Passion 1982

Transcript

Passion 1982
I FUORICAMPO OVVERO
GLI IMMORTALI IRREPERIBILI
Rassegna Audio-Video 2010
Défilé di Autunno 6
Sabato 13 novembre 2010, ore 17
Palazzo Cini a San Vio
Passion
1982
Un film di Jean-Luc Godard
Con Isabelle Huppert, Hanna Schygulla, Michel Piccoli, Jerzy Radziwilowicz, László Szabó, JeanFrançois Stévenin, Patrick Bonnel, Sophie Lucachevski, Barbara Tissier, Magali Campos, Myriem
Roussel, Serge Desarnanos, Ágnes Bánfalvy, Ezio Ambrosetti, Manuelle Baltazar.
Musiche di autori diversi, fra cui Ravel e Léo Ferré. Costumi di Rosalie Varda. Produzione di Armand
Barbault. Fotografia di Raoul Coutard. Operatore alla camera André Clement. Painter Yvon Aubinel.
Jean-Luc Godard [1930- ]
Sin dagli esordi il cinema di Godard pratica sulla musica una credenza assoluta sul potere di
appropriazione formale del montaggio, trattandosi in lui sempre di testi filmici che si basano su prelievi,
spostamenti, découpages e assemblaggi di evidenze visuali comparabili a evidenze sonore organizzate.
Sia che il regista ordini a un compositore una partitura che poi frantumerà e
dislocherà a zone diverse del récit temporale, o che prenda a prestito delle
musiche classiche o comunque fatte da distribuire sul film, la cosa è sempre la
stessa.
La firma sonora dei film di Godard, è sempre la stessa, per quel che riguarda il
ruolo della musica, nient’altro che rinnovati impegni a fare entrare le sonorità in un gioco di interruzioni
e rotture reciproche e costanti, che raggiungono ogni elemento costitutivo del film, diventandone
struttura portante. In Godard la musica, la forma musicale, il reperto musicale sono effettivamente
usati.
Da questo l’abitudine del regista sin dagli anni ottanta di ricorrere a musiche già fatte, per così dire
classiche, per rendere più evidente un discorso massimamente segnato, nello sviluppo, dalla brutalità dei
tagli. Forse hanno perso qualcosa le partiture di Delerue per Il disprezzo, Duhamel per Pierrot le fou,
Yared per Sauve qui peut (la vie), per mano del regista che ha tagliato, spostato, allungato, ripetuto in tutta
libertà. Forse no. Sempre in quelle colonne si è ben condensato il romanticismo tragico molto
particolare del regista, si è ben cristallizzata in pochi secondi alla volta la frammentazione emozionale di
cui il testo rende sempre conto.
Un caso interessante in Une femme est une femme (1960) è il modo di scrivere per il film, sul film, nel film,
un processo acustico di supporto e punteggiatura dei dialoghi parlati, quasi incollando le battute
femminili alle maschili, singolarmente. In altri film la sonorità è il mezzo invece delle separazioni, delle
prese di distanza, dei collassi della prospettiva, dei debordamenti della logica. Quando Belmondo
telefona a Karina da un caffé e il montaggio passa di campo e controcampo a una alternanza fra caffé e
appartamento di Anna, le due musiche caratterizzanti creano distanza, rottura e un sentimento di
irreparabile frazionamento. Così nello stesso film Karina che canta a cappella è disturbata nel canto da
intrusioni di un pianoforte accompagnatore improprio, irreale, irrisolto dal punto di vista del senso. In
altri luoghi le musiche strettissima sui dialoghi rotti maschili danno corpo a una funzione del sonoro
dedicata fondare una monotonia costituita dall’eccesso di varietà ritmica.
Ancora in Pierrot le fou il compositore Duhamel ha preparato tre temi caratteristici che il regista riprende
in montaggio tutti incompleti, a sbuffi, troncati, incompiutamente. Molto tragicamente à la Godard.
Infine però prevale un motivo di cinque note delle quali le prime quattro sono ribattute prima di
sciogliere il loro moto in una terza minore ascendete, interrogativa. Si tratta di una inversione della
celebra frase incipitaria della Quinta sinfonia. Tema del destino. Il protagonista Pierrot/Ferdinand è
costretto da Godard a evocare Beethoven: I tre colpi della Quinta mi battono nella testa, povera testa.
