La trascrizione fonematica
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La trascrizione fonematica
La trascrizione fonematica Il nuovo Zingarelli presenta per la prima volta agli insegnanti, agli studenti, e a tutti gli Italiani che si interessano alla propria lingua, una trascrizione fonematica di tutte le parole italiane. Abbiamo intervistato sull'argomento l'ing. Delfino Insolera che ha collaborato al piano generale del vocabolario. Che cos'è una trascrizione fonetica Come sanno già coloro che hanno studiato una lingua straniera (soprattutto l'inglese) o che si sono occupati di linguistica, una trascrizione fonetica è una riscrittura delle parole di qualsiasi lingua in un alfabeto artificiale, studiato allo scopo di rappresentare i suoni delle lingue in modo preciso e non ambiguo. Un alfabeto fonetico deve rispondere a due principi fondamentali: 1. ogni segno deve rappresentare un suono chiaramente definito (non sempre è facile raggiungere questa definizione; di solito la si dà descrivendo la posizione relativa di labbra, lingua, palato, ecc., mentre si pronunzia quel suono); 2. ogni suono udibile in una qualunque lingua deve essere rappresentato da un segno (questa condizione è ancor più difficile da soddisfare, per il gran numero di suoni, e soprattutto di varianti e sfumature di suoni, presenti nelle varie lingue). Per ubbidire rigorosamente ai due principi fondamentali occorrerebbe una gran quantità di segni, e questo è in contrasto con un terzo principio, non essenziale ma importante, particolarmente in vista di un uso scolastico e non specialistico: l'alfabeto fonetico deve essere uno strumento facile da imparare e da adoperare. È necessario dunque qualche compromesso. Si individuerà un certo numero di suoni di riferimento, e a questi si assegnerà rigorosamente un simbolo, diverso per ciascuno; le varianti si rappresenteranno con «segni diacritici», cioè puntini, lineette, circoletti, ecc., posti sopra o sotto il carattere. Ricordando però che moltiplicando i segni diacritici si acquista forse in precisione, ma si perde certo in semplicità. I segni dell'alfabeto fonetico possono essere scelti come si vuole: per facilitare la lettura, almeno a noi dell'Europa occidentale, si conserveranno i caratteri dell'alfabeto latino, con il loro valore abituale, fin dove possibile; e anche i nuovi caratteri introdotti potranno ricordare lettere dell'alfabeto latino di suono affine. Su queste basi è costruito l'alfabeto proposto dall'Associazione Fonetica Internazionale nell'ultima decade dell'Ottocento, oggi di gran lunga il più diffuso, che è quello usato nel nuovo Zingarelli. Lo si ritrova in quasi tutte le grammatiche e i vocabolari di inglese, e nei testi di linguistica, e la sua diffusione appare un motivo sufficiente per adottarne e incoraggiarne l'uso; quando gli studiosi di lingue avranno raggiunto un accordo generale su un solo alfabeto fonetico, questa sarà per loro una conquista paragonabile a quella del sistema metrico decimale per la fisica. In qualche caso si potrebbero avere buone ragioni per desiderare un metro un po' più lungo o un po' più corto, ma i fisici hanno capito che il disporre di un campione unico per tutti è un vantaggio assolutamente soverchiante. Poche ore di esercizio bastano a chiunque per impadronirsi dell'alfabeto fonetico. È necessaria la trascrizione fonetica dell'italiano? È convinzione comune che «l'italiano si scrive come si legge»: dunque una trascrizione fonetica, indispensabile per l'inglese (e forse per il francese) sarebbe superflua per l'italiano. È vero? Se fosse vero, non capiterebbe mai di domandare come si pronunzia una parola: basterebbe guardare come è scritta, e sapremmo come si legge. Ecco qualche esempio in cui non è così. Come si pronunzia pesca quando vogliamo indicare il frutto, e come quando ci riferiamo all'operazione del pescare? qui il nostro alfabeto è ambiguo: la lettera «e» rappresenta suoni diversi, che distinguono parole diverse. Ancora: come si legge rosa quando è il fiore e quando è il participio di rodere? Qui l'incertezza è doppia: tanto «o» quanto «s» sono segni ambigui. Questi sono fatti ben noti: per e, o, già tutti i vocabolari italiani, compreso il vecchio Zingarelli, hanno sentito l'esigenza di qualche forma di trascrizione fonematica ottenuta di solito con un accento su e, o e scrivendo in modo speciale s e z sonore (quelle di risma e azzurro). Questa soluzione ha vari inconvenienti: - è parziale (le ambiguità non finiscono qui, come vedremo); - è arbitraria, variabile da un autore all'altro, non facile da ricordare (chi può dire di essersi sempre ricordato se la «z» con il taglio dello Zingarelli era la sorda o la sonora? e non sempre è illuminante guardare altre parole o le avvertenze: se leggiamo che è la «z» di mezzo, siamo daccapo (come si pronuncia mezzo?); - confonde le indicazioni fonetiche con quelle grafiche, scrivendo certe parole in modo diverso da quello usuale, con segni che non esistono nell'alfabeto italiano, cosa che può esser fonte di confusione e che un