indice - Prontoinfermieri.it
Transcript
indice - Prontoinfermieri.it
INDICE 1 Introduzione ................................................................................................................3 CAPITOLO 1 La musica come terapia ............................................................................................6 1.1 Concetto di musicoterapia...................................................................................7 1.2 Principi di musicoterapia ....................................................................................8 1.3 Aspetti tecnici ...................................................................................................11 CAPITOLO 2 Musicoterapia in corsia ............................................................................................13 2.1 Aspetti terapeutici del suono ............................................................................14 2.2 Modelli applicativi della musicoterapia............................................................16 2.3 Effetti della musicoterapia sul dolore ..............................................................18 CAPITOLO 3 Il dolore: definizione e classificazione.....................................................................21 3.1 Neurofisiologia del dolore ...............................................................................22 3.2 Tipi di dolore ...................................................................................................24 3.3 Caratteristiche del dolore .................................................................................26 CAPITOLO 4 Approccio infermieristico del dolore ....................................................................29 4.1 Ruolo dell’infermiere nella gestione del dolore ...............................................30 4.2 Valutazione del dolore: le scale .......................................................................32 4.3 Trattamento farmacologico del dolore..............................................................37 4.4 Tecniche non farmacologiche per il controllo del dolore .................................40 Conclusioni................................................................................................................45 Bibliografia................................................................................................................47 Sitografia ...................................................................................................................49 2 INTRODUZIONE 3 La condizione di malattia e di dolore rappresenta un’esperienza fortemente traumatica in tutte le stagioni della vita; ha la capacità di rendere difficili anche le più semplici attività quotidiane, spesso provocando angoscia e depressione. La definizione stessa del dolore è complessa, in quanto esso coinvolge una pluralità di aspetti relativi alla sfera fisica, psicologica, sociale, relazione e lavorativa. L’argomento sul quale il mio elaborato si incentra è appunto il dolore e l’uso di tecniche non farmacologiche per la sua gestione. In particolare mi sono voluta soffermare su una metodologia che trova la sua applicazione nella medicina moderna per superare alcune forme di dolore e coadiuvare le terapie farmacologiche, la musicoterapia. La musica è un aspetto fondamentale dell’esistenza umana, essa, infatti, vi entra a far parte ancor prima della nostra nascita per poi accompagnarci durante il corso della vita; numero studi, infatti, hanno dimostrato che i primi suoni vengono percepiti dal feto già nel grembo materno. Tutti abbiamo a che fare con la musica: ascoltiamo la radio, la usiamo come contorno nei momenti importanti della nostra vita, c’è chi la pratica per passione e chi invece ne ha fatto uno strumento professionale infine c’è chi la utilizza come strumento riabilitativo e terapeutico. La musica si pone in un contesto non verbale come linguaggio e forma di comunicazione, capace di mobilitare la persona sia intimamente che in tutto il corpo, incentivare le sue capacità emotive, creative, relazionali stimolando memoria ed immaginazione, permettendo di superare filtri analitici e logici della mente, riuscendo ad entrare direttamente in contatto con i sentimenti e le passioni più profonde. La ragione sta nel fatto che la musica è di tutti, adulti, bambini, anziani senza distinzioni di genere razza o cultura ed è diretta poiché non crea vincoli e non richiede conoscenze specifiche. La musicoterapia è un campo multidisciplinare che integra competenze relative all’area medica, psicologica e musicale, che fonda il suo intervento su un processo interpersonale: è una relazione tra la persona soggetto del processo terapeutico ed il terapeuta. 4 L’obiettivo è quello di rivolgere l’attenzione al potenziamento delle abilità positive della persona ed al miglioramento dei suoi aspetti deficitari per una crescita armonica ed il raggiungimento di un reale stato di benessere, in una visione prettamente olistica. 5 CAPITOLO 1 La musica come terapia 6 1.1 CONCETTO DI MUSICOTERAPIA La musicoterapia è una modalità di approccio alla persona che utilizza la musica o il suono come strumento di comunicazione non-verbale, per intervenire a livello educativo, riabilitativo terapeutico, in una varietà di condizioni patologiche e parafisiologiche, con l’obiettivo di far acquisire al paziente nuove modalità di comunicazione con se stesso, col proprio nucleo familiare ed il mondo esterno al fine di migliorare la qualità di vita del paziente. Esistono numerose definizioni del concetto di musicoterapia. La World Federation of Music (Federazione Mondiale di Musicoterapia) ha dato nel 1996 la seguente definizione: “La musicoterapia è l’uso della musica e/o degli elementi musicali (suono, ritmo, melodia e armonia) da parte di un musicoterapeuta qualificato, con un utente o un gruppo, in un processo atto a facilitare e favorire la comunicazione, la relazione, l’apprendimento, la motricità, l’espressione, l’organizzazione e altri rilevanti obiettivi terapeutici al fine di soddisfare le necessità fisiche, emozionali, mentali, sociali e cognitive. La musicoterapia mira a sviluppare le funzioni potenziali e/o residue dell’individuo in modo tale che questi possa meglio realizzare l’interazione intra- e interpersonale e consequenzialmente possa migliorare la qualità della vita grazie ad un processo preventivo, riabilitativo o terapeutico. Secondo Rolando Benenezon, la massima autorità mondiale nel campo della musicoterapia e della sua applicazione, “La musicoterapia può essere definita in due modi: da un punto di vista scientifico, la musicoterapia è un ramo della scienza che tratta lo studio e la ricerca del complesso suono-essere umano (suono musicale o non) con l’obiettivo di ricercare elementi di diagnosi e metodi terapeutici. Dal punto di vista terapeutico, invece, la musicoterapia è una disciplina paramedica che utilizza il suono, la musica e il movimento per provocare effetti regressivi e aprire canali di comunicazione, con l’obiettivo di attivare per loro tramite, il processo di socializzazione e di inserimento sociale”. Possiamo, quindi, affermare che è la musica il tramite comunicativo, che permette al terapeuta di sintonizzarsi con il paziente, in un contesto di empatia e di profonda sensibilità emotiva. I suoni, associati ai movimenti corporei mirano a condurre il 7 soggetto il più vicino possibile a quello che effettivamente è, oltre la malattia, l’handicap psicofisico, e permettergli di comunicare ed esprimersi con le sue capacità. Quindi l’oggetto sonoro in musicoterapia assume connotati diversi da quelli assunti nella più comune accezione; infatti il termine “musica” viene generalmente usato in senso assai più ampio, corrispondente al significato di un universo sonoro, in cui i materiali sonori in esso utilizzabili non sono solo quelli tradizionali, ma anche i cosiddetti suoni comuni, come le sonorità corporee, oggettuali ed ambientali, oltre al silenzio. 