Numero 15 - Jazzitalia

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Numero 15 - Jazzitalia
Giornale di informazione e di cultura musicale a cura della Scuola di Musica Giuseppe Bonamici
Via Matteucci, 20 - 56100 PISA - Telefono e Fax: 050.540450 - [email protected] - www.scuolabonamicipisa.it
Gli speciali di Continuum:
Compositori Livornesi del ‘900
di Andrea Pellegrini e Scilla Lenzi
Intendiamo, con questi articoli, contribuire
alla riscoperta di alcuni musicisti e compositori
livornesi che potremmo definire “minori” rispetto
ai grandi del passato (Cambini, Nardini – secondo
alcune fonti, tra l’altro, nato a Fibbiana, non
a Livorno - Mascagni, e altri), in occasione, o
meglio nel pretesto, dell’imminente celebrazione
del 4° centenario della fondazione di quella città
(1606), già prodiga di talenti eppure oggi così
pigra e sciatta (isole felici come il Mascagni a
parte, forte, vivo, e sostenuto come si deve da
istituzioni che tanto avrebbero da insegnare, in
questo, a quelle pisane). Non fraintendeteci. Non
intendiamo far finta di scoprire geni immortali
(dei quali tra l’altro il nome e il valore è già
noto) ma dimostrare la diffusione della cultura
musicale, quant’era, e di che qualità, in una città,
seconda in Toscana per grandezza, oggi in crisi
d’identità, quasi allo sfascio, preda di speculazioni
di vario genere, fatta a fette da imprenditori
che dimenticano che la cultura di un popolo è
fortemente basata sul territorio, che deve essere
rispettato, e sulla storia, e sull’arte, nella totale
letargìa del “popolo cane”. I cinema del centro
hanno chiuso: l’Odeon, il Metropolitan, la Gran
Guardia. Incredibile eh? Letteralmente scandaloso.
Multisala volgari e sudici, superipermega mercati
caciaroni e obesi, traffico bestiale, facce spente e
aggressive, niente lavoro, strade rotte e cacche
ovunque, tossicodipendenze, aids, alcolismo,
emarginazione, caos. Buon compleanno, Livorno!
E i livornesi? Più o meno inconsciamente complici
di tutto questo, e convinti che la musica a Livorno
sia un mito basato su eroi del pentagramma,
passati e sepolti, o una dote innata, coltivata in
serre incantate come i conservatori; no, non è
così, non era così, a Livorno si suonava, anche
se non si era geni, e tanto, ovunque, e le facce
erano meno grevi e i pensieri un po’ più sereni.
Non c’è più un solo locale dove si fa jazz, e la
musica leggera non si ascolta più, la si subisce.
Ballare? Dove? A Calafuria? Non scherziamo: ho
detto “ballare”.
Ci auguriamo che questi musicisti possano essere
apprezzati perché eseguiti: che si torni a suonare
la loro musica. Quando è grande, perché è grande;
quando è ben scritta, perché testimonianza e
documento di conoscenze e cultura, e perché non
solo la musica immortale deve essere eseguita.
Deve essere eseguita, e studiata, la buona musica.
Ma iniziamo:
1 - Sirio Santucci
Sirio Santucci nacque a Livorno il 7 novembre
1901, figlio di Amleto e Antinisca Morandi la quale
proveniva dalla Corsica dove si esibiva nel Circo
“Morandi” come cavallerizza. A 12 anni iniziò lo
studio della musica suonando vari strumenti,
allievo tra l’altro del M° Luigi Piattoli per lo studio
del mandolino al Circolo Mandolinistico “Giuseppe
Verdi”.
Più tardi le necessità della famiglia lo costrinsero
a impiegarsi nelle Ferrovie dello Stato in qualità
di macchinista; a appena 25 anni subì un grave
incidente sul lavoro che lo rese grande invalido
civile. Di natura forte e decisa, Santucci non si
arrese. Fu allora che si dedicò completamente alla
musica: intraprese gli studi della composizione
diplomandosi al Conservatorio di Musica “Luigi
Cherubini” di Firenze sotto la guida del celebre
M° Vito Frazzi, Direttore del Conservatorio e
autore dell’opera “Re Lear” (v. Continuum gen-feb
2004).
continua a pag 5
-
Numero 15
Settembre/Ottobre 2005
Le interviste di Continuum
Nino Pellegrini: espressione, regolarità, e lasciare spazio
di Davide Pedroni
Davide
Pedroni:
Perché
proprio
il
contrabbasso?
Nino Pellegrini: Beh,
ho iniziato su consiglio
di mio fratello. Un
giorno lui e altri mi
hanno affittato un
contrabbasso a mia
insaputa. E’ così che
ho iniziato. Poi ho
capito
veramente
cosa mi piace del
contrabbasso: il fatto
che sia uno strumento
Foto di Luca Buti
che deve coniugare gli
aspetti ritmici e armonici della musica, e il fatto
che può suonare con timbri molto diversi.
DP: Cosa ci racconti dei tuoi inizi?
NP: Ho iniziato un po’ tardino: avevo 27 anni.
All’inizio ho preso lezioni dal contrabbassista
classico Paolo Tommasi, perché a causa dell’età
non sono potuto entrare in conservatorio. Dopo
2 anni ho partecipato ai corsi di Siena Jazz.
Poi ho vinto borse di studio per diversi corsi di
specializzazione.
DP: Hai studiato con i più grandi musicisti
italiani di jazz. Chi di loro ha influenzato di più il
tuo modo di suonare?
NP: Sono stato influenzato molto da Paolino
dalla Porta. Suona in modo un po’ diverso
dal mio. E’ un grande insegnante, da lui sono
riuscito a imparare molto.
DP: Ascoltando le tue performance dal vivo e sui
CD si potrebbe dire che sei un bassista votato alla
coralità della musica, che predilige la regolarità
rispetto a certi virtuosismi appariscenti.
NP: Mi rivedo molto in questa definizione.
Suono in modo tradizionale, mi preoccupo
di offrire regolarità agli altri; mi piace molto
suonare anche in orchestra, dove il ruolo del
bassista ha magari meno visibilità ma è molto
importante per la riuscita della musica. Cerco
di esprimere la mia creatività nei soli, mentre
quando accompagno mi preoccupo il più
possibile di essere quadrato e funzionale alla
musica. Ritengo che a un buon bassista si debba
chiedere di legare la parte ritmica e armonica
della musica per creare il giusto amalgama e
lasciare spazio agli altri musicisti.
continua a pag 6
In questo numero
4Le triosonate per flauti e basso
pag.2
4Novecentomusica: Alan Berg
pag.2
4Materiali usati nella costruzione dei flauti pag.3
4Recensione: CD Genesis Project
pag.4
4Un anno di attività del Mascagni
pag.4
4Recensione: Carlo Dery, Italy
pag.7
Intelligenza e bambini iperdotati nella musica
di Massimiliano Mangini
L ’ a m p i a
realizzazione delle
incommensurabili
potenzialità
umane è rara, “…
ma i talenti…sono
infinitamente
più
numerosi di quanto
generalmente
si
pensi.
Peccato
che la maggior parte di essi resti sconosciuta
per sempre e inaridisca.”1 A partire da questa
premessa, vari studiosi hanno tentato di
sensibilizzare l’opinione pubblica e si sono
rivolti soprattutto ai docenti, attraverso la
proposta di strategie per individuare ed educare
le potenzialità d’ognuno. Il pedagogista Mauro
Laeng sottolinea che, in Italia, i casi di efficienza
particolarmente elevata e precoce non hanno
ricevuto ancora sufficiente attenzione.2 Così
anche lo studioso Silvano Sansuini osserva: “La
nostra società, soprattutto negli ultimi decenni,
ha giustamente tentato di recare un contributo
a quanti si trovano in situazioni di handicap,
di difficoltà di apprendimento o mostrino,
comunque, una diversità che li pone in una
condizione di svantaggio. Essa mostra, tuttavia,
una congenita difficoltà ad affrontare il problema
della diversità quando questa si manifesti
in positivo, tanto che perfino la scuola, nel
tentativo di tutelare i più deboli, ha vistosamente
appiattito i suoi obiettivi formativi a livello delle
possibilità di quanti possono o vogliono lavorare
soltanto a ritmi considerevolmente bassi.”3
Eppure: “Le finalità a cui mirano gli studi di
questo importante settore dell’educazione sono
oggi da ricercare nell’ambito della Carta dei
diritti dell’uomo e si concretizzano nel rispetto
delle diversità di quei bambini che manifestano
ritmi di sviluppo, modalità d’apprendimento,
potenzialità, interessi, differenti rispetto a quelli
che sono tipici della maggioranza...”4 Infatti:
“L’impresa di portare un bambino dalla confusa
espressione di alcune disposizioni e inclinazioni
alla manifestazione di talenti e performance è un
vero lavoro...”5 Purtroppo queste problematiche
sono state compromesse da ideologie faziose e
dogmatiche.6 Lo studio dei bambini con abilità
musicali eccezionali si inserisce in una più
vasta area di ricerche rivolte ai plusdotati e alla
giftedness.
Questi temi sono trattati dalla psicologia
“differenziale”, chiamata a collaborare con
quella dello sviluppo e dell’educazione.
In genere, per “plusdotato” intendiamo chi
manifesta efficienza del tutto insolita in una o
più discipline e la “giftedness”, è il potenziale
cognitivo e motivazionale per raggiungere
l’eccellenza almeno in un’abilità (in italiano,
“giftedness” si traduce con “superdotazione”).
Per indicare soggetti di efficienza estrema
incontriamo vari termini: in Italia sono usati
appellativi come superdotato e bambino
prodigio. In area anglosassone è stato coniato
il primo termine ad hoc: gifted; il francese usa
(sur)doué e il tedesco Hoch-begabte. Negli Stati
Uniti, chi è caratterizzato da abilità eccezionali
in un ambito particolare è detto Talented.
Gli psicologi si sono dedicati ai bambini iperdotati
soprattutto per due motivi:
- lo studio della struttura intellettiva e dei
processi cognitivi di persone particolarmente
efficienti, ha alimentato le conoscenze sulle
possibilità umane in genere; ciò può consentire
di pianificare interventi educativi per tutti i
soggetti: normali, iperdotati o con deficit;7
- sono stati approfonditi gli studi su intelligenza
e personalità, così da ampliare sempre più i
paradigmi sull’efficienza mentale, considerando:
creatività,
abilità
pratiche,
socialità
e
affettività.
continua a pag 7
2
NUMERO 15
ARTICOLI
Le triosonate originali per flauto diritto, flauto traverso e basso continuo:
alcune considerazioni sui compositori e sulle opere della raccolta.
(quarta e ultima parte)
di Ottaviano Tenerani
Joseph Bodin de Boismortier
La storia di questo musicista è tra le più curiose
e avventurose che si conoscano. Nativa dei
sobborghi di Berry, la modesta famiglia dei
Bodin (Boismortier era un soprannome) si stabilì
a Thionville dove il padre del compositore, un
ex ufficiale militare, divenne un pasticciere. E’
qui che il Nostro nacque il 23 dicembre 1689.
