di Gruppo. Il discorso solleva interrogativi anche con riferimento al profilo oggettivo. Immaginiamo un Gruppo le cui imprese siano operanti in settori produttivi diversi, perlomeno diversi dal punto di vista dei contratti nazionali di categoria applicati. Ebbene, il contratto di Gruppo – se riguardante tutte le imprese del Gruppo dovrebbe raccordarsi oggettivamente a una pluralità di contratti nazionali si categoria che possono avere previsto rinvii al secondo livello contrattuale per istituti differenti fra loro, determinando così un problema di coerenza nel raccordo fra livelli contrattuali. Questo vale per il Gruppo. A maggior ragione tali problemi di funzionamento sussistono nel rapporto fra contratto nazionale e contratto di prossimità organizzativa fra imprese. In sostanza, per la contrattazione collettiva, non si tratta di “reductio ad unum” ai fini della titolarità nel rapporto individuale di lavoro ma di una “reductio ad unitatem” di una riduzione della pluralità (effettiva o potenziale) di discipline contrattuali di livello decentrato. Prendiamo ad esempio un accordo per integrare gli orari di apertura di alcuni servizi pubblici (asili nido, scuole, trasporto locale) con gli orari di lavoro delle imprese collocate in un determinato territorio ai fini della predisposizione di un Piano dei Tempi finalizzato alla conciliazione vita-lavoro. Ebbene, per far ciò occorre una contrattazione collettiva integrata dei diversi datori di lavoro coinvolti nell’azione di conciliazione (cioè le imprese coinvolte, le strutture scolastiche, l’azienda di trasporto pubblico, ecc.) che siano funzionali alla conciliazione dei tempi di un determinato «ambito» (un sito produttivo, un distretto, ecc.). Si tratta di accordi di conciliazione stipulati a un livello sovra-aziendale ma anche territoriale in senso classico se riferito a un ambito geografico (territori sub-provinciali o interprovinciali, sub-comunali o intercomunali, possono delimitare l’ambito del livello territoriale; al pari – come abbiamo già spiegato - dell’ambito definito da un accordo di programma per un’area metropolitana o l’ambito di un distretto produttivo o una filiera)16. Quest’ambito contrattuale può coinvolgere una stessa “categoria” (sia in senso organizzativo-sindacale, sia in senso di ambito-contrattuale, quindi coinvolgere soltanto imprese che applicano un medesimo contratto nazionale di categoria), oppure (più facilmente) coinvolgere imprese che applicano diversi contratti di categoria. Non solo: ma anche i lavoratori potrebbero essere rappresentati da diverse associazioni sindacali di categoria. Insomma, quest’accordo sulla conciliazione dei tempi è riferito a un ambito strutturalmente intercategoriale, quindi coinvolgere una pluralità di categorie e una pluralità di vincoli normativi contrattuali17. 16 S. COSTANTINI, Verso una nuova stagione di concertazione territoriale?, LD, 2005, pp. 27 sg.; A. VISCOMI, Prassi di concertazione territoriale: spunti per una riflessione critica, DML, 2004, 335 ss. 17 Il caso si riferisce a una sperimentazione effettuata nell’area della Cittadella aeroportuale di Bari dove, sulla base della legislazione regionale pugliese, si è sperimentato un Patto Sociale di Genere che è stato concepito nei termini indicati in testo. La delimitazione dell’area contrattuale con il sito aeroportuale, ha accorpato i dipendenti di diverse imprese Alcuni recenti studi hanno individuato il problema e indicato gli snodi principali: una «dinamica della contrattazione sovraziendale, di livello territoriale e/o di distretto industriale, che potrebbe comportare l’adozione di intese uniformi per aggregati di imprese accomunate dall’appartenenza a distretti e/o dall’adesione a contratti di rete, anche in deroga alla disciplina contrattuale nazionale o legislativa. Gli strumenti utili a conseguire questo tipo di accordi di rete sono, da un lato, le negoziazioni trasversali tra rappresentanze datoriali e dei lavoratori riferite a dimensioni sovraziendali e, dall’altro lato, le negoziazioni seriali, volte a riprodurre nell’ambito della rete clausole contrattuali standard riguardanti problematiche ricorrenti e comuni a più imprese rappresentative di un cluster determinato»18. La prossimità organizzativa, dunque, richiederebbe un aggiornamento dell’assetto contrattuale sia sotto il profilo dei soggetti sia sotto il profilo del raccordo oggettivo con i vincoli derivanti dai contratti collettivi già applicati dalle imprese coinvolte nella contrattazione di prossimità organizzativa. 