il segreto della vita

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il segreto della vita
IL SEGRETO DELLA VITA
COLLANA EMOZIONI
AttiPoetici – raccolta maggio 2010
Pagina 1
ILLUMINAZIONE
Romano Angelo Sartori – 2 maggio 2010
Sono libero
Non ho intenzioni né scopi né futuro
Non ho scelte né idee né preferenze
Affido tutto a te
Mia Luce o Prima Essenza
Radice di quanto si forma e muove
Che premi dall’interno del cuore
I climi dell’anima
Son come quelli terrestri
Non mi turbo se mutano
Sei Tu che giochi con l’umana materia
Come il cielo gioca con nubi e vento
E cristallina chiarezza
Continuo ad avere
Storia identità comportamento
Ma non devo più guidarli
Riflettere e mutare
Perché mi investi
Da dentro incessantemente
Ed io lascio che Tu sia
AttiPoetici – raccolta maggio 2010
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SEMPLICEMENTE DANZO
Daniela Cassina – 2 maggio 2010
Semplicemente danzo la vita, giro fluidamente il armonia col tutto
vivo in mezzo agli altri, nel mio mondo, accanto ad altri mondi, ognuno con la
sua galassia, il suo tempo e il suo modo di rotazione.
Quando accade di toccare altri mondi…lascio in quell'incontro anche la mia
nota, che sarà usata o no; capita o no; respinta o no: questo non ha nessuna
importanza!
Ciò che importa è girare nel mio ritmo…giro e fluisco, senza acquisire né
perdere nulla.Non ho bisogno di piacere, di sforzarmi di essere ciò che non
sono….ognuno vibra al suo livello, come è giusto che sia.
"Possa ogni essere realizzare pienamente lo scopo della sua vita!"
AttiPoetici – raccolta maggio 2010
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IL MIO MANDALA
Marcello Pironato – 2 maggio 2010
ho riconosciuto l’amore
lo accolgo e lo nutro dentro il mio petto
e’ sempre stato assopito e latente come un magma dentro di me
il suo sapore
e’ la vita
il suo colore e’ trasparenza
la sua carezza è armonia e grazia
la sua sorgente è la liberta’ dai desideri
la liberta dalla
dipendenza dal mondo pur stando immersi nel mondo
non vi è ricerca né
sforzo nel suo stato d’essere
semplicemente e’
si nutre della verita’ e
compassione
intercediamo per lui tramite il filo d’argento che ci
unisce
con il tutto nella sua realta’ assoluta
AttiPoetici – raccolta maggio 2010
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QUANDO LIBERO
LA MIA MENTE
Renato Vignari – 3 maggio 2010
Quando libero
la mia mente
dall'assillo di ricercare il segreto della vita
allora sento
la vita scorrere
la passione che anima tutte le scoperte
AttiPoetici – raccolta maggio 2010
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IL GRANDE VARANO
Angelo Antona – 4 maggio 2010
A che pensa il grande varano sulla roccia compatta?
ha l'occhio iridato e il muso tranquillo
mentre si scalda al sole.
Osserva il cielo
e forse sogna
di essere nuvola leggera
per navigare lo spazio
Oppure sogna
di essere il grande uccello che si appoggia sul vento
e all'improvviso con un battito d'ali sparisce lontano.
Ma forse vorrebbe essere,
com'è, l'antico Varano
padrone della roccia,
del sole,
del tempo.
AttiPoetici – raccolta maggio 2010
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NON TRATTENERMI
Shivaroopa – 5 maggio 2010
non trattenermi nel tuo piccolo mondo.
Le mie ali sono fatte per volare in alto.
Non t'azzardare a pensare che ho paura di te o del fango.
Io lo conosco fin troppo bene.
Sei tu, sei tu, che non conosci quel orizzonte che io scruto
continuamente.
Sei tu, sei tu che hai paura di me
Il segreto della vita è... non essere meno di ciò che si è.
AttiPoetici – raccolta maggio 2010
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IL CONFINE
Gianfranco Santiglia, yratto da “Scacco al re”, Edito da Armando Siciliano Editore, Messina
2006
Là dove la strada asfaltata finisce s’inerpica un interminabile sentiero, nudo, stretto e
serpentino. Porta alla montagna grande. Se in questo momento avessi più senno che
avventatezza forse non lascerei lì la macchina, ma farei manovra e me ne andrei. Invece
quanto c’è di oscuro e imprevedibile in me prende per una volta il sopravvento, e decido
che ormai è tardi per tornare indietro. Sono già oltre il confine. Mentre lo percorro mi sento
nudo, proprio come la via da percorrere, sebbene non sia un confortevole piumino d’oca a
mancarmi. È che mi sento già senza difese, spogliato di quanto più caro posseggo:
l’appartenenza a un mondo che da quassù mi sembra già un ricordo o un lontano,
irraggiungibile miraggio. Il sentiero sotto i miei piedi è appena cominciato e io so che devo
percorrerlo per intero, eppure già mi sembro perso. Lo sono!
