I. Introduzione e contesto: Lo studio del sacramento del matrimonio
Transcript
I. Introduzione e contesto: Lo studio del sacramento del matrimonio
I. Introduzione e contesto: Lo studio del sacramento del matrimonio come ricerca di unità 1. “Ciò che Dio ha unito, l’uomo non separi” “Ciò che Dio ha unito, l’uomo non lo separi…”. La frase di Gesù, pronunciata in Mt 19, può essere di aiuto per capire l’importanza del trattato sul matrimonio, sia nel contesto della cultura contemporanea, sia nella situazione odierna della Chiesa. La frase si pronuncia come risposta alla domanda-trappola dei farisei, che chiedono sulle possibili cause del divorzio. Gesù non si avviene a accettare la cornice in cui si pone la domanda e approfondisce nei presupposti, accettati in modo non problematico dai suoi interlocutori, sulla debolezza dell’amore, sulla sua incapacità di durare. Quello che i farisei non accettano è che l’amore è capace di tenere per sempre. L’intervento di Gesù vuole appunto ricuperare qualcosa che la stessa domanda ha perso: la fede nell’amore, la confessione della sua affidabilità. Perché l’amore sia affidabile, dice Gesù, è necessario un riferimento al principio. L’aver perso memoria di questo principio fa i Farisei incapaci di cogliere la forza del vincolo matrimoniale. Questo riferimento al principio non è soltanto cronologico; non è soltanto un rimando ad un tempo previo alla Legge e, quindi, più autorevole. Al contrario, Gesù cerca di stabilire qualcosa di fondamentale: il Principio è costituito dal Creatore che, secondo Gesù, pronuncia il comandamento della Genesi: “l’uomo non separi!” Soltanto perché Dio è presente nel vincolo, soltanto quando si coglie la sua presenza nell’amore tra uomo e donna, è possibile capire la stabilità dell’amore, che i Farisei sembrano aver dimenticato. La tradizione teologica ha meditato su questa interpretazione di Gesù, approfondendo così sull’unità di cui parla la sua frase (sull’interpretazione rabbinica della frase, cf. Strack Billerbeck I, 803ss). A questo riguardo è interessante ciò che dice San Bonaventura, quando chiede se il consenso matrimoniale opera il vincolo. Se fosse così, se il vincolo fosse creato soltanto dall’uomo, allora sarebbe difficile mostrare la sua stabilità. Ciò che l’uomo ha unito, infatti, perché non potrebbe separarlo anche l’uomo? La risposta del santo dottore è chiara: nel vincolo non c’è soltanto una volontà umana, ma la volontà divina che si unisce al consenso, nell’istituire il matrimonio (cf. In IV Sent. XXVI, q. 1, ad 4). Per questo motivo, si deve dire che è Dio a pronunciare la frase della Genesi di cui parla Gesù: “lascerà l’uomo suo padre e madre e si unirà a sua moglie…”. Bonaventura si chiede come sia questo possibile, visto che la frase “questa è carne della mia carne…” è pronunciata da Adamo. Risponde il santo che il sacramento del matrimonio non è istituito soltanto dal di fuori, con un comandamento, ma anche dal di dentro, illustrando interiormente all’uomo (interius illustrando…)1. Questo ci indica ormai quale tipo di unità ha cercato Dio. “Ciò che Dio ha unito” non è unito con violenza, con la forza di Dio che si impone sulla realtà; ma con l’unità 1 Unde Adam sic illustratus dixit: Hoc nunc os etc., et sicut dicit Magister in littera, prophetice est locutus; et ideo verbum illud non fuit a semetipso, sed a Deo: et ideo institutio huius Sacramenti fuit a Deo (Quaracchi 664). propria di chi assume in sé l’altro, di chi parla la sua parola per mezzo dell’uomo. Quest’unità rispettosa dell’unità che la creatura è capace di produrre da sé, questa è l’unità propria del Dio di Israele, l’unità dell’Alleanza. Dio unisce l’uomo e la donna, ma non senza l’uomo e la donna. Nel nostro studio sarà importante vedere come l’amore umano si apre, da se stesso, all’amore di Dio, in modo che questi due tipi di unità possono andare insieme. Ecco il fondamento di quella connessione tra l’unione che Dio ha con il suo popolo e l’unione tra uomo e donna, fatta possibile da Dio stesso. Gesù, nella sua risposta ai Farisei sembra accennare anche a questa connessione. Questo risulta chiaro se la sua risposta