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La Nuova Provincia di Biella
15
ph Francesca Savino
Sabato 21 luglio 2012
REMIX APPEAL
IL FASCINO PER NULLA DISCRETO DEL BEVERONE CULTURALE
L
'idea di morire d'inedia sdraiati in piscina
con un cocktail ben
stretto fra le mani e la musica giusta nelle orecchie ci
costringe a ragionare così
quest'estate che va e viene.
A forza di improvvisare beveroni dissetanti, ci abbiamo scorto dentro - tra un
cubetto di ghiaccio e l'altro
- la similitudine d'altri mix
ben più necessari. Che c'è
nell'aria un equivoco strisciante intento a definire la
multiculturalità delle cose e
delle persone. Non pensiamo sia così e nemmeno
pensiamo debba esserlo.
Abbiamo guardato fisso il
cocktail che stringevamo,
nel timore che qualcuno
facesse l'onda in piscina, e
abbiamo visto la luce, filtrata dal cristallo della nostra coppetta Martini: il mix
è l'unica cultura possibile.
Il futuro è meticcio, come
un americano sbagliato o
un paio di negroni; come
un black russian o un cuba
libre. E solo mischiando le
carte può saltar fuori una
mano credibile per giocarci
il futuro. Non è sommandoci che facciamo la differenza, ma mischiando
per bene il nostro e l'altro
sentire. Quel che sarà di noi
e del mondo, i suoi contorni e la sua definizione;
gli errori già sbagliati e gli
sbagli ancora da correggere
saranno, nel bene e nel
male, il frutto della sapiente
miscela che il Grande Barman avrà shakerato per il
futuro dei popoli. Ora, l'uso
giocoso di questa retorica
barocca significa soltanto
che la nostra cultura si dovrà ben mescolare con altre
se vorrà essere più di quel
che è e assorbire i conflitti
che affliggono le differenze. Che un'integrazione
qualsiasi attraverso la
s ommator ia
non integra,
ma soverchia
e distingue,
colonizza con
l'ipocrisia
l'incontro con
una quotidianità che sta
cambiando
ovunque. Eppoi, ma solo
poi, c'è pure
venuto in
mente che il
cocktail era anche musica:
nei colori, nei suoni, nelle
intenzioni. Un recupero disincantato di altri tempi e
altre vite fa, d'altro canto e
immaginario, già vissuto
ma reinventato. Così come
sa fare ogni generazione
che cerca lo spazio per essere né meglio nè peggio,
ma un po' diversa sì, nel
guardarsi allo specchio e
nel sentirsi cantare. È quella Cocktail Generation che
ha riscoperto l'estetica dell'aperitivo e di certa musica
sognata anche nei film che
facevano sognare l'America, che poi faceva sognare
noi che sognavamo di fare
gli americani. Dalle spiagge
di Hononulu alle balere di
casa nostra sembrava un
viaggio impossibile, ma la
fantasia supera la realtà e
accorcia distanze, allunga
tempi, cambia i modi.
Quindi sposiamo Yma Sumac coi Montefiori per non
annoiarci mai, in quest'estate che non c'è. E contemporaneamente allunghiamo la nostra lista dei
IL COMMENTO
MIX CULTURALE
Il futuro in società
è il cocktail perfetto
cocktail che vogliamo sperimentare, perché quello
che stringevamo forte in
piscina l'abbiamo già finito,
e quello che non vogliamo
davvero finire sono le
idee.
alle pagine 16,
17 e 18
Il meticciato, ovvero il mescolamento delle culture, accompagna da
sempre la storia
dell’uomo. Molto
spesso ha coinciso
con colonizzazioni, invasioni, conquiste e scoperte
geografiche. Quello che
spesso sentiamo chiamare esotismo o mal d’Africa non sono altro che
storture profonde dell’etnocentrismo occidentale
nei confronti del resto del
mondo. Sarà possibilile,
È un mondo
fantastico
di Lele Ghisio
A
da qui in avanti, un nuovo modello di società più
liquido e meno figlio di
questi squilibri? Noi proviamo a ripartire dai cocktail.