Intorno al 1691 si spostò con la famiglia verso
Metz, dove ricevette la sua formazione musicale
da Joseph Valette de Montigny, e nel 1713 seguì
il suo Maestro a Perpignan, nel cuore della
campagna catalana, con un incarico di ispettore
per il controllo reale del tabacco.
Nel 1720 Boismortier sposò Marie Valette,
una lontana nipote del suo insegnante e,
pur mantenendo l’impiego amministrativo
per 10 anni, ebbe modo di portare avanti
contemporaneamente una propria attività
musicale. Su raccomandazione del visconte
d’Andrezel, ufficiale del Comissariato di
Roussillon e futuro ambasciatore del Re
a Constantinopoli, Boismortier riuscì ad
entrare nell’ambiente culturale di Parigi,
dove pubblicò i suoi primi libri di musica per
duo di flauti e le sue prime cantate francesi.
Queste edizioni rappresentarono l’inizio di
una carriera prodigiosa. Nella sua produzione,
infatti, al numero delle opere a stampa (102,
tutte edite da egli stesso) vanno aggiunte arie
serie, cantate francesi, piccoli motets, motets
per grand choir, opera-ballets, un dizionario
armonico oltre ad un manuale sul flauto e uno
per la viola. Se a Boismortier compositore
furono mosse talune critiche riguardo ad una
sua certa “leggerezza creativa” (non si può non
notare come quest’accusa sia stata lanciata ben
di frequente e a più di un autore; d’altra parte B.
guadagnava così bene in termini economici con
il suo lavoro che qualche commento invidioso
non apparirebbe strano), un’analisi più attenta
rivela dati interessanti. Sicuramente egli seguì
ed assecondò la moda ed i gusti del pubblico,
ma questa constatazione è per noi in fondo una
fonte documentaria sull’arte del suo tempo,
quando, come ci dice il famoso teorico J.B.de la
Borde “la musica era gradita per essere semplice
e facile da ascoltare”. Inoltre questo seguire le
tendenze non gli impedì di essere un autore
all’avanguardia.
Fu, per esempio, il primo
compositore francese che adottò il nuovo stile
d’importazione italiana sul modello vivaldiano in
tre movimenti - veloce, lento, veloce, che usò
per la prima volta quando scrisse i sei Concerti
per cinque flauti senza basso del 1727. Travolto
come altri dalla Querelle des Bouffons, lasciò la
scena musicale verso il 1753, ritirandosi in una
piccola proprietà, La Gâtinellerie, che possedeva
a Roissy-en-Brie, dove concluse i suoi giorni
all’età di 66 anni, il 28 ottobre 1734.
Anche il suo nome, come quello di Telemann,
è associato ad una “curiosità” da guinness dei
primati in quanto il suo mottetto Fugit nox
del 1742 (giudicato da critica e pubblico “un
capolavoro di struttura e di insieme”) fu infatti
eseguito per 21 anni consecutivi (1749/70)
durante i Concerts spirituel del 24/25 Dicembre.
Terzo brano della sua Opera XXI, il Concerto in
sol maggiore - strutturato nella tipica forma
tripartita all’italiana veloce, lento, veloce - fu
presentato in vendita al pubblico nel 1728 in
parti separate e con le diciture in italiano. Questa
composizione porta nel titolo un’eventuale
doppia destinazione per la voce superiore e cioè
per “la Muzette o la Flut–a–bec” nel frontespizio
generale della raccolta, detti poi “Zampogna o
Flauto1°” sulla parte vera e propria. Anche a
questo si deve probabilmente la particolare
tessitura delle voci che per tutta l’opera si
assesta prevalentemente nel registro medio
degli strumenti. Il carattere un po’ agreste
tipico dello strumento “anciuto” (la muzette così
come la sordellina appartengono alla famiglia
delle cornamuse, ad ancia doppia e bordoni a
cameratura cilindrica e divennero strumenti
di corte specialmente in Francia), si rivela poi
in particolar modo nel secondo movimento,
piccolo pezzo di carattere incorniciato tra i
due tempi veloci modellati invece sulla chiara
impronta della forma concerto, percorsa dai
soli dei due strumenti che si alternano a sezioni
di tutti. La differenza fondamentale tra i due
tempi estremi sta principalmente nel fatto che
nel primo allegro i ruoli del flauto diritto e del
flauto traverso sono ben delineati e ancora un
po’ legati all’estetica che vuole il primo più
destinato agli affetti brillanti e il secondo a
quelli cantabili e amorosi. Nel tempo finale, più
disimpegnato, diritto e traverso si propongono
invece con lo stesso tipo di figura di rapide
volatine di semicrome dette ora insieme nei
tutti, ora nei passi di solo, ora in ghirlande di
contrappunti.
Johann Friedrich Fasch
Nacque a Buttelstaedt il 15 Aprile 1688. Al
di là di alcune ipotesi sui suoi primi approcci
in tenera età al canto e alla musica, le prime
informazioni certe riguardo ai suoi studi
musicali veri e propri si hanno quando nel
1701 lasciò Weissenfels per trasferirsi a Lipsia,
dove divenne allievo dell’allora Kantor Johann
Kuhnau alla Thomaschule. Nella stessa città
portò a termine gli studi in legge all’università
e secondo alcune fonti studiò anche teologia.
Più tardi, sempre a Lipsia, fondò anche un
Collegium Musicum che andò ad affiancarsi
a quello lasciato da Telemann (pare evidente
che la pratica di fondare un collegium musicum
fosse tentazione irresistibile per gran parte dei
compositori con una certa iniziativa di questo
periodo) e fu poco dopo nominato organista
dell’Università. Lasciò presto questi impegni
per trasferirsi prima a Gera dove, presso la
piccola corte, assunse il doppio incarico di
musicista e segretario, poi a Zeitz con lo stesso
ruolo. Infine si stabilì a Zerbst per assumere il
ruolo di Hofkapellmeister. Il suo nome è legato
anche all’episodio della successione a Kuhnau
Novecentomusica
Alban Berg (Vienna 1885-1935)
Il jazz come stimolo per la musica contemporanea
Nel lontano 1927 il quotidiano Ostpreußische Zeitung di Königsberg
aprì un’inchiesta per raccogliere le opinioni di vari musicisti sul jazz.
L’iniziativa nacque in seguito ad un’affermazione del compositore tedesco
Hans Pfitzner (Mosca 1869 – Salisburgo 1949) che, rigorosamente
attestato su posizioni tradizionali, oltre a combattere ogni forma di
avanguardia musicale (in primis la dodecafonia di Schönberg), aveva
indicato nel jazz “un pericolo per la cultura europea e in particolare per
quella tedesca”.1 Alban Berg, compositore austriaco appartenente alla
seconda Scuola di Vienna e di cui quest’anno cade il 70° anniversario
dalla morte, invitato a dire la sua sull’argomento, così si espresse:
“Se si ammette che il jazz è la musica da danza di oggi, che ha
soppiantato quella precedente e che continuerà ad esistere finché a
sua volta non sarà sostituita da un’altra musica da danza, le vostre tre
domande trovano da sé la propria risposta, come segue:
1) “Opere e sinfonie jazz” non sono “creazioni del futuro”, come non
ci sono mai state opere in valzer e sinfonie alla polka. Esiste però
come Thomaskantor a Lipsia. Dopo la morte di
Kuhnau infatti, e appena dopo il trasferimento
del nostro a Zerbst, il suo nome fu incluso nella
lista dei candidati al posto vacante assieme
a quelli di Schott, Rolle, Lenck, Steindorff.
Dapprima la sua candidatura cadde insieme
con le altre non appena Telemann - il nome più
ambito a cui il posto era stato offerto - fece
cenno di accettare; ritiratosi poi quest’ultimo,
Fasch fu di nuovo invitato dal Consiglio Comunale
alla prova di ammissione al ruolo ma, come
c’informa il compositore stesso nelle sue note
autobiografiche, dopo appena otto settimane
dal nuovo incarico a Zerbst, gli fu impossibile
lasciare il suo “grazioso signore”. Com’è noto
il posto fu infine assegnato a Bach . Come
molti compositori suoi contemporanei Fasch è
stato completamente dimenticato dopo la sua
morte e la maggior parte dei suoi manoscritti è
andata perduta. Se scorriamo gli elenchi della
sua musica per la corte di Zerbst, di cui ci è
pervenuta circa una decima parte, scopriamo
che le cantate sacre ammontano a 700 circa; a
queste vanno aggiunte messe, salmi e serenate
e moltissima musica strumentale (circa 96
ouvertures, 78 concerti, 20 concerti grossi, 19
sinfonie e una trentina tra sonate e triosonate).
L’ultima parte della sua vita fu purtroppo
caratterizzata dalle difficoltà finanziarie. Fasch
muore il 5 Dicembre 1758 a Zerbst; la figlia
Johanna Friedericka si occupò di provvedere
alle spese per il funerale. Come gran parte
della sua musica la “Sonata à Flûte traverse,
2 Flûtes à bec e Cembalo” risulta molto
curata. Scritta forse per i concerti da camera o
per i concerti campestri della corte di Zerbst, è
strutturata nella forma della sonata da chiesa
in quattro tempi, con alternanza “lento, veloce,
lento, veloce”. Diversamente da quanto avviene
nel quartetto di Telemann, dove le voci sono
spesso indipendenti e paritarie come ruolo, la
distribuzione dei ruoli tra gli strumenti, chiara
qui sin dall’inizio, si mantiene sostanzialmente
immutata in tutti i movimenti ed è articolata
in due blocchi che si muovono sul basso, uno
rappresentato dal flauto traverso al quale
sono affidate le esposizioni tematiche e il loro
sviluppo principale, e l’altro dalla coppia di
flauti dolci che muovendosi in prevalenza per
figure omoritmiche e per intervallo di terza,
rivestono un ruolo di sostegno e commento
alle idee melodiche che di volta in volta si
presentano. Questa distribuzione “gerarchica”
tende a sciogliersi e a confondersi solo un po’
nel terzo tempo dove troviamo una ricorrente
figura ritmica, croma puntata e due biscrome,
che dà il carattere generale al movimento e
passa attraverso tutte le voci creando un effetto
di maggiore omogeneità, così come nel quarto
tempo dove in un contesto sereno di danza
l’andamento dei due flauti diritti si allontana
dall’omoritmia per modellare e proporre, qua e
là, brevi incisi tematici.
IV - fine
2) “la possibilità di uno stimolo” per la musica seria contemporanea,
com’è avvenuto in tutti i tempi: la musica da danza del momento
esercita un influsso sulla musica seria.
