Intervista - Catania per te
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Intervista - Catania per te
Catania per te www.cataniaperte.it www.cataniaperte.com www.etnavalley.com “Intervista” di Giuseppe Vazzana Lo confesso, la telecamera è la mia fissazione. Prima o poi mi succederà qualche guaio con la giustizia. In fondo non sono che un dilettante senza particolari capacità e con un’attrezzatura tutt’altro che sofisticata. Anzi, si dovrebbe dire da rigattiere e tutto questo perché ciò che m’importa davvero non è realizzare delle sequenze ragguardevoli sotto il profilo tecnico e stilistico, da mostrare magari agli amici prima o dopo una cena, ma semplicemente strappare al tempo le immagini che mi hanno colpito di più, impedendo che se le porti via con i processi biochimici cerebrali. Se ogni cosa che abbiamo visto dal giorno della nostra nascita è destinata a lasciare in un neurone qualsiasi un perfetto codice in atomi e molecole, tanto che se questo potesse venir decrittato da un lettore esterno otterremmo quella scena in tutti i suoi particolari, leggendovela esattamente come si fa con un Cd, tuttavia le cellule cerebrali sono talmente delicate che facilmente scoppiano sotto il peso delle combinazioni che più c’interessano. Detto diversamente, se sono al mare e ho con me la telecamera e mi capita d’incrociare una bella ragazza in bikini o in perizoma e topless che prende il sole, detto fatto un demone mi prende la mano e mi costringe a riprendere quella figura nell’unico modo in cui mi sia possibile farlo senza chiedere un permesso che certamente mi sarebbe rifiutato: fingendo di sistemare la messa a fuoco della videocamera o lasciandomela ciondolare al fianco ancora accesa, sperando che spontaneamente catturi un’inquadratura di mio interesse. A sera poi esamino il bottino in immagini e trovo in cassetta frammenti assolutamente indecenti dal punto di vista della tecnica di ripresa, ma per me significativi in virtù di ciò che lasciano intravedere, quasi sempre ai margini della scena, magari tagliati proprio sul più bello. Ma qualcosa comunque c’è sempre e questo mi soddisfa. Direte, come fece a suo tempo la mia ex moglie, che sono solo uno squallido voyeur. Io mi tengo il titolo francese, ma toglierei l’aggettivo: perché la mia videocamera non obbliga nessuna donna a spogliarsi né riprende momenti che non siano già sotto gli occhi di tutti. Inoltre è impossibile usare quelle scadentissime immagini per fini commerciali, di scambio o altro. Insomma, non valgono nulla, ma per me rappresentano un dispetto fatto al tempo e alla biochimica cerebrale fermando quello sbuffo di aria colorata che è la figura colta dell’occhio umano dal vivo. Se si tratta di un reato, di un furto, di una sottrazione indebita, la parte lesa è il tempo che aveva l’immagine in sua disponibilità. Ma esso se n’era appropriato furtivamente. Insomma rubare a un ladro è un reato oppure no? Almeno una volta, però, adoperai la videocamera per un fine lodevole. Il giorno di Ferragosto mi trovavo al Lido La Baia, di Stilla, la nota località balneare sulla costa laziale, ospite di una coppia di amici che mi avevano pregato di portarla con me per riprendere il festeggiamento del compleanno di Stefano, il loro secondogenito, che compiva quel giorno nove anni. In verità anche quella volta fui fatto prigioniero dal mio demone e lasciai la videocamera accesa a penzolarmi lungo il fianco mentre passeggiavo con loro ai bordi della piscina, prima che cominciasse il pranzo speciale fissato alle 13:30, un’ora dopo. Nessuno si accorgeva di niente e io conversavo con i miei amici del più e del meno, senza lasciar trapelare nulla del mio segreto. Notai che la piscina era eccessivamente grande per un lido e così pure la torre che innestava a differenti altezze i trampolini di tuffo. Sembrava un impianto olimpionico, assolutamente sproporzionato per le esigenze puramente ludiche di un posto come quello. «Qui si fanno gare?» chiesi a Luca manifestando la mia sorpresa. «No – rispose lui – Solo tuffi dal trampolino minore, aperto a tutti, e uno da quello maggiore, una sola volta l’anno, il giorno di Ferragosto. Lo fa una tuffatrice speciale» «Chi è?» «Sorpresa» rispose Luca All’improvviso capii che una persona aveva afferrato il trucco della videocamera ciondolante al fianco, e fui immediatamente paralizzato dal terrore: una terribile scena tipo dagli all’untore mi si materializzò