Non so se sia la fatica a rendermi la schiena madida di sudore o la tensione. Forse
sono troppo vestito. Il piumino certo è di troppo. Me lo tolgo. Sì, lo sapevo, è che sono così
maledettamente previdente. L’eredità materna, mi dico. Se fosse stato per mio padre avrei
affrontato questo scomodo sentiero con una maglietta e un paio di scarpe di tela, e invece
ho ai piedi un paio di scarpe nuove da trekking color verde bosco, come tutto il resto,
persino lo zainetto. Sembrerei un navigato scarpinatore se solo avessi un’andatura più
degna. Ma a me della montagna non me ne è mai importato una sega. Parliamoci chiaro,
quella porzione di mondo che mi interessa, l’unica del resto, è quella che ancora riesco a
intravedere da quassù, quella sotto di me, a parecchie centinaia di metri più in basso.
Il resto avrebbe potuto anche non esistere.
No, non sono stato sempre così cinico. Forse con l’età …
O forse è questa sporca situazione a infastidirmi, rendendomi nervoso tanto da parlare
da solo. Talvolta invece mi dico che è la professione ad avermi reso così: pratico, freddo,
razionale, duro, distaccato. A questa poi va ad aggiungersi tutta una serie di disillusioni
incontrate nella vita.
Non avrei mai dovuto diventare medico e nemmeno psichiatra, non avevo il fuoco
sacro, la fiamma divina a motivarmi e a spingermi verso la missione, o almeno quella che
avrebbe dovuto essere tale. Neanche una semplice fiammella. E se considero il
Giuramento di Ippocrate è come se sin da subito mi sia sentito uno spergiuro, e mi ci
sento ancora, a ogni sporco farmaco che somministro. Mi sento il passo pesante, e certo
lo è, come se qui, dove l’aria è rarefatta, provi ancor più l’esigenza, quasi una necessità,
di calpestare con violenza il suolo sotto le mie scarpe rinforzate.
C’è uno scarafaggio orribile, nero e peloso, dinnanzi al mio piede destro e non faccio
nulla per evitarlo. Da ragazzo mi sarei biasimato per un tale gesto, tanto bieco, adesso è
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solo uno dei tanti, nemmeno dei peggiori. Se il mio passo è pesante anche il respiro lo è,
ma provo lo stesso l’irrefrenabile impulso ad accendermi una sigaretta. Non è solo la
dipendenza da nicotina ma anche la sensazione di essere in culo al mondo, a 2000 metri
di altitudine, e chiedo e cerco conforto dove posso.
Mi accendo una “paglia” senza filtro e la aspiro con l’avidità di una ventosa,
dedicandomici con le stesse cure che le riserverebbe un condannato a morte nell’atto del
suo ultimo desiderio.
Un immediato conato di tosse mi piega in due come se mi avesse raggiunto un cazzotto
alla bocca dello stomaco, gridandomi tutta l’impossibilità di terminarla, rendendomi bene
l’immagine di uno che ha appena pisciato e sputato contro vento, e che ora...
Un coglione, appunto.
Lo strillo del mio cellulare, crudo e nudo, improvviso, mi sembra nel solitario silenzio di
quell’altitudine, tanto inverosimile quanto lo sarebbe quello d’un rapace in città .
Squarcia l’aria come un sipario strappato e mi riporta alla realtà, ma anche alla già
rimpianta civiltà. Sul display compare il nome di Fabio: il mio socio.
“Dove sei finito ieri sera?” mi domanda aggressiva la sua voce roca impastata di
catrame e nicotina.
“Sono andato a letto presto.”
“Avevi movimento, dì la verità!”
“Per nulla. Una serata schifosa.”
“E ora cos’hai da ansimare? Non ti starai per caso scopando Claudia?”
“Non dire cazzate!” rispondo stizzito.
“Sai che non è professionale farsi la segretaria. Sarei costretto a licenziare uno dei
due. E lei è molto più carina” mi rincorre lui.
