Savagnone Povertà - Diocesi di Treviso
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Savagnone Povertà - Diocesi di Treviso
DOSSIER Il Concilio ha archiviato l’idea tradizionale di una Chiesa riconoscibile attraverso il suo potere e il suo fasto. Solo rinunziando alle sicurezze umane essa può stare al fianco di tutti i poveri della terra senza retorica e fare davvero suo il loro grido che pretende non solo carità, ma giustizia. Ma questa concezione rivoluzionaria è ancora lontana dal passare nella vita reale della comunità cristiana. La povertà della Chiesa. Una sfida aperLa di Giuseppe Savagnone ome Cristo ha compiuto la redenzione attraver so la povertà e le persecuzioni, così pure la Chie sa è chiamata a prendere la stessa via per comu nicare agli uomini i frutti della salvezza» (LG, 8). Così il Concilio Vaticano 11, nella Lurnen C Gentiurn, pone una pietra tombale sulla conce zione che, per secoli, ha fatto della potenza e del fasto una nota di stintiva della Chiesa. La sua credibilità, da questo momento in poi, non è affidata alla grandiosità dei monumenti, allo splendore degli arredi e dei paramenti, al prestigio diplomatico della Santa Sede, ma all’imitazione del suo Maestro che, pur essendo di con dizione divina, (<“spogliò se stesso, prendendo la condizione di schiavo” (Fi12,6-7) e per noi “da ricco che era si fece povero” (2 Cor 8,9)» (ivi). <( Giuseppe Savagnone è il direttore dell’Ufficio per la cultura della Diocesi di Palermo, è pubblicista ed è stato relatore a numerosi convegni ecclesiali. Di recente ha pubblicato: Icattolicie la politica. Sette nodi da sciogliere, Cittadella, Assisi 2012; Educare oggi a//e virtù, LDC,Torino 2011; Scienza e fede. La pazienza del dialogo, LDC, Torino 2010 e Maestri di umanità a/la scuola di Cristo. Per una pastorale che educhi gli educatori, Cittadella,Assisi 2010. Una Chiesa povera La povertà di cui qui si parla non è da intendere in senso esclusivamente economico. Essa non esclude che, in quanto istituzione umana, la Chiesa «per compiere la sua missione abbia bi sogno di mezzi umani», ma sta ad esprimere il senso più profondo dell’istituzione stessa che, anche quando si serve degli strumenti materiali richiesti dalla riuscita della sua missione, non lo fa (<per cercare la gloria terrena, bensì per diffon dialoghi n. 2gIugno 2012 dere, anche co E questo il sign poveri sono i pi( mentica o disp: scienza della br si o dai loro sim no completarne profeti». A questa idea d mette in bocca spirito» (Mt5,3 ca (6,20). C’è, peraltro, u economico. La i chezza dà l’illusi di non poter c profondo che k stile di vita del celli del cielo i h re il capo» (Lc9 Una simile pove velano solo mez assoggertare; da ch’esso in un fir ga misura a mo Una Chiesa pa’< dere ad ogni turno. Come di speranza nei pr nunzierà all’esei constatasse che sua testimonian ni» (GS, n. 76). Una Chiesa che sa che predilige riprendendo il me mezzo di az “forza dell’anim renza volontarh sofferenze all’av ti tra i forti”» . 2 In questo spirit( dialoghi n. 2 gIugno 2012 dere, anche col suo esempio, l’umiltà e l’abnegazione» (ivi). E questo il significato della povertà nella Bibbia. Già nell’AT «i poveri sono i piccoli, i deboli, gli oppressi, coloro che il mondo di mentica o disprezza, che si rassegnano alloro stato, hanno co scienza della loro impotenza, non attendono la salvezza da se stes si o dai loro simili, ma cercano rifugio in Dio solo e si abbandona no completamente alla sua bontà. Tale è il povero dei salmi e dei profeti». A questa idea di povertà si riferisce il Vangelo di Matteo quando mette in bocca a Gesù la grande proclamazione: «Beati i poveri in spirito» (Mt 5,3), esplicitando il senso del <(beati voi poveri» di Lu ca(6,20). C è, peraltro, uno stretto legame tra questo significato e quello economico. La tentazione del ricco è di auto-assolutizzarsi. La ricchezza dà l’illusione di essere onnipotenti. Chi è povero, invece, sa di non poter contare su sicurezze umane. E in questo senso profondo che la povertà è, per