simulazione della prima prova scritta – 20 aprile 2011

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simulazione della prima prova scritta – 20 aprile 2011
SIMULAZIONE DEGLI ESAMI DI STATO CONCLUSIVI DEI CORSI DI STUDIO DI ISTRUZIONE
SECONDARIA SUPERIORE
Liceo Scientifico “E. Fermi”
Esami di Stato 2010-2011
SIMULAZIONE DELLA PRIMA PROVA SCRITTA – 20 APRILE 2011
TESTO della PROVA D’ ITALIANO
Svolgi la prova, scegliendo una delle quattro tipologie qui proposte. Durata massima della prova: 6 ore. E’ consentito
soltanto l’uso del dizionario italiano.
TIPOLOGIA A - ANALISI DEL TESTO
Dino Campana, Buenos Ayres.
Dino Carlo Giuseppe Campana nacque a Marradi, un piccolo paese dell'Appennino tosco-romagnolo, nel 1885.
A circa quindici anni di età, gli vennero diagnosticati i primi disturbi nervosi .Campana espresse il suo "male oscuro"
con un irrefrenabile bisogno di fuggire e dedicarsi ad una vita errabonda. La prima reazione della famiglia e del paese, e
poi dell'autorità pubblica, fu quella di considerare le stranezze di Campana come segni lampanti della sua pazzia. Ad
ogni sua "fuga", che si realizzava con viaggi in paesi stranieri, dove si dedicava ai mestieri più disparati per sostentarsi,
seguiva, da parte della polizia (in conformità con il sistema psichiatrico di quei tempi e per le incertezze dei familiari), il
ricovero in manicomio. Risale intorno agli anni 1907-1909 un viaggio in Argentina, presso una famiglia di lontani
parenti emigrati, caldeggiato dagli stessi genitori per liberarlo dal tanto odiato paese natìo. Egli stesso racconta: «Verso
i vent’anni non potevo più vivere, andavo sempre in giro per il mondo. Andai in America... a Buenos Ayres ho lavorato
tre anni; stavo benissimo…» (C. Pariani, Vita non romanzata di Dino Campana, Guanda 1978, p. 42). Nel testo
proposto il poeta si riferisce proprio a questa esperienza di emigrante on the road .
Il bastimento avanza lentamente
Nel grigio del mattino tra la nebbia
Sull’acqua gialla d’un mare fluviale
Appare la città grigia e velata.
5 Si entra in un porto strano. Gli emigranti
Impazzano e inferocian accalcandosi
Nell’aspra ebbrezza d’imminente lotta.
Da un gruppo d’italiani ch’è vestito
In un modo ridicolo alla moda
10 Bonearense si gettano arance
Ai paesani stralunati e urlanti.
Un ragazzo dal porto leggerissimo
Prole di libertà, pronto allo slancio
Li guarda colle mani nella fascia
15 Variopinta ed accenna ad un saluto.
Ma ringhiano feroci gli italiani.
(D. Campana, Opere e contributi, a cura di E. Falqui, Firenze, Vallecchi, 1972)
Comprensione
1 Illustra la situazione e la realtà sociale qui rappresentata e la sensazione dominante riguardo a tale
rappresentazione. Dove ci troviamo, cosa sta succedendo? Cosa rappresenta la scena? Quale ti sembra il tema
principale?
2 Prova a spiegare il significato delle parole e/o espressioni che trovi sottolineate nel testo.
3 Perché, secondo te, il modo di vestire degli italiani è definito ridicolo?
Analisi e interpretazione
Analizza lo stile della lirica, soffermandoti su :
a) andamento sintattico in rapporto a quello metrico-ritmico
b) caratteristiche del lessico, individuando in particolare le opposizioni relative alle due diverse rappresentazioni
degli italiani
c) rappresentazione cromatica del paesaggio
d) scelte semantiche e fonosimboliche relative alla vista e all’udito
Approfondimento
La lirica è incentrata sul tema dell’emigrazione degli italiani verso l’Argentina agli inizi del secolo scorso. Partendo da
questa rappresentazione, sviluppa l’argomento mediante opportuni collegamenti con altri testi letterari o non letterari,
oppure facendo riferimento a tue personali esperienze e conoscenze.
TIPOLOGIA B - REDAZIONE DI UN “SAGGIO BREVE” O DI UN “ARTICOLO DI GIORNALE”
(puoi scegliere uno degli argomenti relativi ai quattro ambiti proposti)
CONSEGNE
Sviluppa l’argomento scelto o in forma di «saggio breve» o di «articolo di giornale», utilizzando, in tutto o
in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti.