1.2 PRINCIPI DI MUSICOTERAPIA La musicoterapia in quanto metodologia e tecnica d’applicazione clinica si basa sui due seguenti principi: - il principio dell’ISO - l’oggetto intermediario. Questi due principi non sono appannaggio esclusivo della musicoterapia poiché possono essere alla base di altre tecniche cliniche non-verbali. Tuttavia essi assumono, in musicoterapia, caratteristiche particolari che li distinguono. Principio dell’ISO Altshuler, nelle sue osservazioni cliniche sull’applicazione della musicoterapia, ha osservato che i depressi rispondono meglio alla stimolazione prodotta per mezzo di musica triste, piuttosto che di musica allegra. I maniaci, il cui tempo mentale è più rapido, rispondono meglio a un allegro che un andante. Sulla base di queste osservazioni, il concetto di ISO fu elaborato poco a poco come principio fondamentale della musicoterapia, sia sul piano teorico che pratico. ISO vuol dire uguale e sintetizza la nozione di esistenza d’un suono o di un insieme di suoni o di fenomeni sonori interni che caratterizzano ogni essere umano e lo differenziano dall’altro. Si stratta di un fenomeno sonoro e di movimento interno che riassume i nostri 8 archetipi sonori, il nostro vissuto sonoro intra-uterino e il nostro vissuto sonoro della nascita, dell’infanzia fino alla nostra età attuale. È un suono strutturato all’interno di un mosaico sonoro il quale a sua volta si struttura col tempo e che fondamentalmente è in perpetuo movimento. Nel processo musicoterapeutico è indispensabile che il musicoterapeuta conosca il proprio ISO in tutte le sue forme e che arrivi a conoscere anche l’ISO del/i paziente/i con cui lavora; in base a questa conoscenza si formalizza un progetto d’intervento relativo agli obiettivi da raggiungere e i mezzi da utilizzare per tali fini. Possiamo distinguere un ISO gestaltico, un ISO complementare, un ISO gruppale e un ISO universale. L’ISO gestaltico è il patrimonio dell’individuo che lo caratterizza e lo differenzia dagli altri individui. La sua identità sonora si struttura a partire dalla storia dell’embrione in gestazione. Tutti i fenomeni sonori come ad esempio il sussurro della voce della madre, il fruscio delle pareti uterine, il flusso sanguigno, le variazioni delle pulsazioni, che saranno vitali per la vita dell’embrione, fanno parte integrante dell’ISO gestaltico. Questi riceve, durante i mesi della gestazione, stimoli provenienti da tre grandi fonti che ne favoriranno la strutturazione. - Dall’esterno, attraverso il liquido amniotico: voce del padre ed altre voci, rumori dell’ambiente sociale, suoni musicali-culturali. - Dall’interno della madre: voce della madre, ritmo di inspirazione ed espirazione, battito cardiaco. - Dallo stesso corpo del feto: il flusso sanguigno con tutte le sue caratteristiche di nutrizione, respirazione, funzioni vitali, il battito cardiaco, i fenomeni sonori del funzionamento del suo organismo. L’ISO complementare è l’insieme di piccole modifiche che si attenuano ogni giorno o in ogni seduta di musicoterapia sotto l’effetto di circostanze ambientali e dinamiche. L’ISO gruppale è intimamente connesso allo schema sociale all’interno del quale l’individuo evolve. Occorre un certo lasso di tempo perché l’ISO gruppale si instauri e si strutturi: dipenderà spesso dalla buona composizione del gruppo e della conoscenza 9 dell’ISO individuale di ciascun paziente da parte del musicoterapeuta. L’ISO gruppale è fondamentale allo scopo di raggiungere un’unità di integrazione in un gruppo terapeutico in un contesto non-verbale. L’’ISO universale è un’identità sonora che caratterizza o identifica tutti gli esseri umani, indipendentemente dal particolare contesto sociale, culturale, storico e psico-fisiologico. Fanno parte dell’ISO universale le caratteristiche particolari del battito del cuore, dei suoni d’inspirazione ed espirazione, nonché la voce della madre al momento della nascita e nei primi giorni di vita. L’ISO culturale si forma nel preconscio. Tutti i fenomeni sonori percepiti dalla coscienza e che provengono dal mondo circostante, avranno una prevalenza selettiva nel diventare parte dell’ISO culturale. Le voci dei medici e delle infermiere in sala chirurgica, i pianti degli altri bambini, le diverse tonalità delle voci rivolte al neonato, il telefono, il campanello, il sonaglio, le risate, il nome proprio, struttureranno velocemente l’ISO culturale. L’oggetto intermediario Un oggetto intermediario è uno strumento di comunicazione in grado di agire terapeuticamente sul paziente all’interno della relazione e capace di consentire il passaggio d’energia comunicativa tra questi e il musicoterapeuta, senza dar vita a stati d’allarme intensi. Esempi di oggetti intermediari possono essere le marionette, infatti, Rojas Bermudez, scoprì che attraverso di esse era in grado di creare legami che consentivano al paziente di uscire dal proprio isolamento. Osservò anche che i messaggi delle marionette ottenevano una risposta che il terapeuta non era in grado di ottenere cioè, per situazioni particolari, i pazienti rispondevano quando l’emittente non era un essere umano. Nell’ambito della musicoterapia, invece, oggetti intermediari possono essere considerati tutti gli strumenti musicali e il suono, o i suoni che emettono. Bisogna, però, fare una differenza tra marionetta e strumento musicale; infatti per quanto riguarda la marionetta, l’emissione sonora partirà direttamente dal terapeuta: sarà dunque un rapporto molto stretto. Lo strumento, invece, ha in se la fonte d’emissione sonora che è indipendente dal musicoterapeuta. Lo strumento suonato, da uno dei due, esprimerà immediatamente 10 la propria identità sonora. Di conseguenza, la corretta scelta di un oggetto intermediario nella relazione terapeutica dipenderà dall’abilità del musicoterapeuta nell’identificazione dell’ISO (identità sonora) del paziente. L’oggetto intermediario, infine, deve possedere le seguenti caratteristiche: - esistenza reale e concreta - innocuità: non deve dar vita a reazioni d’allarme - malleabilità: può essere utilizzato per qualsiasi ruolo - adattabilità: si deve poter adattare ai bisogni del soggetto. 1.3 ASPETTI TECNICI Per poter condurre a termine un processo terapeutico utile ed efficace in musicoterapia è importante conoscere con chiarezza i due elementi tecnici fondamentali: il laboratorio di musicoterapia e lo strumentario. È possibile, naturalmente, adattare tutto ciò alle possibilità istituzionali e secondo le specifiche applicazioni cliniche. Il laboratorio di musicoterapia o setting costituisce una parte importante di una seduta. È stato dimostrato che le sue modificazioni provochino cambiamenti nella condotta e nel comportamento del paziente. Il laboratorio deve essere convenientemente isolato dai suoni esterni in modo da consentire un lavoro in una certa condizione di asetticità nel contesto non-verbale. Il locale ideale non dovrebbe essere né troppo grande, in quanto potrebbe generare dispersione, né troppo piccolo in quanto impedirebbe gli spostamento o il movimento, indispensabili durante una seduta. La sala ideale, secondo Benenzon, dovrebbe misurare cinque metri per cinque, il muro privo di oggetti decorativi, in modo che la quantità di stimoli sia molto modesta, per poter concentrare tutto il lavoro sull’aspetto sonoro e gestuale. Per quanto riguarda lo strumentario, costituisce un elemento fondamentale della musicoterapia; è composto dall’insieme di strumenti corporeo-sonoro-musicali da 11 utilizzare durante le sedute. Il criterio con cui scegliere gli strumenti varia molto da caso a caso e in base all’orientamento teorico del musicoterapeuta. In musicoterapia gli strumenti classici non sono i soli ad avere importanza: si utilizzano anche il corpo, la voce, le mani, le cosce, e persino gli strumenti creati dal paziente. Inoltre, molto importante, è tener presente che uno strumento può essere utilizzato non solo in modo classico, ma anche in tutta la gamma delle sue possibilità; ad esempio, del pianoforte non sarà utilizzata solo la tastiera, ma anche la cassa e le corde. Normalmente si preferisce usare strumenti cosiddetti “aperti” ai quali è facile approcciarsi anche senza una preparazione musicale, strumenti aperti sono ad esempio il pianoforte (anche un bambino piccolissimo, istintivamente mette le dita sui tasti e suona) oppure le percussioni. Sono sconsigliati, invece, gli strumenti cosiddetti “chiusi” come ad esempio la maggior parte degli strumenti a fiato (è praticamente impossibile far emettere un suono ad un clarinetto senza un’adeguata preparazione). Di grande interesse è anche la creazione degli strumenti, che possono essere costruiti sia dal paziente che dal musicoterapeuta. E’ importante sottolineare che se il musicoterapeuta conosce con chiarezza il proprio ISO, è in grado di creare uno strumento in accordo con l’ISO del paziente, cioè di costruire un oggetto intermediario ottimale per la comunicazione. Ogni musicoterapeuta, inoltre, deve avere un proprio gruppo operativo strumentale, detto G.O.S. con il quale lavorerà con i pazienti, sia individualmente che in gruppo. Gli strumenti saranno sempre gli stessi, se ne inseriranno dei nuovi solo eccezionalmente, a seconda della strategia d’intervento decisa dal terapeuta. Gli strumenti che costituiscono un G.O.S. sono convenzionali e non convenzionali. Quelli convenzionali sono costruiti industrialmente, si acquistano in genere nei negozi e sono noti a tutti; quelli non convenzionali vengono costruiti dallo stesso musicoterapeuta con modalità che terranno conto della finalità dello strumento. Soltanto eccezionalmente potranno essere incorporati al G.O.S. dal terapeuta gli strumenti portati dal paziente, quando egli lo riterrà opportuno in base alle loro particolari caratteristiche. 