Le multinazionali in fuga dal Piemonte ma arrivano i cinesi
Transcript
Le multinazionali in fuga dal Piemonte ma arrivano i cinesi
503*/0 $30/"$" la Repubblica (*07&%¹ /07&.#3& 7** 1&34"1&3/&%*1*Ä "MUSFOPUJ[JFFJNNBHJOJ TVMTJUPUPSJOPSFQVCCMJDBJU -FDPOPNJB La Repubblica Torino - 5 novembre 2015 -FNVMUJOB[JPOBMJ JOGVHBEBM1JFNPOUF NBBSSJWBOPJDJOFTJ (&/&3"-.05034 -BQSFTFO[BEJ(NDPO1PXFSUSBJO BM1PMJUFDOJDPÒQFSÛVOTFHOBMF JODPOUSPUFOEFO[BDPNFMP TIPQQJOHEJ(FOFSBM&MFDUSJDEFJ DJOFTJEJ+BDFJMSJMBODJPEJ0SÒBM 0MUSFBMMBDBTBEFM#JCFOEVNIBOOPDIJVTPPSJEPUUP MJNQFHOPMFY1IJMJQTMB8IJSMQPPM5OUFMB/FTUMÏ ."3*"$)*"3"(*"$04" A SOLUZIONE in chiaro scuro che la Michelin ha proposto al Piemonte - investire sullo stabilimento di Cuneo, ma chiudere quelli di Fossano, Torino e Alessandria con 550 operai a rischio - è un segnale d’allerta sulla salute delle multinazionali in Piemonte. Prima del colosso dei pneumatici, c’è stata la Dr.Fischer di Alpignano, l’ex Philips, a rischio chiusura perché l’azienda non ha più commesse per i 62 dipendenti dello stabilimento dove da quasi un secolo si produce materiale elettrico. Stesso copione alla Tnt, che ha annunciato l’intenzione di ridurre il personale di alcuni uffici, compresi quelli piemontesi, lasciando a piedi 70 lavoratori. Anche l’americana Whirlpool, dopo aver rilanciato lo stabilimento di None per fare ricerca tecnologica, ne ha aveva annunciato lo smantellamento, salvo poi fare una marcia indietro che non ha dissolto le nubi sull’ex polo Indesit. Ha invece già fatto le valige dagli stabilimenti di Garessio e Ceva la Nestlé che lo scorso aprile ha venduto l’acqua San Bernardo al gruppo italia- - *16/5* (-*"%%** 0MUSFBMMB.JDIFMJOB'PTTBOPMB DSJTJDPMQJTDFBODIFMB%S'JTIFS TUPSJDBB[JFOEBFMFUUSJDBEJ "MQJHOBOPMB8IJSMQPPMEJ/POF FMBDDJBJFSJB7FSUFLEJ$POEPWF (-*"33*7* *ODBNCJPQFSÛDPNFTQJFHB (JVTFQQF%POBUPEFM$FJQOFMMB GPUP OFHMJVMUJNJBOOJTPOP BSSJWBUJJDJOFTJEFMMB+BDBVUP QBTTBUJEBBEJQFOEFOUJ 03*&/5& 1FS%POBUPDÒVODBNCJBNFOUP MBTDJBOPJHSBOEJHSVQQJDPO HSBOEJTUBCJMJNFOUJFBSSJWBOP QJáQJDDPMFFNFEJFJNQSFTF TUSBOJFSFEJBMUBTQFDJBMJ[[B[JPOF no Montecristo. Ed è di ieri la notizia che per l’acciaieria Vertek di Condove non è arrivata nessuna offerta d’acquisto. Prova però a vedere il bicchiere mezzo pieno Giuseppe Donato, presidente del Ceip, per il quale «cambiano i soggetti interessati a investire in Piemonte, che sono sempre meno europei e sempre più asiatici. E in futuro, anche mediorientali». Meno macchine e più innovazione, insomma. Meno addetti, ma professionalità più specializzate. «Sarà difficile tornare ai tempi in cui le multinazionali decidevano di investire creando stabilimenti con centinaia di addetti - prosegue - La nostra regione ha però ancora molto da dare in termini di innovazione, come dimostra il caso di General Motors, ma deve essere più attraente». In che modo? «Le mosse sono sempre le stesse: meno burocrazia, meno tasse e così via». In effetti negli ultimi anni qualche multinazionale è arrivata. La scandinava Creditsafe – fornitore on line di rapporti di credito aziendale - è approdata in strada del Drosso un paio di anni fa e prevede di assumere 300 persone nel 2017. Anche gli americani di Gene- ral Electric sono venuti a fare shopping in Piemonte con l’acquisto, tre anni fa, della divisione aeronautica di Avio. Sono arrivati da lontano anche i cinesi di Jac, la casa automobilistica che nel 2005 ha aperto il suo primo ufficio con 4 addetti e ora ne ha 150. Segno che gli affari si possono fare anche in una terra martoriata da anni di crisi. Gli inglesi di Arriva, ad esempio, entrati nel consorzio Extra To dimostrano che anche il trasporto pubblico può essere un settore appetibile. Nonostante il trasloco a Milano dei dipendenti di via Garibaldi, ha i piedi ben piantanti in Piemonte anche l’Oreal che ha fatto dello stabilimento di Settimo il più produttivo nella rete internazionale grazie a un alto livello di innovazione. «Abbiamo le idee, ma dobbiamo fare in modo che chi le finanzia scelga di continuare a svilupparle qui, creando le condizioni» sostiene ancora Donato. Pochi giorni fa è arrivata a Environment Park Trovagene, un’azienda americana leader nella diagnosi oncologica che ha scelto Torino anche per la vicinanza con il centro di Candiolo. ª3*130%6;*0/&3*4&37"5" .JDIFMJOJMBWPSBUPSJJOTDJPQFSPCMPDDBOPMBTUBUBMF %"/*&-"(*03%"/&/(0 UATTRO ore di sciopero e presidio davanti allo stabilimento Michelin di Fossano sono la prima risposta dei 400 dipendenti che ieri mattina si sono mobilitati contro la decisione di chiudere lo stabilimento in frazione Cussanio. Una protesta a cui i lavoratori hanno partecipato “con un’adesione superiore al 90 per cento” secondo i sindacati e che ha interessato anche il traffico della Statale 28, bloccato per circa 2 un’ora. A sostenere i dipendenti c’erano i colleghi di Cuneo, che già nel turno di notte avevano aderito iallo sciopero, ma la solidarietà è arrivata anche da altre aziende come la Alstom di Savigliano. E dal segretario nazionale Fiom Maurizio Landini. Tutti uniti per dire un no secco al piano quinquennale dell’azienda che propone un investimento nel nostro Paese di 180 milioni per il 2016-2020, ma con costi sociali rilevanti: 578 esuberi di cui 400 a Fossano. “La mia presenza testimonia -"1305&45" $FSBBODIF JMTFHSFUBSJP EFMMB'JPN.BVSJ[JP -BOEJOJJFSJEBWBOUJ BJDBODFMMJ EFMMB.JDIFMJOEJ 'PTTBOPEPWF MB[JFOEBNJOBDDJB MJDFO[JBNFOUJ i*MHPWFSOPEFWF JOUFSWFOJSFw che questa non è una battaglia locale” – ha spiegato Landini intervenendo al presidio – “L’unità è il punto di partenza per chiedere sostegno a politica e istituzioni, solidarietà vera, per mantenere produzioni e posti di lavoro. Non ho mai avuto rapporti diretti con Michelin – prosegue - ma so che i soldi non mancano e si vuole continuare a investire. Allora chiediamo di mantenere in Italia l’integrità delle produzioni. Ma per far cambiare idea a una multinazionale serve la mobilitazione in tutto il gruppo, dobbiamo resistere un minuto in più di loro