Introduzione

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L’autunno dei beaux esprits
Il  è l’anno della rivoluzione francese, ma anche di circostanze ed eventi che hanno a che fare con questo libro.
Proprio in quell’anno le performances di prestidigitazione,
negromanzia e alchimia di Cagliostro nello scenario egizio
di Villa Malta a Roma vengono interrotte dall’intervento
del Sant’Uffizio, che lo fa processare e poi condurre alla
Rocca di San Leo dove morirà, sei anni più tardi, probabilmente pazzo, certo non pentito – nonostante le bastonate
dei suoi carcerieri – della sua vita per così dire magica.
Ancora nel , Giacomo Casanova inizia a Dux, in
Boemia, la stesura dell’autobiografia per fuggire così la solitudine, l’irrisione del tempo e quella dei servi del castello,
dove vive a rischio della follia. E nello stesso anno Carlo
Antonio Pilati dà alle stampe la seconda edizione del Matrimonio di fra Giovanni, una commedia che ha come soggetto la rocambolesca vicenda di un frate libertino il quale,
dopo aver ordito inganni e trame matrimoniali, rapita una
giovane contessa, evitato il conseguente processo, fuggirà
in Pennsylvania, patria d’adozione dei massoni, con la bellissima schiava di un milord inglese.
Essere un libertino al tempo della rivoluzione può significare diverse cose, vista la velocità che la storia ha impresso
all’ultimo decennio del secolo. Da una parte, Casanova può
osservare il mondo nuovo con il sospetto e il ribrezzo di chi
vede declinare i propri orizzonti e venire meno il proprio
ruolo di honnête homme incline all’avventuroso; dall’altra
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Pilati, libertino nell’accezione dell’esprit fort, guarda favorevolmente al proprio tempo, perché gli esiti del suo illuminismo radicale sono stati colti dal presente e dai suoi intensi rivolgimenti. Queste che presentiamo sono le voci discordi dei
libertini in Italia e, per essere più precisi, la loro ultima stagione, che ne segna il tramonto, quando dalle logge massoniche, dai clubs giacobini, dalle piazze in tumulto, dal teatro
alfieriano salgono le voci di chi combatte con Plutarco la tirannide moderna. Così si infiammeranno le tenui tinte del
neoclassicismo, e la nostalgia dell’antico diventerà, a tutti gli
effetti, passione per il presente. Ma questa sarà un’altra temperie, assai diversa, anche se di poco successiva a questa stagione che possiamo definire l’autunno dei beaux esprits.
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L’etimo della commedia
I testi che si pubblicano non sono noti, forse, a chi non sia
specialista del Settecento. Tuttavia, nel Settecento essi fecero parte delle biblioteche degli uomini di mondo, divertendo chi trovava nelle loro pagine allusioni allo stile di vita del secolo, efficaci ritratti delle maschere sociali che lo attraversarono.
Qui si parla di frati fraudolenti, di dame tanto assorte
nella lettura di Rousseau da non accorgersi di essere oggetto di pratiche erotico-galeniche, di libertini che stranamente sposano le loro vittime, di ciarlatani e di impostori, di
Saint-Germain e di Cagliostro.
Sono romanzi, sono pamphlets, sono commedie pubblicati in piccola tiratura, scritti quasi a margine della vita dei
loro autori, che avevano affidato le loro velleità letterarie a
ben altre opere. Sono dunque scritti minori, divertenti, velenosi e un po’ maledetti, la cui vivacità fa tutt’uno con la
commedia della vita.
Ai loro autori il destino riservò dissimile fortuna e differente prestigio nella repubblica delle lettere. Se Vincenzo
Rota, letterato padovano, trascorse la maggior parte della
propria vita nella biblioteca del marchese Gabrielli, muo
vendosi soltanto tra Padova e Venezia, Casanova e Pilati attraversarono l’Europa, accomunati dalla curiosità intellettuale, ma non certo dalla stessa vocazione intellettuale. L’uno era un bel esprit, e forse per questo un grande scrittore,
l’altro uno fra i più originali ideologi del processo riformatore in Italia, un illuminato giureconsulto le cui proposizioni anticlericali miravano certo a far nascere un moderno
stato nazionale, sebbene non fosse del tutto digiuno dalla
frequentazione di salotti e belle signore.
Dovendo individuare tra loro un elemento condiviso, un
luogo di incontro del loro scrivere, lo si può forse ritrovare
nel denominatore comune della satira che dà risalto a una
pluralità di generi letterari. Distribuendosi tra commedia e
romanzo, poesie, scritti polemici, la satira coglie l’inclinazione del secolo, ma, soprattutto, il senso – a tratti accattivante,
a tratti pungente e polemico – della critique illuminista.
Tuttavia l’aspetto satirico di questi testi non è riconducibile solo a un atteggiamento del pensiero, perché si incarna in un genere letterario che, considerata l’accezione
teatrale del Settecento italiano, non può essere che quello
della commedia come rappresentazione del mondo e delle
sue voci. Sarà soprattutto il testo casanoviano, cioè il Soliloquio di un pensatore, a ribadirne l’importanza come scuola del mondo alla quale si va per imparare la difficile arte
della sopravvivenza, per leggere il vero spartito delle relazioni umane, per capirle con una malizia che smaschera sia
i falsi impostori sia le loro vittime.