12 CAPITOLO 2 Musicoterapia in corsia 13 2.1 ASPETTI TERAPEUTICI DEL SUONO Si chiama suono il movimento vibratorio di un corpo elastico capace di compiere delle oscillazioni di tipo meccanico che si propagano in tutte le direzioni e alle quali l’orecchio umano e animale è sensibile. Se consideriamo tutto lo spettro di frequenze possibili, compresi gli infrasuoni e gli ultrasuoni, possiamo affermare che ogni corpo in vibrazione emette un suono; questo fenomeno avviene con facilità ed una frequenza notevolissima nell’ambiente che ci circonda: basta infatti che i due corpi si sfiorino o il corpo si muova in un fluido che subito ne scaturisce un suono. Fin dalla nostra infanzia abbiamo vissuto, sperimentato e immagazzinato diversi modelli sonori, associando a ciascuno di essi una particolare entità definita (una sensazione, un significato, una reazione biochimica, o più in generale un concetto): tutti questi suoni possono essere definiti modelli sonori condizionati, in quanto derivanti da un’associazione mentale. Esistono però anche dei modelli sonori incondizionati, a cui appartiene tutta una gamma di “suoni primitivi” , puro riflesso delle emozioni. Oggigiorno esistono solo due suoni incondizionati (primitivi): il pianto ed il riso; tutti gli altri suoni primitivi sono ormai scomparsi assieme ad una parte della spontaneità comportamentale. E’ proprio in questo contesto che entra in gioco il potere della musica e del suono in senso lato. Non è difficile infatti rendersi conto che il principale effetto che tutti i suoni, ed in particolare la musica, producono su di noi è rappresentato proprio da emozioni. Tenendo conto che l’enorme bagaglio di accumuli emotivi che risiede nel nostro essere sono spesso causati dal blocco delle emozioni e sono la principale causa dei fenomeni patologici a sfondo psicosomatico, non è difficile rendersi conto del potenziale benefico della musica: essa suscita emozioni positive che correttamente sfruttate possono rimuovere o trasformare le energie negative accumulate che causano un errato funzionamento della struttura psicofisica. Un effetto più diretto, ma meno riconoscibile, è rappresentato dalla vibrazione indotta sul nostro corpo dalla sorgente che produce il suono. Ogni strumento musicale produce infatti vibrazioni particolari, rappresentate dalle onde acustiche generate dal mezzo 14 eccitante (le corde di una chitarra o di un pianoforte, le superfici di un tamburo, …),che giungono fino a noi e ci trasmettono il loro potere inducendo il nostro corpo a vibrare anch’esso. Generalmente gli esseri umani reagiscono in due modi alle vibrazioni sonore: con l’alterazione ritmica o con la risonanza. Per alterazione ritmica s’intende quel fenomeno in base al quale, in presenza di uno stimolo esterno, il ritmo naturale del cuore si modifica e si sincronizza con quello della fonte sonora. Per risonanza, invece, s’intende quel fenomeno in base al quale diverse frequenze sonore (suoni di altezze diverse) stimolano la vibrazione di diverse zone del corpo. Generalmente i suoni bassi stimolano le parti inferiori del corpo, mentre quelli alti le parti superiori. Attraverso la cassa armonica degli strumenti musicali, il fenomeno della risonanza può essere utilizzato in musicoterapia per indurre la persona a sentirsi accolta e compresa, senza l’ausilio delle parole. Quest’atmosfera può riportare ciascuno di noi all’esperienze originarie vissute nella nostra storia personale fin dall’istante del concepimento. Sono infatti ormai a tutti noti i risultati delle ricerche condotte al fine di valutare l’influenza dell’ambiente sonoro in cui si sviluppa il feto. La vita all’interno del grembo materno è un susseguirsi di fenomeni sonori che presentano aspetti costanti come il pulsare del cuore, il circolare vorticoso del sangue, l’immissione ed emissione dell’aria e variabili come la voce e tutti suoni provenienti dall’esterno. Per tutti i mesi della gestazione la nuova vita, all’interno del corpo materno, si nutre di alimenti attraverso la placenta e di esperienze acusticosonore che impregnano di esperienza il bambino che sta crescendo ed influenzeranno la sua vita futura. Tutti questi suoni rappresentano la prima orchestra conosciuta da ogni essere umano. In sintesi, possiamo affermare che il suono viene raccolto dal nostro orecchio ed elaborato dal nostro cervello in una collezione di emozioni che producono in noi modificazioni a livello psichico (rilassamento, paura, ansia, ecc.) e fisico a livello delle 15 funzioni vitali dell’organismo (una musica brillante, ad esempio, produce un aumento della frequenza del battito cardiaco, mentre gli strumenti a corda favoriscono la peristalsi intestinale). Tutto ciò naturalmente è vero se si assume un atteggiamento attivo nei confronti della musica: ascoltarla passivamente, infatti, è come guardare un quadro d’autore senza vederlo. Il musicoterapeuta conosce gli effetti positivi della musica e deve stare attento a non mettere in atto quelli negativi. Come per tutto quanto riguarda l’uomo, ciò che può fare bene se somministrato attentamente, in dosi eccessive può essere nocivo. Ciò vale anche per la musica. 2.2. MODELLI APPLICATIVI DELLA MUSICOTERAPIA La musicoterapia agisce essenzialmente come una tecnica psicologica, vale a dire che il suo apporto terapeutico risiede nella modificazione di atteggiamenti, problemi emotivi e della dinamica psichica, con lo scopo di modificare la patologia da cui è affetto l’essere umano, sia essa somatica o psichica. Inoltre, il suo contributo non è solo quello di un eccellente tecnica di comunicazione, ma anche un aiuto ad altre tecniche terapeutiche con le quali la musicoterapia collabora, aprendo canali di comunicazione in modo che queste possano agire efficacemente. Le principali applicazioni cliniche della musicoterapia si ritrovano nei deficit mentali, negli handicap motori, nei disturbi dell’udito e nell’autismo infantile. I metodi usati in caso di pazienti affetti da deficit mentali devono essere soprattutto metodi di rinforzo della struttura dell’ego e di apprendimento. Inoltre, è essenziale disporre di materiale ausiliario, come palle, cerchi e corde, cioè oggetti che invitino al movimento e che possano essere utilizzati durante i giochi musicali. Anche l’utilizzo del corpo come strumento di percussione e di movimento è fondamentale: il battere delle mani, il dondolamento di un piede sull’altro sono tutti esercizi con i quali il paziente prende coscienza del proprio corpo. 16 Nel caso di soggetti affetti da lesioni motorie si può parlare della musicoterapia come di una comunicazione di tipo regressivo a tappe, in cui l’apparizione dell’attività motoria precede lo stimolo sensoriale. La musicoterapia agirà, quindi, come elemento che va dal paziente verso l’esterno e, in minimo grado, come elemento di stimolo sensoriale dall’esterno verso l’interno. Nel caso di soggetti affetti da problemi d’udito, sebbene venga a mancare un sistema di percezione sonora fondamentale, che è appunto l’udito, esistono altri sistemi in grado di percepire il suono, come il sistema di percezione interna, il sistema tattile ed il sistema visivo. Di questi tre sistemi il più importante è i sistema sensorio-tattile, che può arrivare insieme agli altri due a sostituire il sistema uditivo. La musicoterapia può essere utilizzata anche per assistere persone affette da stress, partorienti, prematuri, anziani affetti da Alzheimer o malati terminali. L’intervento musicoterapeutico si propone di offrire agli utenti la possibilità di comunicare attraverso linguaggi non-verbali, aprendo canali espressivi che permettono all’individuo di manifestare emozioni, accedere alle proprie risorse e valorizzarle. Quando il linguaggio non è acquisito, quando lo sviluppo si presenta problematico, le relazioni difficili, se non impossibili, la musicoterapia rappresenta lo strumento per eccellenza con cui entrare in contatto con l’altro, dargli l’opportunità di rilevarsi, comunicare attraverso la propria musica interiore, sempre portatrice di vissuti e valori personali. Esistono due diverse modalità inerenti alla musicoterapia: quella attiva, che si basa sull’autoproduzione sonora del paziente attraverso l’uso di strumenti musicali, della voce, dei gesti, dei movimenti favorendo la creatività l’espressione spontanea; e quella ricettiva, che si basa sull’ascolto di suoni e di musiche scelte dal musicoterapeuta, che permettono al paziente di rilassarsi, di provare emozioni ed evocare ricordi positivi. 17 2.3 EFFETTI DELLA MUSICOTERAPIA SUL DOLORE La terapia con la musica, intesa come metodo d’intervento nell’attenuazione del dolore, produce effetti benefici sia psicologici che fisiologici. Gli elementi costitutivi la comunicazione musicale sono la frequenza, l’intensità l’intervallo e la durata. Tutti questi elementi, nelle loro reciproche relazioni, veicolano in parte lo stato psicofisico generale di un paziente. Per esempio, una frequenza elevata (ossia un suono alto, acuto) agisce come un forte stimolo nervoso, mentre una frequenza medio-bassa ha un effetto più rilassante; a seconda dell’andamento ritmico si possono suscitare comportamenti incontrollati o indurre sonnolenza. La musica agisce, in una concezione olistica che considera l’unità indissolubile di corpo-cervello-mente, sugli organi, sulle ghiandole endocrine, sul sistema personale, in una parola sulla cognizione. Gli effetti positivi prodotti dalla musica sono molteplici: - distrae; - determina un’inibizione endogena del dolore; - promuove il rilascio di endorfine (oppioidi endogeni) nel corpo, le quali agiscono contro il dolore; - può dare al paziente una benefica sensazione diffusa di controllo del dolore; - se lenta produce un rilassamento e rallenta il ritmo respiratorio e cardiaco. Per stimolare una risposta positiva, la musica deve essere anzitutto percepita dall’ascoltatore come piacevole o significativa. Essa infatti sembra avere un effetto maggiore quando viene scelta dal paziente o quando almeno appartiene ad un genere che egli preferisce. 