dal cimitero una voce roca - Provincia di Pesaro e Urbino
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dal cimitero una voce roca - Provincia di Pesaro e Urbino
GUIDO MINARDI E’ una storia vera, fra le mille e mille leggende che si perdono tra le scintille di un caminetto che arde nelle serate d’inverno, quando la paura ti fa piccolo e fra tombe, croci, cancelli e cipressi neri a mezzanotte: DAL CIMITERO UNA VOCE ROCA… - Nonno, a me il cimitero non fa paura. – E’ sincera Asia, sei anni, mentre si parla della rituale visita al camposanto urbano. Marco, il fratellino di quattro, non coglie il nesso della frase con il luogo nuovo per lui. – Hai ragione, Asia, i morti dormono lì tranquilli, ci guardano e sono contenti di noi. E poi, ricordalo bene: non c’è niente di notte più di quello che c’è di giorno. - E’ una frase che mi aveva colpito da bambino nel film “Il ragazzo dai capelli verdi”. Cimiteri, teschi, fantasmi, diavoli, zombi e streghe: paure che lacerano i sogni e i pensieri dei bambini, alimentate dalla stupidità assassina degli adulti. E Halloweyn, con tutto il suo carrozzone commerciale, non ci aiuta davvero. Ho capito che era ora di intervenire. - Vi voglio raccontare una storia. C’è là fra i nostri monti una piccola valle, un catino di campi e prati verdi circondato dai boschi. Gli fa compagnia giorno e notte il Candigliano, un fiumiciattolo limpido, fresco e chiacchierone. Sparse qua e là poche case che sembrano uscite dal libro delle favole. Nel mezzo, una chiesetta che dà il nome alla valle, San Martino del Piano, una scuola piccola piccola e un cimitero che pare un giardino. Un bel giorno arriva un maestro nuovo, un ragazzo giovane che già sognava di vivere avventure straordinarie con quei diciassette bambini di tutte le classi: loro lo prendono subito per mano, fuori, in giro a mostragli il posto e a raccontare: - Là in fondo al campo di Menco ci hanno ammazzato un soldato tedesco e l’hanno sepolto ma non si sa dove… Vedi più su quello slargo vicino alla strada, nella curva? Lì di notte ci vedono i fantasmi… Ma se vai più giù c’è una grossa pietra: mio nonno una volta di notte, quando tornava, ci ha visto un gatto nero enorme che soffiava; mio nonno aveva il fucile, gli ha sparato, ma il gatto è sparito con un lampo e la mattina dopo sulla pietra ci ha trovato un mucchietto di pallini da caccia. Era il diavolo!… E poi lo sai, maestro? – erano arrivati davanti al cimitero – Di notte lì dentro ci vedono delle luci strane e si sentono delle voci terribili…- Un patrimonio incalcolabile dell’horror frutto delle lunghe vegghie invernali, attorno ai camini accesi, quando le notti scendevano presto presto, le cene erano povere povere e il vino della cantina scioglieva troppo la lingua e la fantasia dei grandi. E i bambini tremavano anche nei sogni. - Allora, bambini, facciamo una bella cosa – propone il maestro – torniamo in classe, ognuno prende un foglio e disegna bene quello che gli fa paura, poi i disegni li portiamo come in processione fuori, fin davanti al cimitero, accendiamo un bel fuoco e li bruciamo: così facciamo morire tutte le nostre paure. - E’ stata una festa: la paura era stata vinta, perché l’avevano uccisa. Il maestro torna nella casa dove alloggiava, ai margini della vallata, camminando contento per la stradina, l’unica che c’era, che lambiva proprio quel cimitero. E sempre lì doveva passare ogni volta, dopo cena, quando la notte era buia davvero, per andare dall’altra parte della valle dove, in un vecchio mulino di pietra, aveva scoperto una ragazza di sedici anni, bella da perderci la pace, i capelli castani morbidi come il muschio e due occhi verdi come il fiume. Si era innamorato subito, come nelle favole. Una volta, era passata ormai la mezzanotte, non c’erano né luna né stelle, ma a lui sembrava di volare perché aveva rubato alla ragazza dagli occhi verdi un bacio che sapeva di pulito, di latte e di farina. D’improvviso la sagoma scura del cimitero. Niente paura, ci mancherebbe: un segno di croce, un “L’eterno riposo” e via…Ma dall’interno, al di là del cancello nero e chiuso, una voce roca, cavernosa, minacciosa, tutta per lui: - Vieni avanti, puzzone! – Gli stivali incollati nel fango del sentiero, il cuore che saltava come un matto dalla gola allo stomaco, le domande che gli urlavano nella testa: che cos’è stato? che faccio? fuggo e calpesto tutti i miei insegnamenti antipaura? faccio finta di niente ma mi lascio dentro per sempre questo dubbio di mistero d’oltretomba? No, vado a vedere! Ed è stata una liberazione piena di affetto: sdraiato sulla soglia, al di là del cancello del cimitero, c’era il buon Antonio, il nonno di due sue scolarette. Un vecchio, alto e rude come una quercia, che ogni tanto saliva all’osteria di Mazuchin a lucidare nella Malvasia, calda e generosa, con gli altri ‘ragazzi della Grande Guerra’, i ricordi di trincea. Poi, sulla via del ritorno, sceglieva di ripararsi in quel giardino di Pace per godersi le ultime dolci nebbie del vino ed evitare di incontrarsi con qualche familiare che andava a riprenderlo con quella durezza che conosceva fin troppo bene. – Buona notte, Antonio. – Oh, siete voi? Buona notte maestro! E il maestro giovane giovane tornò a casa come un trionfatore: aveva dimostrato che, anche nel cimitero, non c’è niente da aver paura. - Nonno, ma è vera questa storia? – Verissima! – Ma c’è ancora quel cimitero? – Sì, è questo nella foto. – E la ragazza dagli occhi verdi dove sarà adesso? – E’ di là, in cucina, che vi prepara la merenda. – Ma è nonna! E quel maestro eri…Che matto! Uno slancio, Asia e Marco mi abbracciano con un sorriso fino alle orecchie. Non so se ho dato un colpo alle loro paure, di sicuro qualcosa di molto bello resterà nel loro cuore. Per sempre. “Nonno”