A piedi nudi

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A piedi nudi
LIBRO
IN ASSAGGIO
A PIEDI NUDI
ELIN HILDEBRAND
A PIEDI NUDI
PRIMA PARTE
GIUGNO
Tre donne scendono dall'aereo. Sembra l'inizio di una barzelletta.
Joshua Flynn, 22 anni, nativo dell'isola di Nantucket, studente del Middlebury College,
lavoratore stagionale al Nantucket Memorial Airport dove il padre faceva il controllore di volo,
le notò immediatamente. Erano arrivate su un volo US Airways dall'aeroporto La Guardia. Tre
donne, due bambini piccoli: niente di insolito in questo. Che cosa, dunque, aveva attirato la
sua attenzione? Josh Flynn studiava scrittura creativa a Middlebury e il suo insegnante, lo
scrittore Chas Garda, amava ripetere che un autore fiuta una buona storia come se fosse un
temporale in arrivo. "Ti si rizzano i peli sulle braccia" assicurava. Il giovane si controllò le
braccia -nulla -e sistemò il giubbino arancione fluorescente, poi si avvicinò all'aereo per
aiutare Carlo a scaricare i bagagli. Suo padre, Tom Flynn, era sicuramente al computer
cinque piani sopra la sua testa, e di tanto in tanto lo spiava dalla finestra per assicurarsi che
lui facesse quello che definiva "un lavoro decente". Josh trovava terribilmente stressante
quella continua sorveglianza e quindi, dopo due settimane, aveva imparato a fiutare le storie
senza tradirsi.
Due donne erano già sulla pista. Josh comprese subito che erano sorelle. Sorella Uno
era molto magra, con lunghi capelli castano chiaro scompigliati dalla brezza, naso appuntito,
occhi azzurri e un'aria palesemente infelice. La fronte so1cata e corrugata le conferiva
l'espressione di uno di quei buffi cani cinesi. Sorella Due aveva gli stessi occhi azzurri, lo
stesso naso appuntito, ma il suo viso comunicava una distaccata tristezza più che un vero
cruccio. Batteva in continuazione le palpebre come se fosse sul punto di piangere. Meno
smilza della sorella, aveva i capelli biondi da scandinava tagliati dritti all'altezza delle spalle.
Portava con sé una borsa a disegni floreali da cui spuntavano pannolini e un mazzo di chiavi
di plastica colorate. Respirava a fondo, in modo esagerato, come se quel viaggio in aereo
l'avesse spaventata a morte.
La terza donna scendeva esitante la scaletta con un neonato tra le braccia, quando un
bambino sui quattro anni fece capolino tra le sue gambe. Aveva un bel viso rotondo e dal
cappello di paglia le sfuggivano alcuni riccioli a cavatappi. Indossava jeans inzaccherati sulle
ginocchia e zoccoli di gomma.
Le sorelle la aspettarono in fondo alla scaletta. Sorella Ansimante tese le braccia per
prenderle il piccolino, scuotendo le chiavi. «Vieni dalla mamma» disse. «Ecco, Melanie,
passalo a me.» Oltre al neonato, Cappello di Paglia reggeva una confezione di cornflakes,
una tazza di plastica verde e un sacchetto per il mal d'aria. Le mancavano solo due gradini
quando ilbambino dietro di lei gridò: «Zia Brenda, arrivo!».
Spiccò un salto.
Voleva dirigersi verso Sorella Accigliata, ma nell'eccitazione si lanciò con tutto il suo peso
-una ventina di chili -contro la schiena di Cappello di Paglia, che finì a terra con il piccolino.
Josh si precipitò verso di loro, pur sapendo che non avrebbe fatto in tempo a salvare
nessuno. Cappello di Paglia coprì con le mani la testa del neonato e cadde rovinosamente
sulle ginocchia e sul braccio sinistro. Ahi.
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«Melanie!» gridò Sorella Ansimante. Mollò la borsa dei pannolini per precipitarsi verso
Cappello di Paglia. Il bambino non emetteva suono. Il collo rotto. Morto. Joshua iniziò a
sudare freddo. Ma poi... un urlo! Il piccolo aveva semplicemente trattenuto il fiato per poi
rilasciarlo con toni eroici. Era vivo! Sorella Ansimante lo sollevò per accertarsi che non
avesse ferite evidenti, poi lo strinse contro la spalla. Sorella Accigliata si avvicinò con l'autore
del crimine, il fratello maggiore, appeso alle gambe.