18 Le scelte operate dal paziente sono di fondamentale importanza, proprio perché i soggetti hanno poi risposte fisiologiche e psicologiche differenti in relazione alle preferenze. Ad esempio, se viene somministrata musica che non piace o che evoca ricordi spiacevoli, questo può indurre reazioni avverse e risposte negative. La musica deve essere in accordo con l’umore del paziente, ed è importante che egli sia partecipe nel processo elettivo insieme al musicoterapeuta. In effetti, i risultati finali e positivi dipendono anche dalla volontà terapeutica assunta dal paziente stesso e dalla modalità di somministrazione. Negli Stati Uniti, durante le due guerre mondiali la musica veniva spesso utilizzata per il trattamento dei traumi e delle ferite riportate dai veterani. Gli individui ospedalizzati si cimentavano, attivamente (suonando) o passivamente (ascoltando), nelle attività musicali, che alleviano la percezione del dolore. Diversi sono gli studi che dimostrano gli effetti della musica sul dolore. Alcuni ricercatori della statunitense Cleveland Clinic guidati dalla dottoressa Sandra Siedlecki hanno scoperto che se ad alcuni pazienti affetti da dolore cronico veniva fatta ascoltare musica classica per un’ora tutti i giorni, questi sperimentavano una riduzione del dolore pari al 20% dopo appena una settimana. La dottoressa Siedlecki ha affermato, infatti, a tale proposito, che l’ascolto della musica può ridurre i livelli circolanti di cortisolo ( noto anche come “ormone dello stress”). Il cortisolo è ritenuto giocare un ruolo chiave nell’aumentare l’attività metabolica e nell’interferire in negativo con l’azione del sistema immunitario. Questo stesso ormone, quando squilibrato, è stato associato a depressione e ansia. L’azione del cortisolo è strettamente collegata con l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, che è un complesso in grado d’influenzare le reazioni allo stress, regolando tra gli altri l’umore e le emozioni. Altri studi, invece, hanno dimostrato che il nostro cervello possiede tutti gli strumenti necessari e i meccanismi per curare il dolore. Una pratica musicale può 19 agire su di essi, come un potente attivatore e amplificatore esterno. Una musica piacevole stimola la produzione di oppioidi endogeni. Proprio sulla base di queste scoperte si rivela più che utile l’impiego della musica come distrazione dal dolore, non solo durante la degenza, ma anche sotto operazione chirurgica. In queste circostanze la musica può suggerire l’evasione dal dolore e dalla situazione di ricovero, stimolando l’immaginazione ed incrementando quindi la sensazione di avere un “controllo” sul dolore. In questo modo si decrementa l’ansia, unitamente alle sensazioni si tristezza e panico, fino a ridurre la percezione del dolore stesso. 20 CAPITOLO 3 Il dolore: definizione e classificazione 21 3.1 NEUROFISIOLOGIA DEL DOLORE Nessuna definizione del dolore è mai riuscita ad essere scientificamente completa e soddisfacente. Aristotele lo definì “ un’emozione opposta al piacere”; John Bonica, uno dei fondatori della moderna algologia, scrive invece: “ sono così lontano dall’aver trovato una soddisfacente definizione di dolore che ogni tentativo mi sembra inutile”. Come tutti gli stati emotivi (la gioia, la paura, la tristezza, la nostalgia) anche il dolore non può essere adeguatamente definito, almeno nel senso corrente che si dà al termine definizione. L’International Association for the Study of Pain (IASP) ha definite il dolore come “ un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tessutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno”. Una definizione più semplice è quella data da Margo McCaffery, un infermiere, il quale affermò “il dolore è qualunque cosa la persona dice essere, esistere, ogni qual volta la persona lo dice”. Entrambe le definizioni, quindi, suggeriscono che il dolore è un esperienza soggettiva ed individuale, non sempre direttamente proporzionale all’entità del danno tissutale (qualora esista), e dipende da una complessa interazione di fattori ambientali, psicologici, sociali ed anamnestici in grado di variare la sensazione dolorosa, intensificandola o migliorandola. Il dolore ha una funzione fondamentale per la sopravvivenza della persona in generale. Infatti, lo stimolo nocicettivo è finalizzato ad allertare il nostro organismo del pericolo potenziale preparandolo all’allontanamento della noxa patogena e a mettere in campo comportamenti finalizzati al ripetersi della minaccia. L’informazione dello stimolo nocicettivo arriva schematicamente attraverso due vie: la via neo-spino-talamica che è specializzata nel trasmettere la localizzazione del dolore in modo più veloce possibile, per agire per via riflessa ed integrata a livello centrale e la via paleo-spino-talamica che trasmette l’impulso più lentamente, ma attiva l’ipotalamo ed il sistema limbico fornendo le basi per l’esperienza emotiva spiacevole alla base di eventuali comportamenti protettivi. 22 Il sistema simpatico viene attivato con aumento della frequenza cardiaca, vasocostrizione periferica, redistribuzione del flusso ematico dai visceri e dalla cute verso i muscoli ed il cervello. Il tutto è finalizzato a far fronte ad una situazione di emergenza e deve durare poco, in quanto una condizione prolungata di questo stato mette in pericolo la funzionalità dei vari organi. Da un punto di vista anatomo-fisiologico il sistema algico può essere definito come un sistema neuro-ormonale complesso; infatti tra lo stimolo dannoso a livello tessutale e l’esperienza soggettiva del dolore è interposta una serie complessa di eventi chimici ed elettrici. Quattro distinti complessi vengono coinvolti: la trasduzione, la trasmissione, la modulazione e la percezione. La trasduzione, o attivazione del recettore, rappresenta il processo attraverso cui lo stimolo nocivo, viene convertito in impulso nervoso elettrochimico. Tramite questo processo lo stimolo viene trasmesso in una forma di messaggio comprensibile alle strutture nervose centrali. I recettori, che si attivano, vengono anche detti nocicettori e non sono altro che terminazioni nervose libere nei tessuti, che rispondono a stimoli intensi come ad esempio cambiamenti di temperatura, chimici o meccanici che sono potenzialmente in grado di creare danni. I nocicettori si trovano sulla pelle, sui vasi sanguigni, sul tessuto sottocutaneo, sui muscoli, sul periostio, sui viscere e su tante altre strutture. La trasmissione, invece, rappresenta quel processo attraverso il quale l’informazione in codice viene trasmessa alle strutture del sistema nervoso centrale deputate all’elaborazione della sensazione di dolore. La prima tappa della trasmissione è rappresentata dalla conduzione degli impulsi attraverso gli afferenti primari al midollo spinale. A questo punto gli afferenti primari attivano i neuroni spinali che trasmettono il messaggio al cervello. Gli afferenti primari sono costituiti da un insieme di fibre che possono possedere o meno un rivestimento costituito da una guaina mielinica. Questa caratteristica unita alla velocità di conduzione nervosa ha consentito di classificare le fibre in diverse categorie. 23 Le fibre Aδ sono costituite da piccoli assoni scarsamente mielinizzati a bassa velocità di conduzione; conducono il dolore pungente, “rapido” e ben definito, simile ad una puntura. Le fibre C sono costituite, invece, da piccoli assoni amielinici a velocità di conduzione ancora più lenta. Appartengono a questo gruppo la quasi totalità delle fibre afferenti viscerali. Le fibre C sono deputate a trasmettere il dolore urente, diffuso, mal localizzato, spesso simile ad una bruciatura. Le fibre Aβ infine, sono costituite da grandi assoni mielinizzati a rapida conduzione, la cui attività si associa generalmente alla stimolazione tattile, pressoria o comunque non dolorosa. La fase successiva è data dalla modulazione, che si riferisce all’attività neurologica di controllo dei neuroni di trasmissione del dolore. Ciò giustifica come uno stesso stimolo nocicettivo in soggetti diversi, ma anche nello stesso individuo, possa provocare risposte del tutto diverse come entità della sensazione e qualità della stessa. Il processo finale è la percezione attraverso la quale l’attività dei neuroni nocicettivi di trasmissione produce un fenomeno soggettivo. 