ASTROLOGIA E RELIGIONE PRESSO I GRECI E I ROMANI

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ASTROLOGIA E RELIGIONE PRESSO I GRECI E I ROMANI
ASTROLOGIA E RELIGIONE PRESSO I GRECI E I ROMANI.
IL CULTO DEGLI ASTRI NEL MONDO ANTICO.
FRANZ CUMONT1
Dimostrare come l’astrologia orientale e il culto delle stelle trasformarono le credenze del
mondo greco-romano, è un traguardo ambizioso, come il mostrare l’influenza esercitata in
Occidente da parte del culto astrale che risultò capace di elevare nella sua massima espressione
l’antica religione pagana. Babilonia fu la prima ad erigere l’edificio di una religione cosmica, basato
sulla scienza, e capace di condurre l’uomo, il suo agire, le sue relazioni insieme con le divinità
astrali, nella generale armonia di una natura ordinata; una teologia colta che nelle sue speculazioni
filosofiche, preparerà il terreno, per molti versi, all’avvento del Cristianesimo. L’astrologia antica e
greco-romana tanto rispettate nell’antichità, sono considerate degli intellettuali, tra il XVI e il XIX
secolo, come un insieme di fantasticherie senza senso inadatte alle loro menti razionali. Tale
atteggiamento altamente selettivo degli studiosi, pone l’argomento “astrologia antica” ad un piano
assolutamente riduttivo, facendola apparire come insensata all’occhio dell’uomo contemporaneo,
senza pensare che essa rappresenta una forma indispensabile del pensiero antico senza la quale
molti aspetti culturali, religiosi e filosofici di differenti civiltà, risulterebbero incomprensibili.
Si osserva, verso la fine del secolo scorso, la rinascita dell’interresse nei confronti
dell’argomento Astrologia da parte di un numero sempre crescente di studiosi, quali F. Cumont, H.
Usener, F. Boll, i quali mostrano l’esigenza di un approccio al sapere, sia intellettuale che
scientifico, libero da preclusioni e capace di riportare alla luce non solo un patrimonio di opere, tra
le quali quelle astrologiche, ma soprattutto lo spirito di un’epoca. In particolare Franz Cumont
mostra il suo interesse verso l’astrologia antica facendo emergere che una poliedricità di vedute e
un’apertura culturale spiegherebbero i rapporti tra il mondo orientale e quello classico occidentale.
E’ questo il percorso storico-culturale che Cumont segue nelle sue ricerche, affermando che
nonostante l’osservazione del moto degli astri sia una pratica che sorge in Mesopotamia, sarà
proprio nella Grecia classica che si faciliterà il flusso di una serie di apporti culturali orientali
rielaborati, sia in senso geometrico-matematico che modellati sul pensiero aristotelico. Il punto di
vista di Cumont, ispirandosi alle ricerche di Kuglerd, sottolineanti a loro volta la ricchezza e la
complessità dell’apporto mesopotamico, rifiuta ipotesi panbabilonistiche o egittizzanti, sostenute da
studiosi come Otto Neugebauer costituenti a loro volta una sorta di caposaldo nello studio
dell’astronomia e dell’astrologia antica. In verità tutte le informazioni di cui disponiamo, a partire
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CUMONT F., “Astrologia e religione presso i greci e i romani. Il culto degli astri nel mondo antico”, Milano, 1997,
Ed. Mimesis.
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dalle fonti mesopotamiche ed egizie, indicano che l’esigenza principale degli antichi astronomi si
basa inizialmente sulla soluzione di problemi di natura scientifica, come quelli calendariali, che
inducono gli studiosi stessi a formulare sistemi matematici. In questo senso la tradizione
mesopotamica raggiunge, soprattutto nel periodo tardo babilonese, un livello sicuramente più
raffinato di quello che si può dedurre dai pochi testi matematici egizi esistenti, dimostrando
l’assoluta scientificità del metodo utilizzato per lo studio dei fenomeni celesti che si avvicina più ad
una moderna astronomia che ad una pratica astrologica. E’ pertanto assolutamente infondato
stabilire una sorta di relazione per cui antichità e primitività sarebbero sinonimi di “astrologia”, e al
contempo modernità sinonimo di “astronomia”, come se da un atteggiamento “ irrazionale” si
muovesse verso la “ragione”.