3) “un pericolo per la nostra cultura musicale” non deriva dalla musica
jazz in se stessa, ma può provenire da chi ne fa un cattivo uso – come
avviene per tutti i mezzi artistici.”2
Riflettendo su queste prime considerazioni, viene da pensare che il
jazz, agl’inizi del XX secolo, non abbia avuto un immediato riscontro in
ambito culturale mitteleuropeo, tanto da essere relegato alla funzione
di musica da danza e, probabilmente, destinato ad essere soppiantato
- prima o poi - da altra musica da danza. Forse fu solo grazie allo
strepitoso successo conseguito da “Johnny spielt auf” di Ernst Krenek
(Vienna 1900 - …), rappresentata nel 1927 e definita “opera jazz” – in
cui i personaggi Max, compositore intellettuale tra il tardoromantico
e l’espressionista (in cui Krenek pare abbia voluto ritrarre se stesso
da giovane o Webern) e Johnny, suonatore di jazz, simboleggiano il
conflitto tra vecchio e nuovo mondo – che si cominciò ad intravedere
nei nuovi ritmi e inusitati timbri strumentali, peculiari dello stile
jazzistico, l’enorme ricchezza di possibilità che questi potevano aprire
alla cosiddetta musica seria.
Continua a pagina 3
ARTICOLI
NUMERO 15
I materiali usati nella costruzione dei flauti traversi nel secolo XVIII;
“risuonatore” mentre il foro d’insufflazione
loro caratteristiche, influenze sul timbro degli strumenti e sulla letteratura. diventa il “generatore di suono”. La perfetta
(Prima parte)
di Marica Testi
“…I flauti sono costruiti in prugno, ciliegio, ebano
e altri legni facili da lavorare. In particolare tali
legni sono scelti anche per la bellezza del colore
e perché possono essere lucidati così da piacere
all’occhio come all’orecchio attraverso il loro
suono. I flauti sono inoltre costruiti in avorio,
vetro, cristallo e perfino cera”.
(M. Mersenne1 – Harmonicorum – 1648)
Il XVIII secolo fu caratterizzato da un forte
impulso dato alla ricerca riguardo alla
costruzione di tutti gli strumenti musicali, e
in maniera particolare di quelli a fiato. Fu un
secolo pervaso dal piacere della scoperta e della
sperimentazione - aspetti che determinarono
alla fine una notevole evoluzione delle tecniche
costruttive – e certamente uno tra i periodi più
ricchi e significativi per l’evoluzione del flauto
traverso e della sua letteratura.
Possiamo oggi notare come - tra le altre cose
- fu sperimentato l’uso di materiali tra i più
diversi e spesso “fantasiosi” a seguito di un
gusto estetico e di esigenze di funzionalità in
continua trasformazione. Ogni strumento, oltre
a suonare (e suonare bene!), doveva avere
determinate caratteristiche: alcune si sono
modificate col tempo, influenzate appunto dal
gusto e dalla moda, altre sono rimaste inalterate
e per questo sono state oggetto di studio e
lavoro per intere generazioni di costruttori nel
corso dei secoli. Allo strumento si chiedeva
di:durare a lungo; mantenere la forma e le
dimensioni della cameratura nonostante le
influenze esterne di temperatura e umidità a
cui era soggetto; mantenere le caratteristiche
d’intonazione e qualità del suono nonostante
l’uso e il tempo; anzi, l’uso e il tempo dovevano
semmai esaltarne i pregi e minimizzarne i
difetti; in ultimo (ma da non sottovalutare visto
che spesso questi strumenti giravano in mano
di nobili se non di re ed erano ammirati nelle
più belle corti europee) doveva essere bello e
mantenere un buon aspetto nel tempo.
E’ facile capire come queste caratteristiche
dipendessero non solo dalle misure, dalla
forma della cameratura, dall’abilità e genialità
del costruttore ma anche dalla qualità dei
materiali usati e soprattutto dalle caratteristiche
tecnologiche e fisiologiche di questi.
Caratteristiche fisiologiche
Peso Specifico - Rapporto tra la densità di
una sostanza data e quella di una sostanza
campione che generalmente - per convenzione
- è l’acqua a 4°c.
Densità - Dipende dalla compattezza delle fibre
e dalle dimensioni dei vasi; più piccoli sono i
vasi e compatte le fibre, più densa sarà la
massa del materiale.
Porosità - Esprime la percentuale del volume di
aria nelle cavità. E’ una qualità inversamente
proporzionale alla densità. I materiali molto
porosi non si lucidano a specchio (non sono cioè
suscettibili di perfetto pulimento) e soprattutto
subiscono un notevole movimento di ritiro
e dilatazione (dovuto ad un elevato potere
igroscopico). Questo movimento può far alzare
l‘intonazione dello strumento fino a 20 cent.
Permeabilità - E’ la caratteristica più importante
ed ha una grande influenza sulla stabilità e sulle
qualità acustiche dello strumento. La differenza
di temperatura tra l’aria esterna e quella
insufflata dal flautista provoca la condensazione
del vapore acqueo e la conseguente formazione
di gocce all’interno del tubo. La permeabilità di
certi materiali da un lato facilita l’eliminazione
delle gocce per assorbimento, dall’altro può far
gonfiare e deformare le pareti alterandone i
rapporti dimensionali a causa del conseguente
aumento di umidità nel materiale stesso. Gli
effetti della permeabilità (che è in stretto legame
con la porosità) si riflettono sul suono.“…La forza
e la chiarezza della sonorità dipendono dalla
qualità del legno che deve essere compatto,
duro e pesante. Un suono duro e mascolino
dipende dalla larghezza della cavità interna del
flauto e dal proporzionale spessore del legno.
Un suono debole e minuto deriva invece da
caratteristiche opposte: legno poroso, leggero
e sottile, cavità centrale stretta…” (J.J.Quantz2
– Saggio di un metodo per suonare il flauto
traverso – 1752)
Indeformabilità - E’ una caratteristica legata
all’igroscopia. Il legno tende a deformarsi per
l’effetto dell’assorbimento dell’umidità. I flauti
di legno sono tutti più o meno deformabili. Molti
strumenti storici ritrovati hanno infatti una
caratteristica forma a “banana”.
Igroscopia - E’ il potere di assorbire ed espellere
l’umidità. Il legno è generalmente un materiale
molto igroscopico e tende a mantenere un certo
equilibrio di umidità con l’esterno. Nel legno
l’igroscopia, più che da specie a specie, varia
da albero ad albero a seconda di dove questo
è cresciuto (in ambiente secco oppure umido)
e può essere più o meno intensa in relazione
alla parte del tronco da cui si ricava il tassello
(il durame che è la parte più interna del tronco,
è generalmente quella meno assorbente).
Insieme alla permeabilità è, questa, un’altra
caratteristica che sta alla base dei movimenti di
ritiro e dilatazione.
Caratteristiche tecnologiche
Flessibilità - E’ la capacità che ha il materiale
di partecipare alle vibrazioni indotte dal
generatore. Questa capacità è direttamente
proporzionale al giusto rapporto tra cameratura
dello strumento e spessore del legno.
Levigabilità o grado di pulimento - Qualità
connessa con la densità e la porosità, grazie a
cui si possono ottenere superfici perfettamente
levigate che mettono in risalto i capricci della
vena e la bellezza dei colori (legno, avorio),
oppure la brillantezza e la perfezione delle
forme (vetro, porcellana), per un migliore
risultato estetico. Questa caratteristica ha una
grande influenza anche sulla qualità d’attacco
delle note. In uno strumento ad imboccatura
naturale il suono è prodotto da una serie
di vortici e vibrazioni, il tubo funziona da
Novecentomusica
Alban Berg (Vienna 1885-1935)
Il jazz come stimolo per la musica contemporanea
Segue da pagina 2
Tuttavia, esistono fonti ancora più addietro che testimoniano
l’interessamento di Berg per il jazz. Già nel 1921 assistiamo ad uno
scambio epistolare tra Berg ed Erwin Schulhoff (Praga 1894 – campo
di concentramento di Wülzburg, Baviera, 1942). Quest’ultimo,
appassionato di jazz, scriveva: “Se Bach e i suoi contemporanei, come
pure Mozart, Brahms, Schubert ecc. scrivevano e amavano le danze del
loro tempo, perché non posso amarle e scriverle anch’io?”. La risposta
di Berg fu: “Non ho una gran simpatia per le forme di danza, anche
se non posso sottrarmi ai suoi argomenti (Mozart, Brahms, Schubert).
Tuttavia, i ritmi di queste danze, anche i complicatissimi ritmi dei neri,
levigazione e la conseguente sensibilità allo
spigolo dell’imboccatura diventano quindi
fondamentali sia per un’articolazione chiara e
precisa sia per l’attivazione delle armoniche
componenti il suono. Questo potrebbe spiegare
il suono scuro e dolce del legno di bosso e
la vena incisiva e brillante dell’ebano e dei
materiali a struttura compatta ma fragile.
I legnami che erano comunemente utilizzati si
dividono tra specie indigene europee (bosso,
olivo, legni dolci) e specie esotiche (ebano,
cocco, grenadiglio).
Legni indigeni
Bosso - E’ originario dell’oriente ma cresce un
po’ ovunque. Denso e omogeneo, è il più duro
e compatto tra le essenze indigene. Il suo peso
specifico è 1,25. Riceve splendido pulimento
ed ha una discreta levigabilità. Assorbe troppa
umidità e tende a muoversi, a deformarsi e a
variare d’intonazione a causa della sua elevata
igroscopia. Produce un suono caldo, profondo,
dolce e flessibile e fu il legno più usato nella
prima metà del ‘700 (soprattutto in Francia
dove si prediligeva il flauto come strumento
che incarnava le caratteristiche di cantabilità,
morbidezza ed espressività e restituiva gli
affetti tristi, malinconici, amorosi e tragici
in contrapposizione al carattere brillante e
virtuosistico affidato al suono del violino).
Rimase comunque molto usato per tutto il
secolo. Questo legno ha un bell’aspetto e un
colore chiaro che però tende a macchiarsi.
Olivo - Originario
dell’Asia e delle regioni
mediterranee, è un legno compatto, omogeneo,
indeformabile, ma se mal stagionato tende
a spaccarsi. Secondo Tromlitz3 questa sua
compattezza lo rendeva poco elastico e poco
flessibile. E’ un legno molto bello.
Ciliegio, Pero e alberi da frutto - Crescono un
po’ in tutta Europa, hanno un peso specifico
intorno allo 0,8 e sono mediamente duri.
Piuttosto omogenei e ben levigabili sono
però troppo igroscopici e si muovono molto,
imbarcandosi e ritirandosi. Il pero in particolare
è spesso sottoposto a rottura. Sono legni usati
soprattutto per strumenti poco pregiati e di tipo
militare.
continua
(Footnotes)
1
Marin Marsenne (1588 – 1648). Teorico
francese condiscepolo di Cartesio. Coltivò la
matematica come la musica e basò la sua
teoria musicale sulla fisica acustica.
2
Johann Joachim Quantz (1697 – 1773).
Talento eccezionale, prima di affermarsi
come il più grande virtuoso di flauto sino
ad allora esistito, aveva imparato a suonare
quasi tutti gli strumenti. Autore di centinaia
di composizioni dedicate allo strumento, fu
teorico, costruttore di flauti e insegnante
personale di Federico II di Prussia.