.
a pagina 17
INGREDIENTI NECESSARI
a pagina 16
a pagina 18
Generazione
Cocktail
Musica da bere
Sottorete
Lo shaker trash
di Internet
a pagina 16 e 17
a pagina 18
I dieci drink
che sconvolsero
il mondo
La fotografia
metropolitana
è meticcia
llora: che ci fosse della
follia nell'aria l'abbiamo già detto. Ormai
non riusciamo neanche più
a stupirci, nemmeno di
fronte a un cinema pieno di
gente mascherata in cui si
proietta l'ultimo episodio
della saga di Batman e in
cui entra un ragazzotto di
24 anni vestito da "Flagello"
(il cattivo del film) e spara,
ammazzando una dozzina
di persone. Aldilà dell'aspetto delirante della vicenda e riconoscendone, speriamo, il carattere di eccezionalità, qualche riflessione ci viene da farla comunque. Sembra che ci sia
nell'aria, oltre alla follia,
anche una diffusa incapacità di vivere ognuno la
propria vita. Un'incapacità,
così violenta e assoluta, da
indurre qualcuno di noi a
immedesimarsi totalmente
in un personaggio altro, meglio se assolutamente fantastico, sublimando così la
necessità di attraversare in
volo lo spettro del reale per
gettarsi nel vuoto di una
fantasia malata. Salvo tornare sulla terra per il "body
count", la conta dei morti.
Che questo non sia il migliore dei mondi possibili ci
pare evidente, ma certi
mondi fantastici, quando
s'avverano nel quotidiano,
sono assolutamente peggio.
La Nuova Provincia di Biella
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Sabato 21 luglio 2012
MUSICA Yma Sumac, Dean Martin, Sergio Caputo, Pizzicato Five, Cornelius, Riz Ortolani
MUSICA DA BERE D’ALTRI TEMPI
La Cocktail Generation degli anni ‘90 tra lounge music, easy listening e latin
Sul finire degli anni '90, una volta digerita
l'abbuffata alternative rock con Seattle e il
grunge fari illuminanti di un punk rock
ruvido e di ritorno dalle passate derive
garage, ci si rilassa alla grande e ci si siede
in poltrona con un cocktail in una mano e
un disco nell'altra. «Nel momento in cui
l'"alternative rock" è divenuto "mainstream", da classifica, il suono che un
tempo rappresentava l'essenza stessa del
"mainstream" (Frank Sinatra, Yma Sumac,
Carla Boni, ecc.) è divenuto profondamente
"alternativo". Allo stesso modo gli artisti
della Generazione Cocktail si sono trasformati nella più rivoluzionaria e imprevedibile incarnazione dell'"alternative
rock"». È quindi d'accordo con noi anche
Francesco Adinolfi che così descrive il
momento in "Mondo exotica - suoni, visioni
e manie della Generazione Cocktail" (Einaudi, 2000). È infatti il suo il testo di
riferimento che riporta la più ampia riflessione su un fenomeno così strambo:
oltre 500 pagine di rimandi e riferimenti sui
suoni che si sono mescolati in quegli anni
lungo la via dello shaker. In realtà certe
avvisaglie nostrane risalgono al decennio
precedente con il successo di Sergio Caputo, e soprattutto dei suoi "Un sabato
italiano" del 1983 e "Italiani mambo" nel
1984. Il riferimento alla "Cocktail Music" è
così esplicito che, oltre a far navigare le sue
intriganti e moderniste liriche in un mare di
pop-swing, nella copertina interna del disco
(ancora si ragionava in vinile e 33 giri)
Caputo indicava le ricette dei suoi cocktail
preferiti abbinandone uno per canzone.
Non perderà le buone abitudini in seguito
titolando dischi come
"Storie di whisky andati",
canzoni come "Non bevo
più tequila" e raccolte come "Swing & soda" e, appunto, "Cocktail". Resta
comunque uno tra gli autori più spigliati e intellettualmente frivoli che la
musica leggera italiana
abbia avuto. Ma, come dicevamo, e diceva Adinolfi,
è soltanto sul finire dei '90
che la Cocktail Music tiene
fede a se stessa miscelandosi in una serie infinita di combinazioni in
bilico tra passatismo e
modernismo. Cocktail
music, easy listening,
lounge music e latin ridisegnano il panorama
delle sonorità che contamineranno le produzioni
di quegli anni. Anche l'immaginario iconografico ne
viene influenzato, e l'e-
stetica legata al modernariato dilaga in
un'ostentazione di piacevoli feticci vintage:
dall'abbigliamento ai party a tema, dall'arredamento ai complementi d'arredo, fino agli strumenti (l'organo
Bontempi!). Se è dagli Stati
Uniti di certa America fascinata dal mito hawaiano
dei film di Elvis che importiamo il gusto per l'exotica - altro sottogenere
utile alla bisogna -, è dal
Giappone che un'onda
anomala di moderno vintage (non spaventi l'ossimoro) ci travolge: Cibo
Matto, Cornelius, Pizzicato Five sono solo la schiuma che sovrasta l'imponenza di questa massa
d'acqua che metabolizza
tutta la musica plastica possibile per ritornarcela colorata di suoni decisamente
nuovi. Ma anche l'Italia fa la sua parte, con
la rivalutazione estetica e tecnico musicale
di certe armonie e melodie da balera
officiata dai Montefiori Cocktail in testa,
fino a praticamente tutta la produzione
dell'Irma records di quegli anni, etichetta
discografica che, del genere, deteneva l'assoluto monopolio di un catalogo che rimescolava a sua volta con l'elettronica
l'immaginario dei Sessanta, dei suoi film,
dei suoi oggetti, delle sue colonne sonore.