“Come fai a essere già così non appena sveglio?” gli domando io.
“Che vuoi, è il mio piccolo segreto. Insomma dove cazzo sei?”
“Sono sul monte Arcangelo.”
“Quello delle apparizioni?!”
“ Ahà, quello!”
“E che cazzo ci stai a fare là? Hai una crisi mistica?! Sapevi che stamani io non c’ero,
perché non sei allo studio?”
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“Calmati che poi ti si ingrossa il fegato, ricordi? Comunque, nessuna crisi, non mia. Però
mi ha telefonato Paolo.”
“Chi quel pazzo scatenato delle stigmate …”
“Quello!” lo interrompo subito io.
“Embè?”
“Un’altra crisi. E non se la sentiva nemmeno di venire alo studio.”
“Non mi vorrai dare a bere che gli hanno messo il telefono lassù in cima dove abita?”
“No, mi ha detto che ha un cellulare per le emergenze, e a giudicare dalla voce di
questa mattina dev’essere proprio un’emergenza.”
“Buon Dio, un mistico con il cellulare, che tempi. Ma dove andremo a finire. Non ti
invidio proprio. Sei armato?”
“Cosa intendi?” domando allarmato.
“Un’arma, una pistola, qualcosa del genere” fa lui incalzante.
“Perché?”
“Potrebbe essere pericoloso” e scoppia a ridere fino a farsi venire la tosse.
“ Stronzo! Mi hai messo paura.”
“E’ proprio quella che devi avere. Ti sei portato almeno qualcosa?”
“Sai che non cammino mai senza, ho con me il Rescue Remedy di Bach.”
“E cosa cazzo credi di fare con quello?”
“No, quello è per me, se è quello che intendi. Per lui ho il Serenase.”
“Non avevi niente di meglio?”
“Non in casa. Ma vedrai che basterà.”
”Beh, se lo dici tu” e si mette a ridere come per augurarmi buona fortuna, e ha già
staccato quando gli grido che è uno stronzo. Quel bastardo è riuscito a iniettarmi un’altra
dose di ansia, come se non bastasse già quella che avevo. Ingiustificata, peraltro. Perché
Paolo non è pericoloso, non per gli altri. È solo un visionario, un pazzo mistico, di quelli
con il complesso del Cristo.
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Due anni fa, a 33 anni, ha creduto di morire dopo atroci, invisibili sofferenze, e ha
persino dichiarato che gli sono venute le stigmate. Venute e andate, in una sola notte,
come molti dei suoi capricci, penso. No, è certo un originale, ma non è pericoloso, mi dico
tanto per incoraggiarmi, ma il pugno è chiuso e la mascella serrata, pronta a frantumare
chissà quale pericolo, e quando me ne rendo conto abbasso la guardia e rido, rido sino a
che non sento la mia risata rimbalzare in tondo sulle pareti increspate per poi ritornare da
me, molto diversa, intimorita, secca.
Mi dico allora che non è nemmeno detto che riuscirò a arrivare in cima al monte,
dopotutto l’ho fatto una volta sola e tanti anni prima. Non fumavo così in quel periodo e ora
sto completamente grondando di sudore e sono stanco morto. Niente da fare. Ecco là la
fine del sentiero.
Non so nemmeno se rallegrarmene o cos’altro. Certo potrei tornarmene indietro. “Non
essere ridicolo” mi dico allora alzando la voce per rafforzarne l’enfasi. Quello stronzo di
Fabio, penso poi, è tutta colpa sua.
La sua casa è lì, poco oltre la fine del sentiero.
La casa di Paolo.
La casa del folle.
Già riesco a scorgerla, e sembra quasi strizzarmi l’occhio con uno dei piccoli tronchi
scuri con cui è costruita. Rigorosamente con le sue mani. Una leggera ma fredda brezza
di tramontana, appena desta, solletica le molte campane a vento tutt’intorno. Alcuni
scacciaspiriti sono mimetizzati sugli alberi più vicini allo chalet e un enorme
acchiappasogni è sistemato proprio sopra l’ingresso. Sembra la capanna di uno sciamano
sioux, pregna della sua magia, della malattia e del dolore. Incute riverenza, rispetto e un
po’ di paura, e io l’assecondo.