E allora il film lancia negli altoparlanti una frazione citazionale della sinfonia a tutta orchestra. La cosa è
recuperata verso la fine del film quando nello sketch si parla di una musica che non si può sentire
perché è murata nella testa, e culmina nella sacrificale corona di dinamite che Pierrot si mette in testa,
per non avere più niente da sentire, se non lo scoppio fatale.
Del pari sono dislocate le semicitazionali riprese (sempre di Duhamel) dell’Opera 4 di Schoenberg,
Notte trasfigurata, musica notturna e germanica e tragica e passionale messa a confronto stridente con
la visione paesaggistica, idillica, mediterranea, serena, essenzialmente solare e bella, e anche quel del
Divertimento bartokiano che nutrono il terzo tema, rappresentando nella tessitura del film le distrazioni
del regista, le evidenti cadute della azione, dovute a un collegamento della musica con l’azione che il
regista sembra rappresentare come non condivisa. Prossima al non girato.
Per Passion 1982 il modello musicale catturato dal regista svizzero è la concezione seriale.
Il dopoguerra (secondo) ha segnato la diffusione della strutturazione seriale a ogni parametro della
udibilità della sonorità (intensità, timbro, modi temporali), questo nello sviluppo della musica
dodecafonica d’autore.
Godard tenta una invasione della modularità seriale a tutto il narrato (che diviene così materia
fabulatoria disattivata, inutile, incerta, astrusamente intrecciata e convulsa), estraendo serie di visualità
ottica, ritmica retorica, poste a svolgersi su due piani non intercomunicabili di espansione: il set della
produzione del film da una parte, la vita in retroscena al set dall’altra, viventi in due dimensioni
implacabilmente simultanee e reciprocamente sorde o mute.
Una micro sintesi simbolica di ciò è lo status della protagonista: balbuziente, o di
Michel Piccoli sempre stravolto dalla tosse. (Affanni).
Con i film del 1981-82 Godard sperimenta una ricerca dedicata a dare somma importanza alle
relazioni fra film contigui, alla necessità di girare sempre, come un atleta che debba mantenersi in
allenamento, nel caso tre "veri" film, tre grandi lungometraggi che si staccano all'inizio del decennio
degli ‘80 dal flusso dei video, dei lavori di commissione, dei vari generi e formati, con una perfezione
di immagini e una volontà di "altezza" che tentano il sublime. Da intendere, se si vuole, il sublime,
anche solo come un "genere", pur se in essi i temi alti dell'arte, della musica, della costruzione
musicale, della divinità, si intrecciano, faticando a diventaren narrativi, alla quotidianità, alla
commedia e alle forme "basse" di racconto e rappresentazione. Questi film sono Passion, Prénom
Carmen e Je vous salue, Marie e costituiscono, invitandoci a una indiscutibilmente massima espressione
di banalità critica, una "trilogia" (uscita in poche sale in Italia nella stessa stagione) che si potrebbe
chiamare, privilegiando l'uno o l'altro, trilogia della classicità, o trilogia della perfezione, o della
verginità. Che sono poi per Godard la stessa cosa detta con linguaggi diversi: quello della critica,
quello della tecnica e quello della morale.
Passion, del 1981-2, è ancora una volta, per Godard, un film diviso fra Francia e Svizzera, fra lo studio/set di Billancourt e gli esterni intorno al lago. Come in tanti film una "Storia" di un film da
farsi, che ricorda molto un altro set e un'altra Passione, anch'essa divisa fra quotidianità e tableaux
vivants, una storia che Godard si era trovato accanto in RoGoPaG ,forse invidiando, quella della Ricotta
di Pasolini. Ma dei suoi film della vita precedente l’interruzione creativa da cui esce con Passion,
questo aspetto ricorda soprattutto Le Mépris, un film altrettanto o non meno diviso fra vita e
classicità, anche per il ritorno di Michel Piccoli e l'analoga eterogeneità linguistica (anche se qui
non c'è più nessuno che traduce). Ma in quel film i registi di riferimento erano due giganti,
Welles e Lang, qui è uno che assomiglia più a se stesso, al Godard di Sauve qui peut, uno straniero
che non sa mai se restare o tornarsene a casa, diviso fra due donne una delle quali è ancora, in
questo caso, Isabelle Huppert. L’inizio del film è quasi identico, folgorantemente.