Se scegli la forma del «saggio breve» argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue
conoscenze ed esperienze di studio.
Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi.
Se scegli la forma dell’«articolo di giornale», indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi
che l’articolo debba essere pubblicato.
Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo.
B 1) AMBITO ARTISTICO-LETTERARIO
ARGOMENTO: AMORE E MORTE
Documenti
1) XLIII. Appresso questo sonetto, apparve a me una mirabile visione, ne la quale io vidi cose che mi fecero proporre
di non dire più di questa benedetta, infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei. E di venire a ciò io
studio quanto posso, sì com'ella sae veracemente. Sì che, se piacere sarà di colui a cui tutte le cose vivono, che la mia
vita duri per alquanti anni, io spero di dicer di lei quello che mai non fue detto d'alcuna. E poi piaccia a colui che è sire
de la cortesia, che la mia anima se ne possa gire a vedere la gloria de la sua donna: cioè di quella benedetta Beatrice, la
quale gloriosamente mira ne la faccia di colui qui est per omnia secula benedictus.
Dante, Vita nuova, XLIII.
2) Vivamus mea Lesbia, atque amemus,
rumoresque senum seueriorum
omnes unius aestimemus assis!
soles occidere et redire possunt:
nobis cum semel occidit breuis lux,
nox est perpetua una dormienda.
da mi basia mille, deinde centum,
dein mille altera, dein secunda centum,
deinde usque altera mille, deinde centum.
dein, cum milia multa fecerimus,
conturbabimus illa, ne sciamus,
aut ne quis malus inuidere possit,
cum tantum sciat esse basiorum.
Catullo, Liber, 5
3)
[…]Per còr le gioie tue, dolce pensiero, 88
Provar gli umani affanni,
E sostener molt'anni
90
Questa vita mortal, fu non indegno;
Ed ancor tornerei,
Così qual son de' nostri mali esperto,
Verso un tal segno a incominciare il corso:
Che tra le sabbie e tra il vipereo morso, 95
Giammai finor sì stanco
Per lo mortal deserto
Non venni a te, che queste nostre pene
Vincer non mi paresse un tanto bene.
Che mondo mai, che nova
100
Immensità, che paradiso è quello
Là dove spesso il tuo stupendo incanto
Parmi innalzar! dov'io,
Sott'altra luce che l'usata errando,
Il mio terreno stato
105
E tutto quanto il ver pongo in obblio!
Tali son, credo, i sogni
Degl'immortali. Ahi finalmente un sogno
In molta parte onde s'abbella il vero
Sei tu, dolce pensiero;
110
Sogno e palese error. Ma di natura,
Infra i leggiadri errori,
Divina sei; perché sì viva e forte,
Che incontro al ver tenacemente dura,
E spesso al ver s'adegua,
115
Nè si dilegua pria, che in grembo a morte.
E tu per certo, o mio pensier, tu solo
Vitale ai giorni miei,
Cagion diletta d'infiniti affanni,
Meco sarai per morte a un tempo spento:
120
Ch'a vivi segni dentro l'alma io sento
Che in perpetuo signor dato mi sei.
Altri gentili inganni
Soleami il vero aspetto
Più sempre infievolir. Quanto più torno 125
A riveder colei
Della qual teco ragionando io vivo,
Cresce quel gran diletto,
Cresce quel gran delirio, ond'io respiro.
Angelica beltade!
130
Parmi ogni più bel volto, ovunque io miro,
Quasi una finta imago
Il tuo volto imitar. Tu sola fonte
D'ogni altra leggiadria,
Sola vera beltà parmi che sia.
135
Da che ti vidi pria,
Di qual mia seria cura ultimo obbietto
Non fosti tu? quanto del giorno è scorso,
Ch'io di te non pensassi? ai sogni miei
La tua sovrana imago
Quante volte mancò? Bella qual sogno,
Angelica sembianza,
Nella terrena stanza,
Nell'alte vie dell'universo intero,
Che chiedo io mai, che spero
Altro che gli occhi tuoi veder più vago?
Altro più dolce aver che il tuo pensiero?
140
145
Giacomo Leopardi, da Pensiero dominante, Canti
[…] Può riuscirci possibile non aggrapparci alla proprietà e quindi alla paura di perderla; ma che dire della paura di
perdere la vita stessa, la paura di morire? E’ forse questa una paura propria soltanto dei vecchi e dei malati? Oppure tutti
temono la morte? E ancora: non è forse vero che il fatto di essere destinati a morire investe tutta la nostra esistenza, e
che la paura di morire semplicemente si fa più intensa e più conscia quanto più, per età o malattia, ci avviciniamo ai
limiti della vita?