davanti: quella era davvero l’ultima situazione in cui chiunque sopporterebbe di trovarsi. A scoprirmi era stata una signora sui cinquant’anni, una gran bella donna, alta, slanciata, estremamente curata nel fisico e nell’aspetto. Con il costume da bagno che indossava – un bikini non eccessivamente audace ma molto giovanile nel taglio e nella fantasia colorica - avrebbe certamente potuto dare del filo da torcere alle più scioccanti svampite del Lido. «Che hai? – fece Luca sottovoce notando che ero scolorito in viso – Che ti prende?» «Embè – fa Cinzia con una smorfia sarcastica – Hai visto forse un fantasma?» «No, un attimo… - farfugliai – È che io certe volte… ho…» «Non dirci che hai problemi di cuore, Marco! – disse Luca ridendo – Non dirci che sei spompato da troppi impegni mondani proprio oggi!» «Lo so io cos’è! – disse Cinzia – È la Staffi!» «La Staffi?» chiesi con imbarazzo «Sì, la Staffi, quella col tanga rosso accanto alla signora di mezza età – fece Luca – Qui la chiamiamo Regina di Poppe e il perché lo capirai più tardi, verso le due e mezza, quando si toglierà il reggiseno per abbronzarsi le tette nel solarium» «Eh sì – dissi – Avete ragione. È che non sono più abituato a tutta quest’abbondanza in un sol colpo» Notai che la cinquantenne continuava a fissarmi con occhi viperini, ma restava immobile a prendere il sole. Ci allontanammo. Mi sentivo molto inquieto. Sapevo di aver sfiorato un uragano e non ero del tutto certo di esserne uscito. Anzi, temevo che la tempesta si sarebbe abbattuta su di me proprio sul più bello, durante il festeggiamento di Stefano, che proprio non meritava un cameraman inaffidabile come me. Mentre andavamo verso le cabine, Luca mi fa: «L’hai notata la cinquantenne accanto alla Regina di Poppe?» «Così – risposi – Non è che ho guardato molto bene» «Peccato – disse Luca – Se capita l’occasione te la presento. Si chiama Iolanda Rangoni, cinquantatré anni . Ti dice nulla questo nome?» «Veramente no – risposi – Chi è?» «La gloria del Lido La Baia» disse Cinzia «Già – fece Luca – Iolanda Rangoni, medaglia d’oro alle olimpiadi di Monaco nel 1972 nella specialità tuffo dal trampolino. Era di lei che ti parlavo poco fa. Si tuffa alle tre e mezza ogni Ferragosto, da trent’anni in qua. È uno spettacolo straordinario, ma c’è chi non gradisce, come sempre. Ricapitolando: alle due e mezza c’è il primo spettacolo, con Regina di Poppe che si esibisce nel solarium. Inoltre, oggi che è Ferragosto, alle tre e mezza c’è il tuffo olimpionico della Rangoni. Insomma per chi viene la prima volta è uno spasso. Poi col tempo…» «Annoia un po’» disse Cinzia «O forse mette angoscia… - disse Luca – Ti fa pensare agli anni che passano» «Ma il Lido è suo, voglio dire, della Rangoni? L’ha fatta fare lei la piscina e quella torre di lancio?» chiesi stupito «No, li ha fatti costruire trent’anni fa Cesare Costantini, il campione di nuoto che è stato suo fidanzato per tanti anni. La torre l’ha fatta fare per lei. Poi si sono lasciati un po’ male, ma lei ha continuato a frequentare il Lido e a esercitarsi in piscina come se nulla fosse. Lui dopo un paio d’anni è morto in un incidente stradale e tutto è passato al costruttore Carrocci, a cui frutta qualche miliardino l’anno» «Quei due non si possono vedere» aggiunse Cinzia Quando arrivammo alla cabina vidi che già il tavolo del buffet era stato sistemato sulla passarella in ombra e ci lavoravano un paio di camerieri. «Ora scusaci – fece Luca – Diamo una mano anche noi, che tra poco si festeggia» «Visto che siete già organizzati, ne approfitto per andare a prendere un caffè al bar» «Ok – fece Luca – A dopo» Il bar si trovava proprio di fronte al solarium con sdraio dove avevo visto la cinquantenne e Regina di Poppe. Vi andai con la segreta speranza di incontrare la prima e disinnescare come potevo la bomba della sua ira, che immaginavo pronta ad esplodere. Quando le passai davanti, a occhi bassi, ma con la coda dell’occhio ben vigile, mi lanciò un’occhiata mortale. Subito dopo che fui giunto al banco, ordinato un caffè, sentii alle mie spalle uno squillante: «Buongiorno!» Mi voltai di scatto e rimasi esterrefatto vedendomi davanti la signora cinquantenne. «Buongiorno! – ripetè con un magnifico sorriso – Sono io la signora Iolanda Rangoni che sta cercando. Peccato che non mi abbia riconosciuto, ma sono passati trent’anni e ai tempi di Monaco lei era appena un bambino. È Marco Campalto, il