In casa assistiamo al recupero di Riz Ortolani, di certo Morricone, di Sam Paglia e
dei "lati B" della cinematografia d'antan;
d'oltre oceano riscopriamo la classe e il
fascino di Henry Mancini, di Dean Martin e
di Yma Sumac con Xavier Cugat sul versante latin. Tra i contemporanei dell'epoca
che, con un buon anticipo, ne hanno ben
rappresentato le intenzioni gli Style Council
di Paul Weller e gli Everything but the girl di
Tracey Thorn, mentre anche Matt Bianco ci
mette del suo con un'attitudine tutta fa-
scinosa. Il gioco si fece interessante anche
sul lato delle cover, ovvero dei brani rock
più o meno contemporanei riletti in chiave
lounge da Mike Flowers Pop, per esempio,
che strapazza goduriosamente Wonderwall degli
Oasis, Ligh my fire dei
Doors e tutti i Velvet underground in un medley
easy listening di rara fattura. Poi fu il chill out e
niente fu davvero più come prima: completamente
persi per strada certa irriverenza e il totale gusto
per l'ironia della Cocktail
generation, i Buddha bar e
tutta la pletora di compilation che lo seguirono
appiattirono una scena
che delle bollicine e dell'effervescenza aveva fatto carattere. Dopo è
stata solo roba da fighetti annoiati, appoggiati al bancone con il cocktail insapore
e intonato alla camicia griffata
Lele Ghisio
LIBRI E DISCHI
“Mondo exotica – Suoni visioni e manie
della Generazione Cocktail”
Francesco Adinolfi
(Einaudi, 2000)
Dischi consigliati:
Tutti i volumi della collana “Ultra-Lounge”
della Capitol
Tutti quelli della collana “Lounge music club”
della Verve
“Arriva la bomba” compilation
e altre cose a caso di Irma Records
La compilation “Cocktail – tea breaks twisters”
della Polygram
“Modern tunes for everybody” (Emi)
degli italianissimi Flabby
con un prezioso cameo vocale di Carla Boni
“Mondo Cane” (Ipecac)
Mike Patton rilegge gli anni ‘60 italiani
BEVERONI
Dieci Cocktail per assaggiare tutti gli altri
Foto, ricette, storie e leggende dei drink più conosciuti al mondo
Che sia stata la penna della coda di un gallo (in inglese: cock-tail) con cui i
capitani inglesi mischiavano
il contenuto del loro bicchiere o se invece fu laciotola delle uova (in francese: coquetier) in cui si
serviva da bere a New Orleans a dare il nome “cocktail” si perde nelle pieghe
del tempo. La cosa sicura è
che in qualsiasi parte del
mondo voi chiediate un
Martini o un Moijto vi verrà
appoggiato sul tavolo lo stesso tipo di bicchiere con le
stesse misure degli ingredienti. I cocktail sono le prime bevande globali. Spesso
e volentieri dentro il contenitore di vetro troviamo il
mondo dal Sud al Nord. Sono cosmopoliti e cittadini
del mondo. Il Cuba libre
rappresenta un buon esempio di quest'anima complicata e spiritica. La Coca Cola,
il prodotto simbolo dell'America, si mischia con il rum
MARTINI
5.5cl Gin
1.5cl di Vermoth Dry
Si prepara nel mixing-glass e si serve
nella coppetta da cocktail, aggiungendo uno sprizzo di scorza di limone
oppure un’oliva verde servita preferibilmente a parte. Cocktail per eccellenza, citato da cinema e letteratura,
amato da dive e politici, la cui paternità
è contesa da Francia, Inghilterra e Italia.
In realtà mai prodotto fu più americano
e sono dopo una giornata di lavoro si
può gustare come si deve e lasciarsi
andare alle proprietà benefiche di gin e
vermuth dry che soli poco significano e
insieme sono un mito. Scrive DeVoto:
« I l M a rt i n i
abita nelle
grandi città, è
un drink metropolitano.
Non è fatto
p e r e s s e re
bevuto in riva
a un ruscello
di montagna
e in mezzo alla natura, non
è a suo agio
all’aria aperta
o in una capanna».
di Cuba, altro contro-simbolo dell'imperialismo americano. C'è tutta la Storia e
tutta una storia dentro a questi bicchieri. Il collettivo di
scrittori che si riunisce sotto
la firma “Tom Collins” ne ha
messe su carta una decina: “I
dieci cocktail che sconvolsero il mondo” e noi proviamo a sintetizzarle nelle
schede più sotto. Abbiamo
integrato il tutto con le dosi
dettate dal ricettario Iba (international bartender asso-
ciation) giusto per non essere tacciati di iconoclastia.