3.2 TIPI DI DOLORE Il dolore è abitualmente definito in base alla causa che lo ha determinato, ricordiamo infatti: - il dolore nocicettivo; - il dolore neuropatico; - il dolore psicogeno; - il dolore cronico; - il dolore oncologico. Per dolore nocicettivo s’intende quel tipo di dolore che compare in seguito ad un evento lesivo, come per esempio un trauma o un intervento chirurgico. Lo stimolo viene 24 percepito a livello periferico e trasmesso al sistema nervoso centrale, dove viene memorizzato. Può essere somatico, se causato da una lesione dei tessuti; di solito è un dolore descritto come puntorio se provocato da uno stimolo di breve durata, diviene urente e sordo, invece, se lo stimolo è prolungato nel tempo. A volte si accompagna a particolari sensazioni quali: dolenzia, iperalgesia, iperestesia e prurito. Le strutture che generano questo tipo di dolore sono la cute, il sottocute, le fasce muscolari, i tendini, le strutture articolari ed il periostio. Il dolore nocicettivo può anche essere viscerale, se causato da alterazioni a carico degli organi interni. L’intensità del dolore è correlata e si risolve, in genere, al risolversi della causa. Si parla di dolore acuto quando lo stimolo lesivo si accompagna a una serie di reazioni di difesa che tendono a compensare o allontanare la causa del dolore stesso, spesso con attivazione di alcune funzioni neurovegetative come l’aumento dell’attività respiratoria, la tachicardia o l’aumento della pressione arteriosa. Il dolore neuropatico, invece, è un dolore continuo, che si manifesta in assenza di stimoli, oppure come conseguenza di stimoli talmente lievi da essere normalmente innocui o poco dolorosi. Questo tipo di dolore può essere attivato da lesioni o alterazioni del sistema nervoso centrale o periferico ma, secondo studi più recenti anche da traumi di varia natura ed intensità. Tra le cause scatenanti possiamo trovare il piede diabetico o altre neuropatie correlate alla malattia, le infezioni da Herpes o l’amputazione. In alcuni casi, inoltre, il danno neuropatico può manifestarsi come un assenza di sensibilità a stimoli dolorifici, al calore o al tatto. Il dolore misto è un dolore con caratteristiche tipiche sia del dolore nocicettivo che del dolore neuropatico ed è probabilmente quello di più frequente riscontro in molte patologie di osservazione ambulatoriale come il comune mal di schiena, il dolore toracico o alcune lombosciatalgie. Col termine dolore psicogeno, s’intendono, invece, tutti quei dolori di natura psicosomatica maggiormente riscontrabili in soggetti con carattere particolarmente ansioso ed emotivo o che vivono situazioni di stress. Sono dolori che durano a lungo, anche quando è superato l’evento o la situazione scatenante. Studi recenti hanno 25 evidenziato la notevole correlazione fra vari tipi di fattori stressanti e processi biologici, biochimici, neuroendocrini ed immunitari che possono correlarsi al dolore. Si parla, infine, di dolore cronico se dopo la fase acuta la sensazione dolorosa perdura, viene meno la sua utilità biologica e diviene esso stesso vera e propria malattia. È un dolore che dura almeno per tre mesi o che comunque permane oltre il tempo normale di guarigione. Può determinare modificazioni affettive e comportamentali, condurre ad invalidità o disabilità con il rischio di incidere negativamente sulla qualità di vita e sulle performance lavorative. Nel dolore cronico, infatti, si sviluppano gradualmente debolezza, disturbi del sonno, perdita dell’appetito e depressione; il risultato ultimo è rappresentato spesso dall’isolamento sociale. Il 7% dei casi di dolore cronico è legato alle forme tumorali, in questo caso si può parlare di dolore oncologico. Si può presentare sia in maniera acuta che cronica; nelle fasi avanzate della malattia, questo tipo di dolore assume le caratteristiche di “dolore globale” ovvero di vera e propria sofferenza personale che riconosce cause non soltanto fisiche, ma anche psicologiche e sociali, che lo sostengono. 3.3 CARATTERISTICHE DEL DOLORE Il dolore è descritto attraverso la sua localizzazione, intensità, qualità e modello temporale. Le componenti sensoriali dell’esperienza dolorosa sono soggettive, ma possono essere misurate attraverso strumenti standardizzati. L’intensità del dolore indica l’importanza e la quantità di dolore percepito. I termini usati per descriverla includono: nessuno, lieve, leggero, moderato, grave ed intenso; inoltre l’intensità può anche essere descritta attraverso l’uso di scale numeriche. La gravità del dolore può variare fra le persone in base a precedenti esperienze di dolore, aspettative personali, attitudine a distrarsi o capacità di concentrarsi su altre cose. L’assistito può avere timore a comunicare l’intensità del proprio dolore e di conseguenza, tende a minimizzarlo. Anche il livello di attività influenza l’intensità, infatti una persona può non avvertire il dolore a riposo o quando è distesa, ma provare 26 un grave dolore al più piccolo movimento, per esempio nel cambiare posizione, nel fare un respiro profondo o quando tossisce. A tale proposito è utile introdurre due concetti fondamentali quello della soglia del dolore e della tolleranza. Per soglia del dolore s’intende la quantità di stimoli dolorosi richiesti perché una persona senta il dolore. In condizioni normali la soglia è abbastanza uniforme nel corso della vita di una persona e accomuna quasi tutte le persone; vi possono essere, comunque, alcune eccezioni, infatti, in presenza di danno tissutale, lo stesso stimolo, che una volta aveva causato poco o nessun dolore può produrre un dolore molto intenso. Per quanto riguarda, invece, la tolleranza del dolore è intesa come la massima intensità che una persona è in grado di tollerare. Alcune persone posso tollerare dolori anche gravi, altre invece tollerano solo la minima mancanza di confort. Altra caratteristica del dolore è rappresentata dalla qualità, che si riferisce al modo in cui il dolore viene percepito dall’assistito o alle parole usate per descrivere la natura del dolore. I più comuni descrittori usati per descriverla sono: penetrante, fastidioso, schiacciante, palpitante, bruciante o pungente. Queste informazioni possono spesso determinare l’origine del dolore e possono risultare utili nel raccomandare le opzioni di trattamento. Il modello temporale, invece, comprende sia l’inizio del dolore che la durata. L’assistito può avere un dolore continuo, incidentale, cioè che dipende da specifici movimenti o azioni, ma anche intermittente. I termini acuto e cronico, sono spesso usati per indicare i due principali tipi di dolore in base all’inizio e alla durata. Si parlerà di dolore acuto quando esso si verifica in modo repentino ed inaspettato dopo un trauma o una malattia e persiste finché non ci sarà la guarigione. Questo tipo di dolore aumenta di notte, durante la cura della ferita, la deambulazione o la tosse; se non è efficacemente gestito può progredire a uno stato cronico. 27 Il dolore cronico, al contrario, si ha per periodi prolungati e la sua causa non è trattabile con terapie particolari. È associato a patologie tissutali prolungate, oppure è un dolore che persiste oltre il normale periodo di guarigione da una malattia o un trauma acuto. Infine, l’ultima caratteristica è rappresentata dalla localizzazione, fondamentale per determinare il tipo di patologia dolorosa presentata dal paziente. Può essere utile farsi indicare le parti interessate su una mappa del corpo umano. Il dolore in base alla localizzazione si può dividere in superficiale, che proviene dalla pelle o da un tessuto interno, di solito è circoscritto e l’assistito è in grado di solito di riferire la sua localizzazione, che identifica il tessuto danneggiato; o profondo, quando origina da organi interni e la sua localizzazione può non essere nell’area del danno tissutale. 28 CAPITOLO 4 Approccio infermieristico del dolore 29 4.1 RUOLO DELL’INFERMIERE NELLA GESTIONE DEL DOLORE Il codice deontologico dell’infermiere del 2001 all’articolo 34 capo IV cita: “L’infermiere si attiva per prevenire e contrastare il dolore e alleviare la sofferenza. Si adopera affinché l’assistito riceva tutti i trattamenti necessari”. Nella realtà, però, molto spesso si osservano comportamenti contrari a questa norma. La persona che si lamenta troppo viene etichettata come insofferente, incapace di sopportare e non in grado di capire che per guarire bisogna soffrire. Molto spesso, infatti, la persona che prova dolore ha paura di non essere creduta anche perché diventa difficile tradurre in un codice comune qualcosa che viene vissuto non solo a livello nocicettivo, ma anche a livello cognitivo ed affettivo in maniera del tutto personale. L’infermiere è colui che sta accanto al paziente tutto il giorno per tutti i giorni di degenza ed è quindi necessario che apprenda e sviluppi ottime capacità di osservazione, di ascolto e di comprensione in modo da permettere alla persona assistita di superare la difficoltà che ha nel trasmettere la propria esperienza. Indispensabile, quindi, è formare il personale infermieristico, affrontando temi che spesso si danno per scontati quali: tipo e cause del dolore, differenze tra dolore acuto e cronico oppure fattori che incidono sulla percezione del dolore. Numerose teorie dell’assistenza infermieristica assumono il dolore come specifica categoria diagnostica, cioè come situazione problematica che può e deve essere direttamente affrontata e risolta dagli infermieri per produrre un sostanziale miglioramento dello stato di salute della persona assistita. Il processo diagnostico che l’infermiere compie per una corretta valutazione del dolore considera i caratteri classici di tipo, intensità, durata, distribuzione spazio-temporale e correlazione con fattori allevianti o scatenanti. Questo processo riconosce la presenza di due soggetti in relazione, entrambi dotati di competenza, e si realizza in un procedere diagnostico ed assistenziale fondato sul dialogo. Non sono sufficienti scale e strumenti di misurazione quantitativi, poiché