giornalista della RAI, no?» Caddi dalle nuvole. Ac cennai un: «Veramente… io… non…» «Suvvia! – fece la Rangoni abbassando la voce – Con quella telecamera accesa mentre passeggiava con i suoi collaboratori fingendo di parlare del più e del meno per riprendermi così, senza che ne sapessi nulla… Qualche fotogramma casual, prima del servizio sul mio famoso salto mortale carpiato di Ferragosto, che sono ancora in grado di ripetere a trent’anni da Monaco» Cercai di essere più deciso: «Cara signora, la prego, deve esserci un equivoco. Io non…» «Lei non cosa? – m’interruppe adirata ma senza alzare la voce – Lei non è il giornalista Campalto della RAI? Lei non è venuto per il servizio sul tuffo che mi ha fruttato la medaglia d’oro? Lei è forse un volgare ladro d’immagini che ha cercato di riprendere di nascosto… Regina di Poppe, come la chiamano tutti?» «Certo, signora – dissi prontamente assecondando la sua minaccia – Sono proprio Marco Campalto, giornalista sportivo della RAI» La Rangoni tornò a sorridere in modo affascinante: «Caro Campalto, lei è uno che si fa aspettare. Chissà quante ragazze soffrono per un bel giovanotto come lei! – ammiccò e aggiunse – Senta Campalto, le chiedo solo un favore. Tra noi, qui al Lido, c’è chi non apprezza il mio tuffo e mi da’ della suonata. Molti sanno del servizio della RAI ma ormai nessuno ci crede più e sono diventata una barzelletta vivente. Colpa vostra, della Rai, della vostra burocrazia, che ci avete impiegato tanto per il servizio sulla mia medaglia: trent’anni! E adesso il comm. Carrocci, che è il padrone, mi vuole estromettere dal Lido perché dice che col mio tuffo gli creo un sacco di fastidi. Mi ha già annunciato che non mi rinnoverà l’abbonamento per la prossima stagione. Si sdebiti verso di me a nome della sua azienda. Più tardi, alle 15 e 30, prima del tuffo che faccio ogni Ferragosto alla stessa ora, dica qualcosa, mi faccia un’intervista molto professionale, che si capisca bene che lei è della RAI… e non un dilettante… Intesi?» Il festeggiamento di Stefano andò nel migliore dei modi. Non litigò con Alfredo, il fratello maggiore di lui di due anni – e già questo era da considerarsi un notevole successo – che anzi fu affettuoso come non mai e tutto filò liscio secondo i ritmi di queste festicciole, che sono sempre uguali ma non annoiano mai i bambini e neppure gli adulti, se dimenticano per un paio d’ore le ordinarie preoccupazioni e riescono a percepire quello che accade intorno con una predisposizione d’animo che li riporta al tempo in cui erano loro a rincorrersi sulle passerelle e sulle scale del Lido, con la felice libertà mentale di quell’epoca della vita. Dopo il taglio della torta e la consegna dei regali a Stefano raggiante (e qualcuno anche ad Alfredo per mettere il bavaglio a qualche gelosia residua), Luca mi prese sottobraccio e con un sorriso disarmante disse alla moglie: «Cinzia, faccio due passi con Marco» E lei, come rassegnata, ma sorridente: «Lo so, lo so dove vai… Poppe al vento! Ma non attardatevi troppo che voglio fare amminare a Marco il… il… Cribbio, non mi viene la parola!» «Il cosa?» fece Luca malignando allusivamente. «Cosa? Ma guarda! – fece Cinzia ridendo – Cosa dovrei fagli ammirare se non il salto mortale carpiato della Rangoni (menomale che l’ho ricordato)? Ho forse addosso qualcosa che meriti ammirazione, dopo dodici anni di matrimonio e due figli?» «Eccome!» mi scappò. Luca mi guardò strano, come la stessa Cinzia, e io mi morsi la lingua. Alla fine Luca, piccato, taglio corto. «Vieni, Marco, andiamo sul sicuro, che abbiamo appena mezz’ora a disposizione» Arrivammo a una larga passarella pensile che guardava dall’alto un ampio solarium per patiti dell’abbronzatura tropicale. Prima di arrivare alla ringhiera vidi che gli sguardi dei numerosissimi spettatori che vi stavano appoggiati erano orientati verso un unico punto focale e non ebbi fatica a immaginare su chi convergessero. Quando finalmente trovammo spazio tra il folto pubblico che guardava dal soppalco, vidi nel solarium una scena indimenticabile e mi felicitai con me stesso per non averne perso l’essenziale: Regina di Poppe, arrivata in quel momento, indossava un bikini giallo succintissimo, ed era velata dalla vita in giù da un pareo rosso più che trasparente. La sua pelle nulla aveva da invidiare, quanto a tintarella, a Naomi Campbell o giù di lì. Evidentemente non le bastava e comunque l’obbligo