Il conflitto in casa non fa paura se c`è il perdono
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Il conflitto in casa non fa paura se c`è il perdono
Il conflitto in casa non fa paura se c’è il perdono (Francesco Belletti in Avvenire, 16 febbraio 2007) Anche in famiglia, come nei Blues Brothers, quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare»; è infatti illusorio pensare che la famiglia sia un mondo pacificato in cui tutto fila liscio, poiché la vita familiare passa inevitabilmente attraverso "momenti critici" che rimettono in discussione equilibri relazionali, rapporti tra le generazioni, generando spesso forti conflitti. Ma non si può lasciare al conflitto l’ultima parola; occorre invece giocare il duro gioco del perdono. Oggi invece molte famiglie di fronte alle difficoltà e al conflitto adottano comportamenti "schizofrenici": sul versante della coppia esso viene riconosciuto e considerato parte delle regole del gioco, ma lo si può trattare anche evitandolo, includendo così la separazione come soluzione ed esito "normale". Sul piano intergenerazionale, al contrario, il conflitto appare inammissibile, inaccettabile, e quindi negato, sterilizzato, rifiutato: assistiamo a una pacificazione indiscriminata e a un lassismo mai riscontrati prima nei rapporti tra generazioni, soprattutto nel (mancato) esercizio delle responsabilità genitoriali. Sembra quasi che sia possibile pensarsi "cattivi partner", mentre appare inaccettabile pensarsi "cattivi genitori". La prima tentazione è quindi evitare il conflitto. Molto più semplice appare la rassegnazione, la rinuncia alla lotta, per amore del quieto vivere. Tante famiglie si regolano così, da "separati in casa", dove la separazione è costruita dal muro dell’indifferenza reciproca, dalla mancanza di una passione per la vita dell’altro; allora con i figli si evita il conflitto, mentre nella coppia «si evita il partner»; in caso di conflitto, la soluzione "normale" è rompere il legame. Occorre invece attraversare il conflitto, anziché sfuggirlo; ma questo è possibile solo se si comprende che il conflitto non esaurisce la definizione della realtà e della relazione, solo se prima del conflitto c’è una relazione significativa, solo se l’altro mi interessa a tal punto che sono pronto anche a combattere con lui, pur di restare con lui. E per fare questo occorre anche sapere e accettare che dopo il conflitto è possibile un altro linguaggio, una diversa modalità di rapporto, definibile come "riconciliazione". Il conflitto è infatti umanamente pensabile solo se esiste la possibilità di superarlo, solo se, dopo lo scontro, è ancora possibile un abbraccio sincero, aperto e indifeso all’altro, nuovamente accolto e accogliente. Altrimenti produce solo "terra bruciata". L’uomo dunque, in famiglia come nel mondo, ha un bisogno disperato di perdono, di riconciliazione, di una nuova accoglienza capace di superare limiti, ferite e offese. E questo è un altro "compito educativo" dei genitori nei confronti dei propri figli e dei coniugi nel rapporto di coppia: testimoniare che la riconciliazione è possibile e che attraverso di essa si può rifare nuova tutta la vita. Questo è quanto la Paternità di Dio offre ad ogni persona, in un Perdono e in una Riconciliazione il cui abbraccio supera ogni possibilità umana. Ed è proprio grazie a questa dimensione trascendente che possiamo concludere, sempre con le parole dei Blues Brothers, che anche nella nostra vita familiare «siamo in missione per conto di Dio».