solo attraverso la comprensione dialogica della persona assistita, della sua personalità, cultura, stile di soddisfacimento dei bisogni fisici, emotivi e spirituali ed in particolare 30 dei significati che essa attribuisce all’esperienza di dolore è possibile pianificare correttamente l’assistenza da prestare. Infatti, solo riconoscendo la dimensione soggettiva del bisogno di assistenza di dolore è possibile instaurare un efficace relazione professionale tra infermiere e paziente: occorre, quindi, comprendere sia il dolore provato dal paziente, sia il paziente che prova dolore. L’obiettivo della pianificazione è, dunque, massimizzare l’alleviamento del dolore e la qualità di vita della persona. Tutto ciò si può tradurre attraverso l’utilizzo di un processo infermieristico, ovvero, una serie di fasi ed azioni pianificate che mirano a soddisfare i bisogni e i problemi dell’individuo. Questo metodo è costituito da cinque fasi: 1.Accertamento/osservazione, 2.Diagnosi, 3.Pianificazione, 4.Attuazione, 5.Valutazione. L’uso del processo permette la pianificazione collaborativa per un ottimo sollievo da dolore, prima o appena dopo che esso sia avvertito, o di controllare un dolore persistente. Un aspetto essenziale è quello di monitorare la risposta dell’assistito alla terapia; se la causa del dolore è eliminata con il trattamento, il dolore scompare. Se questa, invece, non può essere eliminata, l’intensità del dolore dovrebbe diminuire ad un livello che l’assistito desidera, o almeno ad un livello che egli afferma di tollerare. Se il livello di sollievo dal dolore atteso non è raggiunto, tuttavia, è necessario un accertamento più in approfondito di tutti i fattori che contribuiscono al dolore. 31 4.2. VALUTAZIONE DEL DOLORE: LE SCALE Il dolore non è sempre direttamente proporzionale all’entità del danno tissutale, ma dipende da una complessa interazione di molteplici fattori (ambientali, psicologici, sociali ed anamnestici) in grado di modulare la sensazione dolorosa, intensificandola o mitigandola. La sua valutazione è di fondamentale importanza non solo per rilevare la presenza, ma anche e soprattutto per valutare l’efficacia degli interventi adottati per il trattamento. Il mancato trattamento, infatti, può determinare una riduzione della mobilizzazione, un processo di guarigione lento ed una più lunga ospedalizzazione. L’accertamento infermieristico della persona sofferente prevede la valutazione dell’anamnesi patologica remota e prossima; è importante, inoltre, mettere in luce anche tutti quei fattori che possono influenzare la percezione del dolore come per esempio l’ansia o l’età del paziente, ma anche le precedenti esperienze dolorose e le risposte messe in atto. All’anamnesi segue l’esame obiettivo che prevede un’identificazione della sede del dolore, la valutazione del sistema nervoso e del sistema muscolo-scheletrico. Si osservano, quindi, l’aspetto generale del soggetto ed i parametri vitali; s’identificano eventuali anomalie come atrofia muscolare o dimagrimento e qualsiasi manifestazione oggettiva di dolore quali l’espressione del viso o la rigidità. Successivamente si passa all’ispezione della sede del dolore evidenziando eventuali irregolarità della cute. Un sistema molto rapido per memorizzare le caratteristiche del dolore è l’uso sull’acronimo PQRST dove P sta fattori provocanti, Q per qualità, R per regione o irradiazione, S per severità e sintomi ed infine T sta per tempo. La valutazione del dolore deve essere eseguita su scale che diventeranno parte della cartella integrata medico/infermieristica. Queste devono essere di facile comprensione ed utilizzo per il paziente, permettere di calcolare velocemente il punteggio ed essere sensibili ai piccoli cambiamenti dell’intensità del dolore. 32 Esistono numerosi tipi di scale, che possono essere divise in due grandi categorie: - Scale di autovalutazione; - Scale di eterovalutazione. Le scale di autovalutazione, o soggettive, si basano sulla descrizione verbale o analogica che il paziente riesce a dare del proprio dolore; i limiti sono posti soprattutto dalle capacità cognitive e comunicative, ma anche dall’età del paziente. Quando si usa questo tipo di scala, infatti, è fondamentale tener conto della presenza di eventuali deficit sensoriali, visivi, uditivi, deficit di comunicazione e differenze socio-culturali. Anche il setting deve essere adatto così come le domande che devono essere semplici. Bisognerà quindi scegliere la scala più idonea. Le scale di eterovalutazione o oggettive, al contrario, valutano specifici indici comportamentali e fisiologici in risposta ad uno stimolo doloroso derivandone un punteggio secondo l’intensità del dolore. Vengono utilizzate nel caso in cui l’autovalutazione non sia possibile o affidabile come per esempio nei casi di demenza o alterazione del sensorio, e si basano sull’osservazione di comportamenti fisici o comportamentali potenzialmente indicativi di dolore. Sono composte da item, ovvero da domande, che valutano la persona a riposo e durante il movimento o le cure. Esempi di scale autovalutative sono: - La scala analogica visiva o VAS, questa scala è la rappresentazione visiva dell’ampiezza o intensità del dolore che il paziente avverte. L’ampiezza è rappresentata da una linea, solitamente lunga 10cm, con o senza tacche in corrispondenza di ciascun centimetro. Un’estremità indica l’assenza di dolore, mentre l’altra rappresenta il peggior dolore immaginabile. La scala viene compilata dal paziente, al quale viene chiesto di tracciare sulla linea un segno che rappresenti il livello di dolore provato. Questa valutazione offre il vantaggio della semplicità ed è indipendente dal linguaggio, inoltre viene facilmente compresa dalla maggior parte dei pazienti e può essere facilmente ripetuta. È ampiamente utilizzata anche dai bambini di età superiore ai 7 anni. 33 Lo svantaggio di questo test, però, sta nel fatto che tratta l’esperienza del dolore come se fosse monodimensionale, mettendo in evidenza solo l’intensità senza prendere in considerazione anche gli altri fattori; inoltre si è visto che esiste la tendenza al raggruppamento in prossimità dei numeri centrali. Un’altra critica riguarda il tasso d’insuccesso che è pari al 7%, in quanto non tutti i pazienti possono eseguire una VAS, ad esempio nell’immediato post-operatorio oppure tutti quei pazienti che non posseggono una coordinazione visiva e motoria. - La scala numerica verbale o VNS, è una semplice scala di valutazione del dolore, molto simile alla VAS. La VNS è facilmente compresa dal paziente che sceglie semplicemente un numero tra 0 e 10 per rappresentare il livello di dolore. La scala numerica verbale elimina, così, la necessità di coordinazione visiva e motoria, richiesta, invece, per eseguire la VAS ed offre quindi maggiori possibilità di completamento. Il tasso di insuccesso per questa scala si aggira intorno al 2%. - La scala di valutazione verbale o VRS, è la più semplice ed ha la maggior probabilità di completamento, in quanto molti pazienti preferiscono le scali verbali a quelle analogiche o numeriche. La scala definisce l’intensità del dolore come lieve, moderato, grave o assente. Il vantaggio sta nel fatto che è molto semplice da somministrare e si è dimostrata 34 sensibile alla posologia dei farmaci, al sesso e alle differenze etniche, pertanto risulta più accurata della scala analogica visiva nella valutazione degli effetti degli analgesici sul dolore acuto. Lo svantaggio, però risiede nel fatto che risulta limitata, in quanto offre un numero ristretto di termini per rappresentare il dolore. - La scala delle faccette, invece, è una scala di facile comprensione per bambini dai 3 ai 7 anni. È costituita da una serie di faccine con diverse espressioni: sorridente, triste fino al pianto disperato. Il bambino deve indicare quale espressione, in quel momento, rappresenta la sua sensazione di dolore. Uno studio recente, suggerisce, però, di usare una faccia neutra, per indicare l’assenza di dolore, invece che una felice. Altri strumenti di valutazione del dolore possono essere i diari, questi rappresentano un modo pratico per valutare i comportamenti da dolore. Questo strumento consiste nel chiedere ai pazienti di tenere un diario delle loro attività; solitamente i pazienti 35 registrano il numero di volte che compiono delle attività specifiche come ad esempio il sedersi, il camminare, lo stare distesi o in piedi, e quanto tempo dedicano ad esse. Questo tipo di misurazione, però, dipende da un’accurata registrazione da parte del paziente, delle comuni attività quotidiane. Al paziente, viene infatti chiesto, di annotare l’intensità del dolore, specie in relazione a particolari comportamenti quali attività quotidiane tipo sonno, farmaci e analgesici assunti. Per quanto riguarda, invece, le scale di eterovalutazione ricordiamo: - La FLACC (Face, Legs, Activity, Cry, Consolability), è una particolare scala di valutazione del dolore nel neonato e nel bambino fino a 3 anni d’età che trova un ampia applicazione in ambito clinico, grazie sia alla sua accuratezza che alla facile applicabilità. È composta da 5 items, o domande: espressione del volto, gambe, attività, pianto e consolabilità, ciascuno con un punteggio da 0 a 2, con un punteggio totale che oscilla da 0 a 10. - La scala comportamentale di valutazione dell’anziano o ECPA è, invece, stata concepita per la valutazione del dolore in quei pazienti dove l’utilizzo di scale numeriche, verbali o analogiche non è possibile. Va dunque usata quando si presume che un paziente possa avere dolore o per valutare l’efficacia delle terapia antalgica. Ha, dunque, l’obiettivo di misurare la presenza di comportamenti riferibili a sintomatologia dolorosa; per ciascun comportamento sono descritti cinque possibili livelli di gravità che variano da 0, che rappresenta l’assenza di dolore, a 4, che è indice della massima intensità del dolore. 