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I PERIODI FONDATIVI DELL'ITALIA CONTEMPORANEA: LE FASI DI PACE E DI SVILUPPO ECONOMICO E SOCIALE E IL LORO INTRECCIO CON I CAMBIAMENTI POLITICI Anche se si sono manifestate evidenti difficoltà – almeno iniziali – nella realizzazione delle celebrazioni dei 150 anni dello Stato unitario italiano 1, si deve a questo punto concludere che in seguito le iniziative sono state numerose, sia in campo nazionale che in campo provinciale. Tra l'altro neanche le iniziative editoriali sono mancate. Tra queste va segnalata una rilevante saggistica sul tema del Risorgimento e dell'Unità (si veda allegato al testo) nonché la riedizione di diverse opere (la biografia di Cavour scritta da Italo de Feo, la storia d'Italia di Indro Montanelli). Da segnalare pure la Storia d'Italia in nove volumi curata da Giovanni Sabbatucci e Vittorio Vidotto edita da Il Sole 24 Ore2. Alcuni quotidiani, in particolare il Corriere della Sera e La Stampa, hanno dato ampio spazio alla rievocazione storica e al dibattito storiografico. Quindi, al di là dell'anniversario in senso stretto, il dibattito sull'Unità d'Italia si è aperto di bel nuovo e vale la pena di approfittarne per collegarsi a esso, affrontando sia temi di storia locale che temi di storia generale, anche per far uscire la “produzione locale” dall'atmosfera invero asfittica della “storia patria” in senso tradizionale. 1 Il sintomo più vistoso delle difficoltà lo si riconosce nelle dimissioni di Carlo Azeglio Ciampi dalla presidenza del Comitato delegato a sovraintendere alle celebrazioni stesse. 2 Aspetto positivo di quest'opera collettanea risulta essere una fitta citazione di recenti ricerche economiche e sociali che spesso sfatano o ridimensionano i luoghi comuni della letteratura storico-politica più diffusa. Un solo esempio: all'affermazione corrente dell'assenteismo dei proprietari terrieri e della natura “feudale” del contratto di mezzadria, una serie di ricerche condotte azienda per azienda starebbe a dimostrare sia gli aumenti di produzione rilevanti nel tempo sia la adattabilità del contratto di mezzadria ai “tempi moderni”. Naturalmente a spese del reddito delle famiglie contadine. Nei periodi di pace è riuscita sempre a operare quella “rivoluzione agronomica” che ci ha fatto uscire dalla bassa produttività dei tempi precedenti. 1 Volendo riprendere in mano la questione stessa dell'identità italiana, mettendo da parte per un momento la visione della storia fatta dai re e dai governi (che pur ci son stati e si sono fatti sentire), sarebbe opportuno, con una periodizzazione ad hoc, far balzare in primo piano i periodi di pace – o di relativa pace – che hanno influito sulla formazione dell'Italia contemporanea pur da lontane premesse, per i rapporti economici e sociali che hanno costituito: 1) il periodo che va dalla pace di Aquisgrana (1748) alla Rivoluzione francese (1789) o alla discesa di Napoleone in Italia – l'Italia beneficia di una ripresa dell'agricoltura e di un aumento della popolazione, ma è tagliata fuori dalla prima rivoluzione industriale basata sulla disponibilità di ferro e carbone (questo è un periodo ampiamente studiato, ma è pur sempre il periodo delle prime associazioni agrarie con Zanon, Asquini, Canciani3); 2) il periodo della Restaurazione (1815-1848) nel quale funziona ancora una limitata modernizzazione come eredità del periodo napoleonico, ma anche come stimolo dell'Impero d'Austria – sia pur lentamente il progresso economico va avanti facendo maturare nuove esigenze e nuove domande (è questo il periodo dei congressi degli scienziati italiani, cui partecipano veneti, friulani e dalmati); 3) il periodo che va dalla fase conclusiva del Risorgimento (1870) allo scoppio della prima guerra mondiale (1914) – nonostante la fase iniziale di questo periodo sia funestata dalle malattie della vite e del baco da seta e nel 1880 da una grave crisi dei prezzi agricoli (determinata dall'importazione dei prodotti americani), lo sviluppo italiano si mette in marcia. 