E’ molto diversa dall’ultima e unica volta in cui l’ho vista, ma non per quelle poche cose
in più. E’ piuttosto l’aria che si respira: invita alla follia, mi sembra, o comunque a
qualcosa di simile, molto simile. Ma con il mio lavoro e alla veneranda età raggiunta ho
ormai imparato come i confini tra le cose siano spesso labili e impercettibili persino tra
quelle apparentemente diverse. So di non aver fatto particolari rumori e non v’è nessuna
finestra della casa che dà sul lato del sentiero da cui io sono giunto, eppure Paolo mi apre
la porta ancor prima che io abbia pensato di bussare, come se avesse saputo
perfettamente l’ora del mio arrivo, quando io ero persino incerto se sarei arrivato.
E’ lì ad attendermi con occhi sbarrati, eccitati, febbrili.
Potrei averne paura se non ne avessi già visti tanti di quegli occhi, tuttavia nel mio caldo
studio protetto e non in queste insolite circostanze, dunque … ho paura. Ma non di lui,
piuttosto di ciò che la loro luce rappresenta: follia!
“Paolo! Come si sente?”
Silenzio.
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“Si sente bene?”
“Sì, dottore, non si preoccupi. Adesso sto meglio” e mi fa cenno di entrare. Adesso sono
io a non sapere bene come introdurmi senza essere banale, e lui m’aiuta.
“Mi sono sentito male fino a stamani, quando l’ho chiamata. Poi è andato tutto meglio.
Forse il pensiero che lei veniva mi ha confortato” mi sussurra affondando in una sedia di
paglia, con le mani sulla testa reclinata indietro.
“Ma cosa le è successo? Cosa è accaduto? Vuole parlarmene?” domando io affabile.
“E’ difficile parlarne” mi dice laconico lui.
“Qualcosa di simile all’altra volta?”
“Non so, dottore, forse.” Parla lentamente con il tono basso. Per quanto gli occhi mi
siano apparsi febbrili, Paolo brucia solo interiormente, vibrando di un’energia implosiva
non intenzionata a esplodere, non ancora. Non mi sembra affatto pericoloso e tuttavia c’è
qualcosa che non quadra. Sembra non aver dormito tutta la notte e mi appare stanco, ma
vigile, ben presente. Avrebbe bisogno di una doccia, mi dico. Anch’io!
Per un attimo riesco e distogliere gli occhi dai suoi, verde prato, magnetici e profondi, e
da tutto il suo strano mondo che lascia appena intravedere attraverso quelle che in questo
istante sono solo le fessure di una fortezza inviolabile. C’è buon odore nella grande e
unica stanza. Sembra tè alle erbe, forse alla menta. Non riesco a distinguerlo bene tra tutti
gli incensi e le candele profumate accese, che si fondono in una mistura ottundente.
In breve sono inebriato e stordito, come lui. Allora, finalmente, mi rilasso. C’è aria di
scampato pericolo nella stanza e ora Paolo abbozza persino un sorriso; io solo una
smorfia. Mi sento stanchissimo, anche se è di lui, solo di lui, che dovrei preoccuparmi. Non
mi sembra tuttavia essercene alcun bisogno, ma dopo tutta quella strada devo pur fare
qualcosa. Prendo il Serenase dallo zaino, ne verso 25 gocce in un bicchiere con
dell’acqua e glielo porgo.
“Cos’è?” mi chiede sospettoso lui.
“Niente di che. È un blando calmante” rispondo.
“No, non ne ho bisogno, lo vede anche lei.”
“Io vedo solo che lei è scosso. Da quanto non dorme?”
“Quattro giorni e quattro notti” sussurra, socchiudendo gli occhi stanchi, occhi che
guardano e vedono lontano. Poi tossisce, toccandosi il petto.
“Hai parlato ancora con Lui?” gli domando con tutto il rispetto che mi è possibile.
“Con il Cristo, intende lei?” mi gira astutamente la domanda per prendere tempo.
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Silenzio.
Quel totale silenzio che solo in montagna, forse, si può percepire, respirare.
“Sì, ha parlato ancora con il Cristo?” e questa volta riesco a pronunciare il Suo nome
senza enfasi, senza alcuna inutile enfasi, e senza anche inflessioni o assurde costrizioni
né condizionamenti. Sono ateo, ateo convinto. E questo Paolo lo sa, non ne faccio un
mistero con nessuno.
“No!” risponde Paolo, secco, arido. E mentre mi sembra quasi di tirare un lungo sospiro
di silenzio, continua: “E’ il Cristo ad aver parlato con me. Ma non è stato come le altre
volte. Questa volta ho sentito Cristo in me!”
“Cosa vuol dire?”