Abbiamo bisogno di approfonditi studi sistematici condotti da psicoanalisti […]; il più significativo di essi è forse il
desiderio profondamente radicato di immortalità, che si manifesta nei molti rituali e nelle molte credenze aventi come
scopo la conservazione del corpo umano. D’altro canto, la moderna negazione, specificatamente americana, della morte
mediante l’”abbellimento” della salma, comprova allo stesso modo che è in atto la repressione della paura di morire col
ricorso a un semplice camuffamento del decesso.
Unica è la via- insegnata dal Buddha, dal Cristo,dagli stoici, da Maestro Eckhart- per il superamento effettivo della
paura della morte, ed essa consiste nel non aggrapparsi alla vita, nel non sperimentarla come possesso. La paura della
morte non è effettivamente ciò che sembra, cioè il timore che la vita si arresti. La morte non ci concerne, per dirla con
Epicuro, dal momento che, noi non siamo più ( Diogene Laerzio). Certo può esserci paura per la sofferenza e il dolore
che possono precedere il decesso. Ma è una paura diversa da quella della morte. Sicché, se la paura della morte può
sembrare irrazionale, così non lo è se la vita è sperimentata come possesso, perché in tal caso non si ha paura della
morte, bensì di perdere ciò che si ha: avverto la paura di perdere il mio corpo, il mio io, i miei possessi, la mia identità;
la paura di affrontare l’abisso della non identità, dell’”essere perduto”.
Nella misura in cui si viva secondo la modalità dell’avere, non si può non temere la morte, e nessuna spiegazione
irrazionale basterà a toglierla di mezzo. Essa però può essere diminuita, anche nell’ora stessa del decesso, dalla
riaffermazione del nostro legame con la vita, dalla risposta all’amore altrui capace di suscitare il nostro stesso amore. La
perdita della paura di morire non dovrebbe però essere intesa come preparazione alla morte, bensì assumere la
fisionomia di un continuo sforzo volto a ridurre la modalità dell’avere e ad aumentare la modalità dell’essere. Per dirla
con Spinosa, il saggio pensa alla vita non alla morte. L’insegnamento sul come morire è in effetti lo stesso sul come
vivere; quanto più ci sbarazziamo della brama del possesso in tutte le sue forme, soprattutto quella dell’attaccamento
all’io, tanto minore sarà la paura di morire, dal momento che non ci sarà nulla da perdere.
da Enrich Fromm, Avere o essere, trad. Saba Sardi Ed. Mondatori Mi 1979 pgg. 167-168
Sandro Botticelli, Venere e Marte , tempera su tavola (69x173 cm) 1482-1483, National Gallery di Londra.
Egon Schiele: Gli amanti (o Abbraccio) 1917 Vienna Osterreischische Galerie
Edvard Munch, La danza della vita, 1899/1900, Oslo Nasjonalgalleriet
B 2) AMBITO SOCIO-ECONOMICO
ARGOMENTO: NUOVI PANORAMI, CAMBIAMENTI SOCIOCULTURALI, ORIENTAMENTI E FUTURE
PROSPETTIVE NEL MONDO DEL LAVORO
Documenti
1.Come adeguarsi alle nuove esigenze del mercato del lavoro oggi, sin da giovani, siamo ormai chiamati a diventare
responsabili e autonomi nel gestire i nostri progetti professionali, capaci di programmarci e qualificarci, facendoci
carico di tutto ciò che questo comporta. La cosa più importante evidentemente è impossessarsi di quelle competenze di
base utilizzabili in tutti i tipi di lavoro. Questa competenze in fondo sono sempre le solite: saper leggere, scrivere e “far
di conto” a tutti i livelli. Oggi fa parte di questo bagaglio di base anche l’uso del computer (posta elettronica, internet,
…). Ma occorre insistere anche di più sull’idea della formazione permanente. Ci sono dei giovani che – saggiamente –
fanno corsi su corsi e accumulano diplomi in attesa di entrare nel mondo del lavoro. Ma non è tutto. Bisogna
convincersi che nella vita si devono sempre prevedere periodi di interruzione nella vita professionale per qualificarsi
meglio e aggiornarsi. L’alternanza di periodi di lavoro a momenti di formazioni dovrà diventare normale.
da Dimensioni nuove, marzo 2004
2.Le nuove forme di flessibilità del lavoro possono contribuire a limitare i danni della globalizzazione?