3 Si veda: Gian Paolo Gri, Mercanti, conti e contadini. Le lettere di Antonio Zanon a Fabio Asquini, in “Metodi e ricerche. Rivista di studi regionali”, anno I, numero 2, maggio-agosto 1980. L'autore nota – indirettamente – che il settore degli studi economici e agronomici nella cultura friulana settecentesca è relativamente poco presente nella storia locale. 2 Siamo a una seconda rivoluzione industriale nella quale giocano un ruolo importante le industrie elettriche e chimiche. In qualche maniera l'Italia supera il ritardo iniziale: nasce l'industrialismo italiano, ma anche un certo imperialismo italiano (tra l'altro con Francesco Crispi, ex cospiratore ed ex garibaldino). Comincia a prendere piede un'idea di ammodernamento nel campo dei lavori pubblici e in particolare nel campo della bonifica: si elabora una visione di integrazione tra bonifica idraulica e trasformazione fondiaria4; 4) il periodo tra le due guerre mondiali – il regime fascista porta avanti l'opera di ammodernamento (sistemazione organica della bonifica integrale e legge urbanistica del 1942); 5) dopo il conflitto 1940-45 e dopo la fase della ricostruzione parte lo sviluppo industriale italiano. Tra l'altro l'economia italiana non è più gravata dalle spese militari imposte dalla illusione sabauda dell'Italia sesta potenza. 4 Risale al 1882 la legge Baccarini che accolla allo Stato, alle Province e ai Comuni il 75% del costo dei prosciugamenti dei territori paludosi: si fonda in legge l'indirizzo politico di aiutare la proprietà terriera ad affrontare i grandi costi della bonifica per l'interesse generale collegato alla bonifica stessa: risanamento sanitario contro la malaria e aumento della produzione agricola. La legislazione successiva, fino alle leggi del periodo fascista, rappresenta uno sviluppo della scelta iniziale del 1882. 3 Si propongono alcune ricerche: a) per il periodo 1748-1796 : 1) recupero dei personaggi Zanon, Asquini, Canciani; 2) la permanenza dei feudi nell'area maniaghese-spilimberghese (la crisi di un casato importante quale i Savorgnan di Pinzano al Tagliamento in ricerche già fatte da Scatton e Bulfon oltre ad archivi notarili) 3) la condizione della Chiesa dopo il suo riordino operato dal Concilio di Trento e in presenza dei “lumi” settecenteschi b) per il periodo della Restaurazione: 1) ricerca condotta sull'archivio comunale di Maniago 2) pubblicazione di Notizie statistiche del Friuli, opera manoscritta di Francesco Pelizzo del 1846; pubblicazione di Notizie statistiche del Friuli, opera manoscritta di Francesco Pelizzo del 1846; c) per il periodo tra le due guerre mondiali: 1) ricerca nell'archivio del Consorzio di Bonifica Cellina-Meduna 2) ricerca sulle premesse dell'industrializzazione nell'area Prata-BrugneraPasiano 3) (oppure) l'industria del mobile negli '60, '70, '80 (dal paternalismo della mezzadria al paternalismo dei nuovi industriali) 4 CONSIDERAZIONI SUI 150 ANNI DELL'UNITÀ D'ITALIA Gli sviluppi drammatici della crisi finanziaria che colpisce oggi gli stati occidentali, non risparmiando neppure gli USA che ne parevano esenti per definizione, richiedono massicci interventi sovrastatali e pertanto rendono quanto mai urgente una rivisitazione della nozione di stato nazionale, a partire dalla genesi del sentimento che la fa nascere, il patriottismo nazionale5. In questo quadro sono ben poche le voci che vogliono essere forzatamente ottimiste, come fa Mark Roe su “Il Sole 24 ore”, il quale ci ricorda che l'America nacque dai debiti contratti e non pagati della guerra d'indipendenza6. La grande maggioranza dei commentatori esprime profonde preoccupazioni. Non potrebbe essere diversamente solo che si faccia mente locale alla modalità delle pressioni esercitate sull'Italia. Le decisioni prese nell'ambito dell'Unione Europea risalgono a organi tecnici – Banca Centrale Europea – piuttosto che al Parlamento Europeo, presentandosi sempre più vincolanti per ogni singolo stato: tutto ciò impone un impegno culturale a ridefinire continuamente concetti essenziali come quelli di indipendenza e sovranità, oggi messi in discussione. Si afferma un tanto perché si va verso la conclusione delle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia. 5 Jean Plumyére, Le nazioni romantiche. Storia del nazionalismo nel XIX secolo, Firenze, Sansoni, 1982. 