Lo sguardo materno della Madonna del Pilastro
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Lo sguardo materno della Madonna del Pilastro
BASILICA DI SANT’ANTONIO La piú antica immagine mariana della Basilica Lo sguardo materno della Madonna del Pilastro Molti fedeli, giunti alla Basilica antoniana, si fermano a venerare lʼimmagine della Madonna del Pilastro, rassicurati dallʼamore celeste di quella coppia di occhi che li segue ovunque. di Alfredo Pescante l’immagine della Madonna piú amata della Basilica, perfino piú antica della stupenda Madonna Mora, ospitata nella cappella ove fu sepolto sant’Antonio, la piú ricca di fiori, luci e argentei cuoricini che testimoniano le grazie ricevute per sua intercessione, quella addossata al primo pilastro sinistro e per questo chiamata “Madonna del Pilastro”. È la piú antica immagine mariana, proprio perché la genesi della Basilica iniziò dalla facciata, benché ridipinta piú volte nei secoli da vari e valenti artisti. Molti fedeli, approdando al tempio antoniano, si fermano a venerarla, attratti dalla sua genuina e popolare bellezza, cui fa compagnia il grazioso Bimbo in braccio che, pittoricamente espresso in modo non perfetto, a causa dei piedi non proporzionati e del lungo braccio destro con cui s’avvinghia al collo materno, esprime infinita tenerezza. I fedeli si sentono rassicurati dall’amore celeste di quella coppia di occhi che li segue ovunque si spostino. Una decina d’anni fa scrivevo: «All’intero affresco della Madonna del Pilastro si intervenne piú volte, diventa perciò indilazionabile un accurato “lifting”, magari per scoprire, al di sotto dei due angeli, l’opera di Filippo Lippi, impegnato in Basilica nel 1434 e al quale Marcantonio Michiel (1521) addebita proprio l’incoronazione che sovrasta l’immagine». Il desiderio sta divenendo realtà, ora che sono partiti i lavori, grazie ai macellai È 14 della Milizia dell’Immacolata e alla Veneranda Arca del Santo, accollatisi l’onere finanziario per il restauro dell’intera struttura, dipinti e altare, che torneranno all’antico splendore. Madonna del Pilastro, dell’Immacolata o degli Orbi? Nel tempo la nostra Madonna, eseguita, credo, assai prima del 1350, data fermata dagli storici che ne accreditano l’esecuzione a Stefano da Ferrara, il pittore che aveva dipinto le primigenie pareti della cappella dell’Arca con la serie dei miracoli del Santo, indossò vari nomi, anche quello di “Madonna in capo”, “Madonna del cormellon” e “Madonna di dentro”. Le titolazioni ca- noniche, però, che disegnano la sua vera storia rispondono principalmente a tre nomi: del Pilastro, dell’Immacolata e degli Orbi. Supposto che l’immagine della Madonna venne dipinta contemporaneamente alla costruzione della facciata della Basilica, assieme alle tre giottesche effigie dei santi Lucia, Ludovico e Antonio, in altrettante nicchie all’ingresso, per dar modo ai fedeli di venerare Maria, cui è titolata la primitiva, inglobata chiesetta di “Sancta Maria Mater Domini”, officiata da sant’Antonio, la storia certifica la data di realizzazione del primo altare addossato al pilastro. Folcatino Buzzaccarini, ricco commerciante e imparentato con i principi Carraresi, il 25 gennaio 1413 chiede infatti, nel suo testamento, d’essere sepolto presso la Madonna del Pilastro, ove vuole eretto un altare, nel giro di due anni, lasciando a ciò una cospicua eredità. Non ne conosciamo la forma, ma doveva essere molto bello, simile a quello della Madonna Mora, con il tetto però in legno. Nel 1471 Elisabetta di Trigesto offre 25 ducati per il restauro di detto altare, subito impegnati dai massari dell’Arca. Nel 1472 il muraro Girardo interviene nella cappella di Santa Maria del Pilastro e contemporaneamente Giovanni Minello esegue numerosi lavori, trasformando in marmo la struttura. Il maestro Guzon dipinge le “cantinelle” del soffitto della cappella, che viene dorata e chiusa da catene di ferro. Nello stesso periodo l’immagine della Madonna è vestita di seta con bordi dorati e accanto all’altare, nel 1494, compare una campanella, tuttora esistente. Il 3 novembre 1510 Bartolomeo Campolongo, nel suo testamento, devolve una bella somma perché venga collocata davanti all’altare una lampada che arda, in perpetuo, a suffragio della sua anima. Il documento, che cita opere di ornamento nei dipinti, nel marmo e nel legno, risulta importante per il nome del testatore e perché per la prima volta l’altare viene chiamato di “Santa Maria della Concezione”. Aveva prepotentemente fatto strada la devozione all’Immacolata, Ci sono lacrime “ che splendono divine e vanno raccolte in vassoio d’argento. Le lacrime della Mamma sono come le perle! ” privilegio mariano promosso dai religiosi della