estetico di abbronzarsi dava ampiamente ragione della sua attesissima performance quotidiana. Giunta nello spazio che per una convenzione da tutti rispettata si era concessa al centro del solarium, aprì sul parquet una tovaglia color madreperla, che fece risaltare maggiormente la sua figura quando vi si stese sopra. Poi con un gesto enfatico, ma liberatorio per sé e per la tensione collettiva del pubblico, slacciò il reggiseno, liberando le sue superbe sfere con ciliegina decorativa che mi facevano pensare alle cassate siciliane in cioccolatto, e si mise a prendere il sole, con l’aria di chi trovasse nella spiaggia più deserta della Terra del Fuoco. «Siamo fortunati – disse Luca – Non aveva ancora cominciato. Si vede che ha dovuto ritardare, anche se deve esserle dispiaciuto molto. Vuol dire che concentrerà in mezz’ora ciò che di solito fa in un’ora, perché oggi non può sforare, visto che alle tre e mezza c’è il famoso tuffo della Rangoni» A descrivere il mio stato d’animo in quel momento posso solo dire che ero scioccato, alla lettera! «Ma chi è questa Regina di Poppe?» chiesi quando finalmente riuscii a controllare la mia agitazione e l’impulso ad accendere la videocamera e puntarla apertamente su di lei. «Al secolo Regina di Poppe si chiama Lorena Spartani, cognome tutt’altro che in carattere col suo stile di vita. Nei polinsesti a luci rosse era conosciuta come Donna di Cuori, ma noi preferiamo chiamarla Regina di Poppe, il concetto è più chiaro. Ha lavorato per un po’ d’anni nei set hard facendo film che dovevano andare all’estero, ma alla fine sono stati proiettati dovunque e ha avuto pure molestie a casa. Per questo ha smesso. Sai perché tutti le fanno tante cerimonie anche se molti, specialmente le mogli, compresa la mia, vorrebbero cavarle gli occhi? Perché è l’amante di Carrocci, il dio Carrocci. Guai a finire sotto i suoi fulmini. Si rischia l’espulsione vita natural durante dal Lido. E lui la vuole così, abbronzantissima, anche lì, e sotto gli occhi di tutti. Che vuoi, da quanto è stata messa in giro la voce che è… è… insomma, mi capisci, no?… insomma Regina di Poppe è per lui come la patente e l’assicurazione dell’auto e più la guardano (e ora ne vedrai delle belle) più lui si sente sicuro del fatto suo. In questo momento ci guarda col binocolo dal suo ufficio, lassù, felice e sono sicuro che ti ha notato. Vedrai che per riconoscenza ti farà l’ingresso gratis senza cabina per tutta la prossima stagione, specialmente se accendi la videocamera e riprendi la scena. Confessalo, la tentazione è forte, no? Io non avrei nulla in contrario, ma nel nastro c’è già la festa ed è meglio che lasciamo perdere» Quando Regina di Poppe finì la sua esibizione ci spostammo tutti verso la piscina olimpionica. La signora Iolanda Rangoni, che camminava a passo sve lto, mi tagliò letteralmente la strada, facendomi uno smagliante sorriso che significava “Benintesi”, e si diresse verso una cabina che si apriva proprio su uno dei lati maggiori dell’impianto. Era il momento. Presi la videocamera e la disposi in maniera che fosse chiaro che stavo riprendendo la porta da cui tra poco sarebbe uscita. Improvvisai un microfono utilizzando il viva voce del cellulare. Mi avvicinai alla porta, mi rivolsi verso il pubblico assiepato intorno e dissi, inquadrandolo con la videocamera: «Cari telespettatori, sono Marco Campalto della Rai, per la trasmissione Sport, ora e sempre. Storia recente dello sport italiano. Sono qui nel giorno di Ferragosto 2002 per intervistare, a trent’anni di distanza dalle Olimpiadi di Monaco, la tuffatrice Iolanda Rangoni, vincitrice dell’oro femminile nella specialità tuffo dal trampolino. Purtroppo a quell’epoca la fama della sua straordinaria vittoria fu offuscata dalla tragedia che tutti ancora ricordiamo e di cui purtroppo assistiamo a terribili repliche. L’irruzione di un commando palestinese nel viaggio olimpico, con la strage di giovani sportivi e tecnici israeliani che ne seguì, rappresenta un episodio ancora vivissimo nella nostra memoria. Per questa ragione, la straordinaria prova di Iolanda Rango ni e quella di moltissimi atleti di tutto il mondo, che avevano realizzato prestazioni assolutamente eccezionali, non solo passarono in secondo piano, ma furono addirittura dimenticati e mai più onorati dell’attenzione che meritavano da parte della stampa sportiva. Ci riproviamo noi della RAI a trent’anni di distanza, scusandoci