3
Johann Gorge Tromlitz (1726 – 1805).
Flautista e costruttore. Gli viene attribuita
l’invenzione della chiave lunga di fa.
sono uniformi (…) e miseri in confronto ai nostri ritmi”. Fu nel corso
degli anni Venti che Berg modificò la sua posizione sulle forme di danza
di tradizione extraeuropea (ecco un modo in cui potremmo oggi definire
il jazz: “musica colta extraeuropea”, al posto della più tediosa locuzione
“musica extracolta”!), tanto da inserire un “Tempo di Tango” stilizzato
nell’aria “Der Wein” e impiegare una jazzband nella terza scena del
primo atto di “Lulu”.
Paolo De Felice
Da Gesammelte Schriften - 1926
Citazione tratta dall’articolo “Jazz-Rundfrage”
Ostpreußische Zeitung del 22.9.1927
1
2
del
quotidiano
3
4
NUMERO 15
ARTICOLI E RECENSIONI
Recensione - CD Genesis Project
spesso avara nei confronti di questo strumento. La musica presentata
in questo cd è anche utile perché ci ricorda che il rock può andare
Spesso,
quando
pensiamo
al
oltre la semplicità con cui siamo abituati ad immaginarcelo (forma
rock di trent’anni fa, cioè a quello
strofa-ritornello oppure chorus-bridge, melodia diatonica, metro in 4/4,
degli anni ‘70, ce lo immaginiamo
ecc.) ed attirare così anche l’interesse di musicisti di diversa estrazione
come qualcosa di estremamente
come Bocini e Cavicchi. Nella musica dei Genesis, così come in quella
complesso
e
ricercato,
quasi
di tanti altri gruppi degli anni ‘70, un aspetto ritenuto essenziale era
cervellotico, ma soprattutto come
l’eclettismo, la mescolanza cioè di stili e influenze diversi, la cui più
una musica traboccante di strumenti
naturale conseguenza era la costruzione di brani lunghi e articolati, l’uso
elettrici ed elettronici: chitarre e
di un’armonia solo a tratti funzionale e l’impiego di una grande quantità
bassi elettrici, organo Hammond,
di ritmi. Tutti questi aspetti vengono messi in grande risalto nelle varie
sintetizzatore Moog, piano elettrico,
composizioni di The Cryme of Selling Lambs, e una in particolare, Firth Of
mellotron. Tutti questi strumenti, ma
Fifth, li contiene tutti: ritmica additiva nell’ouverture (eseguita dal solo
anche altri, furono largamente usati
pianoforte), successioni armoniche non ortodosse secondo le “regole”
nel cosiddetto rock progressivo,
dell’armonia tonale, durata totale superiore agli 11’ per un brano diviso
di cui i Genesis di Peter Gabriel e
in più sezioni. L’unica differenza con l’originale è l’inserimento di un
Phil Collins divennero una delle più
intermezzo jazzistico. Metri irregolari e poliritmia possono anche essere
importanti formazioni. Abbandonando però la logica che aveva visto
ascoltati, rispettivamente, in Back in N. Y. C. (quasi interamente in 7/8)
nascere le più ispirate composizioni di quel gruppo, il “Genesis Project” di
e Riding the scree.
Alberto Bocini, Alessandro Cavicchi e Andrea Baggio ha coraggiosamente
Tutte le tracce del cd contengono anche alcune brevi parti vocali curate
deciso di rileggere in chiave cameristica parte di quel materiale,
da Andrea Baggio con l’ausilio del computer, e inserite, come recitano le
arrangiando di conseguenza i
note di copertina, “sia per il ‘suono’
brani originali per poterli adattare
delle singole parole che per la loro
Genesis Project: The Cryme of Selling Lamb – after
ad un nuovo e atipico contesto:
capacità evocativa”. Si tratta di
il duo contrabbasso-pianoforte.
Genesis
versi estrapolati dai testi originali e
Il
risultato
dell’esperimento
Alberto Bocini – contrabbasso; Alessandro Cavicchi – pianoforte;
riportati senza alcuna modifica.
può essere ascoltato nel cd The
Andrea Baggio – electronic voice.
Il cd, già di per sé molto
Cryme of Selling Lambs – after
Teatro Guido Monaco, Prato; Auditorium Villa S. Lorenzo al Prato,
interessante,
ha
anche
due
Genesis, registrato nei mesi di
Sesto Fiorentino.
appendici multimediali che rendono
dicembre 2003 e marzo 2004.
N.B.B. Records (NBB 13 2004)
l’opera, se così si può dire, ancor più
Ciò che emerge dall’ascolto di
completa. Una è la versione mp3 di
questa antologia (20 tracce: 11
un brano composto da Alessandro
+ 3 “reprise” da The Lamb Lies
Cavicchi ed intitolato The Way Genesis Were, nel quale vengono
Down On Broadway del 1974, 5 da Nursery Cryme del 1971 e 1 da
mantenute tutte le atmosfere sognanti delle precedenti esecuzioni e
Selling England by the Pound del 1973) è in primo luogo il rispettoso
dove si approfitta dei quasi 6 minuti di musica per altre 3 citazioni
rigore filologico con il quale le vecchie registrazioni dei Genesis sono
esplicite dal repertorio classico dei Genesis. Il secondo allegato è un
state trattate, solo qua e là modificate da inserti jazz o da piccole
video nel quale Cavicchi racconta la passione (nata nel lontano 1972)
variazioni ritmiche e melodiche che non ne intaccano nella sostanza
per la musica dei Genesis, e in cui spiega anche, brevemente, i criteri
l’impianto originario. L’abilità di Bocini al contrabbasso e di Cavicchi al
utilizzati per gli arrangiamenti: tonalità, variazioni, improvvisazioni,
pianoforte, nonché l’inatteso scenario cameristico, ha però contribuito,
ecc.
pur nel rispetto delle fonti, a rendere la loro proposta particolarmente
Insomma, dopo l’ascolto (e la visione) di questo originale lavoro si
suggestiva e stimolante. In generale tutte le parti che nella versione dei
possono ottenere due risultati ugualmente preziosi: conoscere la
vecchi lp dei Genesis sono affidate alla voce, al flauto o all’organo, cioè
musica dei Genesis e scoprire quanto possa essere affascinante una
un po’ tutte le melodie, nella rielaborazione del “Genesis Project” sono
sua rilettura acustica. Soprattutto se gli interpreti sono così bravi.
di competenza del contrabbasso di Alberto Bocini, il quale si disimpegna
Enzo Alfano
sempre con grande destrezza concedendosi pure numerosi virtuosismi
[email protected]
di cui la tradizione classica (ma non quella jazzistica) è, purtroppo,
Un anno di attività dell’Istituto Musicale Mascagni
In una conferenza stampa tenutasi il 20 luglio
presso l’Istituto, il direttore M° Agostini, il
presidente Danesin e gli assessori alla cultura
della Provincia e del comune di Livorno hanno
illustrato le attività e i risultati della prestigiosa
istituzione: “un anno particolarmente denso di
attività…Grazie al costante impegno economico
profuso dai 2 enti consorziati (il Comune e la
Provincia di Livorno), a cui è andata a unirsi la
Fondazione Cassa di Risparmi di Livorno, l’Istituto
ha potuto mantener fede alla sua vocazione di
promotore tout-court della cultura musicale…
Sul versante didattico, accanto all’attività
ordinaria, ai corsi paralleli, di propedeutica e
per adulti, i corsi sperimentali di diploma di I
e II livello previsti dalla legge 508, attivati con
l’approvazione del M.I.U.R., e quelli nell’ambito
della convenzione con l’I.S.I.S “Niccolini-Palli”.
Ricco e articolato il quadro delle attività di
produzione: i tradizionali appuntamenti di
Natale (a Portoferraio e al Teatro Goldoni) e
Pasqua (Santuario di Montenero, programma
interamente dedicato a Bach), e, per la prima
volta, una vera e propria rassegna musicale,
“Musica per la Città 2005”, per un totale di
oltre 20 concerti e appuntamenti, mostre,
presentazioni di libri”.
A questi settori quest’anno si è affiancato
quello della ricerca storico-musicologica con un’
iniziativa editoriale finalizzata alla pubblicazione,
in prima edizione critica, di 2 libretti di Giovanni
De Gamerra: un importante tassello aggiunto
all’opera di studio e valorizzazione del ‘700
livornese (“Poeti e musicisti livornesi tra XVIII
e XIX secolo”).
Il 2005 ha visto anche il completamento
di importanti opere di restauro, culminate
nell’apertura al pubblico, lo scorso 12 maggio,
del nuovo Auditorium; inoltre, il rinnovo
completo degli arredi, il potenziamento della
dotazione libraria e delle apparecchiature
informatiche della biblioteca e l’ampliamento
del parco strumenti.
Un altro elemento sul quale merita porre
l’accento consiste nell’attenzione crescente
dimostrata dall’Istituto nei confronti delle realtà
scolastiche degli altri paesi, attenzione
che ha dato luogo all’attivazione di alcuni
progetti a carattere internazionale. Lo
scorso 10 giugno sono state ricevute
due delegazioni straniere: la prima
proveniente dal villaggio socio-educativosanitario di Fortaleza in Brasile, villaggio
fondato dal compianto Don Nesi, la
seconda dalla Wichita State University
negli U.S.A. I dati diffusi: finanziamento
tra Provincia e Comune: 1.800.000 €
annui; di questi, il 78% (i 4/5) viene
speso per il personale docente e non:
circa 40 docenti, una decina di collaboratori tra
docenti per corsi speciali e personale (“ridotto al
minimo, e servirebbe molto più personale”); un
attivo di 150.000 €, avanzo in parte ereditato
dal passato bilancio e incrementato (le parole
d’ordine, controllo, efficienza, oculatezza,
correttezza); fra corsi ordinari (circa 300
allievi), corsi superiori (Circa 30), paralleli
(circa 50), propedeutici (circa 60), cori (circa
50), un totale di circa 500 allievi raggiunti dalle
varie attività; 52 anni di vita; secondo Agostini,
“non un conservatorio all’antica, basato
sull’addestramento, ma un centro di produzione
di cultura musicale in progresso continuo, con
una forte azione sociale, una grande ricaduta
sulla città”. E ciliegina sulla torta: visti gli avanzi
di bilancio, l’amministrazione ha rimborsato 100
– 150 € agli allievi dei corsi superiori: un vero
segnale inequivocabilmente in controtendenza.
Fra gli allievi appena diplomati con 10 (362
domande d’esame di cui 164 interne, 20
diplomati), il contrabbassista Marco Martelli
(lode), il trombettista Nicola Martelli, il
percussionista Giacomo Riggi (lode) (già noto
come polistrumentista dal talento eccezionale:
trio e sestetto Formica, EST-Ensemble Solisti
Toscani, Orch. Jazz Gruppone, collabora già
con Orchestra Regionale Toscana, compositore
promettente ecc.) il cornista Giovanni Sbolci
(lode; animatore della Nuova Orchestra
Labronica, v. Continuum sett.-ott.2003).
