istruzione umanistica e cittadinanza attiva

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istruzione umanistica e cittadinanza attiva
Istruzione umanistica e cittadinanza attiva
“L’ossessione della crescita sta portando a cambiamenti nei
programmi di studio, nella pedagogia e anche nel sistema dei
finanziamenti.”
Martha C. Nussbaum, con il suo libro Non per profitto, osserva con
sguardo socratico le tendenze in atto dei sistemi educativi, con un
occhio di riguardo a quanto succede negli Stati Uniti e nell’India di
oggi, evidenziando l’importanza della scelta umanistica nella
formazione ed educazione dei cittadini. Nella complessa società
contemporanea, in nome del profitto, si è portati a disperdere
tradizioni e traguardi acquisiti. Per formare cittadini attivi - non
sudditi, - occorre contrastare la visione piratesca del mondo
tecnologico e finanziario globalizzato che induce a puntare soltanto
all’utile immediato.
Di questi tempi, dice, non ci si pongono a sufficienza domande su
dove va l’istruzione e di conseguenza dove vanno le società
democratiche. La corsa sul terreno della competizione mondiale
disperde valori preziosi per il futuro della democrazia; tali valori “in
un’epoca di inquietudine religiosa ed economica, corrono il rischio
di andare perduti.”
Il vortice della concorrenza ingoia “capacità essenziali” sia per la
buona salute delle democrazie ... che per “la creazione di una
cultura mondiale”. Ossia si coltiva sempre meno la capacità di
pensare criticamente, “di affrontare i problemi incombenti come
cittadini del mondo” e la capacità di specchiarsi empaticamente
l’uno nell’altro.
In passato i responsabili dell’istruzione, negli Stati Uniti, hanno
avuto sempre piuttosto chiaro l’importanza dello studio umanistico
per “la preparazione di cittadini bene informati, liberi e
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democratici.” Cosa spinge certi individui a perseguire ingiusti
privilegi di casta, a cercare a tutti i costi il potere e il predominio
sugli altri? C’è qualcosa nella natura umana che rende poco
seducente abbracciare i principi democratici fondati sul rispetto
reciproco, sull’eguaglianza e sul diritto. Invece affascina
l’appartenenza a gerarchie di vario genere e a gruppi violenti. Il
popolo è spesso imbevuto di una cultura che alimenta la visione
manichea di vedere in bianco e nero i fenomeni circostanti. “La
rappresentazione tipica è che i problemi dei buoni trovino soluzione
con la morte di qualche cattivo.” E le società non occidentali non
sono da meno in “un simile deleterio modo di pensare.”
I nazionalisti induisti raffigurano come “un’accolita di pericolosi
elementi stranieri” i mussulmani e i cristiani; dipingono la nazione
stretta in una lotta feroce fra le forze del bene (e pure
dell’induismo) e le forze del male (le altre). “In questo senso hanno
occupato la cultura popolare, riproducendo vicende epiche classiche
in versioni televisive popolari” ... giungendo a rimuovere ogni
complessità nella rappresentazione di personaggi buoni e cattivi
dove ovviamente - per la destra induista - i cattivi sono identificabili
nei minacciosi mussulmani residenti odierni. Bisogna andare a
fondo sullo scontro di civiltà cercando di cogliere le forze
oscurantiste inclini alla prevaricazione.
Secondo gli insegnamenti del Mahatma Gandhi la battaglia per la
libertà e l’uguaglianza deve essere combattuta in seno a ciascuna
persona. E’ nel profondo dell’animo di ciascuno che albergano sia
compassione e rispetto per gli altri, sia paura e aggressività.
Una maniera distorta di confrontarsi con gli altri è proiettare la
propria animalità su un gruppo diverso di persone, per poi trattarle
come una sottoclasse. “Le persone si comportano male quando gli
individui su cui hanno potere vengono disumanizzati e de2
individualizzati.” I despoti si servono di questi espedienti per
sottomettere nemici interni ed esterni; l’altro è raffigurato come un
animale; il prigioniero non è altro che un numero.