con la signora Rangoni… per il fortissimo ritardo, nella deliziosa cornice del Lido La Baia, di Stilla, cittadina dove la campionessa trascorre le sue vacanze estive e dove ogni Ferragosto, da trent’anni in qua, si esibisce nella replica di quel famoso triplo salto mortale con variante Rangoni, che a Monaco le valse l’oro femminile. Quanto alla mia attrezzatura, scusatemi, ma la mia auto è stata rubata un’ora fa con le videocamere professionali. Non per questo rinuncio all’attesissima intervista/performance in diretta concessami dalla signora Rangoni. Per quanto riguarda l’audio mi è sufficiente utilizzare un collegamento in diretta telefonica con Viale Mazzini, dove sarà montato con le immagini della videocamera amatoriale che per fortuna avevo con me, un vero gioiellino, che se ben utilizzato è capace di ottime riprese. Ma ecco la campionessa» La signora Rangoni uscì dalla cabina indossando il monokini celeste delle atlete italiane i mpegnate negli sport d’acqua. Era folgorante. Il suo aspetto era quello di una ventitrenne che in un improvviso sguardo al futuro si era scoperta cinquantreenne per tornare adesso al fiore dell’età. «Signora Rangoni…» faccio, ma lei m’interrompe «È una gaffe – ribatte lei sorridendo adorabilmente – Sono la signorina Rangoni, non mi sono ancora sposata» «Pardon – faccio io e commetto un’altra gaffe – È che non siamo nel 1972 ma nel 2002 e…» «Appunto, Campalto, siamo nel 2002, non mi sono ancora sposata e non lo farò mai. Il mio fidanzato è morto tanti anni fa in un incidente stradale e da allora il mio cuore è come sigillato per sempre» «Mi scusi, signorina Rangoni, mi creda, non volevo affatto ferire la sua sensibilità, ma il problema è che senza la mia attrezzatura abituale mi trovo a disagio e i miei pensieri, a quanto sembra, non seguono una trama ben ordinata. Mi perdoni…». M’interruppe ancora e disse, come se non avesse ascoltato le mie parole: «E poi non è questione di gaffes verbali ma di sostanza. Capisco che a quel tempo l’interesse dell’opinione pubblica mondiale non potesse che concentrarsi sulla tragedia, ma dopo? Come dimenticare un’atleta che ha donato al Paese una medaglia d’oro tra le più prestigiose di tutte le partecipazioni italiane alle Olimpiadi? Non esistono dunque archivi e giornalisti sportivi?» «Signorina Rangoni, sono veramente costernato per tutto questo – dissi dispiaciuto per non averne azzeccata una con quella donna così dolce e bella ma non certo benvoluta dalla fortuna – Lo dico anche a nome della RAI» «La prego – disse con sguardo malinconico – Non ne parliamo più» Le sorrisi, grato per avermi tolto dalle panie: «Può raccontarci qualcosa di quella formidabile gara?» «Certo. Nelle prove eliminatorie non ebbi difficoltà alcuna. Le mie avversarie non provenivano da paesi dotati di una lunga tradizione nella disciplina né d’impianti adeguati. Ebbi facilmente ragione delle colleghe thailandesi, greche, argentine e peruviane, pur esibendomi nel salto mortale semplice. Negli ottavi di finale occorreva qualcosa di più, anche perché la cecoslovacca Zelinskij era molto brava, agile e disponeva di un’ottima preparazione atletica. In effetti fummo pari fino al settimo tuffo, quando ottenni dal giudice di potermi esibire nel salto mortale con finale a figura aperta, un virtuosismo in cui la Zelinskij non poteva seguirmi. Nei quarti di finale mi trovai due concorrenti come la russa Velaskaia e la rumena Tanescu e vi assicuro che dovetti faticare molto per impormi su di loro, che presentarono dei magnifici salti mortali doppi da medaglia d’oro. Il mio segreto consistè nell’improvvisare una figura inedita, rischiando moltissimo, perché la variante ad aperture successive, che mi venne in mente subito prima del tuffo decisivo, non solo non riuscii più a ripeterla, ma neppure a definirla nelle sue fasi dinamiche. Tuttavia allora mi valse il superamento del turno. In semifinale trovai le tre più forti atlete europee della specialità: la francese Raubousson, la tedesca Schurbach e l’olandese Van Hausen. Che dire? Tre incredibile tuffatrici, tutte in grado di eseguire il salto mortale triplo anche in mezzo alla confusione di una discoteca, grazie alla loro formidabile capacità di concentrazione. Fu allora che, per superare il turno, la mia fantasia elaborò in una frazione di secondo la variante ad aperture successive, che richiedeva una velocità d’esecuzione portentosa in quanto le braccia