L’eccellenza: istituzioni decise e chiare;
direzione artistica e didattica competente e
attiva; efficienza della struttura a tutti i livelli:
e i risultati ci sono. Non è impossibile.
I pisani stanno a guardare.
Andrea Pellegrini
GLI SPECIALI DI CONTINUUM
Gli speciali di Continuum:
Compositori Livornesi del ‘900
(Continua dalla prima pagina)
Nel 1936, ispirandosi al romanzo di
Victor Hugo “Notre Dame de Paris”,
iniziò la composizione dell’opera lirica
“Esmeralda” della quale fu anche autore
del libretto; dovette aspettare fino al
1946 perché venisse eseguita al Teatro
Goldoni di Livorno, riaperto con questa
rappresentazione, l’unico rimasto in
piedi dopo gli eventi bellici, restituito
dagli americani a Cesare Gragnani.
Già nel 1938, comunque, il M° Emilio
Gragnani presentava al Goldoni 2 brani
significativi dell’Opera: il Preludio del 2°
atto e l’Interludio del 4° atto, avvalendosi
dell’Orchestra Labronica, creata con il
preciso scopo di attuare una vasta azione
di diffusione della musica sinfonica nella
provincia, l’orchestra che poi darà vita
all’Istituto Mascagni nel 1953.
Le rappresentazioni del 1946, che ebbero
grande successo, presentarono un cast d’eccezione: il tenore Mario Del
Monaco, il soprano Liliana Cecchi, il baritono Giovanni Inghilleri, il basso
Carlo Badioli, il contralto Aurora Buades. La direzione fu affidata al M°
Emilio Tieri, Lido Nistri guidò l’Unione Corale “P.Mascagni”, la regia fu
affidata a Ugo Bassi, le scene furono della “Sormani” di Milano e i costumi
Le Composizioni del M° Sirio Santucci
Numerose
e di vario genere sono le
composizioni a cui Santucci si dedicò; di queste
solo una parte si è salvata dai bombardamenti
che colpirono Livorno nella II Guerra Mondiale.
Oltre all’opera lirica “Esmeralda” ispirata
a “Notre Dame de Paris” di Victor Hugo e al
libretto per l’opera “Heathcliff” ispirata a “Cime
tempestose” di Emily Bronte, rimangono:
- una serie di arie per canto e pianoforte, di
alcune delle quali esiste anche una trascrizione
per piccola orchestra: “Angelo cieco”, “Marisa”,
“Straccetto”, “Serenata Castigliana”, “Prima
che fugga”, “Malika”;
- alcune composizioni per pianoforte: “ ‘A
Serenata”, “Dimmi perché”, “Milady”, “Fascino”,
“Frecce nere”, “Habanera”, “Natale in Siberia”,
“Sciando, valzer”, “Simba”, “Prima che fugga”;
- una serie di composizioni per orchestra delle
quali abbiamo parti incomplete, ad eccezione di
“Serenata toscana” scritta per piccola orchestra
a plettro.
Queste composizioni sono di taglio breve,
armonicamente non impegnative, utilizzano
spesso il tempo del valzer. Quando è presente
il testo, come nel caso delle arie, si tratta
evidentemente di composizioni nate per il
genere di spettacoli in voga in quegli anni, come
il “varietà”, che trovavano spazio nei vari teatri
cittadini. La parte più importante e completa
della produzione del M° Santucci rimane dunque
l’opera “Esmeralda”, l’unica che ci permette di
capire fino in fondo questo compositore. Egli
stesso la definì “la sua creatura” e ne fu così
geloso da rifiutare l’offerta di pubblicazione
da parte di una importante casa editoriale
di Milano. L’opera, in 4 Atti con altrettanti
Quadri, si priva dell’usuale Sinfonia d’apertura
per immergersi immediatamente nel pesante
clima di sarcastico scherno che la folla parigina
tributa a Quasimodo, campanaro deforme di
Notre Dame, colpevole di aver cercato di rapire
Esmeralda, la bella zingara. Il Quadro si apre
infatti sulla Piazza di Greve a Parigi, sul calar
della sera, con Quasimodo esposto alla berlina
sulla ruota della gogna, davanti ad una folla che
con risa e scherno risponde ai gemiti dolorosi
del miserabile. Questo clima è evidenziato
dalla scelta di un ritmo in Tempo di Valzer
(coro: “Perverso, malvagio, alla gogna…”) che
impegna un coro misto a 4 voci (S.A.T.B.) il
quale farà da cornice drammatica a tutto il 1°
atto. A questo proposito bisogna evidenziare
subito l’ampissima utilizzazione delle masse
corali che sono protagoniste assolute nel 1° e
NUMERO 15
della “Casa d’arte Cerratelli” di Firenze. Applauditissimo, Mario
del Monaco, rimase legato da profonda amicizia al M° Santucci.
Nonostante la sua invalidità, Santucci amava viaggiare pur rimanendo
profondamente legato alla sua città. Fu amico di musicisti, cantanti e
pittori labronici. Grande ammiratore e amico di Mascagni, dopo la sua
morte si prodigò affinché le opere del noto compositore concittadino
venissero valorizzate e rappresentate nei teatri italiani. A questo
proposito nacque una diatriba con il celebre tenore Lauri Volpi il quale
sosteneva la difficoltà di cantare le opere di Mascagni.
Conosciuto come compositore, Santucci fu anche stimato come insegnante
alla cui scuola si diplomarono futuri insegnanti di Conservatorio. Negli
anni, si dedicò alla revisione di “Esmeralda”, progettando di riproporla al
pubblico in una nuova edizione. Nel frattempo si apprestava a comporre
una nuova opera lirica ispirata al romanzo di Emily Bronte “Cime
tempestose”, quando improvvisamente morì nel 1959.
Nessuno dei 3 figli del maestro ha studiato musica. L’unica della
famiglia che ha raccolto l’eredità del nonno Sirio è la nipote Scilla Lenzi,
pianista e insegnante, figlia di Romano e Marisa Santucci. I figli e la
nipote si occupano da anni della divulgazione e promozione dell’opera
“Esmeralda” incoraggiati dalle parole che Mario Del Monaco scrisse
da Bruxelles il 25-11-72 in una lettera inviata a Marisa Santucci: “Nel
1946 ho cantato sotto la direzione del M° Tieri l’opera “Esmeralda” del
compianto M° Sirio Santucci; opera che ritengo molto valida sia sul
piano melodico che scenico e che in quell’occasione ebbe un vivo e caldo
successo. A mio avviso riproporre questo lavoro sarebbe utile sul piano
culturale per far conoscere alle nuove generazioni questo compositore
di autorevole valore”. L’opera “Esmeralda” e il suo autore sono citati tra
l’altro in “L’opera lirica a Livorno” di Fulvio Venturi, ed. A.d.O., e “Mario
del Monaco” di Elisabetta Romagnolo, ed. Azzali.
Andrea Pellegrini
[email protected]
3° atto, con una disinvoltura drammatica,
una ricchezza armonica e melodica che
non hanno niente da invidiare ai grandi
operisti italiani dell’800 e sono un riflesso
maturato dell’esperienza della Giovane Scuola
del Verismo italiano. Nell’Atto 3° abbiamo infatti
la complessa ripartizione dei ruoli delle masse
corali (Grande folla – SATB, Soldati –TTB, Il
Clero –SATB) che da sola costituisce uno dei più
grandi affreschi lirico-corali del ‘900, mentre
nel 2° Atto , proprio per contrastare il tragico
clima dell’orrenda prigione in cui Esmeralda
è rinchiusa, come una ventata di speranza si
odono fresche melodie di giovani popolane
che inneggiano alla natura ( “Come bello è il
mattino quando è la primavera….).
La
fondamentale
presenza
del
coro
contrappunta, con raro senso dei tempi e dei
ritmi drammatici, l’avvicendarsi degli interpreti
principali.
La prima vera “Aria” (Quasimodo: “Cuor di
sposa o di mamma….”) si trova solo dopo che
sono stati presentati, oltre alla folla, personaggi
minori come Robertello, giovane studente
(“L’orrido scimmione…”), una vecchia ( “Tutte
le notti odo…”), Gianni del Mulino (“Che smorfie
patetiche…”), uno della folla (“Ed alla gatta
del mio vicino…”), il tormentatore (“Via tutti,
s’allontani la folla!”). Tutte figure secondarie
che, come corollario di questo grande affresco,
alimentano la tensione drammatica esasperata
dall’entrata in scena di Gudula ( “Ah, ladre
di fanciulle…”), personaggio chiave del 1°
atto che esprime accenti di odio disperato
nei confronti delle zingare che le rapirono la
neonata figlia, tali da commuoverci proprio
per la forza musicale impressa in quelle grida
di madre, così vere. E sempre a conforto del
senso del ritmo drammatico del M° Santucci, è
interessante evidenziare come bene si adatta
il duetto d’amore tra Esmeralda e Febo (“In
questa fontanella tante volte ho sognato…”)
proprio nel senso di squarcio lirico-amoroso
che sospende per alcuni minuti la tensione
drammatica e musicale che pulsa per l’intero
1° Atto e che si conclude con la scelta del
tempo di Valzer da parte del coro (“A morte la
zingara..”) già esposto all’inizio d’atto.
Se il M° Santucci si priva della Sinfonia
d’apertura, non sottovaluta la possibilità di
descrivere l’inizio del 2° Atto con un breve e
stupendo Preludio sinfonico, che ci introduce in
un’orrida prigione del Palazzo di Giustizia prima
del sorgere del sole, anticipando il monologo di
Esmeralda (“E’ il mattino e l’ultimo per me”).
E’ molto parsimonioso il M° Santucci nell’usare
Scilla Lenzi, pianista, si è esibita per la
prima volta in pubblico all’età di dieci anni.
Si è diplomata brillantemente in Pianoforte
e successivamente in Didattica della
Musica. Si è perfezionata con Muriel Chemin
(continuum 0/4) e i MM.i Paul Badura-Skoda,
Andor Foldes e Paolo Bordoni. Come solista
si è esibita nelle maggiori città italiane e
all’estero (Festival Pucciniano di Torre Del
Lago, Per “Wonders and Dream Women’s
Internationel Awards” al Teatro Nuovo di
Milano, Estate Fiesolana ecc.). Ha registrato
per Rai Radio 3 Suite
(Mozart, Chopin,
Liszt, Debussy); per Kicco Classic “Carmina
Burana” di C.Orff e l’opera lirica “Gloria“ di
Cilea (Festival di San Gimignano). Ha inciso
una selezione di arie per Soprano e Tenore
con pianoforte dall’opera lirica “Esmeralda”
di Sirio Santucci. Ha fondato il Trio “Les
Femmes” con il quale ha partecipato alla
trasmissione di Rai 1 “Il porto del cuore”.