4. Titolarità negoziale e raccordo oggettivo Riguardo ai soggetti titolari della contrattazione di prossimità organizzativa, si possono ipotizzare due modelli di contrattazione: a) un contratto di prossimità «interconfederale»; b) un contratto di prossimità «intercategoriale». a) il contratto interconfederale assume come postulato la natura strutturalmente diversificate delle rappresentanze sindacali operanti nelle imprese e, soprattutto, della diversa rappresentanza categoriale derivata dai diversi settori produttivi cui afferiscono le imprese della prossimità. In questo caso il contratto assume i caratteri tipici dell’Accordo interconfederale (seppur limitato all’ambito della prossimità) che per tradizione del sistema intersindacale non è immediatamente vincolante per le imprese fino a quando non viene adottato dalla contrattazione collettiva di categoria. In questo caso, l’efficacia dell’accordo operanti nella cittadella, ma al contempo ha separato i dipendenti di ciascuna impresa a seconda che operino oppure no nella Cittadella aeroportuale. Ciò rende evidente il fatto che l’ambito non è coincidente con le singole imprese ma con le unità produttive che operano in un ambito organizzativo-funzionale. L’Impresa è vincolata al patto non tanto per volontà diretta come se fosse direttamente firmataria dell’accordo bensì in quanto operante su un territorio nel quale vige quel Patto. Per questa ragione, il PSG in parola è sottoscritto da soggetti collettivi e da nessuna impresa singolarmente. Infatti, i soggetti firmatari del PSG sono quelli firmatari dei contratti collettivi nazionali di lavoro applicati dalle imprese principali operanti nella Cittadella: Confindustria in luogo del contratto nazionale dei servizi di gestione aeroportuale, Confcommercio e Confcooperative in luogo dei contratti collettivi nazionali applicati dalle imprese principali che operano nel sistema degli appalti nella Cittadella. Rinviamo a V. Bavaro (a cura di) Aeroporto sui generis, Cacucci, Bari, 2013. 18 A. PERULLI, Gruppi di imprese, reti di imprese e codatorialità: una prospettiva comparata, cit., p. 83. sarebbe condizionata all’adozione da parte dei contratti aziendali delle imprese coinvolte nella prossimità. Questa soluzione ha in sé almeno due incognite. Presuppone che in tutte le imprese della prossimità organizzativa vi sia contrattazione aziendale, mentre sappiamo che non è sempre così; anzi, la prossimità organizzativa può essere uno strumento utile proprio a includere nell’area contrattuale decentrata imprese che invece agiscono senza un livello decentrato di contrattazione. In secondo luogo, laddove vi sia contrattazione, vi potrebbero essere i rischi che abbiamo già indicato a proposito dei Gruppi, e cioè la possibilità che in un’azienda l’accordo potrebbe non essere sottoscritto o non validato dalle procedure previste dal TU 2014. Certo, in questo caso si creerebbe un problema endosindacale di allineamento dell’azione negoziale delle rappresentanze sindacali alla struttura confederale territoriale (cosa che imporrebbe finanche una modifica di buona parte degli statuti confederali). Ciò non toglie che la mancata efficacia vincolante dell’accordo interconfederale lascerebbe scoperto un tassello della prossimità. b) questi inconvenienti sarebbero evitati nel caso di una contrattazione di prossimità «intercategoriale». Usiamo