«Il piccolo sta bene?» chiese Sorella Accigliata. La sua espressione passò
dall'impazienza all'insofferenza venata di preoccupazione.
«Tutto a posto» rispose Sorella Ansimante. «È solo un po' spaventato.» Tese la mano
verso Cappello di Paglia. «E tu, Melanie? Stai bene? Tutto okay?»
Melanie si tolse la polvere dal viso. Sul braccio aveva un graffio sanguinante. I cornflakes
erano sparpagliati sulla pista, mentre la tazza di plastica era rotolata fino ai piedi di Josh. Lui
la raccolse insieme al sacchetto per il mal d'aria.
«Vuole che vada a prendere la cassetta del pronto soccorso?» chiese a Melanie. Lei si
portò la mano alla guancia mentre con l'altra si massaggiava il ventre. «Oh, no. Grazie,
comunque, ma non è ilcaso.»
«Sei sicura?» si informò Sorella Ansimante. «E...?»
«Sto benissimo» rispose Melanie.
«Blaine ora chiede scusa» dichiarò Sorella Ansimante. «Chiedi scusa, Blaine.» «Scusa»
bofonchiò lui. «Avresti potuto fare molto male a tuo fratello. Avresti potu
to fare male a Melanie. Queste cose non vanno bene, tesoro. Devi stare attento.»
«Ha già chiesto scusa, Vick» fece presente Sorella Accigliata.
Questo non era materiale da barzellette. Le tre donne, nell'insieme, erano le persone con
l'aria più infelice che Josh avesse mai visto.
«Benvenute a Nantucket» disse, sperando di rallegrarle con quelle parole, anche se
Carlo gli faceva sempre presente che non era un ambasciatore e doveva semplicemente
occuparsi delle valigie: suo padre probabilmente lo stava controllando.
Sorella Accigliata alzò gli occhi al cielo. «Grazie mille» disse.
Avrebbero dovuto fare il viaggio in macchina, pensò Brenda mentre salivano sul taxi
all'uscita del terminaI. Veniva a Nantucket da sempre, e regolarmente in auto, che poi era
imbarcata sul traghetto. Quell'anno, per via dei bambini, del cancro di Vicki e del desiderio di
arrivare sull'isola prima possibile senza preoccuparsi dei costi, avevano scelto l'aereo.
Secondo lei era stato un errore rompere con la tradizione, perché ecco cosa succedeva poi:
l'inizio si era già rivelato un disastro. Melanie aveva vomitato per tutto il viaggio, poi era
caduta, procurando a Vicki ulteriori motivi di ansia. L'unico obiettivo dell'estate era aiutare
Vicki a rilassarsi, darle sostegno, alleviare la sofferenza del suo corpo malato. "È questo lo
scopo, Melanie!" Ora, Melanie se ne stava a occhi chiusi dietro di lei, sul sedile posteriore del
taxi. Vicki l'aveva invitata a Nantucket per l'estate perché aveva qualche "problema". In
Connecticut era alle prese con una "situazione complicata". Brenda sapeva bene che Vicki
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non si sarebbe accontentata della sua compagnia: per tutta la vita, per tutta l'infanzia e
l'adolescenza -ai campeggi, alle feste di carnevale, la domenica in chiesa -Vicki aveva
sempre portato un'amica.
Quell'estate si trattava di Melanie Patchen. La notizia che si sarebbe unita a loro anche
lei le fu rivelata all'ultimo momento, senza darle il tempo di protestare. Nel viaggio in
limousine da Darien al LaGuardia, Brenda aveva saputo della "situazione complicata":
Melanie e il marito, Peter Patchen, cercavano "da sempre" di fare un figlio, e nell'ultimo anno
avevano affrontato ben sette tentativi falliti di fecondazione in vitro. Poi, poche settimane
prima, Peter aveva ammesso di avere una storia con una giovane collega d'ufficio, tale
Frances Digitt. Un colpo devastante per Melanie, sconvolta al punto da risentime a livello
fisico: non riusciva a trattenere il cibo, non faceva che starsene a letto. Quel mese non le
erano venute le mestruazioni. Era incinta, e la parte "complicata" della "situazione" era la sua
partenza dal Connecticut all'insaputa del marito, che oltretutto ignorava la sua gravidanza. Se
la filava con Vicki, Brenda e i bambini perché le occorreva "tempo per riflettere. Tempo per
sé". Brenda aveva accolto l'informazione in silenzio, ma con scetticismo. L'ultima cosa di cui
lei e Vicki avevano bisogno quell'estate era una che scappava da una situazione complicata.