Ha ricevuto numerosi riconoscimenti tra i
quali la nomination dalla società “Wonders
& Dreams” di Londra. Ha collaborato con
l’Ist. M. P. “P.Mascagni” di Livorno in qualità
di operatrice musicale e collaboratrice alla
pubblicazione “L’educazione musicale nelle
scuole elementari di Livorno”. Ha collaborato
alla realizzazione dello spettacolo “L’Arca di
Noè” di Britten al teatro La Gran Guardia di
Livorno. Insegna in varie Scuole della zona
pisana.
l’orchestra da sola, come momento enfaticonarrativo, poiché giustamente l’opera incalza
nei suoi ritmi drammatici: ed è per questo
che troveremo soltanto un altro commento
orchestrale nell’Atto 4°, laddove Esmeralda ,
dopo un bellissimo duetto d’amore con Febo
(“Soave incanto…”), al crepuscolo guarda
soggiogata Parigi dalla più alta loggia di Notre
Dame: qui, nel breve Interludio sinfonico, si
insinua lieve e sommessa un’ispirata melodia
ternaria e struggente. In questo gioco di ritmi
teatrali, così bene inseriti, non si può far a meno
di apprezzare il senso drammatico del 4° Atto,
in cui troviamo ben 4 Arie, 3 Duetti e l’Interludio
sinfonico che si colloca proprio a metà dell’Atto
e che sembra suggellare il legame di Esmeralda
con la sua Parigi e che quindi suona come uno
struggente commiato dalla vita, prima della
realizzazione di quell’inquietante destino che la
vuole separare dalla felicità e dalla vita.
Scilla Lenzi
[email protected]
5
6
NUMERO 15
INTERVISTE
Le interviste di Continuum
Nino Pellegrini: espressione, regolarità, e lasciare spazio
(Segue dalla prima pagina)
DP: E un buon bassista cosa chiede agli altri musicisti?
di rottura. Prima del BeBop il jazz era una musica prevalentemente da
NP: Io fondamentalmente chiedo 2 cose al batterista. Innanzitutto che
ballo, suonata dalle orchestre swing: qualcuno pensa che se fosse nato
controlli il volume (ride) e che stia attento alla velocità. Vedi, quando
oggi Parker potrebbe comporre qualcosa nei linguaggi dei giorni nostri,
suono spesso cerco di essere avanti sul tempo ed è importante che il
come il rap. Personalmente credo che avrebbe comunque fatto Bop,
batterista riesca a stare indietro, altrimenti si rischia di accelerare. Per
perché è un linguaggio vivo, con cui si possono dire ancora tante cose.
esempio mi trovo benissimo con Angelo Ferrua. Amo i batteristi che
Ho fatto delle cose con Tamburini e con Bosso che mi sono sembrate
hanno tanto swing.
meravigliose. Il bop che suonano loro è proprio vitale, fresco.
DP: Parliamo un po’ del jazz. Hai iniziato a studiarlo a Siena. Hai iniziato
DP: Cosa ci dici della scena italiana?
lì ad apprezzarlo?
NP: Onestamente non ne ho un’idea precisa. Quello che caratterizza
NP: No, in realtà ho sempre ascoltato jazz. Fin da ragazzo. Nella mia
i jazzisti italiani è la loro grande preparazione: hanno tutti studiato
vita ho ascoltato molto Battisti, i Beatles e tanto jazz. Mio padre era
moltissimo e nel loro genere sono bravissimi. L’altra caratteristica positiva
un pianista per diletto con una grande passione per il jazz; sia io che
è che qui da noi la musica è vissuta ancora con molto amore e non se ne
mio fratello ascoltavamo un sacco gli LP che errano in casa. In quegli
è persa la dimensione sociale. Ti faccio un esempio. L’altra sera sono stato
LP, che ho ancora (se non me li ha presi Andrea...) c’era un sacco di
al compleanno di Nico Gori: c’erano un sacco di musicisti tra i migliori della
jazz tradizionale. Per tradizionale non intendo il dixieland ma il jazz delle
scena italiana. Dopo cena ci siamo messi a suonare, abbiamo fatto una
grandi orchestre swing e Ella Fritzgerald. Se potessi campare suonando in
jam, senza pubblico. O meglio, il pubblico erano i musicisti che aspettavano
big band sarei un bassista felice.
di fare un pezzo. Nico ha suonato concentratissimo, dando il massimo. Ha
DP: Dacci la tua definizione di jazz.
suonato come se fosse alla Carnegie Hall, invece eravamo a una jam tra
NP: Fondamentalmente è una musica che ti permette di esprimerti su tanti
amici. Ha suonato così bene, così intensamente, per l’amore verso la
livelli. Molti dei pezzi che chiamiamo standard nascono da una tradizione
musica, per la voglia di suonare bene perché la musica lo merita. Penso che
di intrattenimento teatrale; suonandoli con un approccio jazz possono
questo tipo di dimensione altrove si sia un po’ persa, mentre qui in Italia
essere vissuti a dimensioni differenti. E’ possibile dire tantissime cose con
è ancora ben presente. Talvolta c’è anche un po’ di competizione: nella
uno standard, così come
musica non dovrebbe
è possibile suonarlo in
avere posto, non è come
Nino Pellegrini
modo semplice. É questa
incisioni: con Paolo Fresu & Iridescente Ensemble nello sport: la musica
multidimensionalità
che
di Claudio Riggio, “Things Left Behind” - Symphonia non è competizione, è
mi piace molto nel jazz. É
Bluesmiles 1998, Studio Tibor Varga, Sion (CH), comunicazione.
importante conoscere bene
distrib. Harmonia Mundi; Ainulindalë Ensemble, DP: Mentre suoni sei
la melodia dei pezzi, anche
Andrea Pellegrini, Paul McCandless, “Middle Earth” attento alle reazioni
per un contrabbassista.
- Symphonia Bluesmiles 2000, distrib. Sound and del pubblico? Quanto
Anni fa c’era un approccio,
Music, Harmonia Mundi; “Disordini Al Confine” - Orch. influisce sulla musica
che
non
condivido,
Atipica Jazz Bonamici Group_One, Nuovo Jazz Italiano che fai?
secondo cui a un bassista
2002, Materiali Sonori (www.matson.it); Tra Il Platano NP: Il pubblico mi dà
bastava saper leggere
E Il Tiglio, Enzo Nannipieri, Musicultura, 1994; Gesti molti stimoli. Io suono
le sigle. Ricordo un film
– Stefano Battaglia, Theatrum, Splash 1998; Rito molto per il pubblico,
ambientato a Parigi, dove
Stagionale - S. Battaglia, Theatrum, Splash 1998; perché intendo la musica
sono stato a suonare
comunicazione.
Neverland - John Wager, Galileo Music, New York, come
pochi giorni fa, in cui un
1998; Originaria - S. Battaglia, Theatrum, Symphonia Se il pubblico è attento
sassofonista dice di non
Odissey 2000; Zorongo - Etnoclassic, EMA Records e apprezza quello che
conoscere bene un pezzo
ricevo
molta
2001; George Brassens A Livorno - Pardo Fornaciari, faccio
perché non ne ricorda
Spazi Sonori. Livorno 2002, Small Day Tomorrow - energia, mi aiuta a
le parole. Secondo me
meglio.
Mi
Michela Lombardi Quintet, Philology 2003; Da Un Posto suonare
quello è lo spirito giusto.
Lontano - Acquaforte, Spazi Sonori. Livorno 2004; innervosisco facilmente
Anche per accompagnare
“Italia-Inghilterra 2-2” - Mike Wilson Quartet, Spazi quando non c’è ascolto:
Foto di Luca Buti
bisogna conoscere bene
Sonori 2002, doppio CD; Per Rufina Amaya - InterNos sono capace anche di
la melodia, perché già
Quartet, Artefare 2005. Altre collaborazioni: Orchestra Giovanile Italiana di Jazz; trio John smettere di suonare per
quella dice molto sul
Taylor, Palle Danielsson, Peter Erskine; Tino Tracanna-Andrea Pellegrini Quintetto Toscano; dirgli di finirla. Non è così
pezzo. Comunque, quando
Compagnia di Teatrodanza Noal, Livorno; la danzatrice Cinzia Tosi; Mediterranea Ens.; per tutti. Molti suonano
penso al jazz penso anche
Stefano Franceschini, Pietro Tonolo, Romano Mussolini, Klaus Lessmann, Tino Tracanna, solo per la musica e non
all’avanguardia, al free
Fabrizio Bosso, Mauro Grossi, Fulvio Sisti, Enrico Rava, Gerard Presencer; Stefano Agostini, per il pubblico, per loro
e alle “contaminazioni”.
Flavio Cucchi, Daniel Rivera; Compagnia Teatrale Aringa e Verdurini, Maria Cassi, Leonardo è come se non ci fosse.
Non sono d’accordo con
DP: Da diversi anni
Brizzi, Beppe Rosso, Dario Ballantini.
chi dice che il jazz finisce
insegni alla Bonamici.
con
Coltrane.
Anche
Parlaci un po’ della tua
l’improvvisazione totale serve a capire alcune cose, a trovare la propria
esperienza nell’ insegnamento. In certi ambiti, penso all’università o a
voce. Almeno per me, in questo senso, è stata molto utile.
certe scuole d’arte, succede che il maestro insegnando impari a sua volta.
DP: A proposito di “ortodossia jazz”, come valuti alcune scelte che sono
Mi chiedo se è così anche per il jazz.
generalmente considerate poco ortodosse, effettuate da grandi come
NP: Insegnando impari anche qualcosa, soprattutto su te stesso. Si
Davis ed Herbie Hancock?
capisce quali sono i propri limiti e le proprie capacità. Penso che insegnare
NP: Miles aveva il controllo totale sulla sua musica; ha potuto fare tutto
non sia soltanto comunicare conoscenze tecniche ma anche il proprio
ciò che voleva: quando ha voluto provare situazioni elettriche ha portato
modo di essere persona e musicista. Cerco sempre di essere me stesso,
il suo linguaggio anche in questo ambito. Hancock ha sempre avuto un’
sia quando suono, sia quando insegno. A volte sento cose suonate dai miei
anima pop. Negli anni ‘60 faceva hard bop perché quello era il linguaggio
allievi e ci risento molto del mio modo di essere. Mi colpisce molto. Cerco
del momento. Negli anni ‘70 ha subito avuto un suono più funky,
di essere molto attento alle esigenze alle caratteristiche dei miei allievi.
seguendo l’evoluzione della musica. Ora usa il linguaggio e le possibilità
L’unica cosa che mi fa arrabbiare sono quei musicisti per diletto che non
dell’elettronica in modo funzionale alla sua musica. Ho ascoltato un suo
mettono impegno nello studio. Penso che proprio perché qualcuno fa una
concerto a Follonica ultimamente: nella sua musica ci sono cose molto
cosa “per passione” dovrebbe metterci molto impegno.
interessanti. Personalmente preferisco quando suona in trio, perché ha un
DP: Parlaci dei tuoi progetti futuri.
modo fantastico di suonare il piano. Inoltre spesso suona con Ron Carter
NP: Suono molto come free-lance. Spesso vengo chiamato da gruppi già
che come accompagnatore è il migliore in assoluto dopo Ray Brown.
formati per fare concerti o registrare dischi. Attualmente ho attive diverse
DP: Pensando all’evoluzione dei linguaggi, ritieni che se Charlie Parker
situazioni: il Quintetto Toscano con il progetto sui Macchiaioli, cui tengo
fosse nato 20 anni fa oggi comporrebbe Ornithology o qualcosa di
molto, e il quartetto con Michela Lombardi. Una situazione che mi stimola
diverso?
molto è il quartetto a 2 voci e 2 contrabbassi (con Nicola Vernuccio, cb,
NP: E’ una cosa che spesso ci si chiede. Perché il Bop è stato un linguaggio
M. Lombardi e Claudia Tellini, ndr). Poi il gruppo di 12 contrabbassi che
dirigo, cui partecipano molti miei ex allievi. Suoniamo cose un po’
folli; lo trovo molto interessante.