La nascita dell’astrologia ellenistica, collocata tra il II secolo e gli inizi del I a.C, si deve
all’interpretazione matematica delle nozioni astrologiche maturate in Oriente, che vedono
l’universo riassunto e tradotto in vari modelli planetari, geocentrico e geometrico. Tali modelli,
conformemente alla dottrina aristotelica, identificano quattro livelli sublunari ripartendo il mondo
celeste nelle rispettive sfere degli astri erranti, in modo tale che l’universo o macrocosmo si
rispecchi nell’uomo o microcosmo. Alla concezione aristotelica apparterrà attraverso forme
geometriche, l’associazione dei singoli pianeti e segni zodiacali agli elementi sublunari che
costituiscono l’uomo e la sua dimensione terrena. Studiosi come Neugebauer, inoltre distinguevano
e opponevano due tipi di astrologia, quella “giudiziale”, più antica e quella “oroscopica” o
“genetlialogica”. La prima, avendo come oggetto delle sue predizioni un regno, il suo re, e non
essendo immediatamente rivolta all’individuo comune, si basa sull’osservazione di elementi
climatici, in più importanti dei quali sono rappresentati dalle eclissi, dagli aloni della luna, dalle
apparizioni delle nubi, temporali e tuoni, fino ad arrivare ad interessarsi a fenomeni come i
terremoti. Dall’altro lato, l’introduzione dell’astrologia oroscopica si basa sulle funzioni dei sette
principali astri mobili (Sole e Luna e i cinque pianeti) collocati all’interno dello zodiaco,
rappresentando una novità di eccezionale importanza. A tal proposito David Pingree insisterà
sull’inopportunità di definire “astrologia” il complesso sistema di “omina”2 celesti babilonesi, in
quanto secondo la mantica astrale pre-astrologica attraverso le manifestazioni fisiche dei pianeti e
delle costellazioni, gli déi sono in grado di inviare messaggi agli uomini ed ai loro sovrani.
Un capitolo di particolare interesse nella storia della divinazione astrale e dell’astrologia è
costituito dalle relazioni culturali che si ritrovano tra mondo mesopotamico e indiano prima, e tra
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Segni o presagi per interpretare il futuro.
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mondo greco e indiano successivamente; tale periodo come l’astrologia non conosce barriere
geografiche o culturali, ed assume il carattere di religione autonoma, che vede nella fede della
potenza degli astri e nel rapporto macrocosmo-microcosmo un elemento accomunante. Nonostante
le diverse opzioni teologiche e filosofiche assunte di volta in volta nel confronto AstrologiaAstronomia, ma in ogni caso nessuno studioso impedirà all’astrologia di diventare una realtà
storico-culturale di prima grandezza nel mondo tardo-antico e nel Medioevo, come lo sviluppare in
modo essenziale la cultura divinatoria da sempre presente nella storia culturale dell’uomo, fin dai
suoi albori più remoti. Il bagaglio matematico-astronomico della astrologia, rappresenta un
patrimonio tecnico-predittivo che a seconda delle culture vede l’introduzione di nuove speculazioni,
nuove associazioni magico-religiose che si sovrappongono e ne contaminano gli elementi della
cultura locale. Il lavoro di indagine degli studiosi moderni, ha accertato come l’Astrologia dopo
aver regnato indiscussa a Babilonia sottomette le credenze religiose della Siria e dell’Egitto, e
all’epoca dell’Impero Romano trasforma l’antico paganesimo in una religione di stato. Il motivo di
questo successo si ha perché l’astrologia si colloca in una posizione a cavallo tra scienza e mistero,
perché combina teorie scientifiche con l’insegnamento dei misteri pagani creando un’alleanza tra
matematica e superstizione. Il suo punto di partenza è la fede in certe divinità astrali che esercitano
un loro condizionamento in modo scientifico sulle leggi immutabili del mondo, che vede a sua volta
gli astri regolati da movimenti regolari e scientificamente ripetibili.