il cristiano, una imitazione dello stile di vita del suo Signore: «Le volpi hanno le loro tane e gli uc celli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posa re il capo» (Lc9,58). Una simile povertà rende liberi: dalle cose, che in quest’ottica si ri velano solo mezzi di cui disporre sovranamente, senza lasciarsene assoggettare; dal potere, che così spesso rischia di trasformarsi an ch’esso in un fine “impazzito”; dal consenso sociale, legato in lar ga misura a mode culturali effirnere e prive di reale fondamento. Una Chiesa povera è perciò una Chiesa libera, che rinunzia a go dere ad ogni costo di condizioni favorevoli da parte dei potenti di turno. Come dice la Gaudium et Spes, «la Chiesa non pone la sua speranza nei privilegi offertigli dall’autorità civile. Anzi, essa ri nunzierà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso potesse far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizio ni» (GS, n. 76). Una Chiesa che vuole essere fedele alla povertà è anche una Chie sa che predilige quei «mezzi poveri» di cui parla Jacques Maritain, riprendendo il pensiero di Gandhi e sottolineando «il valore, co me mezzo di azione politica e sociale, della “forza dell’amore” o “forza dell’anima” e della “forza della verità”: la pazienza e la soffe renza volontaria, “la rivendicazione della verità, non infliggendo sofferenze all’avversario, ma a se stessi”, diventano “l’arma dei for ti tra i forti”»2. In questo spirito, secondo il Concilio, «la Chiesa “prosegue il suo . dialoghi n. 2 gIugno 2012 (I) E DOSSIER UI CJD pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio” [Sant’Agostino, La Città di Dio, XVIII, 51, 2: PL 41, 614], annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli ven ga (cfr. i Cor 11,26)» (LG, n. 8). Compagna di strada dei poveri Solo a queste condizioni essa si può presentare come compagna di strada e di destino nei confronti dei poveri, secondo il famoso in (JD UI cipit della Gaudium et Spe «Le gioie e le speranze, le tristezze e le = angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti colo ro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le an Il gosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» (GS, n. 1). UI Bisogna stare attenti a parlare della povertà degli altri, se non si è o poveri. Si rischia di trovarsi non dalla parte di Giobbe, ma in quel i la dei suoi amici, che disquisiscono sulle sue sventure senza mai realmente esserne partecipi. Se siamo ricchi, più parliamo della povertà, più diamo l’impressione di voler mascherare con i discor si la nostra distanza da questa tremenda realtà. Ancora una volta, non si tratta solo di un problema economico. I confini della po vertà sono ampi quanto quelli dell’uomo e la varietà delle sue for me tanto grande quanto quella della sua umanità. Essa è un terri bile specchio che rimanda a noi tutto intero il I confini della povertà sono nostro volto, anche se sfigurato. I quadri di ampi quanto quelli dell’uomo Rouault esprimono con tremenda immediatez e la varietà delle sue forme za, con i loro volti deformi e umiliati di pagliac tanto grande quanto quella ci, di prostitute e di crocifissi, questa miseria che della sua umanità. Essa è un travolge l’uomo senza neppure concedergli la di terribile specchio che rimanda gnità dell’innocenza. a noi tutto intero il nostro E vero, la povertà cristiana implica non tanto un volto, anche se sfigurato. destino quanto una libera scelta, non un abbru timento, bensì un atteggiamento e uno stile di vita volti a rendere chi li pratica più umano. Ma dobbiamo sem pre tenere presente l’ombra oscura che questa parola proietta, no stro malgrado, e che la rende inquietante anche quando cerchia mo di neutralizzarne gli aspetti più drammatici. Altrimenti tutto si riduce a una pia retorica e perde il suo rapporto con la povertà fin troppo reale dei poveri della terra. Il modello è Cristo. E nella misura in cui implica l’effettiva parte cipazione al suo spogliamento che la povertà della Chiesa diventa autentica