Un cielo azzurro con nuvole bianche e luminosissime attraversato dalla scia di un jet. La musica, di grande
respiro d’autorialità, è il Concerto per la mano sinistra di Ravel. Con questa immagine cominciano ad
alternarsi brevi inquadrature dei protagonisti colti in frammenti della loro vita. Jerzy
(Radziwilowicz, già protagonista dell'Uomo di marmo di Wajda) fa la parte un regista
che sta girando uno strano film. Isabelle (Huppert) è una balbuziente, operaia e attivista
politica in una piccola fabbrica, il cui padrone è il signor Boulard (Michel Piccoli), che
non fa che tossire tosse ed è sposato con una tale Hanna (Schygulla). Il regista
polacco lavora a un film che si intitola Passione e si basa essenzialmente sulla ricostruzione in studio di
quadri celebri. Il primo che vediamo è la Ronda di notte di Rembrandt. Ma il produttore Laszlo (Szabo) è
preoccupato perché la pellicola non ha una vera storia. Hanna è padrona di un motel dove alloggia la
troupe del film, in breve è diventata amante di Jerzy e suo marito sa tutto. Costui paga tangenti alla
polizia ma non ha soldi per un creditore che lo perseguita e nella fabbrica si sta agitando uno sciopero.
Nello ‘studio’ è stato allestito ora un altro tableau vivant, Le fucilazioni del 3 maggio di Goya, ma la sezione 3
maggio comprende anche i quadri della Maja desnuda e de La famiglia reale. La segretaria di produzione,
Sophie, discute col regista e l'operatore, anche lei è convinta che in ogni film ci voglia una storia, un
racconto, ma loro si preoccupano solo e soltanto di trovare buone luci. Sophie si irrita soprattutto
perché scopre che Patrick, l'organizzatore, le preferisce ora, sessualmente, una comparsa, Magaly. Boulard
è invidioso di Patrick, lo vede ogni volta con una donna nuova. Hanna gli chiede di licenziare Isabelle.
Nel motel c'è anche una strana cameriera, Sarah, chiamata «principessa», che fa esercizi acrobatici mentre
sbriga i suoi lavoretti. Il produttore continua a chiedere una storia al regista ed è sempre al telefono con
qualcuno, il padrone continua a sfuggire al creditore, l'aiuto regista François (Stevenin) aiuta sua figlia
Barbara a studiare così come sodomizza una comparsa ripetendole «dì la tua battuta!». Jerzy ha chiesto a
Hanna di fare una parte nel film, lei rifiuta perché non vuole spogliarsi: «Il lavoro che mi chiedi è troppo
simile all'amore». Sophie e Patrick si recano alla fabbrica a cercare comparse fra le operaie: Isabelle chiede
perché nei film non si vede mai gente al lavoro. Anche lei ripte a sua modo la battuta di Hanna: «Il lavoro
è come l'amore, ha gli stessi gesti dell'amore». Nello studio è pronta la ricostruzione di Il bagno turco di
Delacroix ma il regista non arriva. È infatti da Hanna, con la quale scambia tenerezze guardando delle
riprese video di loro due e quando lo chiamano al telefono risponde che sta lavorando. Appare un
finanziatore italiano, con classica starlet appresso, che vuol sapere dove sono finiti i suoi soldi: Laszlo
gli spiega il costo di ogni pezzo del set. La giovane nipote di Boulard, sordomuta, è stata assunta
come comparsa per La bagnante di Ingres. Laszlo non riesce a trovare acquirenti per il film. Jerzy è incerto
fra l’ipotesi di restare e quella di tornare in Polonia, e anche è incerto fra l’amore di Hanna e quello di
Isabelle. Isabelle è stata licenziata, ma si rifiuta di lasciare la fabbrica, viene cacciata dal padrone e da un
poliziotto. Boulard poco dopo cerca di travolgere con la sua auto anche la moglie.