Oltre al cancro di Vicki, Brenda aveva problemi suoi. All'inizio della primavera aveva perso il
suo posto di insegnante perché era andata a letto con il suo unico studente maschio e, se
questa non fosse stata una catastrofe sufficiente, c'era anche l'accusa pendente di
danneggiamenti a una preziosa opera d'arte di proprietà dell'università. "Scandalo sessuale!
Rilevanza penale!" Brenda era passata dall'essere ùna stimata giovane docente, ammirata da
tutti alla Champion University, al principale bersaglio di voci e pettegolezzi. Nel campus della
Champion non si parlava che di lei, la professoressa Brenda Lyndon, che, dopo essersi
guadagnata un giudizio eccellente nel primo semestre di insegnamento al dipartimento di
inglese, aveva intrattenuto una relazione illecita con uno dei suoi studenti. E poi, per ragioni
assolutamente imperscrutabili, era arrivata a "commettere un atto vandalico" contro un
Jackson Pollock autentico appeso alla parete della Barrington Room del dipartimento di
inglese. Oltre alla mortificante umiliazione subita in seguito alla scoperta della storia con John
Walsh, Brenda era stata costretta a rivolgersi a un legale che non poteva permettersi per
discolparsi dalle accuse di vandalismo. Lo scenario migliore, secondo Brian Delaney,
avvocato, era che la squadra di restauratori dell'università decidesse di rattoppare il quadro e
riempire la "scalfittura" facendolo tornare come nuovo. Lo scenario peggiore si sarebbe
verificato se il danno si fosse rivelato irreparabile. L'università stava ancora studiando la
questione.
In apparenza era venuta a Nantucket perché Vicki aveva bisogno di aiuto. Ma Brenda era
anche disoccupata, molto difficilmente ricollocabile e decisamente a corto di soldi. Melanie
non era la sola a cui occorresse "tempo per sé", o "tempo per riflettere": anche lei ne aveva
un bisogno disperato. Aveva dedicato tutta la sua carriera di studiosa a un unico soggetto, il
romanzo L'impostore innocente di Fleming Trainor. Questa opera poco nota, pubblicata nel
1790, era stata l'argomento della sua tesi e del seminario stranamente molto frequentato che
teneva alla Champion. Poiché a quel punto si era attirata l'ostracismo perenne del mondo
accademico, il solo modo per ricavare un po' di denaro da L'impostore innocente quantomeno il denaro necessario per pagarsi le spese legali e/o una "consistente sanzione
pecuniaria" -era utilizzarlo in qualche modo non convenzionale e non accademico. Fu Brian
Delaney, avvocato, a suggerirle di ricavarne una sceneggiatura. All'inizio lei aveva accolto
l'idea con un'alzata di spalle, ma, come aveva eloquentemente sottolineato illegale, "a
Hollywood vanno forte queste stronzate del passato. Dai un'occhiata a La fiera delle vanità,
pensa a Jane Austen". L'impostore innocente era talmente sconosciuto da non essere
neppure disponibile su Amazon.com, ma Brenda era alla disperata ricerca di soldi e di un
qualche progetto in cui impegnarsi. Vagliò a lungo l'idea e, più ci pensava, più le sembrava
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realizzabile. Quell'estate, se qualcuno le avesse domandato cosa faceva per vivere, avrebbe
risposto che stava scrivendo una sceneggiatura.
L'altra ragione per cui Brenda era venuta a Nantucket era che John Walsh si trovava a
Manhattan, e anche in una metropoli di otto milioni di abitanti lei percepiva la sua presenza
come se Walsh abitasse dall'altra parte della parete di mattoni a vista di casa sua. Doveva
spezzare ogni legame con lui, malgrado ne fosse tanto presa; doveva scappare dalla città in
cui si era ricoperta di vergogna, doveva aiutare la sorella. Un'estate a Nantucket era la
risposta a tutti questi problemi, e il cottage che un tempo era appartenuto a Liv, prozia sua e
di Vicki, tre anni dopo la sua morte era ormai legalmente di loro proprietà.