. A Venezia Pilati trovò un sostegno interessato alla sua polemica
anticlericale da parte di Andrea Tron e Caterina Dolfin, che ne fecero
un loro protetto nel tentativo di giovarsi della sua consulenza per intensificare la politica giurisdizionalista dello stato marciano. Tuttavia, i
loro scopi non furono attuati per l’opposizione di una parte dell’aristocrazia senatoria. Cfr. F. Venturi, Settecento Riformatore, vol. V, tomo
, Einaudi, Torino , p. ; G. Tabacco, Andrea Tron e la crisi dell’aristocrazia senatoria, Del Bianco, Udine , p. ; B. Capaci, Il tavolino della dama. Lettere e letture di Caterina Dolfin Tron, in “Studi
Veneziani”, , , pp. -.
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In piena epoca goldoniana anche il romanzo, forse per
compiacere un pubblico incline all’intrattenimento, deve travestirsi da commedia. Ma i suoi caratteri presi dalla vita odorano ancora di letteratura e risultano aperti sia all’interpretazione della società sia al recupero di precedenti modelli letterari. Così, alle spalle del protagonista del Matrimonio di fra
Giovanni appare non solo il prototipo sociale del religioso
corrotto, ma anche un preciso tipo letterario, nel quale rivivono le glorie sacrileghe e le ambizioni fraudolente di un Ser
Ciappelletto o di un frate Timoteo, per non parlare dell’ampia schiera di monaci dissoluti e di intriganti religiosi che accompagnano questi principi dell’astuzia nel panorama della
narrativa anticlericale tra Medioevo e Rinascimento. Eppure
il movimento narrativo di questi pamphlets verso il mondo,
ancorché modellato dalle prevalenti necessità polemiche, è
chiaro e inarrestabile. Diversi sono gli scenari qui presentati.
Lo speziale di qualità descrive l’interno di un palazzo parigino e dà vita a un romanzo galante. Il Soliloquio e Il matrimonio di fra Giovanni sviluppano la propria azione in uno spazio più ampio, nell’Europa degli avventurieri le cui strade si
incrociano spesso nel tentativo di fortuna ai danni altrui, perché non si accetta una subordinazione sociale data per nascita, ma contraddetta dal talento naturale. È questo il tempo
degli avventurieri, degli irregolari che rappresentano la coscienza inquieta dell’antico regime, il punto critico della società degli ordini stabiliti, perché interpretano a modo loro
i casi della vita, sostituendo la mancata generosità della sorte
con il culto dell’arguzia e la tenacia della frode. La distanza
cronologica che separa questi scritti si fa sentire con una certa forza, visto che Lo speziale di qualità () è ancora, nonostante un intenso sperimentalismo di genere, immerso nel-
. Si fa notare che Pilati colloca il protagonista della sua commedia,
fra Giovanni, proprio nel convento di San Ciapparello.
. P. Hazard, La pensée européenne au XVIIIè siècle, de Montesquieu
à Lessing, Boivin, Paris .
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le confortanti certezze della privacy aristocratica, nell’amoralità mascherata della grazia, nella vita en philosophe. Ma già
il testo casanoviano (), così puntiglioso nel ribadire e nell’illustrare i privilegi del picaro ai danni delle sue sciocche dupes, produce, perfino non volendo, una requisitoria contro
chi vive di espedienti, di nomi posticci, di identità che si mutano tra un cambio di scena e l’altro, nel passare da una città
all’altra, da Londra a Parigi. Mentre distrugge il mito del negromante ormai prossimo alla disgrazia, mentre somministra
al proprio modello negativo il veleno della critica, Giacomo
Casanova finisce, seppur dichiarando il contrario, con il parlare di se stesso e del suo personaggio, ormai fuori gioco, ormai fuori del tempo. Ecco che il Soliloquio di un pensatore,
ricco di intuizioni prese dalla vita, introduce l’epitaffio del libertino e quindi anche quello del suo autore.
Le opere che qui si presentano seguono una vera e propria climax, data dall’innalzamento della tensione intellettuale che ci vede passare dal divertissement libertino alla discussione del tipo antropologico e culturale dell’impostore,
fino a giungere alla denuncia delle ipocrisie fratesche, sulla
base del modello letterario di Boccaccio e Machiavelli.

Intrecci e pretesti della narrazione
Il primo scritto pubblicato è Lo Speziale di qualità di Vincenzo Rota, letterato padovano di modesta fortuna, ma di copiosa produzione, sacra e mondana, cultore delle lettere, ma
anche della pittura e della musica. Il suo romanzo presenta
una fabula indubbiamente oscena che si sviluppa dall’inconsueto evento della somministrazione di un clistere a una
giovane dama da parte di Egidio, forse archetipo del personaggio omonimo manzoniano, e certamente disincantato
. L’autore stesso la definisce «una storia faceta che ha alquanto del
lordetto».
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