questo termine per differenziarci dall’ipotesi precedente non tanto per la natura strutturalmente intercategoriale dell’accordo, quanto per non inquadrarlo come accordo interconfederale ai fini della sua efficacia vincolante. In altre parole, l’accordo di prossimità sarebbe sottoscritto dalle organizzazioni sindacali territoriali delle categorie coinvolte nella prossimità (che possono più d’una ma anche una sola se si trattasse, per esempio, di una filiera produttiva che applica contratti nazionali di un medesimo settore: per esempio tessile/abbigliamento sia di Confindustria che di Confapi) con un’efficacia pari ad un normale contratto territoriale. Quindi, sarebbero le organizzazioni territoriali di categoria ad avere la titolarità negoziale congiunta. Le confederazioni, invece, potrebbero svolgere un utile (anzi, necessario) ruolo di raccordo soggettivo fra categorie che sovente possono avere approcci negoziali differenti, soprattutto se si tratta di mettere assieme federazioni sindacali di categoria abituate alla contrattazione decentrata territoriale e federazioni dov’è consolidata la tradizione della contrattazione aziendale. Questo discorso, però, deve intrecciarsi con la possibilità che il territorio della prossimità organizzativa possa coinvolgere anche più territori tradizionalmente definiti sulla cui base si organizzano le associazioni sindacali: per fare un esempio, se si tratta del distretto del salotto che coinvolge la Puglia e la Basilicata, anche le rispettive strutture territoriali sindacali finiscono per essere ugualmente coinvolte. Il discorso diventa ancor più problematico se la prossimità fosse data da una filiera produttiva che coinvolge aziende dislocate in territori diversi (e lontani). In questo caso, anche a costo di qualche appesantimento procedurale dovuto all’attuale assetto organizzativo delle associazioni sindacali, il coinvolgimento (almeno sul piano formale) di tutte le associazioni di categoria territoriali si rende necessario per garantire la rispondenza ai criteri procedurali richiesti dalla contrattazione collettiva e dalla legge come nell’art. 8, legge n. 148/11. Per questa norma, si deve considerare che i soggetti firmatari sono le associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero le loro rappresentanze sindacali operanti in azienda. In ogni caso, quale che sia il soggetto firmatario19, affinché questi accordi abbiano efficacia erga omnes è necessario che essi vengano sottoscritti sulla base di un criterio maggioritario, cioè è necessario verificare che il contratto collettivo in deroga sia effettivamente voluto dalla maggioranza dei destinatari degli effetti del medesimo. In questo caso, ancora una volta indipendentemente dall’opzione che si scelga e cioè se il criterio maggioritario sia necessario solo per (l’efficacia erga omnes de) i contratti stipulati dalle rappresentanza interne o per tutti i contratti20, ciò che rileva è la misurazione effettiva del consenso rispetto alle deroghe. E ciò non è solo un problema connesso al perimetro di misurazione: può variare anche sensibilmente, infatti, a seconda dell’ambito prescelto, il risultato della rilevazione come nel caso del referendum21. Il discorso, parallelamente vale anche per la rappresentanza delle imprese che, al livello territoriale, spesso vedono attribuite le competenze negoziali direttamente alle strutture confederali, soprattutto sulla base della consistenza associativa. Quel che conta sottolineare, però, è che la definizione di un chiaro schema regolativo sulla titolarità negoziale è oggi imprescindibile per garantire «l’efficacia e l’esigibilità» di un qualsiasi contratto collettivo, e a maggior ragione di un nuovo contratto di prossimità organizzativa. La diversità rispetto al sistema contrattuale vigente sta tutta nel concepire la «prossimità organizzativa» come un eventuale terzo livello di contrattazione, “aggiuntivo” dei due livelli decentrati tradizionali