C’è qualcosa di ossessivo nell’incessante tentativo dell’uomo di conoscere i misteri del
futuro, come ostinato è il suo tentativo di ricercarne la conoscenza, quel livello di indagine
razionale, che possa soddisfare il suo insaziabile desiderio di prevedere il destino. Facendo un balzo
in avanti nel percorso storico-investigativo sull’astrologia, durante il periodo della Rivoluzione
Francese, il cittadino Dupuis sviluppa l’idea che l’origine della “religione” risale all’osservazione
dei fenomeni celesti ed alle loro corrispondenze con gli eventi terreni, mostrando che i miti di tutti i
popoli e di tutti i tempi non sono altro che un insieme di combinazioni astronomiche. L’astrologia
intorno al VI secolo durante il periodo persiano, inizia ad essere coltivata dalla casta sacerdotale,
come è dimostrato dagli enormi zodiaci che decorano le pareti dei templi; così facendo, attraverso
un complesso sistema di sincretismo culturale, l’astrologia diventa non solo un semplice metodo di
divinazione, ma una concezione religiosa del mondo. Nello specifico della Siria, è’ difficile fissare
la data in cui l’influenza della civiltà caldea incomincia a far sentire i suoi effetti; si pensi che
alcune città usavano imprimere sulle loro monete i segni dello zodiaco, sottolineando il senso di
appartenenza e di tutela. La vasta teologia fondata dalla civiltà babilonese, basata sull’osservazione
delle stelle, si diffonderà a popolazioni ancora barbariche come espressione di una misteriosa
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saggezza. I “Pan-babilonisti”, coloro che sostengono la teoria babilonese, affermano che dietro la
letteratura e i riti culturali di Babilonia, dietro le leggende ed i miti vi è una concezione astrale
dell’universo e dei suoi fenomeni che si insinua in tutti i pensieri, in tutte le credenze, in tutte le
pratiche e penetra persino nella sfera dell’attività intellettuale puramente laica. Secondo questa
concezione astrale, le divinità più grandi vengono identificate con i pianeti e le minori con le stelle
fisse; non solo ma viene elaborato uno schema di corrispondenze tra fenomeni celesti e gli
avvenimenti che accadono sulla terra, capace di collegare l’incessante movimento dei cieli con
l’attività degli déi ed il suo seguente influsso sugli avvenimenti terrestri, fenomeno che faciliterà la
diffusione del culto astrale-mitologico dell’antica Babilonia nell’Oriente antico.
Consultando la storia dell’astronomia scientifica, non è possibile nessuna scoperta prima
dell’VIII secolo a.C. per la mancanza di un presupposto indispensabile, cioè il possesso di un esatto
sistema per il computo del tempo, in mancanza del quale imprecisione e inattendibilità
impedirebbero di conseguenza lo sviluppo di un qualsiasi livello di studi astronomici. Grazie però
all’osservazione diretta dei fenomeni celesti, finalizzata alla divinazione ed alla determinazione del
calendario, si stabilisce che alcuni avvenimenti ricorrono ad intervalli regolari; regolarità che
permetterà di mettere a punto delle predizioni di calcolo basate sulla periodicità. Il tracciare in
maniera approssimativa l’eclittica, la linea che il sole apparentemente segue nel cielo durante il suo
corso annuale, come il dividere l’anno in quattro parti corrispondenti alle quattro stagioni, evidenzia
sempre che il loro primo obiettivo è la formulazione di un calendario in cui compare la lista delle
costellazioni corrispondenti ai vari mesi. La struttura dello zodiaco viene stabilita definitivamente
grazie alla sostituzione delle antiche costellazioni di dimensioni variabili con una divisione
geometrica del cerchio in cui i pianeti si muovono in dodici parti uguali e dove ciascun spicchio di
cerchio è ulteriormente suddiviso in tre porzioni o decani, equivalenti a dieci dei nostri gradi. Dato
che i babilonesi non conoscevano la precessione degli equinozi prima dei greci, si deve a
quest’ultimi la scoperta dell’ineguaglianza delle stagioni derivante da una variazione dell’apparente
velocità del sole, ottenuta calcolando con sorprendente accuratezza, la durata dei vari mesi lunari.