si colloca nel contesto del vangelo di Matteo. La frase sulla durezza di cuore, infatti, è da collegarsi con la mancanza di misericordia con cui Gesù rimprovera altre volte i farisei. Se questo è così, allora il divorzio è visto come mancanza di misericordia verso la moglie. Lo sfondo della frase viene dato appunto dal profeta Osea, che la colloca nel contesto del rapporto tra Dio e il Popolo. Mandando via la donna non si attuerebbe ciò che è conforme all’agire proprio di Dio, che unisce se stesso al Popolo di Israele. Il rimando a Osea è interessante, perché questo profeta è stato il primo a usare l’analogia nuziale per parlare dell’unione tra Dio e Israele. Allo stesso modo in cui il profeta deve prendere una donna di prostituzione, così anche Dio prende come sposa Israele; e Dio mostrerà la sua misericordia nel ristabilire l’alleanza con Israele, malgrado l’infedeltà del Popolo. “Ciò che Dio ha unito”, quindi, è da interpretarsi come tutta la storia del Popolo. Quest’unione sollecita la libertà dell’uomo, include in sé questa libertà. Prendendo la forma del perdono e la misericordia, quest’unione si mostra più forte di ogni peccato dell’uomo, di ogni debolezza nel custodire il patto. In questo modo, col suo amore Dio unisce se stesso con il suo Popolo, abita nel Santuario in mezzo alla terra da Sé scelta, unisce i diversi momenti della storia. “Ciò che Dio ha unito” diventa la formula dell’agire divino con il Suo Popolo. Il peccato consiste appunto nel separare quello che da Dio è stato messo insieme. In questa visione il matrimonio appare come segno dell’unità di tutte le cose tra sé e di tutte le cose con il loro Creatore. La frase di Gesù, “ciò che Dio ha unito”, può allora aiutarci ad esplorare la connessione tra il matrimonio e i diversi aspetti della vita dell’uomo. Sarà utile, prima di tutto, per cogliere il posto del matrimonio nella società moderna, così bisognosa di un principio di unità. 2. Il tempo moderno come perdita dell’unità Dice così G.K. Chesterton nella sua opera Orthodoxy: The modern world is full of the old Christian virtues gone mad. The virtues have gone mad because they have been isolated from each other and are wandering alone. Thus some scientists care for truth; and their truth is pitiless. Thus some humanitarians only care for pity; and their pity (I am sorry to say) is often untruthful (capitolo III). La diagnosi di Chesterton sembra accurata. Il problema del mondo moderno non è l’abbandono di ogni valore, ma l’isolamento tra i frammenti che ancora sussistono. Possiamo anche dire che la Modernità ha approfondito con più forza nei diversi aspetti della realtà; che l’uomo moderno conosce meglio il mondo della materia, della vita, della coscienza; che anche sa più sull’arte e perfino sulla religione. Quello che si è perso è la capacità di collegare, di mettere insieme i diversi aspetti, di trovare il filo rosso che porta unità al tutto. In questo senso poteva chiedersi T.S. Eliot: “Dove è la conoscenza che abbiamo perso nell’informazione / e dove è la sapienza che abbiamo perso nella conoscenza?” Possiamo anche capire in questa luce la frase de Ortega y Gasset: “L’epoca moderna è superiore a tutte le altre, ed inferiore a se stessa…” Inferiore a se stessa perché non sa mettere a posto le innumerabili ricchezze che ha scoperto. a) La prima frattura che si osserva è quella che divide l’individuo dal resto del mondo, dagli uomini, da Dio. La libertà come autonomia, che è secondo Robert Spaemann un tratto saliente del tempo moderno, contrasta con la libertà (eleuthería) greca. Quest’ultima consisteva nel diritto a conservare le leggi e i costumi della propria città. Un uomo era libero quando apparteneva ad un gruppo che aveva una storia, un modo di vivere, e poteva contare su questo per scoprire il senso di una vita pienamente umana. A un tale concetto comunitario di libertà come appartenenza, la modernità ha opposto la visione dell’autonomia individuale, e ha definito la libertà come capacità di agire da se stesso e per se stesso. b) Insieme a questa frattura tra individuo e comunità troviamo un’altra, associata, che percorre