6 Mark Roe, L'America che nacque dai debiti. Così Hamilton trasformò la crisi finanziaria del 1790 in opportunità, in “Il Sole 24 ore”, 11 agosto 2011. 5 Appare opportuno pensare quindi a una iniziativa da mettere in cantiere entro i mesi da settembre a dicembre 2011, precisando alcune definizioni concettuali (i 150 anni come riflessione sul funzionamento in senso stretto dello stato unitario, considerato come ordinamento giuridico e giudicato come efficacia burocraticoamministrativa) e cercando di ricostruire storicamente i quadri politici che si sono seguiti nel tempo dopo la proclamazione del Regno d'Italia, sotto l'egida di diversi indirizzi di governo (Destra Storica, Sinistra Storica, etc.). La proposta di una iniziativa entro l'anno delle celebrazioni non esclude che in seguito – nel 2012 – si possa organizzare un convegno, in forma adeguata, per valutare come le celebrazioni si sono svolte e in particolare per fare il punto sul dibattito storiografico. Naturalmente a questo convegno appare necessaria la presenza di uno storico – ad esempio Sergio Romano – che sia in grado di tracciare un quadro di quanto si è scritto appunto a livello nazionale. Tenuto conto di quanto già si è detto e scritto sui 150 anni, nella eventualità di iniziative entro il 2011, vanno sottolineati quegli avvenimenti europei che ebbero la forza di costituire punti di riferimento anche per la storia italiana. Tali furono le paci di Vestfalia del 1648 e di Aquisgrana del 1748. La pace di Vestfalia mise fine alle guerre di religione costituendo la base di un diritto pubblico europeo che assegnava al singolo stato pienezza di potere sui propri sudditi e assicurava nel contempo parità di sovranità a tutti gli stati. Il concetto di sovranità si identifica con l'atteggiamento dichiarato di uno stato di non riconoscere alcuna autorità a esso superiore. La pace di Aquisgrana chiuse la fase delle guerre di successione spagnola, polacca, austriaca risolvendo per il momento i conflitti più acuti. Segue almeno un quarantennio di relativa pace europea della quale beneficia l'Italia e nella quale l'aumento della popolazione e il risveglio dell'agricoltura lasciano intravedere la possibilità di una ripresa dopo due secoli di ininterrotta decadenza economica. La rivoluzione francese con la successiva espansione napoleonica si fa sentire anche in Italia: gli “anni dei francesi” rappresentano un colpo mortale all'antico 6 regime e un violento stimolo alla modernizzazione. Come è stato scritto, il Regno Italico era poco più che un nome, ma suscitò speranze e prospettive destinate a radicarsi. Neppure uno storico cattolico-conservatore come Cesare Cantù può disconoscere il fascino che ancora ai suoi tempi esercitava il ricordo del Regno Italico. Un processo analogo si verificò nelle terre di Germania dove i nemici di Napoleone, per suscitargli contro il popolo, non poterono evitare di fare discorsi di eccitazione alla “nazione tedesca”. Il Congresso di Vienna del 1815 non poté riportare indietro la Storia oltre un certo limite: anche la Restaurazione di Metternich dovette sforzarsi di essere moderata. La repressione non poté impedire che si sviluppassero i movimenti nazionali, in particolare quelli della Grecia, della Germania e dell'Italia, potenziali destabilizzatori dell'equilibrio legittimistico del 1815. Per non parlare delle ricorrenti insurrezioni polacche. Ne risulterà in tutta evidenza come il movimento nazionale italiano assume precise coordinate europee anche nella determinazione dell'ordinamento costituzionale, prima del Regno di Sardegna e poi del Regno d'Italia. La costituzione belga del 1830 e poi quella tedesca di Weimar del 1919 7 possono essere considerati i documenti ispiratori rispettivamente dello Statuto albertino e della Costituzione della Repubblica Italiana entrata in vigore il primo gennaio 1948. Sul piano della storia politica peraltro va tenuto presente che la componente risorgimentale democratico-rivoluzionaria concretò la propria definizione fondativa dello stato unitario nella Costituzione approvata nel 1849 dalla Repubblica Romana un momento prima della sua cessazione sotto l'incalzare dell'intervento straniero, in questo caso francese. 