Nel VI secolo a. C., i greci iniziano ad essere discepoli degli orientali dai quali presero in prestito i
rudimenti della loro conoscenza astronomica che portò in seguito, con l’applicazione della
trigonometria, a risultati ritenuti impossibili. Ma come si sviluppa l’Astrologia? Si considera che è
indiscutibile fondare una nuova teologia basata sull’influenza esercitata dagli astri ovunque
attecchisca un primitivo animismo. In un primo tempo sorge l’idea che i fenomeni del cielo
corrispondano a quelli sulla terra, e dato che ogni cosa in cielo e similmente in terra è soggetta ad
un mutamento, si pensò che esistesse una corrispondenza tra i movimenti degli déi del cielo e le
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trasformazioni che si compivano sulla terra stessa. Questo mutamento diviene l’idea fondamentale
sulla quale si fonda l’astrologia e da cui deriva il suo carattere divinatorio.
Ma ritornando al culto degli astri, come giungono queste dottrine Orientali dalle rive
dell’Eufrate alle città greche? Chi fu l’intermediario tra Ipparco di Nicea e i sacerdoti di Babilonia?
Strabone, lo storico greco, parla di scuole astronomiche denominate “caldee”. I Caldei creatori della
cosmologia e dell’astronomia, diffusero le loro conoscenze fino in India, in Cina e in Indocina, e
con direzione opposta si diressero verso la Siria, l’Egitto e verso l’intero mondo romano. La loro
influenza sopravvisse alla caduta del paganesimo passando attraverso il Medio Evo sino agli albori
dei tempi moderni. Essi, stabilendo l’immutabilità delle rivoluzioni celesti, immaginarono di aver
capito il meccanismo dell’universo e di aver scoperto le vere leggi dell’esistenza. Geograficamente
nel XV secolo a.C. il babilonese era la lingua diplomatica dell’intero Oriente e l’Egitto, come il suo
influsso culturale si estendeva fino ai principati di Canaan e di Siria. Nelle civiltà orientali, che sono
civiltà sacerdotali, l’intima unione dello studio scientifico con la fede caratterizza ovunque il
pensiero religioso; in nessun luogo quest’alleanza appare così straordinaria come in Babilonia dove
si nota un politeismo pratico di carattere piuttosto rozzo combinato con l’applicazione di scienze
esatte, e dove gli dei del cielo sono assoggettati alle leggi della matematica i cui numeri sono sacri;
quei numeri che determinando la rivoluzione dei cieli segnano il divenire delle stagioni ed i
cambiamenti della natura. In pratica i Caldei studiando i cieli ed associando i principali avvenimenti
sociali e politici al mutamento dell’orbita dei pianeti, verificarono la ripetibilità di una iniziale
ipotetica coincidenza. Così essi, riportando sulle loro tavolette con scrupolosa cura tutti i fenomeni
astronomici o metereologici dai quali traevano i loro pronostici, crearono una massa di documenti,
in cui le leggi dei movimenti dei corpi celesti venivano individuati con crescente precisione. A poco
a poco i “sacerdoti-astronomi” riuscirono a creare un calendario astronomico e predire il ritorno di
alcuni fenomeni trasformando l’astrologia in una scienza divina, attendibile e ripetibile. Così
facendo i Sacerdoti prevedevano il futuro in accordo con gli astri e in associazione a rituali,
dichiaravano di scacciare il male elevando la divinazione per mezzo degli astri al di sopra di tutti gli
altri metodi in uso in quel periodo.