l’interiorità dell’uomo: la separazione tra anima e corpo, spirito e materia. Da una parte si colloca la coscienza e la libertà, conosciute tramite le scienze umane; d’altra si situano le cose materiali nella loro estensione, studiate dalla scienza positiva. Questo ha portato alla divisione tra il mondo soggettivo, dove si pongono le grandi domande sul senso, e il mondo oggettivo, dove si studiano le leggi della natura in vista alla produzione tecnica. Tale divisione porta a una grande mancanza di stabilità sociale, perché la tecnica, da se stessa, non può trovare ne senso ne indirizzo. c) In terzo luogo parliamo della divisione all’interno della storia. La Modernità, ancora secondo la visione di Robert Spaemann, vive secondo la legge del progresso, che afferma il continuo miglioramento delle condizioni di vita, tramite il potere della tecnica. Per uno sguardo simile, il passato come tale non ha valore; è importante soltanto in quanto che ha prodotto risultati di valore, ma non per la sua storia concreta. Il futuro, d’altra parte, nasconde sempre nuove sorprese, in virtù delle scoperte scientifiche, che modificano il campo dell’attività umana. Cresce così la distanza tra passato e futuro, in modo sempre più grande. I tempi, che nel mondo biblico erano uniti tra di loro per l’azione del Dio creatore, sono oggi separati irrimediabilmente. L’uomo non può riunirli senza contare con il Dio che li aveva unito dal principio e continua a conferire loro continuità. La Modernità ha generato un mondo autoreferenziale in cui vale soltanto “ciò che l’uomo unisce” e che, quindi, egli stesso è capace di separare. Cresce, allo stesso tempo, la sete di fondamenta, di orientamenti chiari che permettano camminare in un mondo senza unità. Il tempo postmoderno, che anche è chiamato “dopo-modernità” o “modernità tardiva” quando visto in connessione logica con i presupposti della Modernità, quando è riuscito ad abbandonare queste grandi fratture, è stato solo per confondere tutto in un grande flusso informe, quello che si chiamano “rapporti liquidi”. È possibile ritrovare il tutto nel caos dei frammenti? 3. Ritrovare l’unità nell’amore Il mondo antico vedeva nell’amore la chiave per capire l’unità di tutte le cose. È questo l’amore che “governa cielo e terra”, secondo Boezio; è l’amore di cui “l’aria e il mare e la terra” sono pieni, secondo Petrarca; è l’amore che, movendo il sole e le altre stelle, come dice Dante, porta unità al tutto. Anche la visione biblica, rivelata da Gesù, parla dell’amore come di ciò che Dio ha unito, mettendolo insieme con il suo stesso amore: un amore che attraversa la storia vincolando tutti i momenti, facendo possibile la continuità di passato, presente e futuro. Possiamo ancora trovare l’unità nell’amore? Può essere che l’amore sia il medico che guarisca le divisioni del nostro tempo? Il grande problema che troviamo per rispondere affermativamente a questa sfida è che l’amore stesso è malato. E dobbiamo magari dire: medico, cura te stesso. Succede infatti che le divisioni del mondo moderno sono in verità anche una divisione dell’amore. L’amore, chiamato a tenere insieme il desiderio corporale, il sentimento di affetto, la volontà che si consegna… quest’amore è diviso dalla separazione tra verità e affetto, tra passato (dove l’amore nasce) e futuro (che l’amore vede come frutto), tra privato e pubblico. La prospettiva dell’amore offre così uno sguardo nuovo sulla situazione attuale. È la crisi dell’amore che ha portato la crisi e la frammentazione dell’intera situazione odierna. Se siamo capaci di guarire l’amore, allora l’amore guarirà il tutto. La grande divisione dell’amore è dovuta alla crisi razionalista e romantica. La prima ha cercato di concepire una vita secondo ragione che dimenticava la dimensione del cuore. Secondo la visione kantiana, l’amore come affetto è una malattia di cui bisogna guarire; resta soltanto l’amore come volontà. Contro questa visione razionalista reagisce il romanticismo, che esalta la passione, ma continua a vederla privata di ragione: “quello che sento in quest’istante è la verità”, come dice uno dei personaggi di Giovanni Paolo