“Che non ho sentito la sua voce fuori di me, ma dentro, nell’intimo. Anche questa volta
ho percepito tutto il suo dolore e ho provato a lungo l’impulso di andarlo a sbandierare a
tutto il mondo. Allora ho ululato alla luna, nudo, angosciato, furioso. E così è stato sino a
poche ore fa. Sentivo un terribile dolore qui, al petto, che sembrava stringermi e
opprimermi, come una corazza stretta di almeno due misure.”
Mi limito ad assentire con la testa, ma ora lui non ha più bisogno di incoraggiamenti.
Vede il traguardo e sa come arrivarci da solo, senza alcun aiuto. I suoi occhi non sono più
fessure, ma gli oblò di una nave sull’oceano verde e burrascoso.
“Poi gradualmente quel dolore si è rotto come un vecchio giocattolo e il Suo e il mio
grido disperato hanno lasciato il posto alla gioia e alla forza.
È solo più di questi suoi frutti che desidero nutrirmi, imparando pure a dispensarli” mi
bisbiglia ispirato.
“Questo è un ottimo proposito” lo incoraggio io. Ma non ne ha bisogno, tuttavia insisto.
“Adesso che non sente più bisogno di identificarsi con il dolore, la terapia avrà certo un
notevole miglioramento.”
“Non penso di venire ancora al suo studio, dottore” e tossisce.
“Rispetto le sue idee, ma forse è un po’ presto per smettere e soprattutto per decidere
in questo modo e in questo momento” asserisco deciso.
“Dottore, lei non capisce. Le dico che il Cristo ha parlato in me, lasciandomi parte della
sua eredità.”
“Di cosa parla?” domando incredulo.
“Il suo tocco, dottore, qui, proprio sul mio petto.
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Appoggi la sua mano, forse potrà sentire …” e mentre tossisce, quasi gli riuscisse
difficile continuare a parlare, mi prende una mano e l’appoggia sul suo cuore.
E allora qualcosa accadde.
Mi sento pervadere da un’insolita energia e incomincio a tremare come se fossi nudo
con i piedi nella neve, e i miei occhi vedono cose mai viste, cose lontane, frammenti di
verità dimenticati da tutti.
“Resta qui, non te ne andare!” mi sento urlare da lui mentre mi tiene stretto contro il suo
petto. Per un po’ mi sento sperso, lontano, tremante, ancora attratto come un magnete da
quello che vedo scorrere nei miei occhi di visionario e che vorrei raggiungere. Tutto per un
attimo aumenta ancora di velocità, come il mio tremore, poi si placa: un uragano senza
più energia né forza distruttiva.
Io m’accascio su di lui, svuotato.
“Cosa m’è accaduto?” gli domando spaventato, non appena mi riprendo.
“Qualcosa di simile, forse, a ciò che è accaduto anche a me” mi sussurra con un
sorriso e un colpo di tosse, che mi contagia.
Mi fa male il petto. Mi brucia. È come se qualcosa al suo interno, qualcosa di vecchio,
forse, si volesse liberare da un involucro scomodo e stretto. Vorrei dirglielo. Vorrei dirgli e
chiedergli mille altre cose. Sento invece ancor più forte l’impulso di scendere subito giù da
quel monte, di parlare con la mia ex moglie, con mia sorella e con molti altri, e spiegarmi,
scusarmi. Scusarmi …
Lui ora mi sorride, sembra capire.
Lo abbraccio.
M’incammino giù per la montagna, quella delle apparizioni, e ora mi sembra diverso
tutto, proprio tutto, intorno a me. Il mio passo è morbido e accarezza appena il terreno.
Ecco, adesso potrei calzare le scarpe di tela consigliate dal babbo, penso, o forse potrei
anche andare scalzo.
All’improvviso mi si para davanti un lunghissimo verme, e con un balzo, d’istinto, lo
supero indenne. Quindi mi tolgo le scarpe e le calze e, pensando al babbo morto da
tempo, mi sento felice.
E’ tutto un po’ folle.
Leggero, ridiscendo il monte, che peraltro adesso mi pare amico, senza avere più nulla
da difendere. Mi lascio quasi rotolare, come se io fossi solo una piccola sfera, e la
montagna una vecchia compagna di giochi.
Ma ora, che fare? Ora che tutto sembra così magicamente folle.