Un’ultima cosa: sarebbe
buona norma, per non uccidere i cocktail e rendere la
vita del barman più accettabile, evitare di sporgersi
oltre il bancone e urlare:
«Fammelo carico». Abbiate il
coraggio delle vostre azioni,
prendete un gin e risparmiatevi il costo della Lemonsoda. Oppure lasciate
fare al barista che è meglio
per tutti.
BLOODY MARY
4.5cl Vodka
9.0cl Succo di pomodoro
1.5cl Succo di limone
DAIQUIRI
4.5cl Rum Bianco
2.0cl Succo di limone o lime
0.5cl Sciroppo di zucchero
MANHATTAN
5.0cl Rye o Canadian whisky
2.0cl Vermouth rosso
2 gocce di Angostura Bitter
MARGARITA
3.5cl Tequila
2.0cl Cointreau
1.5cl Succo di limone o lime
In un bicchiere tipo highball versare due
gocce di Worchestershire Sauce, tabasco,
sale e pepe e gli altri ingredienti. Girare
delicatamente con uno stirrer. Si può anche guarnire con sale di sedano e una
fettina di limone. Nasce come antidoto a
una sbronza e come pozione in grado di
mascherare i fumi dell'alcool nel fiato del
bevitore. Conteso fra un barman francese,
Fernard Petiot e l'attore americano George Jessel, fa il suo ingresso nei bar agli
inizi del Novecento. Il nome Bloody Mary
anche se ha tante ispirazioni a seconda di
che leggenda
porti alla nascita del cock t a i l , è c omunque un
gioco di parole legato alla
regina inglese
Maria I Tudor
detta la sanguinaria per
aver mandato
al patibolo
3 0 0 p r o t estanti. Mica
noccioline.
Si prepara nello shaker e si serve in una
coppetta cocktails raffreddata. Anche il
Daiquiri, come il Bacardi, non prevede
decorazione.
Il Daiquiri nasce a Cuba e se i suoi primi
vagiti come al solito sono legati ad
almeno tre leggende diverse, nel 1914
all'Avana nel locale “El Grande Costante”, il barman Constantino Ribalaigua Vert serve il “Daiquiri Floridita”
tanto che il suo locale viene ribattezzato “La cuna del Daiquiri”(la culla
del Daiquiri). Era il cocktail preferito
dallo scrittore Ernest Hem i n g w a y,
che nei momenti migliori ne beveva
due contemporaneamente tanto da
battezzarne
entrambe le
varianti: “Hemingway
Special” o
“Hemingway
Daiquiri”.
Si prepara nel mixing-glass con ghiaccio
e si serve nella coppetta a cocktail, con
una ciliegina al maraschino.
È il cocktail più americano che ci sia,
perché richiede come ingrediente essenziale soltanto whisky prodotto negli
Usa e perché lega il suo nome all’omonima isola sull’Hudson, primo nucleo urbano della città simbolo degli
Stati Uniti e quartiere celebrato anch’esso in mille film e libri. Da Woody
Allen a Breat Eston Ellis, passando per
Paul Auster. Leggenda vuole che nasca
al Manhattan
Club durante
la festa organizzata per
l'elezione del
governatore
che sconfisse
il boss delle
strade di allora: Tammany Hall (Il protagonista di
“Gang of
New York” di
Martin Scorsese).
Si prepara nello shaker e si serve in una
coppetta cocktail. Si “orla” tutta la coppetta con del sale. In Italia c’è l’abitudine
di orlare solo una parte del bordo: questo
secondo il gusto del cliente. Per via della
tequila, il Margarita è anche e soprattutto Messico! Un Messico a uso e consumo degli americani e dei tanti turisti
stipati in mutande a Cancún, ma pur
sempre di Messico si tratta. Nasce in
parecchi posti e nemmeno uno; chi dice
in onore di Rita Hayworth, che in realtà si
chiamava Margarita Carmen
Cansino, chi per
mano di Carlos
Herrera, detto
Danny, barman
di Tijuana, per
compiacere la
giovane attrice
Marjorie (cioè
Margarita) King,
che era allergica
a quasi tutti i superalcolici eccetto la tequila.
Un cocktail d’amore quindi.