II nella sua opera “La bottega dell’orefice”. Questo modo di vedere l’amore ha un influsso particolare sul matrimonio e la famiglia. Il tempo del razionalismo ha visto il matrimonio come struttura sociale, come un modo adatto in cui si potevano controllare le passioni dell’individuo. Il romanticismo ha reagito contro questo modello: la famiglia era il nemico del sentimento; il vincolo matrimoniale faceva prigioniero l’amore. La reazione moderna contro la famiglia, iniziata dai maestri del sospetto (così chiama P. Ricoeur Marx, Freud e Nietzsche), è cambiata oggi, perché la famiglia ha perso il suo volto pubblico per passare a far parte dell’ambito privato, e può ridefinirsi infinite volte secondo i desideri degli individui. Possiamo dire che nel matrimonio e la famiglia si danno in unità tutti gli aspetti che, nel mondo moderno, sono stati separati: legame e affetto, sessualità e persona, natura e senso, persona e comunità… Per questo la modernità, appunto perché ha separato gli aspetti della vita, è risultata specialmente dannosa per il matrimonio e la famiglia, così come la separazione delle pietre di un muro incide con forza speciale sulla pietra angolare in cui tutte le forze convergono. “Ciò che Dio ha unito, l’uomo non separi”. La nostra indagine ci permette di individuare un centro, che è singolarmente delicato per l’equilibrio di unità nel nostro mondo moderno. È il posto dove l’amore recupera l’unità di tutte le sue dimensioni e si fa capace di ristabilire unità in tutto l’ambito sociale. Questo posto è il matrimonio e la famiglia. Non è strano che la postmodernità veda una sorte di sintesi della sua crisi nella crisi della famiglia; e che ogni intento di guarire la famiglia sia capace di dirigersi al cuore dei problemi moderni. 4. Il matrimonio e la risposta della Chiesa alla frammentazione moderna Tutto ciò che abbiamo detto è d’importanza per la visione cristiana del mondo e la missione della Chiesa. Infatti, la separazione tra privato e pubblico ha causato la grande divisione tra fede (appartenente alle opinioni soggettive private) e vita (la vita pubblica, le relazioni concrete in cui si svolge, i condizionamenti materiali del lavoro, l’economia, il cibo e il vestito… ciò che conta perché è materiale, what matters). Questa divisione tra fede e vita si è stata sentita particolarmente come opposizione tra Chiesa e Modernità. Davanti al fenomeno ambiguo della Modernità, alcuni hanno pensato che la posizione della Chiesa sia stata quella di chiudersi. Se questo fosse così, il Vaticano II sarebbe stato l’apertura della Chiesa, un necessario aggiornamento per adoperare finalmente il linguaggio del mondo. Le cose, tuttavia, non stanno in questi termini così semplici, come se fosse solo questione di un aggiornamento. La chiusura della Chiesa davanti alla Modernità è solo il riflesso o la conseguenza della chiusura della stessa Modernità in un mondo senza relazioni, che vedeva l’individuo come autonomo, la scienza positiva come onnisciente senza dipendere da uno sguardo più ampio, il mondo come indipendente da Dio. Possiamo infatti dire che il dialogo intrapreso dal Vaticano II è stato possibile solo perché anche la Modernità ha fatto un percorso, ha trovato i suoi limiti, ha aperto anche il suo orizzonte verso una visione più ricca, che consentiva di entrare in dialogo con la fede (cf. Discorso di Benedetto XVI alla Curia Romana, Dicembre 2005). Possiamo dire che il Concilio si propone un dialogo con la società moderna. Il contributo conciliare potrebbe riassumersi come ricerca di un’unità nuova. Davanti al mondo frammentato, davanti all’opposizione fede-vita, la Chiesa vuole offrire al mondo un unità, in cui tutte le scoperte del mondo moderno abbiano il loro posto, ma si convertano anche in senso relazionale, si aprano cioè all’incontro con le altre cose, le altre persone, Dio. Tre sono gli elementi chiavi che ci permettono di vedere il Concilio come ricerca dell’unità, e tutti i tre ci aiutano a cogliere l’importanza del sacramento del matrimonio e della famiglia per la vita odierna della Chiesa, appunto nella sua missione verso il mondo. a) La visione