dovevano allargarsi come ali allorché, durante la rotazione, la testa veniva a trovarsi in alto. Il pubblico restò strabiliato e mi concesse il più lungo applauso della storia di questa specialità, secondo naturalmente solo a quello con cui fui premiata dopo il tuffo finale…» Mentre si accingeva a procedere nel racconto, un uomo basso e affannato irruppe sulla scena e mi si rivolse con aria adirata: «Ma chi è lei? Che vole co’ sta telecamera qui?» «Sono qui per intervistare la signo…» «Inter… che? – fece lui sbraitando – Intervistare questa suonata nel mio Lido? Ma chi ja dato l’autorizzazione pe’ fa’ questo?» «Veramente mi è sembrato che…» «Macchè jè sembrato e sembrato! Io so’ er commendator Carocci, er padrone der Lido. Me lo aveva da dì a me de l’intervista! So’ io che do’ le autorizzazioni!» «Mi scusi – dissi – forse ho sbagliato, ma non credo così gravemente come lei da’ a interndere. Sono Marco Campalto, della RAI. Chiederò all’Azienda di risarcirla per il fastidio che le ho arrecato, foss’anche di tasca mia» «Ah, lei è della RAI? – fece il comm. Carrocci interdetto – Ma me lo poteva di’ prima che è della RAI, no? È che l’attrezzatura… insomma… Me sembrava una specie de dilettante… ‘Na cosa pe’ ride’, ‘n turista… co’ la signorina Rangoni che nun se rassegna che so’ passati trent’anni dalle Olimpiadi. Co’ quella tragedia la’, che cosa pretendeva?» «Ma la signorina Rangoni ci ha regalato uno dei più splendidi ori della partecipazione italiana alle Olimpiadi, paragonabile a quello di Livio Berruti, a Roma nel 1960!» dissi sottolineando con decisione le mie parole. «E ce lo so, io so d’accordo! Anzi er primo applauso gliel’ho fatto io quer giorno, che me lo ricordo bene, quanno so’ sartato dar divano ner salotto e ci ho detto a mi moje: “Ce l’avermo fatta! Ci avemo un oro più prezioso d’un diamante!” Si, ma nun se po’ vive de ricordi! Er tempo passa! La signorina mo’ ci ha cinquantatrè anni sonati, che la sua età la sapemo tutti per via de aritmetica: trent’anni da quanno ne aveva ventitré. Er problema è che l’impianto de piscina e trampolino non è assicurato per usi sportivi e se la signora putacaso se rompe ‘na gamba o ‘n braccio perché sbaja – ché sempre cinquantatrè anni so’ – o je viene n’accidenti in acqua, io je devo pagà tutte le spese di riparazione o risarci’ de tasca mia er de profundis! È questo er fatto! Signora mia, me dispiace che c’è la RAI, ma ho proprio da dijelo: da quest’anno in poi er su’ famoso tuffo nun se farà più ner mio Lido, perché mica ci’ ho voja de da’ i miei denari pe’ pagà ospedali e officine ortopediche. Me scuso co tutto er pubblico italiano ma stavorta glielo proibisco, glie – lo – proi – bis – co!». La signora Iolanda Rangoni non sembrava affatto intimidita dall’irruente comparsa sulla scena del comm. Carrocci e appena questi tacque, continuò guardando con un sorriso adamantino la videocamera: «Sa, Campalto, la finale della gara di tuffo femminile è stata l’esperienza più importante che un’atleta possa sognare. C’era un’aria di straordinaria bellezza in noi, in ciò che facevamo, nell’elementare eleganza dei nostri costumi, che concedevano agli occhi più di ciò che palesemente negavano e soprattutto nelle figure che realizzavamo nelle frazioni d’istante di volo che solo una tragedia come quella che sarebbe venuta dopo potè cancellare dalla memoria sportiva, perché si trattava di arte purissima. Eravamo in otto: io, le americane Richards e Melrose, la svedese Höllstrom, la danese Aater, la polacca Vindinsksj, la sovietica Olovskaja e la tedesca dell’est Torrer. La competizione cominciò all’insegna dell’eccellenza. A livello di una finale olimpionica non bastano le ovvie doti di precisione e sincronia assoluta dei movimenti nella figura principe della gara, il salto mortale triplo, ma anche quel tocco di fantasia che può consentirci di differenziare la nostra performance da altre anch’esse bellissime e che possono peccare esclusivamente di eccesso di perfezione. Come ben sa, la giuria è composta da cinque giurati, che possono esprimere voti che vanno da uno a nove, mentre noi atlete abbiamo a disposizione cinque prove individuali che si effettuano dopo ogni turnazione completa del gruppo. Naturalmente ognuna teneva in serbo per l’ultima manche il suo pezzo preferito e di maggior prestigio. Gran parte dell’elemento competitivo dell’ultima fase della gara consiste nel capire le intenzioni delle