36 4.3 TRATTAMENTO FARMACOLOGICO DEL DOLORE La gestione del dolore è finalizzata alla soppressione continua dello stesso ed al raggiungimento della massima qualità di vita del paziente, sia conquistando l’autonomia che la partecipazione alla vita lavorativa e sociale. Le strategie di gestione del dolore comprendono sia gli approcci farmacologici che quelli non farmacologici; qualunque intervento si scelga, avrà più successo se iniziato prima che il dolore diventi grave ed il maggior successo solitamente è raggiunto se più interventi sono apportati simultaneamente. I farmaci analgesici sono il più comune approccio per la gestione del dolore. Sebbene questi siano prescritti dal medico, l’infermiere è responsabile della loro somministrazione, della valutazione della loro efficacia e di notificare al medico se il sollievo sperato è stato raggiunto. Gli analgesici possono essere divisi in tre gruppi principali: non oppioidi, oppioidi e adiuvanti. Gli analgesici non oppioidi includono i farmaci antiinfiammatori non steroidei (FANS); questi hanno una forte azione antiinfiammatoria nei tessuti periferici: in genere sono efficaci per il dolore correlato a danno tissutale. Il meccanismo d’azione dei FANS si basa sulla loro azione inibitoria nei confronti del metabolismo dell’acido arachidonico con conseguente riduzione della sintesi delle prostaglandine, la cui formazione e rilascio nei tessuti determina una sensibilizzazione dei nocicettori delle fibre nervose del dolore agli stimoli meccanici ed ai mediatori chimici del dolore. Questi farmaci sono usati come singoli agenti terapeutici, soprattutto per il dolore di media intensità, ma possono essere combinati con gli oppioidi per trattate il dolore post-operatorio o altre forme algiche gravi. L’efficacia cliniche dipende anche dal tipo di FANS utilizzato, poiché in molti è predominante la componente antipiretica mentre altri sono da considerarsi più specificamente analgesici come il ketorolac o il diclofenac. I FANS sono ben tollerati da molti pazienti, tuttavia le persone con alterata funzionalità epatica e renale possono richiedere dosi più piccole e devono essere monitorati strettamente per l’eventuale comparsa di effetti collaterali. I pazienti che assumono questa categoria di farmaci possono presentare alcuni effetti avversi come ad esempio disturbi gastroenterici, a 37 seguito dell’inibizione della produzione di prostaglandine con conseguente riduzione della mucosa gastrica, o l’allungamento dei tempi di sanguinamento, conseguenti al blocco del trombossano a livello piastrinico. Per quanto riguarda, invece i farmaci oppioidi, occupano un posto importante sia per la loro efficacia, sia per l’ampia possibilità di utilizzazione clinica. Solitamente questi farmaci sono adoperati per il trattamento del dolore moderato o severo che non ha risposto alla terapia con farmaci antiinfiammatori non steroidei; altre applicazioni cliniche possono essere il trattamento del dolore post-operatorio o traumi, anche se il punto di forza è nella gestione del dolore da cancro. Per quanto riguarda il meccanismo d’azione, possiamo affermare che i farmaci oppioidi si attivano legandosi a specifici recettori in modo da esplicare la propria azione di modulatori della percezione algica. Oltre all’effetto analgesico, gli oppioidi, però possono produrre, anche, effetti non ricercati come la depressione respiratoria o la dipendenza fisica e psichica, ma anche effetti minori come nausea, vomito, prurito e stipsi. Esempi di farmaci oppioidi sono la codeina, che in genere è usata per il trattamento medio-grave e la morfina, farmaco di prima scelta nel trattamento del dolore grave. Infine ricordiamo i farmaci adiuvanti. Quest’ultimo insieme riguarda in realtà un gruppo eterogeneo di principi attivi, la cui attività non è principalmente analgesica, ma se associati ad antidolorifici ne potenziano l’azione. Essi agiscono producendo un’abolizione dell’ansia, lieve sedazione ed elevazione dell’umore. Tra questi ricordiamo le benzodiazepine, gli antidepressivi triciclici, gli anticonvulsivanti ed i cortisonici. Quest’ultimi sono molto utili per il dolore causato da infiammazione; in genere sono usati per il trattamento a breve termine dei giovani con dolore correlato allo sport. I corticosteroidi, inoltre, danno un ampio range di altri effetti che sono molto utili nel trattamento del dolore da cancro, come il miglioramento dell’umore, l’attività antiemetica o la stimolazione dell’appetito. La scelta della via di somministrazione degli analgesici si basa sulla valutazione delle condizioni del pazienti e degli effetti auspicati. Le principali vie di somministrazione sono: 38 - La via parenterale che comprende la via intramuscolare, endovenosa e sottocutanea. Produce effetti molti rapidi, ma meno duraturi di quelli ottenuti con la somministrazione orale. È indicata se il paziente non può assumere farmaci per bocca o ha il vomito. - La via orale, invece, è preferita a tutte le altre poiché semplice, non invasiva e non dolorosa. - La via rettale è indicata in pazienti che non possono assumere farmaci attraverso qualsiasi altra via. - La via transdermica viene usata per raggiungere un consistente livello sierico d’oppioidi con l’assorbimento del farmaco attraverso la cute. Questa via è usata molto spesso per i pazienti oncologici a domicilio o in hospice. - Infine vi è la via intraspinale ed epidurale. L’infusione di oppioidi nello spazio subaracnoideo (spazio intratecale o canale spinale) o spazio epidurale, ha effettivamente controllato il dolore nei pazienti post-operatori e in quelli con dolore cronico non alleviato da altri metodi. Questa via di somministrazione consiste nell’inserimento di un catetere subaracnoideo o epidurale, a livello toracico o lombare per somministrare un oppioide o un anestetico locale. Con questo tipo di somministrazione il farmaco viene infuso direttamente nello spazio subaracnoideo e nel liquido cerebro-spinale, che circonda il midollo spinale, determinando così un sollievo dal dolore con minori effetti collaterali dell’analgesia sistemica. Esistono, inoltre, diversi dispositivi impiegati nella gestione del dolore, soprattutto se si parla di dolore post-operatorio. Oggi si preferisce usare dispositivi caratterizzati da semplicità di programmazione, soddisfacente precisione nell’erogazione del farmaco, leggerezza ed autonomia funzionale. Lo sviluppo di tali “devices” ha senz’altro semplificato da un lato e migliorato dall’altro la gestione della terapia antalgica nei reparti. Esempi sono la pompa elastomerica, ovvero, un dispositivo per l’infusione continua a velocità costante e pre-impostata di farmaci, nello specifico di FANS, oppioidi ed anestetici locali. Il “motore” di questo dispositivo è rappresentato dall’elastomero, ovvero un serbatoio interno in materiale plastico sintetico latex-free, 39 che esercita sulla miscela di farmaci in esso contenuta, una pressione quasi costante dall’inizio alla fine dell’erogazione. Tale miscela viene spinta lungo una linea d’infusione direttamente in vena, sottocute o in peridurale. Una possibilità terapeutica ulteriore è data dall’opportunità di aggiungere all’Infusor un modulo di controllo per l’autosomministrazione di boli comandati dal paziente. Si realizza così la PCA (Patient Controlled Analgesia) dove con la pressione di un pulsante il paziente diventa protagonista della propria analgesia, senza dover ricorrere ad altre persone. Studi clinici hanno dimostrato,infatti, che piccole e frequenti dosi endovena attraverso il sistema PCA alleviano il dolore senza un’eccessiva sedazione, poiché non producono ampie variazioni dei livelli di farmaco analgesico, come nella terapia convenzionale. Il sistema PCA ha delle caratteristiche di sicurezza per prevenire le overdosi accidentali, infatti anche se la persona preme il pulsante per un'altra dose, l’erogazione non permette un’altra dose piena fino a che la temporizzazione programmata dal medico non è stata raggiunta. 