vocabolario non dovrebbe mai fare (a questa regola anche il nuovo Zingarelli fa ancora uno strappo, in omaggio a una tradizione: mette l' accento su molte parole italiane su cui l'uso non lo mette, come aiuto alla pronunzia; distinguendo però questo accento non obbligatorio, con una stampa più chiara - e naturalmente la posizione dell'accento è anche indicata, per tutte le parole, nella trascrizione fonetica). Ecco altri casi di scrittura foneticamente incerta. Si legge la i di scienza? Nell'uso prevalente, no: la sillaba iniziale di questa parola è identica a quella di scena, dove la i non c'è. Si legge la i di sciarpa? no: serve solo a distinguere da scarpa. E la i di sciare? questa sì: e i vocabolari tradizionali cercano di spiegarlo con qualche accorgimento improvvisato, che spesso non si ritrova nemmeno nella tabella delle «Avvertenze» (una dieresi nello Zingarelli). Ancora: si dice «scervellato» (sc- come in scena) oppure «s-cervellato»? «discentrato» o «dis-centrato»? Prevale la prima, ma si sente anche la seconda. Si dice «neuròglia » (-oglia come in voglia) o «neuro-glìa» (-gl- come in glaciale)? è giusta la seconda, perché parola composta, da neuro e glia. Che gli si legga diversamente quando è il pronome e quando è una sillaba di glicine o negligente, forse tutti lo sanno: ma se venisse un dubbio? il vocabolario dovrebbe servire anche a fugare ogni dubbio sulla lingua. Nessuna lingua si legge come si scrive, e l'italiano non fa eccezione. Perché grafia e pronunzia si evolvono seguendo ciascuna la propria storia: più lenta e conservatrice, per sua natura, la grafia, più dinamica la pronunzia La trascrizione fonematica La trascrizione usata nel nuovo Zingarelli deve essere chiamata più propriamente «fonematica»: questo sta a indicare che, in vista dell'uso scolastico e non scientifico del vocabolario, si è ritenuto opportuno un certo grado di semplificazione rispetto a una trascrizione integrale. Precisamente, sono trascritti esattamente e completamente tutti i suoni che possono dar luogo a confusioni di significato o a dubbi di pronunzia; sono trascurate differenze di suono che non creano ambiguità e che vengono introdotte automaticamente da chi parla: queste ultime interessano certo il linguista e il fonetista, ma non gli studenti, gli insegnanti, i non specialisti. Per darne un'idea, ecco alcuni di questi casi (ulteriori esempi di insufficienza della grafia abituale nel rappresentare i suoni): - il suono iniziale delle parole cane, chino, cono, cuna non è lo stesso: se ci sorvegliamo attentamente mentre pronunziamo quelle parole, noteremo che la posizione della lingua non è sempre la stessa, ma si sposta sempre più indietro verso la gola; questo avviene automaticamente, per effetto della vocale che segue; il suono iniziale di cuna si trova sempre davanti a u e mai davanti ad altra vocale (in italiano; in arabo si troverebbe anche davanti ad a e diventa un suono capace di distinguere parole diverse). Per questa ragione, i suoni iniziali di quelle parole sono tutti trascritti con uno stesso simbolo /k/. - la n di cono non rappresenta lo stesso suono della n di conca: quest'ultimo è pronunziato con la lingua indietro, verso la gola, il primo con la lingua contro i denti; anche in questo caso il cambiamento di suono avviene automaticamente, per effetto della consonante che segue: il suono della n di conca si trova sempre e soltanto davanti a un suono /k/ (non così nei dialetti: la seconda n del piemontese funtana ha appunto questo suono). Perciò questi suoni hanno nel vocabolario il simbolo comune /n/. Che uso fare della trascrizione? Ovviamente la trascrizione serve a risolvere i dubbi che possono sorgere sulla pronunzia delle parole. Ma come interpretarla? è obbligatoria? è la pronunzia «giusta»? Nessun linguista moderno si sentirebbe di sottoscrivere un'affermazione simile: il vocabolario vuole soltanto registrare le pronunzie e le forme delle parole quali sono usate nella collettività di coloro che parlano e capiscono una data lingua. A volte si troveranno anche due pronunzie, quando sono usate entrambe da una grossa frazione della collettività. E allora a cosa serve questa indicazione? Diciamo che, più che risolvere dei dubbi, si propone di farne nascere: scopo della trascrizione fonetica vorrebbe esser quello di far nascere l'abitudine di sorvegliare il proprio modo di parlare e la voglia di confrontarlo con il modo o i modi prevalenti nella collettività di cui si fa parte. A confronto eseguito, saremo sempre liberi di decidere che preferiamo la nostra pronunzia, anche se si allontana da quella prevalente nel nostro paese: ma sarà d'ora in poi una scelta consapevole e non più un'abitudine acquisita passivamente chissà come. Questa è anche una funzione di tutto il vocabolario: non dare precetti obbligatori imposti dai puristi, ma presentare la situazione di una lingua, perché ognuno possa acquistare consapevolezza della conformità o difformità esistente tra quella e il proprio parlare personale. Da «Zanichelli Scuola» n.42, settembre 1970.