Comprendere l’evoluzione dell’astrologia e dell’astronomia, significa comprendere come gli
antichi culti orientali sono riusciti a modificare le antiche credenze degli Elleni presso i quali
persino il Sole e la Luna erano già divinità occupanti un posto nella loro religione. Per la comune
gente greca che considera gli astri come esseri viventi, fu difficile accettare la filosofia di eruditi
che come Anassagora affermavano che i pianeti sono semplici corpi allo stato incandescente,
quando l’approccio del popolo era volto ad identificare che gli déi coincidenti con gli astri, non
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erano più elementi fisici ma esseri morali o immorali. Quest’ultimi, ricordando gli uomini nel loro
mondo di passioni e sentimenti, si confondono intimamente con loro nella vita terrena,
differenziandosi però per splendore ed eterna giovinezza. Per Pitagora i corpi celesti appaiono
divini, mossi da quell’anima eterea che permea l’universo, e nel contempo simili all’anima
dell’uomo; mentre come vedremo in Platone, gli astri saranno l’identificazione di “dei visibili”. Con
una attenzione non meno devota alla deità e spiritualità, l’antagonista di Platone, Aristotele,
difenderà nella sua dottrina parte della sua metafisica, cioè il “dogma della divinità degli astri”, così
ché egli, come nella “Causa Prima”, vedrà negli astri sostanze eterne, principi del movimento e
pertanto divinità. È impossibile dubitare che nel tentativo dei filosofi di riformare la religione,
questi non furono anche ispirati dall’esempio che proveniva dalle regioni d’Oriente.
Quello che distingue i caldei dai greci è il vantaggio che la loro colta religione trae da queste
nuove concezioni: in Grecia la scienza rimase sempre laica, presso i Caldei fu invece sacerdotale.
Nella Teologia caldea si trovano numerose tracce del primitivo “animismo” che considera divinità
gli animali, le piante, le rocce e la tempesta, e crede che tutto ciò sia in misteriosa relazione con
l’uomo. I Caldei veneravano anche come forze benefiche o spaventose la Terra, fruttifera o sterile,
l’Oceano, le acque che fertilizzano o devastano, i Venti che soffiano dai quattro punti
dell’orizzonte, il Fuoco che scalda o devasta. Essi confondevano gli astri con il nome generico dei
quattro elementi, affermando che il principio della vita che scalda e anima il corpo umano è
l’essenza stessa dei fuochi celesti. Da questi l’anima riceve alla nascita le sue qualità, facendo si che
le sue qualità determinino il destino terreno. L’intelletto, di natura divina, permette all’anima di
entrare in relazione con gli dei del cielo, e contemplando le stelle il fedele riceve da esse la
rivelazione di ogni conoscenza così come di ogni preveggenza. I sacerdoti-astrologi indubbiamente
avevano già concepito l’idea che dopo la morte le anime pie ritornassero agli astri divini da dove
provenivano, e che in questa dimora celestiale avrebbero ottenuto una gloriosa immortalità. I Caldei
essendo esperti nell’arte della divinazione presero atto delle loro intuizioni e diedero inizio ad una
scienza basta sulla predizione dei fenomeni e di avvenimenti in cui si riconosce la manifestazione
della volontà di tutti gli spiriti che affollano l’universo, primi tra i quali gli astri. Questi brillanti
oggetti muovendosi incessantemente nella volta del cielo, generano una paura superstiziosa che
induce i babilonesi a riconoscere, nelle complesse figure create dalla loro associazione, forme
fantastiche di mostri polimorfi, animali sacri, personaggi immaginari e potenze sia favorevoli che
nemiche. In questo modo il cielo appare come lo scenario in cui avvengono combattimenti, alleanze
ed amori; uno spettacolo che da vita ad una rigogliosa mitologia nella quale appaiono divinità non
soggette alla legge ma alle proprie passioni; un’insieme di fantasmi frutto dell’immaginazione. Agli
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gli astri più importanti, Luna, Sole ed a seguire i cinque pianeti, fu dato il nome di “interpreti”,
perché essendo dotati di particolari movimenti che le stelle non posseggono, riescono a rendere
manifesto all’uomo le finalità degli dei. Il culto non era limitato ai soli pianeti principali, ma
concesso anche a tutte le costellazioni del firmamento in quanto rivelazioni del volere del cielo e in
particolare ai dodici segni dello zodiaco e ai trentasei decani, che erano chiamati “dei consiglieri”.