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Mentre ancora cerco una risposta, già scorgo il confine tra i due mondi. Adesso,
tuttavia, è meno netto, proprio come la Terra e il Cielo. E solo adesso vedo che tutto è
perfetto così com’è, pronto per una nuova partita. Questa volta, però, dopo tanto tempo,
ho ancora voglia di giocare, e mi sembra anche di avere in me il segreto per gustarmi
finalmente il gioco, e, anche, per… vincere!
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POESIA
Miranda Virzì – 5 maggio 2010
narra sempre di un atto passato, quasi nostalgico.. romantico
dividendo le sillabe… POI…. E SIA!!
Mi pare il segno di un'accettazione a posteriori di un fatto, una presa di
coscienza, un realizzare, non importa cosa, un tramonto, un amore, un
rimpianto..
nostalgiche romanticherie
riflessive…
che portano quasi ad un'accettazione che invoglia gli altri ad accettare anche
loro…
POI … E SIA…
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NEVENUVOLE
Valeria Dragone – 10 maggio 2010
Montagne di nuvole
Bianche di neve
Puntate nel cielo di strati
Di quiete compatta
Mi immergo nell’albero che racconta di sé
Dei rami foglie e frutti
Che getta su tutti da radici antiche di vita.
Specchio di me è il verde Fratello
di coscienza vibra come brezza immota
E ora mi piace respirare
Senza sentire
Nulla nei sensi
La quiete fluire nei rivi sottili
Dal centro alle dita di luce e stupore
è il mio cuore
Voglio mescolare all’arida terra
Donarle il sorriso dell’Essere blu
AttiPoetici – raccolta maggio 2010
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ANIMA
Patrizia Priminucci – 13 maggio 2010
Quando riusciremo a far riapparire l'anima che abbiamo sotterrato , allora non avremo più domande !
AttiPoetici – raccolta maggio 2010
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TRE MASSIME
Cristina Presta – 14 maggio 2010
Scoperte
Non dobbiamo
stupirci degli altri
ma sorprenderci
di noi stessi......
Libertà
Saremo sempre
ciò che non siamo stati
se non rendiamo il nostro selvaggio
libero.
Essere
Si può soffrire
anche non essendo
perché anche non essendo
siamo.......
AttiPoetici – raccolta maggio 2010
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FORSE IL SEGRETO
STA NELLA GIOIA
Anna Garolini – 15 maggio 2010
Forse il segreto sta nella gioia.
A volte si affaccia la domanda e la domanda mi porta a volte smarrimento, a
volte tristezza.
Poi incontro persone e storie, e in un attimo mi risale agli occhi il sorriso.
E il motore riprende a girare.
A volte mi chiedo quand'è stata la prima volta che ho rinunciato a stare
nell'adesso, cosicché ho conosciuto l'esistenza di una differenziazione
temporale.
Un rimpianto.
Forse.
Forse sono così brava a coltivare tutto ciò che sta fuori di me, che tutta
questa bellezza esteriore via via va a coprire lo spazio dentro e lo offusca, lo
soffoca. Così, per istanti più o meno lunghi perdo il contatto e mi smarrisco.
Forse le cose del mondo sono veramente del mondo, ed io non posso
appropriarmene. Forse posso solo farne esperienza, colmarmene il cuore e
poi, nel disincanto, lasciarle andare.
Forse in questo sta la perfetta letizia.
Forse, così, sarebbe più facile comprendere che, in ogni caso, sono davvero
nel posto giusto, sempre e comunque e tutto intorno a me è davvero perfetto
per me.
Forse devo solo accettare.
Forse devo solo far combaciare la perfezione esteriore con quella interiore, e
il gioco è fatto, ritorna la gioia.
Forse è solo uno dei tanti stupidi giochi della mente. “Se desidero fortemente
stare con una persona o in un luogo, non ci sono forse già?” Quante volte,
sperimentando questa condizione ho sentito che l'intensità di questa
esperienza non è comparabile ad una telefonata, a ricevere una lettera o un
sms. Queste sono spostate nel tempo; l'esperienza vera è dell'attimo, nel
momento esatto in cui avviene e solo in quello spazio rimane pura.
Se sperimento questo, sento meno la pressione dei desideri, mi sento più
libera, leggera.
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Penso alla bellezza di stare accanto a una persona e comunicare al di là
della verbalizzazione, al di là del pensiero...e di poterlo fare in qualsiasi
momento, a prescindere dal tempo e dallo spazio.
Forse si potrebbe dire che è un lavoro di cuore e forse sarebbe più possibile
e facile se il cuore fosse in ogni istante traboccante di gioia.
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