di Cristo come centro della visione antropologica del Concilio, specialmente presente in Gaudium et Spes 22; b) il concetto di communio, sviluppato nel sinodo del 1985 e centrato sul tema dell’unità, che permette di unire Dio, gli uomini, il mondo; c) il concetto di sacramento per descrivere la Chiesa e l’esistenza cristiana. Vediamo in più dettaglio questi momenti: a) Per dialogare con il mondo, la Chiesa non ha bisogno di uscire da sé, di annacquare il suo linguaggio, di cercare una realtà estranea a se stessa. Il movimento di approfondimento nell’essere ecclesiale, è allo stesso tempo movimento di missione nel mondo. E questo perché il centro della Chiesa è Gesù, il cui essere è precisamente capacità di abbracciare tutto l’umano. Entrare in Gesù vuol dire entrare nella sua esistenza relazionale per la cui si è unito in qualche modo a tutti gli uomini (Gaudium et Spes 22). Mettere l’accento sul mistero di Cristo, che rivela l’uomo all’uomo, è parlare “della rivelazione del Padre e del suo amore” (GS 22). Possiamo dire che la vita di Cristo, nel suo insieme, è l’espressione massima di “ciò che Dio ha unito” con unità che nasce attraverso il volere umano. È l’assunzione della natura umana da parte del Figlio, che offre la massima unità di prospettiva, perché in lui sono riuniti uomo e Dio, cielo e terra, carne e spirito. La chiave per questa visione cristologica è “la rivelazione del Padre e del suo amore” (cf. Gaudium et Spes 22): al centro si mette il mistero relazionale del Figlio, che procede dal Padre, e la manifestazione dell’amore di Dio nella vita dell’uomo b) Il Sinodo di 1985 ha visto nel concetto di Communio la chiave per leggere l’ecclesiologia del Vaticano II. Questa communio è unità che viene da Dio e abbraccia gli uomini, permettendo così l’analogia tra il divino e l’umano, la presenza dell’amore di Dio negli uomini. Allo stesso tempo, communio vuol dire anche, usando la doppia analogia, sia “compito” (munus, commune), sia le “mura” che stanno attorno una città; si indica quindi, sia la dimensione di missione, come quella di unità, in modo che non si dia separazione tra di loro. Di nuovo, il dialogo con il mondo non è estraneo alla Chiesa; la vita non è aliena alla fede. Con il concetto di communio si segnala il tema dell’amore interpersonale come chiave per spiegare l’essere della Chiesa e la sua missione verso il mondo. c) Per ultimo, è essenziale il concetto di “sacramento”, che appare come definizione della Chiesa e fa riferimento diretto alla presenza di questa communio o amore nel tessuto concreto del corpo e del tempo. L’amore non è opposto, quindi, alle condizioni materiali dell’esistere dell’uomo. La communio rivelata in Cristo è communio incarnata, visibile ed efficace in mezzo agli uomini. La sacramentalità permette di unire i diversi aspetti della realtà senza per questo dover confonderli. Da questi tre punti si evince organicamente, prima, che Gesù è il principio dell’unità, che egli stesso è ciò che Dio ha unito, come manifestazione suprema del suo amore; che, secondo, la communio abbraccia, a partire dall’amore di Gesù, tutto il mondo e definisce la missione ecclesiale; e che, finalmente, la sacramentalità di questa communio si esprime appunto nel corpo visibile per portarci la pienezza di senso e di libertà. Il matrimonio si incontra nella confluenza di questi tre vettori: istituito da Gesù, può essere chiamato sacramento dell’amore, come modo in cui l’amore di Gesù assume in sé l’amore umano. Questo percorso ci consente di avvicinarci adesso al Concilio Vaticano II e alla sua lettura posteriore negli ultimi cinquanta anni. Se la nostra ipotesi è corretta, la dottrina sul matrimonio e la famiglia, che in principio potrebbe sembrare marginale nell’insieme dell’insegnamento del Concilio, diventa un punto privilegiato per leggere i testi conciliari. Il matrimonio, infatti, permette di vedere l’amore umano, in quanto attinente la sua unità dall’amore divino, come sorgente di unità per il mondo e per la Chiesa. Uno studio del Concilio ci consentirà di vedere i punti salienti della discussione e aprirà l’orizzonte per il nostro studio.