solidarietà. L’intima unione al suo Maestro la rende partecipe di quella specie di “passione” di Dio per i più derelitti diaIogh n. 2 giugno 2012 che pervade tut identificarsi, ne e i derelitti «Pe re, ho avuto sen ospitato, nudo e rato e siete veni cramento della solamente per i essere usata, è lo Ed egli fa suo il può avere nulla china sul pover a titolo di elemc e piena adesion prima che della Su questo punt terra e tutto que tutti i popoli, e equamente a tu dalla carità. Pei adattate alle leg diverse e mutev zione universal considerare le c come proprie, n vare non unican uomini spetta il alla propria fan della Chiesa, i c di aiutare i pove si trova in estrei dalle ricchezze a Per quanto rigu dium etSpescita espressamente danza sono dovi . Non si tratt 4 ri» la Populorum P7 della Chiesa hai di coloro che pc sogno: Non e dono al povero: - diaIogh n. 2 giugno 2012 che pervade tutta la missione pubblica di Gesù e che lo porta a identificarsi, nel discorso del giudizio finale, con tutti i bisognosi e i derelitti «Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangia re, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carce rato e siete venuti a trovarmi» (Mt 25, 35-36) rendendoli un sa cramento della sua persona divina. In tutto il Vangelo «Dio non è solamente per i poveri. Egli è con loro», anzi, se l’espressione può essere usata, è loro. Ed egli fa suo il loro grido. La solidarietà del cristiano, perciò, non può avere nulla a che fare con quell’aristocratica filantropia che si china sui povero per concedergli benignamente qualche spicciolo a titolo di elemosina, ma è condivisione delle condizioni dell’altro e piena adesione alle sue rivendicazioni, in nome della giustizia, prima che della canta Su questo punto il Concilio è chiarissimo: «Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, e pertanto i beni creati debbono essere partecipati equamente a tutti, secondo la regola della giustizia, inseparabile dalla carità. Pertanto, quali che siano le forme della proprietà, adattate alle legittime istituzioni dei popoli secondo circostanze diverse e mutevoli, si deve sempre tener conto di questa destina zione universale dei beni. L’uomo, usando di questi beni, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede non soio come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possano gio vare non unicamente a lui ma anche agli altri. Del resto, a tutti gli uomini spetta il diritto di avere una parte di beni sufficienti a sé e alla propria famiglia. Questo ritenevano giusto i Padri e dottori della Chiesa, i quali insegnavano che gli uomini hanno l’obbligo di aiutare i poveri, e non soltanto con il loro superfluo. Colui che si trova in estrema necessità, ha diritto di procurarsi il necessario dalle ricchezze altrui» (GS, n. 69). Per quanto riguarda quest’ultima precisazione, il testo della Gau dium etSpescita, in nota, san Tommaso d’Aquino, il quale afferma espressamente che «i beni che alcuni posseggono in sovrabbon danza sono dovuti, di diritto naturale, alla sostentazione dei pove . Non si tratta di un insegnamento isolato. Scrive Paolo VI nel 4 ri» la Populorum Progressio, al n. 23: «Si sa con quale fermezza i Padri della Chiesa hanno precisato quale debba essere l’atteggiamento di coloro che posseggono nei confronti di coloro che sono nel bi sogno: “Non è del tuo avere, afferma sant’Ambrogio, che tu fai dono al povero; tu non fai che rendergli ciò che gli appartiene. - - Ci) . daIogh n, 2 giugno 2012 CD DOSSIER Poiché è quel che è dato in comune per l’uso di tutti, ciò che tu ti annetti. La terra è data a tutti, e non solamente ai ricchi” (De Na buthe, c. 12, n. 53)». Nei nostri codici penali moderni se qualcuno sottrae a un altro qualcosa sotto l’urgenza del bisogno questo atto viene comunque considerato un furto, sia pure con delle attenuanti; nella dottrina conciliare, peraltro radicata in tutta la tradizione cristiana e in li nea con quella dei Papi, il furto è quello del ricco, che si teneva in debitamente ciò che non