La domanda non era tanto perché fosse lì, ma perché non fosse più felice di esserci.
Brenda prese in braccio il piccolo e strinse a sé l'altro nipotino, assicurato al sedile con la
cintura. Il taxista domandò: «Dove vi devo portare?». Fu lei a rispondere: «A Shell Street,
Sconset».
Shell Street, Sconset: le tre parole che preferiva. Non le sfuggiva che un modo per avere
accesso a una consistente somma sarebbe stato quello di vendere a Vicki e a Ted la sua
parte della casa di zia Liv, ma non sopportava l'idea di abbandonare quel pezzo di isola che
era ormai suo: metà di una casa molto piccola. Guardò fuori dal finestrino i cespugli di
sempreverdi che bordavano Milestone Road, gli ettari di brughiera diventati ormai area
protetta. Inspirò l'aria, tanto fresca e pulita da produrre un effetto anestetico. Blaine pareva
avere già le palpebre pesanti. Brenda non riuscì a fare a meno di pensare quanto sarebbe
piaciuto quel posto a Walsh, che da bravo australiano amava la vita all'aria aperta, le spiagge
e le onde, i grandi spazi, il cielo limpido. A Manhattan appariva smarrito; quella realtà
totalmente civilizzata lo disorientava; si sentiva soffocare in metropolitana, e infatti preferiva
girare a piedi, grazie mille. Quante volte aveva attraversato CentraI Park sotto una tempesta
di neve per raggiungere la casa di Brenda? Quante volte si erano incontrati in segreto al
Riverside Park dopo le lezioni? Troppe, evidentemente, e senza la necessaria discrezione.
Era bastato che una persona, quella sbagliata, covasse qualche sospetto, e la carriera
universitaria di Brenda era terminata un semestre e mezzo dopo il suo inizio. Era stata
marchiata con la lettera scarlatta malgrado il fatto che Walsh avesse trentun anni e lei
soltanto trenta. Alla Champion era scoppiato un casino tremendo, e tale era stata
l'umiliazione che Brenda si era sentita di non avere altra scelta che troncare di netto con
Walsh. Lui voleva andare a trovarla sull'isola. Sarebbe stato diverso, diceva, fuori dalla città.
Forse, pensò lei. Ma non abbastanza.
L'unico sollievo era rappresentato dal fatto che per fortuna la zia Liv non era vissuta
abbastanza per assistere alla sua caduta in disgrazia. Zia Liv, eminente docente di letteratura
russa al Bryn Mawr College, aveva coltivato Brenda in vista della vita accademica. Le aveva
fatto da guida spirituale e da modello. Quante ore avevano parlato di Flerning Trainor, e di
Isaak Babel', Tolstoj, Solzenicyn, Dumas, Hugo, Whitrnan? Quante volte avevano concordato
che non esisteva ricerca più nobile dello studio della letteratura, né modo migliore per
passare una serata che con la sola compagnia di Turgenev?
"Stavo andando così bene" si disse Brenda. "Fino a Walsh."
Pensando a zia Liv, le venne in mente l'espressione "rivoltarsi nella tomba". In qualche
misura, quell'estate a Nantucket rappresentava un tentativo di espiazione. Voleva che gli altri
perdonassero e, soprattutto, dimenticassero. "Tempo per riflettere. Tempo per sé." Tutto
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sommato la presenza di Melanie poteva anche rivelarsi positiva. L'infelicità ama stare in
compagnia.
Controllò di nuovo alle sue spalle. Vicki aveva gli occhi chiusi. Era addormentata, come
Melanie, e, cosa strana, si tenevano per mano come due innamorati. Brenda strinse più forte
a sé il piccolino morbido e caldo. Si sentì come una bambina di sei anni, gelosa ed esclusa.