Jean-Jacques Rousseau (1712–1778) si interessò molto dello “stato
di debolezza dell’uomo” mettendolo al centro del suo programma
educativo. Solo la piena consapevolezza della condizione umana
rende l’individuo socievole e in armonia con l’umanità tutta.
Beninteso i nobili di Francia, essendo “cresciuti nell’idea di essere
superiori” non potevano condividere un tale sentimento verso il
popolo.
In molte culture alcune norme sociali assumono una forma di
genere. “I maschi apprendono che il successo consente di innalzarsi
sopra il corpo e le sue fragilità, quindi imparano a caratterizzare
alcune sottoclassi (le donne, gli afroamericani) come esseri ...
bisognosi di essere controllati e dominati.”
Più o meno a tutte le latitudini la mascolinità è sinonimo di forza e
quindi il maschio è predestinato ad assumere un ruolo dominante
nella società. “La cultura americana ... propone al giovane la figura
del cowboy solitario che non ha bisogno dell’aiuto di nessuno.” Ciò
che contrasta con la vita di tutti i giorni poiché il giovane si trova a
misurarsi con le difficoltà reali dell’esistenza quali la fame e il
freddo, la fatica e la paura. Com’è naturale, “una corrente
sotterranea di vergogna corre nella psiche di ogni persona che vive
secondo questo mito.”
Alcune ricerche, nel terreno impervio della psiche, hanno
evidenziato come molti partecipanti abbiano “tendenze deleterie”
che dovrebbero allertare la società. In reiterati esperimenti Stanley
Milgram indusse gran parte dei soggetti a somministrare scariche
elettriche ad altre persone (anche quando la cavia umana d’accordo con lo sperimentatore - fingeva di urlare di dolore). La
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presenza autoritaria dello sperimentatore era una ragione
sufficiente per costoro per sentirsi deresponsabilizzati.
Solomon Asch dimostrò come le persone accettino supinamente le
decisioni altrui anche quando non le condividono; succede quando
gli altri, attorno a loro, esprimono giudizi sia pure errati
all’unanimità. L’incantesimo si rompe quando almeno una voce
dissenziente si leva a contrastare la massa. Ciò che conferma
“l’inaspettata sottomissione di normali esseri umani alla pressione
dei loro pari.”
Le persone che non sono state temprate ed educate a riflettere si
mostrano oltremodo influenzabili. Sono facilmente in balia di quanti
godono della notorietà, di certa o incerta fama e prestigio.
“L’indecisione è spesso unita alla deferenza verso l’autorità e la
pressione dei pari”. Se inseguiamo soltanto i risultati di natura
economica, appare superflua la capacità di pensare e argomentare
da sé. L’ideale socratico (di stimolo a ragionare autonomamente), in
una società orientata principalmente alla crescita, è accantonato o
si trova sotto scacco.
“Il polemista socratico è un dissidente per antonomasia perché sa
che soltanto la singola persona e il suo modo di ragionare hanno
valore. La quantità di persone che pensano questo o quello non fa
nessuna differenza.”
Spesso il dibattito politico si sviluppa come una gara sportiva, “dove
l’obiettivo è fare punti per la propria parte, ... mentre l’altra parte [è
vista] come un nemico da sconfiggere o addirittura da umiliare.” Ciò
accade perché a costoro “non interessa cercare un compromesso o
un terreno comune su cui ragionare,” perché sono sprovvisti della
capacità di elaborare una propria visione delle cose.
L’autrice Martha C. Nussbaum riporta che i formatori aziendali con i
quali ha parlato, negli Stati Uniti, sostengono che i principali disastri
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causati dall’uomo (certi programmi della NASA, i casi Enron e
WorldCom) siano da imputare alla cultura degli yes-people.
All’opposto, quanto più le persone si sentono responsabili delle loro
idee tanto più è probabile che lo siano anche delle azioni che
compiono.