La flessibilità è indubbiamente uno strumento per reggere l’impatto della globalizzazione. Ma è uno strumento
sbagliato: anziché contribuire alla scelta dei non sviluppati si sceglie la strada di accelerare il declino delle condizioni di
lavoro del “nord” del mondo. Ciò provoca gravi costi umani e, oltretutto, complica assai la gestione dell’impresa.
Pensa alla legge Biagi?
Ebbene sì, queste nuove norme intorbidano l’intero mercato del lavoro. Part time, lavoro internale individuale e
co.co.co,. che esistevano già, erano strumenti utili sia per i dipendenti sia per le imprese. Ora l’Istat stima che, dopo la
legge 30, vi siano ben 48 tipi diversi di contratto. Questo rende difficilmente governabile le organizzazioni aziendali. Si
tenga conto, fra l’altro, che l’esternalizzazione di interi reparti, in un’industria chimica, ad esempio, fa sì che fianco a
fianco lavorino persone appartenenti a categorie diverse (chimici, informatici, trasporti, commercio, …).
Quindi i profili contrattuali individuali potrebbero essere addirittura più numerosi dei 48 individuati dall’Istat.
Intervista al sociologo Luciano Gallino, L’Espresso, 2 settembre 2004
3.Da quando il ciclo di studi universitario si è trasformato in un tre più due, ovvero un triennio formativo ed un biennio
di laurea specialistica, s’è trasformata anche la modalità di ingresso nel mondo del lavoro. (…). Un aspetto interessante
relativo alle strategie dei laureati triennali è quello della specializzazione; la scelta è tra la prosecuzione naturale nella
stessa facoltà in cui ci si è già laureati, oppure indirizzarsi altrove. Tale scelta è influenzata da diversi fattori, ma, in
primo luogo, dalle differenze in termini di offerta formativa delle singole difficoltà. La maggior parte dei laureati
triennali che si iscrivono al biennio specialistico lo fa proseguendo nella stessa facoltà. Dagli atenei piemontesi emerge
un singolare dato che si muove in controtendenza; se facciamo riferimento ai laureati triennali, che decidono di
terminare in quel tipo di percorso il loro ciclo di studi, la quantità di laureati che si iscrivono agli ordini professionali è
nettamente inferiore al numero potenziale: la maggior parte di questi intendono avviarsi subito alla libera professione.
L’inserimento professionale dei laureati è di solito monitorato dal consorzio Alma Laurea e i dati da essa raccolti a
livello nazionale evidenziano come la maggioranza dei laureati triennali risulti in possesso di un’occupazione; il 50% ha
iniziato tale attività dopo il proseguimento della laurea e il 34% prosegue nell’attività che svolgeva prima del
conseguimento di questa. Tra coloro che hanno scelto di proseguire iscrivendosi ad un corso di laurea specialistica, la
maggior parte, oltre il 70%, ha compiuto tale scelta per arricchimento culturale e personale e specifica passione, mentre
il 24% ha ritenuto indispensabile proseguire per entrare nel mondo del lavoro.
da Il Sole 24 ore, 11 luglio 2007
4.Le donne sono penalizzate tre volte. Nel loro accesso al mercato del lavoro, come registra un tasso di occupazione
femminile che ci colloca all’ultimo posto in Europa. Negli stipendi che sono mediamente più bassi – e spesso molto più
bassi – di quelli dei loro colleghi maschi, nelle carriere e nell’accumulo della contribuzione che le espone a un
trattamento previdenziale penalizzato. Se a questo sommiamo il peso di una lavoro di cura – senza orari, malattie e
festività – che pesa quasi sempre sulle loro spalle il quadro appare completo. (…). Allora è il momento forse di fare
anche in italia ciò che sinora non si è avuto il coraggio di fare (…). Il punto è convocare un “tavolo” dedicato a un piano
d’azione straordinario per la partecipazione al lavoro, per i redditi, le carriere e il riconoscimento dei meriti. E dunque
un programma che predisponga misure d’urto anche con l’uso di incentivi e di na fiscalità di vantaggio in grado di
favorire occupazione delle donne, imprenditoria femminile e politche di formazione, inclusione conciliazione. Con
l’adozione, in ciascuno di questi ambiti, di veri e propri piani-obiettivo e parametri verificabili negli anni.