4.4 TECNICHE NON FARMACOLOGICHE PER LA GESTIONE DEL DOLORE Sebbene i farmaci siano i più potenti mezzi di controllo del dolore disponibili per gli infermieri, non sono gli unici strumenti. Le attività infermieristiche non farmacologiche possono aiutare ad alleviare il dolore solitamente con bassi rischi per il paziente. Benché queste misure non sostituiscono i farmaci possono essere tutte necessarie per alleviare episodi di dolore che durano solo pochi secondi o minuti. In presenza di un dolore molto forte che si protrae per ore o giorni, l’uso di alcune tecniche non farmacologiche, in combinazione con i farmaci, possono essere il modo più efficace per alleviare il dolore. Lo scopo è quello di focalizzare la mente e l’attenzione del paziente lontano dallo stato di dolore. Gli interventi non farmacologici includono diverse modalità di trattamento 40 fisico e psicologico, che spesso richiedono la partecipazione attiva del paziente; ed è proprio il coinvolgimento attivo che aiuta a rafforzare l’autostima ed il controllo sul dolore. Le maggiori tecniche non farmacologiche sono: - La stimolazione cutanea, molto utile nell’alleviare sia il dolore acuto che quello cronico. Tecniche come la pressione, il massaggio, la vibrazione, il caldo, il freddo apportano benefici e rilassano la persona; essi, inoltre, aiutano a stabilire o ampliare la relazione infermiere-assistito. Gli effetti della stimolazione cutanea sono variabili ed impredicibili, è richiesta, quindi, pazienza mentre si provano e si adottano i vari metodi. Una tecnica particolare di stimolazione cutanea, riguarda il massaggio, che rilassa i muscoli e riduce la tensione, ma è controindicato su pelle lesionata, su membrane mucose o su rush. I massaggi possono essere eseguiti con sostanza come linimenti o creme; spesso sono utilizzati prodotti al mentolo, in quanto diminuisce l’irritazione. Molti prodotti al mentolo contengono salicilato metilico, che assorbito attraverso la pelle, causa un effetto analgesico. La sensazione di freschezza può essere intensificata prolungando il massaggio ed assicurandosi che tutti i pori siano aperti. Se il linimento allevia il dolore, avvolgere l’area dolorosa nella plastica, produrrà un effetto prolungato. - Le terapie con il caldo e il freddo posso essere usate, invece, per ridurre lo spasmo muscolare ed il dolore. Per avere maggiore effetto, il ghiaccio dovrebbe essere posto sul sito lesionato subito dopo la lesione o l’intervento chirurgico; il freddo diminuisce la risposta infiammatoria, il flusso sanguigno e l’edema, inoltre allevia la cefalea cronica ed il dolore alla schiena. Si deve, però, prestare attenzione a proteggere la cute dall’applicazione diretta del ghiaccio; questi infatti non dovrebbe essere applicato per più di venti minuti consecutivi sulla stessa area, se permane più a lungo può causare congelamento o lesioni nervose. L’applicazione del caldo, al contrario, non dovrebbe essere usata prima di ventiquattro ore dal danno, poiché aumenta il flusso ematico, l’edema ed il 41 sanguinamento del sito. Dopo ventiquattro ore è specialmente efficace per il dolore articolare e muscolare. Sia la terapia con il ghiaccio, che quella con il calore devono essere applicate con attenzione e con un monitoraggio continuo, per evitare lesioni cutanee e non dovrebbero essere applicate in aree in cui la circolazione è compromessa. - La Stimolazione controlaterale consiste nello stimolare l’area opposta con il massaggio, la pressione, il mentolo, il caldo o il freddo allo scopo di alleviare il dolore. Per esempio, la mano sinistra viene stimolata, quando la mano destra è dolorante. Questa stimolazione è efficace quando l’area dolorosa non può essere raggiunta a causa di un gesso o di un bendaggio, quando la pelle affetta è troppo sensibile al tocco ma anche in caso di dolore fantasma. Il massaggio controlaterale può essere utile in caso di crampi muscolari, spasmi o prurito. - La stimolazione elettrica transcutanea dei nervi (TENS) è utilizzata in aggiunta alla gestione complessiva del dolore acuto e cronico. Un’unità TENS consiste di uno stimolatore palmare, leggero e portatile, che funziona a batterie e genera un impulso elettrico medio. I quattro elettrodi sono attaccati con del cerotto alla pelle, vicino o sopra la zona dolorante; inizialmente l’assistito potrà avvertire un formicolio, ronzio o una sensazione di vibrazione, benché tale sensazione di solito sia leggera, alcune persone la trovano sgradevole o addirittura intollerabile. I principali vantaggi della TENS sono quello di non produrre dipendenza, non interferire con le attività di vita quotidiana dell’assistito ed inoltre permettere al paziente di ridurre o eliminare i farmaci per il dolore. I maggiori effetti collaterali, sono rappresentati, però, dall’irritazione cutanea dovuta ad un’allergia al cerotto o al gel. La TENS non dovrebbe essere usata sui portatori di pacemaker poiché può interferire o inibire alcuni stimoli, inoltre gli elettrodi non dovrebbero essere posti sugli occhi o sopra il seno carotideo, in quanto potrebbe verificarsi una reazione vagale, ma anche sopra la parte anteriore del collo o l’area della bocca, poiché potrebbero comparire spasmi che porterebbero la chiusura delle vie aeree. 42 - Guida anticipatoria. La paura molto spesso può aumentare la sensazione di dolore, a tale proposito l’infermiere può aiutare il paziente dando una spiegazione onesta di cosa deve aspettarsi. Condividere, infatti, informazioni su quello che l’assistito proverà e sulla procedura è più efficace che dare solo informazioni sulla singola procedura, in quanto l’assistito potrà gestire meglio il dolore se saprà cosa aspettarsi. - Per quanto riguarda, invece, la distrazione è una tecnica che aiuta i pazienti quando sottoposti a brevi periodi di dolore intenso, profondo, come il cambio di una medicazione, la pulizia di una ferita o una biopsia. Le tecniche di distrazione possono variare dalle attività semplici, come guardare la televisione o ascoltare musica fino a complessi esercizi fisici e mentali. In presenza di un dolore forte però, il paziente può essere incapace di concentrarsi abbastanza da partecipare a complesse attività fisiche e mentali. - Tecniche di rilassamento. Si ritiene che il rilassamento della muscolatura scheletrica possa ridurre il dolore. Molte di queste tecniche si basano sulla combinazione di un ambiente tranquillo, una posizione confortevole e sul focalizzare la concentrazione su una parola, un suono o un modello di respirazione. Il rilassamento può controllare gli effetti della risposta lotta o fuggi e promuovere la libertà fisica e mentale dalla tensione e dallo stress, che normalmente aggravano il dolore. Le terapie di rilassamento promuovono un senso di benessere: il paziente, sente infatti, di avere in controllo sul dolore. - Clownterapia. È una tecnica usata soprattutto nei reparti pediatrici, influisce sullo stato psicologico dei piccoli pazienti rafforzando la loro capacità di affrontare la malattia e velocizzando la guarigione. È stato scientificamente provato che la clownterapia riduce la somministrazione di analgesici, i tempi di degenza, aumenta le difese immunitarie ed il livello di endorfine agevolando così il controllo del dolore. - Musicoterapia. È una tecnica che utilizza la musica come strumento terapeutico, grazie ad un impiego razionale dell’elemento sonoro, allo scopo di promuovere il benessere dell’intera persona. Alcuni studi hanno dimostrato che la 43 musicoterapia è efficace per il controllo del dolore e per favorire il benessere fisico ed il rilassamento, grazie al superiore rilascio di endorfine indotto dall’attività musicale. 44 CONCLUSIONI 45 Con questa tesi ho voluto trattare quest’argomento per comprendere ciò che non si legge tra le righe, ciò che non si palese, ma si deve intuire con precise metodiche. Ho voluto appropriarmi di quest’argomento e farlo mio così che possa farne tesoro in futuro. In ogni caso è bello sapere che esistono tante tecniche diverse per alleviare il dolore. Purtroppo il dolore esiste ed il sol pensiero mi rattrista. Esiste qui, in occidente, dove il benessere e l’abbondanza arricchiscono le nostre tavole, dove il progresso medico ha fatto passi da gigante e le attrezzature sanitarie raggiungono alti livelli tecnologici. Esiste nei paesi in via di sviluppo dove regna la misera e la malnutrizione. Il dolore esiste. Perciò ho deciso di intraprendere questo cammino, questo lavoro, per alleviare la sofferenza di chi ha dolore e spero che con questa tesi di aver raggiunto l’obiettivo di capire come fare con i mezzi che ci mette a disposizione la conoscenza. 46 BIBLIOGRAFIA 47 1. Manuale di musicoterapia – Rolando Benenzon – Borla 2005; 2. La parte dimenticata della personalità, nuove tecniche per la musicoterapia – Rolando Benenzon – Borla 2007: 3. Infermieristica del dolore – W. Raffaeli, M. Montalti, E. Nicolò – Piccin 2009; 4. Brunner Suddarth Nursing medico-chirurgico – Casa editrice Ambrosiana 2005; 5. Principi fondamentali dell’assistenza infermieristica – Ruth F. Craven, Costance J. Hirnle – Casa editrice Ambrosiana 2007; 6. Manuale di nursing pediatrico – Pierluigi Badon, Simone Cesaro – Casa editrice Ambrosiana 2002; 7. Chirurgia per le professioni sanitarie – Mario Lise – Piccin 2006; 8. Dolore e trauma cranico, indicazioni e prassi per operatori e familiari – Antonio De Tanti, Francesco Matozzo, Donatelle Saviola – Francoangeli 2012; 48 SITOGRAFIA 49 1. http://www.scuoladimusicoterapia.it 2. http://www.neuroscienzeanemos.it 3. http://www.lamusicoterapia.com 4. http://www.psychomedia.it 5. http://www.istituto-meme.it 6. http://www.ipasvi.it 7. http://www.amp-ve.com 8. http://www.mtonline.it 9. http://www.aiemme.it 10.http://www.musicoterapiarelazionale.it 11.http://www.dottorsorriso.it 50