gli spettava, e il povero non fa altro che riprendersi ciò che è suo. La rivoluzione cristiana Comunismo? No, semplicemente Vangelo e magistero della Chiesa. Ma chi, oggi, dice queste cose dai pulpiti? Quale confes sore chiede conto, amministrando il sacramento della riconcilia zione, del modo di gestire i propri beni? Al centro dell’attenzione, da diversi anni a questa parte, sono altri problemi quelli legati all’inizio e alla fine della vita biologica, alla famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, alla libertà di educazione la cui importanza è indubbia e a proposito dei quali si parla giustamen te di «valori non negoziabili». Attenzione, però: guai se con questa formula si sottintendesse che invece tutti gli altri valori, relativi al l’arco dell’esistenza umana che si svolge tra il concepimento e la morte come sono i diritti e la dignità dei poveri possono esse re violati! Perché in questo caso la rivendicazione dei «valori non negoziabili» coinciderebbe, paradossalmente, con un negoziato sui valori! Da parte della Chiesa, essere fedele al Concilio esige, su questo punto, una chiarezza assoluta, per quanto essa possa costare in ter mini di attacchi e persecuzioni. Ne subisce già tanti per la sua di fesa coraggiosa della vita umana nascente e morente; deve essere pronta ad affrontare reazioni altrettanto aggressive per la sua soli darietà ai più poveri. Per questo, però, deve anche fare un onesto esame di quella che abbiamo indicato prima come la condizione per potere essere vici ni ad essi, che è la effettiva condivisione della loro povertà. Non ci si può non chiedere, perciò, quale sia stato l’accoglimento effetti vo dell’insegnamento del Concilio a questo proposito, da parte della comunità cristiana. La risposta non può essere univoca. Ci sono splendide testimonianze di coerenza evangelica offerte quo tidianamente da singoli e da comunità ecclesiali. Ci sono anche, però, sconcertanti contro-testimonianze la cui gravità, pur nella — — — —, dialoghi o. 2 gIugno 2012 carità verso le Un esempio pci ticano parlano che sarebbe agli Se è vero, dunq ne a favore dei le per quanto r munità cristian mo al Concilio rare il reale albi La solidarietà a ciliare, va ben o. globale: «Si evit tanti per la ma de abbondanza sono afflitte da] (GS, n. 88). Ma la povertà ci lo quella econo: appare, oggi pii nità ferita. Si di perduto». La p con gli uomini ne condividere i Zaccheo, i mis> more egli si fa ii quella della cro da Dio. Perciò, per ess fondo, oggi la ( cinti della devo: dare a incontrai tempio, impar nei peccatori, n rietà con i nemi ricerca si può tr un “trovare” è e può essere ricch . 5 vina» Forse non c’è un mente quest’uli questo uscire dialoghi n. 2 gIugno 2012 carità verso le persone, non può e non deve essere minimizzata. Un esempio per tutti: le recenti fughe di notizie dai palazzi del Va ticano parlano di un allarmante andazzo di spreco e di corruzione che sarebbe agli antipodi se confermato dello stile evangelico. Se è vero, dunque, che si impone una più decisa presa di posizio ne a favore dei poveri, si impone al tempo stesso una svolta radica le per quanto riguarda gli stili di vita concreti da parte della co rnunità cristiana a tutti i suoi livelli. Altrimenti il reiterato richia mo al Concilio diventa un pio slogan che finisce solo per masche rare il reale allontanamento da esso. La solidarietà con i poveri, peraltro, stando all’insegnamento con ciliare, va ben oltre i confini nazionali e si pone come un problema globale: «Si eviti questo scandalo: mentre alcune nazioni, i cui abi tanti per la maggior parte si dicono cristiani, godono d’una gran de abbondanza di beni, altre nazioni sono prive del necessario e sono afflitte dalla fame, dalla malattia e da ogni sorta di miserie» (GS,n.88). Ma la povertà che la Chiesa è invitata oggi a condividere non è so lo quella economica. Vi è una povertà dei cuori e delle menti che appare, oggi più mai, la piaga più drammatica della nostra uma riità ferita. Si diceva prima della “passione” di Dio per «ciò che era perduto». La povertà estrema in cui Cristo ha voluto identificarsi con gli uomini è quella del lebbroso, che egli tocca, quasi a voler ne condividere l’impurità, quella di Matteo e di Zaccheo, i miserabili pubblicani nelle cui di Per essere povera con i poveri more egli si fa invitare tra lo scandalo generale, fino in fondo, oggi la Chiesa quella della croce, da cui pendono i maledetti deve uscire dai sicuri recinti da Dio. della devozione e delle Perciò, per essere povera con i poveri fino in celebrazioni, e andare a fondo, oggi la Chiesa deve uscire dai sicuri re incontrare il Cristo fuori delle cinti della devozione e delle celebrazioni, e an mura del tempio, imparando a dare a incontrare il Cristo fuori delle mura del «cercarlo là dove non è: nei tempio, imparando a «cercarlo là dove non è: peccatori, nei lontani da Dio, nei peccatori, nei lontani da Dio, nella solida nella solidarietà con i nemici, rietà con i nemici, con i perduti [...]. Solo nella con i perduti». ricerca si può trovare il Cristo {...]. Quanto più un “trovare” è cristiano, tanto più è una spoliazione [...]. Non si può essere ricchi in Dio se non si vuole partecipare alla povertà di vi n a» . 5 Forse non c’è un testo del Concilio Vaticano 11 che esprima letteral mente quest’ultimo concetto. Ma è tutto il Concilio che è stato questo “uscire” dai recinti delle sicurezze tradizionali, per dare vita — dialoghi n. 2 gIugno 2012 — LU C/) LU LU (I) CD 31 DOSSIER LiJ (I) (I) LU = (2 uJ alla tradizione stessa, portandola oltre le sue gelose acquisizioni del passato e prolungandola coraggiosamente nel presente verso il futu ro. In questo senso, esso è stato un supremo atto di assunzione della povertà di Cristo, una kenosis, una spoliazione, con cui la Chiesa ha potuto liberarsi dalla corazza che la teneva lontana dal mondo e dal le sue povertà, impedendole di comunicargli la ricchezza del Vange lo. Nel Concilio la comunità cristiana ha imitato il gesto del suo Maestro: «Conoscete infatti la grazia del nostro Signore Gesù Cri sto: egli, da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diven taste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor8,9). Certo, questo avvicinamento al mondo ha prodotto anche dei contraccolpi destabilizzanti, a cui si appigliano tutti coloro pen siamo ai seguaci di mons. Letèbvre, ma non solo a loro! che vor rebbero rinnegare il Concilio o ridimensionarne la carica dirom pente. Ma questi contraccolpi non devono fare paura. Le diffi coltà e le contraddizioni del rinnovamento sono fisiologiche, per ché la Chiesa, come il Concilio stesso ricorda, «comprende nel suo seno peccatori ed è perciò santa e insieme sempre bisognosa di pu rificazione». Perciò essa «avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento» (LO, n. 8), accettando la pro pria fragilità e mettendola al servizio di quella di tutti gli uomini e le donne che possono così sentirla vicina nella loro ricerca. — — Note S. de Dietrich, cit. in J. Dupont, Le beatitudini, tr. it. C. Danna, Edizioni Paoline, Alba (CN) 1 1977, voI. Il, p722. J Maritain, Strutture politiche e libertà, tr. it. A. Pavan, Morcelliana, Brescia 1978, pp. 2 126-1 27. J. M. R. Tillard, Povertà evangelica, tr. it. G. Matti, EDB, Bologna 1983, p. 51. 3 Tommaso d’Aquino, Summa theo/ogiae, Il, q. 66, a. 7, c. H.U. von Balthasar, Il rosario. La salvezza de/mondo nella preghiera mariana, tr. it. Bene 5 dettine di Santa Maria di Rosano, Jaca Book, Milano 1978, pp. 39-41. dialoghi a. 2 gIugno 2012 «La verità non s’i che è alla base d humanae. L’esse questa la si raggi esterna. La dottri mutato contesto Dignita Ladich sulla liL di Luigi Lorenzetti L aDi nae, ma meli McL ro p smo e così favo non cambia la d pensa nel mutat Larticolo espon della Chiesa sul cultura modem il concetto di li soggettivismo e sa, come via alla Continuità e Per una erme; del secolo XIK Si critica il mag tema di libertà XX), quello che (secolo XIX). L la condanna d Mirari vos (183 dialoghi n. 2 giugno 2012