avversarie e in quale misura esse possano prevenire le nostre intenzioni eseguendo anticipatamente quello che vorremmo esibire noi, con il che si finisce per apparire delle imitatrici. Alla fine della prima sequenza ero quinta con 37 punti contro i 45 della Richards, che aveva eseguito il suo triplo con precisione accademica. Nella seconda l’americana ebbe 40 voti, che la portarono a 85, mentre io ne ebbi 38, con il che totalizzavo 76 punti, mentre la Melrose era a 80 e la Olovskaja a 78. Per ora si giocava tutte di triplo, chè apportare variazioni in fasi precoci era troppo pericoloso. Devo dire fin d’ora che gli elogi che ricevevamo per la nostra bravura erano meritatissimi. Sembravamo straordinarie macchine di precisione che attraversata l’aria e la superficie dell’acqua nello spazio di un respiro, riacquistavano piene sembianze umane. Alla fine della manche successiva passai dal quarto al terzo posto, con la Richards a 130 punti la Melrose a 126, io a 121 e la Olovskaja a 119. La competizione era magnifica e noi rilucevamo di perfezione artistica e sportiva unita alla bellezza delicata e al tempo stesso scultorea delle nostre figure. Perdoni questo narcisismo fuori misura, caro Campalto, ma se un Bronzo di Riace esistesse in carne e ossa, cosa dovrebbe dire di se’: “Sono così così”? E se il famoso discobolo di Atene potesse finalmente animarsi e lanciare nel cielo il suo disco dovrebbe forse ammettere che non sa giudicarsi da solo e stabilire se il suo lancio sia stato prodigioso o solo accettabile o, peggio, mediocre? In quella competizione c’era qualcosa di mirabilmente greco e il suo svolgimento fu colorito dalle nostre emozioni, dai desideri, dalle paure e dalle speranze che avevamo tutte e otto ma che, grazie all’assoluto self control a cui eravamo allenate fin dagli inizi delle nostre carriere non potevano trasparire in alcun modo. Non una parola, non un gesto , non un mancato sorriso al rientro sul bordo della piscina potevano tradire i sentimenti. La quarta manche fu straordinaria per le prime quattro della graduatoria, ed eccellente per le altre colleghe. La vi ttoria finale non era ancora decisa: Richards 178 punti, Melrose 176, Rangoni 171, Olovskaja 170, Höllstrom 169, a ex aequo con la Aater e la Vindinsksj, Torrer 168. Nella quinta e ultima manche dovevo assolutamente inventare qualcosa di magico… Questo!» Improvvisamente la Rangoni si voltò verso la porta metallica d’accesso alla torre e tentò d’aprirla, ma risultò chiusa a chiave: «Ma guarda! – fece – Un altro dispetto del Carrocci!» Questi, avvicinandosi dal bordo della piscina, disse: «Me dispiace pe’lla RAI, magari er pubblico dirà che so’ ‘n tiranno, ‘n mostro, ma er collo a lei nun ce lo vojo fa’ rompe’. Ha capito, signora mia?» «Sempre lei, Carrocci! Una vendetta coltivata tutta una vita verso di me che ho rifiutato la sua corte!» «Ma che sta ‘a di’, st’impunita! – ribattè il Carrocci – Ora chiamo l’avvocato e je faccio querela!» «Non mi fermerà, Carrocci!» fece la Rangoni e spiccò un balzo che le permise di afferrare con le mani il bordo inferiore della finestra aperta che si trovava sopra la porta e quindi, con una serie di movimenti rapidissimi che dimostravano una preparazione atletica assolutamente insospettabile in una figura pur agile come la sua, riuscì a guadagnare interamente l’apertura e a saltare dentro l’androne delle scale, che salì a passo di corsa verso l’uscita più alta. Una volta che fu apparsa nella porticina del trampolino compì alcuni passi su di esso e disse: «Signori, io mi alleno tutto l’anno per il tuffo di Ferragosto. Credete che le bravate del commendator Carrocci mi possano fermare?» «A signo’! – fece quello paonazzo in viso – Ma ce vole proprio lascià la pelle, quest’oggi? Nun lo vedete che je manca ‘n metro d’acqua pe’ ragghiugne’ er livello normale?» «Basterà» – fece la Rangoni «Ma nun ci ha fondo – fece il Carrocci – Nun ci ha…» Stava per ripetere il concetto, sennonché a causa della sua agitazione precipitò in acqua ed ebbe appena il tempo di dire: «Ma io nun so’ nota’! Quarcuno me venga a sarva’ prima ch’affogo!» e scomparve sott’acqua. I bagnini si avvicinarono al bordo per lanciarsi, ma la Rangoni fece: «Fermatevi, ci penso io! Non privatemi della soddisfazione di salvarlo col tuffo che lui ha odiato per trent’anni!». E si lanciò, chinandosi a ginocchi in fuori, sollevando i talloni e dandosi il massimo della spinta all’insù