E’ possibile sostenere che i babilonesi e i greci giungono indipendentemente alle medesime
conclusioni, o persino si può asserire che gli uni fossero gli imitatori degli altri, ma quando però
Greci imparano a riconoscere i cinque pianeti noti nell’antichità, gli attribuirono un nome mutuato
dalla propria cultura. E’ così che Venere, il cui splendore Omero aveva già celebrato, fu chiamata
“Messaggera dell’Aurora” o “Messaggera della Luce”, Mercurio fu chiamato la “Stella
Scintillante”, Marte per il suo colore rosso fu chiamato la “Stella Ardente”, Giove fu chiamato la
“Stella Luminosa” e Saturno fu chiamato la “Stella Brillante”. Ora, dopo il IV secolo altri
appellativi vengono forgiati per sostituire queste antiche denominazioni; i pianeti divengono in
Grecia le stelle di Ermes, Afrodite, Ares, Zeus, Kronos, e quindi i nomi dei pianeti che noi oggi
impieghiamo sono una traduzione nella nostra lingua di una traduzione latina di una traduzione
greca di una nomenclatura babilonese. Interessante è notare come i greci, che appoggiano la
supremazia della teologia astrale dei caldei, non introducono nella loro cultura l’astrologia, ma
lasciano primeggiare il potere della tradizione, supportato dal prestigio dell’arte e della letteratura.
La risposta di questo atteggiamento ci viene dall’osservazione del pensiero filosofico greco che va
dal VI al IV secolo, in cui tutta la meravigliosa evoluzione della filosofia stessa dimostra che la
cultura greca non conosceva nulla che si traducesse in fatalismo cosmico e divinazione stellare. A
tal proposito l’ “Epinomide” di Platone è lo scritto che veramente professa di essere il primo
Vangelo della religione Astrale dell’Asia predicato dagli Elleni, al contrario un allievo di Platone,
l’astronomo Eudosso di Cnido, dichiara: “Nessun credito deve essere concesso ai Caldei, che
predicono la vita di ogni uomo in relazione al suo giorno di nascita”, dimostrando come la
divinazione stellare non avesse presa sulle menti greche.
Dopo la conquista di Alessandro Magno si verifica un grande mutamento; l’antico ideale
della Repubblica Greca lascia il posto alla concezione della monarchia universale ed i culti
municipali vengono sopraffatti da una religione internazionale. In seguito a ciò i pensatori sono
sempre più concordi nel destinare il posto principale della religione ufficiale alle divinità siderali.
Grazie ad un sistema di comode allegorie si riuscì a conferire a déi e miti un’interpretazione fisica,
etica o psicologica riconciliando la cosmologia sia con lo stoicismo che con le dottrine caldee,
creando così una forte sinergia intellettuale. Lo stoicismo fondandosi sulle vecchie credenze locali,
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concepisce il mondo come un grande organismo, un insieme di forze ”simpatetiche” che,
interagendo tra di loro, attribuiscono un’influenza predominante ai corpi celesti; il risultato di
questo movimento di idee è una dottrina capace di esercitare una grossa influenza sulle menti degli
uomini, portando l’astrologia e il culto delle stelle in ambito filosofico. Si è osservato che i maestri
della scuola stoica erano per la maggior parte di provenienza orientale. Il pensatore che rappresenta
maggiormente questo sincretismo tra tradizione semitica e pensiero greco è Posidonio di Apamea.