da Il Sole 24 ore, 11 luglio 2007
5. Ci vuole un nuovo tipo di lavoratore. Il lavoratore globale. “L’era delle multinazionali è finita. Oggi assistiamo alla
nascita delle grandi imprese globali. Le quali hanno bisogno di una forza lavoro con una mentalità globale. E che sia
capace di lavorare ovunque”. Harvey Chen, presidente della First Light Accademy di Shangai, società di consulenza
internazionale che tiene un piede in Cina e uno in America, è a Helsinki per l’edizione 2007 della European Business
Conference. E il suo parere è che l’economia globale debba superare un nuovo ostacolo. La formazione del lavoratore
globalizzato. “In origine le imprese producevano localmente per il mercato domestico. Poi hanno cominciato a
esportare, internazionalizzarsi. Poi sono diventate cittadine del mondo, producendo in luoghi diversi per tanti mercati
diversi. Oggi, come ha per altro scritto su Foreign Affairs il numero uno di IBM, Sam Palmisano, sta spuntando l’ultimo
trend: l’impresa compiutamente globale”, commenta Chen. Peccato che, a sua detta, i legislatori del mondo non
l’abbiano capito. “Stiamo assistendo a leggi e prese di posizione che richiamano più all’economia del XVII secolo che
non a quello del XXI. Mi riferisco a manovre protezionistiche, neppure troppo nascoste, che si vedono in numerose
nazioni”. (…). In compenso anche le multinazionali non sono ancora strutturate per diventare veramente globali. “Il
problema è che c’è bisogno di manager, e non solo, che abbiano una mentalità veramente globale, capace di penetrare
culture diverse e in grado di lavorare ovunque. Ecco perché ritengo che ci sia bisogno di fondare delle università capaci
di fare questo genere di formazione. Sono quelle che io chiamo le università globali.
da Il Sole 24 ore, 11 luglio 2007
B 3) AMBITO STORICO-POLITICO
ARGOMENTO: ATTUALITÀ O INATTUALITÀ DELL’ANTIFASCISMO
Documenti
1) Fascismo e antifascismo si allontanano nel tempo. Le nuove generazioni sono sempre meno coinvolte da quello
scontro di valori. Ma il futuro nasce dalla storia e non dalla cancellazione del passato. Un paese maturo può, forse
deve, fare i conti con una memoria divisa.
Sergio Luzzatto
2) “… Si ripete ossessivamente: siamo democratici perché siamo antifascisti. Ma non è vero. Alcune voci si sono
levate per dire che si può essere antifascisti e non democratici. E questo è un discorso che vale anche per i comunisti
italiani. (...) Affermare che la democrazia è uguale all’antifascismo significa dare una definizione solo negativa della
democrazia. E ridotta al solo antifascismo, la democrazia rischia di suicidarsi, perché non riesce a riconoscere e a
individuare i nemici che hanno un’altra faccia. Se dovessimo temere un ritorno della camicie nere, potremmo dormire
sonni tranquilli. Ma le cose, sappiamo, non stanno così”.
Renzo De felice, [storico contemporaneo, autore di una monumentale biografia su Mussolini, cui viene attribuita la
paternità dell’interpretazione revisionista del fascismo italiano]
3) Resistenza, così è morta la patria. (...) l’8 settembre si consumò in Italia la “morte della patria”. (...) la quasi
totalità delle forze protagoniste della Resistenza si trovavano schierate ideologicamente e politicamente contro lo Stato
nazionale italiano effettivamente esistente, e dunque in tanto potevano credersi e dirsi patriottiche in quanto però fosse
chiaro che si trattava di una patria diversa e contrapposta alla patria monarchica, con il cui itinerario storico e con il
cui profilo ideologico ben poco poteva esserci in comune. (...)
E’ facile capire come, schiacciati entro questi limiti così contraddittori, il patriottismo e l’ispirazione nazionale della
Resistenza non avessero modo di esprimersi con alcun empito travolgente, non riuscissero a divenire in alcuna
occasione pathos collettivo di popolo; e come, d’altra parte, dal punto di vista ideologico l’uno e l’altra fossero
guardati sempre con sospetto nelle file dell’antifascismo militante in armi: ben a ragione, infatti, questo era convinto
che un’effettiva, prevalente centralità del carattere nazionale avrebbe impedito – o reso assai più difficile – quella
rottura della continuità statale che gli stava sommamente a cuore. (...) una duplice opposta impossibilità scatta con
l’armistizio e caratterizza tutto il periodo successivo: l’impossibilità da parte dello Stato nazionale italiano
rappresentato dalla monarchia, a motivo della sua compromissione con il passato, di essere sufficientemente e
credibilmente antifascista, e la reciproca impossibilità, da parte della Resistenza antifascista, di essere sufficientemente
e credibilmente nazionale e patriottica, a motivo della sua ipoteca sul futuro dello Stato.