7 Erich Eyck, Storia della Repubblica di Weimar 1918-1933, Torino, Einaudi, 1966. La caratteristica principale della costituzione di Weimar consiste nell'essere questa stata approvata dopo una guerra che aveva rappresentato un grande fattore di parificazione sociale. La costituzione di Weimar prevede il suffragio universale maschile e femminile; la legge elettorale del 27 aprile 1920 istituisce un sistema proporzionale nella forma pura dello scrutinio di lista. 7 Nessun peso politico positivo esercitò invece la costituzione siciliana del 1812, fatta introdurre dagli inglesi – ma si potrebbe anche dire fatta introdurre dalla flotta inglese – in larga parte orientata dall'indipendentismo aristocratico isolano ancora immerso in una visione feudale della società. Mentre è compito della storia costituzionale definire e inquadrare le norme dello statuto albertino, spetta alla storia politica seguire la vicenda dello stesso statuto albertino dal punto di vista applicativo o meglio dal punto di vista della costituzione materiale che ne scaturì: a cominciare da Cavour i liberali moderatiprogressisti si impegnarono per ricavare dallo statuto la definizione di un potere parlamentare prevalente sulla volontà regia, per cui la vita costituzionale italiana si differenzia profondamente da quella del Reich germanico bismarckiano. Sia pure con una certa gradualità, dal connubio Cavour-Rattazzi in avanti, i ministri diventano responsabili davanti al Parlamento, mentre in Germania il cancelliere – anche se si chiama Bismarck – deve rispondere a Guglielmo II, che può di sua volontà licenziarlo, come di fatto avvenne nel 1890. Il successivo riformismo liberale di Depretis e di Giolitti perfeziona il quadro politico costruito da Cavour, con l'allargamento del suffragio (leggi del 1882 e del 1912), mentre la scelta politica di Giolitti di proclamare la sostanziale neutralità dello stato nei conflitti di lavoro consente ai liberali di proporre un qualche inserimento delle masse in via di organizzazione sindacale e politica nella compagine dello stato borghese. La finalità era quella di superare il distacco tra paese legale e paese reale. Ma non tutto era filato liscio. Tra il riformismo di Depretis e quello di Giolitti emerge il tentativo di Sonnino di tornare alla lettera dello Statuto Albertino, azzerando la costituzione materiale per realizzare intorno al monarca un potere predominante che respingesse indietro di mezzo secolo le prerogative del Parlamento, riaffermando la non responsabilità del governo di fronte alla Camera e al Senato8. È una sequenza storica esemplare quella che si svolge in Italia tra gli albori e il tramonto del movimento liberale. 8 Sidney Sonnino, Torniamo allo Statuto, in “Nuova Antologia”, 1 gennaio 1897. 8 La sortita di Sonnino si legava strettamente alla violenta rimonta della Destra reazionaria nell'ultima fase dell'Ottocento. Uno schieramento ampio di cattolici, socialisti e liberal-costituzionali riuscì a bloccare, nel Parlamento con l'ostruzionismo e nel Paese, quella linea autoritaria che pretendeva ancora di governare il Paese con lo stato d'assedio e il domicilio coatto. Dalla sconfitta dei vari Pelloux riemerge una linea liberal-riformatrice (quella di Giolitti) che prolunga il regime liberale fino al 1922. Per la verità le colonne avanzanti dalla campagna romana alla Città Eterna degli squadristi fascisti, dirette con un certo pressapochismo logistico dai famosi Quadrumviri, abbatterono un regime liberale che ormai politicamente