Nello studio si vede allestito il tableau de L'ingresso dei crociati a Costantinopoli di Delacroix: guerrieri a cavallo
volteggiano fra le maquettes della città. Regista e produttore visionano le riprese digitali e discutono del
film che nessuno compra, tutti infatti vogliono una storia che non c’è. Anche il produttore italiano vuole
una storia. Ma quando decide di lasciar perdere il film viene trattenuto a forza e malmenato dai tecnici e
dalle comparse. Anche Hanna picchia il marito, e Jerzy viene ferito per errore dalla coltellata del creditore
destinata a Boulard. Lo protegge Sarah, innamorata di lui, ma è poi Isabelle che lo cura e lo accarezza. Scena
d’amore. Quando giunge Hanna il polacco la respinge. Il set è ispirato ora a La lotta di Giacobbe con
l'Angelo di Delacroix. Laszlo annuncia alla troupe che la Metro ha deciso di partecipare al film, dovranno
trasferirsi in California. Jerzy non ne vuole sapere dell' America. Isabelle, che ha ottenuto dei soldi della
buonauscita, sogna di andare in Polonia. Continuano le riprese con un altro quadro, l'Assunzione di El
Greco. Jerzy gira ma dice «Dobbiamo cercare ancora». Quando Hanna va a cercare il suo regista, non
trova nessuno: sono partiti tutti lasciando sul set, per la prima volta in esterni, due personaggi e il veliero
di L’imbarco per Citera di Watteau. È inverno, c'è molta neve. Tutti partono in direzioni diverse. Hanna
s’incontra Isabelle, e finiranno per andare in Polonia assieme. Jerzy le insegue per fermarle, ma trova per
strada Sarah, la "principessa" e la fa salire sull’auto. A lei non piacciono le macchine, questa, però, le dice
lui, «non è un'auto, è un tappeto volante».
Le due serie di cui il film è fatto, lo studio/il set e la vita di tutti i giorni, appaiono, visualmente parlando, diversissime. "Fuori" vi è confusione di percorsi e di vite, continuo viavai di auto,
incontri e scontri, volgarità e buffonate, lingue diverse, balbuzie, tossi, mutismi. E fitti intrecci
di relazioni e di personaggi, carichi di legami narrativi e analogici strettissimi, che in una prima
sceneggiatura erano anche più complessi, o più percepibili (Hanna è un'ex
operaia della fabbrica, Isabelle una sindacalista cattolica, come i polacchi di
Solidarnosc, vergine ecc.). Ma tutte le "storie", di sesso, di denaro, di
lavoro, si sovrappongon;, i gesti di violenza sembrano riecheggiare da un
personaggio all'altro. Ancor più che nel vecchio godardiano Sauve qui peut la
narratività, per quanto frammentata, allusa, tanto inafferrabile, è comunque fortissima, non c'è
personaggio che non abbia una relazione con un altro. Prima o poi. Ma in questo fuori-dallostudio che è il mondo le relazioni sono anche storiche, politiche, culturali. Sono rapporti fra
ruoli e ambienti: amore e lavoro, casa e motel, cinema e fabbrica, comparse e operai, padroni e
registi, mariti mogli e relativi amanti. Godard stesso spiegherà poi, nel video Scénario du film
Passion, come si è costruita questa serie di rapporti, non a priori, sulla carta di una sceneggiatura,
ma attraverso connessioni e suggestioni dei significanti: luci, parole, gesti, suoni, colori ecc. in
maniera spontaneamente micro-seriale.
L’altra serie, la maggiore, quella del set e dei suoi dodici quadri ricostruiti, appare e per molti aspetti
anche è totalmente opposta. Nella perfezione delle luci da studio i personaggi sono comparse e corpi
luminosi, quasi sempre statici, sempre silenziosi. E pittura, arte classica (come accadeva nelle statue
policrome di Le Mépris). Ogni tableau è accompagnato da usa sua musica solenne o liturgiche
(concerti, messe e requiem, ecc., forme musicali firmate, di Mozart, Dvoràk, Beethoven,
Fauré ecc.) e la gru, spesso a sua volta inquadrata, li percorre e perlustra, volteggiando dall'alto.
Questo, dice qualcuno, non è un film, ci sono attori, tecnici, comparse, soldi ma non c'è una storia,
non si racconta nulla. «Nel cinema ci vuole una storia e bisogna seguirla, questa è una legge» afferma
Sophie. Ribatte il regista: «Nel cinema non ci sono leggi, è per questo che la gente lo ama ancora.
Signor Coutard, esistono delle leggi nel cinema?». «No, signore».
Il cineasta non cerca regole e storie, cerca la vita. «Le storie bisogna viverle prima di inventarle.