Egli fu anche il grande intermediario e mediatore non solo tra i Romani e Greci, ma tra Oriente ed
Occidente. Allievo di Platone e Aristotele rivolge la sua attenzione verso una astrologia asiatica e
domonologica; greco è il suo pensiero per logica e prontezza speculativa, ma orientale resta il suo
genio per la capacità di combinare la scienza esatta con il misticismo. Più teologo che filosofo egli
formula un pensiero in cui la conoscenza umana si volge all’adorazione del dio che compenetra
l’universo, così la magia e la divinazione mantengono il loro posto e la loro ragione d’esistere. In
ambito romano lo stesso scrittore Manilio si ispira a Posidonio per l’opera “Astronomica”, il poema
degli astri scritto in onore dell’imperatore Tiberio recante le effigi di un’opera capace di conferire il
ruolo di religione ufficiale dell’impero romano. Si pensi che Augusto come Tiberio nel frattempo si
era già convertito alla religione astrale, e si consideri come i sovrani successivi abbiano sempre
garantito una protezione ufficiale di tale religione. Di seguito al movimento di idee iniziato da
Posidonio è connessa anche la rivitalizzazione della setta dei Neo-pitagorici che riappare in
Occidente nella prima meta del I secolo a.C. Nonostante il collegamento con l’antico misticismo
pitagorico, la sua dottrina, seguendo le idee sviluppate da Posidonio, sottolinea quel marcato
dualismo che mette in contrasto l’anima con il corpo, ma soprattutto mostra il legame con il
simbolismo dei numeri a cui è attribuita una forza attiva ed un potere mistico dimostrando quella
stretta connessione tra Neopitagorismo e Teologia caldea. In particolare Zenone e i discepoli dello
Stoà, ancor più chiaramente che dalle scuole di Platone e Aristotele, affermavano che il potere degli
astri riceve una prodigiosa popolarità e potere, non solo dalla dottrina di Evemero, ma anche
dall’ispirazione dalla teologia egizia. Questa sovrapposizione di culti e dottrine è l’inevitabile
conseguenza dello stretto rapporto tra cultura e culto, che caratterizza le varie religioni orientali.
Esse furono sempre l’espressione di una data conoscenza del mondo, delle relazioni tra cielo e terra
censendo i doveri dei fedeli rispetto agli dei. In generale la nuova religione astrologica non si
presenta, in definitiva, come una teoria insegnata dai matematici, ma come una dottrina sacra,
rivelata agli adepti di culti esotici, divulgata nei templi agli iniziati e capace di assumere un vero e
proprio aspetto sacerdotale. Il grande movimento intellettuale iniziato da Posidonio combina
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sicuramente devozione e filosofia e viceversa in un sistema per metà scientifico e per metà
religioso, rappresenta quella identificazione perfetta della religione orientale con la religione astrale.