era ben che morto. Basta confrontare i discorsi di Cavour con quelli di Salandra: mentre il primo aveva un programma di riforme per costruire un più ampio consenso intorno al governo (moderatamente riformatore in genere, ma qualche volta poco moderatamente, come nel caso delle leggi Saccardi), il secondo nelle riforme vedeva solo delle indebite concessioni all'opposizione che per questa via si rafforzava a scapito dell'autorità e dell'influenza del governo in carica9. Cavour nutriva una motivata fiducia in una borghesia modernizzante e progressista; Salandra non credeva più in un sistema della libertà e pensava solo a passare la mano ad altri i quali potevano essere o gli interventisti, purtroppo in parte anche democratici, tumultuanti contro il Parlamento del radioso maggio 1915 o le formazioni fasciste dell'ottobre 1922. L'evoluzione positiva dello statuto albertino viene bloccata dalla crisi politica del 1915 (pressione della piazza interventista su un parlamento neutralista) e poi dalle decisioni politiche del re del 1922 di portare al governo Benito Mussolini difendendolo poi durante la crisi Matteotti. La cultura istituzionale fascista mette capo alla elaborazione dei principi, nel senso dello Stato totalitario, dello stato corporatico (Giuseppe Bottai), in larga misura ispirati dalla ricerca di una terza via rispetto al capitalismo classico e 9 Antonio Salandra, La neutralità italiana 1914-1915, Milano, Mondadori, 1928, pag. 199. 9 all'esperimento sovietico quale appariva attraverso i primi piani quinquennali staliniani. La sconfitta militare del 1943, il crollo del fascismo e la Resistenza rimettono in moto la definizione di un ordinamento democratico repubblicano, la cui caratteristica precipua è quella di cercare di rendere difficile un ritorno autoritario. Ma la costituzione del 1948, pur votata con una grande maggioranza, incontra notevoli difficoltà di applicazione dopo la fine del governo di unità nazionale (1947). La costituzione in vigore ha rappresentato – per i suoi aspetti positivi – una cornice istituzionale abbastanza forte per poter contenere entro i suoi principi uno scontro politico tra forze politiche diverse e in certi momenti fortemente contrapposte (1948, 1953, 1956, 1960, 1974). Aveva peraltro punti programmatici avanzati che allarmavano la destra e la inducevano a ostacolarne l'attuazione. Non è mancato qualche uomo politico di primo piano che l'ha definita una potenziale trappola. Un aspetto di queste difficoltà possiamo individuarlo nella vicenda della Regione Friuli-Venezia Giulia a statuto speciale, prevista dall'articolo 116 della Costituzione con Sardegna, Sicilia, Trentino-Alto Adige e Valle d'Aosta, sospesa dalla decima norma transitoria, attuata poi solo nel 1964, nonostante il movimento per l'autonomia fosse particolarmente forte negli anni '40 e '50 in provincia di Udine10. 10 Nel dopoguerra prende il via in provincia di Udine, comprendente allora anche l'attuale provincia di Pordenone, un'ampia letteratura che sottolinea il ritardo economico del Friuli, chiedendo agevolazioni e incentivi al governo. Promotrici di questa letteratura sono la Camera di Commercio e l'Ispettorato Provinciale dell'Agricoltura. Si veda: a) Camera Commerco, Industria e Agricoltura, Sommario statistico della Provincia di Udine (Aspetti economico-sociali), Udine, Manuzio, 1950; b) Studi sul Reddito Nazionale promossi dall'Istituto Centrale di Statistica, Il prodotto netto dell'agricoltura friulana negli anni 1938-1949-1950, a cura della CCIA di Udine; c) Relazioni annuali della CCIA di Udine (nella relazione che riguarda il 1953 si afferma che il valore della produzione agricola per ettaro del Friuli è inferiore alla media nazionale, si richiedono perciò maggiori contributi statali). 