e “alternativo” a questi nelle materie oggetto di contrattazione. Qui sta il secondo corno del problema che abbiamo già indicato in precedenza. Un qualsiasi contratto di prossimità organizzativa richiede di essere raccordato con tutti i contratti collettivi nazionali applicati da tutte le imprese coinvolte nella prossimità. Il problema si pone sia quando si tratta di esercitare le deleghe al secondo livello previste dal ccnl sia se si 19 La titolarità negoziale spetta sia al sindacato cpr sul piano nazionale e territoriale sia alla rappresentanza aziendale per il ccnl aziendale secondo F. CARINCI, Al capezzale del sistema contrattuale: il giudice, il sindacato, il legislatore, in ADL, 2011, 1159 ss. e I. ALVINO, Il lavoro nelle reti di impresa. Profili giuridici, cit., 310; Invece, in ogni caso, la titolarità negoziale sarebbe dell’associazione sindacale (anche qualora vi sia il sindacato interno all’azienda, quest’ultimo agirebbe su delega dell’associazione) per V. BAVARO, Azienda, contratto e sindacato, Bari, Cacucci, 2012, 188 ss.; A. PERULLI, V. SPEZIALE, L’art. 8 della legge 14 settembre 2011, n. 148 e la “rivoluzione d’agosto” in Working Paper C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona", n. 132/2011, 197. 20 V. LECCESE, Il diritto sindacale al tempo della crisi. Intervento eteronomo e profili di legittimità costituzionale, in DLRI, 568-569. 21 Proprio a proposito dei referendum, «il momento decisivo non [è], in realtà la votazione ma la determinazione del corpo elettorale», cfr. M.G. GAROFALO, Osservazioni sulla democrazia dei sindacati, in LD, 1988, 277. tratta di ricorrere a deroghe previste dal ccnl o – cosa invero meno probabile – sulla base del solo art. 8, legge n. 148/11. La creazione di un terzo livello contrattuale può comportare che una determinata materia regolata a questo livello possa essere non prevista da un contratto nazionale, delegata al livello nazionale da un altro e disciplinata interamente da un altro ancora. Ebbene, il contratto di prossimità eserciterebbe la sua funzione normativa in autonomia per il primo caso, su delega per il secondo e in deroga per il terzo. Nel caso della delega, però, occorre rispettare i limiti imposti, così come nel caso delle deroghe. Ebbene, è fin troppo chiaro che tale situazione rischia di rendere del tutto inutile dal punto di vista organizzativofunzionale la contrattazione di questo livello. Perciò, se tale livello vuol essere perseguito, diventa necessario autonomizzarlo come terzo ambito di contrattazione decentrata con capacità normativa pari a quella territoriale classica o aziendale alle quali viene ad aggiungersi. Perché questo è un punto chiave: se il contratto di prossimità è autonomo rispetto al contratto nazionale e agli altri contratti decentrati, oppure se esso è primus inter pares rispetto ai contratti territoriali o aziendali, ove esistenti. Insomma, mentre il rapporto fra livello di prossimità organizzativa e livello nazionale può essere risolto secondo la disciplina oggi prevista dalla contrattazione collettiva e dalla legge sulla base di una applicazione tecnica delle regole lì previste, il rapporto fra questo livello e l’altro livello decentrato (territoriale o aziendale) resta da definirlo secondo una scelta politico-sindacale la cui assenza porterebbe ad applicare i criteri tradizionali della specialità/posteriorità/volontà delle parti. Ma si tratterebbe di criteri che non risponderebbero alle esigenze organizzativo-funzionali per le quali può essere stipulato un contratto di filiera, rete, distretto produttivo. Piuttosto, dovranno essere le parti firmatarie a raccordare il contratto di prossimità non solo col (coi) contratto (i) nazionale (i) secondo il rapporto fra i livelli contrattuali, ma anche con gli altri livelli decentrati. Il che ripropone ancora una volta la primaria importanza della selezione dei soggetti titolari della contrattazione collettiva di prossimità organizzativa.