La Nuova Provincia di Biella
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Sabato 21 luglio 2012
Metticcio
cocktail
LA SOCIETÀ MIGLIORE È SEMPRE LIQUIDA
Un Negroni è fatto di tre
parti uguali di Bitter Campari, vermouth rosso, gin,
mescolati in un bicchiere old
fashioned. Se si ricostruisce
la storia di questi tre elementi e se poi la si mette in
relazione con quella del “padre” da cui questo cocktail
discende ovvero “l'Americano”, in una sorta di antropologia culturale alcoolica si
può intuire come i cocktail
rappresentino una buona
sintesi di quello che dovrebbe essere la società del futuro. Non è una provocazione iperbolica data dal
troppo sostare davanti al
bancone. Il meticciato è la possibile spinta
verso un
modo di
pensare
alle differenze
culturali
senza annullarle o
isolarle nella teca del multiculturalismo. Ora prendiamo tre bicchieri uguali e
dentro al primo versiamo
della vodka, nel secondo del
liquore al caffè e in quello
rimasto della crema di latte.
Beviamoli in sequenza. Una
brutta serata vero? Eppure
non abbiamo fatto altro che
applicare il multiculturalismo e cioè una visione orizzontale e differenzialista delle culture, cosa che è di
moda nell'Occidente odierno, rovinandoci completamente un favoloso white russian. Il progressismo veste
spesso i panni del multiculturalismo: a ognuno il suo
spazio. Questo però porta,
come descrive molto bene
Paolo Gomarasca, docente e ricercatore di
filosofia dell'università
Cattolica di Milano, a
una sorta di non luogo. Anche i centri
commerciali applicano lo stesso meccanismo, un'offerta
variegata di cose
diversissime fra loro, in uno
spazio che
perde qualsiasi connessione sia
con ciò che
offre, sia con
chi lo frequenta. Rimane solo un
rapporto meramente commerciale dove
le culture si
azzerano e si
dissolvono come un timido
fantasma. Mai
s'incontrano.
Prendiamo un
bicchiere tipo
highball (quei
cilindri di vetro
alti e tozzi) e
versiamoci per
tre quarti della
Vo d k a, u na
spruzzata di succo di pomodoro e
versiamo dentro
una scorza di limone triturata.
Ora ser ve una
buona dose di coraggio per sorseggiarlo. Questa è la
c o l o n i z z a z i o n e.
Nelle sue parti di
NEGRONI
3.0cl Bitter Campari
3.0cl Vermouth rosso
3.0cl Gin
Si prepara direttamente in un old fashioned con ghiaccio. Si mescola e si
guarnisce, infine, con mezza fetta d’arancia. È facoltativa una spruzzata di
soda water.
Cocktail tutto italiano che prende come
base l’americano e gli aumenta la gradazione alcoolica; uno dei più serviti
all’ora dell’aperitivo.
1920, Firenze.
Il conte Camillo Negroni, chiede a Fosco
Scarselli, giovane barman che sa quello
che fa, un “rinforzo” per il suo “Americano”, a base di vermut
rosso e bitter
Campari. Ci
aggiunge una
spruzzatina
di seltz o soda. E come
rinforzo un
terzo alcolico, il gin.
Ecco come
nasce il Negroni. Nobile
cocktail fiorentino.
meticciato giuste, questo
bicchiere sarebbe un gustosissimo Bloody Mary invece
messo così è pura sopraffazione della vodka nei confronti del pomodoro e il limone triturato non entra in
connessione con gli altri due
ingredienti perché andrebbe
spremuto. Mancano poi all'appello sale, pepe e tabasco. Convinti che il colonialismo sia stato in qualche
modo un incontro tra culture, impari nei pareri più
illuminati, dobbiamo arrenderci al fatto che sia un'egemonia di una cultura sopra un'altra. Non solo, anche
le istanze di preservazione
portate dai Paesi colonizzati
nell'ultimo secolo sono frutto anch'esse di questa egemonia. L'Occidente influenza, attraverso un imposizione di valori e di etica, l'essenza del significato di “cultura”. La stessa parola implica un timbro post-coloniale. Goramasca parla di
movimento “assimilazionista” che tende a eliminare
tutte le differenze, riducendole al dominio della cultura
dominante, la nostra insomma. Quindi non sono sufficienti gli strumenti che abbiamo per comprendere a
fondo il metticiato. Serge
Gruzinski, storico francese,
scrive: «Un’antropologia alleggerita dal fascino per il
selvaggio e una sociologia
sensibile ai mescolamenti
dei modi di vita e degli immaginari ci fanno capire la
portata e il senso dei mescolamenti che si sviluppano
sotto i nostri occhi. Ma forse
una disciplina non è sufficiente a venire a capo della
questione dei meticciati, ci
vorranno delle scienze nomadi, pronte ad andare dal
folclore all’antropologia, dalla comunicazione alla storia
dell’arte». Noi proponiamo,
tra il serio e il faceto, un'antropologia “Cocktail”, dove il
mischiare, porta alla costruzione della società. Scontro
di civiltà? Possibile, anche
perché, come dice l'antropologo Ernesto De Martino,
il relativismo a cui andiamo
incontro ci costringe a praticare una sorta di “etnocentrismo critico” che si allontani in qualche modo
dalla dicotomia Occidente/Resto del mondo. Dove le
istanze del secondo sono
CUBA LIBRE
5.0cl Rum bianco
10.0cl Cola
Si versano gli ingredienti direttamente
in un bicchiere tipo highball riempito
con ghiaccio. Si aggiunge infine una
fettina di lime.