10 Un movimento organizzato per l'autonomia friulana compare già nell'estate del 1945, per la verità poco ben visto sia dalla DC che dal PCI perché usciva dagli schemi ufficiali predisposti da questi partiti. Peraltro la Regione FVG a statuto speciale pone oggi una questione politica: risolti i problemi del 1945-54, aboliti i confini di stato e profondamente cambiate le situazioni economiche rispetto a quelle del 1947, è ancora motivata la condizione privilegiata della specialità? Come giustifichiamo oggi a un cittadino veneto i “privilegi” di cui godono i cittadini friulani e giuliani? Negli ultimi tempi le affermazioni polemiche verso le autonomie speciali da parte di esponenti veneti sono frequentissime. Qui evidentemente deve soccorrere la risposta dei politici. Con questi temi si va certamente oltre le celebrazioni dei 150 anni, ma da questi temi viene anche il forte stimolo a superare una certa pigrizia intellettuale che suggerisce di evitare un riferimento impegnato ai 150 anni o di ricercare la scappatoia della retorica oppure di una storia locale tutta episodica. I 150 anni sollecitano fortemente ai temi generali, come quello, tra gli altri, della unificazione giuridica del Paese, attraverso i codici e la legislazione ordinaria che discendono dal documento fondativo dello Stato11. 11 Carlo Ghisalberti, Unità nazionale e unificazione giuridica in Italia, Roma/Bari, Laterza, 1979. 11 P.S. Oggi è aperto un dibattito per modifiche alla Costituzione che appaiono di tutto rilievo: ridefinizione dell'art. 1, modifica dell'articolo 41, introduzione in costituzione dell'obbligo del pareggio di bilancio. Alcune delle modifiche appaiono del tutto subordinate alla ideologia del libero mercato come giudice insindacabile. Ma questa ideologia, che appariva fortissima nel contesto della crisi e del crollo del socialismo reale, non può vantare oggi ogni merito dopo la crisi globale dalla quale ancora non siamo usciti che richiede continuamente l'intervento degli Stati. Peraltro non si può sostenere un principio astratto di intangibilità di un testo, quello costituzionale, che in questi ultimi due decenni ha già subito varie e importanti modifiche. Inoltre la costituzione del 1948 venne elaborata in una fase in cui l'Italia era ancora un paese agricolo-industriale, nel quale non era facile neppure immaginare fenomeni come la fuga dai campi e l'espansione urbana che poi si sono verificate negli anni '50 e '60. Per cui qualche aggiornamento non dovrebbe essere rifiutato in linea di principio. Anche se si può porre la domanda se questo sia il momento opportuno dal punto di vista degli equilibri politici: basta guardare in che gravi scogli ha finito per naufragare il riformismo di Obama. Ma questi sono ragionamenti da farsi in altra sede. Piuttosto il problema è un altro, quello di fondare un realistico storicismo per leggere la storia d'Italia, proiettando sulla dimensione europea le eventuali risultanze. Una unità europea è ormai cominciata e tanto vale prenderne atto (almeno nel limite dei 17 Paesi che hanno adottato l'Euro). Uno spazio per un moderato revisionismo comunque esiste perché sia la storiografia idealistica ispirata da Benedetto Croce sia la storiografia marxista di più stretta osservanza, ispirata da Palmiro Togliatti, hanno prodotto una letteratura storica che va in larga misura rivisitata. 12 ALLEGATO 1 13 SAGGISTICA EDITA IN OCCASIONE DEI 150 ANNI Ermanno Rea, La fabbrica dell'obbedienza. Il lato oscuro e complice degli italiani, Milano, Feltrinelli, 2011. Sergio Romano, Finis Italiae, Firenze, Le Lettere, 2011. Massimo L. Salvadori, L'Italia e i suoi tre stati. Il cammino di una nazione, Roma-Bari, Laterza, 2011. Antonio Caprarica, C'era una volta in Italia. In viaggio fra patrioti, briganti e principesse nei giorni dell'Unità, Milano, Sperling & Kupfer-Rai/Eri, 2010. Aldo Cazzullo, Viva l'Italia!, Milano, Mondadori, 2010. Domenico Fisichella, Il miracolo del Risorgimento. La formazione dell'unità d'Italia, Roma, Carocci, 2010. Paul Ginsborg, Salviamo l'Italia, Torino, Einaudi, 2010. Giordano Bruno Guerri, Il sangue del Sud. Antistoria del Risorgimento e del brigantaggio, Milano, Mondadori, 2010. Sergio Romano, Vademecum di storia dell'Italia unita, Milano, Rizzoli, 2009. 14