Punto cruciale di un programma formativo dovrebbe comprendere
un testo filosofico quale i dialoghi di Platone che “non hanno eguali
per la loro capacità di ispirare riflessione e pensiero critico.” La vita
di Socrate e il suo pensiero ne sono un esempio.
In Europa l’opera di Jean Jacques Rousseau, l’Emilio (1762), ha
rappresentato una pietra miliare nell’educazione dei giovani.
L’educazione è finalizzata a rendere il giovane Emilio autonomo e
capace di esprimere giudizi indipendenti. Nel libro il maestro non si
presenta come fonte di verità, ma si appresta a porre domande, a
stimolare risposte e a verificare. Così il bambino apprende ad
analizzare da sé le cose.
Il maestro ideale dello svizzero Johan H. Pestalozzi (1746-1827) era
una figura dai tratti materni. Egli fu molto “critico verso la pratica
dell’insegnamento meccanico e forzato,” cosa che nella scuola di
allora era la regola. E fu tenace oppositore della pratica delle
punizioni corporali. Suggerì invece “l’importanza del gioco nella
formazione infantile.”
Qualche anno più tardi il tedesco Friedrich Frobel (l’inventore del
Kindergarten, la scuola materna) introduceva importanti novità, nel
medesimo spirito di Pestalozzi, che “hanno cambiato il modo in cui i
bambini di tutto il mondo affrontano l’impatto con la
scolarizzazione.”
Nella storia dell’istruzione pubblica americana Horace Mann (17961859) è considerato il pedagogo più influente. Si batté per il diritto
all’istruzione di tutti i bambini senza differenze di razza o di sesso. Il
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suo college fu il primo a promuovere la discussione in classe e a
incentivare lo studio autonomo con la supervisione dei docenti.
“Riteneva che nessuna democrazia potesse sopravvivere senza che i
suoi cittadini fossero istruiti e partecipi.”
John Dewey (1860-1952) fu un altro autorevole americano che
contribuì a cambiare la formazione giovanile nelle scuole americane.
Se oggi si dà per scontato che non è utile riempire la testa dei
bambini di nozioni, parte del merito lo si deve a lui. Uno dei suoi
obiettivi principale fu la formazione di cittadini attivi, critici e
reciprocamente rispettosi.
In Piccoli uomini, di Louisa Alcott, i giochi fantasiosi ... sono tanto
importanti quanto le lezioni, e sono intrecciati con esse.
L’indiano Rabindranath Tagore (1861-1941) fu una persona molto
dotata in tutte le arti. Nel 1913 vinse il premio Nobel per la
letteratura. Rappresentò una figura importante nell’educazione
giovanile, avversò “le tradizioni chiuse e mortificanti che ...
impedivano sia agli uomini sia alle donne di realizzare il loro pieno
potenziale umano.” Una modalità di stimolo da lui sperimentata era
quella di scambiare i ruoli con i suoi allievi, inducendo questi a
manifestare un punto di vista che non fosse il proprio.
Incontrò Maria Montessori e coltivò una corrispondenza con lei.
Tagore si dedicò molto al problema del conflitto etnico e religioso,
(per il superamento delle divisioni di casta, per l’emancipazione
delle donne) e all’esigenza della cooperazione internazionale.
In un mondo globalizzato più che mai dipendiamo da persone che
vivono lontano da noi. Dobbiamo porci delle domande: in che modo
il nostro consumo e tenore di vita va a incidere sul lavoro altrui e
sulle popolazioni lontane? I problemi all’ordine del giorno sono di
natura economica, ambientale, politica e religiosa. L’istruzione può
venirci in soccorso, ma essa richiede delle conoscenze che “gli
studenti fino a 30 anni fa non avevano, almeno negli Stati Uniti,
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ossia: informazioni sui vari sottogruppi (etnici, nazionali, religiosi...)”
presenti nel proprio paese e sul pianeta Terra. “La conoscenza non è
garanzia di buon comportamento, ma l’ignoranza lo è quasi
certamente di uno cattivo.” Ed è importante apprendere la storia
dei flussi di immigrazione e dei problemi che stanno a monte nei
paesi di origine.