Intervista di G. Ferrara, “Corriere della Sera” 8/1/1988
4) (...)E’ accaduto così che per cinquant’anni l’Italia sia stata una democrazia senza nazione, senza “patria” appunto.
Un Paese in cui la patria era morta. (...) un Paese in cui metà dei cittadini ha temuto per anni di essere arrestata,
deportata e magari fatta fuori dall’altra metà? (...) dove l’esercito e le forze di polizia sono stati considerati per decenni
da molti, da moltissimi, non simbolo di unità bensì di divisione e di pericolo per la democrazia (...).
E. Galli della Loggia, “Corriere della Sera”, 9/31996 e 4/3/2001
5) Sui Ragazzi di Salò. “A differenza di altri importanti paesi europei, non abbiamo ancora valori nazionali
comunemente condivisi. Le due grandi vicende della storia nazionale, il Risorgimento e la Resistenza, hanno coinvolto
solo una parte del paese e solo una parte delle forze politiche. (...) Mi chiedo se l’Italia di oggi – e quindi noi tutti –
non debba cominciare a riflettere sui vinti di ieri; non perché avessero ragione o perché bisogna sposare, per
convenienze non ben decifrabili, una sorta di inaccettabile parificazione tra le parti, bensì perché occorre sforzarsi di
capire, senza revisionismi falsificanti, i motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era
perduto, si schierarono dalla parte di Salò e non dalla parte dei diritti e delle libertà. Questo sforzo, a distanza di mezzo
secolo, aiuterebbe a cogliere la complessità del nostro paese, a costruire la liberazione come valore di tutti gli italiani,
a determinare i confini di un sistema politico nel quale ci si riconosce per il semplice e fondamentale fatto di vivere in
questo paese, di battersi per il suo futuro, di amarlo, di volerlo più prospero e sereno”
Discorso d’insediamento di Luciano Violante alla Presidenza della Camera, 9/5/1996
6) 8 settembre e riscoperta della patria. “Le strade e le piazze delle città, teatro un tempo della nostra noia di
adolescenti e oggetto del nostro altezzoso disprezzo, diventarono [dopol'8 settembre] i luoghi che era necessario
difendere. Le parole “patria” e “Italia”, che ci avevano tanto nauseato tra le pareti della scuola perché sempre
accompagnate dall’aggettivo “fascista”, perché gonfie di vuoto, ci apparvero d’un tratto senza aggettivi e così
trasformate che ci sembrò di averle udite e pensate per la prima volta. D’un tratto alle nostre orecchie risultarono vere.
Eravamo là per difendere la patria e la patria erano quelle strade e quelle piazze, i nostri cari e la nostra infanzia, e
tutta la gente che passava. Una verità così semplice e così ovvia ci parve strana perché eravamo cresciuti con la
convinzione che noi non avevamo patria, e eravamo venuti a nascere, per nostra disgrazia, in un punto gonfio di vuoto.
E ancor più strano ci sembrava il fatto che, per amore di tutti quegli sconosciuti che passavano, e per amore di un
futuro ignoto ma di cui scorgevamo in distanza, fra privazioni e devastazioni, la solidità e lo splendore, ognuno era
pronto a perdere se stesso e la propria vita”
N. Ginzburg, Prefazione a La letteratura partigiana in Italia, cit. in C. Pavone, Una guerra civile, p. 172
7) Il trauma che creò l’Italia [L’8 settembre] trauma vi fu senz’altro, e senza precedenti. Ma costituì anche
un’occasione di libertà e di rinascita. Uno degli obiettivi della Resistenza, sviluppatasi a partire da quella data, fu
proprio quello di ricostruire un’identità nazionale. Dire che quella frattura non è stata assorbita e che fu solo
catastrofica, è storicamente inesatto. La vera tragedia per l’Italia era nata dall’essere trascinata in una guerra che quasi
nessuno sentiva. Persa la guerra, gli italiani avrebbero potuto affidarsi soltanto alle armi alleate, rimanere passivi. Con
le conseguenze politiche e morali facilmente immaginabili.
... [La Resistenza] fu una sorta di resa di conti fra italiani, in cui la maggioranza della popolazione, come sempre
accade nelle guerre civili, partecipò più passivamente che attivamente. Se però nessuno avesse reagito contro i
tedeschi e contro la RSI, l’identità nazionale sarebbe stata ben più colpita e i prezzi da pagare ben più alti. Il trauma è
stato anche un momento positivo, perché ha prodotto verità, crescita civile, e le diverse identità politiche, ricchezza di
un paese democratico, si sono manifestate per quel che erano.
dall’intervista di B. Gravagnuolo a C. Pavone, 25 luglio 1993
8) Resistenza e rinascita della Patria. Che cosa fu l’8 settembre 1943, per noi, per la generazione che l’ha vissuto?