Abbiamo visto come l’ammirazione per la bellezza del cosmo e la scoperta dell’armonia
celeste abbiano condotto ad affermare l’esistenza di una provvidenza che guida tutto. Ogni sistema
teologico invoca l’ordine della natura come prova dell’esistenza di Dio, dotando gli astri che
splendono nei cieli di personali sentimenti. Se confrontiamo ad esempio quest’estasi serena con i
trasporti dell’ebbrezza dionisiaca delle Baccanti di Euripide, si comprende immediatamente la
distanza che separa la religione astrale dal paganesimo originario. La passione per la conoscenza e
l’ardore della devozione, erano uniti alla profonda emozione mossa dall’idea di una comunione tra
l’uomo e il cielo stellato. Gli astrologi che professavano di scoprire i misteri del fato conducevano
una vita austera, condizione che dava loro potere in quanto i mortali non potevano partecipare
all’estasi divina a meno che non l’avessero meritata per moralità della loro condotta. La scienza
diventa una rivelazione promessa alla virtù e l’uomo viene purificato da ogni contaminazione per
rendere se stesso degno di una società fatta di dei e di conoscenza. I sacerdoti necessitano, rispetto
agli uomini, di un atteggiamento casto e morale, in quanto agli uomini votati al piacere non è data la
possibilità di conoscere la vera natura delle cose. Ecco come la devozione per la scienza è sostenuta,
nel culto astrale da un’aurea religiosa; l’ascetismo diventa guida per una vita intellettuale capace di
placare gli istinti animali e portare a quella rinuncia illuminata solo dalle sacre gioie dello studio. La
gioia nell’estasi che conduce l’uomo ad una comunione con le divinità astrali gli fornisce un
assaggio della felicità che è in serbo per lui dopo la morte durante la quale la sua anima ascende alle
sfere celesti penetrando tutti i misteri. I due grandi sistemi predominanti a Roma, l’epicureismo e lo
stoicismo sono presenti ai tempi della diffusione dell’astrologia nell’Impero Romano. E’ ben noto
che Epicuro sosteneva che l’anima è composta da atomi e che si dissolve con il corpo, quando
l’altra grande scuola, lo Stoicismo, mostrava una considerevole esitazione nel prendere posizione
rispetto a ciò che concerne il destino riservato alle nostre anime. Panezio amico di Scipione, uno tra
i maggiori diffusori a Roma della filosofia del portico, rifiutava assolutamente di credere alla
sopravvivenza dell’individuo. Per lo Stoicismo il vero obiettivo non è la preparazione alla morte,
ma l’ottenimento della perfetta virtù, la quale consentendo la liberazione dalle passioni conferisce
indipendenza e felicità. Dalla morte non ci si aspetta nulla, se non la liberazione dal destino.
Dunque, abbiamo un’opinione assai molteplice per comprendere come e dove si diffonde il
culto astrale lungo cinque secoli di storia e di cultura, dalla fine del mondo ellenico in poi. A tutte le
persone, animale o cose che l’immaginazione umana desidera collocare sulla volta celeste, vengono
conferite leggende che si rifanno a degli episodi mitologici o a qualche evento storico, mentre la
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ragione umana, particella della ragione universale, viene concepita come un soffio o come
un’emanazione infuocata. Nel momento in cui i Greci conquistano con Alessandro la Mesopotamia,
trovarono, sopra un profondo substrato di mitologia, una dotta teologia fondata su pazienti
osservazioni astronomiche atte a rivelare la natura del mondo, i segreti del futuro e i destini
dell’uomo come un’interpretazione divina. Dopo circa un millennio, sotto l’impulso della ragione,
nel XVII e nel XVIII secolo viene condannata l’astrologia, nel nome dell’ortodossia scientifica, con
l’accusa di eresia. Il suo potere si esaurisce quando, con Copernico, Keplero e Galileo, il progresso
dell’astronomia distrugge i presupposti su cui si fondava la sua intera struttura, capovolgendo il
sistema Tolemaico. Quando il paganesimo tramontò questa fede si estinse con esso ed anche dopo
che gli astri furono spogliati delle loro divinità, in un certo senso sopravvisse la teologia che l’aveva
creata. Nel tempo la storia ha dimostrato come l’attenzione dei ricercatori, oscillando tra un
presupposto religioso e scientifico, si volga nuovamente all’astrologia antica, considerando
quest’ultima come una scienza esatta capace di sovrapporsi ed interpretare le credenze primitive.
Solo nel XIX secolo, dopo aver abbattuto i cieli popolati di esseri sfavillanti, l’interesse degli
studiosi per l’antropologia e la scoperta della psicologia umana, rivalutarono la componente
“magica” dell’astrologia come parte integrante del genoma intellettuale umano.
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