Favorito dal proibizionismo, periodo
che fece la fortuna di tantissimi cocktail, veniva usato dai gangster per
camuffare e importare il rum che prendeva aspetto e profumo della cola in
modo da non poter essere riconosciuto. Il Cuba libre sbarcò in America
negli anni '20 e da li fu una marcia
trinfale alla caduta del proibizionismo.
Non sono fu in grado di imporsi al
bancone ma
arrivò a scalare le classifiche dei dischi nel 1944
con la canzone del trio
The Andrews
Sisters,
“Rum and
Coca-Cola”,
che rimase in
vetta alle
c l a s s i f i ch e
per 30 settimane.
uguali e contrarie a quelle
del primo, distanti da una
qualsiasi forma di meticciato. Gruzinski propone il modello della nebulosa che si
contrapponga alla visione
della storia come insieme di
movimenti lineari. La nozione di cultura - sostiene lo
storico - è nata dentro un’ottica evoluzionistica, per cui è
come se ogni tappa della
storia dell'uomo sorgesse da
quanto contenuto nel passaggio precedente, relegando così i mescolamenti come
fenomeni di tipo transitorio
e secondario a favore di un'idea di ordine prestabilito. Il
cosiddetto “ritorno alla normalità” è di per se aleatorio.
I meticciati dunque - aggiunge l’autore - sono complessi e imprevisti per cui
appartengono a una categoria di oggetti di difficile
percezione per lo storico. Da
qui alla nostra formazione
identitaria la strada è breve.
Supponiamo di sederci al
bancone per l'ennesima volta e di ordinare un Cuba
Libre al barman, o bartender
se ci sentiamo particolarmente americani, e di chiedergli di sostituire la cola con
il chinotto. Scandalo nel locale. Un uomo di mezza età
prova a scendere dallo sgabello e cerca di colpirci tanto
è il disprezzo che prova nei
nostri confronti. Un gruppo
di avventori inizia a parlottare e sorridere al nostro
indirizzo, altri che ci sedevano accanto prendono posto da un'altra parte. Il barman, in mancanza di un
buon argomento, ci prepara
MOJITO
4.0cl Rum bianco
3.0cl Succo di lime
3 foglioline di menta
2 cucchiaini di tè di zucchero di canna
Soda Water
Si adagia sul fondo al bicchiere la menta
con zucchero e succo di lime e si pesta
delicatamente per far sprigionare l’essenza. Si aggiunge il rum e si colma con
soda water. Si guarnisce con foglioline
di menta.
Una delle prime ricette scritte del Mojito,
anzi del “Cuban Mojo”, appare nel 1931
nel libro Cuban cookery, gastronomic
secrets of the tropics, with an appendix
on cuban drinks di Blanche Zacharie de
Baralt, una
newyorchese dalla cultura cosmopolita che si
era innamorata di un
medico cubano, di L’Avana, e della
cucina locale. Se i natali
sono incerti
meno è il
luogo di nascita: Cuba.
questo cocktail e ce lo serve
con enorme disappunto. Bene, cioè male, perché faremo
molta fatica a uscire dal locale senza incorrere in qualche episodio più o meno
grave d'intolleranza, ma in
quel preciso istante abbiamo
chiesto una variazione in favore di un'affermazione della nostra identità che si rispecchia molto di più nel
mischiare il rum con il chinotto. Certamente in quel
momento abbiamo decretato la fine del Cuba Libre, un
meticcio, a favore della nascita di un nuovo meticcio.
Uscendo dal grottesco e portando la stessa situazione nel
quotidiano, possiamo solo
ricordare quante discussioni
ancora oggi suscita un bacio
tra persone dello stesso sesso. Oppure il matrimonio tra
due persone appartenenti a
religioni diverse. L'omosessualità, come l'eterosessualità, fa parte di quella divisione in generi che classifica sempre in modo lineare le ipotetiche diverse
componenti della società.