con gli avanpiedi. Così si sollevò mezzo metro circa più in alto del trampolino e si distanziò d’altrettanto verso l’interno della piscina. Cessato il brevissimo impulso iniziale che la fermò per una frazione di secondo in posizione frontale, modificò intenzionalmente l’equilibrio globale del peso corporeo chinando con un movimento istantaneo il capo in avanti, dimodochè prese a scendere a velocità incalcolabile ruotando su se stessa tre volte. Se non fosse mancato quel metro di acqua di cui aveva parlato il Carrocci l’impatto con la superficie sarebbe avvenuto a testa in giù, secondo il classico schema del salto mortale triplo. Tuttavia il livello più basso lasciava spazio a una semirotazione, che però avrebbe nuociuto alla coerenza estetica dell’acrobazia, riducendola a un’abile esibizione da saltimbanco d’acqua: perché l’impatto sarebbe avvenuto di schiena. Ma ecco che a quel punto eseguì la variante Rangoni, che consiste nella rapidissima apertura di braccia e gambe fino alla successiva prodigiosa modifica dell’assetto generale del corpo, che da parallelo all’acqua s’inclina di 45° dopodiché a braccia e gambe nuovamente chiuse ne attraversa la superficie. La sua figura azzurro intenso si sfocò per qualche istante alla vista degli spettatori, non tanto però da non consentire agli sguardi esterefatti di vederla avvicinare alla sagoma nera di Carrocci, prenderlo per la mano come un manichino che l’acqua rendeva leggero, portarlo subito in superficie e accostarlo al bordo, dove i bagnini lo tirarono su e ini ziarono le manovre di rianimazione che si conclusero dopo pochi istanti con un gran colpo di tosse, mentre una valanga di applausi si abbattè sulla tuffatrice olimpionica, che concluse il racconto della gara di tanti anni fa dopo essere salita sul bordo della piscina: «È stato con questa mia invenzione del momento che ho vinto l’oro a Monaco di Baviera. Solo che lì quel metro d’acqua c’era, e così i tempi di esecuzione sono stati più brevi di quelli di adesso di circa un decimo di secondo, che naturalmente va diviso per ognuna delle figure di cui consta questa composizione aerea. Sono calcoli che il nostro cervello può fare con successo solo se debitamente sollecitato da una forte motivazione e se si trova sotto i suoi comandi un corpo ben allenato, qual era il mio allora e forse anche adesso. Quella volta ottenni il punteggio massimo da una giuria sinceramente sbalordita. Così arrivai a 221 punti. La Richards, che era comunque una grandissima tuffatrice ottenne 42 punti e si classificò seconda a solo un punto da me, la Melrose con 40 si fermò a 216, la Olovskaja con 35 arrivò a 205, la Höllstrom e le Aater conclusero a ex aequo con 200, la Vindinsksj a 198 e la Torrer a 196. Scarti minimi per quella che il presidente della giuria definì, nel consegnarci le medaglie, la più bella gara di tuffi femminili di cui ci fosse stata notizia fino ad allora. Ecco la storia del mio tuffetto di Ferragosto, che il commendator Carrocci non vuole più farmi fare» «Ma no, signora, che sta a dì! – disse commosso il Carrocci, che era inzuppato di sana pianta - Li tuffi li potrà fa’ tutto l’anno, ché sto pensando che so’ stato un fesso a non sfruttà l’impianto per l’allenamenti dell’atleti anche d’inverno, magari facendo ‘na bella convenzione col CONI o con la Regione Lazio. Così, co’ du sordi de finanziamenti lo faccio fa tipo serra con vetrate smontabili d’estate. D’inverno me potrebbe frutta’ quattrini come piscina sportiva mentre e d’estate la lascio per il Lido, però a certi orari ce potrei pure portà gli atleti gratis, così mi fammo spettacolo e mi aumentano l’ingressi p’annà a vede i campioni che s’allenano, facendo bijetti e basso costo e sconti per comitive. E dire che avevo ‘na mezza idea de falla colmà per tre quarti e ricavarne cinquanta cabine e la torre trasformarla in una dependence co’ posti letto a castello. Che je devo di’? La ringrazio de core, che cor su’ salto mortale non solo ha sarvato la mia indegna persona, ma pure il Lido e le Olimpiadi stesse. Signorina, me vole sposà?» «Cavaliere Carrocci – fece dopo quello sproloquio Iolanda Rangoni – lo conosce il Paese dei Campanelli?» «No – fece Carrocci sbalordito dalla domanda – Andò se trova?» «Lo cerchi nell’Atlante – rispose la Rangoni – E quando l’avrà trovato ci vada in aereo con i suoi bei soldini, cerchi il campanello con il mio nome e lo suoni. Vediamo che risposta le do’!»