DP: Domanda a risposta secca: i tuoi 5 dischi preferiti.
NP: Live At Village Vanguard ’67 di Bill Evans; Music For Small And
Large Ensemble di Kenny Wheeler; Kind Of blue di Miles Davis; Dave
Holland in quartetto con Steve Coleman; un cd di Rosa Passos.
Davide Pedroni
sconti per gli allievi della Bonamici!
[email protected]
ARTICOLI
NUMERO 15
Intelligenza e bambini iperdotati nella musica
(Segue dalla prima pagina)
Le principali ricerche sui gifted sono oggi inseribili
nelle metafore sistemiche dell’intelligenza;
queste tassonomie cercano di sintetizzare tutte
le teorie dotate di autorevolezza. Le metafore
sistemiche più accreditate
sono la “teoria
triarchia” di Robert J. Sternberg, e quella
“delle intelligenze multiple” di Howard Gardner,
che dimostra l’esistenza di un’intelligenza
musicale.8
I principali fattori che determinano la
manifestazione di doti spiccate sono ereditarietà
e ambiente. Dall’inizio del secolo scorso (ma
anche prima), sono state enfatizzate soprattutto
le componenti genetiche di intelligenza e
talento, ma, tra gli anni Venti e Cinquanta, con il
“Comportamentismo”, hanno acquisito sempre
più rilevanza i fattori esogeni. Questa tendenza
è stata rimarcata anche negli anni sessanta;
tuttavia negli ultimi quindici anni, tramite le
neuroscienze, c’è stato bisogno di rivalutare gli
aspetti endogeni. Oggi, in genere le incidenze
percentuali di aspetti genetici e ambientali sono
valutate 50 e 50; tra gli aspetti esogeni sono
da inserire stimoli ambientali ed esercizio (nel
rapporto qualità/quantità). Soprattutto quando
ci si trova davanti a manifestazioni sonore di
altre culture, è importante cercare di liberarsi
da preconcetti etno-centrici: infatti, in molte
popolazioni “extra-colte” la gerarchia delle
competenze musicali non corrisponde a quella
accademica europea; nonostante ciò, molte
individui possono manifestare fin dall’infanzia
abilità eccelse altrettanto apprezzabili.9
Oggi, in primo luogo per gli iperdotati, gli psicologi
dell’educazione auspicano l’ “individualizzazione
dell’insegnamento”; ciò poggia sugli stili
cognitivi personali, manifestati da molti
soggetti di talento. Infatti, se gli insegnanti
pretendono di imporre un apprendimento
stereotipato finiscono per inibire o “stroncare”
le enormi potenzialità del discente. Poi, è
stato dimostrato che metodi educativi rigidi
sono inadatti per un apprendimento davvero
partecipato e per lo sviluppo della creatività10
(questa dote è proprio ciò che spesso manca
ai “bambini prodigio”, anche raggiunta l’età
adulta). Così, la pedagogista Maria Teresa
Cairo ritiene fondamentale promuovere le
Carlo Deri, Italy
di Renzo Cresti
Carlo Deri è un musicista completo e già questa è
una bella qualità da sottolineare, in un momento
dove, anche nel mondo della musica, si assiste
al frazionamento dei saperi e alla professionalità
svolta in un solo settore particolare. Deri è
compositore, allievo di Carlo Prosperi (1) al
Conservatorio di Firenze; è pianista di buona
lettura; è musicologo e analista, ha infatti scritto
approfonditi saggi (come quello su Giuseppe
Bonamici pubblicato sulla Rivista “Tetraktys”) e
analisi puntuali (di recente quelle per il nostro
libro Ipertesto di Storia della musica (2));
conferenziere
convincente
e
didatta
appassionato; animatore infaticabile della vita
musicale toscana, quale Direttore artistico o
Presidente di varie Associazioni; dal 1983 è
insegnante alla Scuola “Bonamici” e nel 1986
ne assume la direzione; recentemente ha
collaborato con il Conservatorio dell’Università
di Cincinnati che gli ha realizzato uno dei brani
più impegnativi che Deri ha scritto negli ultimi
anni, Italy, sei liriche per canto e pianoforte su
testo tratto dall’omonimo poemetto di Giovanni
Pascoli.
Lo studio con Prosperi a Firenze ha fortemente
segnato la scrittura e la poetica di Deri che si
è, da subito, legato all’Umanesimo fiorentino,
riprendendone l’attenzione alla forma e
all’asciutta espressività. Deri ha capito che
l’annoso problema del rapporto fra forma e
contenuto è mal posto, infatti i due termini
non sono antagonistici ma complementari,
l’uno rafforza l’altro e, nei casi migliori, sono
attitudini
individuali,
sia la presunzione di sapere tutto e di poter
per
non
sprecare
risorse agire solo per intuizione o imitazione, spetta
umane destinate al beneficio all’insegnante favorire un’apertura mentale,
comune, sia per prevenire disagi sociali, che inquadri in modo adeguato i risultati,
difficoltà di apprendimento, problemi di dando impulso alla giusta percezione di sé nei
adattamento,11 perdita di autostima e situazioni confronti dell’esterno. Comunque, per la riuscita
di underachievement. Questi inconvenienti di un progetto educativo risulta indispensabile
accadono sia quando le dotazioni rimangono la collaborazione di tutti gli educatori e della
sommerse per cause culturali, sociali ed famiglia.15 In sintesi, l’esigenza principale del
emotive; sia nel caso del tutto opposto, quando i bambino è una crescita serena ed equilibrata
talenti sono così enfatizzati o forzati da generare in sintonia con i suoi ritmi evolutivi, al riparo
deficit sullo sviluppo completo e armonico da estenuanti competizioni e traguardi imposti
della personalità.12 Perciò, autorevoli studiosi da adulti.
insistono sulla promozione di tutte le dimensioni
Massimiliano Mangini
(affettiva, sociale, cognitiva) e mettono in
[email protected]
guardia
dall’errore
di
(Footnotes)
concentrarsi solo su una.13 1
S. Sansuini, L’educazione dei ragazzi precoci, dotati e superdotati.
Infatti, è probabile che pure
Che cosa è, da dove viene, come si educa il “potenziale intellettivo” che
i bambini che sviluppano
c’è in ogni ragazzo, Milano, Angeli, 1996, p. 7; cfr. ibid. pp. 105-6 e P.
in modo precoce risorse
Bertolini, La nascita della creatività del bambino, in O.d.g.: Bambino.
intellettive notevoli abbiano
Pensieri sull’infanzia a partire da Mozart. (Atti del convegno: A partire
molto bisogno di sostegno
da Mozart. Il bambino: sviluppo-conoscenza, creatività, abusi. Città di
emotivo,
per
affrontare
Castello, 1-3 settembre 1991), S. Nordio (a cura di), Bologna, Cappelli,
altre difficoltà che spesso
1992, p. 98.
accompagnano doti fuori del 2
Cfr. M. Laeng, Nuovi lineamenti di Pedagogia, Brescia, La Scuola,
comune.14
1987, (Scuola d’oggi), p. 37.
Infine, al di là dell’efficienza 3
Sansuini, L’educazione dei ragazzi precoci, cit., retro-copertina e p.
in
un
certo
periodo
29; M. T. Cairo, Superdotati e dotati. Itinerari educativi e didattici,
è
necessario
portare
Milano, V & P strumenti, 2001, (Pedagogia e scienze dell’educazione.
avanti
continuamente
Materiali didattici), p. 119.
l’approfondimento sia di un 4
Ibid., cit., p. 16.
talento specifico sia della 5
Cairo, Superdotati e dotati, cit., p. 128.
preparazione
culturale 6
Cfr. Ibid., pp. 13-16.
generale; qui entra in gioco 7
Cfr. O. Andreani Dentici, Intelligenza e Creatività, Roma, Carocci,
il concetto di “educazione
2001, (Le Bussole, 29), pp.68-9; Feldman, Quando la natura fa centro,
permanente”.
Infatti,
cit., pp. 259-60; Sansuini, L’educazione dei ragazzi precoci, cit., p. 8.
tanti “bambini prodigio” 8
Cfr. Andreani Dentici, Intelligenza e creatività, cit., pp. 92-100; H.
non conseguono risultati
Gardner, Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza (1983),
soddisfacenti
da
adulti;
13. ed., Milano, Feltrinelli, 2002, (Campi del sapere), soprattutto pp.
addirittura, il più delle
9-31; 82-90; 93-288; 394-400 e cap. VI.
volte,
abbandonano
ciò 9
Gardner, Formae mentis, cit., pp. 141-2.
che li ha contraddistinti 10
Alonso-Fernández, F., Il talento creativo. Tratti e caratteristiche del
nella giovinezza. Questo
genio (1996), Bari, Dedalo, 2001, (La nuova scienza, 115).
può
accadere
sia
per 11
Cfr. Sansuini, L’educazione dei ragazzi precoci, cit., p. 8.
ribellione verso forzature 12
Cfr. Cairo, Superdotati e dotati.cit., pp. 41-2; 91 e retro-copertina;
“pedagogiche”,
sia
a
Sansuini, L’educazione dei ragazzi precoci, cit., p. 29.
causa di ignoranza sui 13
Cfr. Cairo, ibid., p. 18, 109, Sansuini, ibid., p. 58-64 e Dalcroze, Il
possibili sviluppi (anche
ritmo, la musica e l’educazione, cit., pp. 79-82.
interdisciplinari)
di
un 14
Cfr. Feldman, Quando la natura fa centro, cit., p. 272.
talento.
Dato
che
il 15
Cfr. Cairo, ibid., p. 127.
successo precoce genera
tutt’uno.