L’ 8 settembre è stato la prova più dura della nostra vita. L’8 settembre non è stato, come qualcuno ha scritto, la morte
della Patria. Certo, l’8 settembre ci fu la dissoluzione dello Stato. (...) Ma fu in quelle drammatiche giornate che la
Patria si è riaffermata nella coscienza di ciascuno di noi. Ciascuno di noi si interrogò, nel suo intimo, sul senso del
proprio far parte di una collettività nazionale, su come tener fede al giuramento fatto alla Patria. Nelle scelte dei
singoli italiani, in quei giorni, la Patria rinacque; rinacque nella nostra coscienza. E la rinascita, l’anelito di libertà e
giustizia, il sentimento di dignità nazionali si sono poi consolidati e hanno assunto espressione nella Costituzione
repubblicana” Discorso di C. A. Ciampi a Piombino, 8/10/2000
B 4) AMBITO TECNICO-SCIENTIFICO
ARGOMENTO: LE NUOVE TECNOLOGIE E IL DIRITTO DI PRIVACY
Documenti
1. Può forse essere utile conoscere (..) quali siano o meno i punti essenziali del progetto. Tutta la sua essenza consiste
nella posizione centrale dell’ispettore, unita a questi dispositivi conosciuti ed efficaci che permettono di vedere senza
essere visti. (…). Il punto più importante in questo progetto è che gli individui, sotto sorveglianza, si sentano
costantemente sorvegliati o almeno come sul punto di esserlo.
J. Bentham, Panopticon, 1791
2. Il nostro panico da privacy non è solo esagerato. E’ fondato su una convinzione errata. Ellen Alderman e Caroline
Kennedy ne Il diritto alla privacy riassume così il comune buon senso dei sostenitori della privacy: “oggi c’è meno
privacy di una volta”. (…) Se la consideriamo da qualsiasi punto di vista storico, tuttavia, questa affermazione ci appare
bizzarra. Nel 1890, l’americano medio viveva in una città di piccole dimensioni, ed era sottoposto ad una sorveglianza
quasi totale. Ogni suo acquisto non solo veniva “registrato”, ma veniva registrato negli occhi e nella memoria di
negozianti che lo conoscevano, di genitori, mogli e figli. Non poteva nemmeno fare due passi verso l’ufficio postale
senza che i suoi movimenti venissero seguiti e analizzati dai vicini. Probabilmente era cresciuto dormendo in un unico
letto insieme a fratelli e sorelle e probabilmente anche ai genitori.
J. Franzen L’alcova imperiale, in Come stare soli. Lo scrittore, il lettore e la cultura di massa, Einaudi, Torino 2003
3. (…) Il guardare dei molti è stato decisivo durante e dopo il crollo delle Twin Towers, tragico scardinamento in diretta
televisiva di un simbolo del (nostro) mondo. Lo è stato certo per gli esecutori, gli organizzatori e gli ideatori
dell’attentato, che hanno cercato il massimo dell’audience e dello share. Lo stesso intervallo di tempo tra gli schianti dei
due aerei è servito a questo: a consentire che le televisioni accorressero e che, come in un reality show, ben più orrido
dell’usuale, le loro telecamere spargessero per il pianeta la messa in scena della morte.
R. Escobar, La libertà negli occhi, Il Mulino, Bologna 2006
4. Improvvisamente, vi accorgete che qualcuno – o qualcosa – vi sta osservando. State sorseggiando un drink al bar
quando notate una piccola telecamera che discretamente osserva la scena. Perché guarda voi? Costituite una minaccia
per ‘ordine pubblico? In altro contesto, presi dalla fretta, accelerate mentre il semaforo sta cambiando luce; pensate
erroneamente di potercela fare ad attraversare l’incrocio. Pochi giorni dopo, tra la posta trovate la multa perché siete
passati con il rosso. Simili eventi capitano con frequenza crescente e in genere non ci facciamo caso. La vita quotidiana
è sottoposta a monitoraggio, controllo, attento esame. E’ difficile individuare un luogo o un’attività che risultino
immuni o al sicuro rispetto ad alcuni deliberati monitoraggi, localizzazioni, ascolti indiscreti, sorveglianze, registrazioni
o dispositivi di controllo.