come ci insegnano le esperienze di Whirlpool e Thyssen». Poi, un appello alla politica: “Un governo degno di questo nome non ha bisogno di aspettare la nostra richiesta di intervento”. Serve un tavolo di trattativa vero che travalichi i confini regionali: è l’appello del sindaco Davide Sordella ai rappresentanti istituzionali, chiamati a fare visita a una città “ rasa al suolo, all’inizio di un lungo lutto”. ª3*130%6;*0/&3*4&37"5" *-$"40 A7JUFDPMUFNBSDIJPOVPWPQFSHSBOEFWJOP $PQSJSËMBHBNNBBMUBEFMMBTUPSJDB B[JFOEBi5FSSFEBWJOPwDJSDB VONJMJPOFEJCPUUJHMJFPHOJBOOP ."3$053"#6$$0 è un bel nome per un vino, o meglio per una intera gamma di vini di qualità, Un gioco di parole che punta su due aspetti importanti nella produzione del “nettare di Bacco”: l’albero della vite appunto , ma anche le vite e la cultura di chi quell’albero coltiva e cura, i contadini. E quel nome ha scelto una delle più importanti aziende del settore in Piemonte, Terre da Vino, per la sua “rivoluzione” targata 2016. Da gennaio tutta la gamma alta della casa con sede a Barolo prenderà infat- j7 ITE COLTE» ti la nuova denominazione. Ci vuole coraggio per cambiare nome e, sia pure solo in parte, marchio, dopo decenni di presenza importante sui mercati italiani e esteri. Ma , come ha spiegato il presidente di Terre da Vino, Piero Quadrumolo ieri, durante la presentazione del nuovo marchio davanti a una centinaio di viticoltori che lo sostengono, «questa decisione è il frutto di un percorso iniziato ormai venti anni fa, quando si è deciso di produrre il primo vino con questa filosofia, la Barbera d’Asti superiore La Luna e i Falò». Già perchè per capire questa “rivoluzione” bisogna ricordare cosa sia Terre da Vino: una “cooperativa di cooperative” (ne raduna una quindicina) nata nel 1980 ma dal 1993 diventata proprietà dei viticoltori che ne fanno parte. Centinaia di famiglie contadine in tutte le principali aree vinicole del Piemonte, dalle Langhe al Roero, dal Monferrato al Tortonese: in totale 5000 mila ettari di vite per 5 milioni di bottiglie prodotte l’anno. Di queste un mliione circa già risponde ai requisiti di qualità fissati pe ril nuovo marchio e ne entrerà a fra parte. “Vite colte” infatti sarà il marchio di gamma alta dell’azienda: riguarderà i vini prodotti su 300 ettari (Barolo, Barbaresco, Barberam Moscato, Roero, Gavi) nelle aree più vocate,e coltivate nel pieno rispetto dell’ambiente. «Sono quelle - ha aggiunto Quadrumolo che rappresentano la punta di diamante tra i soci di Terre da vino. Centottanta i viticoltori che partecipano al progetto coltivando a questo fine solo 1 o 2 ettari per poter assicurare le cure più assidue». I vini di Vite Colte saranno destinati solo a enoteche e ristoranti e non entreranno sugli scaffali della grande distribuzione. ª3*130%6;*0/&3*4&37"5" 26"-*5® %BMMB#BSCFSBi-B MVOBFJGBMÛwGBNPTB OFMNPOEPBM#BSPMP &TTFO[FBMNPTDBUP FDPTÖWJBTPOPVOB EFDJOBJNBSDIJ DIFFOUSFSBOOP BGBSQBSUFEFMMB iTRVBESBwEJ7JUF $PMUFEFTUJOBUBB FOPUFDIFFSJTUPSBOUJ