Barak Obama nel suo discorso di vittoria delle presidenziali fece tutto un lungo
elenco di generi: giovani,
vecchi, ricchi, poveri, democratici, repubblicani, neri,
bianchi, ispanici, asiatici, indigeni americani, gay, eterosessuali, disabili e non disabili. Quest'ultima categoria, scappata forse per un
eccesso di retorica dicotomica, racconta molto su come vediamo e leggiamo il
mondo. Nelle lotte per i diritti come dobbiamo com-
KIR
9.0 cl Vino bianco secco
1.0 cl Crema di Cassis
Si prepara direttamente nella flûte, versando prima la Crème de cassis e infine
colmando con vino ben freddo. In alternativa si può usare un bicchiere a
calice per vino.
Questo cocktail ha un padre sicuro: il
canonico Félix Kir, abitante della Borgogna francese, e personaggio pittoresco e di spicco della prima metà del
Novecento francese. Un uomo tenace e
impossibile che si innamora del gusto
del “blanc cassis” e ne fa una ragione di
vita. Presto o tardi lo fa assaggiare, tra
gli altri, al generale De Gaulle e all’allora nunzio apostolico della Santa Sede a Parigi, Angelo
Roncalli, poi
Giovanni
XXIII. Nella
traslazione
da bevanda
regionale a
bevanda internazionale
prende il nome del suo
sostenitore.
portarci? Dobbiamo sostenere le differenze oppure
non dobbiamo sostenerle?
Jurgen Habermas, sociologo
tedesco, scrive:«Non occorrono altri modelli, basterebbe realizzare fino in fondo il
sistema dei diritti, e certo
questo non può accadere
senza lotte politiche e movimenti sociali». Intervenire
a livello legislativo o attraverso risoluzioni burocratiche su questioni che riguardano il riconoscimento reciproco non solo è fuorviante, ma mette in serio pericolo
il vero senso del meticciato
che si genera dove non è
messa più in discussione l'unicità dell'essere umano come molecola di un sistema
più grosso non confinante in
generi, categorie o razze. È la
cittadinanza attiva che ha la
possibilità di mettere in moto il processo di mescolamento che porterà alla nostra società cocktail. Questa
è la vera e unica sfida al
bancone della società mondiale. Su i bicchieri, siate
liquidi e non liquefatti.
Emanuele Policante
I LIBRI DI PAGINA TR3
“Meticciato, convivenza o confusione”
di Paolo Gomarasca
(Marcianum Press, 2009)
?Passeurs culturels. Mécanismes
de métissage?
Benat Tachot Louise, Gruzinski
Serge
(Maison des sciences de l’homme, 2001)
“Multiculturalismo, lotte per il riconoscimento”
di Jungen Habermas
(Feltrinelli, 2008)
SPRITZ
6 cl di prosecco
4 cl di Aperol, Select o Campari
acqua di seltz
uno spicchio di arancia
Si riempie il bicchiere old fashioned di
cubetti di ghiaccio, ponendoci sopra
uno spicchio di arancia. Quindi si versa
la dose di prosecco e si inietta una
spruzzata di seltz. Infine si aggiunge
l’Aperol, facendo compiere alla bottiglia alcuni movimenti circolari.
Jerry Thomas, nel suo manuale ovvero
“Il grande libro dei drink”, pubblicato
nel 1862 sostiene che questo è un drink
tedesco. Lo Spritz nasce infatti nei
territori dell’Impero austro-ungarico,
ed è una bevanda di matrice popolare. Non viene elaborato, a differenza degli
altri cocktail,
nei club o in
locali raffinati, ma in
ogni angolo
della città in
cui si apre
una locanda
o un bar.
La Nuova Provincia di Biella
18
Sabato 21 luglio 2012
FOTOGRAFIA Lorenzo Pesce e Alex Majoli
La città è uno shaker
Lavoro e mostra sui trasporti pubblici di Milano
Nel 2008, Atm, l’azienda
che si occupa dei trasporti a
Milano, commissiona alla
fondazione Iulm una ricerca
sociologica sull’integrazione multietnica nel capoluogo lombardo. L’obbiettivo è
quello di conoscere meglio
gli utenti del servizio e di
capire quanto le reti del
trasporto urbano siano percepite sicure. L’indagine
prende in considerazione i
mezzi pubblici, visti come
luoghi di contatto e contenitori itineranti di storie di
passaggio; preleva un campione di persone, sia italiane che straniere, analizza
le impressioni che hanno
nei viaggi affrontati quotidianamente, valuta lo stress
provocato dall’affollamento
e come questo possa portare
all’esasperazione di certi
sentimenti di intolleranza,
tensione e chiusura fino a
vere e proprie discriminazioni. Parallelamente Atm si
rivolge all’agenzia fotografica Contrasto per avere anche un’interpretazione visiva del tema. Alla realizzazione del progetto vengono chiamati i fotografi Lorenzo Pesce e Alex Majoli
che trascorrono tre mesi in
giro per Milano. Tre mesi in
cui esplorano non solo i
mezzi pubblici, ma in cui
entrano a contatto con le
persone, che si lasciano fotografare anche nelle loro
situazioni casalinghe e nei
contesti sociali in cui vivono. In questo modo l’indagine non si ferma al racconto di storie di passaggio,
ma permette di accedere
ancor più alla psicologia
dell’“altro”, dello sconosciuto che si incontra sul tram o
in metro, che fa parte del
tessuto sociale e vive, anch’egli, la città. Si incontrano, così, un sacrestano
filippino laureato in psicologia, un insegnante bra-
siliano di capoeira, un padre
originario del Gambia sposato con una tedesca conosciuta proprio a Milano,
alcune donne Rom che vivono in un campo nomadi
non riconosciuto, danzatori
allo spazio culturale “Fabbrica Del Vapore”, una studentessa svedese al Moda
Lab dello Ied e tanti altri
volti che compongono una
nuova Milano.