Basilica e da Francesco Della Rovere. Questi, frate conventuale e docente di teologia a Padova, divenuto papa Sisto IV, con bolla pontificia del 1476 approvò tale devozione e ne istituí la festa. Bartolomeo Campolongo, massaro dell’Arca, è ricordato per la sua devozione a sant’Antonio, avendo finanziato, nel 1500, il reliquiaro dei capelli del Santo, a soddisfare un voto emesso e per aver ornato anche la bella immagine duecentesca della Madonna sopra l’antico ingresso della sacrestia, ove, a sinistra, è ritratto orante. Doveva nutrire particolare devozione per la Vergine se vorrà essere sepolto nella chiesa mariana dei Servi, alla quale aveva donato, nel 1511 le stupende colonne per realizzarne il portico, acquistate dalla basilica di Sant’Antonio che l’aveva dismesse. Il 5 luglio 1516 i frati del Santo concedono l’altare della Madonna del Pilastro al vescovo di Urbino Antonio Trombetta, il quale, in cambio, offre sei ducati l’anno, le argenterie, i tappeti e i suoi libri, chiedendo d’esservi sepolto. È un’ulteriore conferma della devozione all’Immacolata. Il Trombetta, che aveva insegnato per anni all’Università di Padova, fu, infatti, il promotore di detta devozione e ogni giorno pregava ai piedi di quell’altare. Il suo cenotafio, realizzato da Gian Vincenzo Grandi, di fronte all’immagine amata, è arricchito da un busto in bronzo, opera di Andrea Briosco, che lo ritrae con lo sguardo fisso alla Madonna e con l’indice della mano destra a segnalare il libro che tiene nella sinistra, racchiudente i suoi studi a sostegno del privilegio mariano. È talmente ambito quest’altare che nel 1555 i nobili Cumani, i quali già nel 1520 avevano chiesta la sala del Capitolo per renderla cappella funeraria della loro famiglia, lo ricevono allo scopo. L’impegno è farlo simile a quello di San Bernardino, al pilastro opposto. Nel 1585 risulta realizzato un nuovo altare e perfino un bel dipinto, finito chissà dove, impegnando i Cumani la notevole cifra di 400 ducati. Anche la nobile famiglia Dandolo, già nel 1666 dimostra devozione a detta immagine, chiedendo di seppellire i suoi defunti in cambio di cospicue donazioni. Nel 1710 l’altare compare col titolo di Madonna degli Orbi, in seguito a una decisione dei frati che non permette piú ai Cumani di seppellirvi i loro defunti. Il nome deriva dalla devozione a questa immagine dei ciechi padovani i quali avevano una confraternita ubicata presso la vicina chiesa di Santa Maria di Betlemme. A quest’altare, reso privilegiato nel 1751 da papa Benedetto XIV, continua a vigoreggiare la devozione all’Immacolata, testimoniata dalla presenza d’una Fraglia dall’omonimo titolo. Nel 1782 Francesco Zannoni restaura il dipinto che era stato chiuso da un cristallo, eliminato nel 1951 per rendere piú fruibile ai fedeli la cara immagine mariana. Descrizione dell’altare e dipinto È semplice, ma non di scarso valore artistico, la struttura che accoglie l’effigie di Maria e del Bimbo, quasi una “Madonna della tenerezza”. L’altare si segnala infatti per un tripudio di colori, dal rosso dei tre gradini, ai vivaci disegni del paliotto, con due ruote a otto punte, simbolo di pienezza, rappresentata dalla scultura della candida Vergine, entro un tondo nero, sollevata da nuvole e cinta di dodici stelle, opera di Giovanni Minello, che eseguí anche la bella predella a marmi intarsiati. Due colonne corinzie in marmo grigio screziato, montate su piedistalli, sorreggono un timpano spezzato sulla cui cimasa, all’esterno, ardono due fiamme e al centro due angeli sdraiati dan mano a una croce. In alto doveva essere presente l’affresco dell’Annunciazione a fare da pendant con quella di San Bernardino. La parete dell’altare, rinserrata da due marmoree lesene, è delimitata da un arco, sormontato da due bronzei angeli falconetteschi, cui fa da controcanto, al di sotto, un’altra coppia di candide creature alate, divise dalla scritta “sine labe originali concepta”, aggiunta settecentesca. Del ’700 sono pure le due lampade dorate che pendono lateralmente da una lunga catena, squisita esecuzione artigiana, che disegna una serie di roselline e di gigli. L’immagine della Madonna e del Bimbo, il capo cinto d’auree corone, ricche di pietre preziose e dalle vesti, rossa per Maria e azzurra per il Bimbo, ricamate con disegni dorati, è vigilata ai lati da Giovanni Battista che indica con la destra Gesú, di cui fu il precursore e da Giovanni evangelista che, stringendo con la destra il Vangelo, ha un gesto di dolcezza con la sinistra verso la Mamma, affidatagli da Gesú morente. La Madonna del Pilastro riceve ulteriore gloria da due angeli inginocchiati, realizzati nel ’600 da Giambattista Bissoni, che sollevano una corona che ● scende sul suo capo. 15