Credete che cadano dal cielo, le vostre storie di merda?» Dal cielo può cadere solo la luce, e
lui, come fa Godard sull'autostrada di Losanna, cerca una luce; sarà questa problematica a rendere
possibile un collegamento fra le due serie, i quadri classici e la realtà sociale, il cinema (muto e fermo,
immobile, ma vivente) e la vita, mobile ma morta. Isabelle scrive un documento sindacale, sposta una
lampada a stelo: Godard stacca su un riflettore da studio e da esso deriva una panoramica sulla
luminosissima lanterna della Fucilazione di Goya. Nel teatro di posa come in ogni stanza si vede sempre la
fonte di luce artificiale, che sia un "bruto" o un abat-jour. Per questo in Passion, dopo una separazione di
14 anni, torna Raul Coutard, colui che aveva filmato per Godard senza regole e senza luci, o
con la luce che trovava.
Si possono descrivere la vita, le sue storie e i suoi personaggi romanzeschi, ma poi si deve andare
all'essenziale, che per il cinema è luce + suono + immagine + significante di risulta. «Delacroix ha
cominciato dipingendo guerrieri, poi santi, di lì è passato agli amanti e poi alle tigri e alla fine della sua
vita dipingeva dei fiori». Finita la citazione, uno stacco Godard mostra Hanna in una serra e poi la riprende
con dei fiori in mano: poiché fra quadri e vita ci sono anche rapporti di "contenuto". I crociati a
Costantinopoli e i poliziotti in fabbrica, il veliero di Watteau e l'aereo, o il tappeto volante-macchina.
Isabelle è una sindacalista e un angelo, la bagnante neoclassica di Ingres è un'operaia. E alcuni personaggi
del mondo reale (soprattuto Hanna Schygulla, a cui sono dedicati i primi piani più intimi, e che regala i
sorrisi più luminosi) nella perfezione dell' inquadratura non hanno niente di meno, in visualità ferma o
mobile, dei quadri classici. Godard non mostra più dei quadri, anzi delle riproduzioni appese al
muro come faceva nei suoi primi film, ma li fa, i quadri. È diventato finalmente un pittore, o un
musicista, come ha sempre desiderato essere. Compone. E nello stesso tempo il un regista di kolossal
vuoto, di un inutile film in costume, è come Lang è come Welles e il suo è uno dei soggetti più alti, una
Passione, che lo si intenda nel senso della vita, della sua sofferenza, o nel senso della Storia e dell'Arte. Certo
Godard è anche Jerzy, un cineasta allo stremo del rigetto della creazione, che abita tra due paesi, due
paesaggi morali, che va e viene, cerca e indugia, ma che ha riscoperto che la classicità e la perfezione
sono possibili, anche senza ricorrere a un viaggio di California. Forse la maturità forse. Godard ha
distrutto e disaggregato tutto quanto si poteva, il suo periodo impressionista, cubista, fauve l'ha
attraversato e non lo dimentica, ma non cita più Picasso e Renoir, resuscita i grandissimi classici. Continua
a dirci che nel cinema non esistono leggi ma scopre la Legge: come dirà poi
ricostruendo a posteriori lo Scénario del film: «sei dovuto risalire al fondo dei tempi,
alla Bibbia...». I temi dei quadri passano dal potere alla violenza storica all'erotismo
per finire con la religione, un'Assunzione al cielo. L’aereo che attraversa il cielo nella
prima inquadratura è anche un turbo-angelo che sale.
E tuttavia questa Passione si fa e non si fa. Alla fine tutti se ne vanno (come nella realtà: due direttori di
produzione abbandonarono il set), la classicità è rimasta ancora una opzione ricerca. Godard la
raggiungerà infinite altre volte. Subito dopo Passion non con un altro "kolossal" ma con un film
produttivamente minore e dedicato infatti nella didascalia finale «In memoriam small movies»: Prénom
Carmen. Il deludente esito commerciale di Passion lo ha messo in difficoltà e non gli consentirà altri lussi,
Isabelle Adjani ha rifiutato la parte di protagonista, che viene affidata alla sconosciuta Marushka
Detmers e lo stesso regista si rimbocca le maniche prestando opera anche come attore. Come il titolo
suggerisce, anche Prénom Carmen è ispirato un classico, ma Godard non vorrà derivarne nulla dall’originale.
I diritti di Bizet sono scaduti e non è necessario approfittarsene. Anche il film economico dovrà trovare il
suo modo di fallire, mancare, venir meno, non esserci. E non sarà l’ultimo a procurarsi questo destino.