D. Lyon, La società sorvegliata, Feltrinelli, Milano 2002
5. L'idea tradizionale della privacy come "diritto a essere lasciati soli", poteva sicuramente avere una sua profonda
ragion d'essere in altre epoche. Qualcuno ha addirittura ipotizzato l'esistenza di una sorta di esigenza naturale delle
persone ad avere uno spazio fisico di solitudine. Gli etologi, ossia coloro che studiano il comportamento animale, hanno
osservato che se si mettono troppi topolini nella stessa gabbia, quando si supera un certo numero essi diventano
aggressivi. Alcuni animali tendono a definire idealmente un loro spazio fisico, aggredendo un altro animale della loro
specie solo nel momento in cui entra nel loro territorio. Non è così per gli uomini. La privacy è una costruzione
culturale, ed è una costruzione culturale moderna, perché nel villaggio o nella cittadina del mondo pre-moderno - così
come nel villaggio agricolo odierno - tutti sapevano tutto di tutti. Per tale motivo si instaura una tendenza ad isolarsi, a
chiudersi, in altre parole a costruirsi una sfera non visibile degli altri, la quale talvolta può degenerare in un
atteggiamento di non disponibilità verso i rapporti sociali. Al contrario, quando la privacy diventa uno strumento di
libertà, può divenire naturale che io non voglia che alcune informazioni vengano raccolte sul mio conto per non essere
discriminato. All'interno dello Statuto dei Lavoratori - un insieme di leggi molto importante promulgato nel 1970, dove
per la prima volta i concetti di cui stiamo parlando trovarono una loro realizzazione - c'è una norma che recita: "Non si
possono raccogliere informazioni, da parte dei datori del lavoro, sulle opinioni politiche, sindacali e religiose dei
lavoratori". Le opinioni politiche o sindacali sono tipicamente opinioni pubbliche, allora perché questo divieto? La
risposta ci può far capire meglio ciò di cui stiamo trattando. L'impedimento presente nello Statuto dei Lavoratori è stato
concepito affinché il datore di lavoro non possa usare determinate informazioni al fine di discriminare o non assumere
chi è iscritto a un certo partito o a un certo sindacato. In tal modo la riservatezza - la tutela della vita privata - diventa la
condizione grazie alla quale posso vivere liberamente e posso affermare pubblicamente di far parte di un determinato
partito senza aver paura di essere discriminato.
Stefano Rodotà, Garante della privacy, intervento su www.emsf.rai.it, 2008
TIPOLOGIA C - TEMA DI ARGOMENTO STORICO
“Ci sono due momenti della storia universale che ora si succedono o era si presentano nello stesso tempo negli individui
e nei popoli, in parte singolarmente distinti e in parte intersecati. Nel primo i singoli individui si sviluppano liberamente
l’uno accanto all’altro; è l’epoca del divenire, della pace, dell’aumentarsi, delle arti, delle scienze, della serenità,
dell’intelletto. Ogni cosa agisce verso l’intero e tende nei tempi migliori verso un’edificazione felice, familiare, però
questo periodo finisce per dissolversi nella faziosità e nell’anarchia. La seconda è l’epoca del trarre profitto, del fare la
guerra, del distruggere, della tecnica, del sapere, della ragione. Gli effetti vanno verso l’esterno; nel suo significato più
bello e più alto, tale periodo a certe condizioni assicura durata e godimento. E’ facile però che tale stato degeneri in
egoismo e tirannia; ma non si crede affatto che il tiranno debba essere una sola persona; c’è una tirannia di intere masse
che è assai violenta e travolgente”
Goethe
Prendendo come riferimento la frase di Goethe, analizza quali delle considerazioni espresse dal poeta tedesco trovano
conferma nella evoluzione storica del XX secolo.
(In relazione alla vastità dei riferimenti possibili per lo svolgimento dell’elaborato, puoi individuare una o due tematiche
specifiche su cui concentrarti)
TIPOLOGIA D - TEMA DI ORDINE GENERALE
Fino agli anni ’70, era un luogo comune che lo sviluppo, inteso come aumento della produzione dei beni di consumo e
loro maggiore diffusione a prezzi sempre minori, fosse un risultato auspicabile da perseguire. Da allora, le crisi
energetiche e di sovrapproduzione, divenute più ricorrenti, hanno indotto a riflettere sui limiti dello sviluppo, anche alla
luce delle problematiche riguardanti la tutela dell’ambiente. Esponi le tue conoscenze a riguardo, e le tue idee sulla
possibilità di uno “sviluppo sostenibile”.