Il lavoro di Pesce e Majoli,
composto da 40 immagini, è
stato poi esposto alla Rotonda della Besana in una
mostra che coglie lo spirito
delle diverse culture e descrive una città che è cambiata e ancora cambierà
Francesca Savino
MIGRART
Potete visualizzare alcune delle
immagini di “Migrart” sul sito di
Contrasto, progetti per la fotografia all’indirizzo:
http://goo.gl/I3oBt
SOTTORETE
di Vieri Brini
“È un cocktail d'amore con te, un cocktail d'amore con chi mi rinfresca la mente
è tutto è niente chissà se è importante o dura un istante”. Queste parole, scritte
dalla penna di uno dei maggiori rappresentanti della cultura trash italiana
(Cristiano Malgioglio), compongono il ritornello della canzone “Cocktail d'amore”, datata 1980, cantato dalla compianta soubrette italiana Stefania Rotolo.
Nata all'ombra del Colosseo nel 1953, da padre di origini pugliesi e madre
austriaca, la Rotolo entra nel mondo dello spettacolo come ballerina facendo
parte dei “Collettoni”, gruppo che accompagnava le esibizioni di Rita Pavone, per
poi passare alla conduzione di alcuni programmi come “Piccolo Slam” e “Tilt” con
il comico Gianfranco D'angelo. Proprio la sigla di quest'ultima trasmissione
diventa una grande hit del periodo, grazie a un testo allusivo quanto basta per
accendere le fantasie, e le conseguenti reprimende, dell'Italia bacchettona dei
primi anni '80. Ad aggiungere benzina sul fuoco ci pensa un clip, che vede la
cantante cimentarsi nel playback del brano mentre fa dei passi di danza in
palestra, accompagnata da alcuni danzatori dagli abiti – francamente – imbarazzanti, per poi rispondere ad alcune domande “pepate” sui divi del
cinema.
http://goo.gl/yvKWO
Se vi trovate al bancone di un locale e, dopo aver chiesto il vostro drink, vedete
che il barista inizia a far roteare le bottiglie e gli shaker come se fosse un circense
provetto, non vi dovete spaventare: il sopraccitato sta mettendo in atto alcune
raffinate tecniche raccolte tutte alla voce “flair”. Lo stile “flair bartender” si divide
in due tipologie: il “Working” e “l'Exhibition”. Il primo, caratterizzato dall'uso di
bottiglie mezze piene, viene utilizzato per rendere più appariscente la preparazione di uno o più cocktail. Il secondo, come si deduce dal nome, è sinonimo
di una vera e propria attività performativa a uso e consumo dei clienti, ma non
finalizzata alla creazione di un drink.
Per saziare la vostra curiosità bastano pochi click, quelli che vi permetteranno
di vedere campioni “dietro al bancone” del calibro di Tom Dyer, Kristian Mihailin
o David Matias Mengoni.
http://goo.gl/qhoCq
http://goo.gl/RMmOn
http://goo.gl/B1rFM
Americani e inglesi dicono “hangover”, i francesi “gueule de bois”, noi
utilizziamo un più prosaico “post-sbornia”. Chi non si è mai trovato, almeno una
volta nella vita, a dover affrontare il fatidico “giorno dopo”? Quello dove mal di
testa, nausea, spossatezza e odio verso il creato si uniscono in un sol coro per
ricordarci quanti cocktails abbiamo bevuto la sera prima. Come fare? Semplice,
bevendo uno dei cinque cocktail proposti da Andrew Irving nel suo “Il metodo anti
sbronza”. Provare per credere. In ogni caso si consiglia di tenere una bacinella a
portata di mano: sbronzone avvisato, appartamento salvato.
http://goo.gl/cm9w0
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