Victoria Lyndon Stowe faceva liste da sempre. Lo attribuiva al fatto di essere la tipica
primogenita con personalità di tipo A, debitamente rafforzata dai genitori: "Vicki è tahnente
organizzata, non c'è verso che dimentichi qualcosai1 Fin dalla quinta elementare Vicki
annotava ogni giorno cosa aveva indossato per andare a scuola in modo da non ripresentarsi
con lo stesso abbigliamento. Faceva liste dei film e libri preferiti. Faceva liste dei regali
ricevuti dai vari amici per il compleanno, e scriveva sempre i bigliettini di ringraziamento in
ordine per poter depennare via via i nomi, "fatto, fatto, fatto", così. Alla Duke University, oltre
alle liste dedicate alle varie materie di studio, c'erano quelle legate ai suoi numerosi incarichi:
presidente dell'associazione femminile Tri Delts, direttrice del circolo teatrale, guida turistica
del campus. Poi, nel mondo reale, gli elenchi si erano moltiplicati. Liste per una ragazza
single che vive e lavora in città, liste per le nozze con Ted Stowe e, infine, interminabili liste
da madre di bambini piccoli. Fissare appuntamento dal medico, restituire libri alla biblioteca,
conservare cartoni del latte per piantare ravanelli, pagare baby-sitter, invitare a giocare
Carson, Wheeler, Sam, chiamare quello dei palloncini perfesta di compleanno, comprare
pigiami estivi, oliare triciclo, far pulire tappeti nella stanza dei giochi.
Quando le avevano diagnosticato il cancro ai polmoni, le liste si erano interrotte su
consiglio del medico, e iniziahnente lei aveva protestato. Le liste conferivano ordine al suo
mondo, costituivano una rete di sicurezza che le impediva di lasciarsi sfuggire cose
importanti. Ma il dottor Garcia e poi Ted, suo marito, avevano insistito. "Basta con le liste.
Lascia perdere." , Che importava se dimenticava di ritirare la roba in lavanderia? Avrebbe
dovuto sottoporsi a tre mesi di chemioterapia intensiva, e se la chemio avesse funzionato a
dovere-riducendo il tumore fino a renderlo resecabile -sarebbe stata seguita da un intervento
al torace per la rimozione del polmone sinistro e dei linfonodi ilari. Chemioterapia, intervento
chirurgico, sopravvivenza: termini troppo pesanti per qualunque lista. E così le liste erano
state buttate tutte via, tranne quella che Vicki conservava nella mente: la "lista delle cose non
più importanti".
Fratello e sorella che attraversano di corsa la strada, in ritardo per l'appuntamento col
dentista. Una bella gonna indossata con le scarpe sbagliate. "Guida Petersen agli uccelli
marini della costa orientale".
A Darien un gruppo di pensionate vagabondava per le spiagge proprio con quel libro in
mano. Vicki le odiava. Le odiava perché erano fortunate, non avevano il cancro, e quindi si
concedevano il lusso di dedicare preziosi momenti della loro vita a inseguire una beccaccia di
mare o un airone azzurro.
Per sfortuna di Brenda e Melanie, c'erano aspetti di quella estate a Nantucket che erano
stati messi fin da subito nella lista delle cose non più importanti -ad esempio se Brenda e
Melanie sarebbero andate d'accordo o se tutti e cinque loro sarebbero stati comodi nel
cottage estivo di zia Liv -e che a quel punto parevano rivestire una certa importanza. "Vicki è
talmente organizzata, non c'è verso che dimentichi qualcosa." Ma in realtà aveva dimenticato
le caratteristiche logistiche del cottage di zia Liv. Quando aveva preso la decisione radicale di
passare l'estate a Nantucket, il suo unico pensiero era stato quanto l'avrebbero confortata il
cottage e l'isola. Da piccola trascorreva ogni estate al cottage insieme ai genitori, a Brenda e
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zia Liv. Quel posto, tanto amato, rappresentava l'estate, e sua madre, Ellen Lyndon, aveva
sempre giurato che qualsiasi malattia al mondo -fisica o psicologica -sarebbe guarita con un
po' di sabbia di Nantucket tra le dita dei piedi. Tutti avevano pensato che fosse pazza ad
andarsene via mettendo in pericolo la sua salute, ma un'altra delle voci che aveva inserito
nella lista delle cose non più importanti era l'opinione altrui.
[…]
Aggiornata il venerdì 8 agosto 2008
Edizione Mondolibri S.p.A., Milano
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