Fondamentale è la conoscenza della storia dei diversi popoli,
l’apprendimento delle diverse culture, lingue e costumi. Ma una
buona didattica richiederebbe di mostrare come la storia viene
confezionata “a partire da fonti e testimonianze di vario tipo,”
insegnando “a valutare i dati a disposizione, e a confrontare
differenti narrazioni storiche.” Ogni cittadino dovrebbe essere in
grado di comprendere i dati storici, i principi politici ed economici
basilari che stanno alla base di una nazione; dovrebbe essere
culturalmente orientato verso la giustizia sociale. “Un elenco di fatti,
senza la capacità di valutarli, o di capire come una narrazione venga
organizzata in base ai dati disponibili, è deleterio quasi quanto
l’ignoranza.” Il giovane studente prima e il cittadino poi non saranno
in condizione di distinguere le informazioni false da quelle veritiere,
rimanendo alla mercé degli “stereotipi più triti ... spacciati da leader
ideologi e politici” come verità assolute.
Tagore in India e Dewey negli USA si adoperarono molto per
promuovere “le arti come ingredienti di base di una società
democratica... Le quali alimentano sia la formazione interiore sia la
sensibilità per gli altri.” Ovviamente bisogna fare molta attenzione a
contenere movimenti antidemocratici, forme di letteratura razzista,
tutte quelle devianze da parte di gruppi e persone che possono
costituire un pericolo per la società civile. Altro capitolo sensibile è
quello dell’innovazione, che “richiede intelligenze flessibili, aperte e
creative; la letteratura e le arti stimolano queste competenze ...
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quando esse mancano [anche] la cultura aziendale si indebolisce in
fretta.”
Tornando all’oggi “l’imperativo della crescita ... ha indotto i governi
a rivedere [tra l’altro] l’istruzione universitaria...” Spicca il caso della
Gran Bretagna dove già all’epoca della Thatcher i programmi
umanistici avevano cominciato a soffrire una forte contrazione.
Dopo che interi dipartimenti sono stati chiusi, le istituzioni
accademiche si trovano a dover dimostrare “come la loro ricerca e il
loro insegnamento portino vantaggi economici.” Si è giunti a
mettere su un medesimo piano la filosofia e la scienza politica, e ad
entrambe “le si chiede di convergere su aree più utili e
specialistiche, come l’etica aziendale, piuttosto che lo studio di
Platone, o le tecniche logiche e di ragionamento critico.”
L’autrice cita lo storico Stefan Collini a testimonianza delle
“devastanti conseguenze di un tale sistema di valutazione.” L’analisi
di Collini porta un titolo che non si presta ad equivoci: I ricercatori
devono muoversi adesso oppure farsi giudicare e pagare come
piazzisti.
Un altro aspetto deformante della considerazione che le materie
umanistiche e artistiche hanno oggi a livello nazionale è
testimoniato dalla modalità di valutazione del profitto di
apprendimento scolastico. E’ esercitato “alla stregua delle
conoscenze tecniche, sulla base di test e risposte multiple ... il che
produce un’atmosfera di passività tra gli allievi e di routine tra i
professori.”
Un progetto educativo deve essere valutato sulla base di come i
giovani si preparano a vivere in una organizzazione sociale e politica
complessa. “Senza il concorso di cittadini educati in maniera
appropriata, nessuna democrazia può rimanere stabile.”
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Nella società contemporanea “gli aventi diritto al voto compiono
scelte che hanno una ricaduta notevole anche sulla vita di persone
assai diverse da loro.”
Un modello d’istruzione che mira prevalentemente al tornaconto
sul mercato globale spinge all’egoismo e alla povertà di spirito principale fonte d’inerzia verso i problemi sociali. “...Queste carenze
minacciano la vita democratica e impediscono la creazione di una
degna cultura mondiale.”
Antonio Fiorella
Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura
umanistica. Martha C. Nussbaum. Il Mulino
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