Deri è livornese e trasmette alla sua musica
un enthusiasmus che deriva dal carattere
esuberante e sagace, declinato però spesso, e
soprattutto nei brani con testo, a un’accorata
espressività, melanconica e fin drammatica
(come in Italy). Deri possiede comunque la
capacità di immettere nella musica un’onda
di commozione autentica, fra intimismo e
partecipazione civica (la stessa concezione del
lavoro si basa sulla responsabilità etica). “Il
miglior sistema è lo studio e solo da studi seri
nasce la grandezza” (3), questa affermazione
viene condivisa da Deri, che sa bene qual è
l’importanza del lavoro artigianale, ma viene
affiancata dall’estro e dalla necessità interiore
della comunicazione; infatti la forma, specie nei
brani con testo, non è pre-ordinata, ma intuita;
non ci sono complessi e cervellotici piani
preparatori, ma la scrittura procede seguendo
l’ascolto del suono interiore. Disciplina e
rapimento espressivo convivono con reciproco
vantaggio.
L’interesse prevalente di Deri è la musica da
camera e in particolare quella con la voce: “la
voce umana ha sempre destato in me molto
interesse, per la duttilità dello strumentovoce, che offre una tavolozza di sfumature
letteralmente esaltanti, ma anche perché mi dà
la possibilità di sposare la musica con la poesia”
- dice lo stesso Deri - “mi lascio guidare dalla
liricità del testo e quindi, dal punto di vista
formale, la struttura si modella da sé. Invece
nelle composizioni strumentali, dove sento
maggiore l’impegno di scelte formali, mi diverto
a cercare impasti timbrici e soluzioni armoniche”
(4). Negli anni Ottanta il percorso di Deri inizia
con lavori di un certo impegno tecnico-formale,
come Passacaglia (1984) per due flauti e come
la contrappuntistica Sonata (1986) per due flauti
e pianoforte, composizioni di ricerca linguistica
e dal suono un po’ duro, le quali, se paragonate
a quelle scritte un decennio più tardi, paiono
ancora preoccupate di ricercare la novità sonora
e legate a un disegno intellettuale che lascerà il
posto a un procedere più immediato ed evidente
nel suo disporsi, come nel fortunato pezzo
Dromos (1998) che ha giustamente conosciuto
molte esecuzioni, per voce recitante su testi di
Giuseppe Bonamici e sette strumenti; Dromos
è un pezzo assai esemplificativo della flessibilità
metodologica, qui infatti Deri usa, come di rado
gli capita, la dodecafonia, ma nelle sue mani
questo sistema inesorabile perde la sua rigidezza
per piegarsi alle esigenze espressive dei versi
poetici. Bellissimi i recenti pezzi pianistici, dove
si equilibrano ricerca (specie in Improvviso n. 2)
e soliloquio espressivo (come in Notturno n. 2 e
in Incanto, anche in versione per arpa, nei quali
la forma libera si struttura prevalentemente
seguendo modalità timbriche).
continua
NOTE
1) Cfr. R. Cresti, Carlo Prosperi, GIMC,
Firenze-Lucca 1993.
2) Cfr. R. Cresti, Ipertesto di Storia della
musica, Feeria, Panzano in Chianti 2004.
3) F. De Sanctis, Saggi critici, voll. III, Laterza,
Bari 1965.
4) Intervista a Carlo Deri, “Continuum”
maggio/giugno 2004.
7
8
NUMERO 15
INTERVISTE E APPUNTAMENTI
CittàLirica: è crisi?
Intervista a Raffele Della Croce, trombettista, rappresentante sindacale
Andrea Pellegrini: Nel materiale pubblicitario del festival pucciniano e
della stagione del Goldoni non appare neanche il nome dell’orchestra.
Perché?
RDC: Perché non la considerano una cosa loro. Per loro è un mero
strumento per accedere ai contributi della regione; oltre questo il
nulla: nessuna visibilità, nessun progetto, nessuna reale intenzione di
creare un’occasione concreta di lavoro e uno strumento al servizio dei
cittadini.
AP: Avete avuto qualche risposta alle vostre richieste di inserimento nel
programma anche di musiche sinfoniche e del ‘900, di una direzione
artistica, di miglioramenti contrattuali?
RDC: La notizia nuova, tutta da verificare, è che i teatri, rendendosi
conto di non poter amministrare orchestra e coro, ne cederebbero la
gestione all’Orchestra Regionale Toscana. Non sappiamo ancora cosa
comporterà questa cessione. Una cosa si può dire però: alla Regionale
sanno come gestire un’orchestra. Vedremo.
AP: Come è possibile che fra tre città dalle grandi tradizioni culturali,
artistiche e musicali, in una regione come la Toscana e in una nazione
come l’Italia, settima potenza mondiale, non sia possibile supportare
almeno un’orchestra?
RDC: Pisa, Livorno e Lucca meriterebbero di avere la propria orchestra
stabile per molte ragioni. Non è solo una questione di mancanza
di risorse (a quelle si potrebbe far fronte magari coinvolgendo le
fondazioni bancarie, le casse di risparmio che molto hanno fatto e
fanno per la cultura): penso che sia mancanza di volontà, da parte di
che amministra la cultura, di impegnarsi in qualcosa di importante, che
influisca davvero sulla vita culturale delle nostre città. Un altro freno
credo siano le logiche di campanile che purtroppo ancora esistono e che
impediscono spesso una reale collaborazione. AP: Ma che interesse potrebbe avere un’ orchestra, specialmente
in periodi di magra come questo, a gestire e a promuovere un’altra
orchestra, diversa, ma non così abissalmente, a poche decine di km
dalla prima? Non ci sarebbero conflitti evidenti?
RDC: Al momento non ho elementi per giudicare i vantaggi o gli
svantaggi di questa (eventuale) cessione all’ORT. Preferisco esprimermi
quando, spero molto presto, i sindacati saranno chiamati a controllare i
termini di questa operazione. AP: Qualcuno vi ha coinvolto nelle decisioni riguardanti l’organizzazione,
essendo i primi soggetti coinvolti?
RDC: Mi dispiace molto dirlo ma ci fanno sentire poco più che numeri,
strumenti da usare al momento opportuno e poi via. L’unico momento in
cui ci fu un coinvolgimento degli orchestrali avvenne sotto la direzione
artistica del M° Proietti; in quel periodo si riusciva addirittura a parlare
di musica e di arte, ciò che dovrebbe essere al centro dei nostri pensieri
come musicisti ed artisti. Purtroppo è durato molto poco.
AP: Si dice che le spese di gestione dell’orchestra siano altissime, e
sproporzionate rispetto ai compensi per i professori.
RDC: Che i compensi dei professori d’orchestra siano bassi non è un
mistero (basta vedere le nostre misere buste paga). Delle spese di
gestione non mi è dato sapere, perché purtroppo non ho mai visto un
bilancio dal quale si evincessero con precisione i costi in questione.
Qualche idea su come gestire orchestra e coro l’avremmo, non
dimentichiamoci però che il nostro lavoro è suonare, non fare gli
amministratori.
AP: Si dice che la lirica coincida con l’identità musicale italiana. Che ne
pensi?
RDC: E’ così. La lirica è nata in Italia e ha in seguito conquistato il
mondo. Non tenere nella giusta considerazione il teatro musicale
significa rinunciare ad un pezzo importantissimo della nostra cultura.
APC
Errata Corrige
Sul Continuum n.14, a pag.8, è sparita per un errore
la firma dell’autrice della recensione del libro “Tu vuo’
fa l’americano”: è Serena Donati. Ce ne scusiamo con
l’interessata e i lettori. Inoltre una nota: a proposito
dell’articolo “La Fisarmonica: respiro del XX secolo”,
ricordiamo che corsi di quello strumento sono attivi, da
molti anni, anche presso la Scuola di Musica “Boccaccio”
di Pisa.
Cartellone
Stagione Concertistica
Città di Cecina
IV° Edizione 2005-2006
22 Ottobre h 21.15
recital: PAOLO ROSSI p
6 Novembre h 17.30
NUOVO TRIO PARSIFAL
Barbara Castelli vl
Laura Pierazzuoli vc
Anna Paola Milea p
19 Novembre h 21.15
(Fuori Programma)
Omaggio al Jazz
MATTEO RAINIERI QUARTET
Elisa Azzarà fl
Matteo Rainieri p
Stefano Puri contrabbasso
Riccardo Butelli batt
10 Dicembre h 21.15
Ensemble Vocale di Parma
John Dowland
Milena Th lli s
Paola Mangiarotti ca
Fabrizio Fava t
Francesco Coruzzi bs
Francesco Arata controten.
21 Gennaio h 21.15
presso il Duomo di Cecina
INVITO ALLA MUSICA BAROCCA
Relat. Prof. Francesco Dilaghi
GOLDBERG ENSEMBLE
Raffaello Galibardi vl
Anna Laura Tortora vl
Maria Cristiana Tortora vc
Carmen Barlotti clavic.
11 Febbraio h 21.15
MAURIZIO MORGANTI cl
Associazione Culturale Il Fitto
Stagione Concertistica Città di Cecina
IV° Edizione 2005-2006
La Stagione è stata realizzata grazie anche alla
partecipazione
artistica
di:
Festival
Pianistico
Internazionale PianoSolo di Salerno, Istituto Musicale
Pietro Mascagni di Livorno e la Scuola di Musica Giuseppe
Bonamici di Pisa. Il cartellone della manifestazione
sarà dedicato in gran parte al repertorio mozartiano,
in occasione del 250° anniversario dalla nascita (17562006) del compositore salisburghese W.A. Mozart.
ABBONAMENTI
Socio Sostenitore_50,00 €;
Socio Abbonato_30,00 €.
Spettatore Ordinario: ingresso a offerta minima di 5 €
Direzione artistica Diego Terreni
[email protected]
Tel. 348_7493550 347_5515748 339_4663688
25 Febbraio h 21.15
Concerto Lirico
Allievi della classe di canto
dell’ Istituto Mus.le Pietro Mascagni
di Livorno
Antonino Di Giorgio maestro accomp.
11 marzo h 21.15
ENSEMBLE QUARTANGO
Hommage à Astor Piazzolla
Giorgio Dari fis.
Lara Migheli fl
Lorenzo Soto Rivara chit
Silvia Orciari v
Diego Terreni p
25 marzo h 21.15
(Fuori Programma)
recital PAOLO FRANCESE p
Continuum - Anno 2, n.1
(n. progressivo: 15)
Direttore responsabile: Francesco Ermini Polacci
Direttore di redazione: Andrea Pellegrini
Redattori: Paolo De Felice, Silvia Faggian, Ottaviano
Tenerani, Elena Talotta
Grafica: Davide Dente, Monica Cicu
Editore: Ottaviano Tenerani
Hanno collaborato a questo numero: Enzo Alfano, Renzo
Cresti, Scilla Lenzi, Massimiliano Mangini, Davide Pedroni,
Marica Testi
Sede: Via Matteucci, 20 - Pisa - Tel. e Fax 050.540450
Sito Internet: www.scuolabonamicipisa.it
e-mail: [email protected]
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contenuto di questa pubblicazione è di proprietà degli autori ed è
tutelato dalle vigenti leggi sul diritto d’autore.
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Si ringrazia la tipografia ILCA di Santa Croce sull’Arno